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La Rassegna d’Ischia 7/2000 37 Fatti e personaggi della storia Storia dei Corpi preposti alla vigilanza doganale (Guardia di Finanza) negli Stati italiani preunitari di Vincenzo Cuomo La Legionw Truppe Leg- gere respinge un attacco franceseall’Authion (14 giugno 1793) - Dipinto del Degai Regno di Sardegna — Il Corpo della Guardia di Finanza fa risalire le pro- prie origini e ricollega le proprie tradizioni militari alla Legione Truppe Leggere, unità di fanteria, istituita il primo ottobre 1774 da Vittorio Ame- deo III (1773-1796), sovrano del Regno di Sardegna, con il preciso intento di creare un corpo speciale da destinare al servizio di vigilanza doganale contro il contrabbando, oltre che alla difesa militare delle frontiere. Il re- parto, il cui comando venne affidato a valorosi ufficiali - primo tra essi il Colonnello Gabriele Pictet - ben presto acquisì rinomanza e prestigio, non soltanto per la sua ottima organizzazione e per l’efficienza del servi- zio espletato in tempo di pace, ma anche per le splendide prove offerte in guerra, nelle varie campagne, in cui il regno sabaudo fu coinvolto contro i Francesi e Napoleone. I soldati della Legione Truppe Leggere si distin- sero in particolare nelle battaglie di Authion (1793), di Castel Ginestre (1794), di Casal di Priola (1795), della Spinarda (1795) e ancora nelle bat- taglie di Loano (1795) e Mondovì (1796), guadagnando complessivamen- te 9 Medaglie d’Argento al Valor Militare e 42 Croci dell’Ordine Militare di Savoia. A fine Settecento, con l’affermazione anche in Piemonte dell’egemonia francese, scomparve la Legione Truppe Leggere, cosicché la funzione di vigilanza anticontrabbando sui confini venne affidata al nuovo corpo dei Preposti Doganali. Con la fine dell’Impero napoleonico e la conseguente Restaurazione (1814), in Europa risorsero gli antichi Stati e si ricrearo- no i precedenti confini. Il nuovo sovrano del Regno di Sardegna, Vitto- rio Emanuele I (1802 - 1821), nel riorganizzare la propria forza armata, non poté fare a meno di istituire nuovamente un reparto scelto di fan-

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La Rassegna d’Ischia 7/2000 37

Fatti e personaggi della storia

StoriadeiCorpi prepostiallavigilanza

doganale(GuardiadiFinanza)negliStatiitalianipreunitari

diVincenzoCuomo

La Legionw Truppe Leg-gere respinge un attacco franceseall’Authion (14 giugno 1793) - Dipinto del Degai

Regno di Sardegna — Il Corpo della Guardia di Finanza fa risalire le pro-prie origini e ricollega le proprie tradizioni militari alla Legione Truppe Leggere, unità di fanteria, istituita il primo ottobre 1774 da Vittorio Ame-deo III (1773-1796), sovrano del Regno di Sardegna, con il preciso intento di creare un corpo speciale da destinare al servizio di vigilanza doganale contro il contrabbando, oltre che alla difesa militare delle frontiere. Il re-parto, il cui comando venne affidato a valorosi ufficiali - primo tra essi il Colonnello Gabriele Pictet - ben presto acquisì rinomanza e prestigio, non soltanto per la sua ottima organizzazione e per l’efficienza del servi-zio espletato in tempo di pace, ma anche per le splendide prove offerte in guerra, nelle varie campagne, in cui il regno sabaudo fu coinvolto contro i Francesi e Napoleone. I soldati della Legione Truppe Leggere si distin-sero in particolare nelle battaglie di Authion (1793), di Castel Ginestre (1794), di Casal di Priola (1795), della Spinarda (1795) e ancora nelle bat-taglie di Loano (1795) e Mondovì (1796), guadagnando complessivamen-te 9 Medaglie d’Argento al Valor Militare e 42 Croci dell’Ordine Militare di Savoia. A fine Settecento, con l’affermazione anche in Piemonte dell’egemonia francese, scomparve la Legione Truppe Leggere, cosicché la funzione di vigilanza anticontrabbando sui confini venne affidata al nuovo corpo dei Preposti Doganali. Con la fine dell’Impero napoleonico e la conseguente Restaurazione (1814), in Europa risorsero gli antichi Stati e si ricrearo-no i precedenti confini. Il nuovo sovrano del Regno di Sardegna, Vitto-rio Emanuele I (1802 - 1821), nel riorganizzare la propria forza armata, non poté fare a meno di istituire nuovamente un reparto scelto di fan-

