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GEOGRAFIA ECONOMICO–POLITICA 13 Collana diretta da Tullio D’Aponte

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GEOGRAFIA ECONOMICO–POLITICA

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Collana diretta daTullio D’Aponte

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DirettoreTullio D’APONTEUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Comitato scientificoAttilio CELANT“Sapienza” Università di Roma

Franco SALvATORIUniversità degli Studi di Roma “Tor vergata”

Maria Paola PAGNINI BAzOUniversità Telematica delle Scienze Umane “Niccolò Cusano”

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GEOGRAFIA ECONOMICO–POLITICA

Attenta allo studio delle interazioni che legano dinamiche socio–po -litiche, assetto organizzativo dello spazio e competitività dei sistemiregionali, la scienza geografica assume indiscussa centralità nel di -battito sull’evoluzione del mondo contemporaneo. La produzioneche il comitato scientifico di questa collana intende promuovere ri -sponde a espliciti criteri metodologici e concettualità finalizzate allarappresentazione delle principali innovazioni presenti nel diveniredi paesaggi, modelli di sviluppo locale a diverse scale territoriali estrategie politiche ed economiche che ne sostanziano la complessi-tà e ne definiscono i relativi scenari evolutivi. Mentre il rigore scien-tifico delle ricerche pubblicate costituisce precipuo impegno edito-riale, la piena autonomia e indipendenza dei singoli autori rappre-senta irrinunciabile espressione di pluralismo culturale.

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Anna Maria Frallicciardi ha curato i capitoli 1 e 4; Diego Solenne i capitoli 2, 3, 5.Il presente volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento diScienze politiche dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli.

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Anna Maria FrallicciardiDiego Solenne

La Russia nuovo soggetto geopolitico

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Copyright © MMXIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–6736–9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2013

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INDICE 9 CAPITOLO I

Modelli interpretativi per le questioni in campo 39 CAPITOLO II

Verso una nuova Russia: percorso storico e geopolitico

61 CAPITOLO III La Russia in Eurasia

117 CAPITOLO IV Russia ed Europa

157 CAPITOLO V Una nuova Russia con vecchi schemi

171 Bibliografia

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CAPITOLO I Modelli interpretativi per le questioni in campo

Quali saranno le pagine della storia futura, tenendo conto dell’attuale contesto e delle azioni di coloro che la storia la indirizzano e la scrivono?

Rispondere a queste domande non è semplice, ma si cercherà almeno di fissare la copertina di un libro le cui pagine sono in fase di scrittura ed il cui finale è funzione di troppe variabili per essere predefinibile. Questa forse è la difficoltà maggiore del lavoro cui ci accingiamo, la consapevo-lezza che un ordine internazionale è ormai tramontato e che le dinamiche e gli equilibri dell’ordine futuro si stanno definendo ora, con il concreto atteggiarsi dei suoi protagonisti, con le idee, le ambizioni, i progetti e gli orientamenti dei suoi leader, in considerazione dei condizionamenti e dei limiti imposti dal dato geografico e dalle risorse disponibili.

È per questo che partiamo dai grandi elaborati teorici in materia geo-politica, per discernere in che misura ed in quale direzione essi stanno ancora condizionando la condotta dei soggetti chiamati a strutturare il nuovo sistema internazionale, ed in particolare del Paese dichiaratamente oggetto di questo studio.

Ci si potrà chiedere perché la Russia? La fine dell’ordine bipolare non ha forse aperto le porte ad un sistema unipolare, alla pax americana, al dominio degli Stati Uniti usciti vincitori da una guerra che, seppur fredda e non combattuta tradizionalmente, li vede incontrastati protagonisti, probabilmente come nessun altro Paese in passato?

E perché non la Cina? La Repubblica popolare non costituisce forse un oggetto di studio particolarmente interessante per continuità politica, capacità di coniugare rigidità di governo e dinamismo economico, di su-perare l’occidentale idea di incompatibilità tra socialismo e liberismo? Le

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previsioni non vedono forse la Cina quale superpotenza emergente? La crisi economica attuale non delinea un Occidente ripiegato su se stesso in piena depressione ed una Cina invece in crescita ed impegnata a sostene-re l’ordine economico mondiale?

Perché non l’India o anche il Brasile, paesi che approfittano del ridi-mensionamento relativo del potere delle tradizionali grandi potenze per proporsi quali futuri centri di gravità di un mondo multipolare?

Perché non l’Unione Europea, al contempo gigante economico, anche se in crisi, e nano politico? Sarebbero tanti gli interrogativi cui provare a dare risposta relativi ad un’unione che sembra aver smarrito la rotta per-ché incapace di coltivare nel cuore dei cittadini dei singoli Stati membri un’idea di appartenenza più ampia.

