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47 CAPITOLO 3 CIRCUITI PER LA CONVERSIONE DELL’ENERGIA 3.1 Convertitori AC/DC non controllati (raddrizzatori) Si parlerà, ora, dei problemi di conversione dell’energia, con riferimento particolare alle problematiche relative alla realizzazione di alimentatori o unità di alimentazione per circuiti. Il primo dispositivo che si prenderà in considerazione sarà il convertitore AC/DC non controllato, noto anche con il nome di raddrizzatore e che, sostanzialmente, è un circuito basato sull’impiego di diodi. Come suggerisce la parola stessa, il convertitore riceve in ingresso una tensione alternata e deve fornire in uscita, idealmente, una tensione continua. fig. 1 Vu Vin DC AC Tale convertitore rappresenta un componente di base in molti circuiti di conversione dell’energia, per il semplice fatto che si ha quasi sempre bisogno di interfacciarsi con un ente che fornisce una sorgente di tensione alternata (ENEL); in alternativa si può avere a che fare con batterie quali sorgenti di energia, anche se poi, alla fine, per caricare queste batterie si deve sempre partire dalla tensione di rete. Lo schema circuitale di questi dispositivi è piuttosto semplice, ma questo vantaggio si paga, tuttavia, con la necessità di introdurre dei filtri che sono spesso molto costosi. In generale nel progetto di alimentatori si dovrà fare un trade-off fra il costo e il controllo del circuito e la semplicità del filtro. Ad esempio, si può pensare di spendere di più per la parte attiva (transistori) e risparmiare, invece, sul filtro; c’è, per così dire, sempre un compromesso fra costo dell’elettronica (parte attiva) e dell’elettrotecnica (parte passiva). La tendenza è quella di risparmiare sul costo dei filtri, che sono in generale ingombranti, spendendo invece qualcosa di più sui componenti attivi, ovviamente quando il progetto lo permette. L’operazione fondamentale eseguita da questi dispositivi è una conversione di frequenza dai 50-60 Hz ad una continua e si è visto che questa operazione è possibile eseguirla solo con componenti non lineari, in particolare, questi dispositivi utilizzano il componente non lineare più semplice, cioè il diodo.

Elettronica di Potenza3

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CAPITOLO 3

CIRCUITI PER LA CONVERSIONE DELL’ENERGIA 3.1 Convertitori AC/DC non controllati (raddrizzatori) Si parlerà, ora, dei problemi di conversione dell’energia, con riferimento particolare alle problematiche relative alla realizzazione di alimentatori o unità di alimentazione per circuiti. Il primo dispositivo che si prenderà in considerazione sarà il convertitore AC/DC non controllato, noto anche con il nome di raddrizzatore e che, sostanzialmente, è un circuito basato sull’impiego di diodi. Come suggerisce la parola stessa, il convertitore riceve in ingresso una tensione alternata e deve fornire in uscita, idealmente, una tensione continua.

fig. 1

Vu Vin

DC

AC

Tale convertitore rappresenta un componente di base in molti circuiti di conversione dell’energia, per il semplice fatto che si ha quasi sempre bisogno di interfacciarsi con un ente che fornisce una sorgente di tensione alternata (ENEL); in alternativa si può avere a che fare con batterie quali sorgenti di energia, anche se poi, alla fine, per caricare queste batterie si deve sempre partire dalla tensione di rete. Lo schema circuitale di questi dispositivi è piuttosto semplice, ma questo vantaggio si paga, tuttavia, con la necessità di introdurre dei filtri che sono spesso molto costosi. In generale nel progetto di alimentatori si dovrà fare un trade-off fra il costo e il controllo del circuito e la semplicità del filtro. Ad esempio, si può pensare di spendere di più per la parte attiva (transistori) e risparmiare, invece, sul filtro; c’è, per così dire, sempre un compromesso fra costo dell’elettronica (parte attiva) e dell’elettrotecnica (parte passiva). La tendenza è quella di risparmiare sul costo dei filtri, che sono in generale ingombranti, spendendo invece qualcosa di più sui componenti attivi, ovviamente quando il progetto lo permette. L’operazione fondamentale eseguita da questi dispositivi è una conversione di frequenza dai 50-60 Hz ad una continua e si è visto che questa operazione è possibile eseguirla solo con componenti non lineari, in particolare, questi dispositivi utilizzano il componente non lineare più semplice, cioè il diodo.

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Analisi e progetto di questi circuiti risultano piuttosto semplici, qualora si possa considerare il modello del diodo ideale, la cui caratteristica è lineare a tratti (raddrizzatore perfetto).

Modello diodo ideale

≤=

≥=

off v se

on i se

D

D

00

00

D

D

i

v

vD

iD

Il modello in questione è indubbiamente semplice, ma deve anche essere significativo per le applicazioni in cui intendiamo usarlo; la bontà dell’approssimazione introdotta è garantita per lo studio di convertitori AC/DC. Infatti, in primo luogo, si sta considerando una relazione statica fra corrente e tensione (quindi non sono presenti effetti di memoria e la caratteristica è sempre quella di figura); questa approssimazione è lecita perché si sta operando a 50-60 Hz (il periodo è dell’ordine dei 20 msec), quindi, per quanto i dispositivi usati siano lenti (quelli più lenti sono i diodi da potenze grosse e hanno tempi di ritardo e di commutazione dell’ordine delle centinaia di µsec), i tempi di storage sono enormemente più piccoli rispetto al periodo della frequenza di rete. Si sta, dunque, considerando una frequenza talmente bassa, che anche i dispositivi più grossi e più lenti hanno una dinamica comunque trascurabile. Il diodo è, comunque, un componente relativamente semplice ed è possibile trovare diodi in grado di operare anche ad alte frequenze (fino a centinaia di GHz). Un’altra approssimazione introdotta è quella che deriva dall’aver considerato la caratteristica a squadra ideale in continua, trascurando la tensione di soglia VON di accensione del diodo e di conseguenza considerando nulla la potenza dissipata e trascurando, inoltre, la corrente di perdita nello stato off del diodo (molto meno pesante della prima approssimazione). Ancora una volta, comunque, questa semplificazione non crea particolari problemi, in quanto si lavora con una tensione di rete di ca. 220 V efficaci e quindi una caduta di 0.7-0.8 V è praticamente ininfluente. L’utilizzo di approssimazioni lineari a tratti, come la caratteristica a squadra di cui sopra, risulta comoda ai fini di una analisi semplificata. Ad esempio, la caratteristica di un diodo potrebbe essere approssimata come in figura:

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V VA VB

I

≥+=≤≤+=≤=

B

BA

A

VV

VVV

VV

VI

VI

kVI

δγβα (1)

in cui le (1) approssimano meglio l’esponenziale. Per trovare la soluzione, grazie alla approssimazione lineare tratti, si devono risolvere problemi di tipo lineare. A questo scopo si dovrà mettere a sistema con le (1) l’equazione del carico/sorgente. Il problema che si pone è quello di determinare su quale dei 3 tratti cade la soluzione: si procede per tentativi ipotizzando che la soluzione appartenga ad uno dei tre tratti e mettendo a sistema la relativa equazione (1) con quella del carico, riservandosi, poi, di andare a verificare la coerenza della soluzione con l’ipotesi scelta.

VA VB V

I

c 1

2

3

Si supponga ad esempio che il tratto in cui si ipotizza che cada la soluzione sia il 3 : si dovrà, allora, mettere a sistema la terza equazione delle (1) con l’equazione del carico. La soluzione cadrà nel punto di intersezione c. Si dovrà, ora, verificare che quest’ultima sia coerente con l’ipotesi fatta in partenza. Si osserva però che la soluzione Vc trovata non rispetta il vincolo (appartenenza al tratto 3) di essere ≥ VB; ciò significa che l’ipotesi di partenza era errata. A questo punto, si dovrà procedere per tentativi, considerando la successiva equazione delle (1) e procedendo allo stesso modo. Chiaramente, questo metodo diventa difficilmente utilizzabile qualora i dispositivi siano numerosi, perché allora le permutazioni possibili diventano moltissime (fattoriale); è in questa situazione che diventa indispensabile l’abilità e l’esperienza circuitale del progettista nell’individuare le configurazioni impossibili e quindi da scartare a priori.

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50

3.1.1 Raddrizzatori a semionda

fig. 1

Quando la tensione d’ingresso è positiva, il diodo conduce, la caduta ai suoi capi è zero, per il modello che abbiamo utilizzato, e la tensione d’uscita è uguale alla tensione d’ingresso. Il grafico della corrente coincide, a meno della costante R, con quello della tensione. Il metodo di analisi precedentemente studiato si può facilmente applicare in questo caso, in cui abbiamo un diodo con due soli stati possibili: acceso o spento. Consideriamo il caso in cui sia vIN ≥ 0 :

Stati possibili

⇒>=⇒>=⇒=⇒

⇒>=⇒=⇒==⇒

ok ON

assurdo OFF

000

000

Rv

ivvvDiodo

vvviiDiodo

inuinuu

inDuuD

Analogamente si ricava che per vIN ≤ 0 il diodo deve essere necessariamente OFF e quindi, non passando corrente, la tensione d’uscita è nulla; in figura 1 si può, dunque, notare che delle due semionde, positiva e negativa, “passa” solo quella positiva. Corrispondentemente, quando il diodo è spento, la tensione ai capi del dispositivo è pari, a meno del segno, a quella del generatore d’ingresso; il diodo vede, quindi, una tensione inversa con picco uguale a –VIN (ampiezza della sinusoide). Si vuole vedere, ora, quali sono le prestazioni di questo convertitore il cui interesse pratico è comunque scarso: PRESTAZIONI DIODO

21.114

22

≈−=

=

==

=

πγ

π

π

inuRMS

ininouo

inuo

VV

RV

II

VV

RV

I

RV

I

RV

i

VV

inDRMS

inD

inD

inBD

2

ˆ

0

=

=

=

>

π

Page 5: Elettronica di Potenza3

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Si ricavano, anche, alcune delle formule indicanti le prestazioni. Si ricordi la definizione di valore efficace:

∫=T

uRMS dttvT

v0

22 )(1

Si può ottenere l’espressione del valore efficace della tensione d’uscita ragionando nel seguente modo: se si avesse una sinusoide intera, il valore efficace della tensione d’uscita al quadrato sarebbe pari a metà della Vin ; dal momento che si ha solo metà sinusoide, allora, si avrà

4221 22

2 ininuRMS

VVV == da cui

2222RMSinin

uRMS

VVVV ===

da cui si nota che, passando da un’onda intera ad una mezz’onda, i valori efficaci vengono divisi non per 2 (come per i valori medi) ma per √2 perché c’è un’operazione di radice quadrata di mezzo. I valori della tensione d’uscita media ed efficace consentono di calcolare il fattore di ondulazione:

%12121.1120

2

=≅−=u

uRMS

VV

γ

che è un valore molto elevato. Questo risultato è comprensibile se si pensa che in ingresso si ha una sinusoide, si vuole ottenere una continua e in uscita si ritrova una mezz’onda, che sicuramente deve essere migliorata, essendo affetta da componenti armoniche rilevanti rispetto alla componente utile continua. Si vogliono vedere, poi, gli altri elementi che compongono il resto del circuito: la resistenza R è la resistenza di carico, mentre il componente non lineare da scegliere si è visto essere il diodo. Per scegliere tale componente a semiconduttore, serve sapere la massima tensione che deve sopportare (dalla tabella si vede che vale -Vin), per cui la tensione cosiddetta di “breakdown” deve, ovviamente, essere maggiore del picco della tensione d’ingresso; in un componente, poi, bisogna considerare tre tipi di correnti, perché tutte hanno un legame diretto con i possibili danni al dispositivo e sono:

RV

i inD =ˆ → Corrente di picco: essendo Vin la tensione di picco ed essendo i componenti

in serie, è così espressa; forti correnti di picco possono provocare seri danni, principalmente, ai contatti esterni del dispositivo.

πRV

I inD =0 → Valore medio di corrente: è l’indicatore della taglia del diodo che serve e,

se il convertitore fosse perfetto e il componente fosse ideale, si dovrebbe avere solo questo valore.

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R

VI in

DRMS 2= → Valore efficace di corrente: è legato alla dissipazione di potenza

che si ha sui dispositivi. Questi sono, in generale, i valori che si ritrovano sui “Data sheet” del componente e la condizione migliore si ottiene quando questi tre valori di corrente sono molto prossimi tra loro. Il dispositivo, infatti, è impiegato per un certo valore medio di corrente, per cui più sono alti il valore efficace e quello di picco, e più si è costretti a spendere, dovendo comprare un dispositivo più grosso in grado di reggere quei valori di corrente. Questo convertitore AC/DC è poco usato per due motivi : 1) l’elevata distorsione 2) la presenza di una componente continua della corrente d’ingresso e, dei due problemi, il secondo è di gran lunga il più importante. Essendo il circuito in serie, la componente continua d’uscita coincide con quella d’ingresso e vale

πRV

I inin =0

Il problema di questa componente continua è da vedersi in relazione ad un possibile stadio in ingresso; questi oggetti, come dice il nome stesso, sono raddrizzatori non controllati e, quindi, il livello di tensione medio in uscita, se ci si collega alla rete, non può essere variato. Se si vuole un valore della continua più basso o più alto, allora, si deve inserire un trasformatore con un determinato rapporto spire in grado di riportare al livello di tensione continua desiderato. La Vin sarà, allora, non più la tensione di rete, ma quella determinata dal rapporto spire di un trasformatore. Di qui deriva il motivo per cui la componente continua della corrente in ingresso dà fastidio; infatti, il trasformatore è un oggetto che non è costruito per lavorare con componenti continue, ma con tensioni e correnti che abbiano valori medi nulli. Si riprende, a questo proposito, il simbolo circuitale di un trasformatore e le sue equazioni nel caso ideale:

N2 N1

I2 I1

V2 V1

−=

=

2

1

1

2

1

2

1

2

NN

II

NN

VV

Bilanciando le forze magneto motrici (nel caso ideale si dovrà ottenere zero):

02211 =Φℜ==+ lHNINI dove si è indicato con

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µAl

=ℜ

la riluttanza. Lo zero nasce dal fatto che, per un materiale ferromagnetico ideale, la permeabilità è infinita e quindi la riluttanza è nulla, cioè non serve corrente per sostenere il flusso (si può avere un flusso finito con corrente nulla). In realtà, si dovrebbe tenere conto anche di un termine N1Im, dove Im è detta corrente di magnetizzazione e serve proprio a sostenere il flusso; trascurando l’isteresi si può, allora, considerare il seguente grafico:

B

Ho ≠ 0 H

zona utile Quindi, finché non si hanno componenti continue di corrente, anche la componente continua del campo H0 sarà nulla; se, invece, si ha una componente continua di corrente, allora, H0 ≠ 0 e invece di operare nell’intorno del tratto rettilineo (zona utile), si andrà ad operare vicino alla zona di saturazione e tenendo conto che la pendenza è molto elevata, basteranno piccole componenti continue per avvicinarsi ad una zona molto pericolosa (in zona di saturazione il modello non è più quello ideale perché la riluttanza cresce e la corrente di magnetizzazione aumenta, con il rischio di danneggiare il componente, bruciando il trasformatore). Il passaggio che tiene conto del fatto che la riluttanza non è nulla ma finita, complica il modello ideale preso in esame:

mIN1=Φℜ dove si è rapportata la corrente di magnetizzazione al numero di spire del primario. Questo bilancio può essere anche scritto nel seguente modo:

dtdI

NNV m

11

1 =ℜ

e ricordando che V = N dΦ/dt

dtdI

Ndt

d m1=

Φℜ

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da cui si ricava infine

dtdIN

V m

ℜ=

21

1

che ci permette di modificare lo schema circuitale del trasformatore, che tiene conto di una riluttanza non nulla (per cui serve una corrente di magnetizzazione che sostenga il flusso). Il termine

ℜ=

21N

L m

ha le dimensioni di un’induttanza e viene chiamata induttanza di magnetizzazione:

Questo modello è ancora idealizzato, ma tiene conto, rispetto a quello ideale, della riluttanza non nulla legata alla presenza di una corrente di magnetizzazione. Se si volesse una schematizzazione ancora più reale, si dovrebbe tenere conto delle perdite nel rame e nel nucleo ferromagnetico, nonché dei flussi dispersi dovuti al fatto che non tutto il flusso del primario riesce a concatenarsi al secondario.

R2 L1 L2 N1 N2 I1 I2 R1

V1 Lm RF V2

Dove: L1 ed L2 sono dette induttanze di dispersione e tengono conto dei flussi dispersi, R1 ed R2 tengono conto delle perdite nel rame (gli avvolgimenti di tipo metallico usati per fare le bobine del trasformatore sono in rame e quindi anch’essi hanno una resistenza finita e delle perdite), RF tiene conto delle perdite nel ferro che sono essenzialmente dovute a : 1. perdite per isteresi (l’area dovuta all’isteresi non è nulla come abbiamo considerato

nel grafico B-H ma è finita e provoca una dissipazione di potenza) 2. perdite dovute alle correnti indotte di Focault. L’impiego di un trasformatore nello stadio d’ingresso è quindi improponibile, a causa della presenza della suddetta componente continua, difficilmente sopportata dal

I1 N1 N2 I2

V1 Lm V2

Im Trasformatore

perfetto

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trasformatore, anche se, attraverso un opportuno sovradimensionamento del trasformatore (o un abbassamento della sua permeabilità magnetica) sarebbe possibile superare il problema, salvo aumentare notevolmente i costi di realizzazione. L’alternativa, che solitamente si utilizza, è quella di considerare degli schemi circuitali simmetrici che consentono di eliminare la componente continua lato AC nell’operazione di conversione AC/DC.

3.1.2 Raddrizzatori a onda intera Questo particolare circuito viene utilizzato per eliminare la componente continua del segnale d’ingresso e ottenere una pura sinusoide. Al fine di effettuare ciò, si possono scegliere due diverse tipologie circuitali, rappresentate in figura1.a e in figura 1.b:

fig. 1.a fig. 1.b

Si vogliono, ora, analizzare i due diversi circuiti, mettendo in evidenza vantaggi e svantaggi dell’uno e dell’altro. Nel primo caso, si può osservare come la presenza dei componenti a semiconduttore (diodi) sia resa minima, ottenendo così il vantaggio di un circuito complessivamente poco dissipativo; di contro, in tale circuito, viene impiegato un trasformatore a doppio secondario a presa centrale, piuttosto complesso, che ne aumenta i costi. E’ proprio quest’ultimo motivo che porta spesso a scegliere il secondo circuito, in cui si utilizza un trasformatore a singolo secondario, di costo minore; l’aumento del numero di diodi da due a quattro, infatti, non comporta costi svantaggiosi se confrontati con il risparmio ottenuto utilizzando un trasformatore più semplice. Un altro aspetto di fondamentale importanza è la caduta di tensione ai capi dei diodi. Si osserva che in figura1.b la conduzione dei diodi avviene a coppie, infatti, se Vin > 0 sono in conduzione i diodi D1 e D2 e quindi in serie al percorso costituito dalla tensione d’ingresso e dalla tensione al carico, si ritroveranno due diodi che provocheranno ben due cadute di tensione ai loro capi, di entità complessiva pari a 2Vγ, fra ingresso e uscita; nel caso del circuito di figura1.a, sotto le stesse ipotesi, invece, si ha una caduta pari a Vγ, dal momento che responsabile di tale caduta di tensione è soltanto uno dei due diodi.

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Tale considerazione è tanto più rilevante quanto più le tensioni in gioco sono piccole; infatti, perdere 1.4V utilizzando lo schema di destra può essere pesante rispetto agli 0.7V dello schema di sinistra, quando le tensioni da raddrizzare siano relativamente basse. Tipicamente, negli alimentatori stabilizzati e nei regolatori di tensione, in cui questi componenti entrano nel primo blocco, si usa quasi sempre il ponte a diodi intero. I due circuiti realizzano, comunque, una stessa funzione, cioè:

inu VV ≥ (1)

Al fine di poter dimostrare la (1), si consideri il circuito di figura1.b (si potrà ottenere lo stesso risultato prendendo in considerazione l’altro circuito). Dall’analisi di maglia si ha:

021 =−−− DuDin VVVV ovvero

uinDD VVVV −=+ 21 (2) tenendo presente il funzionamento dei diodi, per i quali la tensione è per forza nulla (diodo ON) o negativa (diodo OFF), la somma a primo membro della (2) sarà sicuramente non positiva e, quindi, si avrà:

0≤− uin VV (2’) per cui

inu VV ≥ (3) Analogamente, considerando in conduzione i diodi D3 e D4 si trova:

inu VV −≥ (4) Poiché devono valere contemporaneamente sia la (3) che la (4), essendo del tutto generali, dovrà per forza di cose essere vera la:

inu VV ≥ (5)

Dal momento, però, che se iu > 0 , c’è sempre una coppia di diodi in conduzione, nella (5) si dovrà, allora, considerare l’uguale in senso stretto, cioè

inu VV = se 0>ui

per cui il circuito realizza una pura funzione di modulo. Ciò rimane vero fino a quando non si ha un carico che consenta l’annullamento della corrente. Se ora si osservano i due circuiti, si può quindi notare come essi raddrizzino anche la tensione negativa; per il primo circuito ciò avviene grazie alla conduzione del diodo D1 nel semiperiodo durante il quale la semionda è positiva, e del diodo D2 nel semiperiodo durante il quale

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la semionda è negativa, mentre per il secondo ciò si verifica con la conduzione delle coppie di diodi D1 , D2 e D3 , D4 rispettivamente. Per quanto riguarda la tensione inversa, poi, nel circuito di sinistra il valore minimo di tensione che si riesce a raggiungere è pari a –2Vin , in quanto il diodo, quando è spento, vede entrambi gli avvolgimenti del secondario del trasformatore, cioè si pone in parallelo ad esso; nel circuito di destra, invece, quando due diodi sono in conduzione, gli altri due risultano in parallelo e invertiti rispetto alla sorgente, cioè il minimo di tensione si ha a -Vin essendo presente un solo avvolgimento secondario. Ciò può essere verificato cortocircuitando due diodi e vedendo che gli altri due sono in parallelo e invertiti rispetto alla sorgente. Quanto detto può essere graficato come mostrato in figura 2, dove si è messo in evidenza l’andamento di correnti e tensioni, facendo riferimento al raddrizzatore a onda intera di figura1.a:

fig. 2

Si vuole, ora, fare un’ultima importante osservazione: ciascun diodo porta un valore medio di corrente, ma la corrente globale di ingresso, grazie alla simmetria dello schema, è ora data da iD1-iD2, quindi tale corrente torna ad essere sinusoidale, cioè non si ha componente continua, o per meglio dire le due componenti continue si cancellano. E’, dunque, questo il motivo per il quale questi circuiti si preferiscono al raddrizzatore a semionda presentato nel precedente paragrafo. Di seguito sono riportate le prestazioni di entrambi i circuiti raddrizzatori considerati:

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PRESTAZIONI DIODO

π

πγ

π

2

0

48.018

2

0

2

0

0

0

2

=∂∂

−==∂∂

≈−=

=

=

=

in

u

uu

u

inuRMS

ino

inuo

VV

RIV

VV

I

VV

R

VII

RVI

I

R

Vi

VV

VV

inuRMSDRMS

inuD

inD

inBD

inBD

22

2

ˆ

intero) (ponte

2

00

==

==

=

>

>

π

• Vu0 è esattamente il doppio rispetto al valore che si era trovato per il raddrizzatore

a semionda, infatti, ora si ha una doppia semionda; • il valore medio di corrente in ingresso uguale a zero è stato precedentemente

commentato; • per ciò che riguarda il valore efficace di tensione in uscita è quello tipico di una

sinusoide, (la sinusoide è raddrizzata, ma ciò non influisce sul valore efficace); • si ha un miglioramento in termini di distorsione, infatti il γ è notevolmente

migliorato. • Per ciò che riguarda la resistenza di uscita, si vorrebbe che quest’ultima fosse il più

possibile prossima a zero; ciò significherebbe che il generatore in continua, cioè l’alimentatore, sarebbe in grado di fornire il livello di tensione desiderato, indipendentemente dalla corrente assorbita dal carico. Nel caso ideale la Ru, cioè la variazione della tensione in seguito a una variazione di corrente, in uscita, è nulla, poiché la Vu0 non dipende assolutamente da Iu0 , il che significa che si può inserire un carico che può assorbire quanta corrente vuole e il valore medio di tensione non viene modificato. Tale proprietà è molto buona e quindi sarà auspicabile cercare di mantenerla il più possibile.

