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Tra storia e leggenda « … In un cantone dell’Ungheria, nella prima metà del ‘700, un contadino di nome Arnold finì stritolato sotto un carro di fieno. Un mese dopo, quattro paesani morirono fulmineamente della morte orribile di coloro che, secondo la tradizione dei luoghi, vengono dissanguati dai vampiri. Scattò l’allarme, vennero riesumati alcuni cadaveri di recente sepolti. Fra questi, quello di Arnold che recava inconfondibili le note caratteristiche del vampirismo. Il corpo era fresco, integro, non recava traccia di decomposizione; i capelli, le unghie, la barba erano cresciute, le vene piene di sangue fluente che inondava il lenzuolo in cui era stato avvolto alla sepoltura. Un magistrato, al cospetto del quale l’esumazione era avvenuta, ordinò che venisse immediatamente piantato un paletto appuntito nel cuore di Arnold: dal corpo partì un grido straziante, come fosse stato in vita. Poi fu decapitato e dato alle fiamme: così, del vampiro, non si sentì più parlare… » Questa e decine di altre analoghe cronache si possono leggere nell’opera che l’abate Dom Augustin Calmet pubblicò nel 1749, dal titolo «Dissertazioni sulle apparizioni degli spiriti e dei vampiri», in cui sono raccolti numerosi racconti di apparizioni e incursioni vampiresche in paesi dell’Europa centro-orientale. Questa macabra figura fu introdotta nella cultura occidentale verso il 1600 da alcuni diari di viaggio in Grecia e nei Balcani, ma sarà stranamente nel secolo successivo, il secolo dell’Illuminismo e del razionalismo, che il vampiro diventerà un personaggio popolare nella cultura europea, sempre più affascinata dai misteri dell’occultismo e

Dracula Tra Storia e Leggenda

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In viaggio sulle tracce di Dracula, tra storia e leggenda

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Tra storia e leggenda

« … In un cantone dell’Ungheria, nella prima metà del ‘700, un contadino di nome Arnold finì

stritolato sotto un carro di fieno. Un mese dopo, quattro paesani morirono fulmineamente della morte

orribile di coloro che, secondo la tradizione dei luoghi, vengono dissanguati dai vampiri. Scattò l’allarme,

vennero riesumati alcuni cadaveri di recente sepolti. Fra questi, quello di Arnold che recava

inconfondibili le note caratteristiche del vampirismo. Il corpo era fresco, integro, non recava traccia di

decomposizione; i capelli, le unghie, la barba erano cresciute, le vene piene di sangue fluente che inondava

il lenzuolo in cui era stato avvolto alla sepoltura. Un magistrato, al cospetto del quale l’esumazione era

avvenuta, ordinò che venisse immediatamente piantato un paletto appuntito nel cuore di Arnold: dal

corpo partì un grido straziante, come fosse stato in vita. Poi fu decapitato e dato alle fiamme: così, del

vampiro, non si sentì più parlare… »

Questa e decine di altre analoghe cronache si possono leggere nell’opera che l’abate Dom Augustin Calmet pubblicò nel 1749, dal titolo «Dissertazioni sulle apparizioni degli spiriti e dei vampiri», in cui sono raccolti numerosi racconti di apparizioni e incursioni vampiresche in paesi dell’Europa centro-orientale. Questa macabra figura fu introdotta nella cultura occidentale verso il 1600 da alcuni diari di viaggio in Grecia e nei Balcani, ma sarà stranamente nel secolo successivo, il secolo dell’Illuminismo e del razionalismo, che il vampiro diventerà un personaggio popolare nella cultura europea, sempre più affascinata dai misteri dell’occultismo e

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del soprannaturale. La credenza che il corpo di un morto possa desiderare il sangue dei vivi per alimentare la propria immortalità è tipica dell’oriente europeo, dal quale sembra provenire lo stesso nome: vampyr in magiaro, upiery in polacco, upiry in russo. Ma le sue origini sembrano andare molto più indietro nel tempo. Ne parlano documenti dell’antica Cina, di Babilonia, Caldea, Assiria ed Egitto, dove in una tavoletta di scongiuri proveniente dalla biblioteca di Ninive, la tredicesima formula insegna a combattere «il fantasma, lo spettro, il vampiro». A dimostrazione di come, dal Medioevo in poi, nei paesi dell’est europeo il fenomeno fosse preso tremendamente sul serio ci sono non solo un incredibile numero di cronache e racconti popolari, ma anche molti documenti ufficiali che certificano complesse pratiche magiche e rituali e specifici provvedimenti giudiziari volti a difendere la comunità dall’attività dei vampiri, definiti come «… uomini morti e seppelliti da parecchi anni o almeno da parecchi giorni, i quali si facevano vedere in corpo ed anima, parlavano, camminavano, succhiavano il sangue dei loro parenti, li

sfinivano ed infine loro cagionavano la morte. Non si troncava il corso delle loro visite e delle loro infestazioni che dissotterrando i cadaveri, impalandoli, tagliando loro la testa e bruciandoli…» (Collin de Plance - Dizionario infernale). Non è un caso quindi che lo scrittore irlandese Bram Stoker, inventore del più celebre di tutti i vampiri, abbia voluto ambientare in Romania, precisamente sulle montagne della Transilvania, il suo celebre romanzo «Dracula» (1897), capostipite di quello che diventerà un vero e proprio fenomeno letterario destinato a durare sino ai giorni nostri.

Quella di Stoker però non fu solo fantasia perché un principe di nome Dracula in quei luoghi è esistito davvero, anche se, ovviamente, nulla ha a che vedere con il terribile vampiro pur essendo, per altri versi, assetato di sangue. E’ attorno a questo personaggio, quindi, che si intrecciano storia e leggenda e soltanto ripercorrendone i passi si può tentare di comprendere dove finisca l’una e cominci l’altra. Lo scrittore, pur non essendo mai stato in Romania, doveva essersi documentato piuttosto bene per riuscire a dare delle descrizioni del personaggio e delle sue residenze così particolareggiate ed incredibilmente fedeli alla realtà. Il mito di Dracula, dunque, si perde nei secoli e non tutto quello che si è raccontato su questa misteriosa figura è frutto della fantasia umana. Il vero Dracula non ha mai morso nessuno sul collo, ma l’esistenza di un signore sanguinario in una terra dov’è così radicata la paura e la tradizione del vampiro ha fornito a Stoker uno spunto perfetto per il suo romanzo.

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Chi era dunque costui e cosa fece per meritarsi così terribile fama? Perché il suo nome si è legato così indissolubilmente a quello di simili creature dell’immaginario? Si tratta di Vlad III Tepes, secondogenito di Vlad II Dracul principe di Valacchia e

della principessa ungherese Cneajna. Nato nel 1431 a Sighisoara in Transilvania, dominò la Valacchia (di cui divenne sovrano) con estrema crudeltà dal 1456 al 1462, meritandosi l’appellativo di “Tepes” (impalatore) per via del suo passatempo preferito: impalare la gente. Molte sono le

affinità tra la vita reale di questo feroce sovrano e la leggenda che lo vorrebbe incarnazione del famoso vampiro. A cominciare dal nome: Dracula, adattamento dal rumeno del nome originale “Draculea”, che letteralmente significa “figlio di Dracul” (nella lingua locale, il suffisso “ea” vuol dire “figlio di” ed era all’epoca molto usato per designare nei nobili la casata di provenienza). Il suo nome, Draculea, ovvero Dracula, deriva quindi da un’eredità

paterna ed è questa che bisogna far riferimento per spiegare l’origine di un nome così intriso di significati occulti. Nel 1431 l’Imperatore Sigismondo aveva infatti investito suo padre del Sacro Ordine del Drago, l’ordine cavalleresco da lui fondato nel 1418, con il compito di difendere la cristianità del Sacro Romano Impero dalle continue minacce della potenza ottomana e dalle eresie interne. In tale occasione gli fece dono di una preziosa collana dotata di un medaglione d’oro con inciso il simbolo della confraternita, il drago, emblema che usò per le successive due emissioni monetarie fregiandosi del nuovo titolo cavalleresco di “Dragonul” (il Drago). La maldicenza popolare vide però in quel gesto, chissà per quale motivo, l’inizio di un’alleanza col diavolo ed iniziò a storpiarne il nome soprannominandolo Dracul, che in rumeno significa “il diavolo” (da drag = diavolo + ul, equivale al nostro articolo il). Sarà proprio questo sinistro nome (Vlad il diavolo) che i suoi discendenti erediteranno e sarà con esso che il secondogenito Vlad III, destinato ad entrare nella leggenda, firmerà i documenti ufficiali (come testimoniato da uno dei primi documenti che lo riguardano, una carta Bucharest del 20 settembre 1459 dove compare col nome di “Draculea”, ovvero “figlio di Dracul”). E’ probabile che tale eredità in alcune lingue abbia generato confusione, portando a sostituire "diavolo" con "vampiro" e quindi ad associare col tempo il suo nome con la terribile creatura della notte. Le vicende della sua vita sembrano fatte apposta per alimentare una simile leggenda: se non fu il sangue che ha succhiato a procurargli quella fama raccapricciante, di certo fu quello che ha versato. Si dice che portò le torture quasi a raffinatezze artistiche, preferendo, fra tante mostruosità, il supplizio del palo, impalando le vittime di persona e molto lentamente con frequenti interruzioni per

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poterle ancora schernire ogni volta che riprendeva la tortura. Altre volte preferiva la spettacolarità, come quella volta che realizzò una foresta con oltre 20 mila turchi impalati, facendo poi imbandire le tavole con cui intratteneva gli ambasciatori in visita presso di lui nel bel mezzo di tale orrore per dissertare con i commensali sulle tecniche più appropriate di impalatura. Era talmente ossessionato da questa mania che la sua particolare predilezione per i pali ha contribuito non poco ad associare il suo nome alla tradizione vampiresca, perché, guarda caso, è con un paletto appuntito che si uccidono i vampiri.

La sua efferatezza non aveva limiti. Oltre a torturare i prigionieri nei modi più atroci, riusciva a dare sfogo alle sue tendenze maniacali anche sui propri sudditi. Ne è d’esempio quella volta che riunì tutti i malati e i mendicanti della città in un palazzo e vi diede fuoco, lasciandoli bruciare vivi per far sì che “il suo popolo fosse sano e benestante”. Oppure nella sua macabra abitudine di fendere gli ombelichi delle sue amanti con la spada se queste restavano incinte. Gli studiosi hanno più volte cercato di spiegare le cause di tanta aberrazione, ma con scarsi risultati. Secondo alcuni, tanta depravazione deriverebbe da un episodio della sua infanzia, quando all’età di 13 anni fu catturato dai turchi e, durante la prigionia, vittima di un’aggressione sessuale da parte del Sultano. Secondo altri, è solo figlia del suo tempo: di fronte alle atrocità e barbarie dei suoi nemici, l’unica risposta erano barbarie e atrocità ancor maggiori. Vlad Tepes morì nel 1476 in un combattimento contro i turchi nei pressi di Bucarest, ma neppure la sua morte riuscì a liberare i rumeni dall’angoscia per questo sinistro personaggio. Prima di essere seppellito in un cappella solitaria del monastero di Snagov, alle porte della capitale, il cadavere, che continuava a incutere paura, fu decapitato. Angoscia che à sopravvissuta sino ai nostri tempi, tanto che nel 1931 la sua tomba fu riaperta scoprendo che il cadavere decapitato di Vlad non era più al suo posto, sostituito, chissà quando e da chi, con uno scheletro di cavallo: un altro episodio che aggiunge un alone di mistero a questa losca figura. Altri studiosi sono invece arrivati alla conclusione che il mito vampiresco del sanguinario Signore della Transilvania sia dovuto ai pipistrelli che notoriamente infestavano la zona dove abitava. Racconti rumeni parlano di pipistrelli, probabilmente idrofobi, che volavano dal castello, attaccando e mordendo chiunque si avvicinasse. È stato facile, quindi, per la fantasia popolare associare un così malefico sovrano alle caratteristiche dei ripugnanti volatili che sembravano costituirne una corte minacciosa in agguato sui

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torrioni del maniero. Sanguinario, impalatore e attorniato da volatili succhia sangue: una combinazione perfetta per dare credibilità alla leggenda. A differenza del vampiro leggendario, il Dracula storico non teme però la croce, anzi l’innalza come insegna mettendosi a capo delle Crociate. Eppure del suo nome s’impossesserà la fantasia popolare, alimentata da cronache spaventose, per rappresentare un potere demoniaco radicato in antichissime superstizioni. Per la storia, Dracula, al secolo Vlad III di Valacchia, visse quarantacinque anni, dal 1431 al 1476. Per la leggenda apparterrà al mondo di coloro che non sono mai morti, creature d’oltretomba che perpetuano in eterno la propria esistenza alimentandosi del sangue dei viventi.

Non è difficile spiegare perché il mito del vampiro, in quelle lontane terre dell’est europeo, si sia trasmesso intatto dalla tavoletta di Ninive sino alla cultura moderna.