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teria leggera, che venne denomi-nato Legione Reale Leggera. Con Regio Viglietto dell’8 aprile intese, infatti, ripristinare quella “Legio-ne delle Truppe Leggiere... sciolta nel 1796 per le circostanze di quei tempi e che spiegò durante la pace intelligenza, sollecitudine e atti-vità encomiabile nella custodia delle frontiere, mentre nel corso della guerra fecesi annoverare fra i Corpi più meritevoli della nostra Corona”. Essa, però, per quan-to verte la sua funzione in tempo di pace, non andò a sostituire in-tegralmente i Preposti Doganali, bensì ad affiancarsi a essi, ovvia-mente in una superiore dimensio-ne di organizzazione, competenza e professionalità. La Legione Reale Leggera, rela-tivamente all’amministrazione, al personale e alla disciplina, venne posta alle dipendenze del Ministro della Guerra, mentre per la vigi-lanza e il controllo doganale era subordinata a quello delle Finanze. Al fine di rendere tale servizio il più possibile efficiente e funzionale, il Corpo venne diviso in due grandi raggruppamenti. Mentre il primo fu inviato sui confini a collaborare con i Preposti Doganali, nei luoghi ove maggiormente appariva neces-saria la sua presenza; il secondo, su posizioni molto più arretrate, ebbe, invece, l’incarico di svolgere un la-voro autonomo di intercettazione contro quei contrabbandieri che fossero riusciti a sfuggire alla pri-ma linea di controllo. Nel marzo 1821, quei fermenti co-stituzionali che già avevano conta-giato diversi Stati europei giunsero anche in Piemonte. La Legione Re-ale Leggera concesse disponibilità e adesione ai rivoluzionari, tanto che Carlo Alberto, apprezzandone la scelta, durante il breve periodo in cui sostituì Carlo Felice, ordinò che l’organico di tale unità fosse aumentato, sino a raggiungere la consistenza di sei Battaglioni (17 marzo). Il sovrano legittimo però, sconfessate le tendenze liberali del suo sostituto, prima ne ridusse l’or-ganico, successivamente, nel corso di un riordino della forza armata dello Stato, in cui era prevista an- Bandiera Colonnella della Legione Reale Leggera

che una sorta di punizione per quei reparti che si erano schierati con i Carbonari, ordinò che la Legione cessasse di esistere autonomamen-te e, scomposta in Battaglioni, ven-ne incorporata in altre unità dell’E-sercito. Con il ritiro, dai confini del Regno, di tale efficiente formazio-ne, il controllo restava così affida-to ai soli Preposti Doganali, i quali ebbero un ulteriore e più delicato compito, che prevedeva controlli sistematici a depositi, fabbriche e stabilimenti, situati entro cinque miglia dalla frontiera dello Stato. Al contingente di terra, ben presto se ne affiancò anche uno di mare, destinato al controllo costiero. In tal modo venivano poste le basi di quello che sarà il futuro servizio na-vale della Guardia di Finanza. Negli anni antecedenti l’unità d’I-talia, i Preposti Doganali operaro-no ininterrottamente e autonoma-mente nell’assolvimento delle loro mansioni istituzionali. Non essen-do, però, inquadrati nella struttura militare dello Stato, raramente ca-pitò loro di prendere parte a quegli episodi patriottici e risorgimentali che punteggiarono la storia del Pie-monte. Tutto ciò è, tuttavia, valido unicamente per il Corpo come isti-tuzione e non per i singoli compo-

nenti, i quali, in veste di volontari, ogni qual volta se ne presentarono l’occasione e la necessità, affluiro-no tra le fila dell’Esercito o nelle formazioni irregolari a combatte-re per la Causa italiana. Durante i moti rivoluzionari del 1848, essi furono attivi sui campi di battaglia di Custoza e Novara, grazie al mas-siccio numero di volontari usciti dalle loro fila. Invece nella seconda guerra d’indipendenza, venne con-cesso ai Preposti Doganali di parte-cipare in qualità di Corpo armato, anche se con funzioni marginali. Tra i militanti si distinsero coloro che furono impegnati negli avam-posti di confine, dove svolsero un ruolo di grande responsabilità, cioè quello di controllare e segnalare gli sconfinamenti austriaci in territo-rio sabaudo. L’operazione di guer-ra autonoma più importante, nella quale si trovarono coinvolti, si ebbe sul Lago Maggiore. Alla notizia di un attacco da parte di tre piroscafi asburgici, i Finan-zieri dei reparti di Arona, Intra, Pallanza e Cannobio, si adoperaro-no al fine di contrastare e far cessa-re tali incursioni. Su tutti si distinse Luigi Bazzano, reduce dalla guerra in Crimea, ove aveva acquisito una notevole competenza in fatto di ar-

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tiglieria; egli, con un vecchio can-none e l’ausilio di alcuni volontari, iniziò un fitto e preciso cannoneg-giamento di risposta a quello delle

navi, provocando l’affondamento di un piroscafo e salvando la citta-dina di Cannobio da sicuri e gravi danni.

Così come era avvenuto nel Regno di Sardegna, anche presso gli altri stati della penisola restaurati dal congresso di Vienna, ricostruite le pre-cedenti rigide frontiere, si sentì il bisogno di organizzare nuovamente una valida difesa doganale. Abbandonati, nella maggior parte dei casi, i poco incisivi e determinati corpi settecenteschi, si vollero quasi ovunque costituire delle nuove unità. Reparti ispirati e modellati a quell’ordina-mento francese, di gran lunga superiore e che sempre aveva dato eccel-lenti risultati.

