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PUNTATA UNO di MARTEDI’ 5 FEBBRAIO Anno 2333, Il Presidente ha stabilito con decreto legislativo che tutti i soggetti che sfuggono al controllo del pubblico pensiero vengano internati in case di Intolleranza dove si provvederà alla loro rieducazione. Alba. In casa non c’è luce. Accendo una candela. Sulla mia scrivania mi attendono le dichiarazioni firmate dalle detenute della Casa di Intolleranza di Zan Yachinto alla Montagna. Scartoffie impolverate da anni di trascuratezza. Stamattina si ricomincia il lavoro. Porterò a termine il compito, costi quel che costi. Primo fascicolo. Si tratta di Luce B, internata nel reparto soggetti non domabili. Leggo. ‘Se vuoi ti racconto una storia. Non si diventa matti. Matti si nasce. Noi matti, Vittoria, siamo così da sempre: è Dio che ci ha pensati così. Ci vuole proprio così fatti perché possiamo vedere la verità. No, non è una punizione. Il mondo ha bisogno di noi. Se vedi qualcuno che cammina per strada farneticando tu puoi compiacerti della tua vita, i tuoi successi, tua moglie è bella, i bambini stanno bene, l’orto è coltivato a dovere, il mondo ti ama e quel povero matto sta lì che farnetica sulla verità e se la sconta lui questa bugia che chiamiamo vita. Così i professionisti del settore si affannano a farli star meglio e raccontano loro delle favole che li aiutino a diventare socialmente accettabili. “Signora, la ragazza non si inserisce. E poi quel vizio di assentarsi. Chissà dove va con la testa”. Vittò, la testa è l’unica libertà che ho. E quei compiti di scuola: una serie di segni rossi come ferite sui miei pensieri. A pezzi me li hanno fatti. Quattro, Vittorio, mi davano ai temi. E già, e pensare che l'unico colore per me era il bianco a righe,si, proprio quello,quello del mio foglio. Ohi, per me ce ne erano di pensieri, colori, forme e idee, alle volte solo mie, ma meravigliose. Riesco ancora a scrivere di pensieri mai pensati, a non finire. E mi dicono che vivo nel mio! Cosa vorrà mai dire mio, mi ripeto. Ho la testa piena e rifletto ,aggrotto,ghigno, sperando che le parole mai dette siano quelle sempre più scritte: palesi. Quando Luce era nel mio grembo mi sentivo felice: era l'ultima dopo quattro figli maschi, io e mio marito desideravamo che fosse una femmina, e così fu. Durante la gravidanza la malattia di mio marito peggiorava, diventava più insistente e lui veniva trascinato nel vortice delle sue sofferenze , si accaniva sulla sua idea, persisteva nel considerare pazzi tutti quelli che incontrava! se solo avesse potuto, avrebbe vietato la capacità di pensiero. La sua ossessione cresceva a dismisura quando io mi accingevo a diventare madre per la quinta volta:fu allora che decisi di allontanarmi da lui a dalle sue manie. Salita su quel

FEUILLETON NUMERO UNO

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Racconto a puntate, scritto a più mani femminili: Adriana Bracchitta Giacoma Carfì Lolita Coli con l’opera "Jonathan" Luna Comanducci Roberta Guerrera Anna Maria Laccertosa Carmen La Perla Valentina Loche Melissa Marani Anna Paumgardhen Cristina Pivirotto Silvia Pusceddu Sonia Sabbatini Patrizia Zaratti

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PUNTATA UNO di MARTEDI’ 5 FEBBRAIO

Anno 2333, Il Presidente ha stabilito con decreto legislativo che

tutti i soggetti che sfuggono al controllo del pubblico pensiero

vengano internati in case di Intolleranza dove si provvederà alla

loro rieducazione. Alba. In casa non c’è luce. Accendo una

candela. Sulla mia scrivania mi attendono le dichiarazioni firmate

dalle detenute della Casa di Intolleranza di Zan Yachinto alla

Montagna. Scartoffie impolverate da anni di trascuratezza.

Stamattina si ricomincia il lavoro. Porterò a termine il compito,

costi quel che costi. Primo fascicolo. Si tratta di Luce B,

internata nel reparto soggetti non domabili. Leggo. ‘Se vuoi ti

racconto una storia. Non si diventa matti. Matti si nasce. Noi

matti, Vittoria, siamo così da sempre: è Dio che ci ha pensati

così. Ci vuole proprio così fatti perché possiamo vedere la

verità. No, non è una punizione. Il mondo ha bisogno di noi. Se

vedi qualcuno che cammina per strada farneticando tu puoi

compiacerti della tua vita, i tuoi successi, tua moglie è bella, i

bambini stanno bene, l’orto è coltivato a dovere, il mondo ti ama

e quel povero matto sta lì che farnetica sulla verità e se la

sconta lui questa bugia che chiamiamo vita. Così i professionisti

del settore si affannano a farli star meglio e raccontano loro

delle favole che li aiutino a diventare socialmente accettabili.

“Signora, la ragazza non si inserisce. E poi quel vizio di

assentarsi. Chissà dove va con la testa”. Vittò, la testa è

l’unica libertà che ho. E quei compiti di scuola: una serie di

segni rossi come ferite sui miei pensieri. A pezzi me li hanno

fatti. Quattro, Vittorio, mi davano ai temi. E già, e pensare che

l'unico colore per me era il bianco a righe,si, proprio

quello,quello del mio foglio. Ohi, per me ce ne erano di pensieri,

colori, forme e idee, alle volte solo mie, ma meravigliose. Riesco

ancora a scrivere di pensieri mai pensati, a non finire. E mi

dicono che vivo nel mio! Cosa vorrà mai dire mio, mi ripeto. Ho la

testa piena e rifletto ,aggrotto,ghigno, sperando che le parole

mai dette siano quelle sempre più scritte: palesi.

Quando Luce era nel mio grembo mi sentivo felice: era l'ultima

dopo quattro figli maschi, io e mio marito desideravamo che fosse

una femmina, e così fu. Durante la gravidanza la malattia di mio

marito peggiorava, diventava più insistente e lui veniva

trascinato nel vortice delle sue sofferenze , si accaniva sulla

sua idea, persisteva nel considerare pazzi tutti quelli che

incontrava! se solo avesse potuto, avrebbe vietato la capacità di

pensiero. La sua ossessione cresceva a dismisura quando io mi

accingevo a diventare madre per la quinta volta:fu allora che

decisi di allontanarmi da lui a dalle sue manie. Salita su quel

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treno conobbi lei, Annaviola, fu la mia ancora di salvezza. Sapevo

che i suoi occhi erano il mio porto sicuro, il mio e quello della

mia piccola Luce.....

Mi hanno chiamata Luce perchè quando sono nata i miei occhi erano

aperti, hanno visto subito la luce. Non vedevo l'ora di vedere

questo mondo di cui tanto mi parlava mia madre. Mi diceva che non

vedeva l'ora di conoscermi, di presentarmi a mio padre, ai miei

fratelli. Si, ma alla fine non ho mai conosciuto nessuno di loro.