• Il parametro ∂Vu0/∂Vin sta ad indicare che l’alimentatore desiderato, oltre che fornire la continua dall’alternata, deve essere il più possibile indipendente dalle fluttuazioni della rete, cioè sarà importante avere una buona reiezione dalle variazioni della tensione di rete. Come caso ideale si vorrebbe ∂Vu0/∂Vin = 0 cioè una totale indipendenza della tensione di uscita dalla tensione di rete. In realtà ciò non è possibile e vista la dipendenza di Vu0 da Vin si ottiene ∂Vu0/∂Vin = 2/π.

Infine si analizzano i diodi: • il valore di picco rimane immutato rispetto al caso di raddrizzatore a semionda; • per ciò che riguarda i valori medi, si osserva che ogni diodo contribuisce per metà

periodo all’intero valore medio di corrente, quindi, rispetto al caso del raddrizzatore a semionda, il valore medio dovrà essere diviso per due;

• le considerazioni appena fatte per il valore medio valgono anche per il valore efficace, con la sola differenza che in questo caso si dovrà dividere per 2 , anziché per 2.

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3.2 Filtraggio I problemi del raddrizzatore, anche con lo schema ad onda intera, non sono ancora stati del tutto risolti, in quanto ci si ritrova con un fattore di ondulazione γ ancora elevato e una forma d’onda in uscita tutt’altro che continua e, quindi, per ottenere una tensione d’uscita che sia tale, si dovrà introdurre un filtro. Le problematiche associate allo studio dei filtri possono essere viste in due modi: il primo è legato all’analisi della sorgente nel dominio del tempo; se si considera, infatti, l’andamento della funzione v(t) di figura 1, si può notare come, in corrispondenza degli zeri della funzione stessa, la tensione d’uscita presenti dei “buchi” alternati a dei livelli alti.

fig. 1 Questo andamento è dovuto al fatto che la tensione d’uscita segue l’andamento della sorgente, per cui, quando il segnale sinusoidale in ingresso si annulla, ai capi del carico la tensione è nulla e, di conseguenza, lo è anche la tensione d’uscita. Il filtro può essere visto come un insieme di serbatoi di energia, inserito fra il condensatore e il carico, la cui funzione è proprio quella di rimediare ai suddetti “buchi” di energia; quindi, quando la sorgente dispone di energia, il filtro la accumula, salvo poi rilasciarla al carico, nel momento in cui il livello energetico della sorgente tende ad annullarsi. In questo modo, il flusso di energia fra una sorgente, che non possiede un flusso continuo, e il carico, è reso più omogeneo. Il secondo modo di ragionare prevede di considerare l’analisi nel dominio delle frequenze, in cui si ricava lo spettro della forma d’onda che consente di visualizzare, oltre alla continua, le componenti spettrali indesiderate (1a, 2a, 3a ,…,n-esima armonica). Dal momento che l’interesse è concentrato solo sulla continua, la caratteristica del filtro dovrà essere di tipo passa basso e permettere, così, di eliminare le armoniche indesiderate di ordine superiore. L’obiettivo principale è quello di ridurre il fattore di ondulazione γ.

Vu

ωωo ω

fig. 2

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La forma d’onda che esce dal raddrizzatore a doppia semionda ha periodo pari a T/2, cioè frequenza doppia (2ωin) rispetto a quella di rete e, quindi, il primo disturbo da eliminare sarà proprio quello a tale frequenza. In figura 2, si è rappresentata la caratteristica del filtro che realizza quanto detto. Un altro aspetto particolarmente importante, per una buona progettazione del filtro di tipo passa basso, è che il sistema filtro più carico sia sempre connesso al ponte di diodi del raddrizzatore. Per capire meglio l’importanza di questo requisito facciamo riferimento al seguente schema

in cui è rappresentato un generatore di tensione alternata, un ponte a diodi raffigurato dal blocco col simbolo del diodo, un blocco a destra che comprende l’insieme costituito dal filtro e dal carico e una corrente i uscente dal convertitore ed entrante nel filtro stesso. E’ importante che questa corrente scorra sempre, cioè sia sempre verificata la relazione i > 0, ovviamente, laddove le caratteristiche del circuito lo permettano. Il motivo di ciò si può capire ricordando l’espressione data alla tensione d’uscita del ponte a diodi, ossia:

v ≥ |vin| (1) che rappresenta una relazione generale e che era stata ricavata senza aver formulato alcuna ipotesi sul carico. Si è visto, in particolare, che l’uguale nella (1) vale solamente se esiste un diodo o una coppia di diodi sempre in conduzione, cioè se esiste sempre una corrente in uscita al ponte. Questo vincolo sulla corrente, dunque, è molto importante perché garantisce l’uguaglianza nella (1) e quindi è come se l’uscita del convertitore, a parte il modulo, fosse connessa direttamente al generatore, che si è supposto ideale, cioè si è in presenza di un generatore ideale di tensione. In tali condizioni, la forma d’onda è, dunque, sempre uguale al modulo della tensione d’ingresso e il suo valore medio sarà anch’esso una costante, indipendentemente dalla corrente assorbita dal carico, tant’è vero che la resistenza d’uscita risulta nulla. In sostanza, tutto ciò garantisce di non avere alcun effetto di carico. Se, tuttavia, la corrente si annulla (i diodi impediscono il verso opposto della corrente che, quindi, non potrà mai invertirsi ma solo annullarsi), nella (1) inizia a valere il simbolo di disuguaglianza, ossia la tensione d’uscita del convertitore non è più legata al valore del generatore, ma, a seconda del tipo di carico, diventa maggiore o uguale ad esso e, quindi, il suo andamento inizia a dipendere dalla corrente assorbita dal carico. Rinunciare alla condizione i > 0 significa, inevitabilmente, perdere la proprietà di resistenza d’uscita nulla, ossia:

00

00

≠⇒=

=⇒>

u

u

Ri

Ri (2)

Come appena osservato, dunque, quando vale la seconda delle (2), alla porta di ingresso del filtro non si ha più un generatore ideale ma qualcosa che dipende sia dal filtro che dal carico; in caso contrario, valendo la prima delle (2), all’ingresso del

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61

sistema filtro più carico si ha un generatore ideale di tensione e il suo valore medio (che non viene alterato dal filtro passa basso avente H(ωo) = 1), è costante e indipendente dalla corrente assorbita. Il primo obiettivo nella progettazione del filtro passa basso è quello di capire le caratteristiche della tensione che deve essere filtrata. La forma d’onda, sotto il vincolo di corrente i>0, è quella rappresentata in figura 1, dove si è considerato un opportuna scelta dell’istante zero, in modo da potere considerare una funzione pari e quindi sviluppabile in una serie di soli coseni del tipo

∑∞

=

+=1

00 )cos()(k

k tkVVtv ω

dove la fondamentale vale, data la periodicità dimezzata e, quindi, frequenza doppia:

22

20 Tin

πωω ==

Se, ora, si calcolano i coefficienti di Fourier si determinano il valore medio

πinV

V2

0 =

e le componenti armoniche della serie

+

−±=

pari k -dispari k

)14(

42k

VV in

k π

che forniscono tutte le informazioni necessarie sulla spettro della tensione da filtrare. E’ da notare che lo spettro cala molto rapidamente, in particolare, le armoniche calano come k2. L’ampiezza del primo termine di disturbo sarà quella più rilevante e varrà:

( )1 3

41 == k

VV in

π

3.2.1 Filtro e fattore di ondulazione Si rappresenta un generico filtro passa basso nel seguente modo:

Page 16: Elettronica di Potenza3

62

Detta H(ω) la sua funzione di trasferimento, si possono ricavare le note relazioni che legano la tensione di ingresso a quella d’ uscita:

kuk

kuk

VkHV

VkHV

)(

)(

0

0

ω

ω

=

= (1)

L’obiettivo che ci si propone è quello di legare il fattore di ondulazione γ alle caratteristiche del filtro espresse dalle (1); a tale scopo si deve conoscere il valore della funzione di trasferimento del filtro stesso. Si considerino le due seguenti ipotesi: 1) il filtro sia ideale a frequenza zero, cioè H(0) = 1, ossia un filtro che non alteri la

componente continua; ciò è ragionevole in quanto, se il filtro è ben realizzato, gli elementi reattivi hanno poche perdite e, quindi, in continua le induttanze possono essere considerate come dei corti e le capacità come degli aperti, trascurando gli effetti parassiti associati a tali componenti.

2) si consideri, come termine di disturbo, solo la prima armonica; è, infatti, importante sottolineare che le righe spettrali di ordine superiore o uguale al primo sono sempre meno rilevanti, in quanto, oltre al fatto che lo spettro della v(t) cala come k2 , si aggiunge l’attenuazione del filtro che cala di 20÷40 dB per decade, a seconda del suo ordine e che quindi permette un’ulteriore attenuazione delle righe più lontane. E’, dunque, un’ipotesi lecita dire che è possibile ragionare come se il termine di disturbo fosse concentrato solo sulla prima armonica.

Il legame tra il fattore di ondulazione e la caratteristica di trasferimento del filtro si può esprimere come:

20

1

22

0

20

1

2 )(

2

12

V

VkH

V

Vk

k

u

kuk ∑∑

=

= ==ω

γ (2)

dove a denominatore si è considerato:

20

20

220 1)0( VVHVu ⋅==

Ora, considerando la seconda ipotesi semplificativa, la (2) può essere scritta come

)(

32

34

2)(

2

1)(

2

1)(

2

10

0

0

102

0

21

2

0 ωπ

π

ωωωγ H

VV

H

V

VH

V

VH in

in

===≅ (3)

che rappresenta un semplice legame diretto fra γ e la funzione di trasferimento del filtro alla frequenza di “disturbo”, sotto opportune ipotesi normalmente verificate nella realtà. Ci si occuperà, ora, di studiare il progetto di diverse topologie di filtri.

Page 17: Elettronica di Potenza3

63

3.2.2 Filtro L (induttivo) Il primo filtro che si intende analizzare è quello induttivo realizzato con una sola induttanza come mostrato in figura

L iu

V R Vu

La funzione di trasferimento associata a tale filtro è la seguente:

LGjH

ωω

+=

11

)(

Si ricorda che l’induttanza si comporta come un cortocircuito per la componente continua, ossia non la altera; infatti, osservando la funzione di trasferimento, si ha che H(0) = 1. Per valori di induttanza L sufficientemente grandi, invece, tale dispositivo attenua enormemente le componenti alternate di corrente, comportandosi come un aperto. Si deve, ora, dimensionare l’induttanza L al fine di ottenere la specifica di progetto:

γγ < γγlim dall’espressione del fattore di ondulazione si ricava quanto detto attraverso i seguenti passaggi:

220

0 )2(11

32

)(11

32

)(32

LGLGH

inωωωγ

+=

+==

dove si è sostituita ad ω0 la frequenza di rete 2ωin; se, ora, si tiene conto che la pulsazione di taglio di tale filtro è

LGT

1=ω e che deve valere Tin ωω >>2

perché, se il filtro deve attenuare, la sua pulsazione di taglio, che è a 3 dB, deve essere molto più bassa di quella del disturbo che è a 2ωin (se, ad esempio, si volessero 20 dB di attenuazione, essendo il filtro del primo ordine, la distanza del disturbo dovrebbe essere di almeno una decade); si ottiene, allora:

lim

41

32

γπ

γ <≅LGf in

(1)

Page 18: Elettronica di Potenza3

64

è possibile ricavare, ora, dalla (1) il vincolo sull’induttanza L:

minlim432Gf

Linγπ

> (2)

Essendo la conduttanza di carico G un parametro in generale variabile, si considera il suo valore minimo, ponendosi nella condizione di caso peggiore, affinché possa valere la (1) per qualsiasi condizione. Questo risultato è il punto di partenza del progetto di dimensionamento del filtro, dopodiché, il successivo affinamento del valore di L può essere svolto ricorrendo ad uno strumento di simulazione circuitale. L’interesse per il filtro appena visto, nel contesto di un raddrizzatore AC/DC monofase a 50Hz, è prevalentemente di tipo didattico, poiché un solo filtro induttivo è di solito praticamente inutilizzabile alle frequenze e ai livelli di corrente richiesti per queste applicazioni. Infatti, i valori che risultano dal dimensionamento di L sono eccessivamente elevati, con conseguenti problemi di ingombro e soprattutto costo. Quest’ultimo, inoltre, è strettamente legato alle dimensioni della conduttanza, poiché quanto più G diminuisce, tanto più L tende ad infinito, ossia meno il carico assorbe corrente, più L deve essere grande. Le prestazioni in uscita, per quanto riguarda il valore medio, non vengono alterate e sono, dunque, le stesse che si sono ricavate nel semplice caso dei diodi. Cambiano, tuttavia, il valore efficace e quello di picco, in seguito al diverso andamento delle correnti nei diodi. Ciò è, d’altra parte, intuitivo, in quanto l’induttanza smorza le componenti alternate di corrente. In formule:

π

πγ

π

RV

Ii

RVI

R

V

R

VII

RVI

I

inuD

inuuuRMSuRMSDRMS

inuD

2

21

222

2

0

020

00

=≈

=≈+===

==

(3)

dove, nell’espressione del valore efficace di corrente, avendo considerato γ prossimo allo zero, lo si è trascurato nell’argomento della radice. Si vuole, ora, confrontare questi risultati con i valori di corrente ottenuti in precedenza, in particolare si era trovato

RV

i

RV

I

infsD

infsDRMS

=

=

..

..

ˆ

2 (4)

dove si è voluto indicare con l’apice “s.f.” l’assenza del filtro. Se, quindi, si mettono in relazione le (3) e le (4), si ottiene:

Page 19: Elettronica di Potenza3

65

....

....

ˆ64.0ˆ22ˆ

9.022

2

22

fsD

fsD

inD

fsDRMS

fsDRMS

inDRMS

iiRV

i

IIR

VI

≅==

≅==

ππ

ππ (5)

da tale confronto risulta, quindi, che il valore efficace della corrente nei diodi, con il filtro, è pari al 90% di quello senza filtro, riducendo lo stress sui dispositivi; la corrente di picco, poi, è pari al 64% del valore precedente. La presenza del filtro, dunque, migliora non solo l’ondulazione sul carico, ma, eliminando componenti armoniche, abbassa i livelli di corrente sollecitando meno i dispositivi; si vedrà, comunque, che quest’ultimo aspetto positivo non è comune a tutte le tipologie di filtri. 3.2.2.1 Esempio Si supponga di voler ottenere un valore medio di tensione Vu0 = 200 V con una tensione di rete a frequenza fin = 50 Hz, sapendo che il carico può assorbire livelli di corrente che variano tra i seguenti valori: 0.4 ≤ Iu0 ≤ 4 A e si supponga, inoltre, di volere un fattore di ondulazione γlim del 5‰. Considerando la (2)

minlim432Gf

Linγπ

> con 0

min0min

u

u

VI

G =

e sostituendo i valori forniti nell’esempio, si ricava:

L > 75 H che è un valore di induttanza praticamente irrealizzabile. Ciò conferma il fatto che un semplice filtro induttivo ha da solo poco significato per l’applicazione considerata. E’ utile, inoltre, prendere in considerazione le formule necessarie al dimensionamento di un’induttanza, in particolare, è noto che

lANN

Lµ22

=ℜ

= (6)

dove si è indicato con ℜ la riluttanza del circuito magnetico dell’induttore. Come si può facilmente notare dalla (6), per avere livelli alti di induttanza è necessario aumentare il valore della permeabilità magnetica e questo può essere ottenuto realizzando delle induttanze non in aria, ma utilizzando materiali ferromagnetici. I problemi che solitamente si incontrano, poi, sono gli stessi visti per il trasformatore, in particolare modo per quanto riguarda la saturazione. Si riprenda, a questo proposito, la seguente relazione:

dtd

Nvϕ

=

Page 20: Elettronica di Potenza3

66

e passando al dominio delle frequenze

ABNjNjV ωω =Φ= considerando, ora, i moduli e risolvendo rispetto a B si ottiene:

MAXB

NA

VB <=

ω (7)

in cui si è posto un limite su B al fine di evitare la saturazione del materiale ferromagnetico; BMAX è un parametro finito e di valore noto, variabile da materiale a materiale. Analizzando in dettaglio la (7), si osserva che, per sfruttare al meglio le caratteristiche del materiale, la disuguaglianza dovrà essere tale da mantenere i valori di B e BMAX il più vicini possibile; a tale scopo, a parità di tensione V applicata, notando a denominatore la presenza della frequenza operativa e del costo del materiale (rappresentato, ad esempio, dall’area del ferro e dal numero di spire del rame), si dovrà giocare su questi due parametri. Ciò significa che, a parità di VMAX, più si sale con la frequenza, più l’induttore diventa piccolo perché sono necessari meno spire e minor sezione per garantire la non saturazione. Inoltre, al crescere della frequenza, per ottenere determinati valori di reattanza (ai fini ad esempio di ridurre componenti alternate di corrente) servono valori di induttanza minori. Queste considerazioni sono vere anche per un trasformatore, che a frequenze elevate diventa sicuramente più compatto. Perciò, ad alte frequenze (centinaia di kHz, MHz, o GHz), le induttanze e i trasformatori non sono più dispositivi così scomodi e ingombranti e, quindi, cambiano le metodologie progettuali, dal momento che possono essere largamente utilizzati. Un esempio dell’uso di induttanze è dato dai convertitori di tipo switching, per i quali l’obiettivo è quello di spostare i disturbi a frequenze sufficientemente elevate e poterli, poi, eliminare con semplici filtri induttivi a basso costo. A basse frequenze, invece, visti i costi elevati e le dimensioni ingombranti, spesso si rinuncia all’impiego di componenti induttivi o trasformatori, anche a scapito delle prestazioni. 3.2.3 Filtro LC Il filtro del primo ordine, descritto poc’anzi, risulta apprezzabile per la sua semplicità, ma non è altrettanto rilevante l’attenuazione da esso introdotta a fronte di un ingombro e costo elevato; inoltre, la sua pulsazione di taglio ωT dipende dal carico e, quindi, se quest’ultimo viene modificato, per ottenere la medesima ωT si dovrà variare il valore dell’induttanza. Ciò è ovvio, essendo la pulsazione di taglio definita come

LGT

1=ω

Page 21: Elettronica di Potenza3

67

da cui si nota che, variando la conduttanza di carico G, per mantenere ωT costante si dovrà variare L. Le cose migliorano sensibilmente se si considerano filtri di ordine superiore al primo, come ad esempio il filtro di tipo capacitivo/induttivo LC, per i quali si lavora in una zona in cui vi è poca dipendenza dalla conduttanza dal carico. Quindi, avendo necessità di prestazioni non raggiungibili con un filtro del prim’ordine, si considera un filtro leggermente più complesso, in cui si inserisce, oltre all’induttanza serie, una capacità C in parallelo; a questo punto, il filtraggio, ossia il compito di attenuare le componenti alternate di corrente, è affidato non soltanto all’induttanza, che diventa un aperto, ma anche alla capacità, che diventa un cortocircuito per i segnali. In parole semplici, ciò che l’induttanza, non essendo abbastanza grossa, lascerebbe passare, viene drenato verso massa dalla capacità. Vediamo, allora, lo schema circuitale del filtro LC del secondo ordine:

L I iu V C R Vu

fig.1 Tale filtro, oltre a migliorare le prestazioni, permette di ridurre di un paio di ordini di grandezza i valori di induttanza da utilizzare. La sua funzione di trasferimento è la seguente:

LGj

H

ωωω

ω

+

= 2

ˆ1

1)( con

LC

1ˆ =ω (1)

e dove con ω si è indicata la pulsazione di risonanza. Il modulo della (1) può essere graficato nel seguente modo:

Page 22: Elettronica di Potenza3

68

Si osservi la maggiore attenuazione introdotta dal filtro LC, di cui si studiano, ora, in dettaglio le caratteristiche. Se la conduttanza fosse nulla, il picco di risonanza sarebbe infinito, come si vede in figura )/ˆ( ∞== GCQ ω . Le altre curve corrispondono a diversi valori, finiti della conduttanza G. Il risultato importante, comunque, è dato dal fatto che non si ha più una forte dipendenza dell’attenuazione del filtro dalla conduttanza, come in realtà accadeva nei filtri del primo ordine. Al di sopra della frequenza di risonanza, infatti, le curve in figura tendono a coincidere e ad essere indipendenti dal valore di G. Si consideri ora la funzione di trasferimento del filtro espressa dalla (1); per il modulo si ha:

222

22

ˆ1

1)(

GL

H

ωωω

ω

+

= (2)

Si considerino, ora, le seguenti ipotesi semplificative: 1. condizioni di caso peggiore: tale situazione si ottiene quando la conduttanza G è

nulla; ciò significa lavorare nella condizione in cui il filtro attenua meno (vedi figura).

2. ωω ˆ>> : se il filtro deve attenuare per eliminare i disturbi, ci si deve posizionare il più possibile lontani dalla pulsazione di risonanza.

Sfruttando queste due ipotesi e considerando la (2), si ottiene il modulo della f.d.t. semplificato:

2

22

ˆ

ˆ

1)(

=

≅ωω

ωω

ωH (3)

Si vuole, ora, dimensionare l’induttanza L e la capacità C del filtro in esame, ricordando che deve essere soddisfatto il vincolo

γ < γlim

Si ricava, allora:

( ) lim232

γωγ <= inH

e sfruttando la (3)

( ) lim24

32

γπ infLC > (4)

Dalla (4) si nota che il prodotto LC decresce con il quadrato della frequenza, come è ovvio per un filtro del secondo ordine.