Ciascuno dei soggetti citati meriterebbe senza dubbio attenzione. Tut-tavia ancora più meritevoli appaiono le vicissitudini russe, strettamente intrecciate alle trasformazioni dell’ordine internazionale in fieri.

Il vecchio sistema internazionale bipolare è crollato per la devoluzione dell’Unione Sovietica, nei fatti qualcosa di molto simile ad un suicidio geopolitico, ad un’abdicazione.

Lo spazio russo ha costituito sempre oggetto di particolare interesse per gli studiosi di geopolitica, rappresentando spesso, nelle loro elabora-zioni, il presupposto necessario di velleità egemoniche.

La nuova Russia, perso parte del proprio impero dopo la dissoluzione dell’URSS, ha vissuto un primo decennio difficile, drammatico, a causa di una crisi economica che ha peggiorato considerevolmente lo standard di vita dei suoi cittadini; di forze centrifughe che ne minacciavano l’unità; dell’assenza di un potere centrale capace di controllarne lo spazio e di pianificarne la rinascita.

Non è da escludere che la ragione più significativa del dramma russo sia stata la crisi d’identità: cosa rappresentava il Paese dopo essere stato un impero sotto gli zar ed una superpotenza con falce e martello? Cosa dopo l’uomo sovietico? E ancora, quale sarebbe stato lo scenario del tra-dizionale spazio d’influenza russo? Uno spazio difficilmente percepito dal russo come semplice area di penetrazione se pensiamo al comune re-taggio storico e culturale dei popoli stanziati in quell’area: basta guardare ai secolari legami tra i russi propriamente detti, gli ucraini ed i bielorussi.

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Superato il primo decennio postsovietico, la Russia ha intrapreso un nuovo percorso o, probabilmente, ha ripreso il tradizionale sentiero della propria storia, quello del protagonismo sullo scacchiere internazionale.

Del resto, pur non condividendo alcuna forma di determinismo geo-grafico, per vastità di terre occupate, per la strategicità della sua posizione e delle sue risorse, per il peso geopolitico, la Russia non può che essere un attore protagonista del nuovo sistema internazionale. Anzi, ciò che la Russia sarà nei prossimi anni, il modo in cui riuscirà o meno a massimiz-zare le leve di potere a disposizione ed a proporsi quale centro alternati-vo intorno al quale coagulare sistemi di alleanze, condizionerà pesante-mente la configurazione del sistema internazionale di domani.

In altre parole, se al sistema bipolare, dopo l’interludio americano, su-bentrerà un nuovo sistema bicefalo (USA-Cina, USA-Russia oppure USA-Cina più Russia) o un sistema multipolare basato sull’equilibrio di più potenze regionalmente dominanti, dipenderà molto dalle sorti della risorta Russia.

1.1 Geografia politica e geopolitica Prima di addentrarci nel vivo dell’analisi ci sembra opportuno ricorda-

re alcune questioni e alcuni modelli di rapporti internazionali per verifi-carne l’applicabilità.

Il termine “geopolitica” fu elaborato dallo svedese Rudolph Kjellèn agli inizi del Novecento per indicare l’analisi dei condizionamenti eserci-tati da fattori geografici sull’azione politica. Per fattori geografici dob-biamo intendere non soltanto elementi meramente fisici e morfologici, bensì il più ampio insieme di relazioni costituitesi tra entità territoriali. Professore svedese, aveva conosciuto la geografia politica di Friedrich Ratzel, al quale si ispirava per le sue concezioni geopolitiche. Nel suo Sta-ten som lifsform (Lo stato come forma di vita), pubblicato nel 1916 in Sve-zia e tradotto poi in tedesco, infatti, egli concepisce la geopolitica come lo studio dello Stato che considera, come il Ratzel, un organismo geogra-fico o fenomeno spaziale.

La Geopolitica pur derivando dalla Geografia Politica ratzeliana e avendo lo stesso oggetto di studio (lo Stato) se ne differenzia per le finalità. La Geografia Politica ratzeliana, mirando a comprendere le leggi che governano lo sviluppo

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territoriale degli Stati, ha fornito un preciso arsenale di concetti che la Geopoliti-ca, ponendosi come supporto e motivazione dell’imperio di uno Stato, ha utiliz-zato per dare giustificazione teorica alle conquiste territoriali e all’esercizio del dominio sul territorio (Lando F., 2012, p. 15).

Tabella 1. Definizioni della Geopolitica (da Vallega, 1994, p. 347)

1924 Kjellén R. La dottrina dello Stato come organismo geografico, ov-vero come fenomeno nello spazio.

1925 Haushofer K. La scienza delle forme di vita politica interne agli spazi vitali naturali: scienza che cerca di comprendere tali for-me nella loro dipendenza dalle fattezze della Terra e dal movimento storico.