Solo in qualche foto, di nascosto. Di loro non si poteva mai

parlare, mai. Il perchè non l'ho mai capito. Una sola volta ho

sentito mia madre parlare di lui. Diceva che era pazzo e che per

colpa sua stava diventando pazza anche lei. E io che, nascosta

diero la porta, mi chiedevo se fossi pazza anch'io. Alla fine mi

sentivo così, come loro. Mi sentivo pazza.

Un altro fascicolo: Tessa P., socialmente inquietante.

“Inquietante. Signor giudice, questo aggettivo mi accompagna da

quando ero piccola. “Tua figlia è inquietante”, dicevano le amiche

a mia madre. Io le guardavo - belle, ben vestite, di classe – e

sapevo che non sarei ma stata come loro. Che non volevo essere

come loro. Io … io, signor giudice, volevo volare via. Ero una

bambina minuta, e per inchiodarmi a terra mi hanno appesantito.

Responsabilità, legami famigliari, regole sociali, chili. Ma non

sapranno mai che proprio la terra a cui pensavano di inchiodarmi è

stata la mia salvezza. Perché quella terra mi ha accolto,

donandomi la sua forza, la sua energia. Silenziosa, accumulavo

l’energia delle migliaia di donne che prima di me avevano

calpestato quel suolo. Tacevo e accumulavo, accumulavo e tacevo.

Inquietante. Inquietante come un vulcano, la cui energia puoi

avvertire, ma non puoi prevedere quando e come esploderà.

“Dai ragazze, fuori!! Finalmente la vostra ora d’aria. La vostra

guardia penitenziaria preferita oggi vi fa scegliere se vedere un

bel telegiornale o una soap opera.. non male, no?” Ma che hanno

queste ragazze? Sempre scontente, sempre tristi… oggi hanno anche

una due cose diverse da vedere! Oh, comunque io non capisco perché

si ostinano a non accettare la terapia. Sarebbero più belle, più

sorridenti.. ma chi glielo fa fare di pensare? A che poi? Quando

hai un bel tacco e un rossetto nuovo sei a posto!.. O no? “Ehi tu,

laggiù.. sì tu.. Luce, smettila! Devi parlare ad alta voce, lo

sai!” E poi questa mania di dire, raccontare.. Per fortuna che io

non ho mai avuto bisogno di essere rieducata. E infatti sono

felice, io.

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PUNTATA DUE di MERCOLEDI’ 6 FEBBRAIO 2013

Permesso, permesso, lasciatemi passare, vi prego. Oggi sono

davvero esausta, devo sedermi e dare riposo al mio povero corpo

appesantito dai troppi anni ... Sono Annaviola ... Permesso,

permesso ... e quanto pesa questa borsa,è tutto quello che ho, la

porto sempre con me, in essa raccolgo i pensieri scartati, che

trovo qua e là, lungo il mio continuo cammino, i pensieri che la

gente butta per noia o disinteresse, o che forse ha 'lasciato

andare' per paura di essere punito ... maledetti, sì maledetti

Controllori dei Pensieri ... Ultimo scompartimento, un posto

libero, c'è una donna con la sua bimba in braccio ... posso? Lei

non risponde, ma continua a guardarmi, gli occhi pieni di paura

... sento che sta fuggendo, ma da chi? da cosa? Non aver paura di

me, cara, con me sei al sicuro, ho qualcosa per te nella mia borsa

... vediamo un po'... ma dov'è ... ah, eccola...

Annaviola aveva un non so che mi mi faceva restare ammutolita e

attonita non riuscivo a parlare mi inebriava di dolcezza e non

smettevo di ammirarla ... sentivo un qualcosa che non so spiegarmi

allo stomaco dolci occhi e viso incantevole ammiravo le sue mani

mentre mi parlava e io ascoltavo senza interromperla. E io mi

domandavo tra me e me cosa mi sta succedendo non mi ero mai

sentita così persa per una persona e poi da una donna ma mi

piaceva la sensazione mi faceva stare bene e mi faceva dimenticare

tutto volevo conoscerla e entrare nella sua vita per diventare

chissà …a vevo una sensazione nel raccontarmi con lei in quel

treno volevo che nulla accadesse che la bimba dormisse e nessuno

ci disturbasse così che io potessi ammirarla e chissà magari

abbracciarla ma che dico mi sto proprio …

Si era creato attorno quel giusto alone di mistero che gli aveva

consentito una scalata al potere senza pari, pensò fra sé e sé il

Presidente: era stata facile la sua arrampicata strategica …

nessuno sapeva di dove venisse, quali fossero stati i suoi natali;

era passato così tanto tempo, così tanti eventi si erano succeduti

nella sua vita che egli stesso aveva scordato il nome e il sapore

di sua madre. In fondo era bastato stringere mani, sfoderare

sorrisi, passare qualche bustarella in mani appropriate … ma il

suo asso nella manica era il possesso di una piccola stazione

televisiva che, nel tempo, si era trasformata entrando nelle case

di tutti, troneggiando nel bel mezzo di salotti acquistati a rate

e divenendo per ciascuno oracolo, musa ispiratrice, dio di

speranza e di certezza, luogo in cui cercare e trovare risposte,

ristoro per l’anima e la mente … attraverso quel mezzo il

Presidente era arrivato al controllo del pubblico pensiero. Solo

una categoria di persone ormai lo preoccupava: i matti. Su di loro

non era stato mai possibile far presa, mai far breccia … loro

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sfuggivano ancora e sempre … e le più difficili da tenere sotto

controllo erano le donne. Il rapporto del Ministero del Controllo

Mediatico posato aperto sulla sua scrivania parlava chiaro: le

detenute della Casa di Intolleranza di Zan Yachinto alla Montagna

mai si erano lasciate coinvolgere nella visione di un

telegiornale, di una soap opera, di un documentario, di un film …

mai si erano lasciate afferrare da un suo discorso, dai discorsi

del grande comunicatore …

La candela si sta consumando velocemente prendo in mano un altro

fascicolo: Stella M. anche lei internata nel reparto soggetti non

domabili…”Indomabile, che significa indomabile? Come si può

togliere la libertà ad una stella? Si, le sembrerà assurdo ma

questo sono dentro al mio cuore, nessuna catena potrà mai

imbrigliarmi, io stella del mio microcosmo, che mai avrò fatto di

male? Forse che andare alla ricerche di altre stelle come me,

anime gemelle, sia un crimine? Non credo, quello che vi fa paura a

voi “normali” è che noi “strani” vi scombussoliamo il vostro

supposto ordine.

Non riesco a smettere di leggere, la luce della candela è sempre

più fioca e mi costringe a sforzare gli occhi, che mi bruciano e

lacrimano: altro fascicolo, soggetto irreperibile, pericolosità

elevata, latitante, nome in codice Viola. Me la ricordo,

riuscirono a prenderla solo una volta e solo per poco, nei pressi

di una stazione della metropolitana. non fece alcuna resistenza.

non disse alcuna parola, seguì le guardie con il suo incedere

tranquillo e sereno, chi la vedeva da fuori avrebbe pensato che si

stesse recando a fare una passeggiata in compagnia di amici.

quando me la portarono qui davanti, provai sentimenti di sconcerto

e rimasi senza risposte al suo perchè si trovasse lì. ricordo che

mi sentii così piccolo e solo come un bambino smarriti gli occhi

della madre, teme di essere stato abbandonato. l'unica certezza

che ebbi fu che quello non era il suo posto. ero il direttore e

per la prima volta contravvenni agli ordini e la lasciai andare. e

ora che la candela si è consumata del tutto, al buio non mi resta

che piangere.