Page 23: Elettronica di Potenza3

69

Il vincolo di progetto espresso da tale formula, sembrerebbe risolvere tutti i problemi precedentemente incontrati; infatti, se si considera una capacità sufficientemente grande, è possibile ridurre notevolmente le dimensioni di L. In realtà, ciò non è del tutto realizzabile, in quanto si deve tenere presente che la corrente che scorre tra l’invertitore e il filtro non deve mai annullarsi, ma deve essere sempre maggiore di zero. Dal momento, però, che siamo in presenza di un sistema del secondo ordine, può succedere che la corrente cali a zero, cioè che, in altre parole, il gruppo RC si “stacchi” dal convertitore e la capacità si scarichi sulla resistenza; tutto ciò avverrà tanto più rapidamente quanto più il carico sarà in grado di assorbire corrente e, quindi, in uscita, si avrà un valore medio che dipenderà fortemente dalla corrente assorbita e si perderà, quindi, la proprietà di resistenza di uscita nulla. In conclusione, non è possibile scegliere i valori di L e C arbitrariamente, ma si dovrà tenere presente un ulteriore vincolo su L, che garantisca un valore di induttanza sufficiente a garantire sempre un flusso di corrente (i > 0). Si vuole, ora, esprimere questo nuovo vincolo di progetto dal punto di vista matematico. A tale scopo, si imponga che la corrente i(t) non si annulli mai, cioè:

i(t) = I0 + ia(t) > 0 (5) dove I0 rappresenta la componente continua di i(t) e la ia(t) è la sua componente alternata. L’andamento della (5) è del tipo:

Si dovrà imporre che il valore minimo della ia(t) sia sufficientemente piccolo rispetto a quello di I0 , per evitare che la somma algebrica dei due contributi si annulli nel momento in cui la componente alternata diventa negativa; dovrà essere, quindi:

0

max)( Itia < (6)

La (6) risulta, tuttavia, piuttosto scomoda, perché fornisce una specifica, legata al massimo di una grandezza funzione del tempo, che è difficile da manipolare. Per aggirare l’ostacolo, si può assumere che il filtro fornisca una buona attenuazione e che il disturbo da eliminare sia concentrato nella prima armonica, essendo quelle di ordine superiore attenuate dal filtro stesso. Si introduce, allora, la seguente approssimazione

1

max)( Itia ≅ (7)

e, dunque, dalla (6) e dalla (7), senza introdurre un grosso errore, si ricava il nuovo vincolo:

I1 < I0 La I1 ,poi, può essere scritta come

Page 24: Elettronica di Potenza3

70

( ) 11 2 VYI inin ω= (8)

in cui l’argomento del modulo rappresenta l’ammettenza di ingresso del filtro che alla pulsazione di disturbo vale

( )11

1

22

uininin VILj

IY

+=

ωω (9)

e poiché si è considerato un filtro con buona attenuazione, le 1uV , che sono le componenti alternate che giungono all’uscita, dovranno essere trascurabili. Tenendo presente quanto appena detto e facendo il modulo della (9), si ottiene:

( )L

Yin

inin ωω

21

2 ≅ (10)

A tale risultato si giunge anche intuitivamente se si osserva l’ingresso del filtro rappresentato in figura 1: si può notare, infatti, che essendo l’induttanza di valore elevato, al fine di poter essere considerata un aperto per le componenti alternate ed essendo la capacità, per tali componenti, un corto, guardando all’ingresso si vede praticamente solo l’induttanza. Di fatto, allora, si può confondere l’ammettenza del filtro con l’induttanza. Da ciò, considerando la (8) e la (10) si può scrivere:

11 21

VL

Iinω

e poiché

π3

41

inVV =

si ottiene, infine:

001 34

21

uin

in

IIV

LI =<≅

πω (11)

in cui, nella (11), l’ultima uguaglianza deriva dall’aver assunto che il filtro non alteri la componente continua. Risolvendo la (11) rispetto ad L si ha:

min

min0

20 3322

4L

IfV

IfV

Luin

in

uin

in ==⋅

>πππ (12)

dove, nell’ultima uguaglianza, ci si è posti, al solito, nelle condizioni di caso peggiore, ossia, quando il livello di corrente che giunge al carico è il minore possibile (Iumin). La (12) esprime il nuovo vincolo sull’induttanza che permette di mantenere sempre i(t)>0.

Page 25: Elettronica di Potenza3

71

Si vuole, ora, esaminare la caratteristica di uscita del raddrizzatore AC/DC in presenza di un filtro LC:

fig.3 L’analisi di tale caratteristica viene svolta in termini di variazioni della corrente media in uscita e non di induttanza, in quanto, una volta effettuato il progetto e determinato L, ciò che risulta significativo è proprio la variazione della corrente. Come si può osservare in figura 3, per valori di corrente maggiori di Iu0min, l’uscita del convertitore risulta proprio pari al valore medio, cioè 2Vin/π e la resistenza d’uscita sarà nulla. Violare il vincolo su Iu0min significa, innanzitutto, che l’induttanza considerata non è sufficiente a garantire sempre una corrente maggiore di zero con la possibilità, dunque, che la i(t) si annulli. Se si considera, in figura 3, il tratto tratteggiato, l’analisi numerica risulta piuttosto complessa, in quanto si dovranno prendere in esame anche le equazioni dei diodi, per poter decidere gli istanti di accensione e di spegnimento. Il fatto che la corrente possa annullarsi per alcuni istanti di tempo, infatti, non significa più che i diodi conducono a coppie (nel caso del raddrizzatore a ponte intero) per un intero semiperiodo, ma esistono degli istanti nei quali tutti i diodi sono spenti. Perciò, pur rimanendo il circuito simmetrico, gli intervalli di conduzione si riducono rispetto a T/2 e il calcolo di tali tempi risulta complesso ma, soprattutto, di scarso interesse in questo contesto, dal momento che il buon progetto del filtro deve farci evitare di lavorare lungo il tratto di caratteristica tratteggiato. Un’idea dell’andamento qualitativo della caratteristica lo possiamo avere considerando le condizioni estreme di funzionamento. A tal fine si supponga di essere in assenza di carico, Iu0 = 0, ossia a vuoto: la capacità, allora, potrà caricarsi fino alla massima tensione pari a Vin. Al di sotto di Iu0min, invece, la tensione d’uscita sarà variabile con il tipo di carico considerato, ma, soprattutto, si perderà la proprietà cercata di resistenza d’uscita nulla. 3.2.3.1 Esempio Si trovino i valori di L e C che soddisfano le specifiche dell’esempio precedente (filtro induttivo) al fine di poter realizzare un confronto significativo, ossia:

Page 26: Elettronica di Potenza3

72

000lim

0

0

5

44.0

50

200

=

≤≤

=

=

γ

AIA

Hzf

VV

u

in

u

Si supponga, inoltre, di considerare un sistema completo di trasformatore che, dovendo arrivare ad una tensione Vu0 = 200V, parta da un valore VA = 230VRMS (Volt efficaci). In questo caso, si dovrà fare anche un dimensionamento di massima del trasformatore in termini di correnti che deve sopportare e in termini di rapporto spire. Quindi, poiché vale

πin

u

VV

20 =

si ha

VVV uin 3142 0 ==π

e ancora

RMSin

RMSin VV

V 2222

)( == (1)

Data la (1), è possibile determinare il rapporto spire di un trasformatore come:

97.0230222)(

1

2 ≅==A

RMSin

V

V

nn

(2)

dove VA rappresenta la tensione di rete e Vin la tensione che serve per avere un buon livello di corrente in uscita. L’idea, dunque, è quella di fissare il livello di tensione in uscita che, essendo legato all’ampiezza della tensione sinusoidale, permette di inserire un trasformatore il cui rapporto spire viene determinato dalla (2). Tale trasformatore potrà, naturalmente, sopportare dei livelli di corrente che dipendono sostanzialmente dalla sezione del filo degli avvolgimenti; se si è eseguito un buon progetto, avendo dimensionato il filtro in modo da ottenere una bassa ondulazione, poiché l’induttanza attenua tutte le componenti alternate, si avrà :

AIII uRMSinRMS 40)( =≅=

ossia la corrente efficace è uguale alla corrente efficace in ingresso, in quanto ciascun diodo conduce per un semiperiodo e, quindi, in ingresso al trasformatore si ha la somma delle correnti efficaci e la corrente efficace è circa uguale alla corrente media. Per essere più precisi, si dovrebbe calcolare la 1a armonica di corrente. Tuttavia, avendo scelto L e C con un certo margine, si può considerare semplicemente Iu0, senza bisogno di calcolare la 1a armonica. Se, dunque, si vuole eseguire il progetto del filtro, dovrà essere:

Page 27: Elettronica di Potenza3

73

( )23

lim2 sec1024.04

32 −⋅=>

γπ infLC (3)

e anche

HIf

VLL

uin

in 53.03 min

02

min ==>π

(4)

L’ultimo vincolo, espresso dalla (4), è ancora scomodo da realizzare, sebbene L sia stata ridotta di ben due ordini di grandezza rispetto al valore ottenuto per il filtro del primo ordine; il valore di induttanza, infatti, è ancora troppo elevato e i costi sono notevoli. Dalla (3) e dalla (4), si possono assumere, per comodità, i seguenti valori:

L = 1H C = 240 µF

Per dimensionare i diodi, poi, si considera:

AII

I uRMSRMSD 8,2

22

max0

max

)( =≅=

in cui si ricorda che il valore efficace di corrente ID(RMS) è il valore massimo diviso per la radice di due, in quanto ciascun diodo conduce per mezzo periodo. Il valore medio di corrente nei diodi, invece, è pari a

AI

I uD 2

2

max0

0 ==

Per ciò che riguarda la corrente di picco, poiché il diodo vedrà praticamente la continua, essendo state eliminate le componenti alternate, si ha:

uD Ii ≅ e la tensione di breakdown, considerando uno schema a ponte intero, varrà:

VVV inBD 314=> Come si può notare dai risultati ottenuti, lo stress dei componenti non è particolarmente elevato, in quanto ci si ritrova con valori di correnti di picco e medie sostanzialmente paragonabili tra loro. Lo stress sui componenti, infatti, diventa critico quando i valori di picco risultano molto più elevati (uno/due ordini di grandezza) rispetto a quelli del valore medio di corrente. L’unico problema che rimane sono i valori di induttanza ancora troppo elevati. Quando si devono, quindi, realizzare applicazioni a basso costo e non si vogliono usare dispositivi ingombranti, si dovrà rinunciare del tutto alle induttanze, anche a scapito delle prestazioni, realizzando un semplice filtro C. Quest’ultimo, infatti, permette di

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74

ridurre i costi, ma richiede, al fine di ottenere buone prestazioni, un dimensionamento dei diodi più oneroso e quindi una loro qualità superiore; il costo più elevato dei componenti a semiconduttore sarà compensato dal minore costo del filtro, dalle piccole dimensioni e conseguentemente dalla riduzione notevole degli ingombri. 3.2.4 Filtro C Il filtro C viene realizzato con una sola capacità, come mostra il seguente schema

fig.1 Rinunciare all’induttanza L comporta sicuramente dei vantaggi in termini di ingombro e costi, ma significa anche rinunciare al vincolo sulla corrente i(t) > 0 e, quindi, Ru = 0 violando il vincolo L > Lmin. Ciò comporta, di fatto, una variazione della tensione di uscita con la corrente assorbita e una conseguente perdita in termini di prestazioni. Ciò che viene mantenuto sono le prestazioni in termini di ondulazione γ, a condizione, comunque, di aumentare notevolmente il valore della capacità C. Alla fine, si baratta il fatto di non avere resistenza di uscita nulla e prestazioni di uscita comunque buone con maggiore costo dei componenti a semiconduttore e assorbimento dalla rete AC di correnti molto impulsive; in particolare, si può riuscire a ridurre la Ru fino a renderla sufficientemente piccola, anche se non idealmente nulla. E’ opportuno sottolineare il problema (che non verrà approfondito in questa sede) della forma d’onda in ingresso che, idealmente, nel caso di filtro ad ingresso induttivo, è circa un onda quadra; nel momento in cui si inserisce un filtro capacitivo, come già affermato, la conduzione dei diodi avviene per intervalli di tempo minori dell’intero semiperiodo e, in alcuni istanti, la corrente i(t) tende ad annullarsi. Tale fenomeno rende la forma d’onda in ingresso più impulsiva rispetto alla normale onda quadra, come si evidenzia in figura 2:

Page 29: Elettronica di Potenza3

75

Iin t

fig.2

Tale modalità di assorbire corrente, oltre a comportare problemi nel dimensionare i diodi, non è particolarmente gradito al fornitore di energia (rete AC). Per capire meglio il problema si pensi, ad esempio, ad un generatore sinusoidale: è ovvio che solo la componente sinusoidale estrae potenza da un tale generatore, mentre tutte le altre armoniche non estraggono alcuna potenza; dunque, da un generatore continuo si vorrebbe estrarre solo la continua e da uno sinusoidale solo la componente sinusoidale, perché sono rispettivamente le uniche componenti che estraggono realmente potenza, tutte le altre armoniche di corrente rappresentano un disturbo. Questo giustifica in parte perché, tornando alle forme d’onda considerate in figura, esse fanno funzionare male gli apparati di rete, dando problemi nel modo di assorbire energia, causando dissipazioni ulteriori sulla rete e, in generale, portando ad un cattivo sfruttamento della sorgente. Tutto questo per dire che il tipo di apparati in considerazione presenta dei problemi anche per quanto riguarda l’ingresso, in particolare, quando si ha a che fare con potenze elevate. A tale proposito, si dovranno necessariamente attuare opportune modifiche per migliore le cose, in quanto le normative in vigore e l’ente distributore di energia elettrica (ENEL) non consentono di assorbire energia con una forma d’onda del tipo visto. Sarà, dunque, necessario usare dei filtri di ingresso, ma non si vuole entrare nel merito di tale argomento che è approfondito nel corso di elettronica industriale. Quindi, il fatto di aver tolto l’induttanza si paga, non solo con una maggior difficoltà nel dimensionamento dei diodi e un loro costo superiore dovuto al fatto che devono sopportare forti correnti impulsive, ma anche con una maggiore difficoltà e aumento dei costi di interfacciamento con la rete AC. Quest’ultimo problema non può essere assolutamente trascurato, essendoci delle normativi che obbligano ad assorbire corrente dalla rete in un certo modo, proprio per garantire a tutti gli utenti connessi, e non solo al singolo, un adeguato servizio. A questo punto si vuole analizzare nei dettagli come si comporta il convertitore AC/DC, a doppio secondario a presa centrale, in presenza di un filtro capacitivo. Si osservi che la formula (3) ricavata nel paragrafo 3.2.1 non è più valida in questo contesto in quanto v≠|vIN|. Si andrà ad effettuare un’analisi semplificata, poiché l’oggetto presenta una notevole complessità dovuta alla mancanza di certezza sullo stato dei diodi; mentre nei casi precedentemente descritti, infatti, essi conducevano ciascuno per un semiperiodo, ora non si può sapere con precisione il tempo di conduzione di ciascuno che dipende, in realtà, dal carico, o, più in generale, dal blocco RC, per il quale sarà importante determinare quanto tempo impiega la capacità C a scaricarsi sulla resistenza R. Si sta, dunque, trattando un problema non lineare dinamico, cioè si dovrà studiare la non linearità dei diodi unitamente alla dinamica del convertitore; tale problema non è risolvibile, se non passando attraverso delle soluzioni numeriche particolarmente

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76

scomode e quindi non verrà trattato dal punto di vista analitico nella sua formulazione “esatta”, ma si farà solamente un’analisi di tipo semplificato. Si prenda in esame la figura 3: si consideri la tensione sinusoidale in ingresso, come mostrato nel primo grafico di figura 3 e si consideri nel secondo grafico, a tratteggio, il suo modulo. Tale tensione è quella che si dovrebbe avere all’ingresso del filtro se scorresse sempre corrente nel ponte a diodi. Si consideri, poi, come istante iniziale, t = 0, supponendo che tutto sia spento e che, dunque, anche la capacità sia scarica. Mano a mano che la tensione Vin sale, aumenta anche la tensione ai capi della capacità, seguendone l’andamento; nel transitorio iniziale, infatti, la tensione di uscita segue esattamente la tensione di ingresso. Successivamente, quando la Vin inizia a calare, la capacità tende a mantenere costante il valore di tensione ai suoi capi e quindi il diodo D1 vede una tensione V > Vin e si spegne.

fig . 3 Inizia, allora, la scarica di C, che continua fino a quando la tensione ai suoi capi non torna ad essere inferiore alla Vin all’anodo dell’altro diodo che, a sua volta, entrerà in conduzione. In tale situazione, con un diodo acceso, il raddrizzatore, si comporta come un generatore ideale di tensione, si ritrova in parallelo al gruppo RC e torna a caricare la capacità e, quindi, a portare di nuovo alta la tensione ai suoi capi; la tensione d’uscita, ora, segue nuovamente la tensione di ingresso. In sostanza, si ha una fase in cui il diodo è interdetto, durante la quale, essendo il gruppo RC sconnesso, si ha la scarica di C su R e la tensione tende a calare; quando, però, la tensione ai capi del gruppo RC torna ad essere più piccola di quella d’ingresso, il diodo ritorna in conduzione, fornendo energia e facendo risalire la tensione in uscita. È, dunque, ovvio che gli intervalli di conduzione sono solo quelli ad andamento sinusoidale (le correnti sono evidenziate nel terzo e quarto grafico di figura 3).

Page 31: Elettronica di Potenza3

77

Calcolare la forma esatta della corrente nei due diodi è piuttosto complesso. Sicuramente è rimasta inalterata la proprietà di simmetria del circuito e, quindi, non sono stati introdotti problemi per ciò che riguarda la componente continua in ingresso. L’analisi svolta dal punto di vista qualitativo, può essere tradotta in termini matematici, in maniera diretta, come segue:

>=

=>≥=

0 se

0 se

ivv

ivvvvv

inu

inu

inu

E’ ovvio che il valore medio della tensione di uscita non sarà perfettamente una continua, ma presenterà degli scostamenti che dovranno essere il più possibile ridotti, dimensionando opportunamente la capacità. Si può osservare che la forma d’onda ottenuta è fortemente dipendente dalla resistenza d’uscita; ciò è evidenziato, dal punto di vista matematico, dalla costante di tempo τ = 1/RC presente nelle espressioni seguenti:

( )

>=

==−

0 se

0 se

ivv

ietvv

inu

RC

tt

offuu

off

(1)

Quindi, tale forma d’onda dipenderà fortemente dalla resistenza di carico R e, dunque, al variare di quest’ultima varierà fortemente la pendenza dell’esponenziale che la contiene. Come risultato si otterrà una scarica più o meno rapida della capacità C e un conseguente maggiore o minore abbassamento di tensione in uscita nei periodi di scarica di C. Durante tale periodo la resistenza di uscita sarà non nulla (Ru≠0) e si perderà la proprietà di indipendenza del valore di tensione di uscita dalla corrente assorbita dal carico. Alla luce di tali considerazioni, si può tentare di impostare una soluzione numerica; l’andamento del transitorio è noto ed ha andamento esponenziale, in quanto si tratta di un gruppo RC, come mostra la prima delle (1). Si conosce, inoltre, la forma d’onda sinusoidale del generatore definita dalla seconda delle (1). Unendo queste due e risolvendo per via numerica, si ricava ciò che interessa, ossia: ton e toff . Tali equazioni, essendo composte da un’esponenziale e una sinusoide, risultano difficili da risolvere analiticamente e, l’alternativa è procedere per via numerica utilizzando un programma di simulazione circuitale. Per arrivare tuttavia ad ottenere un semplice criterio di progetto della capacità C, è possibile introdurre alcune semplificazioni. È ovvio che, se si considera una costante di tempo molto elevata, l’ondulazione si riduce molto, perché la capacità impiega molto tempo a scaricarsi e la tensione in uscita tende a restare circa costante nel semiperiodo. Quindi, se la costante RC è grande, il tratto obliquo avrà una pendenza limitata e, di conseguenza, l’intervallo di tempo in cui i diodi rimarranno in conduzione sarà sempre minore. Di fatto, l’analisi semplificata prevede di considerare le seguenti relazioni:

RC >> T/2 ∆TON << T/2

toff ≈ T/4

Page 32: Elettronica di Potenza3

78

in cui T rappresenta il periodo della forma d’onda di rete, ton è l’istante di accensione del diodo, toff è quello di spegnimento, mentre ∆TON è la durata dell’intervallo, ossia ∆ rappresenta un intervallo, mentre ton e toff sono valori assoluti di tempo che differiranno dal ton successivo di un periodo T. Se si estremizza il tutto, si può dire che la forma d’onda ottenuta prevede che la carica della capacità sia praticamente istantanea, cioè ∆TON ≈ 0, e che la scarica, se la costante RC è molto elevata, avvenga in modo praticamente lineare (scarica lineare significa: dv/dt = cost., cioè a corrente costante). Questa è ovviamente un’approssimazione (in quanto non è realizzabile con una semplice capacità, ma sarebbe necessario un componente attivo). Tali approssimazioni, tuttavia, possono essere impiegate per formulare in modo ragionevole il vincolo di progetto sulla capacità e, nell’ottica di avere valori elevati di C, permettono di ottenere dei numeri sufficientemente attendibili per un progetto iniziale. Riassumendo, le ipotesi fatte sono: Ø costante di tempo RC elevata (⇒ intervalli di tempo di conduzione dei diodi molto

piccoli) Ø ton ≈ toff e conseguentemente: carica istantanea e scarica a corrente costante

Ciò che si ottiene è una tipica forma d’onda a dente di sega come mostrato in figura 4:

fig.4 avendo, quindi, approssimato il tratto di sinusoide presente nel secondo grafico di figura 2 con un tratto di retta, data l’istantaneità di carica di C supposta. Sulla base di queste approssimazioni, il picco dell’onda triangolare diventa Vin e ∆Vu ne rappresenta l’altezza. A questo punto, è facile ricavare il valor medio della tensione di uscita, facendo riferimento all’onda triangolare, ossia:

20

uinu

VVV

∆−= (2)

dove ∆Vu indica la variazione di tensione sulla capacità, che si può scrivere come:

CQ

Vu

∆=∆

e avendo supposto la scarica a corrente costante, il livello di corrente è approssimabile con Iu0 e, quindi, la variazione di carica può essere scritta come prodotto della corrente per il tempo che scorre, cioè:

Page 33: Elettronica di Potenza3

79

in

uuu Cf

IC

TIV

2200 =

⋅=∆ (3)

sostituendo, ora, la (3) nella (2) si ottiene

in

uinu Cf

IVV

40

0 −=

Si nota che in questo caso, pur avendo supposto tutti i componenti ancora ideali, ci si ritrova con il valore medio della tensione d’uscita che dipende dal valore medio della corrente assorbita dal carico. Quindi, se si ricava la resistenza d’uscita, si ha:

04

1

0

0 ≠=−=inu

uu CfdI

dVR (4)

dove il segno meno è dovuto al verso preso uscente per la corrente; dunque, la resistenza d’uscita è diversa da zero anche nel caso ideale. Ovviamente, nella (4) compare un termine di progetto, rappresentato dalla capacità C e si nota chiaramente che, all’aumentare di quest’ultima, la resistenza di uscita tende a zero; questo, tutto sommato, va a vantaggio dello scopo che ci si vuole prefiggere, perché si tenderà ad inserire una capacità grossa per spianare molto l’ondulazione, ottenendo allo stesso tempo una Ru prossima a zero. Il problema principale, tuttavia, è dovuto al fatto che più grossa è la capacità, maggiori saranno i picchi di corrente che i diodi dovranno sopportare, perché gli intervalli di conduzione di questi ultimi si stringono. Dal momento, infatti, che la carica è data, circa, dal prodotto Iu0⋅T/2, se l’intervallo di conduzione dei diodi diventa prossimo allo zero, è necessario ristabilire questa carica in un intervallo di tempo piccolissimo, ossia, la carica che la capacità perde, quando non è connessa al ponte a diodi, la si deve ricostruire durante brevissimi istanti di conduzione dei diodi stessi. Se, dunque, dal punto di vista geometrico la carica può essere vista, sostanzialmente, come l’area racchiusa dal picco di corrente, quanto più saranno brevi gli istanti di conduzione dei diodi, tanto più elevati diventeranno questi picchi. In conclusione, capacità elevate comportano stress maggiori sui dispositivi, che sono costretti a sopportare correnti molto impulsive. Questo è il problema principale di questo tipo di circuiti, unitamente a quello causato dalla forma d’onda impulsiva in ingresso nei confronti dell’ente fornitore di energia elettrica. Si dispone, ora, di tutti i parametri che consentono di calcolare il valore efficace delle componenti alternate; VuaRMS, per una forma d’onda triangolare (dente di sega o altre), vale sempre:

32u

uaRMS

VV

∆=

in cui ricordiamo che il valore efficace delle componenti alternate rappresenta tutte le componenti esistenti tranne il valore medio; graficamente, le componenti alternate corrispondono alla forma d’onda traslata in basso fino ad ottenere valore medio nullo.

