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Racconto a puntate, scritto a più mani femminili: Adriana Bracchitta Giacoma Carfì Lolita Coli con l’opera "Jonathan" Luna Comanducci Roberta Guerrera Anna Maria Laccertosa Carmen La Perla Valentina Loche Melissa Marani Anna Paumgardhen Cristina Pivirotto Silvia Pusceddu Sonia Sabbatini Patrizia Zaratti
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PUNTATA UNO di MARTEDI’ 5 FEBBRAIO
Anno 2333, Il Presidente ha stabilito con decreto legislativo che
tutti i soggetti che sfuggono al controllo del pubblico pensiero
vengano internati in case di Intolleranza dove si provvederà alla
loro rieducazione. Alba. In casa non c’è luce. Accendo una
candela. Sulla mia scrivania mi attendono le dichiarazioni firmate
dalle detenute della Casa di Intolleranza di Zan Yachinto alla
Montagna. Scartoffie impolverate da anni di trascuratezza.
Stamattina si ricomincia il lavoro. Porterò a termine il compito,
costi quel che costi. Primo fascicolo. Si tratta di Luce B,
internata nel reparto soggetti non domabili. Leggo. ‘Se vuoi ti
racconto una storia. Non si diventa matti. Matti si nasce. Noi
matti, Vittoria, siamo così da sempre: è Dio che ci ha pensati
così. Ci vuole proprio così fatti perché possiamo vedere la
verità. No, non è una punizione. Il mondo ha bisogno di noi. Se
vedi qualcuno che cammina per strada farneticando tu puoi
compiacerti della tua vita, i tuoi successi, tua moglie è bella, i
bambini stanno bene, l’orto è coltivato a dovere, il mondo ti ama
e quel povero matto sta lì che farnetica sulla verità e se la
sconta lui questa bugia che chiamiamo vita. Così i professionisti
del settore si affannano a farli star meglio e raccontano loro
delle favole che li aiutino a diventare socialmente accettabili.
“Signora, la ragazza non si inserisce. E poi quel vizio di
assentarsi. Chissà dove va con la testa”. Vittò, la testa è
l’unica libertà che ho. E quei compiti di scuola: una serie di
segni rossi come ferite sui miei pensieri. A pezzi me li hanno
fatti. Quattro, Vittorio, mi davano ai temi. E già, e pensare che
l'unico colore per me era il bianco a righe,si, proprio
quello,quello del mio foglio. Ohi, per me ce ne erano di pensieri,
colori, forme e idee, alle volte solo mie, ma meravigliose. Riesco
ancora a scrivere di pensieri mai pensati, a non finire. E mi
dicono che vivo nel mio! Cosa vorrà mai dire mio, mi ripeto. Ho la
testa piena e rifletto ,aggrotto,ghigno, sperando che le parole
mai dette siano quelle sempre più scritte: palesi.
Quando Luce era nel mio grembo mi sentivo felice: era l'ultima
dopo quattro figli maschi, io e mio marito desideravamo che fosse
una femmina, e così fu. Durante la gravidanza la malattia di mio
marito peggiorava, diventava più insistente e lui veniva
trascinato nel vortice delle sue sofferenze , si accaniva sulla
sua idea, persisteva nel considerare pazzi tutti quelli che
incontrava! se solo avesse potuto, avrebbe vietato la capacità di
pensiero. La sua ossessione cresceva a dismisura quando io mi
accingevo a diventare madre per la quinta volta:fu allora che
decisi di allontanarmi da lui a dalle sue manie. Salita su quel
treno conobbi lei, Annaviola, fu la mia ancora di salvezza. Sapevo
che i suoi occhi erano il mio porto sicuro, il mio e quello della
mia piccola Luce.....
Mi hanno chiamata Luce perchè quando sono nata i miei occhi erano
aperti, hanno visto subito la luce. Non vedevo l'ora di vedere
questo mondo di cui tanto mi parlava mia madre. Mi diceva che non
vedeva l'ora di conoscermi, di presentarmi a mio padre, ai miei
fratelli. Si, ma alla fine non ho mai conosciuto nessuno di loro.
Solo in qualche foto, di nascosto. Di loro non si poteva mai
parlare, mai. Il perchè non l'ho mai capito. Una sola volta ho
sentito mia madre parlare di lui. Diceva che era pazzo e che per
colpa sua stava diventando pazza anche lei. E io che, nascosta
diero la porta, mi chiedevo se fossi pazza anch'io. Alla fine mi
sentivo così, come loro. Mi sentivo pazza.
Un altro fascicolo: Tessa P., socialmente inquietante.
“Inquietante. Signor giudice, questo aggettivo mi accompagna da
quando ero piccola. “Tua figlia è inquietante”, dicevano le amiche
a mia madre. Io le guardavo - belle, ben vestite, di classe – e
sapevo che non sarei ma stata come loro. Che non volevo essere
come loro. Io … io, signor giudice, volevo volare via. Ero una
bambina minuta, e per inchiodarmi a terra mi hanno appesantito.
Responsabilità, legami famigliari, regole sociali, chili. Ma non
sapranno mai che proprio la terra a cui pensavano di inchiodarmi è
stata la mia salvezza. Perché quella terra mi ha accolto,
donandomi la sua forza, la sua energia. Silenziosa, accumulavo
l’energia delle migliaia di donne che prima di me avevano
calpestato quel suolo. Tacevo e accumulavo, accumulavo e tacevo.
Inquietante. Inquietante come un vulcano, la cui energia puoi
avvertire, ma non puoi prevedere quando e come esploderà.
“Dai ragazze, fuori!! Finalmente la vostra ora d’aria. La vostra
guardia penitenziaria preferita oggi vi fa scegliere se vedere un
bel telegiornale o una soap opera.. non male, no?” Ma che hanno
queste ragazze? Sempre scontente, sempre tristi… oggi hanno anche
una due cose diverse da vedere! Oh, comunque io non capisco perché
si ostinano a non accettare la terapia. Sarebbero più belle, più
sorridenti.. ma chi glielo fa fare di pensare? A che poi? Quando
hai un bel tacco e un rossetto nuovo sei a posto!.. O no? “Ehi tu,
laggiù.. sì tu.. Luce, smettila! Devi parlare ad alta voce, lo
sai!” E poi questa mania di dire, raccontare.. Per fortuna che io
non ho mai avuto bisogno di essere rieducata. E infatti sono
felice, io.
