Filosofia Milano (Statale)

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per aggiungere qualche tassello alla panoramica:: Milano, Statale

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  • RIVISTA DI FILOSOFIA / vol. XCI, n. 1, aprile 2000

    MASSIMO FERRARI

    La filosofia allUniversit Statalee la cultura milanese

    1. Leredit di Martinetti

    Per essersi rifiutato di giurare fedelt al regime fasci-sta, il 1 gennaio 1932 Piero Martinetti, professore di fi-losofia teoretica allUniversit Statale di Milano, venivaforzatamente collocato a riposo per motivi di salute.Ho sempre considerato scriveva Martinetti nel di-cembre del 1931 al Ministro dellEducazione nazionaleBalbino Giuliano che la sola luce, la sola direzione edanche il solo conforto che luomo pu avere nella vita la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi al-tra considerazione, per quanto elevata essa sia, un sa-crilegio. Ora col giuramento che mi richiesto io ver-rei a smentire queste mie convinzioni, a smentire conesse tutta la mia vita1. Piuttosto di compiere un similesacrilegio Martinetti decise di tornare nella sua terra,a Castellamonte, dove visse in un solitario ritiro medi-tativo durato sino alla morte nel 19432. In quegli anni,in polemica con un mondo che sentiva non suo, preferi-va essere definito un agricoltore anzich un filoso-fo, nonostante continuasse il mestiere che sempre avevasvolto e organizzasse dietro le quinte il lavoro della Rivi-sta di filosofia, ormai gravitante pi su Torino che su

    1 Lettere di Piero Martinetti, a cura di I. Raboni, Il Ponte, VII,1951, p. 343.

    2 Sugli anni del ritiro meditativo cfr. A. Vigorelli, Piero Martinetti.La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori,1998, pp. 285-384.

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    Milano e aperta alla collaborazione di una nuova gene-razione filosofica (da Norberto Bobbio a Ludovico Gey-monat)3.

    Il gesto di Martinetti rappresent uneccezione nel-lambiente accademico italiano. Tra i pochi capaci ditanta coerenza vi fu Giuseppe Antonio Borgese, che nel1925 era passato dalla cattedra di Lingua e letteraturatedesca a quella di Estetica nella neonata Facolt diLettere e Filosofia dellUniversit Statale (risale al 1924la trasformazione della Regia accademia scientifico-let-teraria milanese in universit). Il passaggio di Borgeseallinsegnamento di estetica era stato appoggiato proprioda Martinetti, al quale Borgese si sentiva legato da affi-nit intellettuali assai marcate dopo i suoi giovanili tra-scorsi crociani e fiorentini; ma il rifiuto di giurare fe-delt al fascismo aggiungeva ora un elemento di ulterio-re vicinanza, anche se diverse furono le modalit concui Martinetti e Borgese si opposero alla tracotanza delregime4. Nel caso di Martinetti vi era del resto un pre-cedente illustre: sotto la sua presidenza si era svolto aMilano (nel marzo 1926) il burrascoso VI Congresso na-zionale di filosofia, sciolto dautorit dal prefetto dopoche la presenza e gli interventi di personalit poco gra-dite ai cattolici e al regime (da Benedetto Croce aFrancesco De Sarlo, da Giuseppe Rensi allo scomuni-cato Ernesto Buonaiuti) avevano suscitato le protestedi Armando Carlini, preoccupato che unassise filosofi-ca diventasse la tribuna da cui prendere posizione con-tro il fascismo. Levento suscit molti clamori e Marti-netti (di cui Giovanni Gentile disse con somma finezzache il presente movimento politico italiano gli avevarotto lalto sonno nella testa) usc dallintera vicenda

    3 Cfr. N. Bobbio, Piero Martinetti, in Italia civile. Ritratti e testimo-nianze, Manduria-Bari-Perugia, Lacaita, 1964, pp. 106-08.

    4 Per queste vicende si rinvia ai documenti resi noti da E.I. Rambaldi,Eventi della Facolt di Lettere di Milano negli anni del trapasso dallAccade-mia allUniversit, Rivista di storia della filosofia, LII, 1997, pp. 517-62,in particolare pp. 518-24, 545-54.

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    con una patina di nobilt che ne ha comprensibilmenteingigantito la figura5.

    Tanto in occasione del congresso milanese quanto,pi tardi, in quella del rifiuto di prestare giuramento alregime, Martinetti si era mostrato fedele al rigorismomorale e alla tonalit metafisico-religiosa (ma di una re-ligiosit non confessionale) che costituiva il centro digravit del suo pensiero. Molti anni prima, salendo nelnovembre 1906 alla cattedra di Filosofia teoretica del-lAccademia scientifico-letteraria di Milano, Martinettiaveva sottolineato come la filosofia traesse la sua auten-tica motivazione da un bisogno religioso, da unansiache sale dallanima nella ricerca incessante dellunionecon il Tutto; e da questo punto di vista la vita spiri-tuale, nella molteplicit delle sue forme, solo un pro-cesso graduale di espansione, di liberazione, di potenzia-mento dello spirito verso forme sempre pi elevate,verso lunit ultima che le trascende6. A questa prospet-tiva, e al presentimento imperioso della sfera religiosache si apre alluomo al di l della vita spirituale nellesue manifestazioni storiche7, Martinetti si sarebbe sem-pre mantenuto fedele. Sar questa la base della sua de-cisa opposizione allidealismo immanentistico di Croce eGentile; e sar questa la base della sua interpretazionedi Kant, sostenuta da una vasta conoscenza della lettera-tura critica e documentata dai corsi tenuti dal 1924 al1927, raccolti in un volume al quale Martinetti lavornel periodo conclusivo della sua vita8.

    Ma tra gli ultimi anni dellinsegnamento universitarioe linizio del ritiro a Castellamonte, Martinetti aveva an-che dato alle stampe due opere impegnative. Nello stu-

    5 Sugli echi del congresso cfr. i materiali raccolti da B. Riva, La stampa edil Congresso del 1926, Rivista di storia della filosofia, LI, 1996, pp. 357-80.

    6 P. Martinetti, La funzione religiosa della filosofia, Rivista filosofica,IX, 1907, pp. 3-35, poi in Saggi e discorsi, Torino, Paravia, 1926, pp. 5-29.

    7 Cfr. P. Martinetti, Il regno dello spirito, Rinnovamento, II, 1908,fasc. 5-6, pp. 209-28, poi in Saggi e discorsi, cit., pp. 31-49.

    8 Cfr. P. Martinetti, Kant, Milano, Bocca, 1943, 3a ed., con prefazionedi M. Dal Pra, Milano, Feltrinelli, 1974.

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    dio sulla Libert del 1928, dove fittissimo il confrontonon solo con Kant ma pure con Spinoza, la libert veni-va intesa come unascensione, come un processo digraduale liberazione dal piano empirico al piano intel-ligibile; e pi tardi, in Ges Cristo e il Cristianesimo del1934 (il libro ebbe vita difficile e fu subito sequestrato),la polemica con la paganizzazione e degenerazione delcristianesimo trovava il suo punto di forza nuovamentein Kant, nellidea di una riforma religiosa che elabora-va filosoficamente il tema della chiesa invisibile comela vera chiesa di tutti gli spiriti9. Nonostante il suoapparente distacco dal mondo, il pensiero di Martinettirivestiva cos un significato ben preciso negli anni in cuila dittatura mussoliniana da un lato e il Concordato dal-laltro gettavano ombre fosche sulla societ italiana.

    Per questo, e per la vasta cultura filosofica che locaratterizzava, Martinetti era di gran lunga la figura piprestigiosa tra i filosofi delluniversit milanese. Dei suoicolleghi, oltre a Borgese, si pu ricordare GiuseppeZuccante, che insegnava Storia della filosofia dal 1895ed era ben noto soprattutto per i suoi studi su Socra-te10. Zuccante mor nel 1932 (al suo posto verr chiama-to Antonio Banfi) e nello stesso anno, sulla cattedra la-sciata vuota da Martinetti, saliva Adelchi Baratono (chevi rester sino al 37, quando si trasferir a Genova permotivi di salute). Baratono aveva preso parte alle discus-sioni italiane sulletica kantiana, sul socialismo, sul rap-porto tra Kant e Marx avviate da Alfredo Poggi e anco-ra presenti sulle ultime annate della Critica socialeprima della fine della libert di stampa11. Ma gli studi

    9 Cfr. P. Martinetti, La libert, Milano, Libreria Editrice Lombarda, 1928,2a ed., a cura di G. Zanga, Torino, Boringhieri, 1965, pp. 434-35 e Ges Cri-sto e il Cristianesimo, Milano, Edizioni della Rivista di filosofia, 1934, 2aed., a cura di G. Zanga, Milano, Il Saggiatore, 1972, vol. II, pp. 111, 273.

    10 Cfr. L. Malusa, La storiografia filosofica italiana nella seconda metdellOttocento, vol. I: Tra positivismo e neokantismo, Milano, Marzorati,1977, pp. 652-59.

    11 Alcune notizie in proposito si trovano in P. Di Giovanni, Kant edHegel in Italia. Alle origini del neoidealismo, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp.153-67. Come membro della Direzione del Partito socialista italiano Barato-

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    del periodo trascorso a Milano riguardavano soprattuttolestetica; e risale al 1934 il libro forse pi importante diBaratono, in cui la Critica del giudizio kantiana venivainterpretata, anche ricollegandosi allempirismo inglese,come una sorta di apologia del sensibile: interpretazioneche non sar priva di influenza sullestetica fenomenolo-gica affermatasi in seguito nellambiente milanese12.

    Al posto di Baratono, nel 1937 veniva chiamato unallievo di Martinetti, Giovanni Emanuele Bari, che ave-va gi tenuto un corso libero nel 1930-1931 e che nel1932 aveva supplito Martinetti. A differenza di Marti-netti, Bari era un sostenitore del fascismo, al punto chedopo il 45 fu sottoposto al procedimento di epurazione;riottenuta la cattedra insegn alla Statale sino al 1956,quando si tolse la vita. Da Martinetti, e dalla sua inter-pretazione metafisico-religiosa di Kant, chiaramente in-fluenzata la monografia pubblicata nel 1929, che pure siconcludeva con una lunga sezione dedicata al-limpossibilit di stare nei limiti del criticismo kantia-no13. Ma questa impossibilit porter Bari lontanoanche da Martinetti, lungo una direzione che da Leibnizconduce allidealismo immanentistico di Hegel e di Gen-tile, la cui potenza gli sembrer decisiva per impostareil problema dellassolutezza dellessere. Tale problemapu essere risolto nel lessico poco accattivante di Bari sulla base dellesperienza come coscienza dellessere,ancorata nellio trascendentale come pensiero (cio comepensarsi-pensare) che a sua volta coincide con lessere14.

    no aveva anche partecipato al Congesso di Livorno del 1921, presentandoinsieme a Serrati la mozione massimalista che provoc la scissione e laconseguente fondazione del Partito comunista.

    12 A. Baratono, Il mondo sensibile. Introduzione allestetica, Messina-Milano, Principato, 1934. Cfr. in proposito D. Formaggio, Filosofi dellartedel Novecento, Milano, Guerini e Associati, 1996, pp. 137-53 e P. DAnge-lo, Lestetica italiana del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 150-57.

    13 Cfr. G.E. Bari, Oltre la Critica, Milano, Libreria Editrice Lombar-da, 1929. Sul debito con Martinetti cfr. M. Dal Pra, Giovanni EmanueleBari, Acme, IX, 1956, pp. 1-3.