Da un interessante studio di alcuni ricercatori si può infatti concludere che: «… si tratta di un mito che nasce da un bisogno ancestrale dell’uomo: quello di continuare ad esistere al di là della morte, di perdurare nel tempo, di essere immortale. Così, un mondo contadino emarginato, lontano dai dogmi religiosi codificati e senza una precisa nozione del trascendente, ha creato la figura dell’essere che si ribella alla morte e trova il modo di sopravvivere attraverso un atto materiale: l’assimilazione di linfa vitale, il sangue, che restituisce una sorta di vitalità all’etere cadaverico. Una forma rozza, terrena, di fede nella rinascita, presente in tutte le società primitive e che, in alcune, assume l’incarnazione del vampiro. Una fede confinata nel ghetto del male, perché le classi più evolute avevano più sofisticate forme di sopravvivenza da proporre alle masse. Il vampiro dei contadini resta una creatura di ordine inferiore rispetto ai romantici fantasmi dei castelli aristocratici, detestato dalla cultura evoluta che lo condanna come simbolo delle forze del male che si agitano in una specie di vita quando muore la luce del sole. Il morto dissanguato dai canini del vampiro diviene vampiro a sua volta: egli trasmette agli altri, con il suo morso malefico, il beneficio dell’immortalità. I contadini che agghindano di collane d’aglio le porte di casa, i montanari che tramandano agghiaccianti racconti nell’Europa orientale, inconsapevolmente amano questa loro sanguinaria creatura perché, se esistesse, sarebbe la prova evidente della loro immortalità, la prova che si può vincere la morte. Una prova molto più vicina alla loro vita quotidiana di quei confusi e mitici “al di là” propinati dai dotti pensatori. La prova che si può diventare immortali, com’era stato per il contadino ungherese Arnold, vampiro da un mese, prima che un magistrato crudele, rappresentante del potere costituito, non avesse fatto distruggere con un paletto appuntito la sopravvivenza larvale che aveva raggiunto…»

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I fatti della storia Contrariamente a quanto si pensa, la storia della dinastia dei Dracula ha origine non in Transilvania, dove approdarono in seguito, ma in Valacchia, un poco più a sud. Un piccolo principato indipendente destinato, assieme a quello della confinante Moldavia, a fare da cuscinetto tra la cristianità del grande Impero Germanico d’Occidente ed il sempre più potente impero Ottomano in continua espansione da sud. Estesosi nella parte orientale del Mediterraneo a partire dal 1299, quando Osman I dichiarò l’indipendenza del Principato Ottomano, la “Sublime Porta” (nome con cui veniva abitualmente indicato dai contemporanei l’impero Turco) aveva nel 1352 ormai attraversato il Bosforo e procedeva minacciosa la sua avanzata nei Balcani.

Moldavia e Valacchia nel XIV secolo

Rimanevano solo i due piccoli principati a fare da barriera contro tale avanzata prima che raggiungesse le terre della cristianità occidentale. Ed i rispettivi principi, pur di mantenere ben saldo il loro potere in quei territori formalmente indipendenti, nel corso dei secoli sempre giocarono al meglio le loro carte schierandosi alternativamente dall’una o dall’altra parte a seconda delle esigenze del momento. Lo Stato di Valacchia, risultato dell’unificazione di vari territori compresi fra i Carpazi e il Danubio che nel XIV secolo si posero sotto la protezione del Regno d'Ungheria, si era formato ufficialmente nel 1330, quando Giovanni Basarab (Basarab I) ne ottenne l'indipendenza bloccando l'esercito del re ungherese Carlo Roberto d'Angiò, intervenuto per far rispettare i suoi diritti sul regno. I territori compresi tra i Carpazi ed il fiume Nistro, voivodato (termine slavo utilizzato per designare le regioni militari dell’impero) vassallo creato anni prima dall’Ungheria per difenderla dalla invasioni mongole, divenne invece principato indipendente col nome di Moldavia alcuni anni più tardi, nel 1359, quando un nobile ribelle transilvano di nome Bogdan, deposto il voivoda locale, ne dichiarò l’indipendenza dagli Angioini diventandone il primo reggente col nome di Bogdan I (1359-1365). La Transilvania, a quel tempo, non costituiva ancora uno stato indipendente (lo diventerà solo nel

Bassarb I

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XVI secolo) ma era ancora una regione governata, attraverso un suo rappresentante, direttamente dalla corona ungherese, all’epoca il più grande e potente stato balcanico dell’Impero germanico. Fu Mircea il Vecchio (1355- 1418) il primo della dinastia dei Dracula ad avanzare pretese sulla Valacchia nei confronti dei cugini Bessarabi, in perenne lite tra loro per la successione al trono, giustificandole con il suo costante impegno nel combattere i turchi, per difendersi dai quali aveva atto addirittura edificare sul Danubio la città fortificata di Giurgiu. Nominato dal consiglio dei Boiari (i membri dell’aristocrazia rumena) principe di Valacchia nel 1386, Mircea intervenne nelle lotte di successione che si scatenarono nella confinante Moldavia per contribuire all’ascesa al trono di Alessandro il Buono, con cui iniziò ad intrecciare vantaggiosi rapporti in previsioni di mettere le mani, in futuro, anche su quei territori. Sfruttando i disordini scoppiati in Transilvania, quattro anni più tardi Mircea riuscì infatti ad estendere il proprio dominio anche sulla Moldavia, portando la Valacchia alla massima espansione nella sua storia.

Valacchia nelle sua massima espansione nel 1404

Ma per poco tempo. Nel 1394 il sultano Bayezid I attraversò il Danubio con un grande esercito di oltre 40.000 uomini ed invase il principato penetrando lungo la valle dell’Arges sino alle porte dell’antica capitale (Curtea de Arges), dove il 10 ottobre fu temporaneamente fermato, pur disponendo solo di un quarto delle forze schierate dal nemico, da Mircea nella feroce battaglia di Rovine. Fu una carneficina, ma la battaglia costrinse il sultano Bayezid a ritirarsi al di là del Danubio con i resti della sua armata. L’esercito ottomano era però tutt’altro che sconfitto e ben attestato nelle regioni valacche conquistate. Ciò indusse Sigismondo, re d'Ungheria (i cui territori ormai confinavano con quelli islamici) a organizzare una nuova crociata contro gli invasori islamici, ma l’impresa si rivelò un disastro ed il 25 settembre 1396 nello scontro di Nicopolis in Macedonia i crociati furono definitivamente sconfitti. Sigismondo riuscì a stento a fuggire su una nave lasciando che migliaia di cristiani venissero decapitati davanti al sultano. Pur riuscendo a conservare una certa indipendenza, la sconfitta di Nicopolis costrinse Mircea a riconoscersi come tributario degli ottomani lasciando la Valacchia in una posizione di stallo per molti anni. Nel 1410 Sigismondo di Lussemburgo, già re d’Ungheria e

Mircea il vecchio

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signore di Transilvania, fu nominato Imperatore “Re di Germania e dei Romani” ed anche Mircea, in qualità di suo vassallo, dovette giurargli fedeltà. Intimorito dalla potenza turca, alcuni anni dopo non esitò però a scendere a patti con gli infedeli, tradendo il giuramento fatto al suo sovrano che lo ripagò privandolo di tutti i suoi territori. All’inizio del XV secolo i turchi, dopo il periodo di anarchia che seguì l’uccisione del sultano Bayezid I nel 1402 ad opera dei mongoli, avevano infatti ripreso i loro assalti verso i Balcani e la Valacchia era ridiventata un campo di battaglia. Quando nel 1417 Mircea si arrese al Sultano Mehmed I accettando di pagare un tributo annuale di 3.000 pezzi d’oro in cambio del riconoscimento della Valacchia come Principato indipendente e la conservazione della fede Ortodossa Orientale, la cosa ovviamente non piacque all’Imperatore Sigismondo. Per riottenere i suoi feudi e mettersi al riparo dalle inevitabili congiure interne dei molti pretendenti ansiosi di prenderne il posto, a Mircea non rimase che implorare il perdono imperiale, che ottenne dietro la promessa di pagare pesantissime sanzioni

e lasciando in ostaggio presso la corte reale il proprio secondogenito, Vlad II, come garanzia della propria fedeltà alla corona.

Mircea il vecchio alla corte dal Sultano

Quando Vlad II Dracul, secondogenito di Mircea il Vecchio e della principessa ungherese Mara, venne al mondo nel 1390 erano tempi incerti e difficili. Suo padre, abbiamo visto, stava combattendo duramente per mantenere saldo il proprio

dominio sulla Valacchia, sempre più minacciata da nord e da sud dai due grandi imperi allora contrapposti. Quando nel 1418 suo padre morì, il Consiglio dei Boiari nominò in sua sostituzione il primogenito legittimo Mihail I, che restò in carica solo due anni, travolto da una sanguinosa guerra di successione. In Valacchia, infatti, essendo il principe regnante scelto dal Consiglio dei Boiari, la primogenitura non garantiva necessariamente la successione e tutti i maschi delle nobili famiglie avevano lo stesso diritto. Ne uscì vincente Dan II, cugino di Mihail I. Venuto a conoscenza della guerra scoppiata in patria e dell'elezione del cugino, Vlad II, ancora prigioniero presso la corte reale, non poteva certo stare a guardare. Tentato

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inutilmente di fuggire, dovette però aspettare sino al 1430 per poter finalmente entrare in scena. Guadagnatosi la fiducia di Sigismondo, che dopo la morte di Mircea non aveva più alcuna ragione di tenerlo prigioniero, fu nominato capitano delle guardie di frontiera con il compito di controllare il principe Dan e si stabilì nella città transilvana di Sighisoara, al confine con la Valacchia.

Vlad II Dracul

Sarà però l’anno successivo, il 1431, quello della svolta decisiva della sua via. L’8 febbraio un gruppo di nobili valacchi si riunì a Norimberga, la città delle diete imperiali, per prendere parte ad un importante evento storico: l'imperatore Sigismundo di Lussemburgo concedeva a Vlad II il governo della Valacchia. Quello stesso giorno l'imperatore diede al suo protetto una collana con un medaglione dorato raffigurante un drago con due ali spiegate e quattro artigli aperti, le fauci mezze spalancate, la coda avvolta intorno alla testa e la schiena spaccata in due, prostrato di fronte a una doppia croce. Era il simbolo dei cavalieri dell’Ordine del Drago, rappresentante la vittoria di Cristo sulle forze del male, con il quale il giovane voivoda si impegnava con un solenne giuramento a difendere il sovrano, la sua famiglia e tutto il sacro impero della cristianità da ogni minaccia. Il sacro medaglione non doveva mai essere tolto se non dopo la morte per essere sistemato nella bara assieme al defunto cavaliere. A differenza dei grandi ordini religiosi nati all’insegna delle Crociate, la confraternita del Drago, fondato dal imperatore Sigismondo, figlio dell'imperatore Carlo IV, per combattere l'eresia e contrastare l'espandersi del movimento ussita, ebbe vita breve e si estinse nel giro di una generazione dopo la morte di Sigismondo e dei suoi primi fondatori. Poco, ma abbastanza per consentire a Vlad II di potersi fregiare di un prestigioso titolo cavalleresco da aggiungere al nome del proprio casato e tramandare ai discendenti, che, come abbiamo visto, costituisce l’anello di congiunzione tra il mito e la storia di Dracula. Nasceva intanto nel dicembre di quello stesso anno (1431), nella città fortificata di Sighisoara in Transilvania (Schassburg per i Tedeschi ), il suo secondogenito, il figlio che iscriverà per sempre il nome del casato negli annali della storia. Oscurato dal primogenito e pressoché ignorato dal padre, Vlad III Dracula crebbe assieme al fratello minore Radu trascorrendo la propria infanzia aggrappato alla

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gonna della madre (la principessa Cneajina della famiglia moldava dei Musatin) tra le corti della nativa Sighisoara e della nuova capitale Tirgoviste, sulle alture dei Carpazi meridionali. Pur avendolo la madre affidato ai depositari dell'ortodossia bizantina, il credo dominante in quella contrada, volendo probabilmente compiacere l’imperatore Sigismondo, cattolico e tedesco (presso la cui corte di Norimberga aveva lui stesso studiato), il padre chiamò ad educarlo dei preti cattolici. Dracula crebbe così in un ambiente contrassegnato di una varietà di linguaggi, costumi e consuetudini predisponendolo a trattare con popolazioni diverse senza troppo curarsi delle loro abitudini o credenze. Seguendo le orme del padre, fu addestrato per diventare egli stesso un cavaliere dell'Ordine del Drago. Apprese le discipline del nuoto, della scherma, imparò a giostrare, a tirare con l’arco e conobbe le più raffinate tecniche di equitazione e le regole dell'etichetta di corte. Apprese anche la scienza della politica, i cui principi all’epoca erano essenzialmente di ispirazione machiavellica e si riassumevano in un semplice postulato: "è molto meglio per un

sovrano essere temuto che essere amato". Principi che, come vedremo, saprà mettere in pratica molto bene.