PUNTATA DUE di MERCOLEDI’ 6 FEBBRAIO 2013
Permesso, permesso, lasciatemi passare, vi prego. Oggi sono
davvero esausta, devo sedermi e dare riposo al mio povero corpo
appesantito dai troppi anni ... Sono Annaviola ... Permesso,
permesso ... e quanto pesa questa borsa,è tutto quello che ho, la
porto sempre con me, in essa raccolgo i pensieri scartati, che
trovo qua e là, lungo il mio continuo cammino, i pensieri che la
gente butta per noia o disinteresse, o che forse ha 'lasciato
andare' per paura di essere punito ... maledetti, sì maledetti
Controllori dei Pensieri ... Ultimo scompartimento, un posto
libero, c'è una donna con la sua bimba in braccio ... posso? Lei
non risponde, ma continua a guardarmi, gli occhi pieni di paura
... sento che sta fuggendo, ma da chi? da cosa? Non aver paura di
me, cara, con me sei al sicuro, ho qualcosa per te nella mia borsa
... vediamo un po'... ma dov'è ... ah, eccola...
Annaviola aveva un non so che mi mi faceva restare ammutolita e
attonita non riuscivo a parlare mi inebriava di dolcezza e non
smettevo di ammirarla ... sentivo un qualcosa che non so spiegarmi
allo stomaco dolci occhi e viso incantevole ammiravo le sue mani
mentre mi parlava e io ascoltavo senza interromperla. E io mi
domandavo tra me e me cosa mi sta succedendo non mi ero mai
sentita così persa per una persona e poi da una donna ma mi
piaceva la sensazione mi faceva stare bene e mi faceva dimenticare
tutto volevo conoscerla e entrare nella sua vita per diventare
chissà …a vevo una sensazione nel raccontarmi con lei in quel
treno volevo che nulla accadesse che la bimba dormisse e nessuno
ci disturbasse così che io potessi ammirarla e chissà magari
abbracciarla ma che dico mi sto proprio …
Si era creato attorno quel giusto alone di mistero che gli aveva
consentito una scalata al potere senza pari, pensò fra sé e sé il
Presidente: era stata facile la sua arrampicata strategica …
nessuno sapeva di dove venisse, quali fossero stati i suoi natali;
era passato così tanto tempo, così tanti eventi si erano succeduti
nella sua vita che egli stesso aveva scordato il nome e il sapore
di sua madre. In fondo era bastato stringere mani, sfoderare
sorrisi, passare qualche bustarella in mani appropriate … ma il
suo asso nella manica era il possesso di una piccola stazione
televisiva che, nel tempo, si era trasformata entrando nelle case
di tutti, troneggiando nel bel mezzo di salotti acquistati a rate
e divenendo per ciascuno oracolo, musa ispiratrice, dio di
speranza e di certezza, luogo in cui cercare e trovare risposte,
ristoro per l’anima e la mente … attraverso quel mezzo il
Presidente era arrivato al controllo del pubblico pensiero. Solo
una categoria di persone ormai lo preoccupava: i matti. Su di loro
non era stato mai possibile far presa, mai far breccia … loro
sfuggivano ancora e sempre … e le più difficili da tenere sotto
controllo erano le donne. Il rapporto del Ministero del Controllo
Mediatico posato aperto sulla sua scrivania parlava chiaro: le
detenute della Casa di Intolleranza di Zan Yachinto alla Montagna
mai si erano lasciate coinvolgere nella visione di un
telegiornale, di una soap opera, di un documentario, di un film …
mai si erano lasciate afferrare da un suo discorso, dai discorsi
del grande comunicatore …
La candela si sta consumando velocemente prendo in mano un altro
fascicolo: Stella M. anche lei internata nel reparto soggetti non
domabili…”Indomabile, che significa indomabile? Come si può
togliere la libertà ad una stella? Si, le sembrerà assurdo ma
questo sono dentro al mio cuore, nessuna catena potrà mai
imbrigliarmi, io stella del mio microcosmo, che mai avrò fatto di
male? Forse che andare alla ricerche di altre stelle come me,
anime gemelle, sia un crimine? Non credo, quello che vi fa paura a
voi “normali” è che noi “strani” vi scombussoliamo il vostro
supposto ordine.
Non riesco a smettere di leggere, la luce della candela è sempre
più fioca e mi costringe a sforzare gli occhi, che mi bruciano e
lacrimano: altro fascicolo, soggetto irreperibile, pericolosità
elevata, latitante, nome in codice Viola. Me la ricordo,
riuscirono a prenderla solo una volta e solo per poco, nei pressi
di una stazione della metropolitana. non fece alcuna resistenza.
non disse alcuna parola, seguì le guardie con il suo incedere
tranquillo e sereno, chi la vedeva da fuori avrebbe pensato che si
stesse recando a fare una passeggiata in compagnia di amici.
quando me la portarono qui davanti, provai sentimenti di sconcerto
e rimasi senza risposte al suo perchè si trovasse lì. ricordo che
mi sentii così piccolo e solo come un bambino smarriti gli occhi
della madre, teme di essere stato abbandonato. l'unica certezza
che ebbi fu che quello non era il suo posto. ero il direttore e
per la prima volta contravvenni agli ordini e la lasciai andare. e
ora che la candela si è consumata del tutto, al buio non mi resta
che piangere.
PUNTATA TRE di GIOVEDI’ 7 FEBBRAIO 2013
Piango perché la vita è ingiusta. Piango perché stare qui per anni mi consuma. Ascolto, sento, vivo...
Piango perchè la vita è ingiusta. Piango perchè stare qui per anni
mi consuma. Ascolto, sento, vivo queste storie che penetrano nelle
mie vene avvelenando il mio sangue. Piango perchè il loro sangue è
più avvelenato del mio. Ma forse loro non si rendono conto. Forse
loro pensano che il pazzo sia io.
Ho paura! molta paura. sono appena rientrata e mi sembra di
impazzire se ripercorro quello che fuori sta accadendo: limitare
la libertà di pensiero, è una follia! Adesso posso mettermi
comoda, posso riprendere a parlare a voce bassa, da sola. Sarà
noioso e anche patetico ma almeno nessuno può controllare come la
penso, adesso che Franz ha avuto il compito di intercettare le
lettere non posso fidarmi neanche di lui... mi manca Annaviola e
non so dove trovarla, anche Luce è dentro e io devo cercare di
passare inosservata poichè potrei essere la prossima. Lavo il
viso dal trucco e da quello che sta accadendo vertiginosamente,
sciolgo i capelli e sembra che trovi respiro anche la mia mente,
impaurita dall'essere osservata; via le scarpe, il maglione e i
jeans....sono libera! Sola dentro la mia piccola stanza, ma ne
vale ancora la pena: la libertà è infinitamente ciò di cui io e
tutta la città abbiamo bisogno.
Potrei rivolgermi a Lisa, lei potrebbe aiutarmi a trovare un modo
per fuggire questo marasma...
PUNTATA QUATTRO di VENERDI’ 8 FEBBRAIO 2013
Sono seduta qui in un angolo di questa squallida, fetida cella.