1928 Hennig R. La teoria dello stato organismo.1928 Zeitschrift fiir Geo-politik1

Scienza che studia i fatti politici rispetto alla loro dipen-denza dall’ambiente geografico e dai condizionamenti sto-rici

1940 Geopolitica2 (Lo studio dell’optimum delle aree nell’ambito delle quali ambiente geografico, tradizioni storiche, necessità di vita presente e futura s’incontrano e si concordano per dare benessere al popolo che ha le possibilità spirituali di occuparlo e valorizzarlo.

1982 Lacoste Y. Studio dei rapporti tra decisioni politiche e configura-zioni geografiche.

1986 Massi E. La dottrina che ricerca ed elabora le componenti geo-grafiche interagenti nell’analisi interdisciplinare degli spazi politici, con particolare riguardo alla struttura, ai li-miti e alla dinamica; quale integrazione della geografia po-litica studia i condizionamenti ambientali dei fatti storico-politici e contribuisce alla teoria generale degli equilibri spaziali, coordinata ai fini etici dell’umana convivenza.

1993 Ferro G. La geopolitica può definirsi come la politica del territo-rio, la scienza cioè dei processi attraverso cui le organiz-zazioni umane hanno relazioni, anche internazionali, con il territorio e l’ambiente.

1Zeitschrift fur Geopolitik. La definizione è stata redatta in una riunione dei collabora-tori della rivista. 2Geopolitica [1940, 322], definizione assunta a base dell’impostazione seguita nella rivista.

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Modelli interpretativi per le questioni in campo 13

Tabella 2. Evoluzione della Geopolitica a uso ideologico (da Vallega, 1994, p. 347)

1916 Kjellén introduce it termine “geopolitica”1924 Nasce la rivista Zeitschrift für Geopolitik (ZFG)1925 Haushofer pubblica l'articolo programmatico Politische Erdkunde und Geopolitik 1927 La ZFG precisa le linee programmatiche della geopolitica1938 Nasce la rivista Geopolitica1986 Massi cerca di riproporre la geopolitica

La geopolitica1 ha conosciuto un periodo di grande popolarità nel

primo dopoguerra, soprattutto grazie all’impulso della scuola tedesca e di

1 Per Haushofer la geopolitica è lo studio delle forme politiche nei loro vincoli di

dipendenza dalle fattezze naturali e dall’evoluzione storica: la scienza delle costruzioni politiche nel proprio spazio vitale (Haushofer K., 1927).

Ancora nel clima revanscista tedesco tra le due guerre, per Hennig la geopolitica coincide con la teoria dello Stato come organismo, in ossequio ad un approccio deter-ministico della geografia sulla politica e la storia (Hennig R., 1928).

Come riportato dal Lizza, la rivista tedesca Zeitschrift fur Geopolititik nel 1928, ad ope-ra dei propri redattori, definiva la geopolitica la scienza che studia i fatti politici in rela-zioni alla loro dipendenza dall’ambiente geografico ed ai condizionamenti storici; la rivi-sta italiana Geopolitica nel 1940 invece identifica nella disciplina l’analisi dell’optimum delle aree nell’ambito delle quali ambiente geografico, storia e necessità di vita s’incontrano per il benessere del popolo che ha le possibilità di occuparlo e valorizzarlo (Lizza G., 2009).

Per Toschi la geopolitica era una geografia politica applicata, evidentemente sulla base dell’esperienza tedesca nel primo dopoguerra (Toschi U., 1937).

Massi si riferisce alla geopolitica come ad una branca della geografia politica e, nello specifico, la geografia delle relazioni tra gli Stati (Massi E., 1986), mentre il Glassner de-finisce la geopolitica un approccio particolare della geografia politica «nel tentativo di comprendere sia le basi della potenza dello Stato, sia la natura delle interazioni tra gli Stati» (Glassner M.I., 1993).

Ferro parla della geopolitica quale politica del territorio, ovvero lo studio dei modi in cui le organizzazioni umane si relazionano con il territorio e l’ambiente (Ferro G., 1993).

Per Yves Lacoste la geopolitica è la rappresentazione che i soggetti politici hanno di tali relazioni, in funzione dei propri corollari valoriali, dei propri interessi, del futuro de-siderato o temuto e dei presunti diritti storici. Una rappresentazione che condiziona la percezione di sé, degli altri e del posizionamento di sé tra gli altri e, conseguentemente, influenza il processo di determinazione delle scelte politiche (Lacoste Y., 1994).

Significativa è anche la definizione di Pascal Lorot, secondo il quale la geopolitica «è una metodologia particolare che individua, identifica e analizza i fenomeni conflittuali e le strategie offensive e difensive incentrate sul possesso di un territorio sotto il triplice sguardo dell’influenza dell’ambiente geografico, in senso sia fisico che umano, delle ar-

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Karl Haushofer in particolare, per subire una profonda eclissi e quasi il bando nel secondo dopoguerra, perché associata ai disegni di espansioni-smo territoriale della Germania hitleriana e considerata una pseudoscien-za nazista.