Dracula albero genealogico

Effettivamente il principe Vlad non aveva molto tempo da dedicare ai propri figli, salvo al primo, di nome Mircea (chiamato il Giovane per distinguerlo dal nonno

Mircea il Vecchio), che avrebbe dovuto succedergli al trono e che portò sempre con se anche in guerra. Lo volle accanto contro i turchi e contro i cristiani, a seconda della direzione in cui soffiava il vento della convenienza, educandolo così fin da ragazzo a quella doppiezza che nei tormentati territori di confine, in una società dominata dall’intrigo dove il tradimento rientrava tra le quotidiane necessità naturali, costituiva una condizione necessaria ed inevitabile di sopravvivenza. Insidiavano il principato nemici di diversa provenienza, che non costituendo un’unica compagine lo costringevano a estenuanti campagne, senza soluzione di continuità, su fronti diversi e con diversi alleati. Vlad II Dracul dovette così cimentarsi in una serie di battaglie per conservare la sua egemonia sulla regione

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che lo portarono, pochi anni dopo esser salito al trono, a tradire il giuramento di fedeltà fatto al Sacro Romano Impero ed allearsi con il sultano turco Murad II, come già aveva fatto suo padre anni addietro lasciando poi proprio lui in ostaggio per riscattare la fiducia dell’Imperatore. Costretto dall’inarrestabile avanzata turca, che già aveva travolto le confinanti Serbia e Bulgaria, a scendere a patti con gli infedeli islamici per mantenere il proprio potere, nel 1437 il principe valacco acconsentì ad accompagnare con il figlio maggiore Mircea l’esercito ottomano in un’incursione armata in Transilvania, rendendo così operativo quel legame di vassallaggio con i Turchi che suo padre aveva creato vent’anni prima. Fu una scelta obbligata, dettata dal nuovo corso degli eventi. Quell’anno morì infatti l'imperatore Sigismondo, il suo protettore al cui favore doveva la sua ascesa e tutto il suo potere. Era morto senza figli maschi, lasciando il trono al genero Alberto V d'Asburgo, che gli succedette nell'impero come Alberto II. Il principe valacco si trovò

così in una posizione estremamente instabile pressato da ogni lato da tutti quelli che miravano al suo trono sia all’interno che dall’esterno. Tra questi, il cugino moldavo Bogdan e la potente famiglia degli Hunyadi transivani, dalla quale non tarderà ad emergere la figura di Giovanni, per i suoi servigi già membro del consiglio reale magiaro di Sigismndo e futuro Vovivoda della Transilvania. Il nuovo re d’Ungheria Ladislao, successore di Sigismondo, stava infatti tramando per spodestarlo a favore del più fedele Basarab II. Informato dei trattati segreti fra il re d’Ungheria e il suo luogotenente in Transilvania Hunyadi per spodestarlo, Vlad II si trovò ad avere urgente bisogno di protezione e appoggio militare ed il sultano Murad II sembrava in quel momento essere l’unico che potesse offrirgli tutte le garanzie necessarie. Il sultano aveva inoltre la fama di essere molto generoso con i propri alleati, se ligi ai patti, offrendo loro l’opportunità di saccheggiare con lui le terre conquistate. Poiché nulla contava nella vita di un voivoda più del potere, presupposto essenziale per la realizzazione di qualsiasi progetto, a Vlad II la proposta del sultano sembrò un’occasione da non perdere ed accettò. La sua collaborazione fu utilissima ai Turchi, che risalirono la Valacchia inoltrandosi in Transilvania senza incontrare resistenza. Guidate attraverso valichi sicuri da uomini che avevano una grande familiarità con il territorio, le bande ottomane concentrarono il loro attacco sulle città di cui i due condottieri valacchi conoscevano la vulnerabilità, infierendo in modo atroce sulle popolazioni. Furono depredate non solo le terre degli Hunyadi, ma anche quelle dei feudi transilvani di Vlad e numerosi villaggi della stessa Valacchia, i cui abitanti incorsero nella stessa ferocia dei guerrieri ottomani al pari di tutti gli altri villaggi saccheggiati: quella crudeltà orientale che per affliggere la morte si avvaleva di lenti e perversi supplizi, come il palo e lo scorticamento. Vlad Dracul lo aveva sicuramente messo in conto, non essendo così ingenuo da pensare di poter tenere a freno l'orda turca, una volta varcato il Danubio. Era sceso in campo al fianco del sultano contro la sua stessa gente, aveva violato la sovranità di altri voivoda, si era compromesso agli occhi della potente consorteria del Drago e quindi dell'imperatore stesso per uno scopo ben preciso e quello scopo

Murad II

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sembrava raggiunto. Scacciato il fratellastro Alexandru Aldea, che in seguito all’invasione islamica dovette definitivamente abbandonare la Valacchia rinunciando a ogni rivendicazione dinastica, Vlad II Dracul assunse pieni poteri sulla Valacchia e sulla Transilvania meridionale, tra i Carpazi e il Danubio. In realtà fu invece l’inizio della fase politicamente più contorta di tutto il suo dominio, caratterizzata da una forte ambiguità dovuta all’incrinatura creatasi con i sovrani cristiani cui non era affatto corrisposto, diversamente dai suoi piani, un autentico consolidamento dei rapporti con i Turchi. Poco tempo dopo il sultano Murad lo convocò infatti per chiedergli conto di qualcosa che durante quella campagna doveva averlo infastidito parecchio. Per non venir completamente meno al giuramento fatto all’Ordine del Drago di proteggere i cristiani, cercò di salvare la vita ai cristiani transilvani consentendo che molti villaggi trattassero la resa direttamente con lui anziché con i feroci alleati. I notabili

di diverse città preferirono infatti arrendersi a un rinnegato cristiano, che era peraltro loro legittimo sovrano, piuttosto che finire in mano ai carnefici ottomani, che oltre ad impossessarsi delle loro ricchezze, non avrebbero risparmiato ad alcuno la vita. Oltre ad impossessarsi interamente dei tesori senza spartirli con l’alleato turco, in questo modo si sarebbe guadagnato qualche attenuante da ostentare a sua difesa qualora si fosse trovato a dover rispondere del suo operato di fronte a un tribunale crociato. Venutone a conoscenza, il Sultano Murad non potè che giungere alla conclusione che di Vlad II Dracul non ci si poteva fidare, non solo per la pietà mostrata verso gente che nella logica musulmana andava sterminata, ma anche per essersi appropriato di tesori che sarebbero dovuti rientrare nel bottino comune. Vlad sapeva benissimo quale sorte gli sarebbe toccata andando ad Adrianpoli (la capitale dell’Impero Ottomano prima della conquista di Costantinopoli) dal Sultano, per questo decise di partire portando con sé i due figli più piccoli. Come già fece suo padre con lui, prevedendo che il sultano intendesse imprigionarlo, il principe di Valacchia portò con sé come salvacondotto la propria prole da offrire eventualmente in ostaggio: avrebbe così ottenuto di poter ripartire, lasciando in pegno ciò che aveva di più prezioso, ovvero la sua discendenza. Si trattava di una prassi assai comune a quei tempi tra vassalli e sovrani, gli uni per garantire la propria fedeltà, gli altri per avere una ritorsione da compiere in caso di tradimento. Un’usanza certo non encomiabile, ma non barbara, se si considera che i vassalli ben sapevano che gli ostaggi sarebbero stati trattati con un riguardo adeguato al loro rango, con una prigionia che dai toni dorati che altro non era che un’ospitalità forzata che molto probabilmente si sarebbe protratta per anni, se non addirittura per tutta la vita. Non appena misero piede in territorio turco, Vlad e i due bambini furono presi in consegna dagli emissari del sultano e, anziché alla corte di Adrianopoli, condotti alla rocca di Gallipoli, sulla riva settentrionale dei Dardanelli, per essere incarcerati con l’accusa di tradimento. Murad aveva una predilezione speciale per quel porto fortificato, dal quale sarebbero dovute partire un giorno le operazioni per la conquista definitiva della Grecia, e vi aveva fatto costruire una reggia fastosa, protetta da imprendibili mura. Come previsto, dopo alcuni giorni trascorsi come prigionieri nei sotterranei del palazzo col tormento dell’incertezza sulla propria sorte, Vlad ottenne di poter ripartire lasciando i due figli in ostaggio. Evidentemente al sultano faceva molto più comodo avere un alleato oltre il Danubio, condizionato dai figli lasciati in garanzia, piuttosto che un nemico da giustiziare a Gallipoli. I due ragazzi vissero da quel

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momento in intimità familiare, non più prigionieri ma ospiti, con i cortigiani del sultano, imparando lingua e abitudini turche. Da Gallipoli vennero trasferiti dopo qualche anno altrove, seguendo, com'era d'uso, gli spostamenti della corte. Crescendo, appresero etichetta e le regole della diplomazia ottomana, parteciparono a banchetti di cui la nobiltà europea ignorava la magnificenza, assistettero senza speciale emozione al martirio dei nemici dell’Islam per i quali erano pronte sempre nuove tecniche di tortura. Un soggiorno forzato che non rimase privo di conseguenze. Fu proprio durante quella lunga prigionia turca, nel periodo di soggiorno a Egrigoz (dal 1444 al 1448) che il futuro “Dracula” imparò ad odiare i turchi ed i loro barbari costumi, apprendendo l’uso del terrore e delle raffinate

torture utilizzate dai soldati ottomani, come l’impalamento, una tecnica di cui in futuro diventerà lui stresso maestro. Il fratello Radu, al contrario, grazie al suo aspetto fisico molto attraente entrò subito nelle grazie del sultano Murad II che lo volle nel proprio Harem maschile, avvicinandosi alla cultura turca dalla quale non si allontanò mai più. Una minaccia costante incombeva però sul giovane Dracula e su suo fratello: la possibilità di finire i propri giorni nei tormenti più atroci come vendetta per un

tradimento del padre. Il che fu sul punto di accadere veramente quando, nel 1444, i sovrani occidentali, spaventati dall’espandersi della potenza ottomana, ripresero le armi contro Murad. Nell’autunno 1444 Papa Eugenio IV ordinò una nuova Crociata e Vlad II Dracul fu chiamato ad onorare il suo giuramento di fedeltà all’Ordine del Drago, garantendogli il suo appoggio. Artefice della pressante richiesta fu Giovanni Hunyadi, da poco diventato governatore della Transilvania. Nel 1440, dopo aver supportato la candidatura di Ladislao III di Polonia al trono d'Ungheria, fu infatti da questi ricompensato con il grado di capitano della fortezza di Nándorfehérvár a Belgrado ed il voivodato di Transilvania. Pur avendo giurato fedeltà anche al Sultano turco per poter tornare sul trono, lasciandogli addirittura in ostaggio i suoi due figli minori, Vlad II scelse di unirsi all’esercito ungherese e partecipare alla crociata insieme all’inseparabile Mircea, incurante che in tal modo si giocava la vita degli altri due

figli. Rinnovò la sua fedeltà all’Ordine del Drago con tanto fervore che gli echi di questa sua "riconversione" cristiana giunsero fino a Roma procurandogli addirittura la benedizione papale. Ben consapevole della sorte cui condannava i propri figli, non si era infatti fatto scrupolo di giustificarsi dichiarando pubblicamente che “volentieri sacrificava i suoi figli in nome della pace cristiana per poter continuare a servire il Sacro Romano Impero”. Seppur tradito, il Sultano decise però inspiegabilmente di non uccidere i due ostaggi. Ritenendo probabilmente di averne condizionato la personalità al punto da potersene servire contro le forze coalizzate della cristianità, forse Murad contava di poter insediare uno dei due sul trono di Valacchia alla morte del padre, estendendo così oltre il Danubio la propria

la reggia del sultano ad Adrianopoli

Giovanni Hunyadi

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influenza in modo pacifico e definitivo. La crociata balcanica, dopo i primi successi iniziali, si risolse in un completo disastro. Il 10 novembre 1444 a Varna, sul Mar Nero, l’esercito ungherese fu definitivamente sconfitto, travolto dalle armate di Murad.

battaglia di Varna

Vlad II di Valacchia e suo figlio Mircea, che avevano sapientemente limitato il loro raggio d'azione agli obbiettivi cui erano direttamente interessati per ragioni territoriali, non furono però coinvolti nella disfatta ed anzi portarono a casa eccellenti risultati riconquistando la cittadella fortificata di Giurgiu sul Danubio persa anni addietro. La rovina abbattutasi su Hunyadi dopo la disfatta di Varna, inoltre, non poteva che giovargli. Scampato miracolosamente alla morte in battaglia grazie ad una fuga repentina, il governatore transilvano, la cui crescente fortuna era considerata dalla maggior parte degli altri voivoda balcanici e mitteleuropei una minaccia per la loro dipendenza, fu messo sotto accusa e giudicato da una

corte di guerrieri, come lui, scampati al massacro. Pur riconoscendolo colpevole di fellonia, defezione in battaglia e abbandono del re al suo destino attribuendogli la responsabilità della disfatta prevalse però, contro il parere di Mircea che ne chiedeva invece una condanna esemplare alla pena capitale, la decisione di graziarlo in nome di tutti i servigi fino allora resi alla causa cristiana. Uno sconvolgimento di piani che al principe valacco si rivelò fatale. Hunyadi infatti non solo sopravvisse ma acquisì sempre maggior potere assumendo anche il titolo di reggente d’Ungheria per conto del nuovo re Ladislao VI, di soli quattro anni. Nel frattempo la sostituzione di Murad con il nuovo sultano Mehmet II, suo figlio, aveva dato

nuovo vigore all’Impero Ottomano. Vlad II fu immediatamente richiamato all’ordine dal nuovo sultano,

che lo invitò a rinnovare il giuramento di fedeltà verso i Turchi con la promessa di salvare la vita dei suoi figli e salvaguardare l’indipendenza della Valacchia. Affidandosi nuovamente alle mani del sultano, Vlad II Dracul firmò però questa volta la sua condanna a morte. La resa dei conti arrivò infatti tre anni dopo, nel dicembre 1447, quando Hunyadi decise di vendicarsi una volta per tutte del suo comportamento ambiguo ed invase la Valacchia uccidendo lui e suo figlio Mircea.

sultano Mehmet

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Il regno di Vlad III

Dracula Appresa la notizia, Dracula, allora diciassettenne ed ancora nelle mani del Sultano assieme al fratello Radu, giurò di vendicare la morte del padre. Per raggiungere il suo scopo, chiese ed ottenne l’aiuto del Sultano, che lo lasciò fuggire affinché succedesse al padre sul trono della Valacchia nella speranza che il principato passasse così definitivamente sotto la sfera d'influenza ottomana. Il fratello, rimasto in Turchia per via dal suo legame “particolare”con il giovane Maometto II, costituiva per il sultanato una perfetta pedina di riserva da giocare qualora in Valacchia le cose non fossero andate come sperato. Era infatti abbastanza verosimile l’ipotesi che, nel clima di congiura creatosi attorno a quel trono, il giovane erede venisse eliminato da parte di un altro pretendente della sua stessa

famiglia dei Bessarabi o degli Hunyadi transilvani oppure comprato con promesse così allettanti da giustificarne un tradimento. Gli Hunyadi non erano infatti stati con le mani in mano ad aspettare il ritorno di Dracula in Valacchia come se niente fosse. Lo avevano preceduto, favorendo dalla vicina Transilvania l’insediamento sul trono valacco di un principe della famiglia Danesti, una delle tante in lotta per il trono. Quando arrivò, Dracula trovò così la reggia paterna di Tirgoviste occupata da Vladislao II, regnante sotto la protezione di Janos