Odio tutto di questo posto, odio quel letto sgangherato che mi ha
visto troppe volte distesa a tremare per il freddo della
solitudine,odio quelle sbarre che mi separano dalla vita ma odio
soprattutto e fortemente me stessa. Si, mi odio per aver permesso
a tutte quelle persone ,che mi credono diversa, di prendere il
sopravvento su di me. Ho permesso loro di incatenare qui i miei
sogni, di annullare i miei pensieri, la mia volontà. No non è
giusto, non può finire così. In un moto di rabbia cerco di
alzarmi, ma non ci riesco. Le gambe mi tremano sotto il peso dei
miei sensi di colpa. Ricado,mi rialzo,ricado, quando,
all'improvviso,come se qualcuno percepisse le mie difficoltà,
sento delle voci femminili che mi chiamano. Possibile, mi dico?
Non sono sola? Con fatica e con il cuore in gola che batte
all'impazzata riesco a sollevarmi. A passi tremanti, ma pieni di
ritrovata fiducia, mi affaccio da quelle sbarre. Oddio, i miei
poveri occhi non reggono a tanta luce, li chiudo, li riapro subito
e le vedo. Eccole lì: Luce, Annaviola e le altre, piu' indietro;
l’aspetto fiero ,lo sguardo alto e sicuro, la voce calma e
rassicurante...mi chiamano “Rossellaaaa, vieni, unisciti a noi“.
“Si, ragazze, arrivo. Finalmente eccomiiiii”.
Smetto di piangere. Loro possono pensare ciò che vogliono. Forse
pensare che il vero pazzo sono io le fa stare meglio. Forse le fa
sentire più forti. Forse. E' un lavoro di forse il mio. Un lavoro
che non so se potrei fare fino alla fine. Forse è ora che io
cambi. Ecco, appunto. Ho usato nuovamente il forse. Inizio a fare
la spugna di professione. Ormai assorbo e basta, non riesco più a
staccare. Da quando è arrivata Luce, poi, sta diventando un
incubo. Luce è quella che apparentemente sta bene. Non le si nota
nessun sintomo, fino a quando non parla per più di dieci minuti
concecutivi. Al decimo, scatta qualcosa in lei, ma non mi so
spiegare bene cosa. Comincia a parlare della sua passione: la
danza. Dalla parola passa ai fatti e inizia il suo spettacolo. Si
toglie le scarpe e via a danzare come un'anima libera. Forse la
danza la fa sentire libera. Forse in cuor suo si sente libera. Io
no. Io non lo sono.
PUNTATA CINQUE di SABATO 9 FEBBRAIO 2013
“Perché non riesco a togliermi dalla testa quelle donne?” – si
disse ad alta voce il Presidente mentre, guardandosi allo
specchio, si radeva. Il suo volto tirato dai numerosi, ripetuti,
interventi di chirurgia plastica appariva quello di un giovanotto
cinquantenne, ma lui sapeva bene che le sue primavere erano molte,
molte di più … tante che aveva ormai scordato il suo nome … il bel
nome con cui sua madre ricercava la sua attenzione quando era
piccolo. Una volta aveva amato profondamente la minuta donna che
lo aveva portato in grembo, che lo aveva partorito … rapido
distolse lo sguardo dallo specchio che rifletteva la sua anima …
il buio appena rotto da quegli squarci di luce lo spaventava più
di qualsiasi aspra lotta per il potere avesse mai affrontato … i
più acerrimi nemici, i suoi ricordi ... non potevano trovare
strada dentro di lui. Si asciugò la faccia, indossò la camicia
bianca, abilmente le sue mani annodarono la cravatta scelta con
cura, come sempre, e aprì il rapporto che, da giorni, parcheggiava
sulla grande scrivania in mogano massiccio. Ancora ad alta voce
lesse quei nomi: “Rossella, Luce …” – richiuse il rapporto e
spalancò la finestra … gli mancava l’aria … impellente avvertì la
necessità di uscire di lì, di uscire senza avvertire nessuno, al
caldo sole di un inverno inoltrato e con tono perentorio chiese a
se stesso: “ Ma cosa diavolo mi sta capitando?” ... e uscì
sbattendo la porta alle sue spalle.
Questo maledetto impianto elettrico mi sfinisce. Qui dentro non
funziona niente. Ho provato a ripararlo, ma salta di continuo.
Trovare rifugio è stato talmente difficile che lamentarmi sembra
quasi un’eresia, eppure sono così stanca e le candele stanno
finendo. Paolo oramai viene pochissimo. Le provviste scarseggiano
ogni giorno e temo di essere scoperta, ma non mi arrenderò. Ho
giurato che sarei andata fino in fondo. Il gatto grigio è passato
anche stamattina. Non ho più molto da offrirgli, ma preferisco
dividere il mio cibo con lui; almeno ho una compagnia assicurata
in queste gelide e infinite giornate di solitudine. La brina sui
vetri si scioglie appena nelle ore più calde della mattina. Ho
nostalgia della mia casa, del buon cibo, della buona compagnia. Ho
nostalgia di quella che ero. Quando sento di non farcela mi
aggrappo ai bei ricordi: ballo fasciata dall’ abito rosso nella
sala brulicante di ufficiali e donne in lungo. I candelieri accesi
fanno danzare le ombre sulle pareti e sui tendaggi di velluto
pesante. Ci sono solo io al mondo. Tutti gli occhi sono puntati su
di me. Ho la vita in pugno e volo, portata dall’onda di una musica
celestiale, sciogliendomi tra le braccia di Franz. E ricordo i
primi baci, le notti rubate al lavoro, la latitanza, il calore dei
nostri corpi intenti a fondersi l’uno con l’altro quasi a dispetto
delle nostre stesse volontà. Mi immergo nell’abbraccio caldo dei
ricordi e ritrovo frammenti di quella me stessa della quale ho
tanta nostalgia. Un altro fascicolo, un’altra candela.
PUNTATE SEI e SETTE di DOMENICA E LUNEDI’ 10 E 11 FEBBRAIO 2013
Incontro questa madre e questa figlia su un treno. A me che sono
così sola, l'immagine scalda il cuore: le parole sussurrate,
mentre la piccola dorme, si fanno sempre più intime. Quando la
bambina si sveglia, guardo i suoi occhi grandi e luminosi, e cade
ogni incertezza, lei è Luce. Arriva il momento delle spiegazioni.
Apro la borsa, tiro fuori fascicolo dopo fascicolo e leggo:
soggetto pericoloso perché esercita, nonostante detenzione e
lavori forzati,il libero pensiero; soggetto pericoloso: legge i
filosofi greci; e così via, fino a quando arrivo al fascicolo n.