    14 G.E. Bari, LIo trascendentale, Milano-Messina, Principato, 1948, p.8. Il testamento filosofico di Bari consegnato al volume Il concetto tra-

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    Tuttavia leredit di Martinetti non era consegnatasolo alla voluminosa produzione di Bari. La sua in-fluenza fu significativa soprattutto in due altre direzioni:da un lato sulla formazione di Banfi (laureatosi conMartinetti nel 1910); dallaltro su studiosi che poi nonseguirono la via della filosofia, come la germanista Lavi-nia Mazzucchetti e gli scrittori Guido Piovene e CarloEmilio Gadda, autore nel 1928 di un saggio filosoficorimasto inedito che segna lo spartiacque tra gli studi difilosofia con Martinetti (con il quale, nel 1925, avevainizialmente intenzione di laurearsi su Leibniz) e la vo-cazione letteraria15. Molti di questi allievi conserverannoun buon ricordo delle lezioni di Martinetti, tenute alleprime ore del mattino e, via via che la situazione politi-ca si faceva pi plumbea, immerse in unatmosfera vaga-mente cospiratoria (dopo il congresso del 1926 Marti-netti si presentava in aula con una pistola in tasca). certamente vero che il martinettismo, inteso come at-teggiamento morale, austerit e rigore, nonch come fer-ma avversione al fascismo stato soprattutto un feno-meno torinese, associato allultima parte della vita diMartinetti e particolarmente influente su intellettualicome Arturo Carlo Jemolo, Gioele Solari, LudovicoGeymonat, Norberto Bobbio, Erminio Juvalta, AugustoDel Noce16. Tuttavia linsegnamento universitario diMartinetti e le sue lezioni che spaziavano da Kant a He-gel, da Schopenhauer a Fichte, da Spinoza alla filosofiaindiana, dalla metafisica alla filosofia della religione,hanno rappresentato un capitolo importante anche perla cultura filosofica milanese17.

    scendentale, Milano, Veronelli, 1957, dove lessere definito come una in-definita molteplicit di essenti (io trascendentali) (pp. 135-40).

    15 Cfr. C.E. Gadda, Meditazione milanese, a cura di G.C. Roscioni,Torino, Einaudi, 1974.

    16 Cfr. N. Bobbio, Martinettismo torinese, in Piero Martinetti a cin-quantanni della morte, fascicolo speciale della Rivista di filosofia,LXXXIV, 1993, pp. 329-39.

    17 Lelenco completo dei corsi e delle conferenze di Martinetti ripro-dotto in Piero Martinetti a cinquantanni della morte, cit., pp. 365-69.

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    Tra coloro che si formarono a Milano negli anni 20,oltre a un martinettiano fedelissimo come Cesare Go-retti e a un futuro seguace del crocianesimo come Vitto-rio Enzo Alfieri, un posto di rilievo spetta soprattutto aEugenio Colorni, laureatosi sotto la guida di Martinettinel 1930 con una tesi su Leibniz e morto nella Resistenzanel maggio 1944. Il breve percorso di Colorni indicati-vo di come lorientamento anti-idealistico di Martinetti, lasua lezione (anche sul piano morale) e la sua cultura lon-tana dai provincialismi dellItalietta fascista potesserogenerare esperienze intellettuali innovative. Lo testimoniabene linterpretazione che Colorni proponeva di Leibniz,in polemica con la problematica della spiritualit delles-sere che Bari, ad uso esclusivo della sua filosofia,cercava di ricavare dai testi leibniziani18, e ricollegandosiinvece agli studi dinizio secolo, da Bertrand Russell aLouis Couturat a Ernst Cassirer; ma lo testimonia ancormeglio il successivo interesse per Kant e per lepistemolo-gia contemporanea (o per autori come Percy W. Bridg-man e Hans Reichenbach), che porter Colorni pocoprima della morte a progettare con lappoggio di Banfiuna rivista di metodologia scientifica19. Tuttavia Anali-si (questo il titolo che assumer la rivista) uscir soloa guerra finita, nella Milano delleuforico dopoguerra chevedr affacciarsi sulla scena nuove idee e nuovi protago-nisti, ormai lontani dalleredit di Martinetti.

    2. Antonio Banfi e la sua scuola

    Lanno successivo allabbandono da parte di Marti-netti della cattedra universitaria, Banfi che gi nel1930/1931 aveva supplito Borgese a estetica venivachiamato alla Statale per insegnarvi Storia della filosofia

    18 Cfr. la recensione del volume di O. Bari, La spiritualit dellessere eLeibniz, Padova, Cedam, 1933, apparsa con il titolo Leibniz e una sua recenteinterpretazione, La Cultura, XIV, 1935, pp. 9-12 e raccolta poi nel volumedegli Scritti, introd. di N. Bobbio, Firenze, La Nuova Italia, 1975, pp. 155-62.

    19 Cfr. E. Colorni, Scritti, cit., pp. 239-43.

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    sul posto lasciato libero dalla morte di Zuccante. Laurea-tosi in lettere nel 1908 e in filosofia nel gennaio 1910con Martinetti discutendo una tesi sulla filosofia di mi-le Boutroux, Charles Renouvier e Henri Bergson, Banfiaveva poi compiuto un breve soggiorno a Berlino, doveera entratto in contatto con Georg Simmel e aveva ini-ziato a studiare testi importanti che il neoidealismo diCroce e Gentile non considerava degni di particolare at-tenzione (dalle opere dei neokantiani di Marburgo ai li-bri di Husserl). Se si presta fede alla testimonianza diBanfi, gi nel 1910 egli era per uscito dalla scuola mi-lanese con una doppia sete di ragione e di vita,che lo aveva portato a frequentare la cultura tedesca delprimo Novecento e la profonda crisi di cultura che inessa trovava espressione20. Eppure dal provinciale pie-montese Martinetti il pi mondano Banfi ereditavalimpegno della ragione e la fiducia (come la definircon la retorica che gli era congeniale) nel suo lucidosplendore, nel quadro di un deciso interesse per Kante, pi in generale, per la filosofia tedesca contempora-nea, vista come alternativa alla metafisica naturalisticadel positivismo e allo spiritualismo venato di irrazionali-smo che caratterizzava, ai suoi occhi, il neoidealismocrociano e gentiliano. Ma nonostante questa iniziale in-fluenza di Martinetti, Banfi se ne distaccher semprepi, sino a denunciare apertamente in un saggio com-posto nel 1943 in occasione della morte i limiti del-lidealismo trascendente, troppo insensibile alla fenome-nologia della vita e dello spirito, incapace di sollevarsia unautentica sistematica del sapere e gravato da unimpegno etico-religioso che andava invece ribaltato sulpiano di un estremo radicale illuminismo21.

    20 Cfr. A. Banfi, La mia esperienza filosofica, in La ricerca della realt,Firenze, Sansoni, 1959, vol. I, p. 1. Si vedano inoltre le osservazioni suMartinetti nellarticolo del 1947 Tre maestri, raccolto in Scritti letterari, acura di C. Cordi, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 246-47.

    21 Cfr. A. Banfi, Piero Martinetti e il razionalismo religioso, pubblicatoper la prima volta in Filosofi contemporanei, a cura di R. Cantoni, Firenze,Parenti, 1961, pp. 51-66.

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    In realt lorizzonte filosofico di Banfi si era popolatodi altre figure oltre a quelle di Martinetti e del Kantmartinettiano. Le letture (e le traduzioni) di un filosofodella vita come Simmel, la consuetudine con lo Hegeldella Fenomenologia dello spirito, e poi un fitto lavorodi documentazione su autori che tra guerra e primo do-poguerra non erano certo molto noti in Italia (Husserle i neokantiani, in primo luogo, ma anche Max Sche-ler, Leonard Nelson, Arthur Liebert, o i teologi prote-stanti come Paul Tillich e Karl Barth) fanno di Banfiun caso abbastanza eccentrico rispetto al clima della fi-losofia italiana degli anni 2022. Dopo La filosofia e lavita spirituale del 1922, che gi delinea lanalisi in sensotrascendentale della struttura ideale del mondo del spi-rito23, Banfi aveva pubblicato nel 1926 la sua opera piimportante, i Principi di una teoria della ragione. Il nodocruciale era qui rappresentato dallautonomia della ra-gione quale emerge dalle varie forme del sapere (in par-ticolare dalla conoscenza scientifica) e che trova la suapi radicale affermazione nella sistematicit della fi-losofia. La ragione sosteneva Banfi la legge diun infinito compito del sapere e al tempo stesso lapotenza creatrice che sistema lesperienza risolvendonele antinomie in un tessuto di relazioni. Il razionalismotrascendentale non dunque una soluzione tra altrepossibili, ma la posizione filosofica in generale, in cuitutte sinverano24. Per sorreggere queste tesi, espresssein un linguaggio aspro e inconsueto, Banfi attingevaprevalentemente al coevo dibattito filosofico tedesco, delquale i Principi costituiscono una sorta di sintesi25. Ma a

    22 Si vedano a questo proposito i saggi, le recensioni e gli interventiraccolti in Opere, vol. I: La filosofia e la vita spirituale e altri scritti di filo-sofia della religione 1910-1929, a cura di L. Eletti, Reggio Emilia, IstitutoBanfi, 1986.

    23 A. Banfi, La filosofia e la vita spirituale, Milano, Isis, 1922, poi inOpere, vol. I, cit., p. 7.

    24 Cfr. A. Banfi, Principi di una teoria della ragione, Torino, Paravia,1926, 3a ed. Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 197, 202, 226-27.

    25 Si veda in particolare la seconda parte (intitolata Analisi e deluci-dazioni critiche) dei Principi di una teoria della ragione, cit., pp. 229-456.

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    chi conosca direttamente quelle fonti (e in specie le fon-ti neokantiane) la posizione di Banfi apparir meno ori-ginale di quanto non sia sembrata ai suoi estimatori, an-che se nel panorama della filosofia italiana degli anni20 lepistemologia neokantiana dei Principi costituisceuna novit che non si lascia inquadrare in nessuno degliorientamenti allora presenti in Italia26.

    Quando Banfi giungeva alla Statale il suo itinerariofilosofico era dunque gi ben definito. La prospettivadei Principi di una teoria della ragione sarebbe stata in-tegrata e in parte rivista, ma quel libro doveva rimanerela sua opera pi rappresentativa nonostante il progressi-vo innesto di nuovi temi. Attentissimo a quanto avveni-va soprattutto in Germania, come ben documentano glistudi sulla rinascita hegeliana e il neohegelismo tede-sco27, Banfi dedicava ora molte delle sue energie alla de-lineazione di una galleria ideale di autori, ciascuno inse-rito nel quadro pi ampio della storia della cultura. Inquesto senso anche le lezioni su Nietzsche e su Spinozafanno parte di una ricostruzione della tradizione dellafilosofia che si apre nel 1930 con la biografia intellettua-le di Galileo Galilei (alfiere della faticosa conquista dellapurezza teoretica e della struttura razionale delpensiero scientifico moderno) e si chiude nel 1943 conil libro su Socrate, simbolo di una coerenza morale chenon una dottrina, ma una vita, una vita la cui

    Per inciso va notato che i Principi banfiani sono strutturati in maniera deltutto analoga alla Introduzione alla metafisica di Martinetti, anchessa occu-pata in buona parte dallesposizione di dottrine e correnti che sono allabase della discussione pi propriamente teorica.

    26 Sullimpianto neocriticistico dellopera di Banfi cfr. lo studio di P.Valore, Trascendentale e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia banfia-na, Firenze, La Nuova Italia, 1999. Si veda inoltre F. Papi, Vita e filosofia.La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerini e Associa-ti, 1990, pp. 45-49 e il saggio di M. Dal Pra, Kantismo ed Hegelismo inBanfi, in M. Dal Pra, D. Formaggio, Paolo Rossi, Antonio Banfi (1886-1957), Milano, Unicopli, 1984, pp. 21-35.

    27 Cfr. A. Banfi, Incontro con Hegel, a cura di P. Rossi, Urbino, Arga-la, 1965, pp. 65-107, 217-41.

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    esperienza non ha nulla di astratto, di intellettuale, didottrinario28.