Page 34: Elettronica di Potenza3

80

È possibile, ora, procedere al dimensionamento della capacità C, ricordando l’espressione del fattore di ondulazione:

lim

0

0

00 34

1

3432γγ <==

∆==

RCfVCf

I

V

VV

V

inuin

u

u

u

u

uaRMS

e risolvendo rispetto a C

limmin34

1

γinfRC >

dove con Rmin si è considerato il caso peggiore, mettendosi nelle condizioni di maggior assorbimento di corrente che implica un minor tempo di scarica di C. Quest’ultima formula, al pari di quelle già viste per il filtro induttivo ed LC, permette di fornire un dimensionamento di massima della capacità. Si vedranno, ora, i passaggi matematici che portano a definire le espressioni delle correnti di picco, medie ed efficaci degli interruttori. Si consideri, innanzitutto, un sistema di riferimento centrato sul picco della forma d’onda, in modo da ottenere una funzione di tipo coseno, come mostrato in figura 5:

fig. 5

Dopodiché, sapendo che la tensione d’uscita è pari a quella di ingresso per un istante di tempo ∆ton, si può scrivere

tVv ininu ωcos= con t ∈ ∆ton Si consideri, quindi, il circuito di figura 6:

i ic iu C R vu fig. 6

è possibile scrivere ancora:

Page 35: Elettronica di Potenza3

81

uu

uc idt

dvCiii +=+=

Se si considera un buon filtro, tutte le componenti alternate sono già state drenate dalla capacità, considerata robusta, e, quindi, la corrente iu è approssimabile con la sua componente continua, ossia:

0uu I

dtdv

Ci +≅

calcolando, ora, la derivata si ottiene

( ) 0uininin ItsinCVi +−≅ ωω E’ possibile, poi, introdurre un’ulteriore approssimazione e, precisamente, poiché ci si sta muovendo verso una bassa ondulazione e quindi valori di ∆ton piccoli, si lavora nell’intorno di t = 0 in cui la funzione seno è approssimabile con il suo argomento, cioè:

( ) ttsin inin ωω ≈ ottenendo

02

uinin ItCVi +−≅ ω

Sotto le approssimazioni viste, la corrente i, che scorre alternatamente in ciascun diodo, è diventata una funzione lineare del tempo e si trova la seguente condizione:

per t = 0 i = Iu0 = I0 La seconda uguaglianza deriva dal fatto che la capacità non fa passare la componente continua e, quindi, le due componenti continue di I e di Iu saranno uguali. Avendo una pendenza negativa, poi, l’andamento sarà decrescente al crescere del tempo e con i si identifica il valore della corrente massima. L’approssimazione introdotta su ∆ton consente, dunque, di approssimare la corrente i e, conseguentemente, la corrente dei diodi con un andamento triangolare, come mostrato in figura 7:

fig. 7

Page 36: Elettronica di Potenza3

82

Lo scopo finale di questa analisi è quello di riuscire ad ottenere l’espressione di ∆ton che consentirà il calcolo di tutte le altre espressioni di corrente. Il valore medio della corrente i è dato, dal punto di vista geometrico, dall’area del triangolo e si deve, però, tenere conto che la corrente i ha due triangoli in ogni periodo, perché i diodi conducono alternativamente; per il valore medio si ha quindi:

Tit

II onu

22

ˆ00

⋅∆==

da cui

if

It

in

uon ˆ

0

⋅=∆ (5)

in cui si è sostituita la frequenza all’inverso del periodo. Poiché, inoltre, vale che

onininon tfCVtdtdi

i ∆=∆= 224ˆ π (6)

sostituendo la (6) nella (5) si ottiene:

onininin

uon tfCVf

It

∆=∆

220

da cui, ancora

2202

22 ininin

uon fVCf

It

π⋅=∆

ricordando, infine, l’espressione

in

uu Cf

IV

20=∆

si ricava la formula finale:

222 inin

uon fV

Vt

π∆

=∆

dove tutti parametri sotto radice sono noti. Si osserva che, al diminuire di ∆Vu, cioè quando si vuole un ripple basso, l’intervallo ∆ton tende a zero. Si possono ricavare, ora, i valori della corrente di picco (che essendo una funzione inversa di ∆ton , tende ad infinito per ∆ton tendente a zero) e il valore della corrente efficace, che si vede dipendere, come intuibile, sia dal valore medio che dalla corrente di picco:

Page 37: Elettronica di Potenza3

83

2

ˆˆ3

ˆ2

22ˆ

0

000

0

RMSDRMS

Du

RMS

uD

onin

u

II

iiiI

I

III

tfI

i

=

==

==∆

=

Un altro problema importante che merita di essere analizzato è quello relativo al transitorio di accensione del circuito. Si è detto, infatti, che l’interesse principale è riservato al comportamento del circuito a regime, salvo, tuttavia, il caso in cui il transitorio comporti dei problemi o causi dei danni al sistema complessivo. Questo, infatti, è ciò che può accadere in circuiti di tal genere; si è supposto, inizialmente, di partire con una forma d’onda in una situazione cosiddetta di “tutto scarico”, con la capacità C scarica e si è considerata la funzione seno a partire dal valore zero della tensione di rete. Se, invece, il circuito viene acceso nel momento in cui la tensione di rete è massima o, comunque, molto elevata, il diodo entra subito in conduzione, essendo C scarica, e quindi si applica alla capacità il massimo della tensione di rete (220 V efficaci). Graficamente:

quindi la capacità vede un salto di tensione pari a Vin e, poiché la corrente è pari a

∞→=dtdv

Ci

si ottiene, teoricamente, una corrente infinita, anche se in realtà gli elementi parassiti del diodo e le resistenze dei fili faranno sì che la corrente non sia infinita ma, comunque, abbia dei picchi molto elevati, che possono danneggiare o la capacità stessa oppure, probabilmente, i componenti a semiconduttore. Ecco perché, dunque, il transitorio di accensione di questi circuiti deve essere valutato con attenzione; in particolare, si dovrà controllare che i componenti parassiti siano tali da limitare questa corrente. Non potendo sempre sapere, tuttavia, con certezza il valore totale dei componenti parassiti presenti nel circuito, si inserisce appositamente una resistenza serie detta di limitazione, che garantisce che la corrente massima rimanga sotto un determinato valore (si veda la figura sotto).

Page 38: Elettronica di Potenza3

84

Rs C R

In particolare possiamo scrivere:

limˆˆ iRV

is

in <=

dove si è indicato con i lim la corrente di picco non ripetitiva del componente, ricavabile sui “Data Sheet”. Si osservi che la corrente di picco non ripetitiva è decisamente maggiore della corrente di picco ripetitiva, ossia quella che scorre sui diodi ogni periodo, dato il funzionamento del circuito. La resistenza Rs verrà scelta dell’ordine di qualche Ohm; tuttavia, essendo i valori di corrente molto elevati, dissiperà molta potenza (nell’ordine delle centinaia di Watt). Per evitare, allora, dissipazioni inutili, dal momento che la Rs di limitazione serve solamente durante il transitorio, si può utilizzare un interruttore temporizzato in parallelo alla resistenza stessa, che viene, quindi, cortocircuitata dopo il transitorio iniziale. 3.2.4.1 Esempio Si considerino i seguenti dati e specifiche, si dimensioni opportunamente la capacità C e si ricavino i valori dei parametri caratteristici del filtro C:

Vu0 = 300V Iu0max = 2A γlim = 1%

ricordando l’espressione per il dimensionamento di C si ottiene:

FfR

Cin

µγ

192534

1limmin

=>

con

Ω=== 1502

300max0

0min

u

u

IV

R

Scegliendo, allora, per C un valore maggiorativo come, ad esempio, C = 2000µF si ottiene:

Page 39: Elettronica di Potenza3

85

Ω== 5.24

1

inu Cf

R

E’ necessario, ora, progettare la sinusoide di ingresso che uscirà dal trasformatore che sarà:

Vin = Vu0 + RuIu0 = 305V valore che deve essere rapportato alla tensione di rete di 220V tramite il giusto rapporto spire del trasformatore. Proseguendo, si ricava:

VCfI

Vin

u 102

0 ==∆

e sulla base di questo risultato è possibile calcolare

sec8.02 22 m

VfV

tinin

on =∆

=∆π

che rappresenta il tempo di conduzione dei diodi. Si può, ora, calcolare anche il resto dei parametri caratteristici:

AI

I

AI

IAI

iAi

uD

RMSDRMSRMS

D

12

8.52

2.8

ˆ50ˆ

00 ==

==⇒=

==

Da questi risultati si può notare quale sia il livello di stress sui componenti; infatti, cercando delle ondulazioni piccole (1%), si è costretti ad inserire dei diodi che sopportino 50A di corrente di picco a fronte di solo 1A di corrente media. In realtà, un diodo in grado di reggere 50A di corrente di picco, sarà necessariamente in grado di sopportare anche 3÷4 A di corrente media e questo, d’altra parte, comporta inevitabilmente un aumento dei costi. 3.3 Convertitori DC/DC quasi lineari (Regolatori di tensione) Nel paragrafo precedente si è evidenziata la difficoltà di ottenere dei convertitori AC/DC con buone prestazioni in termini di ondulazione residua in uscita. Come si è visto, il problema maggiore è dovuto al costo elevato dei filtri e al sovradimensionamento dei componenti. Il convertitore AC/DC non garantisce nemmeno l’indipendenza dalla variazione della tensione di rete; infatti, qualsiasi sia il filtro utilizzato, nell’espressione del valore medio della tensione di uscita compare sempre l’ampiezza della tensione di rete, la quale, variando, rende altrettanto variabile lo stesso valore medio di uscita. L’ente fornitore di energia elettrica, infatti, non garantisce una tensione di 220V efficaci

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costanti, ma da una eventuale misura si potrà riscontrare una tensione variabile fra i 215÷230V o anche peggio. Ciò giustifica l’inserimento, accanto ai blocchi AC/DC, di circuiti DC/DC, detti anche regolatori di tensione, il cui compito è quello di stabilizzare la tensione di uscita. Il sistema complessivo che ne risulta è detto alimentatore stabilizzato:

fig. 1 e alla sua uscita fornisce realmente una tensione continua, di buona qualità e indipendente dalla tensione di rete. Nell’ambito di questo corso ci si limiterà ad analizzare i regolatori di tensione DC/DC quasi lineari. Esistono anche altri tipi di regolatori, per esempio i regolatori switching, riguardo ai quali verrà fatto un breve accenno e che vengono, invece, approfonditi nel corso di elettronica industriale. Si vuole, ora, prendere in esame il convertitore quasi lineare o di tipo serie. Con il termine quasi lineare si vuole indicare la zona di funzionamento lineare (zona attiva normale per un BJT e zona di saturazione per un FET) dei dispositivi attivi presenti all’interno del convertitore, zona nella quale tali dispositivi realizzano l’operazione di amplificazione lineare. Tutto ciò è in contrapposizione ai regolatori di tipo switching dove, invece, i dispositivi di tipo attivo vengono utilizzati come interruttori e, dunque, commutano da uno stato di interdizione ad uno stato di forte conduzione (saturazione per un bipolare, zona triodo per un FET). Quindi, la grossa differenza tra i due tipi di convertitori sta proprio nella modalità di funzionamento: i convertitori quasi lineari hanno i dispositivi che lavorano in zona attiva e, proprio per tale motivo, operano in condizioni di alta tensione e contemporaneamente alte correnti e la dissipazione, di conseguenza, è molto elevata; quelli di tipo switching, invece, utilizzano i dispositivi come interruttori per cui, se sono tutti spenti, la potenza dissipata è dovuta soltanto alle correnti di perdita e, quindi, è trascurabile, se sono tutti accesi, invece, qualora il transistore sia buono, si avrà una bassissima tensione di conduzione (Von = 0.2÷0.3V) e, dunque, la potenza dissipata sarà poca. In ultima analisi, i convertitori switching nello stato off sono buoni, in quanto si hanno basse correnti di perdita, mentre nello stato ON sono tanto migliori quanto più piccola è la caduta di tensione ai capi dei transistori. Nei dispositivi di potenza si riesce a rendere la Von molto piccola e, quindi, la dissipazione nello stato ON, pur non essendo proprio nulla, risulta comunque molto più piccola di quella che si avrebbe in uno stato di conduzione normale, cioè in zona lineare. Tutto ciò fa capire come i convertitori lineari, a differenza degli switching, sono pensati per basse potenze, perché la dissipazione sui dispositivi porta a bassi rendimenti. Il valore di potenza di utilizzo di tali regolatori è diventato, nel tempo, sempre più basso in seguito all’evoluzione tecnologica, che ha portato la soglia del dispositivo che conviene utilizzare dai 100Watt di un tempo ai 20Watt di oggi. Sopra i 20 Watt si usano, solitamente, i convertitori switching, mentre, laddove è richiesta un’elevata qualità, si continuano ad usare i

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convertitori quasi lineari, perché garantiscono ottime prestazioni per ciò che riguarda la componente continua in uscita, grazie alla loro zona di lavoro lineare, senza necessità di ulteriori filtraggi. Ciò non è sempre garantito dai convertitori switching, a meno di elevati costi dovuti alla necessità di successivi filtraggi; essi sono comunque ottimi per rendimento e consumi. Si osserva che la realizzazione dei convertitori quasi lineari, avviene in discesa, cioè la tensione di uscita Vu è sempre minore della tensione di ingresso Ve, come mostrato in figura 1. Per la modalità switching ciò non è più vero, infatti, tale convertitore può essere realizzato anche in salita. Analizzando la figura 1, si può notare che la tensione Vx rappresenta la tensione di controllo regolabile, che consente di ottenere una data tensione di uscita. In assenza di Vx si avrà un regolatore non controllato e la tensione in uscita sarà fissa; variando Vx, invece, si potrà ottenere, in uscita, il livello di continua desiderato. Si vuole, ora, entrare un po’ più nel merito di un convertitore e studiarne nei dettagli la realizzazione. Innanzitutto, per creare un buon regolatore di tensione serve avere, necessariamente, un buon generatore di riferimento, in quanto non è possibile realizzare qualcosa di stabile se non si parte da una sorgente che fornisce un riferimento stabile di tensione. Tale generatore viene realizzato, nella maggior parte dei casi, con un diodo Zener, che è un diodo nel quale si va ad operare non nella regione diretta, ma nella regione inversa. Si ricorda che in tale zona la corrente è molto piccola in quanto dovuta alle sole cariche minoritarie; si osserva però che rendendo sempre più negativa la tensione, si arriva ad un punto detto di breakdown, nel quale si riscontra un’improvvisa crescita della corrente. La caratteristica I-V corrispondente è mostrata in figura 2:

I VBD V

fig.2

La tensione di breakdown VBD è anche detta tensione di Zener e si indica con Vz. In realtà, confondere i due termini non è del tutto corretto, anche se dal punto di vista macroscopico in entrambi i casi si osserva un livello di tensione indipendente dalla corrente assorbita, riscontrabile graficamente nel tratto a pendenza quasi infinita. In realtà, i fenomeni che possono innescare il breakdown e lo Zener sono sostanzialmente diversi. Il fenomeno del breakdown, altrimenti detto effetto valanga, è legato alla ionizzazione da impatto, ossia, aumentando la tensione, aumenta anche il campo elettrico, aumenta la velocità dei portatori che, urtando contro il reticolo, ionizzano gli atomi, liberando coppie elettrone/lacuna. Queste ultime, ormai libere, verranno a loro volta accelerate dal campo e, urtando anch’esse il reticolo, libereranno altre coppie elettrone/lacuna, dando origine al caratteristico fenomeno a valanga con associata

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crescita elevata della corrente. L’effetto Zener, invece, definito anche effetto Tunnel, si verifica, generalmente, a tensioni leggermente più basse rispetto a quelle di breakdown e si manifesta in presenza di forti drogaggi. Tale fenomeno non è spiegabile con la fisica classica, ma è necessaria la meccanica quantistica, che afferma che in presenza di una barriera di potenziale, esiste comunque una probabilità non nulla che un elettrone possa superarla. La probabilità è tanto maggiore quanto più stretta è la barriera. In presenza di forti drogaggi (barriere molto sottili) si possono quindi avere correnti elevate. Dal punto di vista macroscopico i due fenomeni sono sostanzialmente uguali, poiché si ottiene una tensione indipendente dalla corrente assorbita. Quindi, mentre per un diodo normale il fenomeno del breakdown è da evitare, perché danneggia irreparabilmente il dispositivo, nei diodi Zener è ricercato; questi ultimi, infatti, vengono dimensionati, dal punto di vista elettrico e termico, in modo tale da potere operare alla tensione di Zener, cioè per sopportare correnti e tensioni caratteristiche di tale fenomeno. Dal punto di vista convenzionale (si ricorda che si opera in inversa), le correnti e le tensioni saranno prese con versi opposti rispetto al diodo normale, in modo tale che anche la caratteristica risulti ribaltata nel quadrante positivo:

In uno Zener ideale il tratto ad elevata pendenza sarà perfettamente verticale, il che significa che qualsiasi sia la corrente assorbita, la tensione rimane rigorosamente costante. Nella realtà esistono degli effetti resistivi che danno una pendenza minore e una buona approssimazione del diodo reale è proprio quella a due tratti rettilinei, come mostrato nella figura soprastante, in cui si tiene conto della presenza di una resistenza di Zener Rz, che può essere dell’ordine di qualche Ohm, da cui dipende la pendenza della curva. Il modello complessivo del diodo Zener è, allora, il seguente:

fig.3

La batteria Vz indica l’intercetta con l’asse delle ascisse, la resistenza Rz indica che il tratto obliquo non ha pendenza infinita, ma di valore 1/ Rz e, infine, un diodo ideale indica che al di sotto della soglia la corrente è nulla o per lo meno trascurabile. Ora, in

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pratica un tale diodo produce un effetto di rettificazione se e solo se Iz > Izmin; cioè, se la corrente scende sotto un certo livello, si torna ad operare nella regione della caratteristica a bassa pendenza, dove non si ha più il riferimento di tensione cercato. Quindi, affinché il diodo Zener svolga la sua funzione correttamente, si dovrà garantire di lavorare al di sopra del ginocchio della caratteristica, cioè con valori di corrente maggiori di Izmin. Si vuole, ora, usare lo Zener per realizzare un regolatore di tensione. 3.3.1 Regolatore DC/DC con diodo Zener Lo schema circuitale di un possibile regolatore DC/DC con diodo Zener è il seguente:

fig. 1

Tale regolatore risulta molto semplice ed è molto usato in pratica. In prima analisi si può affermare che, se il diodo Zener si comporta come ideale, indipendentemente dalla corrente assorbita, ai suoi capi presenterà una tensione Vz e, quindi, la tensione d’uscita risulta indipendente dalla tensione di ingresso. Allora, un modello troppo ideale dello Zener, cioè un modello per il quale si potrebbe pensare di sostituire lo Zener con una batteria, non è realistico. In partica si dovrà tener presente che la tensione di uscita non potrà mai essere costante, ma sarà sempre funzione della tensione d’ingresso, della corrente assorbita e della temperatura, cioè:

Vu = Vu(Ve, Iu,ϑ) (1) L’obiettivo è, ora, di iniziare a vedere come le prestazioni del regolatore in termini di componenti circuitali siano legate alle variazioni di tensione d’ingresso, di corrente assorbita e di temperatura. Passando alle variazioni e usando derivate parziali rispetto alle variabili della funzione (1) si può scrivere:

ϑϑϑ ϑ ∆+∆−∆=∆

∂∂

+∆∂∂

+∆∂∂

=∆ KIRVFV

IIV

VVV

V uueu

uu

ue

e

uu

Si definiscono, così, alcuni coefficienti che tengono conto delle variazioni della tensione di uscita rispetto alle cause di variazione. Si ha, allora:

Page 44: Elettronica di Potenza3

90

00

00

00

=∆=∆

=∆=∆

=∆=∆ ∆

∆=

∆∆

−=∆∆

=u

eeu IV

u

Vu

uu

Ie

u VK

IV

RVV

Fϑϑ

ϑϑ

in cui, il primo coefficiente tiene conto della variazione della tensione di uscita rispetto a quella della tensione d’ingresso ed è chiamato parametro di Regolazione, mentre il suo reciproco 1/F viene detto reiezione dell’alimentazione; il secondo coefficiente assume il significato di resistenza d’uscita; infine, il terzo coefficiente definisce la variazione della tensione d’uscita rispetto alla variazione di temperatura ed è chiamato coefficiente di temperatura. Questi tre parametri, in condizioni ideali, dovrebbero essere nulli, in quanto la ∆Vu risulterebbe nulla; in realtà, essi qualificano il regolatore e tanto più piccoli sono, tanto migliore sarà la qualità del regolatore. Si vuole vedere, ora, come si arriva a calcolare i parametri appena citati. A tale scopo, si consideri il circuito di figura 1 e si sostituisca allo Zener il suo circuito equivalente, omettendo il diodo ideale, in quanto si suppone in questa fase di lavorare ai livelli di corrente desiderati:

Ie R Iu Rz Ve Rc Vu Vz

fig. 2

Dal momento che si desidera studiare cosa succede alle variazioni, si dovrà considerare un circuito linearizzato, tenendo conto che la variazione ∆Vz della tensione della batteria diventa nulla. Dunque, si ottiene:

∆Ie R ∆Iu ∆Ve Rz Rc ∆Vu fig. 3

Page 45: Elettronica di Potenza3

91

Da ciò, è semplice dedurre i primi due parametri F ed Ru. F è definito, infatti, come ∆Vu/∆Ve , calcolato quando ∆Iu e ∆ϑ sono nulli; affermare che ∆Iu = 0, significa considerare il circuito a vuoto e, quindi, dalla definizione del parametro F e osservando la figura 3, si ottiene:

z

z

RRR

F+

=

Per ciò che riguarda il parametro Ru si ragiona in modo analogo, si andrà a cortocircuitare l’ingresso e, dunque, Ru risulterà essere uguale al parallelo di R ed Rz, cioè:

Ru = R // Rz ≈ Rz (2) Infine, si vuole calcolare il coefficiente di temperatura Kϑ che, dalla definizione, è esprimibile anche in funzione di ∆Vz:

ϑϑϑ ∆∆

∆∆

=∆∆

==∆=∆

z

z

u

VI

u VVVV

Keu

00 (3)

Il circuito che si dovrà studiare sarà, allora, il seguente:

Rz

R ∆Vz ∆Vu + -

dove si è tenuto conto della variazione ∆Vz inserendo un generatore di tensione. In tale modo, si suppone che la massima dipendenza dalla temperatura sia data dal diodo Zener. Da tali considerazioni si può scrivere

1≅+

=∆∆

zz

u

RRR

VV

infatti, se si vuole una buona regolazione, cioè una bassa sensibilità alle variazioni della tensione di alimentazione, si dovrà far tendere F a zero; a tal fine, si può agire su un unico parametro, cioè R, dal momento che la resistenza di Zener Rz è fissata. Si cercherà, allora, di utilizzare valori di R molto grandi, al fine di cercare di annullare F ed approssimare la (3) nel seguente modo:

Page 46: Elettronica di Potenza3

92

ϑϑ ∆∆

≅ zVK

ossia, il coefficiente di temperatura è circa uguale a quello del solo diodo Zener. Sempre nell’ottica di R grande e, in particolare, per R >> Rz, si possono fare alcune considerazioni sulla resistenza d’uscita, che verrà a coincidere circa con la resistenza dello Zener, come si è evidenziato nella (2) e prendere in considerazione anche la potenza dissipata, di cui si andrà a parlare qui di seguito. Si osserva, infatti, che una R grande permette di limitare notevolmente la potenza dissipata; esprimendo tale potenza sullo Zener, si ha:

( )

−≅−== u

zezuezzzz I

RVV

VIIVIVP

avendo supposto trascurabile la caduta su Rz, il che è perfettamente lecito, se si considera un diodo Zener decente. Mettendosi, ora, nella situazione di potenza massima:

−≅ min

maxmax

uze

zz IR

VVVP

dunque, come previsto, se si aumenta R diminuisce la potenza dissipata sullo Zener. Si osservi che, se il livello di potenza che viene dissipato sullo Zener è eccessivo, essendo la potenza il prodotto fra una tensione e una corrente, si potrebbe pensare di gestire l’eccesso di corrente mettendo due dispositivi in parallelo; in questo modo, fissato il livello di tensione, la corrente che un solo dispositivo non riuscirebbe a reggere viene distribuita sul parallelo dei due, così come la potenza dissipata. Se da un lato, tuttavia, tale modo di operare potrebbe sembrare vantaggioso, dall’altro si dovrà prestare attenzione al fatto che i diodi non sono ideali. Due diodi reali, infatti, pur essendo realizzati in tecnologia integrata, non sono mai identici e verrebbero a lavorare con livelli di corrente diversi. Ad esempio le loro caratteristiche potrebbero essere quelle di figura 4:

I 1 2

V fig. 4

Quindi, il livello di corrente che si pensava di poter distribuire uniformemente per distribuire la stessa potenza dissipata, non è affatto diviso in maniera uniforme, ma dipenderà dalle caratteristiche dei dispositivi. A parità di tensione, infatti, si può vedere dalla figura 4, che i livelli di corrente a cui operano i due dispositivi sono

Page 47: Elettronica di Potenza3

93

sostanzialmente diversi (vedi punti 1 e 2 di figura 4). Tale diversità può essere molto elevata e portare al danneggiamento del dispositivo che riceve la maggior parte della corrente in gioco. Si può, allora, generalizzare affermando che tutti i dispositivi con caratteristiche molto ripide, per esempio di tipo esponenziale, non devono mai essere messi in parallelo. Ciò vale, dunque, anche per transistori di tipo bipolare. Per poter mettere due dispositivi di tale tipo in parallelo, si dovranno usare delle resistenze che permettono di effettuare un reale sharing di potenza/corrente, ossia una corretta ripartizione di quest’ultima:

A questo punto, il dispositivo che conduce di più e che vede aumentare la corrente, grazie alla caduta sulla resistenza avrà una tensione ai suoi capi minore di quella che avrebbe senza R e non si danneggia. Le resistenze introducono in pratica una retroazione negativa che equilibra la distribuzione di corrente. Riprendendo il regolatore visto si può, allora, affermare che, per ottenere un buon regolatore, si dovrà avere una resistenza R >> Rz e che sullo Zener dovrà scorrere sempre un minimo di corrente, in modo tale che la zona di lavoro non sia mai sotto il ginocchio della caratteristica I-V. Nasce, dunque, la necessità di ricavare un estremo superiore per la resistenza R, date le condizioni:

minzz

z

II

RR

>>

>> (4)

Ricordando che

uez III −= trascurando la caduta sulla resistenza di Zener e sfruttando la seconda delle (4), si ottiene:

minzu

zez II

R

VVI >−

−≅

che permette di ottenere il vincolo su R, ossia:

uz

ze

IIVV

R+

−< min

Ora, supponendo di porsi nel caso peggiore, cioè quando Ve = Vemin e Iu = Iumax , il vincolo che ne deriva sarà:

Page 48: Elettronica di Potenza3

94

maxmin

min

uz

ze

IIVV

R+

−< (5)

Questo vincolo risulterà tanto più stringente, quanto più la tensione Ve sarà piccola e la corrente assorbita Iu sarà alta. Utilizzare una tensione Ve elevata comporta però rendimenti spesso inaccettabili. Per capire ciò poniamoci nella condizione più favorevole possibile e supponiamo, dunque, che la corrente sullo Zener sia trascurabile, cioè valga

eu II = Per il rendimento del regolatore si otterrà

e

u

ee

uu

VV

IVIV

≅=η

che raggiunge il suo valore massimo in

min

max

e

z

V

V=η

Dall’espressione del rendimento, si può osservare come un salto troppo elevato fra tensione d’ingresso e tensione d’uscita produca una forte dissipazione e, di conseguenza, bassi rendimenti. Il problema del rendimento basso è legato direttamente al problema dello smaltimento di calore. La potenza che non giunge al carico, infatti, viene trasformata in calore, che dovrà essere smaltito attraverso sistemi di raffreddamento (per esempio alette, ventole, ecc.) opportunamente progettati. In sostanza, bassi rendimenti significano potenza dissipata e, in ultima analisi, costi elevati per la progettazione di dispositivi che consentano lo smaltimento di calore. 3.3.1.1 Esempio Sia data la tensione di uscita Vu, la corrente di uscita Iu e la tensione di ingresso:

VVVmAIVV euu 121010006 ≤≤≤≤= in cui la variazione di Ve esprime il ripple residuo legato agli AC/DC o alla variazione di rete. Essendo Vu = 6V, sarà necessario uno Zener da 6V. Tale diodo si trova in commercio (ne esistono da 6V, 9V, 12V) e sarà il costruttore a fornire Rz e Izmin del diodo stesso. Nel caso in esame si ha:

Page 49: Elettronica di Potenza3

95

mAI

R

VV

z

z

z

10

10

6

min =

Ω==

e dovendo rispettare il vincolo su R, risulterà

Ω=+

−< 4.36maxmin

min

uz

ze

IIVV

R (6)

Si osserva che, con i livelli di corrente scelti, i risultati ottenuti non sono molto buoni; infatti, R non è molto maggiore di Rz. Inoltre, calcolando anche altri parametri significativi, approssimando R al valore di 36 Ohm, si ha:

Ω≅=

==+

=

8.7//

%2222.0

RRR

RRR

F

zu

z

z

(7)

E’ chiaro che questo non è un buon regolatore, infatti, dalla prima delle (7) si deduce che si ha una variazione della tensione di uscita rispetto all’ingresso di ben il 22%; inoltre

uuu IRV ∆=∆ e poiché

mAIu 1000 ≤≤ allora

mVVu 780=∆ Ciò significa che, rispetto ai 6V che si avevano sullo Zener, si hanno delle variazioni da vuoto a carico di 780 mV e, dunque, la tensione di uscita è tutt’altro che stabile. Per ciò che riguarda la potenza si ricava:

WIVP uuu 6.0101006 3maxmax =⋅⋅== − sullo Zener, invece, si dissipa

WIR

VVVP u

zezz 10

36612

6minmax

max =−

=

−=

e, infine, sulla resistenza R si dissipa

Page 50: Elettronica di Potenza3

96

( ) ( )W

RVV

P zeR 1

36612 22max

max =−

=−

=

Da questi calcoli, dunque, risulta che i componenti in gioco, diodo Zener e resistenza R, dovranno sopportare un Watt di potenza, quando in uscita ne vengono forniti solo 0.6W. Sarà, dunque, necessario un dimensionamento dei componenti in termini di potenza che si è in grado di gestire. Il grosso limite di questo circuito è costituito dalla corrente Iumax . Se si osserva la (6), infatti, si può notare che se si diminuisce la Iumax , essendo Izmin una quantità piccola, il vincolo sulla resistenza non crea più problemi. Dunque, si dovrà cercare di progettare il circuito regolatore in modo tale da diminuire il più possibile il livello di corrente assorbito dal carico. 3.3.2 Regolatore DC/DC con amplificatore di corrente L’obiettivo di questo regolatore è diminuire la corrente assorbita dal carico. A tale scopo si dovrà fare in modo che il diodo Zener non veda direttamente il carico, ma prima di esso veda un amplificatore di corrente. Così facendo, il vincolo sullo Zener sarà dato da una corrente I che, se l’amplificatore funziona correttamente, è molto più piccola di quella che si vede andare al carico. Lo schema circuitale è quello di figura 1:

fig. 1 Dunque, ciò che si richiede è di inserire, tra Zener e carico, un amplificatore con guadagno di corrente sufficientemente elevato. Allo stesso tempo, non si devono creare problemi a livello di guadagno di tensione, ossia, si deve mantenere una certa stabilità per tale guadagno, in quanto se l’amplificatore risente troppo delle variazioni della tensione di alimentazione, si viene a creare un blocco che causa la perdita della proprietà di stabilizzazione del circuito in esame. Un amplificatore con guadagno di corrente elevato e con guadagno di tensione poco sensibile alle variazioni dei parametri può essere, ad esempio, un bipolare in una connessione a collettore comune (emitter follower), dove l’emettitore segue la base e le variazioni tra base ed emettitore, ossia la reiezione tra le tensioni di ingresso e d’uscita dell’amplificatore, sono solo

Page 51: Elettronica di Potenza3

97

legate alle variazioni della VBE, che sono modeste. Il circuito, allora, diventa quello di figura 2:

fig. 2 Lo schema di figura 2 è di principio, ma con varianti più o meno complesse trova notevoli applicazioni pratiche. In particolare, il circuito risulta interessante, in quanto i livelli di corrente gestibili sono aumentati rispetto alla configurazione con un solo diodo Zener. A tale proposito, infatti, l’unico vincolo risulta dato da hFE, in quanto se l’amplificatore presenta guadagni di corrente elevati, la corrente di ingresso sarà hFE volte più piccola di quella di uscita

uFE

Ih

I1

=

pertanto, lo Zener vede delle correnti più piccole, addirittura prossime allo zero, che permettono una migliore regolazione. Si può, inoltre, notare che la tensione di uscita Vu non è più la tensione di Zener Vz, ma essendoci il transistor sarà:

Vu = Vz - VBE Per recuperare la soglia di tensione VBE, si può giocare sull’inserimento di altri diodi, per esempio, come mostrato in figura 3:

Iu

Ie R VBE

Ve RC Vu

Vz

fig. 3 In tal modo si riesce ad ottenere:

Vu = Vz La configurazione di figura 3, oltre a compensare la caduta di tensione sull’amplificatore, può aiutare a compensare le eventuali variazioni di temperatura, in

Page 52: Elettronica di Potenza3

98

quanto se diodo e transistor hanno lo stesso comportamento termico, le dipendenze dalla temperatura delle loro tensioni di giunzione si elidono. In definitiva, l’amplificatore di corrente ha permesso di ridurre il limite sulla corrente Iz che vede lo Zener, a patto che tale amplificatore abbia un guadagno elevato e quindi un hFE alto. Se si sale a potenze elevate e, quindi, per valori di corrente notevoli, le cose si complicano, in quanto non è facile avere transistor con hFE così elevati da soddisfare le prestazioni richieste. I transistor di potenza, infatti, per come sono realizzati, hanno degli hFE piccoli, dell’ordine delle decine ed è per questo che spesso si ricorre a delle coppie Darlington, per ottenere così degli hFE dell’ordine delle centinaia (si ricorda che nei Darlington hFE ≈ hFE1⋅hFE2). Si vogliono, ora, esaminare le prestazioni di questo particolare regolatore, calcolando i parametri F, Ru ed il vincolo su R. A tal fine, si dovrà considerare il circuito equivalente alle variazioni del circuito di figura 2, ossia:

hfe∆I ∆I ∆Iu

R hie

∆Ve Rz ∆Vu

fig. 4 Per semplicità si tralascerà il calcolo del coefficiente di temperatura. Per il fattore di regolazione F si avrà allora:

z

z

Ie

u

RRR

VV

Fu

+=

∆∆

==∆ 0

dove, avendo considerato ∆Iu = 0, si avrà ∆I = 0 e, dunque, come si può notare dalla figura 4, F risulta uguale al partitore resistivo tra R ed Rz e questo è lo stesso risultato ottenuto per il regolatore DC/DC con un solo diodo Zener. Per ciò che riguarda la resistenza di uscita, si ottiene:

hfeRRhie

IV

R z

Vu

uu

e++

=∆∆

−==∆

1//

0

Per ∆Ve = 0 si ottiene proprio la resistenza di uscita di uno stadio a collettore comune, dato dalla serie tra hie e il parallelo tra R ed Rz, diviso il guadagno di corrente. Si nota come tale valore sia stato migliorato rispetto alla configurazione precedente (DC/DC con diodo Zener), grazie al valore del guadagno di corrente che viene introdotto dall’amplificatore. Infine, l’ultima relazione sulla resistenza R si calcola,

Page 53: Elettronica di Potenza3

99

semplicemente, tenendo conto del fatto che lo Zener non vede più la sola Iu, ma quest’ultima divisa per il guadagno di corrente dell’amplificatore, cioè:

min

max

min

1 zFE

u

ze

Ih

IVV

R+

+

−< (1)

La (1) definisce un vincolo notevolmente migliorato rispetto alla configurazione a solo Zener, infatti, risulta meno limitativa proprio grazie alla presenza del guadagno di corrente AI = 1 + hFE, che consente una R di valori maggiori, anche di un paio di ordini di grandezza, rispetto al caso precedente. Si osservi che tutte le considerazioni fin qui svolte valgono solamente se il transistor non è saturo, perché se lo fosse, il guadagno di corrente calerebbe in modo drastico e verrebbe meno la funzione per cui è stato impiegato. Dovrà, quindi, valere la relazione

satCECE VV >

o, più in particolare:

sat

CEeu VVV −≤ (2) e al massimo, nella (2), potrà valere l’uguaglianza. Per scegliere il componente sarà poi necessario verificare quali valori di tensione, corrente e potenza il transistore dovrà sopportare, al fine di eseguire tale scelta in modo adeguato. Si avrà, allora:

=

−=

=

maxmaxmax

maxmax

maxmax

uCET

ueCE

uc

IVP

VVV

II

dimensionamento del BJT

E’ poi interessante prendere in considerazione anche il rendimento, che per regolatori quasi lineari, solitamente, non è mai molto elevato. Nel caso specifico del regolatore con amplificatore di corrente si può scrivere:

e

u

ee

uu

VV

IVIV

≅=η

in cui si è approssimato ad uno il rapporto delle due espressioni di corrente. Tale approssimazione non introduce un grosso errore, infatti, la differenza tra Iu ed Ie non è altro che la somma della corrente di base del transistor e quella che va nel diodo Zener, che sono sufficientemente piccole. Come si vede il rendimento η dipende dal salto di tensione tra ingresso e uscita. Il rendimento minimo sarà, allora:

maxmin

e

u

VV

≈η

Page 54: Elettronica di Potenza3

100

ed è per questo che i regolatori con amplificatore sono solitamente utilizzati laddove i salti di tensione tra ingresso e uscita non sono eccessivi. Si osservi che, nell’ottica di realizzare un alimentatore, sarà necessario l’impiego di un trasformatore, che effettua di per sé un buon salto di tensione verso il basso senza introdurre dissipazioni notevoli; in questo modo il regolatore deve effettuare solo l’ultimo (piccolo) salto di tensione necessario. Eseguire un salto di tensione elevato con il regolatore implicherebbe una dissipazione maggiore. Si vogliono, ora, analizzare i limiti del regolatore DC/DC con amplificatore di corrente: • la tensione di uscita è vincolata dalla tensione di Zener. Dal momento che non

esistono in commercio Zener con tutti i possibili valori di tensione, non sarà possibile regolare la tensione d’uscita al valore desiderato in modo “continuo”, ma si sarà legati ai valori “discreti” delle tensioni di Zener.

• Limite superiore sulla resistenza d’uscita: nell’espressione del vincolo su Ru si ha la presenza del parametro hfe che, se presenta un valore elevato, tende a far diminuire la Ru. Tale diminuzione è un po’ illusoria, in quanto per avere un transistore con hfe elevato, si dovrà usare un Darlington. Purtroppo anche il parametro hie del Darlington cresce (hie=hie1+hfe1hie2). In prima approssimazione l’aumento di hfe viene, per così dire, compensato da quello di hie e, dunque, le cose non migliorano così tanto come ci si aspetterebbe. La Ru, quindi, non può diminuire oltre un certo limite.

• Prestazioni non particolarmente elevate: al fine di superare tali limiti sarà necessario introdurre delle modifiche al regolatore ed, in particolare, fare ricorso all’impiego della retroazione.

3.3.2.1 Esempio Si considerino i seguenti dati: BJT

mAI

mAI

VVV

VV

u

u

e

u

200

500

1210

6

min

max

=

=

≤≤=

30

3

6

5.0

min

maxmaxmax

maxmax

max

=

==

=−=

=

FE

CEcT

ueCE

c

h

WVIP

VVVV

AI

Si sono considerati livelli di corrente leggermente superiori a quelli impiegati per l’esempio relativo al regolatore con diodo Zener, per mettere maggiormente in evidenza il miglioramento delle prestazioni apportate dal regolatore con amplificatore di corrente. Utilizzando i dati forniti si ottiene:

mAh

II

FE

uB 16

1 min

maxmax ≅

+= (1)

Il diodo Zener scelto presenta una Rz = 10Ω, Vz = 6V e Izmin = 10mA.

Page 55: Elettronica di Potenza3

101

Per avere il livello di tensione richiesto in uscita si dovrà compensare la caduta di tensione in uscita adottando l’accorgimento di inserire un diodo aggiuntivo tra BJT e Zener. Ora, il valore massimo per R sarà:

Ω=+

+

−−< 130

1min

min

max

min

zFE

u

BEze

Ih

IVVV

R (2)

dove si è tenuto conto del diodo aggiuntivo che compensa la caduta della soglia sulla giunzione base/emettitore del BJT. Scegliendo, ora, una R che rispetti il vincolo espresso dalla (2), ad esempio R = 100Ω, si ottiene:

%909.0 ==+

=z

z

RRR

F

Quindi, si è passati dal 22% del regolatore a Zener al 9% del regolatore ad amplificatore di corrente. Il miglioramento è notevole, anche se l’ordine di grandezza è rimasto lo stesso, se si tiene presente che si sono innalzati i livelli di corrente di partenza e si è scelto un bipolare con un guadagno di corrente non eccessivamente elevato. Aggiustando, quindi, questi due aspetti si possono ottenere prestazioni ancora migliori. Si vuole, infine, calcolare la resistenza d’uscita:

1

//

++

=hfe

hieRRR z

u

trascurando, nel parallelo, R rispetto ad Rz (si era supposto R >> Rz) e utilizzando l’espressione di hie, si ottiene:

0

0

1 C

TzC

Tz

u IV

hfeR

hfeI

hfeVR

R +≅+

+=

in cui si indica con IC0 la corrente di collettore IC a riposo e dove si è trascurato l’uno rispetto ad hfe. Si può, ora, calcolare la Ru massima come:

Ω≅+≅ 5.0min

0min

max

C

Tzu I

Vhfe

RR

Da ciò si può dedurre che, con questo genere di circuiti, se i salti di tensione non sono elevati (in questo caso si passa da 12V a 6V), si riescono ad ottenere prestazioni discrete con correnti dell’ordine del centinaio di mA. 3.3.3 Regolatori DC/DC con amplificatore operazionale

Page 56: Elettronica di Potenza3

102

L’obiettivo che ci si propone di raggiungere con questo nuovo tipo di regolatore è quello di ottenere una tensione di uscita totalmente “libera”, cioè una tensione regolabile con continuità senza essere vincolati ad un valore di tensione di riferimento quale la tensione di Zener, oltre a migliorare le prestazioni del circuito. Per introdurre delle migliorie anche a livello di sensibilità ai disturbi, sarà necessario progettare un circuito con retroazione utilizzando dei blocchi a guadagno elevato. Se questi ultimi fossero ideali, la progettazione sarebbe relativamente semplice. Poiché però si ha sempre a che fare con blocchi reali, si incontrano difficoltà pratiche specie quando si iniziano ad avere dinamiche elevate, ossia quando si inizia ad andare verso alte frequenze di operazione, dove è difficile costruire degli amplificatori a guadagno elevato, come quelli che garantiscono una buona retroazione. Lo schema di principio di un regolatore che impiega la retroazione è il seguente:

fig. 1 Il principio di funzionamento di questo circuito è molto semplice, infatti, si fa entrare il riferimento di tensione Ve all’ingresso dell’amplificatore operazionale, al fine di generare un segnale errore rispetto ad una frazione della tensione di uscita, dopodiché si inserisce un amplificatore di corrente a valle dell’operazionale, in modo tale da non caricare troppo quest’ultimo, dati i bassi valori di corrente che esso fornisce rispetto a quelli richiesti. Il circuito realizza un servo controllo di tensione. L’analisi del circuito è immediata se ci si riferisce ad un amplificatore operazionale di tipo ideale, ossia: Ø RI → ∞ Ø RU → ∞ Ø AV → ∞ Ø nessuna dipendenza frequenziale, cioè la caratteristica non varia con la

frequenza e si suppone che il guadagno sia sempre costante indipendentemente da f.