555; soggetto pericoloso perché i suoi occhi, nonostante tutto,
donano speranza. La madre, nel frattempo, si accorge che sono
arrossita, e così le racconto che anche io ero stata internata per
un pò, ma subito liberata. Le spiego che il mio rossore è causato
dal gesto compiuto, sebbene determinato da una buona causa, esso
mi opprime e non mi rende fiera di me stessa. Ho rubato questi
fascicoli e mi sento in colpa, sporca dentro. La violenza non
giustifica altra violenza. La donna cerca di consolarmi, poi mi
chiede perché l'ho fatto. Io cerco le donne che vi sono
menzionate,per liberarle se ancora detenute o per aiutarle a
intraprendere nuovi cammini di speranza.
Chi sono io? Sono questa e le mostro il mio fascicolo:soggetto
irreperibile, pericolosità elevata, latitante, nome in codice
Viola.
Preciso, Annaviola, per voi.
Annaviola. Ma per farti capire chi io sia, lasciami andare
indietro negli anni, nei ricordi...indietro...rivedo il volto di
mia madre...lei era nata nella terra del Sole,piena di grandi
fiori colorati, dove l'aria profumava d'amore;alla sua nascita, le
anziane del villaggio si erano riunite e le avevano dato nome
Angela del Sol...portava sempre dei fiori colorati tra i capelli e
sorrideva sempre..un giorno conobbe mio padre e fu allora che si
spense il suo sorriso, lentamente...cominciò allora a raccontarmi
strane cose, che spesso non capivo nei miei pensieri di bambina,
ricorda tutto Annaviola, ricorda e racconta, mi diceva, finchè un
giorno smise di raccontare...
Non era mai accaduto prima che qualcuno riuscisse a far uscire
documenti così importanti dalla sede di Zan Yachinto. Le sirene
avevano suonato per ore fendendo l’aria con i loro lamenti. Il
Prefetto aveva allertato tutte le forze disponibili e il
Presidente in persona aveva voluto occuparsi del caso. Mesi di
indagini e sospetti, ma nulla di fatto. I documenti e la ladra si
erano volatilizzati: il furto rimaneva un mistero.
Luce oggi è spenta. Non sorride, non parla, non fiata. A volte ho
pure il sospetto che non respiri. Mi avvicino con una scusa. Si è
mossa di mezzo centimetro. E' viva. Le guardo gli occhi. Occhi
tristi di chi ricorda. Io ci provo. Io le chiedo. Non sia mai che
risponda. Ciao Luce. A chi pensi? A mio padre. Non so come ma ho
ricevuto una sua lettera. Come non sai come? Si, me la sono
trovata in mezzo ad un libro, dentro la valigia. Se vuoi te la
leggo. Certo. "Cara Luce, non odiarmi, non prima di leggere queste
righe, ti prego. Non sono stato un vero padre, ma ti assicuro che
avevo le mie ragioni. Questo non mi giustifica, ma una spiegazione
serve sempre, per capire. Non amavo tua madre, non più. Quando è
rimasta incinta di te soffriva di depressione, sempre più pesante.
Io ho provato ad aiutarla ma forse non in modo giusto. Piangeva in
continuazione, senza un perchè. Mi sentivo impotente, non sapevo
più cosa fare. Lo so, sono un debole. Avrei dovuto lottare con
tutte le mie forze, ma forse mi mancavano proprio quelle. Mi
mancava l'energia vitale. Ho mollato. E' stato un attimo di
follia. Sono andato via senza un perchè, senza una parola.
Cosciente del fatto che così tua madre non sarebbe comunque
guarita. Avevo bisogno di staccare la spina. Egoista, stronzo,
pezzo di merda. Lo so. Non voglio mentirti, voglio solo dirti che
non ho mai smesso di pensare a te. Perdonami, se puoi. Un
abbraccio. Tuo padre."
Donne, donne ma quante donne sono apparse e poi svanite nel nulla
in questa mia frenetica vita sempre alla ricerca di un obiettivo
da raggiungere, di una meta da conquistare. Eppure non sono solo,
se mi guardo intorno c’è un folla sempre in delirio che mi cerca,
che segue e forse mi ama a suo modo. Ed io che a quanto pare non
ho capito niente mi ritrovo qui a pensarle, a pensarle tutte e
perfino a contarle come se fossero state dei trofei, ma trofei di
quale caccia, di quale battaglia…. ogni volta che le penso sembra
avvicinarmi all’orlo del mio ricordo più lontano ma è proprio lì
che poi mi fermo, mi rivolto indietro e mi allontano da quei
ricordi quasi temessi che un lungo braccio, venendo dal passato,
mi prenda mi porti oltre quella porta che non sono ancora pronto
ad attraversare ma che vorrei aprire per liberarmi da questi
compulsivi pensieri.
Un giorno, forse vicino forse lontano forse quando la vita si
metterà davanti con il suo conto sarò costretto a fermarmi, a
capire la mia storia e forse a raccontarla prima a me e poi a
qualcun altro. Chissà poi se ci sono storie simili, storie
autentiche che ti accompagnano nel lungo cammino della vita, che
se scritte per diletto o per passione, ti riempiono il cuore di
sospiri e gli occhi di lacrime. Forse scriverò la mia storia,
forse qualcuno la leggerà ma già ora che scrivo, che racconto
questi miei veloci pensieri, sento la mia penna scorrere più
leggera e un dolce piacere avvolgere il mio animo.
PUNTATA OTTO di MARTEDI’ 12 FEBBRAIO 2013
Annaviola. Voglio farti capite chi sono. Permetti che vada
indietro negli anni, nei ricordi, indietro: rivedo il volto di mia
madre. Lei era nata nella terra del Sole, piena di grandi fiori
colorati, dove l'aria profumava d'amore. Alla sua nascita, le
anziane del villaggio si erano riunite e le avevano dato nome
Angela del Sol. Portava sempre dei fiori colorati tra i capelli,
mia madre, e sorrideva sempre. Un giorno conobbe mio padre e fu
allora che si spense il suo sorriso, lentamente. Spesso mi
raccontava strane cose, che non potevo capire nei miei pensieri di
bambina. Ricorda tutto Annaviola, ricorda e racconta, mi diceva,
finché un giorno smise di raccontare.
Devo uscire da qua, alla fine. Devo farlo. Poi tornerò con quello
che mi serve per sopravvivere.
L’idea della luce del giorno che, di sicuro, m’investirà,
accecandomi, mi fa sentire meno freddo questo rifugio. Non voglio
ritrovarmi fra la gente, sconosciuta in mezzo a sconosciuti; io
voglio ancora la mia vita, quella in cui ero una protagonista.
Voglio sentirmi qualcuno, come prima, solo perché tutti mi
guardavano, mi ammiravano.