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PUNTATA TRE di GIOVEDI’ 7 FEBBRAIO 2013

Piango perché la vita è ingiusta. Piango perché stare qui per anni mi consuma. Ascolto, sento, vivo...

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Piango perchè la vita è ingiusta. Piango perchè stare qui per anni

mi consuma. Ascolto, sento, vivo queste storie che penetrano nelle

mie vene avvelenando il mio sangue. Piango perchè il loro sangue è

più avvelenato del mio. Ma forse loro non si rendono conto. Forse

loro pensano che il pazzo sia io.

Ho paura! molta paura. sono appena rientrata e mi sembra di

impazzire se ripercorro quello che fuori sta accadendo: limitare

la libertà di pensiero, è una follia! Adesso posso mettermi

comoda, posso riprendere a parlare a voce bassa, da sola. Sarà

noioso e anche patetico ma almeno nessuno può controllare come la

penso, adesso che Franz ha avuto il compito di intercettare le

lettere non posso fidarmi neanche di lui... mi manca Annaviola e

non so dove trovarla, anche Luce è dentro e io devo cercare di

passare inosservata poichè potrei essere la prossima. Lavo il

viso dal trucco e da quello che sta accadendo vertiginosamente,

sciolgo i capelli e sembra che trovi respiro anche la mia mente,

impaurita dall'essere osservata; via le scarpe, il maglione e i

jeans....sono libera! Sola dentro la mia piccola stanza, ma ne

vale ancora la pena: la libertà è infinitamente ciò di cui io e

tutta la città abbiamo bisogno.

Potrei rivolgermi a Lisa, lei potrebbe aiutarmi a trovare un modo

per fuggire questo marasma...

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PUNTATA QUATTRO di VENERDI’ 8 FEBBRAIO 2013

Sono seduta qui in un angolo di questa squallida, fetida cella.

Odio tutto di questo posto, odio quel letto sgangherato che mi ha

visto troppe volte distesa a tremare per il freddo della

solitudine,odio quelle sbarre che mi separano dalla vita ma odio

soprattutto e fortemente me stessa. Si, mi odio per aver permesso

a tutte quelle persone ,che mi credono diversa, di prendere il

sopravvento su di me. Ho permesso loro di incatenare qui i miei

sogni, di annullare i miei pensieri, la mia volontà. No non è

giusto, non può finire così. In un moto di rabbia cerco di

alzarmi, ma non ci riesco. Le gambe mi tremano sotto il peso dei

miei sensi di colpa. Ricado,mi rialzo,ricado, quando,

all'improvviso,come se qualcuno percepisse le mie difficoltà,

sento delle voci femminili che mi chiamano. Possibile, mi dico?

Non sono sola? Con fatica e con il cuore in gola che batte

all'impazzata riesco a sollevarmi. A passi tremanti, ma pieni di

ritrovata fiducia, mi affaccio da quelle sbarre. Oddio, i miei

poveri occhi non reggono a tanta luce, li chiudo, li riapro subito

e le vedo. Eccole lì: Luce, Annaviola e le altre, piu' indietro;

l’aspetto fiero ,lo sguardo alto e sicuro, la voce calma e

rassicurante...mi chiamano “Rossellaaaa, vieni, unisciti a noi“.

“Si, ragazze, arrivo. Finalmente eccomiiiii”.

Smetto di piangere. Loro possono pensare ciò che vogliono. Forse

pensare che il vero pazzo sono io le fa stare meglio. Forse le fa

sentire più forti. Forse. E' un lavoro di forse il mio. Un lavoro

che non so se potrei fare fino alla fine. Forse è ora che io

cambi. Ecco, appunto. Ho usato nuovamente il forse. Inizio a fare

la spugna di professione. Ormai assorbo e basta, non riesco più a

staccare. Da quando è arrivata Luce, poi, sta diventando un

incubo. Luce è quella che apparentemente sta bene. Non le si nota

nessun sintomo, fino a quando non parla per più di dieci minuti

concecutivi. Al decimo, scatta qualcosa in lei, ma non mi so

spiegare bene cosa. Comincia a parlare della sua passione: la

danza. Dalla parola passa ai fatti e inizia il suo spettacolo. Si

toglie le scarpe e via a danzare come un'anima libera. Forse la

danza la fa sentire libera. Forse in cuor suo si sente libera. Io

no. Io non lo sono.

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PUNTATA CINQUE di SABATO 9 FEBBRAIO 2013

“Perché non riesco a togliermi dalla testa quelle donne?” – si

disse ad alta voce il Presidente mentre, guardandosi allo

specchio, si radeva. Il suo volto tirato dai numerosi, ripetuti,

interventi di chirurgia plastica appariva quello di un giovanotto

cinquantenne, ma lui sapeva bene che le sue primavere erano molte,

molte di più … tante che aveva ormai scordato il suo nome … il bel

nome con cui sua madre ricercava la sua attenzione quando era

piccolo. Una volta aveva amato profondamente la minuta donna che

lo aveva portato in grembo, che lo aveva partorito … rapido

distolse lo sguardo dallo specchio che rifletteva la sua anima …

il buio appena rotto da quegli squarci di luce lo spaventava più

di qualsiasi aspra lotta per il potere avesse mai affrontato … i

più acerrimi nemici, i suoi ricordi ... non potevano trovare

strada dentro di lui. Si asciugò la faccia, indossò la camicia

bianca, abilmente le sue mani annodarono la cravatta scelta con

cura, come sempre, e aprì il rapporto che, da giorni, parcheggiava

sulla grande scrivania in mogano massiccio. Ancora ad alta voce

lesse quei nomi: “Rossella, Luce …” – richiuse il rapporto e

spalancò la finestra … gli mancava l’aria … impellente avvertì la

necessità di uscire di lì, di uscire senza avvertire nessuno, al

caldo sole di un inverno inoltrato e con tono perentorio chiese a

se stesso: “ Ma cosa diavolo mi sta capitando?” ... e uscì

sbattendo la porta alle sue spalle.

Questo maledetto impianto elettrico mi sfinisce. Qui dentro non

funziona niente. Ho provato a ripararlo, ma salta di continuo.