Se si ritengono valide queste ipotesi si può applicare il principio di cortocircuito virtuale in ingresso, cioè la tensione di ingresso si può considerare praticamente nulla, potendo scrivere:

ZuZ RR

RVVV

+== −

1

1

posto poi

11

1 <+

=ZRR

RB (1)

Page 57: Elettronica di Potenza3

103

si ottiene così:

ZuuZ VB

VBVV1

=⇒= (2)

Si osserva che la (1) esprime la funzione di trasferimento della rete di retroazione costituita da un semplice partitore resistivo. Dal momento che B è costituito da un rapporto di semplici resistenze, esso risulta facilmente realizzabile usando un potenziometro, ottenendo una tensione di uscita stabile e controllabile con continuità. Poiché però il valore massimo di B è uno, ne deriva che il valore minimo per la tensione d’uscita sarà

Zu VV =min

Non sarà, allora, possibile scendere sotto VZ, a meno che non si inserisca un potenziometro sullo Zener, che permetta di ridurre la stessa VZ, cioè:

ZVV α=+ con α < 1

in cui α rappresenta il rapporto di partizione del potenziometro. Il circuito in figura 1 si modifica nel seguente modo:

R R2 Ve Rc

αα R1

VZ

fig. 2 Fino a questo punto si è supposto che l’amplificatore operazionale fosse ideale; tale ipotesi non si discosta molto dalla realtà, in quanto i guadagni di un operazionale raggiungono valori di 105 ÷ 106 , che permettono di ritenere vere tutte le considerazioni fin qui fatte (ad eccezione dei problemi legati alla dinamica). Assunta, allora, come vera la (2), si può pensare di differenziarla nel seguente modo:

e

Z

e

u

VV

BVV

∂∂

=∂∂ 1

(3)

per osservare che, anche in questo tipo di regolatore, è necessario uno Zener stabile, ma poiché la corrente assorbita dall’operazionale è molto bassa, non sarà difficile realizzare una buona regolazione. Comunque, per un buon riferimento di tensione, si può anche ricorrere a generatori di riferimento (un poco più complessi del semplice schema con diodo Zener visto) che garantiscono una VZ più stabile e consentono

Page 58: Elettronica di Potenza3

104

prestazioni di stabilità ancora migliori di quelle, se pur già buone, ottenute con il circuito di figura 2. 3.3.3.1 Criteri di progetto Il primo punto importante da considerare è il partitore resistivo, che permette di ottenere il valore di B necessario. A seconda della tensione d’uscita desiderata, infatti, si avrà un certo rapporto di partizione; una volta scelto B, sarà necessario trovare un altro criterio che permetta di ricavare i valori di R1 ed R2 dato che esistono infinite coppie R1, R2 per un assegnato B. Per trovare tali valori si può imporre che la corrente che scorre sul partitore sia trascurabile rispetto alla corrente di uscita. In particolare, nel caso peggiore, la corrente sul partitore dovrà essere molto minore della corrente minima in uscita, ossia:

min

21

max

uu I

RRV

<<+

Il simbolo di “molto minore” garantisce una differenza tra i due valori di corrente pari ad esempio ad un fattore 100 o, addirittura, 1000. Si dovrà poi ricordare che l’operazionale funziona bene in regione lineare e non deve saturare; ciò significa che si dovrà fare attenzione ai limiti forniti dal costruttore riguardanti la sua tensione di uscita Vo e la sua corrente di uscita Io massima. Per ciò che riguarda la corrente si avrà

lim00 1

Ih

II

FE

u <+

= (1)

in cui si è trascurata la corrente sul partitore e dove si ricorda che AI = 1 + hFE rappresenta il guadagno di corrente del transistor. Dalla (1) si ottiene il vincolo sulla corrente di uscita:

( ) lim0

minmax 1 IhI FEu +<

Per ciò che riguarda la tensione di uscita, si deve tenere presente che il costruttore dell’operazionale fornisce dei limiti, superiore ed inferiore, espressi in funzione della tensione di alimentazione del dispositivo:

∆+=

∆−=

VVV

VVV

n

p

inf0

sup0

(2)

dove si è indicata con Vp la tensione di alimentazione positiva dell’operazionale e con Vn quella negativa. Dunque, il vincolo espresso dalle (2) esprime il fatto che le tensioni di uscita inferiore e superiore dell’operazionale differiscono di una quantità pari a ∆V (circa 2÷3V) rispetto alle tensioni di alimentazione positiva e negativa. Utilizzando i simboli introdotti si può imporre:

Page 59: Elettronica di Potenza3

105

sup00

inf0 VVV <<

Volendo, ora, ricondursi alla tensione di uscita del circuito in esame, si dovrà sottrarre a V0 la caduta sul transistore, che è pari a VBE, ossia:

BEuBE VVVVV −<<− sup0

inf0 (3)

ricordando che Vu = V0 – VBE. Si deve tenere conto, poi, del BJT e cioè si dovrà garantire che non saturi mai (dovrà lavorare in regione attiva), in modo tale da funzionare correttamente come amplificatore di corrente. Si dovrà imporre, quindi:

VCB > 0 o meglio

( ) 00 >+−=− BEuee VVVVV

e nel caso peggiore si ottiene

BEeu VVV −< minmax (4)

In realtà, rispettare il vincolo (3) implica, automaticamente, rispettare il vincolo (4) sul transistore, essendo il primo molto più restrittivo del secondo. Infatti, Vu è minore di V0sup, che a sua volta è molto più piccolo di Vemin, in quanto dalla (2) si evince che V0sup è di 2÷3V minore di Ve. Si possono fare ancora alcune considerazioni sul BJT, ricordando che dalle ipotesi precedentemente fatte, dovrà essere

minmaxmaxueCE VVV −=

e che dunque

maxmaxmaxuCET IVP =

Il rendimento, infine, sarà:

max

minmin

e

u

VV

≈η

e si può osservare che esso è pari al salto di tensione. Il fatto di avere scelto in maniera adeguata l’operazionale e il partitore fa sì che la corrente assorbita dal regolatore a Zener e la corrente di alimentazione dell’operazionale siano piccole rispetto alla corrente di ingresso e uscita, quindi, nel bilancio per una stima di massima del rendimento, tali valori possono essere

Page 60: Elettronica di Potenza3

106

considerati trascurabili. È per tale motivo che non risulta essere lontano dalla realtà affermare che il rendimento η è circa pari al salto di tensione. 3.3.3.2 Guadagno di anello e stabilità Come si è visto, il regolatore DC/DC con amplificatore operazionale prevede l’utilizzo della retroazione; a tale proposito, risulta necessario parlare di stabilità e questa necessità si rifletterà su alcuni limiti di banda abbastanza stringenti. L’obiettivo iniziale sarà quello di trovare un legame diretto tra il guadagno di anello e la stabilità del circuito. Per prima cosa si dovrà considerare non più un operazionale ideale, bensì reale; in tal caso la tensione d’uscita ad anello aperto, ossia quella all’uscita della catena costituita da amplificatore e transistore, sarà:

( ) do

u VVVAV +−= −+ (1)

in cui con A si è indicato il guadagno di tensione finito dell’operazionale, con il termine fra parentesi il valore di tensione differenziale di ingresso e, infine, l’apice O del termine a primo membro indica la grandezza ad anello aperto. Nella (1), tuttavia, si suppone che l’operazionale sia ancora ideale dal punto di vista delle caratteristiche di impedenza di ingresso e di uscita e si tiene conto, inoltre, tramite il termine di disturbo Vd, di tutte le non idealità dell’operazionale, che provocano uno scostamento indesiderato dell’uscita dal valore puramente differenziale che si avrebbe nel caso ideale. In particolare, Vd rappresenta una variazione indesiderata legata all’operazionale o alle variazioni della VBE del transistor oppure a qualsiasi altro tipo di disturbo esterno, che si inserisce nella catena di amplificazione. Per ciò che riguarda, invece, la resistenza d’uscita ad anello aperto si ha:

10

+=

hfeR

R ou

che è la resistenza di uscita di un BJT a collettore comune, che in ingresso, cioè in serie alla base, ha la resistenza di uscita dell’operazionale. I due parametri Ru° e Vu° risultano fondamentali, in quanto permettono di definire la regolazione della tensione e la variazione della tensione in funzione dell’assorbimento di corrente sulla resistenza di uscita. Applicando la retroazione, inserendo le espressioni adeguate per V+ e V- e ricavando Vu, si ottiene:

ABV

VAB

AV d

Zu ++

+=

11 (2)

Si può osservare che se A→∞, la (2) torna ad assumere l’espressione già trovata nel caso ideale. Dal momento che si sta considerando un caso reale, si dovrà tenere conto anche del secondo termine della (2), che corrisponde al disturbo diviso per il guadagno di anello. Se quest’ultimo è molto elevato, ci si ritrova con una tensione di uscita virtualmente dipendente solo dalla tensione di Zener, che è molto stabile, e indipendente da disturbi che possono essere causati da variazioni di guadagno dell’operazionale o, comunque, disturbi che in qualche modo entrano nella catena di

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107

elaborazione. È, tuttavia, ovvio che i vantaggi della retroazione sono consistenti solo nel momento in cui i guadagni d’anello risultano elevati; si vedrà che alle alte frequenze, dove non è possibile realizzare con i transistor amplificatori a guadagno elevato, oltre ad una perdita in termini di prestazioni, si incontreranno anche altri problemi che costringeranno spesso ad abbandonare la retroazione e a cambiare tipo di progettazione, rendendo le cose più complesse. Con la retroazione e guadagni elevati, invece, è più facile avere circuiti con buone caratteristiche di insensibilità e indipendenza dalla temperatura o da variazioni indesiderate; infatti, se AB è molto elevato, non si ha più alcuna dipendenza dalle caratteristiche dell’amplificatore (vedi (2)), ma solo da un rapporto di resistenze (1/B) facilmente gestibile. A conferma di quanto detto, si consideri la resistenza d’uscita ad anello aperto, valutabile a livello circuitale considerando il circuito equivalente oppure, più semplicemente, dal punto di vista matematico utilizzando la (1):

u

d

u

ouo

u IV

IV

R∂∂

−=∂

∂−= (3)

dove il segno meno nasce dal verso assunto per la corrente di uscita. Applicando la stessa differenziazione, usata nella (3), alla resistenza di uscita retroazionata, si ottiene:

ABR

ABIV

IV

Rouud

u

uu +

=+

∂∂−=

∂∂

−=11 (4)

da cui si può osservare che, con guadagni di anello elevati, si raggiungono ottimi valori di resistenza di uscita e, dunque, come già affermato, alti valori di AB permettono un notevole miglioramento delle prestazioni. Guadagni di anello elevati, tuttavia, comportano dei problemi di stabilità nei circuiti; per avere un guadagno di tensione elevato, infatti, sarà necessario ricorrere a più stadi di amplificazione e, quindi, a più transistori. In generale, per ottenere operazionali con guadagni elevati, si utilizza un blocco differenziale in aggiunta ad un blocco di guadagno, composto da uno o più stadi, che consente di elevare il guadagno stesso dell’operazionale fino a valori di 105÷106. Inserendo, però, un elevato numero di stadi di amplificazione, aumenta inevitabilmente il numero di poli. Ogni stadio, infatti, può essere visto come un transistore con le sue capacità di giunzione (base/emettitore, base/collettore, ecc.…) o, comunque, capacità che tengono conto degli effetti reattivi dovuti all’accumulo di carica nel dispositivo. Se il numero di poli, allora, è elevato si ha conseguentemente un rapida variazione della fase, specialmente se i poli sono vicini l’uno all’altro e si può cadere nella situazione in cui, secondo il criterio di Bode, il sistema risulta instabile. Se si ha, infatti, un guadagno di anello maggiore di uno quando la fase risulta –180° (|A(ω)B| > 1 e ∠ A(ω)B = –180°), significa che si riporta una componente della variazione dell’uscita all’ingresso con lo stesso segno della variazione che ne è stata causa, e si ha instabilità; in altre parole, ciò significa che con la retroazione non si è affatto generato un segnale che compensa l’errore, bensì un segnale errore con lo stesso segno, che crea amplificazione dell’errore stesso e conseguente comportamento instabile. L’espressione del modello che si può avere con un operazionale è del tipo:

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108

( ) ( )( ) ( )NjjjA

Aωωωωωω

ω+⋅⋅⋅⋅⋅⋅++

=111 21

0

in cui ω1, ω2,…,ωN rappresentano i poli. 3.4 Compensazione Si consideri il grafico di figura (1):

fig. 1 A tratto continuo si ha la caratteristica del guadagno di anello AB, nella parte superiore di figura 1 ne viene rappresentato il modulo, mentre in quella inferiore la fase. I poli considerati sono ω1 ed ω2, in corrispondenza dei quali si ha una variazione di –20 dB per decade del guadagno. In corrispondenza dei poli, la fase diminuisce di –45° per decade, se ogni polo è sufficientemente distante dall’altro, cioè più di una decade. Ogni polo, dunque, introduce una rotazione di 90° e, se i poli sono molto vicini tra loro, le rotazioni da essi introdotte si sommano ed è possibile arrivare, come nel caso di figura 1, ad una fase di –180° pur essendo il guadagno ancora maggiore di uno. Si ricorda che la scala è espressa in dB, per cui sull’asse delle ascisse 0dB corrispondono al numero puro 1. Retroazionando un sistema come quello di figura 1, ci si ritrova con un sistema instabile e questo è dovuto alla presenza di più poli vicini tra loro, che provocano un calo di guadagno meno rapido della variazione di fase, che genera di conseguenza instabilità. Se, però, il guadagno fosse meno alto, cioè si traslasse la caratteristica verso il basso pur mantenendo le stesse variazioni per la fase, si otterrebbe un sistema stabile. Il problema della stabilità, quindi, è legato ai guadagni di anello elevati, ai quali, tuttavia, non si vuole rinunciare per i motivi precedentemente analizzati. Si dovrà, allora, ricorrere a quella che viene definita compensazione, ossia si dovrà in qualche modo modificare la risposta del sistema mantenendo elevato il guadagno di anello, in modo tale da non penalizzare le caratteristiche di retroazione, ma al tempo stesso rendere stabile il sistema e questo si otterrà facendo sì che quando la fase raggiunge -180°, il guadagno sia minore di uno e viceversa, quando il guadagno è pari a uno, la fase non sia ancora arrivata a –180°; si cerca, cioè, di compensare con un certo margine di fase, che rappresenta la differenza rispetto a –180°, solitamente rientrante nel range di valori compresi tra i 45°÷90°. Per ottenere tutto ciò si dovrà inserire quella che viene definita rete correttrice, cioè si inserisce nel circuito una rete che introduce una correzione e garantisce la stabilità.

Page 63: Elettronica di Potenza3

109

La compensazione più semplice che si possa considerare è la compensazione a polo dominante, che fornisce quanto richiesto a prezzo di una notevole riduzione della banda del sistema. Il vantaggio di tale compensazione è dato dalla sua semplicità, dalla sua robustezza e dalla sua applicabilità, anche quando non si ha una perfetta conoscenza della posizione dei poli. Essa introduce, infatti, un polo molto più in basso rispetto a quelli del sistema, disinteressandosi della precisa collocazione di questi ultimi, ma conoscendone solo l’ordine di grandezza. Si definisce ωF la pulsazione alla quale il guadagno di anello compensato è uguale ad uno; ωF dovrà essere molto minore della pulsazione relativa al primo polo del sistema non compensato, in formule:

( )NF

FCF BA

ωωωωω

ωω

<<<<<<

=

......

1/

321

La caratteristica, ora, diventa quella tratteggiata in figura 1. A questo punto, il sistema compensato che si ottiene diviene un sistema ad un solo polo dominante e gli altri non saranno più influenti e potranno essere trascurati nelle espressioni analitiche. La funzione compensata potrà, allora, essere scritta nel seguente modo:

( )

c

oC

j

AA

ωω

ω+

=1

(1)

dalla (1) si ricava immediatamente il valore di ωc. Per definizione, infatti, alla pulsazione ωF si ha

( ) 1=BA FC ω (2)

Sfruttando, ora, la (1) e la (2) si ottiene:

1

12

=

+

c

F

o BA

ωω

(3)

Poiché si è scelto ωF >> ωc si può trascurare l’uno nella (3) e ricavare:

BA o

Fc

ωω ≅

Avendo ottenuto un sistema ad un solo polo, si è arrivati ad un sistema necessariamente stabile, in quanto esso presenta al massimo una rotazione di fase di 90°, che ovviamente corrisponde ad un ottimo margine di fase, 90°. Infatti, se si osserva la figura 1, si può vedere come in corrispondenza di ωc la fase valga –45° e subisca un’ulteriore rotazione fino ad arrivare in corrispondenza di ωF al massimo a –

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110

90°, laddove il guadagno si sarà annullato (0dB). Ci si ritroverà, allora, con un guadagno unitario e fase di –90° e il sistema sarà stabile. Tutto ciò risulta vero se alla pulsazione ωF non si risente affatto degli altri poli; quindi ωF dovrà essere almeno una decade sotto ω1. Spesso risulta utile far coincidere ωF con ω1, a patto che il polo a pulsazione ω2 sia sufficientemente lontano. Si supponga, per un momento, che ω2 non esista e che allo stesso tempo sia ωF = ω1: ciò che si ottiene è una rotazione di fase di 90° introdotta dal primo polo più un’ulteriore rotazione di 45° dovuta al polo a pulsazione ωF; la somma, dunque, è di 135° di rotazione e 45° di margine di fase. Ciò giustifica la restrizione di ω2 sufficientemente lontano se ωF = ω1, al fine di non ridurre eccessivamente il margine di fase. A seconda della posizione di ωF, quindi, si avranno margini di fase più o meno “sicuri” e bande più o meno larghe. La realizzazione circuitale, che consente l’introduzione di un polo dominante nel sistema, prevede l’inserimento e la modifica di alcuni semplici elementi. Una prima soluzione è data dall’inserimento di una capacità posta in parallelo a due stadi amplificatori, schematizzati in figura 2 con due equivalenti di Thévenin:

fig. 2 Calcolando la funzione di trasferimento del circuito di figura 2, si deduce immediatamente il valore della pulsazione di taglio

0//1

RCR ic =ω

Supponendo note la resistenza Ri ed R0 e scelta la pulsazione ωc, si ricava il valore della capacità C da inserire tra i due stadi di amplificazione. Questo modo di procedere spesso obbliga ad avere capacità di valore piuttosto elevato, quindi, al fine di ovviare a tale problema, si sfrutta quello che viene detto effetto Miller, dove la capacità non è più in parallelo ai due stadi, ma retroaziona un amplificatore con guadagno elevato (Av << -1). Si richiama il teorema di Miller senza darne, tuttavia, alcuna dimostrazione: dato un blocco a guadagno elevato e una capacità C connessa tra i morsetti di ingresso e uscita:

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111

C

Av << -1

fig. 3

tale capacità può essere scomposta, senza alcuna approssimazione, in due componenti, una in ingresso e una in uscita, come mostrato in figura 4:

C(1 - Av) Av << -1 C(1 – 1/Av) fig. 4

Gli schemi di figura 3 e figura 4 ai morsetti esterni sono completamente identici, ma il passaggio dall’uno all’altro consente di mettere in evidenza la proprietà fondamentale introdotta dal teorema di Miller, ossia che data una capacità C, questa si può ritrovare in ingresso moltiplicata per (1 - Av) e più è elevato il guadagno di tensione negativo, maggiore sarà il valore di C in ingresso, nonostante si sia inserita una capacità piccola. Nel caso specifico, considerato in figura 2, lo schema circuitale si modifica nel seguente modo:

fig. 5 dove la pulsazione di taglio risulta

( ) 0//11

RRCA ivc ⋅−

Ciò consente di utilizzare capacità che sono più piccole di un fattore Av, il che equivale a ridurre di un paio di ordini di grandezza il valore di C, permettendo una maggiore facilità di realizzazione del circuito integrato, essendosi notevolmente abbassato l’ingombro. Oltre a quanto detto, vedremo come l’effetto Miller, se correttamente

Page 66: Elettronica di Potenza3

112

utilizzato, fornisce un ulteriore vantaggio denominato pole-splitting. Tale effetto garantisce uno spostamento verso frequenze più alte del primo polo a pulsazione ω1; in tale modo il polo dominante introdotto ad ωc può essere posizionato più in alto in frequenza, consentendo un aumento della banda utile. Riassumendo si può dire che, in base alle conoscenze del prodotto A0B (anello aperto) e della posizione del primo polo, si è in grado di determinare la pulsazione del polo dominante e, di conseguenza, la capacità C. Quest’ultima può essere inserita nell’operazionale dal costruttore, che esegue la compensazione internamente e garantisce che l’operazionale stesso fornisca già una caratteristica ben compensata. In questo caso specifico la compensazione viene effettuata in condizioni di caso peggiore, cioè quando la rete passiva ha attenuazione minima (B=1); infatti, più B sarà elevata, più la pulsazione del polo dominante sarà bassa. Ciò è ben visibile dalla figura 1, dove si nota che se A0B aumenta, per esempio a causa di un aumento di B (avendo supposto A0 costante e ωF fissato), il polo a pulsazione ωc tende a spostarsi verso frequenze più basse, in quanto l’intersezione a –20 dB/decade del diagramma di A0B avviene a frequenze più basse. Ciò, tuttavia, comporta una notevole riduzione di banda. Per operazionali più raffinati, il costruttore fornisce dei morsetti esterni ai quali attaccare eventuali capacità di compensazione, in base ai valori di A0B e del rapporto di retroazione B. Un altro modo di procedere è costituito dalla cosiddetta compensazione ibrida. In tal caso il costruttore compensa per valori di B pari a 0.5 fornendo dei morsetti esterni per aggiungere, se necessario, il valore di capacità richiesto dalla particolare applicazione e compensare quanto si desidera. Come esempio di quanto detto, si può considerare un operazionale che abbia ω1 ≈ 10MHz e ωF ≅ 1MHz. Se si ha A0B ≅ 1.000.000, si ottiene ωc ≅ 1 Hz, che è una pulsazione di taglio molto bassa e che implica valori delle costanti di tempo dell’ordine dei secondi. Un tale risultato porta a dire che, se il carico varia la corrente assorbita, il sistema impiegherà dei secondi a rispondere e questo è inaccettabile. Si deve, però, ricordare che finora si è parlato di banda del sistema ad anello aperto; nel momento in cui si chiude la retroazione, poiché il guadagno viene diviso per (1 + AB), la banda viene moltiplicata per (1+ AB) e, quindi, si ha un notevole recupero in termini di banda. La pulsazione di taglio ad anello aperto, allora, sarà:

cT ωω =0 mentre quella ad anello chiuso sarà

cFT BA ωωω 0=≈ (4) Quest’ultima espressione è facilmente verificabile scrivendo la funzione di trasferimento del sistema retroazionato:

( ) ( )( )BA

AH

c

c

ωω

ω+

=1

(5)

dove Ac(ω) rappresenta la funzione di trasferimento del sistema compensato. Nell’ipotesi di polo dominante, ora, la (5) può essere scritta come:

Page 67: Elettronica di Potenza3

113

( )BAj

A

jBA

jA

H

cc

c

0

0

0

0

11

1

1

++=

++

+=

ωω

ωω

ωωω

dividendo numeratore e denominatore per (1 + A0B) si ottiene

( )B

BAj

BAA

H

c

1

11

1

1

0

0

0

++

+=

ωω

ω (6)

Nell’ipotesi di A0 sufficientemente grande, vale l’approssimazione nella (6), ossia H(ω) ≅ 1/B. Dalla (6) si nota, inoltre, che trascurando l’uno rispetto ad A0B, si ottiene la pulsazione di taglio espressa dalla (4). I pochi Hertz di banda del sistema in catena aperta, vengono recuperati grazie al guadagno d’anello del sistema retroazionato. Se la compensazione è stata progettata per B=1 e la si usa con un valore di B=0.5, non si “recupererà” la larghezza di banda massima ottenibile. Dunque, per requisiti di banda stringenti e valori di B non eccessivamente elevati, sarà bene scegliere di effettuare una compensazione esterna ad hoc, anziché quella interna fornita dal costruttore, al fine di ottenere una perdita di banda il più possibile ridotta. 3.5 Regolatori di tensione integrati I regolatori finora analizzati si trovano realizzati in forma integrata. Ovviamente, gli schemi dati sono degli schemi di principio che andranno opportunamente modificati al fine di ottimizzare le prestazioni. Per esempio, come generatore di riferimento non si utilizzerà un semplice diodo Zener e una resistenza, ma sarà necessario un circuito di polarizzazione in corrente per lo Zener che garantisca una maggior stabilità di tensione; per proteggere il transistor, poi, si userà un circuito di limitazione della corrente e così via. In forma integrata, tali circuiti, detti regolatori di tensione integrati o stabilizzatori di tensione, vengono utilizzati per quelle applicazioni che arrivano a potenze dell’ordine delle decine di Watt. Uno schema approssimativo di impiego viene mostrato in figura 1:

fig. 1

Page 68: Elettronica di Potenza3

114

Di tali regolatori ne esistono di più semplici, con tensione d’uscita fissa, dove il costruttore garantisce che per un certo range di tensioni in ingresso la tensione d’uscita rimane costante (oggetti a tre terminali) e ne esistono, anche, di più complessi a quattro o più terminali, che hanno tensione d’uscita variabile. Quest’ultimi possono raggiungere gradi di complessità notevoli: alcuni modelli, ad esempio, presentano dei morsetti che consentono di inserire un amplificatore di corrente per livelli di corrente maggiori di quelli fornibili dall’integrato. In generale, comunque, il costruttore fornisce all’acquisto dell’integrato le cosiddette application notes o design notes, che permettono di avere informazioni sull’uso del componente e, spesso, sugli eventuali componenti accessori aggiungibili per farlo funzionare al meglio. Vengono, inoltre, forniti i valori di due capacità, da inserire in ingresso e in uscita al regolatore, con funzioni specifiche. La capacità di uscita Cu serve a migliorare la risposta in transitorio, oltre alla stabilità del sistema; se, infatti, si ha un carico che assorbe molto velocemente, cioè produce una forte variazione in termini di corrente, il convertitore potrebbe non riuscire a seguire tali variazioni e la tensione d’uscita potrebbe calare. La capacità Cu interviene, allora, come serbatoio di energia e permette di compensare l’eccesso di corrente, garantendo una certa stabilità di tensione. La Cin in ingresso, invece, serve a compensare gli effetti induttivi legati alle connessioni (cavi di collegamento) con l’alimentatore. Per capire meglio si può fare riferimento al seguente schema:

Lp VAC/DC Cin Vin Cu Vu

fig. 2

Regolatori di tensione

Nell’eventualità si abbia un forte assorbimento di corrente da parte del regolatore, si avrà una caduta di tensione pari a :

dtdi

Lv pL p=

che sarà tanto maggiore quanto più Lp è grande e quanto più sono elevate le variazioni della corrente. Tale caduta si ripercuoterà sulla tensione di ingresso Vin, che potrà calare fino a valori che il regolatore potrebbe non essere in grado di compensare. Per evitare tutto ciò si inserisce la Cin, che compensa eventuali cadute sul carico induttivo dovute, per esempio, a picchi di corrente. L’effetto della capacità è, dunque, complementare a quello dell’induttanza, infatti, le componenti alternate di corrente che non passano per l’induttanza vengono fornite dal cortocircuito costituito dalla capacità. Dunque, il compito di Cin è, come per la Cu, di essere un serbatoio di energia che permette di migliorare le prestazioni dinamiche del circuito.