Hunyadi al quale evidentemente non bastava avere già in mano come reggente il regno d'Ungheria per realizzare il suo ambizioso piano di egemonia personale. Dracula non

ne fu impressionato: attese che Vladislao partisse con Hunyadi per un ennesimo tentativo di crociata al di là del Danubio e, con un colpo di mano, verso la metà del 1448 si riprese la corona facendosi eleggere principe dai pochi nobili non impegnati in battaglia con Vladislao II. L'assenza del rivale fu però, per sua sfortuna, assai breve. Il 19 ottobre 1448 i turchi, forti di un esercito quattro volte superiore, sconfissero Hunyadi e Vladislao nel Kossovo costringendoli ad un precipitoso rientro nei loro territori. L'armata di cui disponevano, per quanto ridotta da una disfatta, era ancora temibile e Dracula, rendendosi conto di non potervi tenere testa, dovette fuggire. Regnò appena due mesi, senza infierire nei confronti di quanti si erano schierati contro di lui. Non si ha notizia, in quel breve periodo, di stragi o altre forme di rappresaglia verso le popolazioni che avevano in qualche modo accettato l'usurpatore. Il constare però che, nonostante la buona disposizione verso i propri feudatari, non ci fosse tra questi nessuno disposto ad aiutarlo (perché timorosi dello strapotere degli Hunyadi) lo convinse per il futuro dell’inutilità della clemenza. Solo e senza terra, Dracula doveva decidere dove rifugiarsi. Non potendo, per vergogna o paura di ritorsioni, tornare nel grembo della corte ottomana che lo aveva allevato con tante premure e gli aveva concesso fiducia

Vladislao II

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lasciandolo partire, decise di recarsi a nord e chiedere asilo in Moldavia, a Suceava, dove regnava suo zio Bogdan II. Accolto con ogni riguardo, fu nuovamente istruito alla religione cristiana assieme al coetaneo cugino Stefano, col quale strinse immediatamente una così fraterna amicizia da scambiarsi un giuramento di mutuo soccorso per tutta la vita. Entrambi ambivano a un trono e quello che vi fosse giunto per primo avrebbe aiutato l'altro ad ascendere al proprio, mantenendo sempre uniti i rispettivi territori con una stretta alleanza. Giuramento che rinnovarono tre anni dopo, nel 1451, quando dovettero forzatamente separarsi per fuggire dalla congiura di palazzo che spazzò via Bogdan II dal trono, uccidendolo. Si ripropose per Dracula lo stesso problema che lo aveva colto tre anni prima, ovvero dove rifugiarsi. Dovendo

scegliere tra una delle tre province rumene nelle quali si riconosceva per tradizione la famiglia bessarabica da cui discendeva, scelse quella che al momento gli sembrò più conveniente: la Transilvania. Accantonando i vecchi rancori per l’uccisione del padre, sfidò la sorte chiedendo asilo al potente Hunyadi che inaspettatamente decise di accoglierlo ed aiutarlo nonostante l’oltraggio ricevuto appena tre anni prima. L’opportunismo prevalse infatti sull’orgoglio di entrambi portandoli a valutare la situazione con una prospettiva molto più lungimirante. Il governatore transilvano vedeva in Dracula un "principe di riserva" da usare al momento opportuno, giacchè il suo protetto, Vladislav II si era mostrato nel momento del bisogno poco affidabile, non accorrendo in suo aiuto quando, durante la guerra, era caduto prigioniero dei Serbi. Dal canto suo, Dracula aveva invece percepito la predisposizione del “Cavaliere Bianco” (così amava essere chiamato il condottiero Hunyadi) a farsi tutore di ogni principe in difficoltà per potersene poi servire ai propri fini. L’assassino di suo padre e suo fratello, inoltre, dovrebbe aver verosimilmente estinto la sete di vendetta verso la sua famiglia mentre era prevedibile per il futuro un cambiamento di atteggiamento verso i Danesti. Difficilmente questi avrebbero potuto tenere il principato di Valacchia, il più esposto a meridione, senza giungere a compromessi con i Turchi, perché così era stato per suo padre e per suo nonno prima di lui. Ed in tal caso il reggente magiaro

si sarebbe mosso contro Vladislao II lasciandogli nuovamente il campo aperto per riconquistare il trono perduto. Fu così che Dracula entrò nelle grazie di Hunyadi, che decise di prenderlo sotto la sua protezione per farne un proprio allievo e trasformarlo in un perfetto guerriero cristiano. Iniziò così un tirocinio di guerra, che

si protrasse per cinque anni, partecipando a incursioni contro i Turchi, crociate nei Balcani e rappresaglie contro feudatari cristiani non allineati agli interessi della corona ungherese. Oltre che in battaglia, Hunyadi lo condusse con sé alla corte ungherese, nel castello di Buda, dove entrò in contatto con gli esponenti più in vista della società asburgica e strinse amicizia con Mattia Corvino, primogenito del suo nuovo maestro, destinato a diventare di lì a poco re d'Ungheria. Finchè un giorno Hunyadi, per ricompensarlo dell’impegno dimostrato in vari scontri decisivi per la

Bogdan II di Moldavia

ducati di Amlas e Fagaras

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cristianità, decise di restituirgli i feudi transilvani che erano stati di suo padre: i ducati di Amlas e Fagaras, sulle falde dei Carpazi meridionali, tra la nativa Sighisoara e l'importante centro commerciale di Brasov. Una specie di acconto sul principato di Valacchia, al cui trono Dracula sarebbe presto tornato. Molte cose erano cambiate in casa ottomana e nello scenario balcanici dal giorno in cui Dracula fuggì. Maometto Il, che tutti ormai chiamavano il Fatih (il conquistatore), il 29 maggio 1453 aveva definitivamente strappato ai cristiani la dorata città di Costantinopoli, storica capitale dell’Impero Romano d’Oriente e della cultura bizantina. La situazione si faceva sempre più minacciosa per l’Europa ed occorreva accelerare i tempi. Le tresche dei voivoda di confine con gli emissari del sultano non erano più tollerabili e così, nel 1456, Dracula ottenne finalmente il permesso di ritornare in Valacchia per riprendere definitivamente possesso delle sue terre e salire finalmente su quel trono che gli spettava di diritto. Presso la corona

ungherese il prestigio dei Danesti, diventati del tutto inaffidabili per la remissività, se non addirittura soggezione, dimostrata nei confronti dei Turchi, si era ormai

dissolto facendo perdere a Vladislao II la preziosa protezione di cui sino ad allora aveva goduto. Per rimettere ordine nella sua terra dopo averne ripreso possesso, Dracula non incontrò quindi grossi ostacoli e questa volta non fu clemente come otto anni prima. Non si limitò a uccidere l'usurpatore in fuga, dopo averlo raggiunto a Tirgsor (dove fece poi erigere un monastero), ma decise che era tempo di una rappresaglia esemplare che colpisse con memorabile crudeltà tutti coloro che si erano in qualche modo compromessi coi i Danesti. L’anno successivo, Dracula, nuovo principe di Valacchia, duca di Amlas e Fagaras e cavaliere del Sacro Ordine del Drago per eredità paterna, giurò fedeltà al nuovo re d’Ungheria e signore della Transilvania, Mattia Corvino, figlio primogenito del suo tutore e

maestro Hunyadi, asceso al trono dopo la morte del giovane re-fantasma Ladislao V Postumo (1445-57). Si narra che quella notte, il 22 agosto 1456, quando a soli 25 anni Dracula ritornò al potere, gli astronomi di tutto il mondo videro nel cielo una lunga scia luminosa (che solo secoli dopo si

scoprirà essere la cometa di Halley). Per molti fu un cattivo presagio (che infatti non tardò a concretizzarsi). Per lui, invece, fu segno di buon auspicio, essendo scampato per puro caso alla sorte che toccò al suo maestro, morto quello stesso anno contagiato dalla peste insieme a molti altri al seguito dopo la vittoria nella battaglia per la difesa di Belgrado, l’unica alla quale Dracula non abbia partecipato a fianco del Cavaliere Bianco sin da quando ne diventò fedele discepolo. Ripreso possesso del suo trono, per quanti conti avesse ancora da regolare in casa propria, una cosa volle fare prima di tutte le altre: mantenere fede al giuramento fatto otto anni prima al cugino Stefano. Il primo dei due che fosse asceso al trono avrebbe aiutato l'altro a salire sul proprio e così, noncurante del rischio che correva di perdere durante la sua assenza quanto appena faticosamente riconquistato,

Mattia Corvino re d’Ungheria

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Dracula armò un esercito e irruppe con il cugino in Moldavia uccidendo l'usurpatore Aron dopo averlo messo in fuga. Onorato il giuramento, Dracula se ne tornò in patria per iniziare quello che sarebbe stato un infernale regno di terrore. Sete di vendetta ma soprattutto spirito di sopravvivenza gli imposero di non dar pace alla stirpe dei Danesti, nemici storici della sua famiglia e pretendenti ad un trono che erano pronti a riprendersi alla prima occasione. Non avrebbe infatti potuto regnare sicuro fino a quando ne fosse rimasto uno in vita, così, con la stessa determinazione con cui si era precipitato in Moldavia per uccidere Aron, si mise in caccia dei discendenti dell’usurpatore Vladislao senza dare loro tregua, caccia che durò all’incirca tre anni, fino alla primavera del 1460 quando catturò ed uccise l'ultimo discendente, il giovanissimo Dan III. Come preludio della carneficina che caratterizzerà i successivi sei anni del suo governo, iniziò con lo sterminare sterminio la maggior parte dei nobili che avevano giurarono fedeltà a Vladislao II, impalati nel cortile del palazzo reale di Tirgoviste scelto con intenti celebrativi

proprio per dare inizio alla rappresaglia. Nell'ottica vendicatrice che si era prefissato, gli sembrò ovvio che fossero le caste privilegiate a pagare per prime il loro debito e così fece riunire per una gran festa nel suo palazzo tutti i notabili compromessi del principato con le rispettive famiglie, inclusi vescovi e prelati, che secondo lui non avevano contrastato abbastanza, con la predicazione, il potere dei Danesti. Il banchetto ebbe tutta la magnificenza che l’occasione richiedeva, trattandosi di un evento per festeggiare il ritorno del principe al suo trono e nulla lasciava presagire che poco dopo sarebbero stati trascinati in uno spiazzo oltre le mura dove era stata eretta una foresta di pali per giustiziarli. I carnefici li tennero in vita per ore, badando a non ledere organi vitali in modo che i loro corpi contorti nello spasimo del martirio restassero sui pali, fino a quando a straziarli definitivamente non ci avessero pensato le bestie selvatiche. Una macabra forma di

esecuzione capitale imparata dai turchi durante il suo giovanile soggiorno forzato, che verrà dal nuovo principe valacco sistematicamente utilizzata condannando all’impalamento tutti coloro che potevano essere considerati nemici. Vero registra dell'orrore, Dracula consegnava le sue vittime a squadre di specialisti della tortura. Predilige le esecuzioni di massa, perché gli consentono di disporre "artisticamente" i pali su vasti spazi, secondo un disegno che varia coi suoi umori, come fossero l'arredo di un fantastico giardino dove ama banchettare con ospiti che rischiano di finire a loro volta impalati se non gli vanno a genio. Vanitoso oltre che crudele, amava essere adulato ed incoraggiava chi ben sapeva simulare ammirazione o fiducia nei suoi confronti e spesso ciò si traduceva in inaspettata salvezza per il

condannato. Così come uccideva per un nonnulla, per un nonnulla faceva grazia della vita. Non aveva uno speciale riguardo neppure per gli ambasciatori, che colti spesso alla sprovvista dalle sue stranezze rischiavano di finire impalati per

macabro banchetto tra gli impalati

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mancanza di spirito. Capitò a un inviato del sultano che non seppe rispondere con sufficiente acume a certe domande, per il quale fece ironicamente issare un palo dipinto di vernice dorata per onorarne il rango. Al sultano, il terribile Maometto II suo amico di un tempo, mandò a dire di non permettersi più di mandargli un interlocutore così stupido. Non andò meglio ad un’altra delegazione di ambasciatori

turchi, che giunti davanti al Principe s’inchinarono, com'era loro consuetudine, senza togliersi il turbante. Dracula che ben conosceva le loro usanze avendo vissuto alla corte ottomana per tanti anni, finse di ignorarle chiedendo loro perché mai non si fossero scoperto il capo. Alla risposta "è la nostra tradizione, non ci scopriamo neanche di fronte al sultano", Dracula assentì con un cenno del capo dichiarando di aver grande rispetto per le tradizioni degli altri

popoli; fece quindi venire dei carpentieri provvisti di chiodi e martello perché fissassero i turbanti in testa agli ambasciatori in modo che “le loro tradizioni fossero più salde". E’ però alle donne che è riservata la casistica dei tormenti più feroci fatti infliggere da Dracula. Niente più di una donna infedele o bugiarda era capace di scatenare le sue sadiche perversioni. Molte testimonianze sottolineano la forte attrazione

che Dracula provava per le ragazze del popolo, lontane dal suo rango, cui dava spesso la caccia nelle sue passeggiate notturne (abitudine che verrà, con le opportune colorite varianti, importata fedelmente nella leggenda). Un giorno che il principe sembrava essere in preda ad una tristezza più profonda del solito, conoscendo il suo grande desiderio di avere dei figli, una di esse pensò di rincuorarlo inventandosi di portare in grembo un loro bambino. Per dimostrarle che stava mentendo, il sanguinario principe non trovò di meglio che squartarle il ventre rinfacciando poi alla povera agonizzante la verità così scoperta con un cinico "hai visto che non era vero? Se una donna del suo principato veniva riconosciuta colpevole di adulterio, Dracula ordinava che le venissero amputate le parti intime e che fosse scorticata viva, appendendo poi la pelle come monito nel luogo più frequentato del paese, che era in genere la piazza del mercato. Pene analoghe erano previste per le vedove che non si serbavano caste, e per le ragazze che non tenevano la propria verginità in gran conto. Come ogni despota visionano, anche Dracula coltivava impossibili utopie. Vi fu tra queste l’illusione di poter eliminare la povertà dal suo reame. Ci provò a suo modo, con i metodi che gli erano più congeniali, tentando di eliminare fisicamente tutti i poveri. Non dicono forse le Scritture che “l'uomo dovrebbe guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte?" Ebbene, secondo Dracula i mendicanti vivono del sudore degli altri e quindi sono inutili all’umanità, oltre che dannosi. E’ agendo quindi nell’interesse del suo popolo, liberandolo dal peso degli indigenti, che il principe tese la sua trappola ed annunciò una gran serata di beneficenza nel suo palazzo di Tirgoviste, nel corso della quale avrebbe distribuito vesti e cibo a tutti i mendicanti. Si precipitarono in