    Su un altro versante, accanto alla riflessione sulla cri-si della cultura e della civilt contemporanea che a piriprese occupa Banfi nel corso degli anni 3029, la suaattivit in questo primo periodo milanese si rivolge es-senzialmente nella direzione dellestetica, pur mantenen-do sempre il quadro di riferimento di una filosofia del-la cultura intesa in termini neocriticistici comedefinizione dellidea o della legge che determina lespe-rienza culturale30. A questa impostazione si richiamanole riflessioni che Banfi viene sviluppando sulla natura esui problemi dellestetica filosofica, in una posizione cri-tica nei confronti dellestetica crociana e tesa a rivendi-care il carattere anche eteronomo dellarte, limportanzadelle tecniche artistiche e il rapporto che lesperienzaestetica intrattiene con le altre sfere della cultura. Ilprincipio estetico di cui parla Banfi agli inizi deglianni 30 assume cos il ruolo di una legge unitaria del-la struttura estetica dellesperienza, che deve esseremesso in relazione con le altre sfere dellesperienza se-condo il principio universale che ne esprime la recipro-ca correlazione31. A queste formulazioni astratte Banfiaccompagnava per lezioni assai pi attente alla vita

    28 A. Banfi, Socrate, Milano, Garzanti, 1943, 2a ed., con unintroduzio-ne di E. Garin, Milano, Mondadori, 1984, p. 40. Cfr. inoltre Vita di Gali-leo Galilei, Milano, Ambrosiana, 1930, 2a ed. Milano, Feltrinelli, 1962. Peri corsi universitari a cui si accennato si vedano i volumi Spinoza e il suotempo, a cura di L. Sichirollo, Firenze, Vallecchi, 1969 e Introduzione aNietzsche. Lezioni 1933-1934, a cura di D. Formaggio, Milano, Isedi, 1974.

    29 Su questo punto, documentato dal manoscritto pubblicato postumosu La crisi, Milano, Allinsegna del Pesce dOro, 1967, cfr. anche G.D.Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di A. Banfi, Vero-na, Libreria Editrice Universitaria, 1984, 2a ed. riv. Napoli, Bibliopolis,1988.

    30 Cfr. A. Banfi, Concetto, metodo, problemi di una filosofia della cultu-ra (1937), raccolto poi in La ricerca della realt, cit., vol. II, p. 386.

    31 A. Banfi, I problemi di unestetica filosofica (1932-1933), raccolto orain Opere, vol. V: Vita dellarte. Scritti di estetica e filosofia dellarte, a curadi E. Mattioli e G. Scaramuzza, Reggio Emilia, Istituto Banfi, 1988, pp.13-14.

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    concreta dellarte; e furono proprio queste lezioni a faredi Banfi il filosofo corteggiato dai circoli artistici e lette-rari milanesi, punto di riferimento per una cultura in-quieta che trover espressione nelle pagine di una rivistasempre pi orientata verso la fronda intellettualecome Corrente di vita giovanile32. Intorno a Banfi siritrovano in questi anni cultori di poesia come VittorioSereni e Antonia Pozzi, studenti di filologia come MariaCorti, pittori come Raffaele De Grada, ma soprattuttostudiosi di estetica come Luciano Anceschi, Dino For-maggio, Luigi Rognoni. Nel 1936 il giovane Anceschipubblicava Autonomia ed eteronomia dellarte, mentre dipoco posteriore la tesi di laurea di Formaggio che usci-r per, in forma rielaborata, solo nel 1953 con lelo-quente titolo Fenomenologia della tecnica artistica. Sulleorme di Banfi, seppure con unattenzione sempre pi ac-centuata per le tecniche e le forme concrete del fareartistico, nasceva cos lestetica fenomenologica italiana,che doveva contribuire in maniera significativa al distac-co dallestetica idealistica nel secondo dopoguerra33.

    A differenza di quanto era avvenuto con Martinetti,che intorno a s raccoglieva unesigua cerchia di uditorie non mirava a instaurare alcun rapporto tra la vita ac-cademica e il tessuto culturale milanese, con Banfi si ve-niva dunque configurando una dimensione pubblicadella filosofia. Alla visione trascedente di Martinetti, e alsuo richiamo al regno dello spirito, si contrapponevaora una visione mondana della filosofia, consapevolmen-te rivolta a incidere sulla cultura della Milano degli anni30 e a estendere la propria influenza al di fuori delleaule universitarie. Le connessioni di Banfi con lindu-stria editoriale del tempo (da Bompiani a Mondadori aGarzanti) rendevano del resto possibili iniziative capacidi promuovere una pi diretta conoscenza di testi e au-

    32 Varie notizie su questo ambiente si trovano in F. Papi, Vita e filoso-fia, cit., pp. 100-05.

    33 Cfr. in proposito lequilibrata illustrazione di P. DAngelo, Lesteticaitaliana del Novecento, cit., pp. 176-93.

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    tori allora poco noti, che rispecchiavano i suoi interessie la sua immagine della filosofia. Per documentare que-sti orientamenti sufficiente un rapido sguardo alla col-lana Idee nuove delleditore Valentino Bompiani: vifigurano infatti tra la fine degli anni 30 e i primianni 40 traduzioni e raccolte di Oswald Spengler(Anni decisivi), Max Scheler (La crisi dei valori), Simmel(Intuizione della vita), Ludwig Klages (Lanima e lo spi-rito), Nicolai Hartmann (Filosofia sistematica), Karl Ja-spers (Filosofia dellesistenza), George Santayana (Il pen-siero americano e altri saggi), a cui si aggiungono ancorai volumi antologici curati da J.H. Muirhead, Filosofi in-glesi contemporanei e Filosofi americani contemporanei(con prefazione di Banfi). Daltronde nella medesimacollana ma questa volta sul fronte di opere scritte di-rettamente da autori italiani usciranno anche lIntrodu-zione allesistenzialismo di Nicola Abbagnano (1942) eIdealismo e positivismo di Giulio Preti (1943): libri cheappartengono a un clima filosofico in rapido mutamen-to, in cui la catastrofe della guerra sollecita nuove sceltee limpegno per il rinnovamento della filosofia italiana34.

    Lambiente culturale che faceva perno sullinsegna-mento universitario di Banfi era caratterizzato del restoda una sostanziale impermeabilit allinfluenza dellidea-lismo, sia nella versione attualistica di Gentile (che eraben pi discusso dai neoscolastici della vicina UniversitCattolica), sia nella versione storicistica di Croce, la cuiinfluenza anche nel campo degli studi di estetica non fuparticolarmente rilevante nella Milano di quegli anni35.Ma a consolidare la funzione svolta da Banfi nella vita

    34 Banfi dirigeva anche, per Garzanti, la collana I filosofi, che pub-blicava profili di autori accompagnati da una scelta antologica dei testi eche si era aperta, nel 1941, con un Nietzsche di Enzo Paci, a cui avevanofatto seguito lo Schopenhauer di Martinetti e il Socrate dello stesso Banfi.

    35 Sugli echi molto tenui destati dallidealismo a Milano cfr. E. Ga-rin, Quindici anni dopo 1945/1960, in appendice a Cronache di filosofia ita-liana 1900/1943, 5a ed. Bari, Laterza, 1975, vol. II, p. 502. Si veda pureE.I. Rambaldi, La cultura filosofica, in Storia di Milano, vol. XVIII: Il No-vecento, tomo II, Roma, Istituto dellEnciclopedia Italiana, 1996, pp. 799-800.

  • Massimo Ferrari60

    accademica e culturale milanese contribuiva anche laformazione di una cerchia di giovani filosofi destinatiben presto a un ruolo di primo piano, tra cui EnzoPaci, Remo Cantoni, Giulio Preti, Giovanni Maria Ber-tin. Per nessuno di loro, tuttavia, essere allievi significa-va ripetere pedissequamente il maestro, e nei loro per-corsi affiorano gi nei primi anni 40 in maniera pi omeno accentuata motivi di discontinuit e di dissensodestinati a maturare sempre pi chiaramente nel dopo-guerra. Cos nei primi scritti di Cantoni dedicati ad au-tori come Ludwig Klages, Hermann von Keyserling,Oswald Spengler affiora lattenzione per il nodo intellet-tualismo-antintellettualismo e si prefigura una linea di ri-cerca che avrebbe presto dati i suoi frutti al di l dellafilosofia della cultura banfiana36. Il giovane Preti, dalcanto suo, affrontava autori come Bernard Bolzano e loHusserl della logica pura, muovendosi nel solco ban-fiano con un vigore epistemologico che non tarder aconfigurarsi in termini innovativi nei confronti del mae-stro37. Infine Paci, che aveva maturato una complessaesperienza intellettuale prima di laurearsi con Banfi nel1934, partiva dal Parmenide platonico per approdare nel1939 al volume sui Principi di una filosofia dellessere,che sin dal titolo sembra deliberatamente trasferire iPrincipi banfiani dal piano della ragione trascendentale aquello delle aporie ontologiche38. Era, anche in questocaso, linizio di un percorso che avrebbe portato lascuola di Banfi a una progressiva diversificazione in-

    36 Sugli esordi di Cantoni cfr. C. Montaleone, Cultura a Milano nel do-poguerra. Filosofia e engagement in Remo Cantoni, Torino, Bollati Borin-ghieri, 1996, pp. 19-44.

    37 Cfr. soprattutto il saggio del 1935 I fondamenti della logica formalepura nella Wissenshaftslehre di B. Bolzano e nelle Logische Untersuchun-gen di E. Husserl, raccolto poi nei Saggi filosofici, a cura di M. Dal Pra,Firenze, La Nuova Italia, 1976, vol. I, pp. 11-31.

    38 Sulla formazione di Paci, sulla sua frequentazione dei testi di Crocee di Gobetti e sul debito con lo scetticismo di Adolfo Levi (con cui avevastudiato inizialmente a Pavia), cfr. A. Vigorelli, Lesistenzialismo positivo diEnzo Paci. Una biografia intellettuale (1929-1987), Milano, F. Angeli, 1987,specie pp. 96-117.

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    terna, sino al suo dissolversi negli anni successivi allafine del conflitto mondiale.

    3. Tra guerra e dopoguerra

    Nel 1940, lanno dellentrata in guerra dellItalia,Banfi e i suoi allievi davano vita a Studi filosofici, unarivista che riusc unitaria senza essere monocorde e lacui impronta sulle cronache di filosofia di quegli annifu rilevante39. Uscita in una prima serie sino al 1944(quando venne sospesa dalle autorit fasciste) e poi inuna seconda serie dal 1946 al 1949, la Rivista trime-strale di filosofia contemporanea fondata da Banfi videconvergere le linee del razionalismo critico con le esi-genze avanzate dai suoi giovani allievi, ospitando talvoltale voci di alcuni dei nuovi protagonisti della scena filo-sofica italiana (da Geymonat ad Abbagnano, da LuigiPareyson a Galvano della Volpe). Il progetto di Banfiera di offrire una tribuna di discussione dei problemidella filosofia contemporanea, che a suo avviso potevanotrovare risoluzione in una sistematica del sapere aper-ta allesperienza e alla vita. Indirizzi diversissimi tra lorocome lempirismo della scuola di Vienna o le varieforme di irrazionalismo venivano intesi da Banfi comeaspetti parziali, ma in s positivi, della dissoluzione delrazionalismo dogmatico: passaggi obbligati di una crisidi cultura che dalla degenerazione di un romanticismoestremo avrebbe tratto linfa per un nuovo aperto illu-minismo umanistico40.

    Ma mentre Banfi pensava alla sintesi unitaria, i suoiallievi sembravano pi inclini a battere strade che nonconvergevano in una medesima intenzionalit speculati-va. Preti accoglieva il neokantismo banfiano, ma lo co-

    39 Cfr. E. Garin, Antonio Banfi e Studi filosofici, in Intellettuali ita-liani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 241-64.