RepubblicadiGenova -- Nella città di Genova, nell’aprile del 1814, allorquando venne fatta rivivere la gloriosa Repubblica, tra i tanti atti emanati dal governo, al fine di ricostruire le proprie strutture politiche militari, ci fu anche quello che istituì il Corpo Generale di Guardafinanze. Raggruppamento incaricato di esercitare un’azione di tutela doganale, sia sui confini terrestri che su quelli marittimi dello Stato. L’organico iniziale prevedeva una forza di circa 500 uomini, di cui la maggior parte addetti al controllo della lunga e frastagliata fascia costiera. Sul mare la vigilanza era effettuata con l’ausilio di una ventina di agili e veloci imbarcazioni. Comunque questo corpo nel suo insieme, per consistenza numerica ed in-quadramento militare, subito apparve tra i migliori reparti armati della Repubblica. La sua esistenza fu però di breve durata. Infatti, nel momen-to in cui venne decretato che l’antica Superba dovesse cessare di essere un’entità politica autonoma per integrarsi con il regno di Sardegna (7 gen-naio 1815), anche il Corpo Generale di Guardafinanze smise di esistere. Le esperienze e la competenza degli uomini che lo componevano non anda-rono disperse, in quanto essi vennero fatti transitare nei ranghi di reparti doganali.

RegnoLombardo-Veneto - - Il Lombardo-Veneto al suo ritorno tra i territori del cosmopolita impero d’Austria, dopo la scomparsa del regno italiano, conservò gran parte di quella struttura amministrativa che era stata creata nel corso della dominazione napoleonica. Ciò fu voluto so-prattutto per non creare scompensi nell’esercizio dei servizi statali. Per-tanto anche la Imperial Regia Forz’Armata di Finanza, che con il viceré Eugenio aveva egregiamente svolto funzioni di contrasto al contrabbando, venne lasciata sopravvivere. Nel 1835 al fine di migliorarne l’efficienza e la razionalità, il Corpo venne diviso in due grandi raggruppamenti, con differenti mansioni. Il primo con la denominazione di Guardia di confine ebbe assegnato il compito di vigilare le frontiere nell’intento di reprimere il contrabbando. Il secondo invece con l’appellativo di Guardia di Finanza, oltre a controllare che non fosse violata alcuna legge finanziaria, fu anche obbligato a concedere assistenza a quegli uffici cui era affidata la riscossio-ne delle imposte. Inoltre entrambi, in caso di necessità, potevano essere delegati a concorrere alla tutela dell’ordine pubblico. Nel 1843 i due cor-pi furono nuovamente riuniti. Dalla loro fusione nasceva l’Imperial Regia Guardia di Finanza. Il nuovo organismo che in realtà veniva a svolgere gli stessi compiti dei disciolti reparti conservava pure inalterato lo status di Corpo civile dello Stato. Ciò, nonostante che i suoi uomini, così come del resto era avvenuto anche in precedenza, indossassero uniformi e gradi dell’esercito e fossero equipaggiati con le stesse armi dei soldati regolari. La Specialità, che nel corso di lunghi anni di esemplare servizio, aveva acquisito notevoli benemerenze nei riguardi della popolazione del regno,

si accingeva adesso a guadagnar-sene anche di patriottiche e risor-gimentali. Infatti, quando nel 1848 i Milanesi si sollevarono contro il dominio austriaco, dando vita alle Cinque Giornate, gran parte degli uomini del Corpo, sposata la Causa, si unirono ai rivoluzionari e, appe-na giunti all’interno della struttura difensiva che gli insorti avevano creato, grazie alla formazione mili-tare e all’esperienza alle armi di cui erano in possesso, in breve diven-nero il nodo centrale. Loro princi-pale compito risultò così non solo contrastare le agguerrite truppe del Radetsky sulle barricate, ma anche e soprattutto svolgere mansioni di guida tattica e di istruttori per i meno esperti. Furono in tal mondo attivi in tutti gli scontri che in quei giorni segnarono il trionfo di questi nobili idealisti. I Finanzieri si bat-terono contro gli Austriaci non solo a Milano, in quanto tantissimi fu-rono pure coloro che contribuirono alla disperata difesa della Repub-blica di Venezia. A costoro sono da affiancare altresì quelli che presero parte alle molteplici piccole azio-ni di fuoco isolate che si ebbero ovunque risultassero esservi sol-dati asburgici. Il maggior ricono-scimento per tale impegno venne loro lai Governo provvisorio della Lombardia che, volendo esprimere gratitudine e riconoscenza a questi valorosi combattenti e ritenendo insufficienti i ringraziamenti ver-bali, fece stilare un vero e proprio documento ufficiale. Tra coloro che apprezzarono l’audacia e la compe-tenza del Corpo vi fu anche Lucia-no Manara, eroico difensore della Repubblica Romana di Mazzini che nel momento in cui costituì il Bat-taglione dei Bersaglieri Lombardi tanto si adoperò affinché l’organico fosse composto nella maggior parte da finanzieri, che infatti raggiunse-ro il numero di 450.