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massa dall’intera regione, quel giorno, accolti con tutti i riguardi e fatti accomodare in un enorme capannone di fronte a splendide tavole imbandite dove mangiarono cibi prelibati e bevvero vino di qualità fino ad ubriacarsi. Ebbero appena il tempo di accorgersi, alla fine della cena, che il padiglione nel quale erano riuniti era stato chiuso e stava andando a fuoco. Questi e molti altri episodi caratterizzati da un sinistro umorismo compaiono in numerose cronache rumene, russe e tedesche, ma non sempre si ha la sicurezza che possano essere considerate storicamente attendibili, essendosi nel frattempo la sua fama ormai mescolata sempre più alla fantasia popolare. Vi sono alcuni monasteri, come quello di San Gallo in Svizzera o Kirillo-Belozerski nel nord della Russia, che custodiscono gelosamente molti manoscritti del XV secolo in cui sono riportate queste storie raccapriccianti, ma la maggior parte di esse, soprattutto quelle in lingua tedesca, sono state scritte da individui appartenenti alle comunità sassoni di Transilvania, Valacchia e Moldavia, cioè quelle comunità verso le quali, come vedremo, si accanì maggiormente la

sanguinosa rappresaglia del principe che avevano buoni motivi per mettere in evidenza la criminale follia del tiranno arricchendo gli eventi con particolari non sempre verosimili al solo scopo di dar vita ad pubblicistica per lui denigratoria. In certi casi lo sterminio delle popolazioni sassoni veniva illustrato con dovizia di particolari sicuramente eccessivi ma efficaci. L'antropofagia è tra gli orrori più ricorrenti che gli vengono attribuiti, dipingendola come una sorta di demoniaca eucaristia che impone alle vittime legate da consanguineità, razza o amicizia di divorarsi tra loro. Come nella storia dove si racconta che Dracula fece arrostire alcuni bambini obbligando poi le madri a mangiarli oppure dove si parla di mariti costretti a cibarsi dei seni delle mogli prima di essere a loro volta impalati. O dove si narra di alcuni zingari supplicandolo di liberare un loro compagno furono costretti a mangiarne le carni. Più che un calendario di delitti, la cronaca delle imprese di Dracula viene dipinta come un incubo senza fine, ma non senza motivo.

Consolidato il proprio potere in Valacchia, le attenzioni si riversarono sulla confinante Transilvania. Per vendicarsi delle popolazioni che avevano dato asilo all'usurpatore in fuga, nel 1457 Dracula diede ordine di saccheggiare la regione di Sibiu, la città che Vladislao II si era scelto come rifugio ritenendola la sola città in grado di resistere ad un attacco) bruciando tutti i villaggi. Numerosi borghi, castelli e monasteri fortificati furono ridotti in cenere ed i loro abitanti sterminati tagliandoli a pezzi o impalandoli nei modi più svariati. Probabilmente Dracula era convinto che

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in uno di essi si trovasse anche il fratellastro Vlad il Monaco, escluso sino ad allora da ogni pretesa dinastica ma pur sempre scomodo parente da eliminare. Nato da una relazione del padre con un’amante, di lui si sa molto poco. Per anni visse con la madre nel convento dove lei si ritirò (non si sa quanto spontaneamente) dopo essere uscita dalla vita del Principe, riuscendo non si sa come a scampare alle ricerche del fratello che lo voleva morto e di cui riuscirà effettivamente a prendere il posto nel 1481, mantenendo poi il trono con alterne vicende sino al 1495. Fu però a partire dal 1459 che Dracula iniziò a compiere le azioni più feroci nella terra che gli diede i natali. A dispetto delle buone relazioni che sembravano intercorre, tra Vlad ed il nuovo monarca Mattia Corvino, si crearono divergenze molto profonde in merito ai ducati di Fagaras (nella zona di Brasov) ed Almas (nella zona di Sibiu), affidatigli anni addietro in feudo da Hunyadi ma pur sempre ancora soggetti alle disposizioni del governo della corona ungherese cui territorialmente

appartenevano. In queste terre oltre confine, abitate prevalentemente dai Sassoni che colonizzarono la regione nei due secoli precedenti, esisteva una evidente disparità di trattamento tra i mercanti valacchi e gli abitanti di lingua tedesca. Con l'intento di contenere l'arricchimento dei mercanti tedeschi e scoraggiarne le attività commerciali, nei suoi feudi Dracula aveva istituito delle "fiere di confine", specifici luoghi al di fuori delle città nelle quali era loro concesso esercitare i propri commerci. E’ presumibile che non sempre questa prescrizione venisse osservata e che i mercanti tentassero a volte di fare affari nelle zone loro interdette. Come ogni volta che si vedeva

contraddetto nelle leggi da lui emanate, la reazione di Dracula era violentissima e ciò provocò in più di un’occasione richiami all’ordine da parte della corona ungherese, preoccupata che in tal modo venisse intaccato un prezioso serbatoio di potenziali sostenitori da usare ai fini di una eventuale espansione ai danni di qualche altro territorio tedesco dell’Impero. Stanco di sopportare le pesanti punizioni del monarca ungherese, nell’aprile del 1459 Dracula invase la città transilvana di Brasov, alle porte del ducato di Fagaras, profanandone la chiesa e impalando gran parte dei cittadini e dei nobili sulle colline intorno alla città. Vennero trucidati migliaia di cittadini della comunità tedesca, colpevoli secondo lui di “essere mercanti che tendevano a soffocare l'economia valacca”. Alcune fonti parlano di ventimila uomini messi a morire sui pali, altre confermano attribuendo alla città il primato in questo genere di esecuzioni, ricordando anche il pasto offerto da Dracula ai suoi ospiti tra i suppliziati ancora vivi, un rito che del resto si ripeté altrove più volte con analoghi particolari. L’anno successivo fu la volta di Amlas, dove nella notte di San Bartolomeo (24 agosto), la stessa in cui in Francia venivano massacrati migliaia di Ugonotti, si ripetè esattamente quanto accaduto l’anno prima nell’altro feudo. E’ a questo periodo che risale la ricostruzione del castello di Arges, quello che diventerà il famoso "Castel Dracula" nel celebre romanzo di Stoker (dove però

costruzione fortezza di Poienari

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risulta ubicato più a nord, in Transilvania, nei pressi di Bistrita). Pare che, per non smentirsi in quanto a raffinatezza nelle torture e nelle punizioni, abbia fatto trasportare a mano tutte le pietre necessarie alla ricostruzione della fortezza dai suoi nemici ridotti in schiavitù. Situato sulla rocca di Poienari, in una posizione dominante nella vallata che separa le Valacchia dalla Transilvania, sarebbe dovuta diventare, secondo Dracula, una fortezza imprendibile ed un rifugio sicuro contro qualsiasi incursione nemica. Questo, e non quello di Bran come il turismo di massa vorrebbe far credere, deve essere considerato il vero castello di Dracula, oggi ridotto ad un ammasso di rovine ma da lontano ancora molto suggestivo, seppur molto diverso da quello che potrebbe essere l’immaginario collettivo per la vampiresca residenza.

Fortezza di Poienari oggi

Restava a quel punto un ultimo grande problema da risolvere: fronteggiare i Turchi del suo ex amico di gioventù Maometto II, che certo non aveva preso troppo bene il suo repentino voltafaccia in difesa della cristianità per conquistare il potere. Dracula sapeva bene che le prime terre a essere occupate dall’orda islamica sarebbero state la Valacchia e la Transilvania, indispensabili al sultano per poter condurre l'attacco oltre i Carpazi. Migliaia di profughi in fuga dai territori che erano stati di Bisanzio fornivano a terrificanti resoconti sull’irresistibile avanzata turca e presto sarebbe la stessa sorte sarebbe toccata anche alle sue terre. Aveva perciò rafforzato gli avamposti sul Danubio e si era trincerato nella città di Sibiu, giudicata per il momento, grazie alle sue fortificazioni, quella più sicura. Ma quale città poteva ancora considerarsi inviolabile dopo la presa di Costantinopoli? Maometto II aveva dimostrato di poter muovere un’armata di centoventimila uomini appoggiata dal fuoco di decine di grandi bombarde in grado di rovesciare sulle fortificazioni nemiche tonnellate di ferro incandescente. L'unica speranza di potergli resistere, per Dracula, era quella di una crociata indetta dal Papa e dagli altri sovrani occidentali nei Balcani. Aderì quindi per primo all’appello lanciato da papa Pio II per una nuova campagna contro l’Impero Ottomano e nell’inverno del 1461 dichiarò guerra alla Turchia. Per resistere Dracula necessitava aiuto, ma nessun altro Principe occidentale raccolse l'appello pontificio e così si trovò a dover sfidare i Turchi da solo, con un Papa che non trovò altro di meglio da fare che aggrapparsi alla delirante speranza di convertire Maometto alla fede cattolica. Mentre il pontefice inseguiva questo suo folle miraggio nell'indifferenza dei re cristiani d'Europa, Maometto II metteva a segno il suo progetto convergendo sulla Valacchia con due eserciti. Invano Dracula chiese aiuto ai voivoda dei territori circostanti, ma questa volta né il Re ungherese, cui ancora bruciavano le ferite per le recenti invasioni in Transilvania, né il cugino moldavo, che invece di contraccambiare il favore ricevuto qualche anno prima passò addirittura dalla parte del nemico, gli

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fornirono appoggio. Così alla fine si preparò a ricevere l’armata ottomana sul proprio territorio con le sue sole forze, addestrando un esercito di popolo alla guerriglia. Nonostante la disparità di forze, Dracula tenne testa all'esercito turco, che nell’estate 1462 aveva ormai varcato il Danubio, evitando di affrontarlo in campo aperto ma sottoponendolo ad un succedersi continuo di agguati e colpi di

mano. I primi successi li ottenne sorprendendo a più riprese il nemico nelle paludi danubiane, ma per continuare a resistere occorreva attrarre l’armata ottomana verso l'interno, costringendola a inseguirlo nelle foreste e sui monti dove ad attenderla ci sarebbe stato un avversario ancor più temibile: una mistica fede contadina nella forza della madre terra alleata del popolo contro chiunque avesse osato

invaderla. Ritiratosi oltre Tirgoviste, sui Carpazi, i contadini si strinsero infatti in massa intorno alle sue insegne dando vita ad una vera e propria armata di servi e gente comune ben più affidabile delle tradizionali milizie feudali di cui non ci si poteva fidare perché vincolate agli umori dei rispettivi signori da cui dipendevano. Come base per le

sue azioni di guerriglia Dracula scelse il suo castello sul fiume Arges, recentemente ricostruito, dal quale si spostava nei luoghi di volta in volta prescelti per cogliere di sorpresa il nemico. Tutti gli altri castelli di cui si servì, come Bran in Transilvania e Chilia al confine della Moldavia, servirono probabilmente solo per riprendere fiato all’esterno di quello che era il teatro principale delle operazioni. Al di là delle azioni improvvise, che procurarono gravi perdite ai Turchi, l'elemento che li mise in seria difficoltà fu la desolazione della terra bruciata che Dracula si lasciava alle spalle. Man mano che si ritirava nel cuore delle sue montagne, distruggeva infatti ogni villaggio, ardeva il grano e le altre riserve alimentari, uccideva gli animali e ne gettava le carogne nei pozzi e nei corsi d’acqua, avvelenandoli. La stessa Tirgoviste venne incendiata, e quando Maometto II vi giunse non trovò di che rifornirsi. Tale città era per il sultano la meta più importante di quella campagna, punto di partenza per le operazioni verso l'Ungheria. Ridotta però a un mucchio di cenere, senza uomini né animali né acqua da bere, non era di alcuna utilità. Per contro, la strategia di Dracula di fare terra bruciata dietro di sé iniziò a dare i suoi frutti. Il caldo dell’estate unito alla mancanza di acqua e cibo fresco mise a dura prova la resistenza dei Turchi che iniziarono ad essere colpiti dalla peste, nuova ed inaspettata alleata del principe valacco. Alla demoralizzazione delle armate ottomane contribuì notevolmente anche l’audacia mostrata da Dracula, che con un manipolo di cavalleria assaliva in piena notte gli accampamenti nemici mietendo vittime senza subire perdite. Più di tutte si dimostrò sconcertante l’azione temeraria