Ecco che, sinuoso, un pensiero, una sensazione, una mano
trasparente scosta la mia presunzione. C’e altro da ascoltare
dentro di me: c’è l’amore di un uomo che mi ha voluto, accettata e
amata per quello che ero realmente. Nuda, tutta e non solo il mio
corpo … e lui mi ha amato così.
Mi sono voltata e ho subito pensato “ma come faccio a raggiungere
le mie amiche?” Le mura spesse e la porta di ferro, chiusa
dall'esterno con un pesante catenaccio, m’impedivano la fuga. Ero
ancora assorta in questi pensieri, che, improvvisamente, ho udito
un rumore di passi. Si avvicinava sempre di più, sempre di più: è
qui dietro la porta, si arresta, il respiro mi si ferma in gola
per un istante che sembra non finire mai. Poi rumore di ferraglia:
è la chiave nella toppa del catenaccio. Ne avevo dimenticato il
suono, l'ultima volta che l'ho sentito è stato quando mi hanno
rinchiuso qui dentro, quanti anni fa, non me lo ricordo più, ma
quante volte ho sperato di risentirlo questo sì me lo ricordo.
Ogni giorno, ogni ora della mia prigionia le mie orecchie
credevano di averlo udito, il mio cuore lo sperava, ma la mia
razionalità m’impediva di crederci. Già…la mia razionalità! Chi
mai darebbe del razionale a una matta? Il cigolare dei cardini di
quella porta per troppo tempo chiusa, mi scuotono, mi ritraggo
impaurita... Ma, no! Non posso crederci!!!
PUNTATA NOVE di MERCOLEDI’ 13 FEBBRAIO 2013
Vago senza meta. Dove sono? Dove conduce questo corridoio buio e
umido? Ecco le celle delle detenute: mi fermo di fronte ad una
porta, pesante e opprimente, le mie mani tremano, una volontà che
sento esterna a me mi spinge - in fretta fai in fretta, mi ripete
- .Tremano le mie mani, ma di cosa ho paura? Io sono il direttore
e sono sempre stati gli altri a temermi, ad assecondare ogni mio
ordine, tremando. Eccola lì, lei, in fondo alla cella, impaurita,
che quasi vuole scomparire dentro le pareti. Mio Dio: è proprio
lei, la donna che ho amato con tutto me stesso e che volevo
proteggere da ogni male, da ogni dolore? Ma … come l'hanno
ridotta, povero amore mio? Come IO l'ho ridotta, in tutti questi
anni? Mio dio...
"Beh, e allora Direttore?" Che vogliamo fare con la n. 7523? Uff …
Niente. E apri e chiudi e apri e chiudi; tutte le abbiamo fatte le
celle e mi si è pure rovinato lo smalto. Si può sapere che cerca?
Ohiiii, e che stiamo qui immobili tutto il giorno?" "Taci, stupida
guardia!". Nessuno mi aveva mai chiamato stupida. Io sono Serena,
e non sono una stupida. Sono ciò che vogliono che io sia. Sono qui
per volere di mio padre. Sono qui perché nessuno può dire di no a
mio padre. Eppure, cosa credete, che non capisca? Che cosa
credete, che quando scrivo quei fascicoli io non sappia che queste
donne non dovrebbero stare qui? "Che cosa crede, Direttore, che io
non sapessi chi era per lei questa donna? Ma gli ordini li ha dati
lei, Direttore. Nessuna identità, ricorda? Cancellate il loro
passato, ricorda? E sa com'è, la stupida guardia esegue e basta.
Gradite un caffè?"
E' lui non c'è dubbio, è “il direttore”. Mi scrollo dal muro e
piano piano mi avvicino. Non è solo: dietro di lui una strana
donna, capelli nerissimi come gli occhi e unghie lunghe e ricurve
come quelle di un rapace laccate di un rosso volgare. Indossa la
divisa delle guardie, ma come può una donna essere la carceriera
di altre donne innocenti! Com'è cambiato, lui. Il suo sguardo non è
più quello di una volta. L' arroganza con cui guardava il mondo
intero sembra aver lasciato il posto a un’insolita rassegnazione.
Le spalle curve e i capelli ingrigiti e malamente camuffati con
una scialba tintura, danno la sensazione di un uomo che si sta
arrendendo.
Lo guardo, mentre beve il caffè. La bocca è tanto aperta che pare
voglia mangiarsi tutta la tazzina. Ascolto, mio malgrado, la sua
lingua schioccare dopo aver bevuto. Provo un vago senso di
ribrezzo per quella persona, ribrezzo misto a insofferenza per
ogni suo gesto, per ogni sua parola. Ma quello che mi fa andare
fuori di testa sono i suoi convincimenti da misogino. “Adesso ti
faccio una promessa”, penso dentro di me, “questa stupida ti farà
vedere i sorci verdi”. Mi avvicino per riprendere la tazza, lui fa
un passo verso di me, mi lascia quanto ha in mano e fa un altro
passo verso la porta. Eccomi! Allungo leggermente il mio piede
davanti al suo e … oplà! “Attento, Direttore!” gli sibilo in un
orecchio, riprendendolo per un braccio, prima che plani sul
pavimento, “Se fa così potrebbe farsi male!”. Il mio tono è quanto
mai mellifluo. Lui mi guarda e fa cenno di dirmi qualche cosa, poi
ci ripensa, borbotta e si allontana. Ho capito che ha visto quella
donna appoggiata al muro, prima, in corridoio. Il suo allontanarsi
senza darmi spiegazione è un chiaro invito a farmi i fatti miei.
Mentre sorrido ripongo tazza e piattino nel lavello. La stupida è
qui, Direttore. A noi due.
PUNTATA DIECI di GIOVEDI’ 14 FEBBRAIO 2013
“Serenaaaaaaaaaaa, Serenaaaaaaaaaaaa, è ora di cena,
Serenaaaaaaaaaaaaaaa”. Lo detestavo quel tono di voce,
gracchiante, di mia madre che mi chiamava dal balcone e già mi
sembrava di sentire il seguito, detto a bassa voce, sussurrato,
“Poi lo senti tu tuo padre”. Come potrei non sentirlo. Hai idea di
che tono usi abitualmente? Si che l’hai e piuttosto chiara. Odio
la retorica, le metafore e le frasi idiomatiche. Odio la menzogna
travestita da belle parole. Odio mia madre che mi chiama dal
balcone e odio ‘sentire’ mio padre. Lo sento, lo sento. Lo sento
così bene che mi sanguinano le orecchie per il disgusto.
Ho deciso. Me ne vado. Non salgo a casa per cena, non ho voglia.
Adesso giro le spalle e cammino.
Ho camminato a lungo. Ero ancora una bambina, allora, ma ho
camminato fino a non sentirmi più i piedi. Improvvisamente è
calata la notte. Ho avuto paura. Ricordo poco di quella notte.