DucatodiModena - - Il ducato di Modena retto da Francesco IV d’Austria-Este (1814-1846), desti-nato a passare alla storia non solo per una sfrenata ed inconcludente ambizione, ma anche per un pen-siero ferocemente reazionario,

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ebbe pur esso una forza armata preposta al controllo doganale. Poiché lo Stato, malgrado la sua esiguità territoriale, confinava con un gran numero di altre realtà politiche, un Corpo di tal natura apparve subi-to necessario ed indispensabile. Dotato di un ordina-mento militare, giuridicamente restava però un Cor-po civile. Inizialmente comunque l’organico risultò essere di appena due compagnie. Il 1852 poi, preso atto che un così modesto numero di uomini non avrebbe mai potuto svolgere il minuzioso e capillare servizio di sorveglianza richiesto, le compagnie ven-nero fatte lievitare a tre. In relazione a tale potenzia-mento anche i compiti furono meglio definiti con un conseguente aumento delle mansioni.

DucatodiParma - - Il Ducato di Parma, che il congresso di Vienna aveva concesso a Maria Luisa, moglie di Napoleone, a parziale risarcimento della Corona imperiale, ebbe il suo reparto incaricato di sorvegliare le frontiere al fine di contrastare il con-trabbando. Questo Stato che risultava in possesso di uno dei più illuminati governi costituiti al momen-to in Italia, grazie essenzialmente alla sagacia ed al buon senso del Conte di Neipperg, istituì tale unità nel 1837. Ripartita in 42 distaccamenti, assunse la denominazione di Guardia di Finanza. Poiché tra i compiti principali vi era la vigilanza sul Po, indubbia-mente la parte del confine più facile da violare, i suoi uomini vennero anche dotati di idonee imbarcazioni. Nel 1854, dopo che tre anni prima aveva modifica-to il proprio appellativo con l’aggiunta di Reale alla precedente dizione di Guardia di Finanza, durante i moti insurrezionali patriottici, vi aderì la quasi tota-lità dei componenti. Al ritorno degli Austriaci ancora una volta incaricati della repressione, tra i tanti par-mensi che vennero giustiziati solo per aver creduto in quell’ideale di una Patria indipendente e sovrana, vi furono anche tre finanzieri. Il castigo non si esaurì qui in quanto si volle punire pure l’intera struttura, privandola del nobilitante attributo di Reale. Non ri-

uscendo ad accettare tale umiliazione e la fucilazione dei propri compagni, molti furono allora coloro che con il ritorno alla normalità preferirono congedarsi ed abbandonare il Corpo.

GranducatodiToscana - - Nel Granducato di To-scana ugualmente risultava essere presente un Corpo incaricato di impedire qualunque violazione alle leg-gi doganali. In questo territorio, ove era anche in atto un rifiorire della cultura italiana, che in breve traboc-cando avrebbe invaso l’intera Penisola, tale repar-to di controllo dei confini fu istituito il 18 dicembre 1840. Esso non era però una creazione nuova, bensì la trasposizione ad un superiore livello di competen-za e professionalità di una Specialità già da tempo esistente ed operante. Al momento della costituzione assunse la denominazione di Reale Guardia di Fi-nanza. Con un carattere prevalentemente civile, era tuttavia equiparata per armamento, organizzazione e disciplina ad una qualunque altra unità dell’Eserci-to. Pertanto, grazie a tali qualità e alla indubbia pre-parazione, poteva, in caso di necessità, essere anche destinata ad un’azione di guerra, sia autonoma che di supporto ai Battaglioni delle Forze Armate dello Sta-to. Allo scopo di rendere maggiormente accentuato l’aspetto militare, tra il 1852 ed il 1857, pure le divi-se della Reale Guardia di Finanza furono modificate fino a farle risultare il più possibile vicine a quelle della truppa regolare.

StatoPontificio - - Con la dissoluzione dell’uni-verso politico napoleonico, che aveva proclamato Roma seconda città dell’Impero, lo Stato Pontificio, nonostante l’impegno del cardinale Consalvi, ritornò nella precedente dimensione di reazionarismo e cupa avversione ad ogni sentimento di libertà. Questa par-ticolare realtà teocratica già nel 1786 aveva inteso istituire una guardia per la vigilanza fiscale confina-ria, che con un organico di circa 485 uomini aveva