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tentata una notte direttamente nell’accampamento del sultano con l’intenzione di ucciderlo nella tenda in cui riposava. Riconosciuta la tenda dalle insegne e dai colori sgargianti della tela, i cavalieri valacchi erano piombati al galoppo tra i fuochi delle sentinelle travolgendo tutto ciò che li separava dal padiglione reale facendo strage di soldati, per buona parte disarmati ed ancora storditi dal sonno. Solo la

strenua difesa delle picche dei giernizzeri a guardia della tenda, subito trasformatasi in un muro invalicabile di armati, indussero gli audaci valacchi a ritirarsi scomparendo nella notte con il contingente quasi del tutto intatto. L'eco di queste conferì a Dracula la fama di temerario difensore della cristianità contro il Turco destando la stessa ammirazione del pontefice. Si trattava in fondo di un sovrano di

un piccolo Stato di confine che da solo, nella completa indifferenza dei grandi regni d'Europa, si batteva contro l’invincibile macchina bellica dell’Impero Ottomano. Tanta gloria non valse però ad arginare l’avanzata ottomana, di fronte alla quale i voivoda di Valacchia non esitarono a tradire vergognosamente il loro signore schierandosi

in appoggio del suo fratello Radu il Bello, che il sultano aveva portato con sé contando di metterlo sul trono di Valacchia al posto di Dracula. C'era troppa disparità di forze in campo perché i nobili potessero preferire la via dell’onore a quella della convenienza, così scelsero di allinearsi dalla parte del più forte formando una forte compagine partigiana in favore di Radu. La guerra di difesa si trasformò in guerra civile, il che valse a moltiplicare gli orrori già praticati da entrambe le parti. All’incendio dei villaggi e delle città si aggiunse lo sterminio delle popolazioni, di volta in volta sospettate di aver dato appoggio all’una o all’altra fazione. Come una terrificante macchia nera, l’orda turca dilagò lungo le sponde dell'Arges invadendo le alture antistanti la rocca dove Dracula si era trincerato. Si racconta che Maometto II fu quasi colto da malore alla vista di un valico interamente ostruito da una fittissima selva di cadaveri impalati, proprio lui che di sicuro non si può dire che fosse nuovo a certi spettacoli. Non c’era nessuna possibilità per Dracula di respingere con i pochi fedeli rimastagli l’armata di Maometto II, a cui si erano uniti i partigiani valacchi di Radu. A suo favore giocava solo la possibilità di poter contare su una fitta rete di spie che lo avrebbe informato in anticipo del giorno dell'assalto. Ma anche questo vantaggio si mutò per lui in tragedia, poiché si racconta che il messaggio dell’informatore fu letto dalla moglie che temendo di finire viva in mano ai Turchi si suicidò gettandosi nel fiume dagli spalti della fortezza. Non si sa realmente chi fosse tale donna né se fosse veramente esistita, ma quella parte del fiume Arges a ridosso della fortezza di Poienari da quel giorno è entrato nella tradizione popolare come “Riul Doamnei” ovvero fiume della Principessa. Mentre il Radu il Bello si impossessava del trono della Valacchia, sino all’ultimo Dracula si illuse di poter ricevere aiuto dal cugino Stefano di Moldavia, cui è legato dall'antico patto di reciproco soccorso. Si

aspettava che onorasse il giuramento allo stesso modo in cui, cinque anni prima, l’aveva onorato lui rischiando il proprio stesso trono per scacciare dalla Moldavia l’usurpatore Aron. Sarebbe stato un aiuto prezioso, visto che nel frattempo il cugino

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era diventato un principe potente e di grande prestigio, stimato in tutta Europa per la fermezza con cui si era battuto in più circostanze contro i Turchi infliggendogli sanguinose umiliazioni, tanto da essere chiamato Stefano il Grande. Ma anziché accorrere in suo aiuto, il cugino tentò invece di approfittare dell’occasione per allargare il proprio territorio a spese dell’ormai vacillante principato di Valacchia cercando di conquistare, con l’aiuto dei turchi, il castello di Chilia, al confine tra i due Stati. Anche Mattia Corvino avrebbe potuto accorrere in aiuto di Dracula, ma non lo fece. Con il suo esercito si era infatti accampato alle pendici dei Carpazi, presso Brasov, senza intervenire. Anche se l’obiettivo principale era quello di sbarrare il passo all'armata ottomana qualora si fosse spinta su per la Transilvania verso l'Ungheria, da lì avrebbe potuto contrattaccare irrompendo nei territori occupati dai Turchi per riprenderli e restituirli a Dacula, cosa che non fece. Volendo, con il suo contingente numeroso e agguerrito ma soprattutto

fresco, rispetto all'esercito di Maometto II ormai stremato da una campagna rivelatasi estenuante, avrebbe potuto respingere i Turchi oltre il Danubio. L’improvviso voltafaccia del re d’Ungheria andò però addirittura al di là del semplice immobilismo. Attese Dracula, che scappato dal suo castello e braccato sui monti, con un pugno di superstiti tentava, come ultima speranza, di raggiungerlo a Brasov, e, senza una ragione apparente, lo fece arrestare. Incatenato, fu condotto a Buda e rinchiuso in una fortezza senza sapere esattamente di cosa fosse accusato. Intanto, poco prima del Natale 1462, il Re ungherese Mattia riconosceva intanto suo fratello Radu II come principe di Valacchia, stringendo con i Turchi un patto segreto

di non aggressione. I re cristiani e lo stesso Papa accolsero con grande sgomento la notizia. Come aveva potuto Corvino privare il campo cristiano di uno dei suoi più validi cavalieri, tra i pochi che si era dimostrato davvero in grado di seminare il terrore nelle fila ottomane? Ancora vivo era il ricordo delle battaglie combattute dal giovane Vlad sotto le insegne di Janos Hunyadi, padre di Mattia, che avevano portato quest'ultimo a sedere sul trono di Ungheria. Come dimenticare poi con quale slancio Dracula avesse risposto, per primo e da solo, all’appello di Roma per una nuova guerra santa, lanciandosi contro l’armata del sultano riuscendo con pochi uomini al seguito ad inchiodarla prima nelle paludi danubiane e poi nelle foreste e nelle gole dei Carpazi. Non parvero dunque convincenti le prove addotte con qualche titubanza da Corvino a sostegno di un’accusa di tradimento, secondo la quale

Dracula avrebbe concordato con il sultano un piano per invadere il regno d’Ungheria e altri territori cristiani. Si trattava infatti di prove del tutto fasulle, ottenuto creando appositamente alcune lettere compromettenti indirizzate al Sultano, con le quali Vlad si vendeva offrendo al vecchio amico di gioventù i suoi servizi per condurre le armate turche attraverso la Transilvania fino a Buda con l’intento di detronizzare Mattia. Ma a parte la scarsa aderenza del loro linguaggio adulatorio alla personalità del principe, le lettere non erano autografe ma ricopiate e chiunque avrebbe potuto scriverle. Tanto più che a contraddirle era l’evidenza stessa dei fatti: com’era possibile che si fosse sino allora battuto così strenuamente per tenere fuori dal suo regno proprio coloro con cui si proponeva di attaccare la

Stefano di Moldavia

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Transilvania e l’Ungheria? Se ne dovette convincere lo stesso Corvino, che lasciò cadere quelle accuse così azzardate (che se provate avrebbero comportato per Dracula una condanna capitale) continuando però a fare tutto il possibile per scalfirne la fama ed il prestigio in modo da neutralizzarlo in ogni caso. Bastava alimentare a dovere tutte quelle voci e dicerie che già circolavano su di lui per renderlo in poco tempo sempre meno popolare tra i suoi sostenitori. La stessa malvagità suscitava infatti reazioni opposte a seconda che venisse sfogata al di qua o al di là dal Danubio. Nella logica della crociata, nessuno, neppure il Papa, trovava da eccepire se la ferocia di Dracula era diretta contro gli infedeli. Anzi, in questo caso il responsabile poteva addirittura menarne vanto, documentando con zelo contabile i massacri ed inviando in omaggio al re Corvino sacchi pieni di teste mozzate, mani, nasi o altri parti corporee a dimostrazione delle sue imprese. Se a farne le spese erano invece dei cristiani del posto, tale ferocia sollevava pietà e indignazione ed è su questa che Mattia Corvino fece appello, incontrando la

solidarietà di molte teste coronate sconvolte e scandalizzate per ciò che si raccontava circa la persecuzione delle comunità sassoni in Valacchia e Transilvania. Queste avevano da tempo stilato un autentico dossier di accuse circostanziate, con ampia documentazione, sui luoghi, le cifre e le modalità dei massacri compiuti da Dracula nei loro confronti e premevano da tempo per ottenere giustizia, proponendo come contropartita l’appoggio soprattutto finanziario ai sovrani cui di volta in volta si rivolgevano. Non dovrebbe quindi stupire se Mattia Corvino, per soddisfare le sue ambizioni di espansione territoriale, avesse ad un certo punto deciso di assecondarle aderendo alle richieste dei mercanti tedeschi di eliminare Dracula o quanto meno neutralizzarlo. In questo modo si sarebbe guadagnato l’appoggio dei Sassoni contro l’’imperatore Federico III, alla cui influenza cercava di sottrarre la Boemia, l’Austria, la Slesia e molti altri territori potenziando notevolmente il proprio regno sempre più stretto tra due imperi determinati entrambi a stritolarlo. Sacrificato sull’altare di una machiavellica convenienza politica, solo per puro caso Dracula riuscì a scampare al proprio destino (come quand’era ostaggio dei Turchi che gli risparmiarono la vita nonostante l’evidente tradimento del padre), salvato dalla convinzione che tutto sommato sarebbe bastato lasciarlo ai margini della vita politica in preda alle dilaganti diffamazioni per renderlo inoffensivo. Trasferito nella vicina residenza reale di Visegrad sul Danubio, trascorse quindi i successivi dodici anni (dal 1462 al 1474) in una specie di soggiorno forzato che tutto sommato non si rivelarono poi molto spiacevoli. La prigionia presto si trasformò in un blando esilio presso la corte ungherese, creando una situazione molto simile a quella già vissuta in passato ai tempi del padre di Mattia. Giocando abilmente le sue carte, in breve tempo si riconquistò la fiducia del Re, tornato a essergli amico, risalendo poi velocemente la china sino a riuscire ad imparentarsi nientemeno che con la famiglia reale. Dietro la promessa di convertirsi dall’originaria fede ortodossa a quella cattolica dei re d'Ungheria, Dracula riuscì ad ottenere il consenso a sposarsi con Ilona Szilagy, cugina di Mattia e figlia del barone magiaro Mihail, legato a Vlad da una vecchia amicizia per avere combattuto insieme contro i Turchi. Il matrimonio segnò di fatto la fine della prigionia vera e propria di Dracula, che ebbe in dono dal re una villa nell’abitato di Pest, sull'altra riva del Danubio, antistante la fortezza di Buda dove all’inizio era stato rinchiuso. Vi andò a vivere una vita pressoché normale con la moglie, dalla quale ebbe due figli, finché, anche per lui, non tornò l’ora della riscossa.

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Questa arrivò quando si presentò la necessità, caldeggiata dal nuovo papa Sisto IV e dal re d’Ungheria, di indire una nuova Crociata contro l’Impero ottomano. Servivano capitani spregiudicati e forti che avessero già dato prova delle loro capacità e, soprattutto, dell'assenza di pietà. Per comandare il contingente ungherese la scelta cadde quasi inevitabilmente su Dracula, che, finalmente libero, solo aspettava l’occasione buona per riconquistare il trono perduto. Stefano il

Grande di Moldavia, venuto a conoscenza dell’intenzione di Mattia Corvino di condurre una nuova crociata e della nomina di Dracula a comandante delle truppe ungheresi, si rese immediatamente conto che era giunto il momento di riconquistare la fiducia del cugino, minata dal tradimento di Chilia, quando anziché aiutarlo contro i Turchi, si era unito loro per dargli il colpo di

grazia. Nella primavera del 1473 decise così di scendere in campo e di attaccare Radu il Bello per scacciarlo dal trono di Valacchia e sostituirlo con un principe meno compromesso con i turchi che garantisse un appoggio strategico nell’impresa. In attesa del ritorno al trono del suo originario detentore, al suo posto fu collocato provvisoriamente Basarab III, un principe

fantoccio della famiglia dei Bessarabi, con il quale strinse immediatamente un patto di alleanza, di cui si fece garante il re d'Ungheria, per impegnarlo al reciproco sostegno in caso di guerra contro i Turchi,

appena scacciati dal suolo valacco. La crociata, nonostante le stragi perpetuate da entrambe le

parti, ebbe un esito deludente ma ciò non impedì comunque a Dracula di acquisire quei meriti che lo rendevano degno di tornare a regnare in Valacchia. Nel momento in cui Dracula fu ufficialmente riconosciuto come legittimo pretendente al trono valacco, Basarab III, per non essere spodestato, decise di passare dalla parte nemica scatenando una vera e propria guerra per la riconquista del trono. Nel giro di pochi mesi fu per l’occasione mobilitata e messa a disposizione di Dracula un’intera armata magiara, di cui facevano parte contingenti transilvani, moldavi e valacchi, con cui marciare contro l'esercito di Basarab, composto di truppe prevalentemente turche. Con essa Dracula riuscì velocemente a conquistare la capitale Tirgoviste ed entrare in Bucarest, dove fu ufficialmente nominato principe di Valacchia dal Consiglio dei Boiari. Con la ratifica di Mattia Corvino e della Chiesa ungherese, ebbe così inizio, nel gennaio 1476, il suo terzo regno, destinato però a durare pochissimo. Dracula era dunque riuscito a riprendersi il trono, ma non a consolidare come avrebbe dovuto il suo potere. Per troppo tempo era rimasto lontano, e una lenta epurazione aveva portato alla scomparsa delle poche famiglie a lui fedeli. Erano in troppi a odiarlo, per questo non volle portare con sé la moglie Ilona e i figli, lasciandoli sotto l'ala sicura di Re Corvino nella casa di Pest, il solo luogo nel quale lui stesso fosse vissuto fuori dei pericoli. La partenza delle truppe di Bàthory, richiamate in Ungheria, lo rese ancor più vulnerabile e non appena i Turchi di Basarab tornarono all'attacco, lo scontro gli si rivelò fatale. Morirà infatti nell’estate del 1476 nel corso di una battaglia presso Bucarest. Vinta la battaglia, Basarab III inviò la testa di Dracula al sultano turco presso la corte di

