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KAHLO KAHLO Frida

Frida · District 1, Ho Chi Minh-City ... de, e con lo scialle scarlatto (rebo-so) sulle spalle, un ragazzo le si av- ... legati dal sottile nastro rosso del loro amore

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Frida Kahlo

Gerry Souter

1907-1954

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Autore: Gerry SouterRealizzazione: Baseline Co. Ltd.127-129A Nguyen HueFiditourist Building, 3rd floorDistrict 1, Ho Chi Minh-City (Vietnam)

© Confidential Concepts, worldwide, USA© Sirrocco, London, UK (English version)© Banco de México Diego de Rivera y Frida Kahlo Museums Trust. AV Cinco de Mayo n°2, Col.Centro Del. Cuauhtémoc 06059, México, D.F.

ISBN:

Tutti i diritti sono riservati, in Italia e all’estero, per tutti i Paesi. Nessuna parte di questo libro può essereriprodotta, memorizzata o trasmessa con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma (fotomeccanica, fotocopia,elettronica, chimica, su disco o altro, compresi cinema, radio, televisione) senza autorizzazione scritta da partedell’Editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà d’ufficio a norma di legge.L’editore assicura di aver posto la massima attenzione nel rintracciare i fotografi aventi diritto sulle immagini esi dichiara fin da ora disponibile per quanti non fosse riuscito ad identificare o contattare.

Frida Kahlo

978-1-78042-260-2

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Introduzione 7

Quell’evento tremendo 11

La morte dell’innocenza 25

Señora Diego Rivera 39

Una questione d’arte 67

“Mi servono urgentemente i quattrini” 97

“Viva la vita, la gioia, Diego…” 125

Conclusione 147

Biografia 156

Indice delle opere 157

Bibliografia 158

Note 159

Sommario

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Il viso sereno, avvolto da una ghirlanda di capelli di un colore intenso. Il corpo spigoloso,

cicatrizzato, spaccato e appassito, che una volta era Frida Kahlo, si è arreso alle fiamme

della camera ardente. Quelle fiamme che, riscaldando il suo ultimo giaciglio – la lastra di

ferro – incenerivano la carne morta, mettendo fine a quel corpo di Giuda, contenitore della

sua anima. La sua immagine incandescente nell’attimo della sua morte brillava reale quanto i

suoi ritratti dipinti in vita. Man mano che le sue ceneri bruciavano, e si raffreddavano, il buio

calava sul suo nome, sulla sua opera e sulla sua familiarità, breve, con il successo. Diventò una

nota a piè pagina, un “talento promettente”, appassendo per sempre all’ombra del marito, il

famoso muralista messicano Diego Rivera. Lo dimostra l’affermazione di un critico d’arte del

“New York Times” che pronunciò queste parole sbadigliando davanti a uno dei suoi quadri:

«dipinto da una delle ex-mogli di Rivera».

Frida Kahlo rischiò di morire trent’anni prima in un tremendo incidente di autobus, ma il suo

corpo, dilaniato e distrutto, ha resistito abbastanza da creare una leggenda e una collezione di

opere, riapparse trent’anni dopo la sua morte. Fu solo allora che i suoi dipinti sfondarono: que-

sto nuovo mondo fu finalmente pronto a riconoscere e accettare il suo talento. Ci si accorse al-

lora che le sue opere costituivano un diario visivo, una manifestazione esteriore di un dialogo

interiore, spesso un grido di dolore. Davano forma a ricordi, a paesaggi dell’immaginazione, a

scene appena intraviste o a ritratti accuratamente analizzati. I dipinti, con quella loro gamma

simbolica di colori, servirono alla pittrice a tenere a distanza la pazzia e la prigione claustrofo-

bica dei busti di gesso e d’acciaio. Il suo vocabolario personale, costituito da un immaginario

iconico, rivela in che modo Frida divorasse la vita, amasse, odiasse e percepisse la bellezza. I

suoi dipinti, insieme alle parole, alle pagine di diario e ai ricordi che i contemporanei lasciaro-

no di lei, si accompagnano a un quotidiano vissuto a ritmi incalzanti, sincopati. Un’esistenza

che diventa la testimonianza di un audace autoritratto collettivo, che la pittrice termina – per

quanto possibile – come desidera.