    40 A. Banfi, Situazione della filosofia contemporanea, Studi filosofici,I, 1940, pp. 5-25, poi in Filosofi contemporanei, cit., pp. 5-33.

  • Massimo Ferrari62

    niugava con il neopositivismo del Circolo di Vienna nel-la convinzione che vi fosse un aspetto del pensierokantiano di cui proprio il neopositivismo potrebbe costi-tuire il pi radicale commento: la considerazione delrapporto fra esperienza e pensiero, e la precisazionedel ruolo del pensiero nel complesso della verit, ossiadel sapere41. Il lavoro di Preti non si esauriva solo inquesta direzione (nel 42 usciva il volume sulla Feno-menologia del valore, che delineava una sorta di filoso-fia critica della personalit); ma certo era questo il nu-cleo pi forte del suo programma di ricerca, elaboratodi l a poco in forma compiuta in Idealismo e positivi-smo del 1943. Preti presentava qui il manifesto di unaconcezione della conoscenza che, rifiutato ogni assoluto,si incentra sul nesso tra il piano delle categorie in sensoformale-trascendentale e lesperienza, proponendo cosun incontro tra neokantismo e neoempirismo42. E gi al-lora Preti insisteva su un tema che sar pi tardi al cen-tro di un libro come Praxis e empirismo, vale a dire suun modo di fare filosofia rigoroso, rivolto a trasformarela figura tradizionale del filosofo in uno scienziato checollabora con tutta lumanit a costruire il sapere degliuomini43.

    Su un altro fronte si muoveva invece Cantoni, assi-duo nella collaborazione a Studi filosofici con inter-venti su Hartmann, su Fichte, su Martinetti, su Croce,ma soprattutto gi orientato verso lo studio del pensie-ro primitivo che rappresenter il punto di maggioreoriginalit di tutta la sua produzione. Discussa con Ban-fi nel 1938 e pubblicata da Garzanti nel 1941, la tesi dilaurea di Cantoni su Il pensiero dei primitivi attingevalargamente ai lavori di Lucien Lvy-Bruhl e allinterpre-tazione del mito come forma di pensiero avanzata daErnst Cassirer. Su queste basi Cantoni vedeva nel pen-

    41 G. Preti, Il neopositivismo del Circolo di Vienna, Studi filosofici,III, 1942, p. 218.

    42 G. Preti, Idealismo e positivismo, Milano, Bompiani, 1943, pp. 11-34.43 G. Preti, Idealismo e positivismo, cit., p. 119.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 63

    siero primitivo una caratteristica struttura dello spiritoumano e tracciava una geografia dello spirito in cuiquesta strana regione fosse pienamente riconosciu-ta44. Al di fuori di una visione logocentrica si tratta-va di individuare le categorie del pensiero mitico (intermini simili a quanto aveva fatto Cassirer) e di stu-diarne la presenza in noi, nelluomo moderno chenon diametralmente opposto alluomo arcaico e che,soprattutto, non affatto un uomo senza miti. Il pro-blema di Cantoni era dunque di non risolvere il pensie-ro primitivo nellevoluzione della cultura, come sua for-ma inferiore e vitale (secondo quanto proponeva in que-gli anni Ernesto De Martino muovendo dallo storicismocrociano), bens di riconoscerlo nel suo essere davanti anoi, nel suo collocarsi non gi nel tempo bens nel-lo spazio che esso occupa nella cultura umana45.

    Lorientamento di Cantoni nella direzione di unan-tropologia filosofica non era facilmente conciliabile conla posizione di Banfi; e del resto ancor meno lo era ilpensiero di Paci, il quale si mostrava particolarmente at-tento alla novit rappresentata dalla pubblicazione dellaStruttura dellesistenza di Abbagnano (1939) e al climadella stagione esistenzialistica ormai avviata anche in Ita-lia. Discutendo su Studi filosofici lopera di Abbagna-no, Paci scorgeva nellesistenzialismo positivo una rispo-sta alle nostre esigenze pi intime, che andava al cuo-re del problema pi vivo della situazione filosofica con-temporanea: La filosofia luomo, il pensiero la vita. anche uno dei temi fondamentali di Jaspers. Ma non insieme, il pensiero, la negazione della vita in quanto la negazione di s? Non esiste una dialettica tra lavita che si pone come razionalit e la vita che si pone

    44 Cfr. R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, Milano, Garzanti, 1941, 2aed. riveduta e ampliata Milano, Il Saggiatore, 1963, pp. 19 e 22.

    45 R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, cit., p. 217. Su questo aspettocfr. anche F. Remotti, I primitivi in noi: lantropologia di Remo Cantoni, inRemo Cantoni, filosofia a misura della vita, a cura di C. Montaleone e C.Sini, Milano, Guerini e Associati, 1993, pp. 81-90.

  • Massimo Ferrari64

    come esistenza anche se pensiero e vita sono la stessacosa?46. Queste domande scalzavano lottimismo razio-nalistico di Banfi, insistevano sulla dialettica tra la vitacome esistenza personale e la ragione intesa non solocome forma trascendentale, bens come apertura alloriz-zonte della temporalit umana. Dietro Abbagnano com-parivano cos Jaspers e Heidegger; e anche per que-sto la partecipazione di Paci alla discussione sullesisten-zialismo costituisce un documento dellautonomia ormaiacquisita (ma forse sempre posseduta) nei confronti deltrascendentalismo di Banfi.

    Per parte sua Banfi riconosceva allesistenzialismo unafunzione precisa nellambito della filosofia contempora-nea, ma ne denunciava (accanto allassenza di buon gu-sto) il carattere dogmatico e parziale, lesasperazionenegativa e intimistica, lincapacit di registrare la ric-chezza della vita che scorre ben al di l dello schemaastratto e unilaterale elaborato dalle filosofie dellesi-stenza47. Questa posizione critica si precisava ancor me-glio nel corso di una discussione con Abbagnano, svol-tasi a Torino nel 1941 sul tema quanto mai scottantedellAttualit di Kant. Si tratt di una sorta di versionenostrana del celebre dibattito di Davos tra Cassirer eHeidegger del 1929; e mentre Banfi, citando Cassirer eLon Brunschvicg, difendeva unimmagine del trascen-dentalismo kantiano giocata sul ruolo della vita dellapriori nella costituzione delle leggi dei vari campidella cultura, Abbagnano quasi ripetendo lobiezioneche Heidegger aveva rivolto a Cassirer sosteneva inve-ce una prospettiva che spingesse in profondit (anzi-ch in avanti, nella progressione delle forme culturali)la domanda di Kant sulla fondazione del sapere, permostrare come la ricerca della fondazione assoluta di

    46 La recensione, apparsa su Studi filosofici, I, 1940, pp. 431-34,venne ripubblicata da Paci nel volume Pensiero esistenza valore, Messina-Milano, Principato, 1940, pp. 188-95.

    47 A. Banfi, La filosofia dellesistenza, Studi filosofici, II, 1941, pp.170-92, poi in Filosofi contemporanei, cit., pp. 301-30.

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    tutto il nostro essere determini la natura di tal fondazio-ne48.

    Ma tra Milano e Torino il dialogo filosofico avviatosullonda della fortuna dellesistenzialismo sarebbe ripre-so pi intenso a guerra finita, seppure su un terreno didiscussione diverso. Il nuovo illuminismo patrocinatoda Abbagnano (sotto la bandiera di Dewey) nel vivodella trasfigurazione dellesistenzialismo positivo e ilnuovo razionalismo invocato da Geymonat nel tentati-vo di costruire una casa comune in cui scienziati e fi-losofi potessero coabitare dovevano incontrare nellam-biente milanese gli interlocutori pi validi, tanto che ilCentro di studi metodologici torinese animato da Abba-gnano e Geymonat trov il suo pendant nel Centro dimetodologia e analisi del linguaggio di Milano, che asua volta era affiancato dalla rivista Analisi. Progettatagi da Colorni, incoraggiata da Banfi, diretta dal 1945 al1947 (anno in cui chiuse) dallo scienziato Giuseppe Fa-chini, da Preti e dallastronomo Livio Gratton, la rivistaprivilegiava le tecniche e i metodi di cui si avvale il ri-cercatore e contava sulla collaborazione dello stessoGeymonat nonch, pi tardi, di una figura come SilvioCeccato49. Ad Analisi e al suo progetto di una strettacollaborazione tra filosofi e scienziati si aggiungerannopoi altre due riviste (Sigma e Methodos), anchesseguidate dal progetto di unindagine metodologica capacedi porre rimedio allanarchia concettuale della nostraepoca e di promuovere limpiego di precisi criteri logicie linguistici: Senza questo lavoro affermava Preti conil suo consueto piglio polemico la filosofia rischia ditramutarsi in rapsodia letteraria50.

    48 I testi degli interventi di Banfi e Abbagnano sono riprodotti in A.Banfi, Esegesi e letture kantiane, vol. II: Studi critici su Kant e il kantismo,a cura di L. Rossi, Urbino, Argala, 1969, pp. 7-30.

    49 Si veda il programma della rivista (datato Milano, ottobre 1944 maggio 1945) in Analisi, I, 1945, n. 1, pagina non numerata.

    50 G. Preti, Metodologia e filosofia, Methodos, I, 1949, pp. 187-93.Per un inquadramento di queste vicende cfr. F. Cambi, Razionalismo eprassi a Milano (1945-1954), Milano, Cisalpino-Goliardica, 1983, pp. 33-43

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    In realt, subito dopo la liberazione il clima dellacultura a Milano era rapidamente mutato. Iniziava lastagione dellimpegno politico dellintellettuale e dellabattaglia per rinnovare la cultura italiana uscita dalleste-nuante ventennio fascista; ma iniziava anche lera dellecontroversie ideologiche, delle ragioni di politica cultu-rale sposate (o sovrapposte) al lavoro filosofico. In pri-ma fila in questa mutata situazione vi fu Banfi. Reducedallimpegno nella Resistenza, attivissimo nel Fronte del-la cultura, nel Partito comunista (per due legislature, nel1948 e nel 1953, sar eletto senatore), nellorganizzazio-ne del lavoro della Casa della cultura (fondata nel 1946e polo di attrazione dellintelligentsia di sinistra), nel-limmediato dopoguerra Banfi non solo lillustre pro-fessore dellUniversit Statale, ma il filosofo e luomopolitico che individua nel marxismo e nella coscienzaprogressiva dellumanit il nuovo orizzonte del raziona-lismo critico, non a caso definito non pi razionalismotrascendentale quanto piuttosto razionalismo dialetticocostruttivo51. Lorientamento politico-ideologico di Banfi di fronte alla cui disponibilit nei confronti del-lassoluto un allievo come Paci rimarr fortemente di-sorientato52 si manifesta chiaramente nelle ultime annatedi Studi filosofici e trova espressione nel volume Luo-mo copernicano del 1950 (che raccoglie i saggi deglianni precedenti). Qui il marxismo come sapere prag-matico diventava il criterio valutativo della cultura con-temporanea e il quadro entro il quale collocare i compitidi un razionalismo critico ravvivato dallapporto del mate-rialismo storico. Cadeva cos su Croce e Gentile, sulloyankee Dewey e sul neopositivismo, su Heidegger e su

    e M. Dal Pra, Il razionalismo critico, nel volume collettivo La filosofia ita-liana dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 44-54.

    51 Il sistematico mutamento terminologico (con relativo intervento suitesti pubblicati in precedenza) segnalato da P. Valore, Trascendentale eidea di ragione, cit., p. 1.

    52 Si vedano in proposito gli appunti di Paci (stesi a seguito di un col-loquio con Banfi nel novembre 1945) resi noti da G.D. Neri, Crisi e co-struzione della storia, cit., p. 165.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 67

    Jaspers (e persino sul piccolo borghese Martinetti) ungiudizio di estrema durezza, non diversamente da quantoavveniva a proposito di Jean-Paul Sartre e di GabrielMarcel, schiuma soggettiva di un insipido culturali-smo53. Dallaltra parte la fiducia nella potenza liberatricedelluomo copernicano, che costruisce il suo mondo eindirizza la ragione e la tecnica sulla base dellumanesimoradicale rappresentato dal marxismo54, assumeva il voltodi un programma di politica culturale non facilmentearmonizzabile con lapertura intellettuale di chi in gio-vent si era formato leggendo Simmel e Husserl.