Basarab III

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Costantinopoli come prova della sua morte, dove pare che Maometto II la tenne lungamente esposta su un palo affinché tutti potessero vederla. Come siano andate effettivamente le cose e per opera di quale mano Dracula sia caduto non si sa né probabilmente si saprà mai. Come rimane un mistero la fine che abbia fatto il suo corpo, che la tradizione leggendaria vuole fu sepolto nel piccolo monastero di Snagov, a una cinquantina di chilometri a nord di Bucarest, da cui misteriosamente scomparirà. Una versione che sembra essere storicamente plausibile se si considerano le attenzioni solitamente riservate ai voivoda dopo il trapasso, che potevano consistere in solennità da tributare ufficialmente con riti ed onoranze funebri consone al rango del defunto oppure in segreto, qualora l'avvento di un despota ostile ne avesse sconsigliato la celebrazione. Sussistono quindi buoni motivi per pensare che il corpo di Dracula sia stato effettivamente affidato alla pietà dei monaci di Snagov, un piccolo monastero fortificato legato alla storia di famiglia perché fondato nel 1408 da suo nonno Mircea il Vecchio. I suoi resti non sono però

mai stati trovati, o per lo meno mai ufficialmente riconosciuti. In prossimità dell’altare fu scoperta negli anni trenta una buca senza bara né alcun segno di resti umani ma contenente ossa di animali, che, al di là delle fantasticherie che si ricamarono sul caso, si appurò essere in prevalenza di bovini macellati per la mensa dei monaci o di altri ospiti dell’isola. In una seconda tomba, posta nelle vicinanze dell'ingresso principale, fu invece rinvenuto lo scheletro d'uomo avvolto in brandelli di panno rossastro. Si riconobbe, dal colore originario del tessuto e dai bottoni d'argento, che poteva trattarsi di un abito molto simile a quello indossato da Dracula nel famoso ritratto custodito nel castello di Ambras in Austria. Gli emblemi di nobiltà rinvenuti accanto ai resti, una specie di corona e un anello con un turchese incastonato, sembravano confermare tale ipotesi: chi vide l’anello assicurò che sul turchese fosse scolpita una sorta di misteriosa bestia, che potrebbe essere lo stemma dell'Ordine del Drago cui la sua famiglia apparteneva. Tali reperti scomparvero però dal museo storico di Bucarest, dov'erano stati portati, prima che fosse possibile studiarne i dettagli. Il fatto poi che la tomba si trovi in prossimità dell'uscita anziché dell'altare risponde anche ad un’latra consuetudine del tempo: così si conveniva infatti a un estinto che non lasciava dietro di sé una buona fama. Nella memoria popolare rumena, prevalse sull'orrore per le atrocità commesse l'ammirazione per virtù guerriere, per lo spirito di libertà e per le coraggiose gesta compiute in difesa della sua terra contro i Turchi. Si addussero ad attenuante delle crudeltà di cui si era macchiato motivazioni fatalistiche: il nemico faceva altrettanto, non esistevano altri modi per fronteggiare il terrore ottomano. Si racconta che fu un sovrano terribilmente severo, che indirizzava la sua ira però solo contro coloro che osavano commettere ingiustizie: “quando qualcuno rubava, mentiva o si macchiava di qualsiasi ingiustizia nelle sue terre – si legge nell’antico manoscritto custodito a San Gallo - non aveva nessuna possibilità di salvarsi, sia che fosse un nobile, un prete o un cittadino qualunque”. Un principe esemplare, dunque, in grado di salvaguardare non solo l’indipendenza del regno ma anche di assicurare all’interno l'ordine, la legalità e la stessa laboriosità degli abitanti. Una specie di eroe

la tomba vuota di Dracula

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nazionale di cui seppe sfruttarne appieno la popolarità il dittatore Ceausescu, che non mancò mai di ostentare la sua ammirazione per tutto ciò che la figura di Dracula rappresentava, giungendo addirittura a scegliere il lago di Snagov per propria residenza estiva. A confondere la storia con il mito vampiresco non ci è voluto molto tempo. Già nel 1463, probabilmente come forma di vendetta, fu pubblicato un libro che raccontava i suoi atti di crudeltà, il suo piacere nell’uccidere ed il suo modo originale di farlo impalando la gente. Uscito col titolo "La Storia di Voivode Dracula", si diffuse in Europa soprattutto nella comunità tedesca delle terre dell’Impero, ma a partire dal 1468 una nuova versione del manoscritto iniziò a circolare anche fra la borghesia russa. Da lì la storia passò ai contadini imperniandosi, com’era prevedibile, di un colorito folclore prima di giungere e diffondersi, attraverso la tradizione orale, in tutto il sud-est europeo. Finchè nel 1897 Bram Stoker, pubblicando il suo libro, non portò la popolarità di questo soggetto al di fori dei suo confini facendo di quel personaggio un fenomeno

letterario ed un mito del macabro che perdura tuttora.

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IL ROMANZO

Scritto in forma di stralci di diari e di lettere, Dracula è uno degli ultimi, se non l'ultimo, tra i grandi romanzi gotici. Riprendendo il mito del vampiro, lanciato nella letteratura da John William Polidori (1795-1821), Stoker realizza un romanzo dalle atmosfere cupe e oscure, in cui l'orrore e la minaccia, sempre ben presenti, assillano i protagonisti in un crescendo di emozioni che conduce alla scoperta della macabra verità rappresentata dal tetro vampiro. La vicenda inizia il 5 maggio 1890, con il giovane avvocato Jonathan Harker che viene inviato in Transilvania dal suo capo, Peter Hawkins, per curare l'acquisto di un'abitazione a Londra fatto da un nobile locale: il Conte Dracula. Il viaggio del giovane avviene all’insegna del contatto con il mondo superstizioso e pauroso della gente locale, che cerca in ogni modo di scoraggiarlo dall'andare dal Conte, senza però riuscirci. Nessuno riesce ad impedire che Harker incontri il signorotto locale, che di primo acchito si rivela essere un affabile anziano che ha deciso di trasferirsi in Inghilterra. Col passare dei giorni alcuni particolari diventano però sempre più terrificanti, fino alla scoperta del terribile segreto del Conte: egli è in realtà un terribile mostro che si nutre del sangue dei viventi, un vampiro che si accinge ad azzannare la vecchia Inghilterra per prolungare ancora la sua insana esistenza. A quel punto, quando ormai sembra giunta l'ultima ora per Harker, l'azione si sposta in Inghilterra, dove da uno scambio di lettere tra Mina e Lucy man mano compaiono gli altri protagonisti: John Seward, direttore di un manicomio, Mina Murray, fidanzata di Jonathan e la sua amica Lucy Westerna, corteggiata dal dott. Seward, da Quincey P. Morris (texano avventuriero) e da Lord Arthur Holmwood col quale si fidanzerà. In attesa del ritorno di Jonathan, Mina va a soggiornare a Whitby con Lucy e la sua famiglia, dove inizieranno una serie di fatti strani. Sul diario di Mina vengono infatti registrati, oltre ad una serie di comportamenti anomali da parte dell’amica, anche il

rocambolesco arrivo in città, in un giorno di tempesta, di una nave il cui capitano è stato ritrovato morto e legato al timone. Al diario, per meglio descrivere l’accaduto, è allegato il servizio di un anonimo giornalista, che descrive l’arrivo nel porto della nave fantasma da cui esce un cane impaurito e inferocito, ed un estratto dal diario di bordo in cui si narra di un terribile demone che infesta la nave naufragata. Da quel giorno Renfield, un paziente del dott. Seward, inizia a peggiorare, delirando su un fantomatico Signore e Lucy, evidentemente vittima di un mortale vampiro, inizia a portare evidenti segni sul collo. Sono gli indizi dell’arrivo del Conte Dracula in Inghilterra. Inaspettatamente Mina viene a sapere che Jonathan, riuscito a

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fuggire dal castello di Dracula, si trova ricoverato a Budapest e lo raggiunge per poi tornare in Inghilterra e sposarlo. Intanto la salute di Lucy, che iniziava a peggiorare, subisce un tracollo. Il dott. Seward, allora, non vede altra soluzione che mandare a chiamare, da Amsterdam, il suo insegnante, l’esimio prof. Abraham Van Helsing. All'inizio provano a fermare il deperimento con una serie di trasfusioni di sangue, ma l’attacco finale di Dracula porta alla morte della ragazza e della madre, che quella notte si trovava nella stanza della figlia ed era già gravemente malata. La minaccia, però, è solo all'inizio: come Van Helsing sa, Lucy è ormai diventata un vampiro a sua volta ed infatti inizia subito a mettersi all’opera nei dintorni del cimitero dove il suo corpo è stato sepolto. La cosa sarebbe passata del tutto inosservata se a far notizia non fosse stato il fatto che le vittime erano bambini. Le poche informazioni che giungono dalla stampa colpiscono immediatamente l’attenzione dei due studiosi che esaminando le ferite dell'ultimo bambino ucciso si convincono che è ora di agire. Convinti gli amici di Lucy dell’esistenza di un simile

orrore e della necessità di profanare la sua tomba, non restava altra cosa da fare che distruggere definitivamente la vampira. Leggendo la corrispondenza di Lucy, Van Helsing entra in contatto con Mina e ha la possibilità di leggere il diario del marito sul suo soggiorno in Transilvania. L'incontro con Mina si rivelerà fondamentale non solo per capire finalmente chi è l’avversario che si deve affrontare, ma anche per l'aiuto che lei e il marito daranno all'impresa. Grazie alla coraggiosa giovane, infatti, si inizieranno a mettere insieme tutti i piccoli indizi che Stoker ha disseminato qua e là nel libro, primo fra tutti l'anomalo comportamento di Renfield, che in un ultimo momento di lucidità cercherà di avvisare i nostri eroi del pericolo imminente. I protagonisti penetrano della proprietà di Dracula a Carfax e benedicono le casse di terra che il vampiro aveva portato dalla Transilvania per riposarvi. Ma quella stessa notte il Conte penetra nel manicomio, uccide Renfield e contagia Mina con la sua terribile influenza per farne la sua sposa per l’eternità. Così Van Helsing, Harker, Seward, Lord Arthur e Morris stringono i tempi. Utilizzando delle ostie consacrate, sterilizzano tutti gli altri nascondigli londinesi del Conte che si vede così costretto a fuggire con l'unica cassa di terra che aveva tenuto nascosta per sé. Il gruppo decide di mettersi all'inseguimento del Conte, per distruggerlo definitivamente e salvare l'anima di Mina e si recano a Varna, sul mar Nero, in attesa della nave su cui viaggia la cassa. Dracula riesce però ad evitarli e raggiungere il suo castello risalendo il fiume. Per prenderlo in trappola, i cacciatori si dividono in tre gruppi: Jonathan e Lord Godalming, il dr. Seward e Quincey Morris, il dr. Van Helsing e Mina. La sfida finale si svolge sulle montagne ove sorge il Castello, il 6 novembre 1890, ed è narrata dal diario di Mina Harker. Dopo aver ucciso le spose di Dracula, il professore e Mina si ritrovano con il resto della compagnia ad assediare il gruppo di zingari che scorta la cassa del vampiro. Alla fine, dopo una strenua lotta, poco prima del tramonto, Jonathan e un Quincey morente sferrano i colpi letali al non-morto, che diventa polvere. La chiusura è lasciata ad un messaggio di Jonathan, che circa sette anni dopo (ovvero nel 1897, data nella quale presumibilmente fu pubblicato il romanzo) esprime la sua gioia per la felice conclusione della vicenda. Sia Arthur Holmwood che John Seward sono felicemente sposati. Jonathan e Mina sono stati allietati dalla nascita di un figlio che porta tutti i nomi di coloro che parteciparono alla distruzione di Dracula, ma viene chiamato dai genitori Quincey, poiché è nato proprio il 6 novembre, nell'anniversario della morte di Quincey Morris.

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La Transilvania, come molte altre parti dell'est europeo, conservava sino a poco tempo fa quella peculiarità di terre selvagge e incontaminate che da sempre caratterizza i paesaggi composti da una natura particolarmente rigogliosa. Non stupisce quindi che abbia costituito lo scenario ideale per ambientare la leggenda del vampiro più famoso del mondo. Tuttavia da qualche tempo a questa parte sembra proprio che Dracula non abiti più lì. La liberalizzazione dei mercati e l’apertura del paese ad ogni tipo di speculazione ne hanno ormai alterato irrimediabilmente la geografia rendendola quasi irriconoscibile. Dove prima c’erano boschi e strette strade di montagna, magari non asfaltate, oggi ci sono immensi cantieri edili e superstrade in costruzione. Dove prima c’erano piccoli villaggi sperduti nella foresta, oggi ci sono residence e alberghi. Dove c’erano gole profonde e anguste passerelle per attraversarle, oggi ci sono enormi viadotti di cemento che ucciderebbero qualsiasi ispirazione. Di fronte al progresso, Dracula se n’è andato per sempre, ma nonostante ciò continua a richiamare ogni anno milioni di turisti, che finiscono però col concentrasi più nei luoghi fasulli, appositamente congegnati per l’occasione, che nei veri punti in cui si è storicamente sviluppata la vicenda che ha dato origine alla leggenda. Pur sapendo di essere ormai in ritardo per trovare uno scenario all’altezza delle aspettative, rimane forte la curiosità di scoprire e visitare le terre del vampiro almeno una volta nella vita. I rumeni lo hanno capito da tempo e si sono attrezzati, predisponendo con le agenzie di viaggio dei veri e propri pacchetti a tema che pare, vista l’affluenza, continuino ad avere un discreto successo.

Mischiando storia e leggenda, sono tanti i posti che andrebbero visitati per percorrere interamente le orme di Dracula. Procedendo con ordine e cominciando dalla storia, il primo posto da vedere non può che essere la città natale di Vlad Tapes III Dracula: Sighisoara. La città, almeno nel suo centro storico, non è cambiata molto nel suo originario aspetto medievale e visitandola si ha l'impressione di immergersi nel passato. Rende omaggio al suo illustre e sinistro concittadino in modo piuttosto discreto, con una statua nella cittadella, una piccola area a lui dedicata nel museo delle armature e valorizzando quella che si dice essere stata la sua casa natale, dove trascorse i primi anni della sua infanzia. Identificabile da una targa posta sulla facciata principale dell’edificio, è stata

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trasformata in un eccellente ristorante dove, con prezzi ragionevoli, si possono gustare tutte le specialità locali. Situata nel cuore della Romania, al centro di tutte le principali direttrici di traffico, Sighisoara è facile da raggiungere ma al momento non è ancora invasa dalle orde di turisti. Attualmente (2008) in fase di ristrutturazione, dispone già di una buona infrastruttura turistica per tutte le tasche, incluso un comodo e silenzioso campeggio a pochi minuti dalla cittadella.