Tutto è nebuloso, ogni ricordo filtrato da una coltre spessa di
angoscia e tentativi di oblio. Ricordo di aver lottato, ricordo di
essermi arresa, dimentico cosa c’è in mezzo. Ricordo, però, il
freddo e il risveglio sull’erba bagnata il mattino seguente. Due
occhietti furbi mi fissavano dall’alto, attaccati a una capocchia
a spillo. Il tocco delle sue dita ossute mi riscosse e segnò
l’inizio della mia nuova vita.
Franz fece le valigie un giorno di ottobre di non ricordo più che
anno. La giornata era fredda di un freddo pungente e dispettoso.
Ricordo che, nonostante indossassi i guanti, avevo le punte delle
dita gelate. La situazione non era più tollerabile. Troppi rischi
da correre, aveva deciso di cambiare aria per un po’. All’inizio
riuscivamo a sentirci quotidianamente, ma, col trascorrere dei
mesi, la faccenda qui si complicò e dovemmo ridurre al massimo i
nostri contatti. Finimmo per perderci definitivamente. La candela,
l’ultima, si sta consumando troppo velocemente. Abbandonata da
parecchi giorni al mio destino, temo per la mia incolumità.
Domattina proverò a fare un giro nel bosco, cercare cibo. Non
posso scoprirmi né chiedere aiuto perché di questi tempi nessuno
sa di chi fidarsi; tantomeno io. Devo rimanere nascosta e
stringere i denti. Si sta spegnendo. Mi avvolgo nella coperta e
provo a resuscitare i bei vecchi ricordi. La solitudine mi sta
ferendo a tal punto che non ricordo più i volti di coloro che ho
amato.
PUNTATA UNDICI di VENERDI’ 15 FEBBRAIO 2013
“Luce, sei calda. Tu hai la febbre”. “Oh, no, mamma, sto bene.
Voglio continuare a viaggiare”. L’amore è paziente, è generoso,
non si adira, l’amore, recitava la mamma mentre cercava di farmi
addormentare sul suo grembo. Il treno sferragliava e sobbalzava.
Ero troppo divertita dall’avventura per dormire o temere la
febbre. Oltretutto la febbre per una bambina è una benedizione. La
mamma mi coccolava, quando ero malata, a tal punto che io stessa
mi sentivo quasi in debito con lei. La colazione a letto, il
permesso di mangiare due dessert, le favole raccontate senza
sosta, quel nostro massaggino segreto sotto la pianta dei piedi,
tutto contribuiva a farmi prender la febbre come una vacanza al
paese di Bengodi.
Al Palazzo di Indabot danno un ballo venerdì prossimo, voglio
andarci, pensavo. Franz mi fissava con l’aria cupa, le mani sul
petto, la testa chissà dove. I suoi capelli erano di una bellezza
imbarazzante, neri, lucidi, lunghi, si spargevano sulle lenzuola
come fili di seta preziosissima e la sua pelle, scura, morbida,
lucida mi faceva perdere l’orientamento. Per Franz io perdevo
letteralmente la bussola. Non sapevo più in che direzione andare,
dimenticavo spazio e tempo. Che fosse amore? Mi facevo moltissime
domande, allora. Accadeva soprattutto quando l’insonnia mi
tormentava per notti nelle quali lo fissavo, addormentato come un
angioletto, respirare leggero.
“Io Franz l’ho amato, credo, Annaviola, ma adesso è tutto così
vago, confuso. "Ho bisogno di dormire”.
PUNTATA DODICI di SABATO 16 FEBBRAIO 2013
Si, quel viaggio in treno me lo ricordo come se fosse ieri. Mia
madre che mi coccolava. Dormi Luce, dormi e fai bei sogni. Non lo
so se i sogni erano belli. Raramente li ricordavo. Preferivo
sognare ad occhi aperti. Immaginavo un mondo fantastico, un mondo
pieno d'amore, pieno di persone allegre, pieno di vita. Mia madre
era spesso triste. Lei cercava di nasconderlo ma io vedevo la sua
tristezza nei suoi occhi. Non gliel'ho mai detto, in cuor mio
sapevo che si sarebbe rattristata ancora di più. Cercavo di farla
ridere. Facevo un sacco di smorfie,
Franz, ancora me lo ricordo, sai quegli amori che ti restano
dentro, accovacciati in un angolo del tuo cuore. La cosa buffa è
che quel mascalzone, mi è tornato alla mente grazie ad Annaviola,
anche lei ha destinato un pezzo del suo cuore a lui. Com'è strana
la vita a volte! Ma adesso non c'è tempo per rimuginare il
passato, devo prendere la decisione più importante della mia vita;
ancora sento la frase del direttore, quell'essere viscido che mi
dà della stupida, intanto non si è accorto che gli ho sfilato per
la seconda volta le chiavi.
La prima volta fu più complicato, il porco si era addormentato nel
suo ufficio, dove ero entrata convinta che non ci fosse nessuno.
le chiavi erano poggiate sulla scrivania. fui lesta a sfilare
quella più piccola, la chiave dorata degli archivi, e ancora più
lesta a rimetterla a posto dopo averne fatto la copia che
consegnai ad Annaviola.
Le brillavano gli occhi quando gliele misi nelle mani e ora lei ha
di nuovo bisogno di me, perchè le prigioniere hanno bisogno di
noi. Dobbiamo riaffermare la libertà, il pensare, il sognare,
l'essere donna ma anche madre, figlia, moglie, lavoratrice.
Dobbiamo liberarle, liberare loro desideri: non possiamo lasciare
che tutto precipiti, che l'odio, la violenza e l'ignoranza
prendano il sopravvento definitivamente. Allora sì, caro signor
direttore vedremo chi è la stupida!
Annaviola, penso, sbrigati! Tutte ti stiamo aspettando. Devo
consegnarti la chiave della libertà.
PUNTATE TREDICI E QUATTORDICI di DOMENICA e LUNEDI’ 18/19 FEBBRAIO
2013
Vago per le strade della città. Certo, si chiederanno dove sono,
ma non saprei rispondere. Non lo so. So solo che sono viva, e
questo mi basta. Fino ad oggi non mi sentivo viva. Respiravo e
basta, per il resto non esistevo. Ora sono viva e voglio vivere.
Voglio gridare, voglio amare, voglio comunicare ciò che sento,
voglio scoprire, voglio provare, voglio odiare, voglio correre,
voglio nuotare, voglio volare, voglio vivere. Sono viva, ma loro
non lo sanno.