Benché l’artista e la persona fossero inscindibili come una sola entità, molte sono le maschere

che Frida indossò. In mezzo a pochi intimi, dominava la scena con i suoi commenti brillanti

ed esuberanti, grazie alla sua singolare identificazione con i contadini messicani e allo stesso

tempo la distanza da questi, il suo sarcasmo nei confronti degli europei e delle loro etichette –

impressionisti, post-impressionisti, espressionisti, surrealisti, realisti sociali ecc. –, europei in

cerca di denaro, di ricchi mecenati o di un posto nelle accademie. Tuttavia, man mano che la

sua opera maturava, Frida desiderava riconoscimento per se stessa e per i suoi quadri, un tem-

po dati via alla leggera, come souvenir.

Autoritratto “Tempo vola”, 1929,

olio su masonite, 86 x 68 cm,

collezione privata, USA.

Introduzione

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Ciò che era iniziato come un passatempo inondò con grande rapidità la sua vita. Le sue

conversazioni erano disseminate da slang di strada e da volgarismi che, probabilmente, ser-

vivano a celare l’imbarazzo per la sua statura minuta, l’educazione cattolica e l’amore con-

servatore per le abitudini tradizionali messicane. Un giorno, mentre girovagava per New

York vestita con il suo abito rosso di Tehuantepec, con gioielli impreziositi da antiche gia-

de, e con lo scialle scarlatto (rebo-

so) sulle spalle, un ragazzo le si av-

vicinò e le chiese: «È arrivato il cir-

co in città?» Ovunque andasse, era

considerata un personaggio da pal-

coscenico, una sorta di contraddit-

toria scultura dadaista da collezio-

ne. La sua vita interiore oscillava

tra esuberanza e disperazione. Af-

frontò, infatti, dolori quasi costan-

ti per lesioni alla spina dorsale, alla

schiena, al piede e alla gamba de-

stra, per infezioni, aborti causati da

virus, nonché continue cure speri-

mentali somministrate dai suoi

medici. L’unica gioia costante della

sua vita fu Diego Rivera, suo mari-

to, il suo principe-ranocchio, un

grasso comunista dagli occhi spor-

genti e dai capelli arruffati e una

reputazione da dongiovanni. Frida

tollerò le sue infedeltà ed ebbe lei

stessa relazioni in tre continenti,

con uomini forti e con donne at-

traenti. Ma alla fine, Diego e Frida

ritornarono sempre insieme come

due animali feriti, sconquassati

dalla loro arte, dalla politica e dai

loro temperamenti vulcanici, legati dal sottile nastro rosso del loro amore. I dipinti di Fri-

da su metallo, tavola e tela, con le loro prospettive piatte da murales, i margini rigidi e le cur-

ve improvvise di colore, riflettevano l’influenza di Diego Rivera. Ma mentre lui dipingeva ciò

che vedeva all’esterno, lei sviscerava se stessa, primo soggetto della propria arte. Quando, negli

anni Quaranta, l’abilità tecnica e una maturata capacità espressiva affilarono il suo tocco, quel

Autoritratto con collana di spine,

1940, olio su tela, 63,5 x 49,5 cm,

Humanities Research Center,

University of Austin (Texas).

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Il Sogno o Il letto, 1940,

olio su tela, 74 x 98,5 cm,

Collezione Isidore Ducasse, Francia.

corpo di Giuda la tradì e la privò della capacità di realizzare immagini attingendo alla sua psi-

che sfinita. Presto non le rimase più niente, se non qualche narcotico e un quarto di brandy al

giorno. Diego le rimase accanto mentre la fine si avvicinava, come fece la sua nazione, che len-

tamente comprese il valore di quel tesoro. Frida non ricevette alcun riconoscimento dalla sua

terra natale fino agli ultimi anni di vita: la sua unica mostra si tenne là dove ebbe inizio la sua

vita e si consumò nell’arco di 47 anni. Quando morì, gli occhi di quella vita rimasero al di là

del quadro, ad osservarci con uno sguardo di sfida.