Sighisoara la casa natale di di Vlad Tapes III Dracula

Impossibile pensare a Dracula senza immaginare il suo castello. Per questo motivo qualcuno (più che i rumeni, qualche tour operator occidentale) ha pensato bene di individuarne uno, comodo da raggiungere ed in una posizione turisticamente interessante, da proporre senza troppe complicazioni al turismo di massa. Si tratta del castello di Bran, vicino a Brasov, nella parte montagnosa sud-orientale della

Transilvania.

castello di Bran

Al solo vederlo, già si rimane un po’ delusi: tutto ha, meno che l’aspetto spettrale che ci si aspetterebbe. In effetti questo castello, molto curato e ben tenuto, visibilmente restaurato di recente, poco o niente ha a che fare con Dracula, né quello storico, né quello letterario. Il maniero risale effettivamente al 14° secolo, ma Vlad non vi soggiornò mai, se non in rare occasioni per pochi giorni durante qualche campagna militare, come faceva in molti altri castelli dove transitava. Quanto basta

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per trasformarlo, con una sapiente operazione pubblicitaria, in meta di pellegrinaggio per i suoi fans di tutto il mondo. Al di là del mito, è indubbio che sia uno dei monumenti storici più vecchi e meglio conservati della Romania, interamente visitabile ed adibito a museo. Ma per apprezzarlo bisogna dimenticarsi di Dracula perché in quell’ambiente così armonioso, fatto di pareti bianche e raffinate decorazioni, un vampiro non si sentirebbe di sicuro a suo agio. In compenso, a mantener viva l’attenzione sul presunto tenebroso abitante, ci sono decine di bancherelle con ogni tipo di gadget e di souvenir a tema e finti vampiri in costume che, per qualche spicciolo, sono lieti di farsi fotografare con i turisti.

castello di Bran

Brasov è diventata, grazie al vicino castello di Dracula, la cittadina turistica per eccellenza. Pulita, decorosa, accogliente offre un centro storico impeccabile, degno del ruolo che deve ricoprire. Di giorno come la sera, le sue vie sono percorse da frotte di turisti che la scelgono come base per visitare il resto della Transilvania. A vederla oggi, sembra una città rinascimentale, viva e piena di allegri colori che rendono difficile immaginare come dovesse essere ai tempi di Dracula, che da qui c’è passato davvero seminando lutti e morte. Le pagine di storia più ancora del folclore locale sono piene di racconti sulle migliaia di impalamenti che il Principe valacco fece eseguire quando assediò per rappresaglia la cittadina, nel 1459. In città, però, oggi non vi è traccia del suo passaggio, ma non è detto che prima o poi qualche intraprendente operatore non decida di sfruttare anche queste crudeli pagine di storia per farne una potenzialità turistica in più.

Brasov

Se proprio si vuole a tutti i costi legare il nome di Dracula ad un castello, l’unico che potrebbe candidarsi a pieno titolo per questo ruolo è la fortezza, oggi diroccata, di Poienari, nella valle del fiume Arges. Non solo in questa dimora il vero Dracula

ci visse sul serio, facendone addirittura il suo rifugio durante la guerra contro i

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turchi, ma ci sono anche tutti i requisiti per soddisfare l’immaginario collettivo: una stretta valle racchiusa tra boscose montagne, un dirupo a prima vista inaccessibile, una zona ancora oggi solitaria e poco frequentata. Un po’ di nebbia attorno al castello ed il quadro è perfetto.

Il castello di Poienari, nella valle del fiume Arges

Sul fondovalle, poco lontano dal castello, si trova Curtea de Arges, seconda

capitale di Valacchia dopo Campulung e prima di Targoviste, sede del principato ai tempi di Vlad II Dracul, il padre di Dracula. Dell’antico palazzo reale non rimangono che le fondamenta e poche rovine, ma vale la pena visitare la vicina chiesa ortodossa di san Nicolae, meravigliosamente affrescata e custode della tomba del voivoda Vladislav I (conosciuto anche come Vlaicu Voda - 1325-1377). Ai tempi di Dracula Curtea de Arges aveva ormai perso l’importanza che aveva un secolo prima come cittadella fortificata ed il principe stesso preferì stabilire la sua dimora più a nord, al sicuro nelle gole di Poienari, piuttosto che rafforzare le difese in città. Non per questo però aveva perso il suo prestigio. Fu infatti proprio nella chiesa metropolitana (al cui posto nel XVI secolo fu edificato l’attuale monastero) della

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vecchia corte principesca che si celebrò la cerimonia per l’incoronazione di Dracula a Principe della Valacchia nell’estate 1456. Una chiesa che lui conosceva bene, essendo stata costruita dal padre fuori le mura della città è consacrata il 15 agosto 1439. Sulla torre d’entrata del muro di cinta, sua padre aveva anche fatto apporre una lastra scolpita che rappresentava un drago nell’atto di abbattere un animale simile a un leone, allusione alla sua partenza all’ordine del Drago che si ritrova anche sulle sue monete.

Curtea de Arges in una stampa ottocentesca

Molto più legata alla vita di Dracula è invece la successiva capitale della Valacchia, Tirgoviste. E’ qui che Dracula trascorse la sua adolescenza prima di essere dato in

ostaggio ai turchi da suo padre. E’ qui che tentò di riprendersi il trono nel 1448 riuscendoci solo per pochi mesi ed è qui che nel 1456, appena salito al potere, fece strage di tutti i nobili che riteneva si fossero compromessi con l’usurpatore appena cacciato, impalandoli nel giardino della reggia. Il periodo più felice di Targoviste iniziò con Mircea il Vecchio, quando la città divenne capitale del Voivodato di Valacchia. A quel periodo risale il palazzo reale (Curtea Domnească), all'interno del quale Dracula fece costruire la Torre Chindia (torre del tramonto), oggi simbolo della città. Costruita a scopo difensivo nel portico della cappella di corte, consentiva dal

primo piano di raggiungere tramite un ponte levatoio la principesca abitazione adiacente, fungendo così da comodo rifugio in caso di necessità. Dall’alto dei suoi 27 metri, inoltre, le guardie annunciavano la chiusura delle porte della città al calar del sole. Più volte modificata, è stata fatta restaurare da Ceaucescu a scopo propagandistico ed oggi è sede di una piccola mostra che racconta (in rumeno) episodi della vita di Vlad Tepes, senza risparmiare dettagli macabri sui suoi metodi di tortura. e la sua epoca. Più volte attaccata e saccheggiata dai Turchi, Targoviste finì sotto il loro dominio sino a che nel 1595 Michele il Bravo sollevò il popolo contro gli oppressori ricacciandoli dal principato. La libertà durò poco, perché alla morte di Michele i Turchi

ritornarono in forze nella regione per restarci sino alla formazione dello stato nazionale Rumeno nel XIX secolo. La decadenza della città inizia però molto prima, nel 1659,

quando la capitale venne spostata da Targoviste a Bucarest, dando iniziò ad un lento ed irreversibile declino che relegherà per sempre la storica capitale valacca ai margini della storia.

A parte la torre e la chiesa, ricostruita abbastanza fedelmente rispetto all'originale, del suo glorioso passato non rimangono ora che pochi ruderi visitabili a pagamento.

Torre Chindia

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Per il resto la città è diventata un insieme disordinato di moderni edifici ed enormi casermoni, per la maggior parte eredità del regime di Ceausescu. Grazie a lui è però tornata anche agli onori delle cronaca. Nel 1989, dopo essere fuggiti dalla capitale, Nicolae Ceauşescu e a sua moglie Elena vengono infatti catturati proprio a Targoviste e lì processati e sommariamente giustiziati in una caserma locale, oggi museo a perenne ricordo della fine di un’era.

Tirgoviste

Le tracce di Dracula si perdono non molto lontano, a Snagov, su una piccola isola di un piccolo lago alle porte di Bucarest. Dove un tempo, nell’XI secolo, c’era una semplice cappella di legno trasformata da suo nonno Mircea il Vecchio in un monastero fortificato, sorge ora la chiesa costruzione in cui si vorrebbero sepolte le spoglie mortali del principe impalatore. La chiesa dell’Assunzione, dove si sostiene vi siano i presunti resti di Dracula, è stata più volte rimaneggiata. Fu il voivoda Neagoe Basarab a conferirle, agli inizi del XVI secolo, l’attuale aspetto bizantino, mentre l’imponente pronao d’ingresso al tempio pare si debba al suo successore, Mircea Ciorbanul, che trasformò il portico dove si trovavano le tombe dei principi. Entrambi sono effigiati in un affresco del 1563, come benemeriti della fede.

Isola di Snagov

Nella chiesa ci sono dei bellissimi affreschi cinquecenteschi, ma è al modesto sepolcro sul pavimento davanti all’altare, contrassegnato da un semplice ritratto di Vlad, che si concentra l’attenzione dei curiosi visitatori, perché pare sia quello il

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punto dove si trovi la tomba che li ha spinti a visitare l’anonima chiesetta. Un luogo più che altro simbolico, visto che tutte le ricerche hanno portato solo a ipotesi contrastanti e hanno condotto sinora a nessun riscontro realisticamente attendibile. Quanto basta però per trasformare Snagov in una località turistica presa d’assalto da milioni di curiosi, complice anche la comodità nel raggiungerla a pochi chilometri dalla capitale. La riva settentrionale del lago, circondato da una fitta foresta che tra l’altro, per la sua particolare vegetazione e la rarità delle sue piante (quercia del Caucaso, frassino peloso, loto indiano, biancospini), è considerata riserva naturale, è diventata un enorme complesso turistico, con tanto di battelli e navette che fanno continuamente la spola all’isola. Per fortuna il progetto per la costruzione di un enorme parco a tema sulle rive del lago, un Dracula park già approvato e pronto per essere realizzato, sembra essersi perso nel nulla. In caso contrario anche quel poco di mistero che ancora circonda questo luogo sarebbe finito su qualche bancarella.

la chiesa sull’isola di Snagov

la tomba di Dracula

Lasciate le spoglie mortali nel luogo dove si presume siano state riposte secoli fa, Dracula è sopravvissuto a se stesso continuando a vivere molto più a Nord, in Transilvania, nei luoghi in cui Bram Stoker ha ambientato il suo celebre romanzo. Nel descrivere minuziosamente le terre dove si trova il suo temibile castello, Stocker riesce a dare un’immagine del luogo straordinariamente simile alla realtà pur non essendoci mai stato. Stroker non viaggiò mai in Romania e tutte le informazioni di

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cui disponeva provenivano dalle librerie di Londra. Indirettamente ne fa menzione addirittura nel libro tramite le dichiarazioni di uno dei protagonisti principali del romanzo, Jonathan Harker, che afferma "di aver visitato il British Museum di Londra, avendo avuto un po’ di tempo a disposizione, per fare delle ricerche tra libri e mappe riguardo la Transilvania, restando colpito dal fatto che il luogo dove diceva di trovarsi il nobiluomo era proprio al confine con tre stati, Transilvania, Moldavia e Bucovina, al centro dei Carpazi, in una delle parti più selvagge e poco conosciute d’Europa”.

Passo Tihuta con l’hotel Castel Dracula

La regione che Harker descriveva è il Bargau, nei pressi di Bistrita ed il passo Borgo dove avvenne l’incontro con il conte che ogni notte si trasforma in un vampiro è l’attuale Passo Tihuta, principale via di collegamento tra la Moldavia e la Transilvania. Ad adattare perfettamente la realtà alla leggenda ci hanno pensato da tempo i rumeni. Al passo dove idealmente si sarebbe dovuto trovare il castello, negli anni ottanta è stato costruito un hotel in stile falso gotico chiamato non a caso “Castel Dracula”. Una vera e propria trappola per turisti, con tanto di cripta e uscita notturna del vampiro dalla sua bara. A paragonarlo ad un castello ci vuole fantasia, ma anche lo stesso paesaggio circostante non ha più nulla a che vedere con l’immaginario collettivo. Al posto delle foreste immerse nella nebbia ci sono ormai solo distese di ondulate colline spoglie tagliate a una superstrada in costruzione che di certo non rendono giustizia al celebre vampiro.

hotel Castel Dracula

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Ma non è tutto. Il piccolo villaggio dove il giovane agente immobiliare si ferma a dormire il giorno prima di salire al passo è stato fatto coincidere con l’attuale città di Bistrita dove è stato costruito appositamente un altro grande albergo chiamato con lo stesso nome della locanda del libro: “Corona de oro”.

Bistrita – Hotel Corona de oro

L’idea era di far rivivere le emozioni del celebre personaggio creato da Bram Stoker, ma lo squallore della città e la posizione stessa in cui si trova l’albergo rendono vano ogni sforzo di trovare anche solo un motivo per fermarsi. Per fortuna l’interno con sale a tema ricrea un po’ l’atmosfera, ma come tutto il resto nei dintorni oggi con Dracula non ha purtroppo più niente a che vedere. E pensare solo un secolo fa, ai tempi della stesura del racconto, la regione doveva davvero essere quel concentrato di mistero e natura selvaggia descritti con tanto realismo nel libro. A vederla ora, purtroppo, non vi resta che constatare che Dracula non abita più qui.

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NOTE DELL’AUTORE:

Il presente lavoro viene pubblicato esclusivamente per finalità divulgative ed in nessun

caso potrà mai essere utilizzato a scopi commerciali. Tulle le informazioni contenute in

questo articolo sono il frutto di una ricerca personale condotta confrontando

informazioni desunte dalle principali pubblicazioni sull’argomento, da articoli circolanti

sul web e dalla documentazione raccolta in loco durante un viaggio in Romania. Tutte

le immagini e le fotografie storiche provengono dal pagine web facilmente individuabili

tramite i principali motori di ricerca. Le fotografie più recenti provengono sia dal web

che dal mio archivio personale. Qualora i proprietari detentori dei diritti delle fotografie

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AUTORE: FRANCO BORGIS - mail: [email protected]