Trovare rifugio è stato talmente difficile che lamentarmi sembra

quasi un’eresia, eppure sono così stanca e le candele stanno

finendo. Paolo oramai viene pochissimo. Le provviste scarseggiano

ogni giorno e temo di essere scoperta, ma non mi arrenderò. Ho

giurato che sarei andata fino in fondo. Il gatto grigio è passato

anche stamattina. Non ho più molto da offrirgli, ma preferisco

dividere il mio cibo con lui; almeno ho una compagnia assicurata

in queste gelide e infinite giornate di solitudine. La brina sui

vetri si scioglie appena nelle ore più calde della mattina. Ho

nostalgia della mia casa, del buon cibo, della buona compagnia. Ho

nostalgia di quella che ero. Quando sento di non farcela mi

aggrappo ai bei ricordi: ballo fasciata dall’ abito rosso nella

sala brulicante di ufficiali e donne in lungo. I candelieri accesi

fanno danzare le ombre sulle pareti e sui tendaggi di velluto

pesante. Ci sono solo io al mondo. Tutti gli occhi sono puntati su

di me. Ho la vita in pugno e volo, portata dall’onda di una musica

celestiale, sciogliendomi tra le braccia di Franz. E ricordo i

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primi baci, le notti rubate al lavoro, la latitanza, il calore dei

nostri corpi intenti a fondersi l’uno con l’altro quasi a dispetto

delle nostre stesse volontà. Mi immergo nell’abbraccio caldo dei

ricordi e ritrovo frammenti di quella me stessa della quale ho

tanta nostalgia. Un altro fascicolo, un’altra candela.

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PUNTATE SEI e SETTE di DOMENICA E LUNEDI’ 10 E 11 FEBBRAIO 2013

Incontro questa madre e questa figlia su un treno. A me che sono

così sola, l'immagine scalda il cuore: le parole sussurrate,

mentre la piccola dorme, si fanno sempre più intime. Quando la

bambina si sveglia, guardo i suoi occhi grandi e luminosi, e cade

ogni incertezza, lei è Luce. Arriva il momento delle spiegazioni.

Apro la borsa, tiro fuori fascicolo dopo fascicolo e leggo:

soggetto pericoloso perché esercita, nonostante detenzione e

lavori forzati,il libero pensiero; soggetto pericoloso: legge i

filosofi greci; e così via, fino a quando arrivo al fascicolo n.

555; soggetto pericoloso perché i suoi occhi, nonostante tutto,

donano speranza. La madre, nel frattempo, si accorge che sono

arrossita, e così le racconto che anche io ero stata internata per

un pò, ma subito liberata. Le spiego che il mio rossore è causato

dal gesto compiuto, sebbene determinato da una buona causa, esso

mi opprime e non mi rende fiera di me stessa. Ho rubato questi

fascicoli e mi sento in colpa, sporca dentro. La violenza non

giustifica altra violenza. La donna cerca di consolarmi, poi mi

chiede perché l'ho fatto. Io cerco le donne che vi sono

menzionate,per liberarle se ancora detenute o per aiutarle a

intraprendere nuovi cammini di speranza.

Chi sono io? Sono questa e le mostro il mio fascicolo:soggetto

irreperibile, pericolosità elevata, latitante, nome in codice

Viola.

Preciso, Annaviola, per voi.

Annaviola. Ma per farti capire chi io sia, lasciami andare

indietro negli anni, nei ricordi...indietro...rivedo il volto di

mia madre...lei era nata nella terra del Sole,piena di grandi

fiori colorati, dove l'aria profumava d'amore;alla sua nascita, le

anziane del villaggio si erano riunite e le avevano dato nome

Angela del Sol...portava sempre dei fiori colorati tra i capelli e

sorrideva sempre..un giorno conobbe mio padre e fu allora che si

spense il suo sorriso, lentamente...cominciò allora a raccontarmi

strane cose, che spesso non capivo nei miei pensieri di bambina,

ricorda tutto Annaviola, ricorda e racconta, mi diceva, finchè un

giorno smise di raccontare...

Non era mai accaduto prima che qualcuno riuscisse a far uscire

documenti così importanti dalla sede di Zan Yachinto. Le sirene

avevano suonato per ore fendendo l’aria con i loro lamenti. Il

Prefetto aveva allertato tutte le forze disponibili e il

Presidente in persona aveva voluto occuparsi del caso. Mesi di

indagini e sospetti, ma nulla di fatto. I documenti e la ladra si

erano volatilizzati: il furto rimaneva un mistero.

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Luce oggi è spenta. Non sorride, non parla, non fiata. A volte ho

pure il sospetto che non respiri. Mi avvicino con una scusa. Si è

mossa di mezzo centimetro. E' viva. Le guardo gli occhi. Occhi

tristi di chi ricorda. Io ci provo. Io le chiedo. Non sia mai che

risponda. Ciao Luce. A chi pensi? A mio padre. Non so come ma ho

ricevuto una sua lettera. Come non sai come? Si, me la sono

trovata in mezzo ad un libro, dentro la valigia. Se vuoi te la

leggo. Certo. "Cara Luce, non odiarmi, non prima di leggere queste

righe, ti prego. Non sono stato un vero padre, ma ti assicuro che

avevo le mie ragioni. Questo non mi giustifica, ma una spiegazione

serve sempre, per capire. Non amavo tua madre, non più. Quando è

rimasta incinta di te soffriva di depressione, sempre più pesante.

Io ho provato ad aiutarla ma forse non in modo giusto. Piangeva in

continuazione, senza un perchè. Mi sentivo impotente, non sapevo

più cosa fare. Lo so, sono un debole. Avrei dovuto lottare con

tutte le mie forze, ma forse mi mancavano proprio quelle. Mi

mancava l'energia vitale. Ho mollato. E' stato un attimo di

follia. Sono andato via senza un perchè, senza una parola.

Cosciente del fatto che così tua madre non sarebbe comunque

guarita. Avevo bisogno di staccare la spina. Egoista, stronzo,

pezzo di merda. Lo so. Non voglio mentirti, voglio solo dirti che

non ho mai smesso di pensare a te. Perdonami, se puoi. Un

abbraccio. Tuo padre."

Donne, donne ma quante donne sono apparse e poi svanite nel nulla

in questa mia frenetica vita sempre alla ricerca di un obiettivo

da raggiungere, di una meta da conquistare. Eppure non sono solo,

se mi guardo intorno c’è un folla sempre in delirio che mi cerca,

che segue e forse mi ama a suo modo. Ed io che a quanto pare non

ho capito niente mi ritrovo qui a pensarle, a pensarle tutte e

perfino a contarle come se fossero state dei trofei, ma trofei di

quale caccia, di quale battaglia…. ogni volta che le penso sembra

avvicinarmi all’orlo del mio ricordo più lontano ma è proprio lì

che poi mi fermo, mi rivolto indietro e mi allontano da quei

ricordi quasi temessi che un lungo braccio, venendo dal passato,

mi prenda mi porti oltre quella porta che non sono ancora pronto

ad attraversare ma che vorrei aprire per liberarmi da questi

compulsivi pensieri.

Un giorno, forse vicino forse lontano forse quando la vita si

metterà davanti con il suo conto sarò costretto a fermarmi, a

capire la mia storia e forse a raccontarla prima a me e poi a

qualcun altro. Chissà poi se ci sono storie simili, storie

autentiche che ti accompagnano nel lungo cammino della vita, che

se scritte per diletto o per passione, ti riempiono il cuore di

sospiri e gli occhi di lacrime. Forse scriverò la mia storia,

forse qualcuno la leggerà ma già ora che scrivo, che racconto

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questi miei veloci pensieri, sento la mia penna scorrere più

leggera e un dolce piacere avvolgere il mio animo.