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Da giovane, ovunque andasse, Frida affrontava la vita di corsa, come se avesse po-

co tempo e troppe cose da fare. Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderon nac-

que il 6 luglio 1907 a Coyoacan, Messico. Era un’epoca in cui scappare, nascon-

dersi e imparare a identificare velocemente l’esercito che si avvicinava al villaggio erano doti

importanti per la sopravvivenza quotidiana dei civili messicani. Frida abbandonò lo spelling

tedesco del suo nome, ereditato dal padre, Wilhel (modificato in Guillermo), un ungherese

allevato a Norimberga. Sua madre, la primogenita Matilde Calderon, cattolica devota, era

una mestiza metà indiana e metà europea, con una visione profondamente conservatrice e re-

ligiosa riguardo al ruolo della donna nel mondo. Guillermo, il padre di Frida, era invece un

artista, un fotografo di rilievo, che incoraggiò sempre Frida a pensare a se stessa. Viveva cir-

condato dalle figlie ne La Casa Azul (La casa azzurra), all’angolo tra Londres e Allende Streets

a Coyoacan. Nella vita di tutti i giorni, egli si legò a Frida come a un figlio maschio, convin-

to che la bambina avrebbe seguito i suoi passi nelle arti creative. Egli fu la sua prima vera gui-

da. La tenne lontana dai ruoli tradizionali, accettati dalla maggior parte delle donne messica-

ne, e la trasformò nella propria assistente. Frida cominciò così a imparare il mestiere, seppur

con poco entusiasmo nei confronti della macchina fotografica, e a viaggiare con lui per soste-

nerlo in caso di crisi epilettiche, di cui soffriva.

Guillermo Kahlo era un uomo orgoglioso, meticoloso, abitudinario e con molti interessi in-

tellettuali: amava suonare musica classica, dipingere e godere dell’arte. I suoi quadri a olio e

acquarelli erano di qualità mediocre, ma sufficiente ad affascinare la giovane figlia. Frida lo

osservava rapita mentre ritoccava le foto con un piccolo pennello o creava scene su tele bian-

che – preferiva ammirarlo in quei momenti, piuttosto che nell’atto di cancellare i doppi men-

ti dagli inutili ritratti dei suoi clienti. Guillermo fu sempre intrappolato in una “doppia vita”:

era un uomo attivo, ma dovette sempre fare i conti con l’epilessia. Un giorno venne colto da

una violenta crisi mentre si trovava per strada e Frida, inginocchiata accanto a lui, cercò di far-

gli riprendere coscienza con la bottiglia di etere, attenta non farsi rubare la macchina fotogra-

fica. Guillermo suonava la sua musica e leggeva i libri della sua fornita libreria, ma dentro di

sé era continuamente preoccupato per il sostentamento della propria famiglia. Più tardi Frida

dirà che portava una maschera, la “maschera della tranquillità”: non si accorse, forse, di aver

adottato lo stesso apparente autocontrollo nei momenti più neri della sua vita, mai disposta a

mostrare ciò che stava al di là di quel volto, oltre l’immagine stoica che proiettava di sé.

Frida Kahlo era una ragazzina sensibile, coccolata e spesso assecondata. Durante la sua giovi-

nezza, il padre ottenne un incarico importante dal governo di Porfirio Diaz, che gli affidò il

Autoritratto con i capelli sciolti, 1947,

olio su fibra dura, 61 x 45 cm,

collezione privata.

Quell’evento tremendo

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compito di documentare l’architettura messicana attraverso le sue fotografie, per trasmettere

al mondo l’immagine di un Messico ricco e prospero e richiamare così investimenti stranie-

ri. Dal 1876, egli fu presidente del Messico per trent’anni – con una breve pausa dal 1880 al

1884 – e adottò una filosofia “darwiniana” per governare il Paese: la teoria del “sopravviva il

migliore” era come una garanzia per i ricchi e le persone di successo, che potevano giovare del

denaro statale e di piani di sviluppo, che non favorivano per nulla i contadini meno produt-

tivi. Ed effettivamente, il Messico diventò uno dei paesi più prediletti per il commercio in-

ternazionale, economicamente competitivo per il basso costo dei minerali e della manodope-

ra. La cultura e i costumi europei cominciarono così a prendere piede, mentre le tradizioni

messicane e indiane iniziavano a cadere nell’oblio. Diaz scelse personalmente Guillermo Kha-

lo per mostrare il lato migliore del Messico agli investitori stranieri, permettendo al fotogra-

fo di fare un notevole salto di qualità: dai panni di ritrattista itinerante a quelli di membro

dell’ambita middle class.