    Limpegno di alcuni degli allievi di Banfi si realizzavainvece in evidente e crescente dissenso dallortodossiadel maestro nella collaborazione al Politecnico, larivista di Elio Vittorini che incarn per un breve perio-do gli astratti furori delle speranze post-belliche.Esemplari, in questo senso, sono alcuni interventi diPreti, secondo Franco Fortini luomo dalle idee pichiare e pi ricche, dal polso capace di condurre avantilimpresa55. I violenti attacchi allo spiritualismo, la dife-sa di uninterpretazione strettamente epistemologica del-la crisi della scienza contemporanea, lauspicio di unanuova cultura orientata sulladerenza ai fatti e sulla tec-nica, la denuncia dellaria da Sacro Romano Imperodi cui intrisa la societ italiana, e non da ultimo il ri-chiamo al pragmatismo di Dewey e alla sua convergenzacon il pensiero di Marx (fratelli gemelli, dir a uncerto punto): sono tutti elementi che configurano unprogetto di rinnovamento radicale, nella direzione dellanuova cultura che Vittorini confidava di veder sorgeredalle ceneri dellItalia post-bellica56. Per parte sua, sul

    53 A. Banfi, Luomo copernicano, Milano, Mondadori, 1950, p. 220.54 A. Banfi, Luomo copernicano, cit., p. 395.55 F. Fortini, Dieci inverni 1947-1957. Contributi ad un discorso sociali-

    sta, Milano, Feltrinelli, 1957, p. 56.56 Cfr. G. Preti, La crisi della scienza, Il Politecnico, 4, 20 e 5, 27 ot-

    tobre 1945; Gli spiritualisti, Il Politecnico, 7, 10 novembre 1945; Scuolaumanistica o scuola tecnica?, Il Politecnico, 11, 8 dicembre 1945; Il pragma-tismo, che cos, Il Politecnico, 33-34, settembre-dicembre 1946, pp. 58-60.

  • Massimo Ferrari68

    Politecnico Cantoni parlava del materialismo storico,di Dostoevskij e di Russell, ma soprattutto illustrava ladittatura dellidealismo di Croce e Gentile, che avevaimperiosamente dominato le coscienze e le istituzioniculturali e che ora passava, seppur lentamente, agli attidella storia. Una rottura irreversibile era dunque avve-nuta e Cantoni si incaricava di esprimere un atteggia-mento diffuso, che cont molto nella cultura filosoficaitaliana degli anni seguenti alimentando lillusione diunagonia ormai gi conclusa57.

    In quegli anni, del resto, Cantoni condivideva conBanfi la militanza nel Partito comunista; ma il percorsoinsieme si sarebbe arrestato al fatidico 1948, con liniziodella guerra fredda e della contrapposizione ideologicasempre pi accanita. Non per nulla la fine della secondaserie di Studi filosofici coincide con la frattura traCantoni e la direzione culturale del Partito comunista,che lo accus di troppa compiacenza nei confronti diuna filosofia borghese come lesistenzialismo e di ingiu-stificate critiche al modesto libro del marxista franceseJean Kanapa, che quella filosofia aveva voluto metterealla gogna58. Come intellettuale ho limpressione che misi cammini continuamente sui piedi e questo ininterrottostato di irritazione [...] non lo posso sopportare, scrive-va Cantoni a Banfi il 4 settembre 1949: a quella dataera ormai consumata la frattura non solo con il Partito,da cui Cantoni usc, ma con lo stesso Banfi, che certonon comprese le ragioni dellantico allievo59. Daltronde

    57 Cfr. R. Cantoni, La dittatura dellidealismo, Il Politecnico, 37, ot-tobre 1947, pp. 3-6 e 38, novembre 1947, pp. 10-13. Su questo articolo sivedano le osservazioni di E. Garin, Agonia e morte dellidealismo italiano,nel volume La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 6-7.

    58 Su questo episodio, sul clima in cui matur e sulle conseguenze chene derivarono cfr. C. Montaleone, Cultura a Milano nel dopoguerra. Filoso-fia e engagement in Remo Cantoni, cit., pp. 118-25 e N. Ajello, Intellettualie PCI 1944-1958, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 289-93.

    59 La lettera di Cantoni riprodotta integralmente in C. Montaleone,Cultura a Milano nel dopoguerra. Filosofia e engagement in Remo Cantoni,cit., pp. 163-68.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 69

    come poteva coesistere luomo copernicano di Banficon la crisi delluomo che Cantoni, nel 1948, aveva mes-so a fuoco studiando lopera di Dostoevskij o di Kafka? equale grado di compatibilit sussisteva tra il marxismo ita-liano allinizio della guerra fredda e il tema della irridu-cibilit della persona alla ragione che Cantoni ritrovavanella coscienza inquieta e pre-esistenzialistica di SrenKierkegaard?60

    In realt, sul finire degli anni 40 gli allievi di Banfisi mostravano sempre pi insofferenti delle chiusure ideo-logiche; e il risultato fu non solo la frantumazione dellascuola, ma anche la crescente solitudine di Banfi61. Daquesto punto di vista la fine di Studi filosofici nel1949 rappresenta un momento di svolta, non a caso se-guito dallavvio dei nuovi periodici di filosofia fondatirispettivamente da Cantoni e da Paci. Nel 1950 Cantonidava vita a Il pensiero critico, allinsegna di un nuo-vo umanismo capace di comprendere luomo contem-poraneo in unet di crisi; lanno successivo Paci, chia-mato allUniversit di Pavia, fondava aut aut, la rivistache accompagner la tormentata trasformazione dellesi-stenzialismo positivo in un relazionismo ancora inde-bitato con la categoria della possibilit e diffidente dellesicurezze metafisiche. Al filosofo rivelatore dellassoluto dichiarava Paci si sostituisce la pi modesta ma piconcreta figura del filosofo che vive da uomo tra gli uo-mini e cerca con essi di superare gli ostacoli, di persi-stere nella via della civilt, di affrontare e vincere i peri-coli del comune destino62. Era un programma di lavorogi in pieno svolgimento e che chiudeva definitivamenteil tormentato rapporto con Banfi.

    60 R. Cantoni, La coscienza inquieta. Sren Kierkegaard, Milano, Mon-dadori, 1948, 2a ed. Milano, Il Saggiatore, 1976, p. 27.

    61 Su questultimo aspetto cfr. F. Papi, Vita e filosofia, cit., p. 169. Siveda pure A. Santucci, Sul pensiero di A. Banfi, Rivista critica di storiadella filosofia, XVII, 1962, pp. 208-09.

    62 Cfr. aut aut, 1, gennaio 1951, pp. 3-5. Per lorientamento di Can-toni cfr. il suo articolo Umanismo vecchio e nuovo, Il pensiero critico, I,1950, pp. 1-19.

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    4. Gli anni Cinquanta

    Conclusasi la stagione euforica dellimmediato dopo-guerra, anche il clima intellettuale allinterno delluniver-sit si modific sensibilmente, mentre mutavano conte-stualmente i canali della comunicazione filosofica (dalleriviste ai convegni agli strumenti editoriali). Una delledirezioni verso le quali si orient il lavoro filosofico aldi fuori della lotta delle ideologie fu limpegno storio-grafico, che pur non estraneo alla scuola di Banfi trovper la sua istituzionalizzazione soprattutto grazie al-lopera di Mario Dal Pra, attivo sulla scena filosoficamilanese sin dallimmediato dopoguerra e dal 1949 inca-ricato di Storia della filosofia antica alla Statale, dovenel 51 avr la cattedra di Storia della filosofia medieva-le per passare nel 56 su quella di Storia della filosofia.

    Dal Pra non era di formazione milanese. Laureatosia Padova con Erminio Troilo, aveva vissuto il travagliodella cultura cattolica tra la fine degli anni 30 e i primianni 40, esordendo con Il realismo e il trascendente(1937) a cui erano seguite le pagine di Valori cristiani ecultura immanentistica (1944), ma dedicandosi anche auna fitta attivit storiografica e di edizione di testi (Sco-to Eriugena, Abelardo, Condillac, Sebastiano Maturi,Aristotele, Kant). Fuggito da Vicenza a Milano avevapartecipato alla lotta di Liberazione, divenendo tra lal-tro capo-redattore dei Nuovi Quaderni di Giustizia eLibert; terminata la guerra era rimasto a Milano, in-traprendendo per alcuni anni la carriera di insegnanteliceale e subito segnalandosi, nel 1946, per la fondazio-ne della Rivista di storia della filosofia, dal 1950 ri-battezzata Rivista critica di storia della filosofia (ma iltitolo originario ricomparir allinizio della nuova serie,nel 1984)63. Sul terreno di una storia della filosofia con-

    63 Per la biografia intellettuale di Dal Pra cfr. soprattutto il libro-inter-vista M. Dal Pra F. Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofiaitaliana, Milano, Rusconi, 1992. Tra i numerosi scritti che anche in tempirecenti ne hanno ripercorso lopera sono inoltre da vedersi E. Garin, Per

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    dotta con scrupolosa aderenza ai testi (non a caso nellaredazione Dal Pra chiam, insieme a Buonaiuti che mordopo breve tempo, un filologo come Mario Unterstei-ner) si giocava infatti una battaglia importante per il su-peramento della cultura idealistica; e per questo Dal Pranon aveva esitazioni nel denunciare tanto il peso eccessi-vo delle posizioni teoriche sui fatti storici, quanto ilpericolo di impoverire o acriticamente esaltare il passatosenza curarsi del rispetto delle diverse posizioni. Biso-gnava liberare allora la ricerca storiografica da ogni con-dizionamento speculativo, per recuperare le dottrine nel-la trama della situazione di cultura da cui erano sorte,nel loro rapporto con le scienze e nella loro dimensioneteorica non distorta dallurgenza di problemi a esseestranee64.

    Il lavoro condotto dalla rivista sin dai primi anni divita e la produzione storiografica di Dal Pra stesso, chetra il 1949 e il 1951 diede alle stampe opere importantidedicate a Hume e allo scetticismo greco, ai filosofi me-dievali e alla storiografia filosofica antica, contribuironoin maniera rilevante al rinnovamento della storia dellafilosofia come disciplina autonoma65. La centralit dellaquestione storiografica, agli inizi degli anni 50, trova-va del resto il suo riconoscimento accademico con lin-gresso di Dal Pra alla Statale, dove il terreno gi disso-dato da Banfi e in parte dalla sua scuola aveva creatocondizioni propizie per fare di Milano, accanto ad altresedi universitarie come Torino (dove operava il gruppolegato ad Abbagnano) e Firenze (dove insegnava Euge-

    Mario Dal Pra, in La storia della filosofia come sapere storico. Studi offerti aMario Dal Pra, Milano, Angeli, 1984, pp. I-X e Mario Dal Pra, Rivista distoria della filosofia, XLVIII, 1993, pp. 231-37, nonch A. Santucci, Ma-rio Dal Pra filosofo e storico della filosofia, Rivista di filosofia, LXXXV,1994, pp. 67-97, raccolto nel volume Empirismo, pragmatismo, filosofia ita-liana, Bologna, Clueb, 1995, pp. 215-42.

    64 M. Dal Pra, Premessa, Rivista di storia della filosofia, I, 1946, pp.1-3.

    65 Cfr. in proposito gli studi raccolti in Mario Dal Pra e i cinquantan-ni della Rivista di storia della filosofia, a cura di M.A. Del Torre, Mila-no, F. Angeli, 1998.