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PUNTATA OTTO di MARTEDI’ 12 FEBBRAIO 2013

Annaviola. Voglio farti capite chi sono. Permetti che vada

indietro negli anni, nei ricordi, indietro: rivedo il volto di mia

madre. Lei era nata nella terra del Sole, piena di grandi fiori

colorati, dove l'aria profumava d'amore. Alla sua nascita, le

anziane del villaggio si erano riunite e le avevano dato nome

Angela del Sol. Portava sempre dei fiori colorati tra i capelli,

mia madre, e sorrideva sempre. Un giorno conobbe mio padre e fu

allora che si spense il suo sorriso, lentamente. Spesso mi

raccontava strane cose, che non potevo capire nei miei pensieri di

bambina. Ricorda tutto Annaviola, ricorda e racconta, mi diceva,

finché un giorno smise di raccontare.

Devo uscire da qua, alla fine. Devo farlo. Poi tornerò con quello

che mi serve per sopravvivere.

L’idea della luce del giorno che, di sicuro, m’investirà,

accecandomi, mi fa sentire meno freddo questo rifugio. Non voglio

ritrovarmi fra la gente, sconosciuta in mezzo a sconosciuti; io

voglio ancora la mia vita, quella in cui ero una protagonista.

Voglio sentirmi qualcuno, come prima, solo perché tutti mi

guardavano, mi ammiravano.

Ecco che, sinuoso, un pensiero, una sensazione, una mano

trasparente scosta la mia presunzione. C’e altro da ascoltare

dentro di me: c’è l’amore di un uomo che mi ha voluto, accettata e

amata per quello che ero realmente. Nuda, tutta e non solo il mio

corpo … e lui mi ha amato così.

Mi sono voltata e ho subito pensato “ma come faccio a raggiungere

le mie amiche?” Le mura spesse e la porta di ferro, chiusa

dall'esterno con un pesante catenaccio, m’impedivano la fuga. Ero

ancora assorta in questi pensieri, che, improvvisamente, ho udito

un rumore di passi. Si avvicinava sempre di più, sempre di più: è

qui dietro la porta, si arresta, il respiro mi si ferma in gola

per un istante che sembra non finire mai. Poi rumore di ferraglia:

è la chiave nella toppa del catenaccio. Ne avevo dimenticato il

suono, l'ultima volta che l'ho sentito è stato quando mi hanno

rinchiuso qui dentro, quanti anni fa, non me lo ricordo più, ma

quante volte ho sperato di risentirlo questo sì me lo ricordo.

Ogni giorno, ogni ora della mia prigionia le mie orecchie

credevano di averlo udito, il mio cuore lo sperava, ma la mia

razionalità m’impediva di crederci. Già…la mia razionalità! Chi

mai darebbe del razionale a una matta? Il cigolare dei cardini di

quella porta per troppo tempo chiusa, mi scuotono, mi ritraggo

impaurita... Ma, no! Non posso crederci!!!

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PUNTATA NOVE di MERCOLEDI’ 13 FEBBRAIO 2013

Vago senza meta. Dove sono? Dove conduce questo corridoio buio e

umido? Ecco le celle delle detenute: mi fermo di fronte ad una

porta, pesante e opprimente, le mie mani tremano, una volontà che

sento esterna a me mi spinge - in fretta fai in fretta, mi ripete

- .Tremano le mie mani, ma di cosa ho paura? Io sono il direttore

e sono sempre stati gli altri a temermi, ad assecondare ogni mio

ordine, tremando. Eccola lì, lei, in fondo alla cella, impaurita,

che quasi vuole scomparire dentro le pareti. Mio Dio: è proprio

lei, la donna che ho amato con tutto me stesso e che volevo

proteggere da ogni male, da ogni dolore? Ma … come l'hanno

ridotta, povero amore mio? Come IO l'ho ridotta, in tutti questi

anni? Mio dio...

"Beh, e allora Direttore?" Che vogliamo fare con la n. 7523? Uff …

Niente. E apri e chiudi e apri e chiudi; tutte le abbiamo fatte le

celle e mi si è pure rovinato lo smalto. Si può sapere che cerca?

Ohiiii, e che stiamo qui immobili tutto il giorno?" "Taci, stupida

guardia!". Nessuno mi aveva mai chiamato stupida. Io sono Serena,

e non sono una stupida. Sono ciò che vogliono che io sia. Sono qui

per volere di mio padre. Sono qui perché nessuno può dire di no a

mio padre. Eppure, cosa credete, che non capisca? Che cosa

credete, che quando scrivo quei fascicoli io non sappia che queste

donne non dovrebbero stare qui? "Che cosa crede, Direttore, che io

non sapessi chi era per lei questa donna? Ma gli ordini li ha dati

lei, Direttore. Nessuna identità, ricorda? Cancellate il loro

passato, ricorda? E sa com'è, la stupida guardia esegue e basta.

Gradite un caffè?"

E' lui non c'è dubbio, è “il direttore”. Mi scrollo dal muro e

piano piano mi avvicino. Non è solo: dietro di lui una strana

donna, capelli nerissimi come gli occhi e unghie lunghe e ricurve

come quelle di un rapace laccate di un rosso volgare. Indossa la

divisa delle guardie, ma come può una donna essere la carceriera

di altre donne innocenti! Com'è cambiato, lui. Il suo sguardo non è

più quello di una volta. L' arroganza con cui guardava il mondo

intero sembra aver lasciato il posto a un’insolita rassegnazione.

Le spalle curve e i capelli ingrigiti e malamente camuffati con

una scialba tintura, danno la sensazione di un uomo che si sta

arrendendo.

Lo guardo, mentre beve il caffè. La bocca è tanto aperta che pare

voglia mangiarsi tutta la tazzina. Ascolto, mio malgrado, la sua

lingua schioccare dopo aver bevuto. Provo un vago senso di

ribrezzo per quella persona, ribrezzo misto a insofferenza per

ogni suo gesto, per ogni sua parola. Ma quello che mi fa andare

fuori di testa sono i suoi convincimenti da misogino. “Adesso ti

Page 15: FEUILLETON NUMERO UNO

faccio una promessa”, penso dentro di me, “questa stupida ti farà

vedere i sorci verdi”. Mi avvicino per riprendere la tazza, lui fa

un passo verso di me, mi lascia quanto ha in mano e fa un altro

passo verso la porta. Eccomi! Allungo leggermente il mio piede

davanti al suo e … oplà! “Attento, Direttore!” gli sibilo in un

orecchio, riprendendolo per un braccio, prima che plani sul

pavimento, “Se fa così potrebbe farsi male!”. Il mio tono è quanto

mai mellifluo. Lui mi guarda e fa cenno di dirmi qualche cosa, poi

ci ripensa, borbotta e si allontana. Ho capito che ha visto quella

donna appoggiata al muro, prima, in corridoio. Il suo allontanarsi

senza darmi spiegazione è un chiaro invito a farmi i fatti miei.

Mentre sorrido ripongo tazza e piattino nel lavello. La stupida è

qui, Direttore. A noi due.