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preso il nome di Truppa di Finanza. Al termine della dominazione fran-cese ed alla luce delle esperienze acquisite, il Corpo venne fatto rivi-vere, dopo essere stato sottoposto ad una radicale ristrutturazione e riorganizzazione. Raggiunta la consistenza di 1300 unità, nel 1827 assunse la nuova e diversa denomi-nazione di Guardia di Finanza Pon-tificia. Nel contempo fu pure vara-to un più moderno regolamento, con il quale erano meglio precisati compiti e prerogative. Con esso era altresì sancito che il reparto fosse subordinato alle leggi militari del-lo Stato, e che quindi i componenti avrebbero anche dovuto indossare uniformi simili a quelle dell’Eser-cito. Nel 1836, avvertitane la necessità, al Corpo venne concesso pure un’a-liquota a cavallo che fu la Cavalle-ria Doganale. Con sede ad Anco-na, oltre alle normali attribuzioni, questa ebbe altresì l’incarico di fare da scorta alle diligenze per proteg-gerle e preservarle dagli attacchi dei tanti briganti che infestavano le campagne. Poiché lo Stato della Chiesa, oltre ai confini terrestri, ne aveva anche di marittimi, a par-tire dai lontani anni della Truppa di Finanza, venne voluto pure un servizio di vigilanza costiera. Nel prosieguo della sua evoluzione, nel 1827 esso con la definizione di Ma-rina di Finanza Pontificia, assunse una superiore consistenza ed effi-cienza, tanto che nel 1844 risultava essere in possesso di una flottiglia di piccoli scafi veramente notevole, oltre a quattro piroscafi. Pertanto, alla luce di tale suddivisione e mo-bilità, la Finanza papale, nel pano-rama politico preunitario, appariva indubbiamente quella dotata della più alta articolazione e funzionali-tà. I meriti di questo Corpo non sono tuttavia legati unicamente alla nor-male attività di servizio, in quanto le sue pagine più belle sono indub-biamente quelle scritte in relazione alla partecipazione armata a favore della lotta risorgimentale. Il pri-mo apporto alla Causa patriottica venne dato nel 1831, allorquando alcuni reparti si distinsero in uno

scontro contro gli Austriaci. Fu però durante i moti insurrezionali del 1848 e gli eventi politici dell’an-no successivo che la Guardia di Fi-nanza Pontificia diede il meglio di sé a favore della Libertà. Durante la fase iniziale di questo lungo pe-riodo di belligeranza, nel momento in cui la quasi totalità degli Stati italiani si schieravano a sostegno dell’Esercito di Carlo Alberto, a Bologna un’aliquota di Finanzieri attaccò un contingente di superiore consistenza numerica. L’unità, che aveva invaso i territori papali, dopo un lungo e serrato combattimento, venne costretta a retrocedere. Nel 1849 poi, quando il moto assunse una diversa colorazione democra-tico-repubblicana ed i soldati di Vienna diedero vita ad una con-quista sistematica dell’intera pe-nisola per restituirla ai precedenti reggitori - priva ovviamente di qua-lunque venatura di partecipazione popolare al potere - i Finanzieri furono ancora una volta tra le trup-pe più impegnate, coraggiose ed abili. Il primo scontro di un certo rilievo, inerente a questa seconda fase, l’ebbero ad Ancona; città, ove tra gli strenui difensori risultaro-no attivi conti il nemico, non solo una Compagni di questo Corpo, ma anche alcune imbarcazioni della Marina di F nanza Pontificia, che tanto si adoperarono nel cercare di contrastare il superiore naviglio dell’imperatore austriaco. Allorquando poi il territorio de la Repubblica Romana, retta da Maz-zini, Saffi ed Armellini, si ridusse al solo perimetro della città eterna, assediata da ogni lato dagli eserciti nemici, allora i componenti della Guardia di Finanza Pontificia lievi-tarono ancora sino a divenire i veri protagonisti della guerra in cor-so. Questi uomini, indubbiamen-te truppa scelta in un panorama militare composto essenzialmente da volontari con poca o nulla espe-rienza, furono così come del resto era già accaduto durante le Cinque Giornate di Milano, la struttura portante dell’intero sistema difen-sivo. Esso si articolava su quattro Brigate, che costituivano la totali-tà della forza armata dei patrioti.

Quella al diretto comando di Gari-baldi, nel suo organico annoverava pure uno de due grossi nuclei nei quali la Specialità si era suddivisa e che avevi assunto la denomina-zione di Bersaglieri del Tebro. A questi reparti predisposti per l’e-strema difesi dell’ideale egualitario repubblicano, in breve venne ad af-fiancarsi anche quel già citato Bat-taglione dei Bersaglieri Lombardi, tra le cui file risultavano presenti ben 450 finanzieri provenienti dal Lombardo-Veneto. Infine non va dimenticato che nella lotta furono attive altresì unità montate della Cavalleria doganale. Così come era da prevedere, vista la grande disparità di forze esisten-ti, la lotta malgrado il valore mo-strato dalle truppe rivoluzionarie a Porta San Pancrazio, Palestrina e Villa Corsini, si concluse con la vit-toria dell’Armata francese guidata dal Generale Oudinot. Nel momen-to in cui l’Eroe dei due mondi, tra mille peripezie e pericoli di ogni ge-nere, cercò con i resti dell’esercito sconfitto di raggiungere la città di Venezia, che ancora disperatamen-te resisteva, la parte indubbiamen-te più cospicua e fedele dei suoi uo-mini ancora una volta risultò essere formata dai Finanzieri. Nel corso di tale drammatico viaggio attraverso un’Italia centrale già occupata da-gli Austriaci, se il raggruppamen-to riuscì ad arrivare quasi integro sino a San Marino, gran merito va ad alcuni reparti della Cavalleria doganale. Unità a cavallo che, im-pegnate in operazioni di retroguar-dia, furono in grado di esercitare in tutto il tempo una valida azione di copertura alle truppe in ritirata, evitando quindi il loro completo annientamento.