  • Massimo Ferrari72

    nio Garin), uno degli avamposti del rinnovamento post-idealistico. Lo documenta bene un volume del 1951 in-titolato Problemi di storiografia filosofica, in cui eranoraccolti contributi di Banfi, Preti, Dal Pra e del giovanePaolo Rossi e che affrontava nodi delicati come il rap-porto tra continuit e discontinuit nella storia della fi-losofia (ci che a Preti pareva dipendere dalla rotturache interviene o meno negli apparati categoriali) oppureil nesso tra verit e storia. E qui Dal Pra ammonivaa non annullare il passato nelleterno presente della veri-t o nel limbo altrettanto intemporale dellerrore: soloevitando questa duplice tentazione si poteva individua-re il significato del tempo duna filosofia, restituendolaal tessuto di azioni e reazioni di pensiero e di vitache laveva generata66.

    Erano temi cruciali, destinati a impegnare la partepi viva della cultura filosofica italiana. La rivista di DalPra ebbe una funzione di primo piano in questa discus-sione, tanto da ospitare tra il 56 e il 57 gli interventiallincontro di Firenze (Abbagnano, Dal Pra, Garin,Paci, Preti, Bobbio, Rodolfo Mondolfo, Andrea Vasa) e sempre nel 56 lilluminante saggio sulla storiografiafilosofica in Italia di Paolo Rossi (che aveva lavoratocon Banfi alla Statale)67. Daltra parte la Rivista criticadi storia della filosofia contribuiva a promuovere nuoviparadigmi di indagine storiografica, sollecitando lapertu-ra nei confronti di autori e correnti rimasti ai marginidel panorama italiano. Tra il 1951 e il 1955, ad esem-pio, uscirono tre fascicoli monografici rispettivamentededicati a John Dewey, a Bertrand Russell e a Rudolf

    66 M. Dal Pra, Logica teorica e logica pratica nella storiografia filosofica,in Problemi di storiografia filosofica, Milano, Bocca, 1951, pp. 33-64. Il sag-gio di Preti, Continuit e discontinuit nella storia della filosofia, che com-pare alle pp. 65-84, ristampato anche nei Saggi filosofici, cit., vol. II, pp.217-43.

    67 Paolo Rossi, Sulla storiografia filosofica italiana, Rivista critica distoria della filosofia, XI, 1956, pp. 68-99, raccolto poi in versione amplia-ta nel volume Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Ei-naudi, 1975, pp. 17-69.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 73

    Carnap, con la collaborazione tra gli altri di Banfi e diGeymonat, di Preti e di Abbagnano (oltre che dellostesso Dal Pra). Sulle pagine della rivista si intrecciava-no cos gli autori e le idee che contemporaneamente, inprevalenza tra Milano e Torino, erano al centro del pro-getto di rinnovamento coltivato dal neoilluminismo edalla trasfigurazione dellesistenzialismo in una filoso-fia di orientamento metodologico, attenta alle tecnichedella ragione e ai campi dellesperienza delimitati dallevarie scienze (della natura e del mondo umano). I pro-grammi enunciati da Abbagnano e Geymonat e le di-scussioni condotte con inusuale stile collettivo negli in-contri periodici a Milano, a Torino e a Firenze tra il1953 e la fine degli anni 50 venivano puntualmente ri-feriti e commentati dalla rivista di Dal Pra (o in alterna-tiva dalla torinese Rivista di filosofia), creando cos unasse filosofico che passando anche per Pavia univauna parte delluniversit torinese e una parte di quellamilanese nel tentativo di una terza via, alternativa aidue blocchi del marxismo e della filosofia cattolica68.

    Dal Pra, per parte sua, aveva assunto inizialmenteuna posizione critica nei confronti delle proposte neoil-luministiche. Ne condivideva il progetto culturale elethos critico, ma si chiedeva se affermando il caratteresempre problematico della ragione (come faceva Abba-gnano) o rivendicando il criterio metodologico dellope-rativit come perno di una filosofia neorazionalistica(come faceva Geymonat) non si corresse il rischio dipostulare un minimo metafisico, una garanzia ultimacirca il senso dellessere. Per Dal Pra non si potevaproiettare sul reale lombra di un presupposto non sog-getto alla critica e al dubbio, che costituivano invece gliunici strumenti capaci di assicurare alluomo liniziativalibera, la prassi superatrice nei confronti di ci che

    68 Documenti e testi relativi ai dibattiti del neoilluminismo sono sta-ti ripubblicati nel volume Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia(1953-1962), a cura di M. Pasini e D. Rolando, Milano, Il Saggiatore,1990.

  • Massimo Ferrari74

    dato69. Insieme a Vasa (che insegn filosofia morale e fi-losofia della religione alla Statale dal 1953 al 1958) DalPra diede a questa posizione radicalmente critica ilnome non molto seducente di trascendentalismo dellaprassi, formula che designava una sorta di epoch neiconfronti di ogni assunto teoreticista e riabilitava lini-ziativa creatrice della prassi con tonalit attivistiche(Vasa era stato vicino allattualismo gentiliano), al di ldella pretesa di catturare la realt in strutture razionalidotate di stabilit permanente70. Ma il trascendentali-smo della prassi non ebbe vita lunghissima. Nella se-conda met degli anni 50 Dal Pra si avvicin progressi-vamente alle posizioni di Preti, il quale a sua volta erastato linterlocutore teoricamente pi agguerrito di Ab-bagnano e Geymonat in nome (sono parole di Dal Pra)di una tenue eredit kantiana e di un razionalismoconsapevole del fatto che in vista di un empirismo cri-tico si pu solo fare ricorso a una ragione minusco-la71. Questo avvicinamento a Preti rappresent unaspetto centrale nellitinerario di Dal Pra, tanto pi chelinquieta ricerca teorica di Preti non escludeva il lavorostorico (su Newton, su Leibniz, sul pensiero scientificoe la logica medievale) e la storiografia di Dal Pra a suavolta incrociava ripetutamente gli autori di Preti, daHume a Marx e a Dewey. In tal modo la ricerca storio-grafica trovava un punto di orientamento teorico nel-lempirismo critico difeso da Preti e che Dal Pra con-divideva nei suoi assunti di fondo72.

    69 M. Dal Pra, Critica, metafisica, immanentismo, Rivista di filosofia,XLIII, 1952, pp. 243-60.

    70 Cfr. M. Dal Pra, Sul concetto di criticit, Rivista critica di storiadella filosofia, VIII, 1953, pp. 1-13. Di Vasa si veda il volume Il problemadella ragione, Milano, Bocca, 1951, nonch la raccolta Logica, religione, fi-losofia. Saggi filosofici (1953-1980), Milano, Angeli, 1983, con unintrodu-zione di Dal Pra. Sul trascedentalismo della prassi cfr. M. Dal Pra F.Minazzi, Ragione e storia, cit., pp. 167-84, e F. Cambi, Razionalismo eprasssi a Milano (1945-1954), cit., pp. 129-61.

    71 M. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., p. 66.72 Per il debito di Dal Pra con Preti e la valutazione della sua opera

    cfr. i saggi raccolti in M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di Giulio

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 75

    Prima della chiamata a Firenze nel 1954, tra linse-gnamento liceale e lincarico allUniversit di Pavia, Pre-ti continuava per parte sua a dissodare il terreno sulquale si radicheranno le pagine pi famose di Praxis eempirismo. Certamente nellopera di Preti non semprefacile valutare il dosaggio delle componenti (empiristi-che, fenomenologiche, convenzionalistiche, kantiane),tanto pi che la riflessione sul problema della conoscen-za impostata in modo differente da quello classica-mente neoempiristico73. Ma queste tensioni sono purelegate alle diverse fasi della sua attivit e, almeno perquanto riguarda lultimo periodo tra Pavia e Milano, ilpunto di vista di Preti risente ancora delleredit delBanfi neokantiano, anche se le forme pure della ragionediventano strutture sintattiche, si collocano su un pianoconvenzionale e si caricano di una valenza linguistica aBanfi del tutto sconosciuta. Sulla base delle letture deineopositivisti viennesi, di Dewey, di Charles Morris, diCarnap, Preti impostava il problema del significato, del-la verificazione empirica, del rapporto tra linguaggio co-mune e linguaggio scientifico, consapevole di quanto siacentrale come scriveva in uno dei suoi lavori maggioridi questo periodo, uscito nella collana di Pubblicazionidella Rivista critica di storia della filosofia risalirea principii di costruzione concettuale in grado diprendere in rete i fatti, per ricomporli in struttureformali che abbiano il valore di elementi del sapere74.Tuttavia proprio questo risalire ai principii lelemen-to kantiano o neokantiano che Preti, tramite Banfi econ la mediazione di Cassirer, continua a condividere;ed in questa prospettiva che, tanto nei confronti di

    Preti, Napoli, Bibliopolis, 1988. Si veda anche G. Paganini, Dallempirismoclassico allempirismo critico. Le ricerche di Mario Dal Pra fra storia e teo-ria, Cenobio, XLVII, 1998, pp. 365-85.

    73 Cfr. P. Parrini, Preti teorico della conoscenza, in Il pensiero di GiulioPreti nella cultura filosofica del Novecento, a cura di F. Minazzi, Milano, F.Angeli, 1990, pp. 58-90.

    74 G. Preti, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, Milano, Bocca,1953, pp. 28-29, poi in Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 159.

  • Massimo Ferrari76

    Dewey quanto nei confronti delloperazionismo di Gey-monat, egli difende la funzione che compie in una di-sciplina scientifica quella struttura formale, cio sintatti-ca, che, quando c, la trasforma in scienza rigoro-sa75. Per entrare nellepistemologia vera e propria,dunque, bisognava ancora una volta compiere il duplicepasso su cui Preti aveva gi insistito in Idealismo e posi-tivismo: saldare il rivoluzionario principio di verifica-zione formulato dal neopositivismo con la fondamenta-le scoperta kantiana della dimensione trascendentale76.

    In maniera eterodossa e in parte polemica era questoun modo di conservare leredit di Banfi (ovviamentedel Banfi dei Principi di una teoria della ragione). Maera anche una maniera di prendere le distanze da altreposizioni uscite dalla scuola banfiana, come nel caso diPaci e del suo relazionismo. Con la filosofia milanesePaci continuava a confrontarsi, ma egli fu fondamental-mente un interlocutore esterno (e non di rado polemi-co) del neoilluminismo. A Geymonat e ad Abbagnano(con il quale condivideva la trasfigurazione dellesi-stenzialismo) Paci rimproverava di dissolvere nella mol-teplicit delle tecniche razionali lunit della ragione, enon per nulla scorgeva gi allora anticipando un temache sar poi ripetuto infinite volte nella successiva fasefenomenologica il pericolo di disumanizzazione dellaragione annidato nellantimetafisica del neopositivismo onella nevrosi della filosofia linguistica77. In realt lacomponente esistenzialistica, filtrata dalle discussioni conlo storicismo crociano e dalla rilettura di Vico, arricchi-ta da un singolare interesse per larte, la letteratura, la

    75 G. Preti, Dewey e la filosofia della scienza, Rivista critica di storiadella filosofia, VI, 1951, pp. 268-303, poi in Saggi filosofici, cit., vol. I,pp. 79-103 (qui p. 96).

    76 G. Preti, Due orientamenti nellepistemologia, Rivista critica di sto-ria della filosofia, V, 1950, pp. 200-17, poi in Saggi filosofici, cit., vol. I,pp. 53-77 (qui p. 65).