Page 69: Elettronica di Potenza3

115

3.5.1 Esempi di applicazione dei regolatori di tensione integrati

• Nel primo caso si ha un regolatore con tensione fissa; si può, allora, usare un

partitore resistivo per modificarne il valore di uscita che vale:

VRR

IRVRV

IRV u

++=+

+=

1

22

12 1

in cui la tensione regolata è, ora, la Vu. Affinché tale metodo porti al risultato sperato, si dovrà fare in modo che la corrente I in uscita dal regolatore, che di per sé non possiede proprietà di stabilità, risulti costante per diversi valori di corrente assorbiti dal carico. Se ciò non è garantito si dovrà ricorrere ad un altro metodo. • Il secondo schema viene usato per effettuare una regolazione di corrente ed è

realizzato con l’aggiunta di una semplice resistenza. La corrente di uscita risulta:

1RV

II u +=

per tale schema valgono le stesse considerazioni svolte sulla corrente I del caso precedente. • Il terzo schema è un regolatore a quattro morsetti: in tale caso è l’utilizzatore che

stabilisce, con un partitore resistivo, il livello della tensione d’uscita, in funzione del valore della tensione di controllo.

3.5.2 Esempio numerico (dimensionamento di uno schema in retroazione) Si supponga di disporre dei seguenti dati: Ø tensione di uscita 4V ≤ Vu ≤ 15V Ø corrente di uscita massima Iumax = 1A Ø tensione di alimentazione 20V ≤ Ve ≤ 24V Ø operazionale compensato internamente:

Page 70: Elettronica di Potenza3

116

A0 = 105 R0 = 50 Ω fc = 4 Hz

I0lim = 5 mA V0sup = Vp – 3V

Solitamente, per un operazionale la tensione positiva Vp coincide con la tensione della batteria Ve (tensione di alimentazione). Per prima cosa si vuole verificare se l’operazionale può sopportare i livelli di tensione dati; in caso contrario, sarà necessario introdurre un amplificatore di tensione per sopperire ai limiti dell’operazionale stesso. Ø Per l’amplificatore si verifica che:

VVVVV

VVVV

BEu

e

5.165.115

173maxmax

0

minsup0

=+=+=

=−=

in cui si è scelto VBE pari a 1,5V, perché osservando i valori di corrente e di guadagno di corrente dati, sarà necessario un valore di hFE elevato, che può essere fornito solo da un Darlington, la cui VBE è pari al valore sopraindicato. Si è ottenuto, dunque, un valore di V0max minore di V0sup e, quindi, si rientra nelle specifiche. Per ciò che riguarda il transistor si ha:

lim00 I

hI

IFE

u <=

da cui, nel caso peggiore

200lim0

max

=>II

h uFE

il transistor, quindi, dovrà avere

200min =FEh che, come già detto, è possibile ottenere utilizzando un Darlington. La potenza dissipata sul transistor, sapendo che

VVVV

AI

ueCE

C

20

1minmaxmax =−=

=

vale

WP 20max =

Page 71: Elettronica di Potenza3

117

Si consideri, ora, un diodo Zener da 6V: il dimensionamento della resistenza viene lasciato come esercizio. La tensione d’uscita, tenendo conto del partitore di ingresso, sarà

B

VV Z

u α=

e la tensione massima si avrà per α = 1, per cui

B

VV Z

u =max

da cui si ricava facilmente B

4.0156

max===

u

Z

VV

B (1)

Il dimensionamento del partitore viene lasciato come esercizio. Si ricorda che sarà necessario imporre che la corrente sul partitore sia un millesimo della corrente di uscita. In tale modo si otterrà:

R1 = 15 KΩ R2 = 10 KΩ per avere, infine

21

2

RRR

B+

=

che è il valore dato dalla (1). Ciò garantisce, inoltre, che la somma delle due resistenze R1 ed R2 consenta una corrente pari a un millesimo di quella di uscita. La banda che si ottiene avrà frequenza di taglio pari a:

( ) KHzBAff cT 1601 0 =+=

se si fosse usato B = 1, che è il valore previsto per la compensazione attuata dal costruttore), si sarebbe ottenuto fT = 400 kHz. Quindi, imporre B = 0.4 ha portato ad una perdita in termini di banda, in quanto si è usato un operazionale internamente compensato. Per guadagnare in banda si dovrebbe utilizzare un operazionale esternamente compensato, che permetta di scegliere la capacità di compensazione per il valore di B pari a 0.4. La resistenza d’uscita ad anello aperto, infine, risulta:

Ω≅+

+= 10

100

hfehieR

R u

in cui si suppone che il transistor abbia una hie = 3 KΩ e una hfe = 300. Tali valori sono solitamente forniti dal costruttore attraverso i Data Sheet. La resistenza d’uscita ad anello chiuso varrà:

Page 72: Elettronica di Potenza3

118

Ω≅+

= mBA

RR u

u 3.01 0

0

Si è, dunque, passati da una resistenza dell’ordine degli Ω ad una resistenza ad anello chiuso dell’ordine dei mΩ, che è praticamente ideale. 3.6 Convertitori operanti in commutazione I convertitori operanti in commutazione, anche detti convertitori switching, sono spesso utilizzati, oltre che per la realizzazione di alimentatori, per il controllo di macchine elettriche ad alta potenza, in particolare, per il controllo dei motori in corrente continua e alternata. Le applicazioni di tali convertitori sono molteplici e, in questo contesto, si è scelto di svolgere alcune considerazioni sul loro impiego come alimentatori DC, lasciando ad altri corsi più specifici l’analisi relativa ad applicazioni diverse. L’importanza del convertitore switching è tanto maggiore quanto più sono alte le potenze in gioco; esso si basa su dispositivi che operano come interruttori, come ad esempio BJT operanti, non più in zona lineare, ma tra uno stato di interdizione (off) e uno di accensione (ON). In tali stati la potenza dissipata, la cui espressione generale è data dalla(1)

CCED IVP =

sarà: Ø Toff 0≅DP essendo IC ≅ 0 (1)

Ø Ton Csat

CED IVP = essendo satCECE VV = (2)

Si osserva che la PD per un transistor ben progettato, nello stato ON, è molto minore della potenza dissipata che si ha in regione lineare e che la (1) e la (2) ben approssimano il comportamento di un interruttore ideale. Grazie alle basse perdite sopracitate, il rendimento dei convertitori switching risulta notevole, molto prossimo all’idealità (anche 97% ÷ 98%, e comunque abbondantemente sopra il 90%). Lo schema iniziale da cui partire per lo studio degli alimentatori switching è il seguente:

rete

AC

DC

DC

DC

reg. switching

All’apparenza, nulla sembra essere cambiato rispetto ai circuiti precedentemente analizzati; in realtà, le diversità circuitali presenti nel DC/DC switching, rispetto al medesimo convertitore di tipo serie, permettono di intervenire anche sul blocco di conversione AC/DC e migliorarne le prestazioni. Tale miglioria è, sostanzialmente, legata al trasformatore presente nel blocco AC/DC. Si ricorda, infatti, che per motivi di sicurezza, di soddisfacimento delle normative, di isolamento elettrico dalla rete e (1) Si suppone trascurabile la corrente di base e, quindi, anche la potenza dissipata su quest’ultima.

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119

soprattutto per non avere salti di tensione eccessivi (e conseguenti bassi rendimenti), si inseriva un trasformatore a 50 Hz nel blocco di conversione AC/DC. Essendo, ora, il regolatore di tipo switching e potendo quest’ultimo funzionare a 50 ÷ 100 kHz e oltre con funzionamento in commutazione (forma d’onda quadrata), è possibile spostare il trasformatore nel blocco DC/DC. L’isolamento elettrico viene così garantito, inoltre, si riducono notevolmente le dimensioni del trasformatore, dal momento che ora la frequenza di lavoro non è più 50 Hz della rete, bensì 50 ÷ 100 kHz del regolatore (si ricorda che le dimensioni del trasformatore sono inversamente proporzionali alla frequenza). Gli alimentatori così costruiti risultano, allora, estremamente compatti. Il fatto di operare ad una tensione di rete fissa e, dunque, effettuare un salto elevato dal valore continuo a quello di uscita, non rappresenta più un problema, in quanto il rendimento dei convertitori switching non dipende, in prima approssimazione, dal salto di tensione. Da tali considerazioni, risulta evidente che il convertitore AC/DC non necessita più di un rapporto spire che aggiusti le tensioni. I vantaggi fin qui descritti portano, spesso, ad utilizzare i convertitori switching anche laddove i requisiti di rendimento non giustificherebbero il loro impiego e, dunque, anche a potenze inferiori ai 20 ÷ 30 Watt. Si vuole, ora, vedere lo schema di principio del convertitore; si faranno, inoltre, alcune considerazioni sul progetto del filtro per giungere, poi, ad un dimensionamento di massima. Lo schema di base è quello di figura 1:

iIN

VIN

x1

x2

i(t)

v(t)

m(t) fig. 1

Sia m(t) una funzione che controlla gli interruttori x1 e x2 supposti ideali e sia un negatore il dispositivo di figura rappresentato da un cerchio. Si stabiliscano le seguenti relazioni:

==

offxtm

onxtm

1

1

0)(

1)(

Page 74: Elettronica di Potenza3

120

L’andamento temporale di m(t), dunque, stabilisce l’apertura e la chiusura degli interruttori, in particolare, quando il primo è aperto il secondo sarà chiuso e viceversa. La struttura degli interruttori, anche detta mezzo ponte, si deve sempre comportare in modo complementare, al fine di garantire un corretto funzionamento sia nei confronti della sorgente, che di ciò che segue il circuito. Se, infatti, entrambi gli interruttori fossero chiusi, si causerebbe un cortocircuito sul generatore di ingresso (batteria); d’altra parte, se entrambi gli interruttori fossero aperti, dal momento che il circuito è seguito da un filtro, solitamente induttivo, si creerebbe una sovratensione ai capi di L dovuta all’interruzione di corrente provocata dall’aperto costituito dai due interruttori stessi. Si ricorda, a tale proposito, che

dttdi

Ltv)(

)( =

e, quindi, un gradino di corrente genera una tensione virtualmente infinita. Il legame che intercorre tra la v(t) e la VIN dipenderà, allora, dalla funzione m(t), ossia:

v(t) = m(t)VIN Ciò è facilmente verificabile osservando lo schema di figura 1, infatti:

⇒=⇒=

= se

se VIN

onxoffxtm

offxonxtmtv

21

21

0)(0

1)()(

La m(t), dunque, sarà un insieme di zeri e uno, che permettono la commutazione degli interruttori e la v(t), a meno di fattori di scala, avrà il medesimo andamento, essendo VIN costante; graficamente:

m(t)

1

T

2T

t v(t)

VIN

T

2T

t

fig. 2 Dal momento che m(t) ha una forma d’onda periodica, essa è sviluppabile in serie di Fourier, ossia:

( )∑∞

=

++=1

0 cos)(k

k ktkMMtm µω (3)

Page 75: Elettronica di Potenza3

121

da cui

( )∑∞

=

++=1

0 cos)(k

kININ ktkMVVMtv µω (4)

Si osserva che, in virtù della legge di commutazione introdotta, applicando in ingresso una continua, ci si ritrova in uscita con un segnale composto, oltre che dalla continua, anche da un insieme di righe allocate a multipli della pulsazione ω = 2π/T, con T periodo della commutazione. Un circuito regolatore che si comporta in tal modo viene detto chopper (affettatore), in quanto la coppia di interruttori “affetta”, per così dire, la tensione di ingresso; ciò significa che, invece di vedere la continua, si vedono soltanto delle “fette” di quest’ultima (vedi grafico in basso di figura 2). Oltre alla continua, però, il chopper genera delle componenti di disturbo ad alta frequenza, che vanno eliminate con un filtro passa basso, tipicamente un filtro LC. Lo schema circuitale (convertitore in discesa) è quello di figura 3:

iIN

VIN

x1

x2

i(t)

v(t)

m(t)

L

C

R

fig. 3 Come si può osservare dalla (4), a filtraggio avvenuto rimane solamente il termine M0VIN, cioè la tensione di ingresso moltiplicata per il coefficiente M0, che è il valore medio della legge di commutazione, noto dallo sviluppo in serie e che vale:

∫=T

dttmT

M0

0 )(1

(definizione di valore medio)

Definendo, ora, TON come l’intervallo di tempo per il quale la legge di commutazione resta ad uno, cioè l’intervallo di tempo per cui l’interruttore x1 resta chiuso e x2 aperto, si può scrivere:

ρ=⋅

==T

TM ON1

0 Periodo Area

DUTY CYCLE

(ciclo di lavoro) in cui ρ, definito duty cycle, dice quanto tempo lavora l’interruttore x1 rispetto al tempo disponibile. Agendo sul duty cycle e, dunque, su TON, è possibile modificare M0

Page 76: Elettronica di Potenza3

122

e, quindi, anche la componente continua V0 in uscita al chopper. In uscita si avrà, allora:

INON

INu VT

TVVV === ρ00 (5)

dove nella (5) si è supposto Vu0 = V0 , in quanto il filtro passa basso è stato considerato ideale. Tale assunzione a frequenza zero è più che plausibile, in quanto la componente continua non viene, in prima approssimazione, alterata. Si osserva che il convertitore così realizzato non presenta elementi dissipativi, infatti, il filtro per sua natura non dissipa e gli interruttori sono supposti ideali, dunque, il rendimento risulterà unitario (η = 1). In realtà, esiste qualche perdita dovuta agli interruttori e, per essere rigorosi, anche al materiale ferromagnetico e agli avvolgimenti dell’induttanza, nonché alle resistenze parassite delle capacità che, comunque, sono effetti di perdita del secondo ordine e che non contribuiscono in modo pesante all’operazione di conversione. Il chopper, dunque, a differenza dei regolatori serie, si presta ad avere alti rendimenti e ad essere molto compatto. Per ridurre ulteriormente le dimensioni si dovrà agire sul filtro LC, aumentando il più possibile le frequenze in gioco e, di conseguenza, spostando più in alto possibile sull’asse delle frequenze i disturbi generati dal circuito. Tutto ciò è facilmente attuabile agendo sulla frequenza di commutazione degli interruttori, attraverso ω = 2π/T = 2πf. In sostanza, aumentando f, i disturbi si sposteranno più in alto in frequenza, senza tuttavia alterare la componente utile. Esiste, comunque, un limite sulla frequenza legato alla velocità di commutazione degli interruttori, quindi, si avrà:

limcff ≤ (6)

che dipenderà dai particolari dispositivi usati. In realtà, il limite (6) è dovuto, ancora prima che intervenga il limite sulla velocità di commutazione degli interruttori, al limite sulla potenza dissipata. Se, infatti, l’interruttore è un BJT, esso dovrà passare dalla zona di saturazione a quella di interdizione; non potendo, però, evitare la zona attiva, esso dissiperà una certa quantità di potenza; analogamente succede se l’interruttore è un MOS. Si pensi, per analogia, a quanto avviene nei CMOS: esiste sempre un istante di tempo, nel passaggio dallo stato ON a quello OFF dei transistori nMOS e pMOS, nel quale entrambi sono accesi e viene dissipata potenza (potenza dinamica). Nel caso del convertitore chopper, esisterà un istante di tempo nel quale gli interruttori transitano per una regione ad elevata corrente e tensione, fase in cui si ha una notevole dissipazione di potenza. Si ha, così, un picco di dissipazione e si parla di perdite di commutazione. È, dunque, ovvio che più volte avviene la commutazione, a parità di periodo, più si dissipa. Il limite, allora, non è rappresentato dalla velocità di commutazione, ma è la dissipazione ad essa associata, che fa in modo che l’interruttore scaldi molto e tenda a bruciarsi. Per tali motivi, esistono schemi di convertitori più raffinati che prevedono l’utilizzo di interruttori in condizioni meno dissipative; in tal caso, il limite diventa proprio la velocità di commutazione. Si vuole, ora, vedere lo schema di principio per generare la funzione generica m(t); si userà un generatore d’onda triangolare seguito da un comparatore:

Page 77: Elettronica di Potenza3

123

Vp

gen. onda triangolare vTR

vx

m(t)

- +

comparatore

fig. 4 Il circuito di figura 4 è detto modulatore PWM (Pulse Width Modulation: modulazione di larghezza d’impulso). Il generatore d’onda triangolare viene solitamente realizzato con un multivibratore astabile. Le forme d’onda generate sono del tipo rappresentato in figura 5:

vTR

Vp

vx di controllo

t

t

m(t)

T

fig. 5 La tensione d’uscita del comparatore m(t) varrà uno quando la tensione di controllo vx sarà a livello alto, cioè sarà maggiore di vTR. Agendo, quindi, sul livello di vx, si può controllare l’ampiezza degli impulsi e, dunque, TON. Osservando la figura 5 e facendo alcune considerazioni geometriche sui triangoli simili, si giunge alla relazione seguente:

T

TVv ON

p

x = (7)

Dalla (5) e dalla (7) si ricava la relazione finale

INp

xIN

ONu V

Vv

VT

TV ==0 (8)

Dalla (8) si può osservare che se Vp è costante, agendo su vx si può variare il valore medio della tensione di uscita, a partire dalla tensione d’ingresso costante. Si può anche pensare di utilizzare come variabile di controllo Vp ed effettuare, ugualmente, il controllo del duty cycle. Variare Vp mantenendo costante la pendenza dell’onda

Page 78: Elettronica di Potenza3

124

triangolare, significa variare il periodo T e ciò può essere conveniente rispetto all’azione su vx che fa variare TON, quando si vogliono valori di Vu0 prossimi allo zero. In tal caso infatti, se si controlla vx si dovranno avere valori prossimi allo zero, il che significa avere TON molto piccoli. Tali valori implicano un tempo di accensione molto breve per gli interruttori; chiaramente, avendo questi ultimi un tempo di risposta finito, non sarà possibile ridurre oltre un certo limite il TON. La relazione (8), allora, che sarebbe lineare in vx , per valori troppo piccoli di vx stesso fa perdere il controllo auspicato. Sarà necessario, allora, aumentare Vp e, di conseguenza, il periodo T, al fine di rendere sufficientemente piccolo il valore fornito dalla (8). Vi sono, dunque, due modalità principali di controllo, una in cui si agisce su vx e si modula direttamente l’ampiezza, l’altra in cui si agisce su Vp e si controlla il periodo T. Quest’ultima viene anche definita PFM (Pulse Frequency Modulation). Questa modalità di controllo ha, tuttavia, un problema, in quanto se si modifica il periodo T, si varia la frequenza degli interruttori e, dunque, le frequenze delle righe di disturbo da eliminare. A questo punto sarà necessario un filtraggio più complesso che dovrà eliminare i disturbi non più a partire da una certa frequenza, ma dovrà essere progettato per tagliare un range di frequenze che vanno da un minimo ad un massimo, dipendenti dal controllo. Le frequenze di commutazione, infatti, nel caso del controllo PFM non sono più costanti e pari ad ω, come avveniva nel controllo PWM, bensì variabili. 3.6.1 Progetto del filtro Il convertitore, date le forme d’onda e supposti gli interruttori ideali, può essere considerato una rete lineare a tratti. Le non linearità sono, in realtà, presenti solo nei circuiti reali quando gli interruttori commutano. Nel momento in cui la commutazione è avvenuta, però, si tratta ancora una volta di analizzare reti lineari in cui vi sono delle batterie e dei circuiti LC. L’ipotesi di idealità degli interruttori permette, allora, di semplificare l’analisi. Si vuole, ora, analizzare cosa succede negli intervalli di tempo TON e TOFF. Nel primo caso, quando x1 è acceso e x2 è spento, si ottiene la seguente configurazione:

VIN

iin = i

L

R

C

vu

TON

CONVERTITORE IN

DISCESA

Si osserva che

crescente i

VVdtdi

Lv

ii

uINL

IN

00 >−≅=

=

(9)

dove, nella (9), si è approssimato vu(t) ≈ Vu0, cioè si è supposto che il filtro sia ben progettato e tale da fornire in uscita una tensione vu(t) confondibile con il suo valore

Page 79: Elettronica di Potenza3

125

medio Vu0 e, quindi, in grado di eliminare ogni genere di disturbo. Il valore di vL è sempre maggiore di zero, in quanto la VIN è sempre maggiore di Vu0, essendo TON < T ed è per tale motivo che in questo caso si parla di convertitore in discesa. Da tali considerazioni segue necessariamente che la corrente è crescente visto che la sua derivata è positiva. Nel secondo caso, cioè quando l’interruttore x1 è spento e x2 è acceso, la configurazione circuitale risulta:

i

VIN

TOFF

L

R

C

vu

iIN

In questo caso si avrà:

edecrescent

0

0

0

i

Vdtdi

Lv

i

uL

IN

<−≅=

=

(10)

La corrente assorbita dalla batteria sarà nulla, mentre la vL sarà circa uguale a -Vu0 (sotto le ipotesi viste nel caso precedente) e, dunque, negativo. Di conseguenza, la corrente risulterà decrescente. Si vogliono, ora, tracciare le forme d’onda risultanti:

Page 80: Elettronica di Potenza3

126

T

TON

Vu0

Iu0

m(t)

1

t

t

t

t

t

vu

ia

iIN

i(t)

fig. 6 Dalla forma d’onda di figura 6 e dalle topologie circuitali viste, si può capire il funzionamento del circuito in termini più qualitativi. Il filtro può essere visto come un serbatoio di energia che si carica, grazie alla batteria, nel periodo fino a TON e fornisce energia al carico; si scarica, successivamente, rilasciando al carico stesso l’energia immagazzinata dalla capacità e dall’induttanza, quando all’istante TOFF la batteria viene sconnessa. Durante TON la corrente i è crescente e il valore medio della corrente iIN, per la presenza del filtro, è uguale al valore medio della corrente al carico, in quanto la capacità ne blocca il passaggio verso massa. La corrente i, dunque, si muoverà attorno al suo valore medio Iu0. La corrente iIN, durante TON, è uguale alla corrente i, mentre durante TOFF è nulla. Se la capacità è sufficientemente grande, le componenti alternate della corrente, indicata con ia, verranno drenate da essa; tali componenti sono la traslazione verso il basso della corrente i in modo che il valore medio risulti nullo. A questo punto si può affermare che le componenti alternate della tensione d’uscita sono pari a:

Page 81: Elettronica di Potenza3

127

∫= dttiC

v au a)(

1

avendo supposto che tutte le componenti alternate di corrente giungano alla capacità (cosa non vera dal momento che la capacità non è proprio un cortocircuito rispetto alla resistenza, ma lo è solo se la capacità C è realmente molto grande in relazione alla frequenza a cui si opera). Le componenti espresse dalla (10) sono rappresentate in figura 6 da un tratto ondulatorio attorno al valore medio della tensione d’uscita Vu0. Ovviamente, tanto più C è grande, tanto più le componenti alternate vua saranno piccole. Considerazioni Si osserva come la corrente di ingresso iIN abbia un andamento molto impulsivo e come ciò provochi notevoli problemi; innanzitutto, si ha un assorbimento non corretto dalla batteria, inoltre, il fronte di discesa della iIN è così brusco, che un’eventuale induttanza parassita Lp, come mostrato in figura 7, provoca un salto di tensione

dtdi

Lv INpL p

=

virtualmente infinito, se si considera altrettanto virtualmente infinita la derivata di corrente. Tale problema è tanto più grave quanto più è alto il valore di Lp (fili lunghi di connessione) e quanto più gli interruttori sono veloci nella loro commutazione, in quanto la derivata della iIN è legata proprio a tale velocità. Un possibile rimedio è dato dall’inserimento di una capacità il più vicino possibile agli interruttori, che permetta di assorbire le componenti alternate di corrente, impedendo che esse possano giungere agli interruttori stessi. La corrente di ingresso tornerà così ad essere una continua, tanto migliore quanto più Cp sarà grossa.