Page 16: FEUILLETON NUMERO UNO

PUNTATA DIECI di GIOVEDI’ 14 FEBBRAIO 2013

“Serenaaaaaaaaaaa, Serenaaaaaaaaaaaa, è ora di cena,

Serenaaaaaaaaaaaaaaa”. Lo detestavo quel tono di voce,

gracchiante, di mia madre che mi chiamava dal balcone e già mi

sembrava di sentire il seguito, detto a bassa voce, sussurrato,

“Poi lo senti tu tuo padre”. Come potrei non sentirlo. Hai idea di

che tono usi abitualmente? Si che l’hai e piuttosto chiara. Odio

la retorica, le metafore e le frasi idiomatiche. Odio la menzogna

travestita da belle parole. Odio mia madre che mi chiama dal

balcone e odio ‘sentire’ mio padre. Lo sento, lo sento. Lo sento

così bene che mi sanguinano le orecchie per il disgusto.

Ho deciso. Me ne vado. Non salgo a casa per cena, non ho voglia.

Adesso giro le spalle e cammino.

Ho camminato a lungo. Ero ancora una bambina, allora, ma ho

camminato fino a non sentirmi più i piedi. Improvvisamente è

calata la notte. Ho avuto paura. Ricordo poco di quella notte.

Tutto è nebuloso, ogni ricordo filtrato da una coltre spessa di

angoscia e tentativi di oblio. Ricordo di aver lottato, ricordo di

essermi arresa, dimentico cosa c’è in mezzo. Ricordo, però, il

freddo e il risveglio sull’erba bagnata il mattino seguente. Due

occhietti furbi mi fissavano dall’alto, attaccati a una capocchia

a spillo. Il tocco delle sue dita ossute mi riscosse e segnò

l’inizio della mia nuova vita.

Franz fece le valigie un giorno di ottobre di non ricordo più che

anno. La giornata era fredda di un freddo pungente e dispettoso.

Ricordo che, nonostante indossassi i guanti, avevo le punte delle

dita gelate. La situazione non era più tollerabile. Troppi rischi

da correre, aveva deciso di cambiare aria per un po’. All’inizio

riuscivamo a sentirci quotidianamente, ma, col trascorrere dei

mesi, la faccenda qui si complicò e dovemmo ridurre al massimo i

nostri contatti. Finimmo per perderci definitivamente. La candela,

l’ultima, si sta consumando troppo velocemente. Abbandonata da

parecchi giorni al mio destino, temo per la mia incolumità.

Domattina proverò a fare un giro nel bosco, cercare cibo. Non

posso scoprirmi né chiedere aiuto perché di questi tempi nessuno

sa di chi fidarsi; tantomeno io. Devo rimanere nascosta e

stringere i denti. Si sta spegnendo. Mi avvolgo nella coperta e

provo a resuscitare i bei vecchi ricordi. La solitudine mi sta

ferendo a tal punto che non ricordo più i volti di coloro che ho

amato.

Page 17: FEUILLETON NUMERO UNO

PUNTATA UNDICI di VENERDI’ 15 FEBBRAIO 2013

“Luce, sei calda. Tu hai la febbre”. “Oh, no, mamma, sto bene.

Voglio continuare a viaggiare”. L’amore è paziente, è generoso,

non si adira, l’amore, recitava la mamma mentre cercava di farmi

addormentare sul suo grembo. Il treno sferragliava e sobbalzava.

Ero troppo divertita dall’avventura per dormire o temere la

febbre. Oltretutto la febbre per una bambina è una benedizione. La

mamma mi coccolava, quando ero malata, a tal punto che io stessa

mi sentivo quasi in debito con lei. La colazione a letto, il

permesso di mangiare due dessert, le favole raccontate senza

sosta, quel nostro massaggino segreto sotto la pianta dei piedi,

tutto contribuiva a farmi prender la febbre come una vacanza al

paese di Bengodi.

Al Palazzo di Indabot danno un ballo venerdì prossimo, voglio

andarci, pensavo. Franz mi fissava con l’aria cupa, le mani sul

petto, la testa chissà dove. I suoi capelli erano di una bellezza

imbarazzante, neri, lucidi, lunghi, si spargevano sulle lenzuola

come fili di seta preziosissima e la sua pelle, scura, morbida,

lucida mi faceva perdere l’orientamento. Per Franz io perdevo

letteralmente la bussola. Non sapevo più in che direzione andare,

dimenticavo spazio e tempo. Che fosse amore? Mi facevo moltissime

domande, allora. Accadeva soprattutto quando l’insonnia mi

tormentava per notti nelle quali lo fissavo, addormentato come un

angioletto, respirare leggero.

“Io Franz l’ho amato, credo, Annaviola, ma adesso è tutto così

vago, confuso. "Ho bisogno di dormire”.

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PUNTATA DODICI di SABATO 16 FEBBRAIO 2013

Si, quel viaggio in treno me lo ricordo come se fosse ieri. Mia

madre che mi coccolava. Dormi Luce, dormi e fai bei sogni. Non lo

so se i sogni erano belli. Raramente li ricordavo. Preferivo

sognare ad occhi aperti. Immaginavo un mondo fantastico, un mondo

pieno d'amore, pieno di persone allegre, pieno di vita. Mia madre

era spesso triste. Lei cercava di nasconderlo ma io vedevo la sua

tristezza nei suoi occhi. Non gliel'ho mai detto, in cuor mio

sapevo che si sarebbe rattristata ancora di più. Cercavo di farla

ridere. Facevo un sacco di smorfie,

Franz, ancora me lo ricordo, sai quegli amori che ti restano

dentro, accovacciati in un angolo del tuo cuore. La cosa buffa è

che quel mascalzone, mi è tornato alla mente grazie ad Annaviola,

anche lei ha destinato un pezzo del suo cuore a lui. Com'è strana

la vita a volte! Ma adesso non c'è tempo per rimuginare il

passato, devo prendere la decisione più importante della mia vita;

ancora sento la frase del direttore, quell'essere viscido che mi

dà della stupida, intanto non si è accorto che gli ho sfilato per

la seconda volta le chiavi.

La prima volta fu più complicato, il porco si era addormentato nel

suo ufficio, dove ero entrata convinta che non ci fosse nessuno.

le chiavi erano poggiate sulla scrivania. fui lesta a sfilare

quella più piccola, la chiave dorata degli archivi, e ancora più

lesta a rimetterla a posto dopo averne fatto la copia che

consegnai ad Annaviola.

Le brillavano gli occhi quando gliele misi nelle mani e ora lei ha

di nuovo bisogno di me, perchè le prigioniere hanno bisogno di

noi. Dobbiamo riaffermare la libertà, il pensare, il sognare,

l'essere donna ma anche madre, figlia, moglie, lavoratrice.

Dobbiamo liberarle, liberare loro desideri: non possiamo lasciare

che tutto precipiti, che l'odio, la violenza e l'ignoranza

prendano il sopravvento definitivamente. Allora sì, caro signor

direttore vedremo chi è la stupida!

Annaviola, penso, sbrigati! Tutte ti stiamo aspettando. Devo

consegnarti la chiave della libertà.

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PUNTATE TREDICI E QUATTORDICI di DOMENICA e LUNEDI’ 18/19 FEBBRAIO

2013

Vago per le strade della città. Certo, si chiederanno dove sono,

ma non saprei rispondere. Non lo so. So solo che sono viva, e

questo mi basta. Fino ad oggi non mi sentivo viva. Respiravo e

basta, per il resto non esistevo. Ora sono viva e voglio vivere.