Regno delle Due Sicilie -- La storia del controllo doganale, nell’accezione più moderna del ter-mine, in quel Regno dell’Italia me-ridionale esistente nel panorama politico europeo dal lontano 1130, la si può indubbiamente far risa-lire all’arrivo di Carlo di Borbone (1734). Egli, infatti, subito dopo il suo insediamento sul trono di Na-

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poli, oltre ad adoperarsi affinché potesse aver termine la condizione di miseria materiale e morale nel-la quale la popolazione era caduta, dopo oltre 230 anni di avvilente dominio vicereale, ritenne dover anche prendere seri provvedimen-ti al fine di ottenere una radicale e completa ristrutturazione dell’am-ministrazione finanziaria dello Sta-to. Nel quadro di tale riassetto ven-nero pure create le Dogane, suddi-vise in quattro Compartimenti. Gli uomini a cui fu delegato il difficile compito di esercitare il controllo non sempre però seppero essere all’altezza del compito. Ciò sia per scarsa professionalità che per dub-bia moralità. Il tutto era poi aggra-vato da una legislazione fiscale an-tiquata e farraginosa, che veniva a favorire indirettamente il contrab-bando e coloro che lo praticavano a danno dell’erario. Il sovrano, per ovviare a tali inconvenienti in non rari casi fece intervenire a sostegno di questa carente specialità uno dei Corpi più scelti dell’Esercito: i Fucilieri di Montagna. Unità che si occupò essenzialmente di ricer-care banditi e contrabbandieri, ma anche di tutelare la riscossione fi-scale, sia nei centri abitati che nei territori non infeudati, sottoposti direttamente alla giurisdizione del-la Corona. Con la sua partenza per la Spagna, ove si recava ad occupare quel tro-no (1759), e con la successiva esau-torazione del Tanucci, quel vento riformatore che aveva soffiato sul Reame subì una drastica battuta di arresto. Di conseguenza tra le tan-te cose che iniziarono a ristagnare rientrò anche la lotta, sia ammini-strativa che repressiva, contro la violazione dei tributi doganali. Nel 1806 per il Regno di Napoli, grazie all’arrivo di Giuseppe Bona-parte, poi sostituito da Gioacchino Murat, aveva inizio un nuovo pe-riodo di rinascita. I due sovrani, infatti, intrapresero una serie di riforme radicali tese a migliorare le condizioni del Reame ed il livello di vita degli abitanti. Tra esse quelle indubbiamente più rilevanti furono l’abolizione della feudalità, il rinno-vamento del catasto ed un riassetto

dell’amministrazione finanziaria. Riordino che, tra l’altro, prevede-va pure una concentrazione nella cassa centrale dello Stato di tutte le entrate fiscali. Di conseguenza erano finalmente abolite quelle dogane interne che tanto facevano da freno al commercio e negati-vamente influivano sull’economia generale del Reame. Sempre nel quadro della tutela degli interessi economici dello Stato, venne decisa l’istituzione di un Corpo armato, il cui compito precipuo doveva essere un’agguerrita forma di contrasto al contrabbando lungo i confini e la tutela sotto ogni aspetto dell’erario statale. Con un organico di circa 2400 unità, tra appiedati, montati ed addetti al servizio navale, ebbe la denominazione di Guardia de dazj indiretti. Tale reparto, i cui ap-partenenti erano completamente militarizzati, dipendeva gerarchi-camente da un sistema di ammini-strazione generale e di percezione dei dazi indiretti per le dogane, sali, dazi di consumo e diritti riuniti. Per poter accedere tra le fila di questa specialità era richiesta un’e-tà variante tra i 18 e i 45 anni. Se però la domanda proveniva da ex militari in congedo, allora il limite massimo poteva essere elevato di due lustri. Durante i sette anni in cui fu in esercizio, il Corpo sempre svolse il ruolo assegnato con com-petenza e serietà. Spesso inoltre dovette sostenere pure delle vere e proprie azioni di guerra, come quando fu impegnato a contrasta-re, armi in pugno, dei tentativi di sbarco lungo le coste da parte delle truppe britanniche. Con la cancellazione dalla carta geografica europea dell’Impero na-poleonico, anche gli Stati satelliti furono costretti a subire la stessa sorte. In ordine di tempo l’ultimo a scomparire fu quel Regno di Napoli che era stato di Gioacchino Murat. In seguito a ciò, potè così far ritor-no nella città partenopea Ferdinan-do IV di Borbone (giugno 1815), dopo il lungo esilio di Palermo. L’indole tirannica ed una visione politica dichiaratamente reaziona-ria lo spingevano a voler dare corso ad una nuova sanguinosa epurazio-