A passo lento mi dirigo verso la porta , mi ritrovo accanto a lui,
ne sento l'odore, gli passo accanto. La sua mano all'improvviso
sfiora la mia, un brivido risveglia il mio corpo: non so se sia
piacere o paura. Non provavo queste sensazioni da millenni. Cosa
vorrà da me il direttore, cosa vuole quest'uomo da una donna che
lui stesso ha distrutto nel fisico e nei sentimenti e perchè,
nonostante tutto quello che mi ha fatto, il mio cuore ha ripreso a
battere? Sono passati non so quanti anni da quando mi ha sfiorato
l'ultima volta. Ricordo ancora la sua pelle calda sulla mia, la
sua bocca contro la mia. L'amavo sì, l'amavo alla follia, per lui
avrei fatto tutto o quasi tutto perchè mai avrei rinunciato alle
mie idee.
-Non dovresti andare in giro da sola, a quest’ora.-
-Eh?- E perchè no, pensai senza osare dirlo ad alta voce. Lui era
un omone sulla cinquantina, capelli brizzolati, basette larghe;
indossava un cappotto scuro che non riusciva a coprire una pancia
prepotente. Sembrava fosse alto almeno due metri.
Mi venne in mente d’improvviso quella volta in cui avevo la febbre
molto alta e la mamma aveva chiamato un medico nuovo.
– Questo è molto bravo, mi ha detto la zia, è nuovo in paese,
viene dalla città e sembra che abbia studiato anche in America -.
Arrivò nel primo pomeriggio, il Dottor Argei, si presentò
impettito e rigoroso e chiese a mamma e papà di lasciarci soli.
Loro, ovviamente, obbedirono senza fare una ruga. Io mi sentivo
piuttosto a disagio. Avevo tirato le coperte fin su la fronte e
sbirciavo, di tanto in tanto, le mosse del nuovo personaggio.
- Mi dicono, esordì, che sei molto silenziosa -. Seguì,
naturalmente, un lunghissimo silenzio, che non provocò al Dottor
Argei nessuna perdita di equilibrio.
- Vedere il mondo con i propri occhi è un diritto di tutti -,
disse e si mise a sedere accanto al mio letto.
E in tutti questi anni mi sono chiesta più volte il perché di
quell'amore. Su quali fondamenta avevo costruito quel sentimento?
Poteva essere il suo sorriso, quella luce del suo sguardo che si
era accesa solo una volta e che mi aveva conquistata. Non l’avrei
mai più rivista, nessuno l’avrebbe vista nuovamente. E poi? Che
altro? Mille altre volte, nei momenti più bui della nostra
relazione, mi ero chiesta cosa diavolo avesse quell'uomo per
tenermi incatenata a sé. La risposta non venne mai trovata.
Vergognandomi della mia incapacità, del mio fallimento
sentimentale, avevo nascosto a me stessa quelle domande. Dopo un
po' di tempo, quando quelle, inevitabilmente, si riaffacciavano
alla coscienza, le ignoravo come polvere sotto un tappeto. Eppure
quei sedimenti di materia d'amore, affastellati in fondo al punto
più buio del cuore, ogni tanto, come in quel momento, si
muovevano, agitati da chissà quale mano. Sbattevano fra sé e
contro le pareti del cuore, provocando una colica di sentimento …
e ancora non trovavo la medicina per guarire.
PUNTATE QUINDICI E SEDICI di MERCOLEDI’ e GIOVEDI’ 20/21 FEBBRAIO
2013
Da bambina avrei voluto essere un pesce, perché nell’acqua non si
sente dolore, immaginavo. Ogni cosa necessita del suo tempo: le
ferite per guarire, le malattie per fare il proprio decorso. Da
bambina l’unico posto in cui non sentivo dolore era l’acqua.
Voglio scrivere la storia della bambina divenuta pesce, pesce
felice. Il lago sereno di settembre per tuffarsi e mettere la
testa sotto, tutta la testa. Fossi stata un pesce davvero non
avrei avuto necessità di tirarla fuori.
Finalmente trovo il coraggio di varcare quella porta , lasciarmi
alle spalle anni e anni di solitudine e abbandono, lui ha lo
sguardo basso quando lo oltrepasso, sa il male che mi ha fatto, lo
leggo in ogni cellula del suo corpo, ma ora come ora non me ne
importa nulla. Guardo con disprezzo anche quella donnina in
uniforme che gli sta accanto e mi incammino sempre più velocemente
verso la luce della libertà, verso quel gruppo di donne che con la
loro voce ha risvegliato la mia volontà intorpidita. Le sento
ancora, sento Annaviola pronunciare il mio nome ad alta voce,
urlare: "Rossellaaaaaaa vieniiiiii”. Sento il caldo del sole
entrare in me, sciogliere le mie membra, corro...corro...continuo
a correre.
Corro perché l'amore non può incatenare: un giorno t'innamori
inseguendo un sogno di libertà e poi ti ritrovi a fare i conti con
i compromessi illusori di quello che inconsapevolmente hai
barattato in nome di un Amore. Ora corro, voglio scrollarmi di
dosso la polvere accumulata, far uscire la luce sopita dentro me,
non inseguirmi ti prego o abbraccia il mio mondo una volta per
tutte. E' lì che mi trovi, sfogliami, spogliami ma non nascondermi
d'abitudini grigie.
- Vedere il mondo con i propri occhi è un diritto di tutti -,
disse e si mise a sedere accanto al mio letto. Io abbassai solo un
po’ la coperta, scoprendo l’occhio sinistro. Lui mi fissava,
immobile, quieto. Era giovane per essere un dottore. Di tanto in
tanto arrivavano i bisbigli sommessi di mamma e papà, acquattati,
di certo a spiare, dietro la porta. I lunghi capelli biondi si
adagiavano su un paio di spalle forti e larghe. Gli occhi neri di
carbone mi fissavano senza lasciar trapelare giudizio o
commozione. Aprì la piccola borsa di pelle marrone e ne estrasse
l’immancabile stetoscopio. Mi coprì, fulmine, fin sopra la testa.
Lui scoppiò in una risata anomala e travolgente. Quasi soffocava.
Visto che non accennava a smettere dopo un po’ mi lasciai
travolgere e cominciai a ridere fragorosamente anche io. Ero
debole per la febbre e mi sentivo come ubriaca, il letto
ondeggiava su un mare misterioso, eppure sentivo come se mi si
fosse ‘stappato’ il cuore.
PUNTATA DICIASSETTE di VENERDI’ 22 FEBBRAIO 2013
Non ci posso credere: sono crollate tutte le mie certezze, le mie
convinzioni. Per tutta la vita mi sono lasciata vivere, guidata
dai desideri altrui secondo i quali ho sempre determinato le mie
scelte, in fondo, solo così si spiega perché sino a oggi io abbia
lavorato come carceriera, per giunta, di altre donne.