Voglio gridare, voglio amare, voglio comunicare ciò che sento,

voglio scoprire, voglio provare, voglio odiare, voglio correre,

voglio nuotare, voglio volare, voglio vivere. Sono viva, ma loro

non lo sanno.

A passo lento mi dirigo verso la porta , mi ritrovo accanto a lui,

ne sento l'odore, gli passo accanto. La sua mano all'improvviso

sfiora la mia, un brivido risveglia il mio corpo: non so se sia

piacere o paura. Non provavo queste sensazioni da millenni. Cosa

vorrà da me il direttore, cosa vuole quest'uomo da una donna che

lui stesso ha distrutto nel fisico e nei sentimenti e perchè,

nonostante tutto quello che mi ha fatto, il mio cuore ha ripreso a

battere? Sono passati non so quanti anni da quando mi ha sfiorato

l'ultima volta. Ricordo ancora la sua pelle calda sulla mia, la

sua bocca contro la mia. L'amavo sì, l'amavo alla follia, per lui

avrei fatto tutto o quasi tutto perchè mai avrei rinunciato alle

mie idee.

-Non dovresti andare in giro da sola, a quest’ora.-

-Eh?- E perchè no, pensai senza osare dirlo ad alta voce. Lui era

un omone sulla cinquantina, capelli brizzolati, basette larghe;

indossava un cappotto scuro che non riusciva a coprire una pancia

prepotente. Sembrava fosse alto almeno due metri.

Mi venne in mente d’improvviso quella volta in cui avevo la febbre

molto alta e la mamma aveva chiamato un medico nuovo.

– Questo è molto bravo, mi ha detto la zia, è nuovo in paese,

viene dalla città e sembra che abbia studiato anche in America -.

Arrivò nel primo pomeriggio, il Dottor Argei, si presentò

impettito e rigoroso e chiese a mamma e papà di lasciarci soli.

Loro, ovviamente, obbedirono senza fare una ruga. Io mi sentivo

piuttosto a disagio. Avevo tirato le coperte fin su la fronte e

sbirciavo, di tanto in tanto, le mosse del nuovo personaggio.

- Mi dicono, esordì, che sei molto silenziosa -. Seguì,

naturalmente, un lunghissimo silenzio, che non provocò al Dottor

Argei nessuna perdita di equilibrio.

- Vedere il mondo con i propri occhi è un diritto di tutti -,

disse e si mise a sedere accanto al mio letto.

E in tutti questi anni mi sono chiesta più volte il perché di

quell'amore. Su quali fondamenta avevo costruito quel sentimento?

Poteva essere il suo sorriso, quella luce del suo sguardo che si

Page 20: FEUILLETON NUMERO UNO

era accesa solo una volta e che mi aveva conquistata. Non l’avrei

mai più rivista, nessuno l’avrebbe vista nuovamente. E poi? Che

altro? Mille altre volte, nei momenti più bui della nostra

relazione, mi ero chiesta cosa diavolo avesse quell'uomo per

tenermi incatenata a sé. La risposta non venne mai trovata.

Vergognandomi della mia incapacità, del mio fallimento

sentimentale, avevo nascosto a me stessa quelle domande. Dopo un

po' di tempo, quando quelle, inevitabilmente, si riaffacciavano

alla coscienza, le ignoravo come polvere sotto un tappeto. Eppure

quei sedimenti di materia d'amore, affastellati in fondo al punto

più buio del cuore, ogni tanto, come in quel momento, si

muovevano, agitati da chissà quale mano. Sbattevano fra sé e

contro le pareti del cuore, provocando una colica di sentimento …

e ancora non trovavo la medicina per guarire.

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PUNTATE QUINDICI E SEDICI di MERCOLEDI’ e GIOVEDI’ 20/21 FEBBRAIO

2013

Da bambina avrei voluto essere un pesce, perché nell’acqua non si

sente dolore, immaginavo. Ogni cosa necessita del suo tempo: le

ferite per guarire, le malattie per fare il proprio decorso. Da

bambina l’unico posto in cui non sentivo dolore era l’acqua.

Voglio scrivere la storia della bambina divenuta pesce, pesce

felice. Il lago sereno di settembre per tuffarsi e mettere la

testa sotto, tutta la testa. Fossi stata un pesce davvero non

avrei avuto necessità di tirarla fuori.

Finalmente trovo il coraggio di varcare quella porta , lasciarmi

alle spalle anni e anni di solitudine e abbandono, lui ha lo

sguardo basso quando lo oltrepasso, sa il male che mi ha fatto, lo

leggo in ogni cellula del suo corpo, ma ora come ora non me ne

importa nulla. Guardo con disprezzo anche quella donnina in

uniforme che gli sta accanto e mi incammino sempre più velocemente

verso la luce della libertà, verso quel gruppo di donne che con la

loro voce ha risvegliato la mia volontà intorpidita. Le sento

ancora, sento Annaviola pronunciare il mio nome ad alta voce,

urlare: "Rossellaaaaaaa vieniiiiii”. Sento il caldo del sole

entrare in me, sciogliere le mie membra, corro...corro...continuo

a correre.

Corro perché l'amore non può incatenare: un giorno t'innamori

inseguendo un sogno di libertà e poi ti ritrovi a fare i conti con

i compromessi illusori di quello che inconsapevolmente hai

barattato in nome di un Amore. Ora corro, voglio scrollarmi di

dosso la polvere accumulata, far uscire la luce sopita dentro me,

non inseguirmi ti prego o abbraccia il mio mondo una volta per

tutte. E' lì che mi trovi, sfogliami, spogliami ma non nascondermi

d'abitudini grigie.

- Vedere il mondo con i propri occhi è un diritto di tutti -,

disse e si mise a sedere accanto al mio letto. Io abbassai solo un

po’ la coperta, scoprendo l’occhio sinistro. Lui mi fissava,

immobile, quieto. Era giovane per essere un dottore. Di tanto in

tanto arrivavano i bisbigli sommessi di mamma e papà, acquattati,

di certo a spiare, dietro la porta. I lunghi capelli biondi si

adagiavano su un paio di spalle forti e larghe. Gli occhi neri di

carbone mi fissavano senza lasciar trapelare giudizio o

commozione. Aprì la piccola borsa di pelle marrone e ne estrasse

l’immancabile stetoscopio. Mi coprì, fulmine, fin sopra la testa.

Lui scoppiò in una risata anomala e travolgente. Quasi soffocava.

Visto che non accennava a smettere dopo un po’ mi lasciai

travolgere e cominciai a ridere fragorosamente anche io. Ero

debole per la febbre e mi sentivo come ubriaca, il letto

Page 22: FEUILLETON NUMERO UNO

ondeggiava su un mare misterioso, eppure sentivo come se mi si

fosse ‘stappato’ il cuore.

Page 23: FEUILLETON NUMERO UNO

PUNTATA DICIASSETTE di VENERDI’ 22 FEBBRAIO 2013

Non ci posso credere: sono crollate tutte le mie certezze, le mie

convinzioni. Per tutta la vita mi sono lasciata vivere, guidata

dai desideri altrui secondo i quali ho sempre determinato le mie

scelte, in fondo, solo così si spiega perché sino a oggi io abbia

lavorato come carceriera, per giunta, di altre donne.