ne, sul tipo di quella del 1799, dopo la breve parentesi della Repubblica Partenopea. Ciò gli fu però impedi-to sia dalle potenze europee che lo avevano restaurato nei suoi domi-ni, che dal Ministro Luigi dei Medi-ci. Ultimo rappresentante di quella schiera di illuministi meridionali che con il loro pensiero ed il loro impegno tanto avevano contribuito ad accrescere e migliorare il livello di progresso materiale e morale del loro tempo. Questi riuscì infatti ad imporre al re una saggia politica di fusio-ne, in un superiore quadro di con-ciliazione generale. Oltre a tante leggi del periodo murattiano, pure il Codice Napoleonico venne così conservato, anche se con alcune modifiche, al fine di renderlo mag-giormente aderente alla realtà loca-le. Il clou lo si raggiunse poi quando riuscì a far allontanare il Principe di Canosa. Costui, malgrado fosse il ministro di polizia, sosteneva ed alimentava i membri di una setta ferocemente reazionaria: i Caldera-ri, veri e propri agenti provocatori, nonché biechi e violenti assassi-ni, che con il loro comportamento venivano a minare l’azione diplo-matica di concordia e distensione che egli tanto faticosamente stava costruendo. Nel quadro della crea-zione di uno stato più compatto e maggiormente amalgamato volle anche unire le due Corone. In tal modo il Regno di Napoli e quello di Sicilia diventarono una sola en-tità politica e territoriale con Ferdi-nando, non più IV a Napoli e III a Palermo, ma I del Regno delle Due Sicilie. Nonostante il cambio di de-nominazione e l’impegno del Me-dici, in breve, il Reame ripiombò però nell’antico baratro di miseria e corruzione, rendendo così chiaro a tutti i livelli la diversità con il pre-cedente periodo. Tra le poche istituzioni che invece fu possibile salvare integralmente rientrò la Guardia de’ dazj indi-retti. Essa non solo venne lasciata intatta a continuare il compito as-segnato, quanto fu pure potenzia-ta, modernizzata e sottoposta ad un radicale riordino. Nel 1824, in concomitanza con l’entrata in vigo-

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re del Manuale di Procedura Civile e Penale degli Agenti dei Dazi In-diretti, oltre a perfezionare quelle già esistenti, vennero altresì varate delle nuove norme tese a regolare e disciplinare, in modo ancor più chiaro e preciso, le attribuzioni e le funzioni della Specialità. Nel 1827 poi durante il breve regno di Fran-cesco I (1835-1830), il Corpo, che sino ad allora aveva operato ed era stato presente solo sul continente, lo si volle estendere anche sull’in-tero territorio della Sicilia. Di con-seguenza, pure a Palermo, venne creata, come già esisteva a Napoli, una Direzione Generale dei dazi indiretti, con tutte le suddivisioni previste. Sull’isola il reparto, oltre a svolgere i normali compiti d’istitu-to, tra cui la riscossione dei tributi doganali, ebbe altresì l’incarico di percepire l’imposta sugli zolfi. Nel corso del 1830, in concomi-tanza con l’avvento sul trono di Ferdinando II (1830-1859), poiché lo Stato intendeva ridurre le spe-se per le Forze Armate, ma anche cercare di far aumentare l’introito fiscale, introdusse, sia pure in una forma più moderna e contenuta, l’antico sistema dell’arrendamen-to. Complesso esattoriale che pre-vedeva la riscossione delle gabelle da parte dei privati. Alle varie Re-gie preposte a tale incarico venne anche consentito di poter detenere un certo numero di uomini arma-ti, a cui leggi e regolamenti conce-devano le stesse prerogative delle Guardie de’ dazj indiretti. Mentre però sul continente la gestione pri-vata restava in netta minoranza in confronto a quella statale, in Sicilia gradatamente diventò sempre più estesa e capillare. Ciò, in un quadro di interessi individuali che male si intrecciavano con quelli pubblici, diede luogo a non pochi episodi di corruzione e malcontento. In meri-to alle Guardie de’ dazj indiretti ri-cordiamo ancora che il Corpo sem-pre conservò quel carattere milita-re che gli era stato dato durante il decennio francese. Pertanto, men-tre per l’espletamento del servizio era sottoposto alla Direzione Gene-rale della Finanza, per l’istruzione e l’organizzazione faceva invece rife-

rimento ad un generale dell’Eserci-to a cui era stata concessa la qualifi-ca di ispettore per la parte militare. Tale specialità già dai tempi di Carlo di Borbone disponeva di una consistente aliquota che si occupa-va della vigilanza costiera. Duran-te il periodo murattiano, a causa soprattutto della Sicilia ancora borbonica e del naviglio inglese presente nel Mediterraneo, ven-ne notevolmente potenziata con l’entrata in esercizio di numerose

altre imbarcazioni. Con la Restau-razione non solo fu lasciata soprav-vivere, quanto venne anche estesa alla vicina Sicilia. Avvertitane la necessità, nel 1826 fu sottoposta ad una radicale ristrutturazione, mentre l’intera flottiglia già da due anni era stata frazionata in quat-tro Divisioni, in modo da coprire integralmente l’intero perimetro delle coste del Reame, al di qua e al di là del Faro. Pertanto, nel 1830, questa Marina Doganale che aveva