    77 E. Paci, Hegel e il problema della storia della filosofia, nel volumeVerit e storia. Un dibattito sul metodo della storia della filosofia, Asti,Arethusa, 1956, p. 156.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 77

    musica, rimaneva al centro del pensiero di Paci nei pri-mi anni 5078. Il relazionismo sostenuto nei saggi rac-colti in Tempo e relazione (1954) era il tentativo di ri-formulare i problemi del periodo esistenzialistico in unnuovo linguaggio, che attingeva a Dewey e Alfred NorthWhitehead (un autore molto frequentato da Paci) e la-sciava nellombra Sartre o Heidegger79. Ma il nodo eraancora quello della temporalit, del processo irreversibi-le che coinvolge tutto ci che esiste e rende possibile lanuova vita contro lastratta identit. La filosofia del-lidentit affermava Paci una filosofia dellessere;la filosofia dellirreversibilit una filosofia dellesisten-za80. In questa rinnovata versione della filosofia dellesi-stenza, che ancora una volta muoveva dal primato dellapossibilit sulla necessit, limportante era assicurare lacomunicazione, la relazione tra comparti altrimenti chiu-si o tra soggetti altrimenti destinati alla vita di monadiisolate. In quanto atteggiamento di carattere generale cos annunciava il programma di Paci il relazionismocerca di reagire ad una concezione della vita non orga-nica e tende ad una nuova enciclopedia del sapere81.Era una filosofia particolarmente indiscreta82, che ineoilluministi guardavano con qualche sospetto; ma eraanche una prospettiva non definitiva, capace di continuetrasformazioni e ogni volta in cerca di diversi equili-bri (come noter Dal Pra)83. Quando ritorner alla Sta-

    78 Per questa fase dellopera di Paci cfr. soprattutto i saggi raccolti neivolumi Il nulla e il problema delluomo, Torino, Taylor, 1950; Esistenziali-smo e storicismo, Milano, Mondadori, 1950 e Relazioni e significati, vol. I:Kierkegaard e Thomas Mann, Milano, Lampugnani, 1965. Si veda inoltreIngens sylva. Saggio sulla filosofia di G.B. Vico, Milano, Mondadori, 1949.

    79 Su questo punto cfr. la recensione di Tempo e relazione scritta daC.A. Viano per la Rivista di filosofia, XLV, 1954, pp. 321-27.

    80 E. Paci, Tempo e relazione, Torino, Taylor, 1954, 2a ed. Milano, IlSaggiatore, 1965, p. 14.

    81 Cfr. il saggio Prospettive relazionistiche, raccolto poi nel volume Dal-lesistenzialismo al relazionismo, Messina-Firenze, DAnna, 1957, pp. 9-42(qui p. 11).

    82 E. Paci, Tempo e relazione, cit., p. 37.83 M. Dal Pra, Introduzione a A. Civita, Bibliografia degli scritti di

    Enzo Paci, Firenze, La Nuova Italia, 1983, p. XX.

  • Massimo Ferrari78

    tale, nella seconda met degli anni 50, Paci sar alla ri-cerca appunto di un nuovo equilibrio, ma questa vol-ta nel segno di Husserl e del superamento del relazioni-smo in nome del mondo della vita.

    5. Fenomenologia, marxismo, scienze umane

    Nel 1957, alla morte di Bari, Paci venne chiamatoalla cattedra di Filosofia teoretica, mentre a Pavia il suoposto veniva occupato da Cantoni (che in precedenzaera stato a Cagliari e a Roma). Nello stesso anno morivaBanfi e Geymonat arrivava alla Statale (anche lui prove-niendo da Pavia) per salire sulla prima cattedra di filo-sofia della scienza istituita in Italia. Questi avvicenda-menti, mentre confermano i rapporti di buon vicinatotra Milano e Pavia, documentano anche linizio di unafase nuova, in cui il profilo della filosofia alluniversitStatale assume caratteri diversi, in sintonia del resto coni mutamenti che si delineano allorizzonte della culturafilosofica italiana nel suo complesso84.

    Tra la fine degli anni 50 e i primissimi anni 60 soprattutto la pubblicazione di tre libri a segnare questaparziale cesura: le due monografie di Paci su Husserl ela fenomenologia (Tempo e verit nella fenomenologia diHusserl del 1961 e Funzione delle scienze e significato del-luomo del 1963) e il volume di Geymonat su Filosofia efilosofia della scienza (1960), che segnano da un lato larinascita della fenomenologia nella filosofia italiana edallaltro lesaurimento dellesperienza neoilluministica, dicui Geymonat era stato uno dei protagonisti. Tuttavia ciche accomuna le nuove strade imboccate da Paci e Gey-monat al di l di una divergenza profonda non solo

    84 Per questultimo aspetto mi permetto di rinviare al mio saggio Lafilosofia italiana dal secondo dopoguerra al dibattito attuale, in Storia dellafilosofia, diretta da M. Dal Pra, vol. XI: La filosofia della seconda met delNovecento, a cura di G. Paganini, Padova, Piccin Nuova Libraria, 1998,tomo I, particolarmente pp. 67-84.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 79

    sulla fenomenologia husserliana, ma anche sul rapportotra la filosofia e le scienze in generale il recuperodel marxismo come interlocutore privilegiato della filo-sofia contemporanea: nel caso di Paci si tratta per diuna rivalutazione del marxismo occidentale (da Gyr-gy Lukcs a Ernst Bloch, passando per Sartre e MauriceMerleau-Ponty), mentre nel caso di Geymonat di una ri-presa del materialismo dialettico e della linea che dalloEngels della Dialettica della natura giunge al Lenin diMaterialismo e empiriocriticismo e dei Quaderni filosofici.

    Le aperture di Paci a Husserl, in particolare alloHusserl pi tardo della Crisi delle scienze europee e delmondo della vita, si erano fatte sempre pi insistentigi alla fine del periodo pavese, quando il relazionismoera stato messo in discussione sulla scorta di suggestioniche provenivano da Merleau-Ponty e dalla considerazio-ne delle ambiguit del vissuto nella sua irreversibile di-mensione temporale85. Le tappe di questo percorso sonoregistrate nel Diario fenomenologico, che si snoda dalmarzo 1956 al giugno 1961 e ben documenta il ritornoa Husserl incentrato sulluomo concreto, sul soggetto in-dividuale posto in relazione con gli altri soggetti nellaricerca intenzionale della verit, partendo dalla dimensio-ne precategoriale in cui si radica lorizzonte del sapere.Il mio tentativo annotava Paci il 10 settembre 1958 quello di influenzare la filosofia e la cultura italiane conla fenomenologia. La mia una fenomenologia relazioni-stica che vorrebbe tener conto di tutta la storia del pen-siero fenomenologico e superare lesistenzialismo86. Perconseguire questo ambizioso obiettivo Paci concepivalesercizio fenomenologico come una continua lotta con-tro la naturalizzazione e loggettivazione, per sottrarrelo spirito alla feticizzazione e alla morte87. In primo

    85 Cfr. E. Paci, Dallesistenzialismo al relazionismo, cit., p. 27.86 E. Paci, Diario fenomenologico, Milano, Il Saggiatore, 1961, 2a ed.

    Milano, Bompiani, 1973, p. 77.87 E. Paci, Tempo e verit nella fenomenologia di Husserl, Bari, Later-

    za, 1961, 2a ed. Milano, Bompiani, 1990, p. 26.

  • Massimo Ferrari80

    piano Paci collocava i temi della monade-soggetto e del-la sfera precategoriale che avevano impegnato lultimoHusserl, insistendo sulla genesi delle operazioni che pre-siedono alla costituzione delle scienze e sulla tensioneteleologica che orienta la ricerca fenomenologica di unascienza rigorosa. La fenomenologia husserliana es-senzialmente scienza del mondo della vita, che nonpone le categorie al posto della realt vissuta, quantopiuttosto le riporta alla realt vissuta dalla quale ogniscienza dipende88. Poste queste premesse, Paci ripren-deva i motivi della temporalit, della storia, della rela-zione che spezza ogni necessitarismo e assegnava allafenomenologia la funzione di riscattare lesistenzaumana dalla visione feticistica delle cose. Alla crisi del-le scienze europee diagnosticata da Husserl veniva cosprospettata una soluzione rivoluzionaria, che partendodal radicale umanesimo insito nella fenomenologia in-contrava il marxismo in quanto critica di una societ di-sumana e irrazionale, fondata sul dominio della tecnicae sulla riduzione delluomo a cosa. Queste conseguenzeerano al centro dellaltro libro di Paci, in cui il para-dosso (sono sue parole) dellincontro tra Husserl eMarx veniva ampiamente illustrato ricorrendo al Marxdegli konomisch-philosophische Manuskripte, al Sartredella Critique de la raison dialectique, a Merleau-Ponty,al Lukcs di Geschichte und Klassenbewutsein. La sco-perta che le scienze sono in crisi in quantro asservite alcapitalismo cos scriveva Paci la scoperta delmarxismo allinterno della fenomenologia. La lotta con-tro il categoriale, e il ritorno al soggetto per la fonda-zione delle scienze e della stessa filosofia, lotta controil capitalismo, mentre lanalisi disoccultante ritornoalle cose stesse [...] per costruire una libera societ so-cialista89.

    88 E. Paci, Tempo e verit nella fenomenologia di Husserl, cit., p. 144.89 E. Paci, Funzione delle scienze e significato delluomo, Milano, Il Sag-

    giatore, 1963, 2a ed. 1975, p. 463.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 81

    Quello proposto da Paci era un abbraccio fatale,comment subito Bobbio, preoccupato del valore salvifi-co che si tornava ad attribuire alla filosofia90. Poco pri-ma Preti, sconcertato dalla fortuna italiana dellultimoHusserl, aveva usato parole ancora pi pesanti, tacciandocome tentativo reazionario il voler riabilitare la grevemetafisica idealistica annidata nella Lebenswelt91. Pacituttavia non era toccato da queste obiezioni, anche se eraben consapevole del fatto che insieme alleredit di Hus-serl era in gioco anche quella di Banfi e della sua letturadella fenomenologia. Ma il suo progetto si estendeva e sicomplicava, diveniva labbozzo di unenciclopedia fenome-nologica e coinvolgeva una cerchia di giovani allievi cheportavano nuovi materiali per ledificazione del marxismofenomenologico. Husserl, intanto, veniva tradotto e stu-diato con intensit prima sconosciuta, grazie anche alleiniziative editoriali di Paci e al canale privilegiato costi-tuito dalla collana La cultura (creata nel 1958) e dallaBiblioteca di filosofia e metodo scientifico della casaeditrice Il Saggiatore. Tra il 1960 e il 1968 (quandouscirono le Ricerche logiche) Husserl tradotto in italianofu certamente grazie a Paci e alla sua ripresa della fe-nomenologia uno dei passaggi decisivi per la forma-zione filosofica di una generazione, a Milano e non soloa Milano.

    Allincirca in quegli stessi anni Geymonat era inveceil protagonista di unaltra operazione filosofico-culturale.Appena approdato a Milano Geymonat aveva avviatouna collana di filosofia della scienza presso Feltrinelli(ma i primi volumi a uscire furono i manuali di logicadi Quine e di Ettore Casari); intanto, nel 57, avevapubblicato una monografia su Galilei (un Galilei diversoda quello banfiano) e limpegno nel campo della storia

    90 Ci riferiamo alla recensione di Funzione delle scienze e significatodelluomo, pubblicata da N. Bobbio sulla Rivista di filosofia, LV, 1964,pp. 318-22.

    91 Si tratta di una recensione (apparsa nel 1961 su Paese sera) dellatraduzione italiana della Crisi delle scienze europee, raccolta poi nei Saggi fi-losofici, cit., vol. I, p. 453.