Mio padre, negli ultimi tempi non tollerava che io usassi il
termine carceriera per descrivere il mio lavoro, il termine gli
dava fastidio, - sei un'agente! - mi ripeteva - e devi esserne
fiera -. Da qualche parte ho sentito dire che le parole sono
importanti, ci si può giocare, ma mai e poi mai possono essere
usate per ingannare qualcuno, figurarsi noi stessi,
quindi carceriera sono stata e forse sempre tale mi sentirò, anche
adesso che ho oltrepassato quella grande porta di ferro.
Chi non ha mai visitato un carcere, non conosce il senso
claustrofobico provocato dalla chiusura di una porta alle tue
spalle: rimani sospeso in una sorta di limbo dove, fino a quando
quella porta dietro di te non si è definitivamente chiusa, quella
che hai davanti non si apre. E’ così che ti ritrovi a pensare che,
se in quell'attimo preciso, in cui sei tra queste due porte
capitasse qualcosa, qualunque cosa, rimarresti incastrato lì,
senza poter entrare né uscire;
ma nonostante un simile pensiero, ora che mi ritrovo rinchiusa tra
quattro mura, prigioniera tra le prigioniere, mentre mi domando
come abbia fatto il direttore a scoprirmi, per la prima volta mi
sento libera e con la voglia determinata di rinnegare quello che
sono stata e porvi rimedio.
Poi penso ad Annaviola, penso che per fortuna ha mancato
l'appuntamento, che non so dove sia. Mi è così di conforto, però,
saperla fuori di qui.
PUNTATE DICIOTTO E DICIANNOVE di SABATO e DOMENICA 23/24 FEBBRAIO
2013
Carissima Luce, dopo molto tempo mi decido a scriverti. Sapessi
quante volte ci ho pensato e quante pagine scritte e poi
strappate. Sapessi quanti slanci e quanti pentimenti.
Giustificazioni non ce ne sono. Sarebbe facile scaricare ogni
responsabilità e dire che son stati loro, che eravamo
terrorizzati, che rischiavamo di perdere tutto, no, non lo farò,
non voglio farlo. Io sono responsabile di questa barbarie perché
ne sono stato complice, non l'ho rifiutata Il tempo non guarirà
questa ferita. L'omissione è ancora più colpevole dell'azione e
entrambi lo sappiamo. Oh, se sapessi quanto mi sei mancata e
quanta vergogna ho provato'.
La candela si spegne. Son troppo stanca. Voglio dimenticare.
La luce fioca scrive forme veloci sulle pareti. Chiudo gli occhi e
penso a chi ha reso impossibile la nostra vita, a chi ci ha
portato al punto di allontanarci una dall'altra. Uomini che
abbiamo lasciato decidere del notro destino. Perchè, poi! Uomini
senza spina dorsale non dovrebbero avere poteri..Uomini che
avevano bisogno di un Dio sopra di loro e a noi hanno lasciato il
diavolo. Perchè la loro capacità di decidere dipende solo da
qualcuno più in alto che dà ordini e detta codici e fornisce norme
da seguire. Perchè ho lasciato che le loro orme coprissero le mie?
Chi può sapere perchè le nostre vite sono state loro vittime. Chi
può dire quali occasioni, quali ragioni, quali perverse azioni
portano a perdere il controllo della propria esistenza. Come
spiegare il solco che lasciano le gocce della peggior vita, quelle
che piangi fino a non averne più, quelle che finiscono la tua
forza di vivere e la riducono a strisciare senza aspettare altro
che la fine. Niente e nessuno ha più importanza, niente e nessuno
vale lo sforzo di vivere. Perchè ho lasciato che facessero scempio
della mia vita fino a questo punto? Il buio e la stanchezza non
riescono a farmi dimenticare.
Ci saranno giorni migliori, mi dicevo, cercando una via di fuga,
almeno mentale, all’orrore reso quotidiano dalla naturalezza con
la quale ce lo somministravano. Ho chiuso gli occhi, poi,
decidendo di dimenticare, per sempre. Non avrei mai più ricordato
chi ero, da dove venivo, avrei anestetizzato ogni angolo del mio
cuore e della mia mente, per sopravvivere. Questa che mi rimane,
adesso, non è più vita: è il barlume di un essere che ha rinnegato
la sua essenza per vendersi al migliore offerente. No, non ci sono
giustificazioni e questo pentimento tardivo è inutile e mortale.
PUNTATA VENTI di LUNEDI’ 25 FEBBRAIO 2013
Oggi c'è il sole. Mi fa stare bene, m'illumina, mi nutre. Chissà
oggi come andrà la terapia di gruppo. Dai Luce inizia tu. Mi
faranno iniziare come sempre. All'inizio non ho mai niente da
dire. Qui le giornate sembrano sempre uguali. Poi inizio a
ricordare il mio passato e puntualmente racconto qualcosa della
mia vita. La settimana scorsa ho raccontato di quando da bambina
vidi mia madre aprire la dispensa, prendere un fiasco di vino e
berne un pò. Ero nascosta dietro una poltrona. Giocavo sempre a
nascondermi. Lei mi ha visto. E' sobbalzata, sorpresa. Ha chiuso
la dispensa, ha fatto finta di niente. Ma non era un niente, è un
qualcosa che mi porto dietro da quel giorno, è un qualcosa che ha
segnato la mia vita.
A volte aveva pensato che sarebbe andata via. Via dal paese,
troppo piccolo e stanco. Via dalla casa dei genitori sempre
intenti a discutere e a ferirsi. Lo aveva pensato spesso a dire il
vero. Facendo pendere le gambe dal tavolo di legno scuro sfogliava
qualche rivista della madre o della nonna. Sarebbe saltata giù e
avrebbe preso la via per la stazione ferroviaria senza più
voltarsi. E così fu, d’improvviso. Lasciò cadere ogni
attaccamento, ogni paura, aprì le porte alla libertà più assoluta
e volò.
Sì, direi che biondi vanno bene. Forse sarò riconoscibile per
"lui", ma non mi troverà. Ciò che ho fatto non me lo perdonerà
mai, ma non sa che posso fare anche di peggio. Aprire un archivio?
Mostrare quelle carte ad Annaviola? Ah, è niente rispetto a ciò
che lo attende. Ormai non mi importa più di farlo felice, perchè
Serena non è più "serena". Basta chinare la testa, basta fingere,
anche davanti a "lui", davanti a mio padre... Adesso un po' di
rossetto e... ci siamo Presidente, la resa dei conti è vicina!
Adriana Bracchitta
Giacoma Carfì
Lolita Coli con l’opera "Jonathan"
Luna Comanducci
Roberta Guerrera
Anna Maria Laccertosa
Carmen La Perla
Valentina Loche
Melissa Marani
Anna Paumgardhen
Cristina Pivirotto
Silvia Pusceddu
Sonia Sabbatini
Patrizia Zaratti