Mio padre, negli ultimi tempi non tollerava che io usassi il

termine carceriera per descrivere il mio lavoro, il termine gli

dava fastidio, - sei un'agente! - mi ripeteva - e devi esserne

fiera -. Da qualche parte ho sentito dire che le parole sono

importanti, ci si può giocare, ma mai e poi mai possono essere

usate per ingannare qualcuno, figurarsi noi stessi,

quindi carceriera sono stata e forse sempre tale mi sentirò, anche

adesso che ho oltrepassato quella grande porta di ferro.

Chi non ha mai visitato un carcere, non conosce il senso

claustrofobico provocato dalla chiusura di una porta alle tue

spalle: rimani sospeso in una sorta di limbo dove, fino a quando

quella porta dietro di te non si è definitivamente chiusa, quella

che hai davanti non si apre. E’ così che ti ritrovi a pensare che,

se in quell'attimo preciso, in cui sei tra queste due porte

capitasse qualcosa, qualunque cosa, rimarresti incastrato lì,

senza poter entrare né uscire;

ma nonostante un simile pensiero, ora che mi ritrovo rinchiusa tra

quattro mura, prigioniera tra le prigioniere, mentre mi domando

come abbia fatto il direttore a scoprirmi, per la prima volta mi

sento libera e con la voglia determinata di rinnegare quello che

sono stata e porvi rimedio.

Poi penso ad Annaviola, penso che per fortuna ha mancato

l'appuntamento, che non so dove sia. Mi è così di conforto, però,

saperla fuori di qui.

Page 24: FEUILLETON NUMERO UNO

PUNTATE DICIOTTO E DICIANNOVE di SABATO e DOMENICA 23/24 FEBBRAIO

2013

Carissima Luce, dopo molto tempo mi decido a scriverti. Sapessi

quante volte ci ho pensato e quante pagine scritte e poi

strappate. Sapessi quanti slanci e quanti pentimenti.

Giustificazioni non ce ne sono. Sarebbe facile scaricare ogni

responsabilità e dire che son stati loro, che eravamo

terrorizzati, che rischiavamo di perdere tutto, no, non lo farò,

non voglio farlo. Io sono responsabile di questa barbarie perché

ne sono stato complice, non l'ho rifiutata Il tempo non guarirà

questa ferita. L'omissione è ancora più colpevole dell'azione e

entrambi lo sappiamo. Oh, se sapessi quanto mi sei mancata e

quanta vergogna ho provato'.

La candela si spegne. Son troppo stanca. Voglio dimenticare.

La luce fioca scrive forme veloci sulle pareti. Chiudo gli occhi e

penso a chi ha reso impossibile la nostra vita, a chi ci ha

portato al punto di allontanarci una dall'altra. Uomini che

abbiamo lasciato decidere del notro destino. Perchè, poi! Uomini

senza spina dorsale non dovrebbero avere poteri..Uomini che

avevano bisogno di un Dio sopra di loro e a noi hanno lasciato il

diavolo. Perchè la loro capacità di decidere dipende solo da

qualcuno più in alto che dà ordini e detta codici e fornisce norme

da seguire. Perchè ho lasciato che le loro orme coprissero le mie?

Chi può sapere perchè le nostre vite sono state loro vittime. Chi

può dire quali occasioni, quali ragioni, quali perverse azioni

portano a perdere il controllo della propria esistenza. Come

spiegare il solco che lasciano le gocce della peggior vita, quelle

che piangi fino a non averne più, quelle che finiscono la tua

forza di vivere e la riducono a strisciare senza aspettare altro

che la fine. Niente e nessuno ha più importanza, niente e nessuno

vale lo sforzo di vivere. Perchè ho lasciato che facessero scempio

della mia vita fino a questo punto? Il buio e la stanchezza non

riescono a farmi dimenticare.

Ci saranno giorni migliori, mi dicevo, cercando una via di fuga,

almeno mentale, all’orrore reso quotidiano dalla naturalezza con

la quale ce lo somministravano. Ho chiuso gli occhi, poi,

decidendo di dimenticare, per sempre. Non avrei mai più ricordato

chi ero, da dove venivo, avrei anestetizzato ogni angolo del mio

cuore e della mia mente, per sopravvivere. Questa che mi rimane,

adesso, non è più vita: è il barlume di un essere che ha rinnegato

la sua essenza per vendersi al migliore offerente. No, non ci sono

giustificazioni e questo pentimento tardivo è inutile e mortale.

Page 25: FEUILLETON NUMERO UNO

PUNTATA VENTI di LUNEDI’ 25 FEBBRAIO 2013

Oggi c'è il sole. Mi fa stare bene, m'illumina, mi nutre. Chissà

oggi come andrà la terapia di gruppo. Dai Luce inizia tu. Mi

faranno iniziare come sempre. All'inizio non ho mai niente da

dire. Qui le giornate sembrano sempre uguali. Poi inizio a

ricordare il mio passato e puntualmente racconto qualcosa della

mia vita. La settimana scorsa ho raccontato di quando da bambina

vidi mia madre aprire la dispensa, prendere un fiasco di vino e

berne un pò. Ero nascosta dietro una poltrona. Giocavo sempre a

nascondermi. Lei mi ha visto. E' sobbalzata, sorpresa. Ha chiuso

la dispensa, ha fatto finta di niente. Ma non era un niente, è un

qualcosa che mi porto dietro da quel giorno, è un qualcosa che ha

segnato la mia vita.

A volte aveva pensato che sarebbe andata via. Via dal paese,

troppo piccolo e stanco. Via dalla casa dei genitori sempre

intenti a discutere e a ferirsi. Lo aveva pensato spesso a dire il

vero. Facendo pendere le gambe dal tavolo di legno scuro sfogliava

qualche rivista della madre o della nonna. Sarebbe saltata giù e

avrebbe preso la via per la stazione ferroviaria senza più

voltarsi. E così fu, d’improvviso. Lasciò cadere ogni

attaccamento, ogni paura, aprì le porte alla libertà più assoluta

e volò.

Sì, direi che biondi vanno bene. Forse sarò riconoscibile per

"lui", ma non mi troverà. Ciò che ho fatto non me lo perdonerà

mai, ma non sa che posso fare anche di peggio. Aprire un archivio?

Mostrare quelle carte ad Annaviola? Ah, è niente rispetto a ciò

che lo attende. Ormai non mi importa più di farlo felice, perchè

Serena non è più "serena". Basta chinare la testa, basta fingere,

anche davanti a "lui", davanti a mio padre... Adesso un po' di

rossetto e... ci siamo Presidente, la resa dei conti è vicina!

Adriana Bracchitta

Giacoma Carfì

Lolita Coli con l’opera "Jonathan"

Luna Comanducci

Roberta Guerrera

Anna Maria Laccertosa

Carmen La Perla

Valentina Loche

Melissa Marani

Anna Paumgardhen

Cristina Pivirotto

Page 26: FEUILLETON NUMERO UNO

Silvia Pusceddu

Sonia Sabbatini

Patrizia Zaratti