  • Massimo Ferrari82

    della scienza sarebbe proseguito con altre iniziative edi-toriali (come la collana dei Classici della scienza,inaugurata nel 1964 presso la Utet). Infine, nel 1960,era uscito Filosofia e filosofia della scienza, dove Geymo-nat si richiamava alla gloriosa tradizione italiana aper-ta da Federigo Enriques per legittimare linquadramentodella filosofia della scienza in una prospettiva radical-mente storicistica92. Ora lapertura al mutamento stori-co delle teorie scientifiche imponeva una correzione (al-meno per limmagine che se ne aveva allora) del neopo-sitivismo viennese, di cui Geymonat era stato il conosci-tore pi accreditato in Italia sin dagli anni 30; ma nelvolume del 1960 si profilava al tempo stesso unaltranovit rilevante. Emergeva infatti unopzione filosofica,qualificata esplicitamente come realistica e materialistica,purch intesa precisava Geymonat nel senso di unmaterialismo non metafisico93; e alla base di questoorientamento vi era la speranza di poter aprire un di-battito serio [...] sui rapporti tra marxismo, neopositivi-smo e pratica scientifica nel momento in cui, dopo ifatti di Ungheria e la crisi dellintelligenza di sinistra, siaprivano nuovi spazi per un marxismo diverso da quellogramsciano sempre criticato da Geymonat94.

    Agli inizi degli anni 60 Geymonat, non diversamenteda Paci, individuava dunque nella sintesi con il marxi-smo loccasione per imprimere una svolta alla culturaitaliana. Ma mentre Paci guardava a quella che ErnstBloch chiamer la corrente calda del marxismo (Bloch,per inciso, fu uno degli autori rivalutati da Paci e da al-cuni dei suoi allievi), Geymonat pensava a rilanciare ilmaterialismo dialettico engelsiano-leniniano allinsegna

    92 L. Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza, Milano, Feltrinelli,1960, 5a ed. 1970, p. 9.

    93 L. Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza, cit., p. 158.94 Cfr. L. Geymonat, Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e po-

    litica, a cura di G. Giorello e M. Mondadori, Milano, Il Saggiatore, 1979,p. 104. Ma si veda pure larticolo del 1956 Troppo idealismo, raccolto inContro il moderatismo. Interventi dal 45 al 78, a cura di M. Quaranta,Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 93-97.

  • La filosofia allUniversit Statale di Milano 83

    del realismo, del carattere processuale e dialettico dellaconoscenza scientifica e della sua natura di riflesso dellarealt. Quando questo progetto muoveva i primi passi,la discussione sulla dialettica era del resto allordine delgiorno. Il dibattito su Rinascita che vide la partecipa-zione di tutti i maggiori filosofi marxisti italiani del1962 (vi prese parte anche Paci) e di quella querelle pure testimonianza il libro di Dal Pra su La dialettica inMarx (1965). Ma Geymonat impostava un lavoro piambizioso, che culminer nellimponente Storia del pen-siero filosofico e scientifico pubblicata tra il 1970 e il1972 (con la collaborazione di vari allievi) e poi nel vo-lume su Scienza e realismo, canto del cigno della conce-zione materialistico-dialettica della conoscenza scientificacome insieme di successivi approfondimenti della real-t esterna e indipendente95. In realt lincidenza sulmarxismo, sulla filosofia della scienza e pi in generalesulla cultura italiana che Geymonat aveva sperato di po-ter esercitare fu assai inferiore alle attese, n bastava chealcuni studiosi formatisi alla sua scuola (Enrico Bellone,Silvano Tagliagambe, Giulio Giorello) pubblicassero in-sieme al maestro un volume dedicato allattualit delmaterialismo dialettico96.

    La centralit che il marxismo veniva ad assumerenella comunit filosofica milanese non esaurisce per ilpanorama dei tardi anni 60 e dei primi anni 70. In real-t, anche per merito di Paci e della rinascita fenome-nologica, si delineava al tempo stesso una crescente at-tenzione per le scienze umane, della cui integrazionenellenciclopedia fenomenologica Paci era convinto as-sertore. Lantropologia strutturale di Claude Lvi-Strausse, pi in generale, lo strutturalismo (in primo luogo lostrutturalismo linguistico) fecero infatti il loro ingressoin Italia in buona parte grazie alla mediazione di Paci ela collana Biblioteca di scienze delluomo del Saggia-

    95 L. Geymonat, Scienza e realismo, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 74.96 Cfr. E. Bellone L. Geymonat G. Giorello S. Tagliagambe, At-

    tualit del materialismo dialettico, Roma, Editori Riuniti, 1974.

  • Massimo Ferrari84

    tore rappresent il canale attraverso il quale affluirononella cultura italiana molte delle opere di Lvi-Strauss(Il pensiero selvaggio usc nel 1964, Tristi tropici e An-tropologia strutturale nel 1966). Loperazione condottada Paci scontava per il limite di voler fornire tramitelultimo Husserl una fondazione filosofica dello strut-turalismo di Lvi-Strauss, gravando in tal modo lantro-pologia strutturale di una sorta di coscienza critica97.Era una prospettiva che andava tutta nella direzione diPaci, ma assai meno in quella della versione originariadello strutturalismo che si voleva integrare filosoficamen-te; e non un caso che tra alcuni allievi di Paci si ma-nifestasse invece molta pi cautela sulluso di filtri fe-nomenologici e sul ricorso a opzioni filosofiche pi ge-nerali, che rischiavano di rendere marginali o di oscurarei problemi pi fecondi dellantropologia strutturale98.

    Pur con tutti i limiti di un massiccio fenomeno diimportazione tipico della cultura filosofica post-bellica,liniziativa di Paci lasci un segno. Tuttavia non era soloil suo progetto fenomenologico ad alimentare linteresseper le scienze umane: nel 1963, presso Il Saggiatore,Cantoni ripubblicava (con integrazioni e modifiche) il li-bro sul pensiero dei primitivi, al quale aggiungeva il sot-totitolo Preludio a unantropologia. Un simile prelu-dio assumeva per un significato diverso rispetto al-lepoca in cui Cantoni aveva esordito in questo campodi studi: non solo, infatti, era ormai caduto in prescri-zione lostracismo che la filosofia idealistica aveva pro-nunciato contro le scienze umane, ma era cresciuto adismisura linteresse delluomo occidentale per leesperienze culturali lontane dal suo mondo e dal suoorgoglio etnocentrico. In questo mutamento di paradig-

    97 Cfr. F. Remotti, Filosofia italiana e strutturalismo: un contatto fugge-vole, in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a cura di Pie-tro Rossi e C.A. Viano, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 307. Per alcuni degliinterventi di Paci sullantropologia strutturale cfr. Idee per unenciclopediafenomenologica, Milano, Bompiani, 1973, pp. 319-78.

    98 Cfr. A. Bonomi, Implicazioni filosofiche dellantropologia di ClaudeLvi-Strauss, aut aut, n. 96-97, 1966-1967, pp. 47-73.

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    ma Cantoni scorgeva anche la fine di un borioso uma-nismo anti-scientifico e di un insipiente divorzio traun umanismo antiquato e una concezione invecchiatache perpetua il duplice equivoco di una scienza priva diautentici valori umanistici e culturali e di una culturache possa stare in vita senza vero nutrimento scientifi-co99. In tal modo questa enunciazione programmaticavoleva essere anche un preludio al necessario ricono-scimento dellantropologia culturale come disciplina ac-cademica, ci che in effetti inizi a verificarsi negli annisuccessivi e che fu reso possibile grazie alliniziativa diCantoni, allorch da Pavia egli fece ritorno nellateneomilanese per insegnarvi sino alla morte nel 1978100.

    6. Continuit e discontinuit di una tradizione

    La chiamata di Cantoni alla cattedra di Filosofia mo-rale nel 1967 cadeva alla vigilia della contestazione stu-dentesca che di l a poco avrebbe coinvolto anche la co-munit accademica della Statale. Di quegli eventi pro-prio Cantoni fu un osservatore estremamente critico, siasotto il profilo della denuncia dellubriacatura ideologicache forniva abbondante materiale per unantropologiaquotidiana101, sia dal punto di vista strettamente filoso-fico, come attestato da un articolo del 1969 dedicatoa Herbert Marcuse. Qui la critica delledonismo marcu-siano si saldava alla denuncia della patetica apologiadellindividuo, che alimentava il Grande Rifiuto dellasociet industriale in nome di un anti-conformismo de-stinato a rovesciarsi in un nuovo e pi insidioso confor-mismo. Del resto non sfuggiva a Cantoni come molti

    99 R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, cit., p. 11.100 Cfr. F. Remotti, I primitivi in noi: lantropologia di Remo Cantoni,

    cit., p. 81. Sul diritto di cittadinanza dellantropologia culturale nellam-biente accademico italiano cfr. Pietro Rossi, Filosofia e scienze sociali, in Lacultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 (Atti del Convegno di Anacapri,giugno 1981), Napoli, Guida, 1982, pp. 122-23.

    101 Cfr. R. Cantoni, Antropologia quotidiana, Milano, Rizzoli, 1975.

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    dei temi che percorrevano le pagine di Marcuse avesse-ro radici lontane, da Schiller allirrazionalismo tedescodegli anni 20 del Novecento: di qui il monito a non ca-dere in illusioni gi consumate e, al tempo stesso, linvi-to a compiere lunica rivoluzione continua ancorapossibile: quella di una intelligenza critica che nonsmobilita102. Non per nulla Cantoni dedicava una dellesue ultime fatiche al pensiero di Hartmann, un filosofoche certo non poteva essere considerato attuale. Ma ilvolumetto su Hartmann obbediva a un disegno di schie-ramento controcorrente: era un elogio del pensieroproblematico, che non nasconde le aporie del realeed capace di rafforzare il ruolo della filosofia in unmondo che la vuol ridurre in una posizione subalternao ancillare103. Lethos della filosofia, cos come lavevaintesa Hartmann, richiedeva che si riconoscesse lesisten-za di alcuni grandi problemi, per affrontare i quali nonsi pu rinunciare a un minimum metafisico, n tantomeno ci si pu piegare alla strumentalizzazione politicao ideologica. Nei termini di un moralismo conservatore,Cantoni insisteva cos sul valore del dubbio criticocontinuo e sullinvito a non dimenticare che le vererivoluzioni sono anche recuperi di valori perduti104.

    Su un versante distante, ma tuttaltro che in contrap-posizione con lethos sottolineato da Cantoni, un mododi far filosofia lontano da ideologismi e utopie rigenera-trici veniva difeso da Uberto Scarpelli, professore di Fi-losofia del diritto ed esponente di spicco della scuolaanalitica nord-occidentale di cui egli stesso avrebbetracciato un esauriente bilancio critico105. Allievo a Tori-

    102 R. Cantoni, Lantropologia immaginaria di Marcuse, Rivista di filo-sofia, LX, 1969, pp. 243-88, poi raccolto con il titolo Lutopia come piace-re nel volume Il senso del tragico e il piacere, prefazione di N. Abbagnano,Milano, Editoriale Nuova, 1978, pp. 145-206

    103 R. Cantoni, Che cosa ha veramente detto Hartmann, Roma, Ubaldi-ni, 1972, p. 6.

    104 R. Cantoni, Che cosa ha veramente detto Hartmann, cit., pp. 14, 19, 21.105 Cfr. U. Scarpelli, Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana

    dal 1945 al 1980, cit., pp. 173-99.

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    no di Bobbio e Gioele Solari, influenzato dallesistenzia-lismo di Abbagnano e dalla sua trasfigurazione, Scar-pelli aveva trovato a Milano un interlocutore di primopiano in Renato Treves, titolare dal 1949 della cattedradi Filosofia del diritto e poi di Sociologia del diritto.Treves aveva studiato e tradotto per primo in Italialopera di Hans Kelsen, un autore che influenzer ancheScarpelli nelle sue ricerche sul linguaggio giuridico enormativo; tuttavia Scarpelli si riferiva soprattutto ai ma-estri anglosassoni dellanalisi filosofica e in particolareallopera di Richard M. Hare, che consentiva di usciredalle secche dellemotivismo etico sostenuto dal primoneopositivismo. Al tempo stesso, per, Scarpelli nonperdeva di vista un programma di politica culturale, cheegli (come altri esponenti della sua generazione) si prefig-geva di realizzare importando e utilizzando filosofie ri-maste d