VIN

Lp

iu

Cp

fig. 7 Per trattare in maniera più rigorosa la progettazione del filtro e apprezzarne la riduzione delle dimensioni rispetto a quelle dei convertitori serie, si dovranno trovare dei criteri che permettano di progettare il filtro stesso, in modo che l’ondulazione risulti la minore possibile. Si partirà, allora, prendendo in considerazione il fattore di ondulazione γ e il suo limite superiore. Si ricorda che γ2 è esprimibile come rapporto tra il quadrato del valore efficace delle componenti alternate indesiderate e il quadrato del valore medio di uscita, in formule:

Page 82: Elettronica di Potenza3

128

220

1

222

20

20

1

22

20

1

2

2 21

21

21

IN

kINkk

kkk

u

kuk

VM

VMH

VH

VH

V

V ∑∑∑∞

=

=

= ===γ (11)

dove con Hk si intende il modulo della funzione di trasferimento (H0 = 1 perché f.d.t., a frequenza zero, di un filtro che si suppone ideale) e dove si è tenuto conto che vale

INVtmtv )()( = che, considerando l’intero spettro, si trasforma in

INkk VMV = con k = 0,1,2,…. A questo punto, ci si ritrova con un γ2 dipendente da tutte le k armoniche; essendo tale espressione difficoltosa da maneggiare, si potrebbe formulare la stessa ipotesi introdotta per i filtri LC, ossia considerare solamente la prima armonica. In realtà, in questo caso specifico tale soluzione non è possibile, in quanto le forme d’onda sono piuttosto impulsive e lo spettro della v(t) non cala rapidamente come quello della doppia semionda, bensì risulta avere componenti armoniche non trascurabili. Sarà necessario, allora, fare un’ipotesi di tipo peggiorativo e affermare che il filtro attenua tutte le armoniche come la prima, cioè:

Hk = H1 ∀ k

Di conseguenza, la (11) può essere riscritta nel seguente modo:

ρρ

ρρρ

γ−

=

−=

−=≅

∑∞

= 121

212

2212

0

20

22

120

1

221

2 HHM

MMH

M

MHRMSk

k

che porta all’espressione finale

ρ

ργ

−≅

11H (12)

che lega il fattore di ondulazione e la funzione di trasferimento del filtro, in particolare, all’armonica di disturbo. Il temine H1, infatti, è proprio alla frequenza di commutazione, in cui deve essere eliminato il disturbo. L’espressione di H1 sarà, dunque, del tipo:

( )2

222

12

12

11ˆ

cc fLCfLCH

ππωω

=

=

≈ (13)

Utilizzando la (12) e la (13) si ottiene

Page 83: Elettronica di Potenza3

129

( )lim

2

1

2

ρρ

πγ <

−≈

cfLC

da cui discende

( ) min

min

2lim

1

2

1

ρρ

πγ−

>cf

LC (14)

Nella (14) ci si è posti nella condizione di caso peggiore, considerando il più piccolo duty cycle ρ possibile; rimane, ora, un ulteriore vincolo relativo all’impulsività della corrente i che scorre sugli interruttori. Si vorrebbe, infatti, che il valore di picco di tale corrente non fosse molto più elevato della componente media di i stessa, questo ai fini di non dovere ricorrere a dimensionamenti troppo costosi per gli interruttori e per gli avvolgimenti dello stesso induttore. Se si definisce ∆i l’ondulazione della corrente i, si dovrà fare in modo che tale intervallo risulti sufficientemente minore del valore medio, ossia:

max0uIi α<∆

in cui α è un fattore che può valere 10% ÷ 20%. Utilizzando, ora, la (9) e approssimandone la derivata con il rapporto incrementale si ottiene:

0uIN VVti

L −≅∆∆

da cui

( ) max0

0u

ONuIN IL

TVVi α<

−≅∆

dall’espressione di TON e di Vu0 si può scrivere ancora

( )max

0uININ I

L

TVVi α

ρρ<

−≅∆

da cui si ricava

( )

max0

1

uc

IN

IfV

ρρ−> (15)

la (15) presenta un massimo per ρ = 1/2 e vale

max04 uc

IN

IfV

>

Page 84: Elettronica di Potenza3

130

3.6.3 Esempio numerico Si considerino le seguenti specifiche di progetto:

AI

VVV

VV

u

u

IN

10

10020

100

%1

max0

0

lim

=

≤≤

==< γγ

e si scelga

KHzf c 20= Dai dati si ricava subito:

2.010020min

0min ===IN

u

VV

ρ

e, quindi

LC > 1.3⋅10-8

Posto α = 20% = 0.2 si può anche calcolare il vincolo su L, che sarà pari a

L > 0.62mH

Scegliendo L = 3mH si ottiene C = 4,2µF che sono valori numerici che, confrontati con quelli ottenuti per il filtro del convertitore AC/DC, evidenziano una notevole riduzione delle dimensioni e, di conseguenza, una maggiore compattezza circuitale. Gli interruttori fin qui considerati erano stati supposti ideali; nella realtà, essi vengono realizzati con una schema circuitale del tipo mostrato in figura 8:

VIN

m(t)

L

C

R

vu(t) ≈ Vu0

fig. 8 Invece di realizzare due interruttori complementari, in pratica si preferisce utilizzare un transistor e un diodo. Se si considerano, infatti, due interruttori, per evitare cortocircuiti in ingresso e circuiti aperti in uscita si dovrà prestare molta attenzione

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131

alla tempistica con cui si esegue il controllo ed avere una notevole certezza sui tempi di risposta dei dispositivi, per avere una perfetta complementarità fra essi. Dal momento che ciò non è affatto semplice da ottenere, si è soliti usare un diodo come interruttore, che diventa asservito allo stato di funzionamento del transistor. Il diodo, infatti, non ha un elettrodo di controllo, ma si accende quando si ha un assorbimento di corrente e la tensione diventa positiva. Poiché, dunque, l’induttanza tende a mantenere la corrente costante, allo spegnimento del transistor la sua resistenza tende ad aumentare e la corrente a diminuire e sarà il diodo a portare la corrente necessaria. Lo spegnimento del transistor, quindi, in virtù di un assorbimento di corrente da parte dell’induttanza, provoca l’accensione del diodo. Si parla, allora, di diodo a controllo dipendente, il cui stato dipende, appunto, dalle variabili elettriche corrente e tensione. In modo più appropriato si parla di diodo free-wheeling (diodo di libera circolazione o ricircolo). Ovviamente bisogna utilizzare diodi e transistor con tempi di risposta paragonabili l’uno all’altro. In particolare, si possono trovare delle difficoltà per ciò che riguarda i tempi di spegnimento del diodo, cioè quando la giunzione fortemente accesa si deve svuotare dall’eccesso di minoritari (problema dello storage). Se, infatti, il transistor si accende, il diodo dovrebbe spegnersi, ma poiché esiste un tempo di storage, definito Tstorage (durante il quale, grazie ad una corrente inversa, la giunzione si svuota dai minoritari) in cui la giunzione, che tende a comportarsi da capacità, mantiene la tensione costante ai suoi capi; in tali condizioni si viene a creare un cortocircuito sulla batteria. Il diodo, dunque, dovrà avere dei tempi di spegnimento e di recupero paragonabili alla velocità di accensione del transistor. I diodo utilizzati sono solitamente i seguenti: • Diodi Fast Recovery (Tstorage limitato) • Diodi Schottky (giunzione metallo semiconduttore con Tstorage ≅ 0) I transistori utilizzati, invece, sono sempre più raramente i BJT, ma più spesso MOS o i più moderni IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor: transistore bipolare a gate isolato), spesso impiegati in applicazioni di potenza (ad esempio nei DC/DC per il controllo di macchine in corrente continua o per la realizzazione degli inverter, ossia dei DC/AC per il controllo di macchine in alternata); per gli alimentatori finora descritti si utilizzano, comunemente, transistori MOS. I transistori IGBT conglobano le caratteristiche positive dei BJT e dei MOS e, in termini semplicistici, possono essere visti come dei bipolari controllati da un MOS. Il vantaggio di tali dispositivi sta nel fatto che possono portare livelli di corrente simili ai bipolari con velocità paragonabili a quelle dei MOS. La simbologia circuitale adottata per questo tipo di transistori è la seguente:

Page 86: Elettronica di Potenza3

132

3.7 Convertitori AC/DC con SCR Fino a questo momento si sono considerate tipologie di alimentatori che prevedono l’utilizzo di due stadi, uno propriamente destinato alla conversione, l’altro alla regolazione e dunque al controllo. E’ possibile utilizzare degli schemi in cui si passa dall’alternata alla continua inserendo anche il controllo, cioè si realizza un convertitore AC/DC diretto controllato. Questa tipologia di circuito è utilizzata in due specifiche situazioni: • quando si opera a potenze elevate; in tal caso si dovrebbe ricorrere a un

convertitore switching che, ad alte frequenze, potrebbe creare problemi a causa della lentezza degli interruttori in relazione alle frequenze in gioco. A questo punto sarà, allora, necessario ricorrere a degli schemi circuitali diversi, che pur non essendo eccessivamente veloci, presentano una notevole robustezza.

• quando non si richiedono grosse prestazioni ed è necessario avere costi molto bassi per il convertitore.

Si vuole, ora, analizzare come sono realizzati gli AC/DC a conversione diretta. Essi utilizzano dispositivi detti SCR (Silicon Controlled Rectifier) che furono una delle prime evoluzioni dei componenti elettronici dopo il BJT, capaci di sopportare tensioni e correnti molto elevate (tensioni di blocco pari a 5000V e correnti pari a 5000A). Gli SCR sono dispositivi piuttosto grossi, anche delle dimensioni di un wafer. Il simbolismo utilizzato per identificarli è simile a quello di un diodo, dato il loro comportamento simile a tale dispositivo, ma con un elettrodo in più, detto GATE, che permette il controllo e dunque l’accensione del dispositivo.

I A

K

G

V

La struttura del dispositivo e la sua caratteristica I/V sono del tipo mostrato in figura 1 (in fig. 1.b la caratteristica è dilatata per renderne più visibile l’andamento).

Page 87: Elettronica di Potenza3

133

VBD

I

V

VBO

VH

IH

IG = 0

IG crescente

p

n

n

p

K

G

A

fig. 1.a

fig. 1.b

Il dispositivo è costituito da quattro stadi drogati p ed n in modo alternato. Per ciò che riguarda la caratteristica si osserva che, in inversa, si ritrova la tensione di breakdown, date le caratteristiche simili a quelle di un diodo (in tale zona il dispositivo non viene, comunque, mai usato); in diretta si ha, invece, l’andamento visualizzato in figura1.b, dove IH e VH sono dette rispettivamente corrente e tensione di Holding e dove VBO è detta tensione di break-over. La zona a tratteggio, rappresenta una zona di instabilità del dispositivo, percorribile solo in modo dinamico e non misurabile staticamente, mentre le zone a tratto continuo sono percorribili in modo statico. Dalla struttura del dispositivo, si può osservare che, in assenza di una tensione di gate VG , le due giunzioni p-n p-n fanno in modo che non vi sia passaggio di corrente; infatti sia che venga fornita una tensione diretta sia che venga fornita una tensione inversa, c’è sempre una delle due giunzioni polarizzata in inversa (diodo in inversa) che impedisce la conduzione. Da ciò si deduce che, come esiste una tensione limite in inversa rappresentata dalla tensione di breakdown VBD , così esiste una tensione in diretta che limita il dispositivo stesso. Quest’ultima è la tensione di break-over ed è dello stesso ordine della VBD . Quindi, mantenere spento il dispositivo non è impresa ardua. Si vuole, invece, vedere come accendere l’SCR. Per capirne meglio il comportamento si consideri la struttura pnpn e la si veda come due strutture connesse di tipo pnp ed npn rispettivamente. Sarà così possibile considerare l’equivalente circuitale del dispositivo come:

A

K

Tp

Tn

G

ICp

ICn

IBp

IBn

fig. 2

Page 88: Elettronica di Potenza3

134

Se, ora, si applica un impulso positivo di corrente al terminale di gate G, questo entra come corrente di base nel transistore Tn , genera una corrente di collettore ICn e di conseguenza una corrente di base per il transistore Tp, che genera a sua volta una corrente di collettore ICp, che tornerà nella base di Tn provocando un anello. La corrente di collettore di Tp, rispetto alla corrente di base di Tn, può essere calcolata come segue:

BpFEpCp IhI =

ma

BnFEnCnBp IhII ==

quindi

BnFEnFEpCp IhhI =

cioè la corrente di base che è entrata in Tn la si ritrova nel collettore di Tp moltiplicata per il prodotto degli hFE dei due transistori. Ora, se l’impulso di corrente IG dato in ingresso è tale da fare in modo che

1>FEpFEn hh

si ottiene un meccanismo di reazione positiva e dunque un guadagno d’anello positivo e i due transistor saturano velocemente. Ciò comporta che le giunzioni BE e BC siano in diretta. Se ora viene tolto l’impulso di gate, lo stato delle tensioni rimane invariato e questo è uno dei vantaggi maggiori del dispositivo (minimo consumo di energia per l’accensione e guadagno infinito sul controllo). A questo punto la caratteristica torna ad essere propriamente quella del diodo. Come si può osservare in figura 1.b, l’accensione dell’SCR può avvenire anche per IG = 0 e ciò è vero se si supera la tensione di break-over. Tale accensione è causata da un innesco interno che, ovviamente, dovrà essere evitato, in quanto può provocare la rottura del dispositivo. Aumentando la IG, la tensione ai capi dell’SCR, necessaria a generare l’accensione, sarà via minore. Esiste però un limite alla tensione ai capi del dispositivo rappresentata da VH (tensione di Holding o mantenimento), sotto la quale, anche per un impulso di corrente IG elevato, l’SCR non si accende. Una volta acceso, la caduta ai capi del dispositivo sarà:

γVV AK ≅

dove A rappresenta l’anodo, K il catodo e Vγ la tensione di soglia del dispositivo. Tale espressione risulta verificata in quanto le tensioni ai capi dei transistori tendono ad eliminarsi vicendevolmente a meno di una soglia (vedi figura 2) e dunque la caduta complessiva risulta circa uguale a quella di un diodo. In realtà, però, per motivi tecnologici, si ha un valore leggermente maggiore. Quando il dispositivo è acceso la caduta ai suoi capi è comunque relativamente piccola, e ciò spiega come, nello stato ON, il componente possa sopportare correnti elevate e come esso abbia una dissipazione sufficientemente bassa. E’, però, importante

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sottolineare che, mentre da un punto di vista operativo l’accensione risulta molto semplice, lo spegnimento non risulta altrettanto facile. Se, infatti, in linea di principio, si potrebbe pensare di poter estrarre una elevata corrente dalla base del transistor per spegnere il dispositivo, nella realtà ciò non è realizzabile, pena la rottura dell’SCR; mentre, infatti, il fatto di dover generare una elevata corrente sarebbe superabile, anche se con difficoltà, non si potrebbe tuttavia evitare la rottura del dispositivo. Date le notevoli dimensioni dell’SCR, il comando di spegnimento che si fornisce è tale da non riuscire a propagarsi in modo sufficientemente veloce su tutta la sua sezione e, quindi, le sezioni più vicine all’elettrodo di gate si spegneranno più velocemente di quelle più lontane. La corrente che scorre si trova, così, a disposizione una sezione del dispositivo ridotta, proprio per il fatto che parte di esso è già spenta. Diminuendo la sezione, aumenta la dissipazione e il dispositivo si brucia. L’SCR risulta, allora, un componente ibrido, la cui accensione può essere controllata come un transistor dall’esterno, grazie al morsetto di gate, ma il cui spegnimento deve avvenire internamente, cioè quando la corrente o la tensione vanno al di sotto dei livelli di soglia (IH, VH), esattamente come un diodo. Da quanto affermato si può capire come i tempi di spegnimento di questi componenti siano piuttosto lunghi e arrivino all’ordine delle centinaia di microsecondi, contro i nano secondi necessari per spegnere un MOS. Per ovviare a questo tipo di problema è nato un altro dispositivo detto GTO-SCR (Gate Turn Off-SCR), che consiste in un SCR accendibile e spegnibile dal gate, con il limite, tuttavia, di poter sopportare minori correnti e tensioni di un SCR classico. Il simbolo adottato per il GTO-SCR è il seguente:

I A

K

G

V

I dispositivi fin qui descritti trovano una loro applicazione nel convertitore AC/DC a conversione diretta, dove si è in grado di controllare il livello di continua e per questo vengono anche detti convertitori controllati. Gli schemi per questa tipologia di convertitori sono particolarmente semplici e riprendono quelli visti per gli AC/DC non controllati. Per semplicità si considererà solamente lo schema a mezz’onda, dove il diodo del circuito verrà sostituito da un SCR:

vu

R

G

vIN

iu

fig. 3

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Si considerino, ora, le forme d’onda raffigurate in figura 4:

ωt

ωt

ωt

ωt

vIN

iG

vu

vAK

α

fig. 4

Si supponga, inizialmente, che il dispositivo sia spento: nel caso in cui al posto dell’SCR ci fosse un diodo, la semionda positiva di ingresso ne provocherebbe l’accensione; in questo caso specifico, invece, finché non si interviene con un impulso sul gate, l’SCR non si accende, anche se la tensione ai suoi capi vAK risulta positiva e la tensione d’uscita vu rimane a zero. Se, ora, dopo un certo angolo α (detto angolo di accensione) si fornisce un impulso sul gate di intensità pari a quella specificata sul Data Sheet del componente, essendo vAK positiva, l’SCR si accende. In seguito all’impulso il dispositivo si accenderà e la vAK si porterà alla tensione di soglia Vγ (≈ 0); conseguentemente la tensione d’uscita sarà praticamente uguale a quella di ingresso. Quando la tensione di uscita va a zero si annulla anche la corrente (che coincide con la tensione a meno di un fattore di scala) A questo punto l’SCR si spegne naturalmente e la tensione d’uscita resterà a zero fino al successivo impulso. La vAK, invece, seguendo l’andamento della semionda di ingresso, si porterà ad un valore negativo e, dunque, si avrà ai capi dell’SCR una tensione inversa, che tornerà ad essere diretta nel momento in cui la vIN risale a valori positivi. Sarà, ora, possibile fornire un ulteriore impulso per osservare nuovamente quanto appena descritto. Il comportamento di questo circuito non è molto diverso da quello dell’AC/DC a mezz’onda, con il vantaggio, però, di poter controllare la durata della semionda in uscita e, dunque, il suo valore medio tramite l’impulso sul gate; l’espressione del valore medio viene qui di seguito riportata:

∫=π

α

ϕϕπ

dVV INu )sen(2

10

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Svolgendo l’integrale si ottiene:

( )απ

cos120 += IN

u

VV (1)

Si osserva che il valore medio espresso dalla (1) dipende dall’angolo di accensione: se, infatti, α = 0 si ritrova il valore medio già calcolato in occasione del circuito con un semplice diodo, mentre se α = π, cioè si ritarda l’impulso, il valore medio si annulla, in quanto la tensione anodo catodo vAK risulta negativa e l’SCR non si accende. Ciò è confermato dalla (1), perché se α = π si ha cosα = -1 e, dunque, Vu0 = 0. Agendo sull’angolo di accensione, quindi, si ottiene:

per α = 0 Vu0 = VIN/π ⇒ massimo teorico per α = π Vu0 = 0 ⇒ minimo teorico Si è, così, realizzato un circuito che effettua una conversione AC/DC unitamente al controllo, rinunciando alla raffinatezza dello schema a conversione intermedia in continua (AC/DC + regolatore DC/DC) per poter raggiungere livelli di potenza molto elevati. Per livelli di potenza leggermente più bassi si preferiscono schemi che impiegano i GTO-SCR; tali circuiti risultano molto più simili a quelli visti per i DC/DC in commutazione e, quindi, più raffinati. Si ricorda che lo schema studiato per il convertitore AC/DC con SCR a mezz’onda ha gli stessi problemi visti per l’AC/DC non controllato a mezz’onda; infatti, nel momento in cui si devono usare dei trasformatori, si ha la saturazione di quest’ultimo, dovuta alla presenza della continua in ingresso.