Kahlo non perse tempo: comprò un lotto di terreno nella vicina Coyoacan, nella periferia di

Città del Messico, dove costruì La Casa Azul, una tradizionale abitazione messicana – di co-

lore blu intenso e finiture rosse – con stanze che davano su un cortile interno. Nel 1922, per

assicurare a Frida un’educazione al di sopra della media, la iscrisse alla libera Scuola Prepara-

toria Nazionale di San Ildefonso. Il suo ruolo nella classe divenne presto attivo, insieme a

quello di studenti maschi che sarebbero poi diventati intellettuali e personalità politiche del

governo messicano. Frida accolse la nuova libertà, ben diversa rispetto alla routine domestica

a cui era abituata, e si ritrovò spesso in compagnia di una combriccola di studenti all’interno

della struttura sociale scolastica.

Divenne parte integrante del gruppo d’intellettuali bohemien Cachucas – così chiamati per

il tipo di cappello che indossavano – il cui leader era Alejandro Gomez Arias. Nei suoi nu-

merosi interventi, di fronte a questo pubblico piuttosto elitario e variegato, egli sosteneva che,

per ridare un nuovo periodo di luce al Messico, occorrevano «ottimismo, sacrificio, amore,

gioia» e una leadership audace. Il suo aspetto gradevole, i suoi modi sicuri e una notevole in-

telligenza agirono come una calamita sulla giovane Frida.

D’altra parte, fu proprio questo il genere di uomo che veniva attratto dalla personalità di Fri-

da: una volta conquistati, essi finivano col cadere nelle maglie della sua passione possessiva.

Tuttavia, ad ogni nuova conquista la ragazza di campagna si stupiva, domandandosi che co-

sa vedessero in lei quegli uomini così forti.

Frida era bassa, scura, minuta e storpia. All’età di tredici anni fu colpita da un attacco di po-

liomielite, che paralizzò la sua gamba destra rendendola più corta della sinistra. I bambini del

vicinato la schernivano gridandole pata de palo, “gamba di legno”. Per dissimulare il suo han-

dicap, indossava vari strati di calze sulla gamba magra, aggiungendo un centimetro e mezzo

di spessore al tacco della scarpa. Considerando lo stato della medicina in Messico negli anni

Venti – bagni di olio di noce e dosi di calcio – non era scontato che Frida riuscire a soprav-

Nella pagina a fianco:

San Nicola, 1932, datato 1937,

tecnica mista (acquerello

e matite) su carta, 23 x 27 cm,

Coll. J. Coronel Riveira, Messico.

Nella pagine successive:

Pancho Villa e Adelita, 1927 ca.,

olio su tela, 65 x 45 cm,

Museo de Arte de Tlaxcala,

Tlaxcala.

Ritratto di Miguel N. Lira, 1927,

olio su tela, 99,2 x 67,5 cm,

Museo de Arte de Tlaxcala,

Tlaxcala.

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vivere. Per tentare di rimediare al suo incedere zoppicante, si dedicò anche allo sport: corsa,

boxe, nuoto, wrestling, qualsiasi attività faticosa accessibile alle donne. Ma il suo sport mi-

gliore fu il dibattito intellettuale e in Arias trovò un vero compagno spirituale.

Nel 1923 Frida e Arias erano amanti e trascorrevano ore alla Biblioteca Ispanico-Americana,

dove si immergevano nelle pagine di Gogol, Tolstoj, Spengler, Hegel, Kant e altri scrittori eu-

ropei. Da queste e da altre letture, Frida sviluppò gradualmente una profonda affinità con il

socialismo e con il concetto di rivoluzione delle masse. Rimase una comunista schietta e im-

pegnata per tutta la sua vita, benché ritenesse che il concetto di socialismo e di rivoluzione

non fossero che parole in quel circolo di studenti arrampicatori sociali. Per dimostrare la sua

Ritratto di Eva Frederick, 1931,

olio su tela, 63 x 46 cm,

Museo Dolores Olmedo Patiño,

Città del Messico.