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già raggiunto il numero di ben oltre cento battelli in esercizio, appariva indubbiamente la più consistente tra quelle dei vari Stati italiani. Tale settore, oltre alle tante benemeren-ze acquisite durante la lunga lotta contro il contrabbando, tra il 19 ed il 20 agosto 1860 ne acquisì anche di patriottiche e risorgimentali. In quella notte infatti diversi scafi fu-rono impegnati a traghettare i Mil-le di Garibaldi che, dopo aver con-quistato la Sicilia si apprestarono, partendo dalla Calabria, ad occu-pare in nome dell’Italia unita, pure la parte continentale del regno. Non tutta la Marina Doganale si schierò a favore delle Camicie Ros-se e dell’ideale di rinascita nazio-nale, in quanto alcuni natanti, il cui equipaggio era rimasto fedele alla Dinastia dei Borbone, furono presenti nelle acque antistanti la cittadella fortificata di Gaeta, allor-quando Francesco II (1859-1860) vi si ritirò con i resti del suo eserci-to per un’ultima strenua disperata resistenza. In tale occasione venne-ro destinati essenzialmente a man-tenere i contatti tra i vari reparti acquartierati intorno alla fortezza accerchiata, nonché tra questi e la guarnigione. Oltre a rifornire gli as-sediati, in non rari casi furono uti-lizzati per tenere i collegamenti con la flotta francese ancorata al largo ed evacuare dalla città i feriti più gravi. Successivamente, nel mo-mento in cui, partiti i legni del go-verno di Parigi, al loro posto giun-sero a completare l’accerchiamento quelli del Regno di Sardegna, nel corso di un violento cannoneggia-mento, molti di questi scafi furono seriamente danneggiati, mentre altri furono addirittura affonda-ti. Con la realizzazione del nuovo Stato unitario, mentre il naviglio di maggiore stazza si ritenne oppor-tuno incorporarlo nella Marina da Guerra Italiana in via di costituzio-ne, le imbarcazioni di più modesto tonnellaggio furono invece fatte confluire nel nascente Corpo delle Guardie Doganali Italiane. Per quanto verte invece il Corpo delle Guardie de’ dazj indiretti, at-tivo sulla terraferma, va detto che esso, nonostante la guerra di con-

quista del Reame da parte dell’e-sercito garibaldino proveniente dal Sud e quello piemontese calante dal Nord, non smise mai di svol-gere i propri compiti istituzionali. Infatti, durante il periodo di bel-ligeranza riuscì a non sfaldarsi ed a continuare ad essere operante, anche se con qualche limitazione, nei luoghi ove era necessaria la sua presenza. Con l’unità d’Italia, allorquando si volle istituire su tut-to il territorio del nuovo Regno un reparto di tale natura e con simili attribuzioni, in esso, oltre ai tanti uomini dei disciolti specifici rag-gruppamenti provenienti dagli altri

Stati, vi furono fatti confluire pure circa 4000 guardie della Specialità borbonica. Di conseguenza con una così rile-vante presenza, vennero ad essere la maggioranza all’interno del cor-po delle Guardie doganali italiane. Tale schiacciante superiorità non si limitava alla sola bassa forza, in quanto pure per gli ufficiali si de-terminò questa particolare circo-stanza. Infatti essi con le 96 unità che giungeranno dalle file borbo-niche e qualcuna anche da quelle garibaldine, andarono a costituire quasi un terzo dell’intero organico nazionale.

Regno d’ItaliaSottotenente (1862)

ConilRegnod’ItalianasceilCorpodiGuardiadiFinanza

Nel momento in cui il Regno d’Italia divenne finalmente una realtà politica e territoriale, almeno nominalmente, tra i tanti problemi legati all’unificazione vi fu anche quello inerente all’amalgama dei vari Corpi di controllo doganale. Ciascuno di essi era in possesso di storia, tradi-zioni, organizzazione e usi profondamente diversi, aveva approfondito

conoscenze in particolari settori e talvolta potenziato delle capacità a discapito di altre. Pertanto, risulta-va cosa ben difficile riuscire a fon-dere in un solo organismo le circa 15.000 Guardie di finanza esistenti in Italia. Esse avrebbero dovuto co-stituire un solo reparto, compatto, con le stesse modalità di impiego e capace di assolvere a compiti doga-nali, confinari e di controllo della fiscalità interna che si presentava-no diversi da luogo a luogo. Al ter-mine di un lungo e vivace dibattito parlamentare, si ebbe il varo della legge n. 616 del 13 maggio 1862, con la quale, oltre a provvedere alla fusione e all’inquadramento di tut-ti i finanzieri in un Corpo di nuova creazione, dipendente dal Ministro delle Finanze, si definivano anche le attribuzioni e i compiti dei com-ponenti. Gli uomini di questa spe-cialità, tutti volontari e vincolati a una ferma iniziale di cinque anni, oltre a occuparsi di tutte le attività già espletate in passato, dovevano anche concorrere, se necessario, al mantenimento dell’ordine pubbli-co e mobilitarsi in caso di guerra.

VincenzoCuomo