La guerra fredda ed il confronto bipolare imposero nuove dinamiche. Il termine geopolitica fu nei fatti sostituito dal termine “geostrategia”, che meglio enfatizzava l’assoluta centralità della questione della sicurezza nel contesto del nuovo ordine internazionale e la sua riduzione ad una dimensione essenzialmente militare.

La geopolitica è rifiorita a partire dagli anni sessanta ed ha avuto una vera esplosione d’interesse dal 1978, quando l’invasione vietnamita della Cambogia e il seguente intervento della Repubblica popolare cinese in Vietnam frantumarono il dogma dell’impossibilità della guerra tra Stati socialisti, dogma già messo in crisi dagli scontri di confine tra Unione Sovietica e Cina popolare di qualche anno prima.

La fine dell’ordine di Yalta, dissoltosi con l’implosione dell’impero sovietico e con il crollo del muro di Berlino, ha incentivato l’utilizzo, a volte anche inappropriato, della terminologia geopolitica per contestua-lizzare un coacervo di fenomeni convergenti e prima sedati dall’equilibrio bipolare2.

In effetti, considerata quale analisi delle possibilità e dei condiziona-menti posti da elementi geografici alle scelte politiche e prescindendo dalla fortuna contingente del termine, si è sempre fatta geopolitica anche se una sua definizione univoca nemmeno esiste, così come non è pacifi-camente accettata la sua collocazione accademica.

Alcuni ne fanno un’appendice delle scienze geografiche, altri la collo-cano tra le scienze politiche, altri ancora ne sostengono l’autonomia scientifica. Generalmente i geografi accademici tendono a collocare la geopolitica all’interno delle scienze geografiche, negandole un’autonoma dignità, mentre i politologi la riconducono alla scienza politica. gomentazioni politiche dei contendenti e delle tendenze ponderose e costanti della sto-ria» (Lorot P., 1997).

2 Per esempio la fine delle tradizionali ideologie; l’anelito e la difficoltà di instaurare un nuovo ordine mondiale; la globalizzazione e l’interdipendenza; la balcanizzazione di molte aree ed il più generale disordine delle nazioni; la crisi dello Stato nazionale; la sfi-da al monopolio statale dell’uso della forza; i fondamentalismi; le forze transnazionali quali religioni e multinazionali; i flussi inarrestabili di informazioni e capitali; la ridefini-zione del concetto stesso di sovranità.

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Modelli interpretativi per le questioni in campo 15

Ciò che pare certo è l’abbandono del determinismo geografico, l’orientamento a presentare possibilità, scenari più o meno probabili piut-tosto che verità e tendenze ineludibili, per quanto il rischio o la tentazio-ne, di presentare o di rappresentare una mera potenza in concreta realtà, un’ipotesi in un dato oggettivo, è vivo e mai stroncato, come dimostrano le tesi degli eurasisti.

Una prima distinzione in ambito geopolitico, come suggerisce O’Loughlin è quella relativa alla dimensione geografica della politica este-ra. Da questo punto di vista la geopolitica studierebbe la localizzazione dei popoli e delle diversità e la relazione con il raggiungimento dei loro obiettivi (O’Loughlin J., 1994).

Esiste poi una geopolitica relativa a singole realtà statali, perché è chiaro che la rappresentazione del mondo è funzione dell’origine del punto di vista, del Paese di appartenenza, con la conseguente priorità ac-cordata ai propri interessi sullo scacchiere mondiale.

Non è certamente un caso che le varie scuole geopolitiche siano rife-ribili ad ambiti statali e spaziali definiti piuttosto che a differenti ideologie politiche. Esiste una geopolitica americana, russa, tedesca, italiana, fran-cese, ma non una geopolitica marxista o liberale.

La geopolitica, in altre parole, non è mai neutrale, perché esprime il desiderio dei geografi di proporsi quali consiglieri di principi e governanti.

Esiste poi una geopolitica critica che nasce dal convincimento del le-game esistente tra geopolitica e potere, con la prima strumento e suppor-to del secondo. Questo tipo di geopolitica si forma negli ambienti acca-demici ed è legata nel Nord America alla Critical Geopolitics e in Europa al-le riflessioni di Yves Lacoste e di Claude Raffestin (Lando F., 2012). Compito della geopolitica critica sarebbe l’analisi delle posizioni ufficiali per discernere gli obiettivi reali del potere ed elaborare interpretazioni e scenari alternativi.

È possibile inoltre distinguere le grandi teorie geopolitiche classiche dalla nuova geopolitica. Le prime hanno una dimensione globale, un alto grado di generalizzazione ed enfatizzano la contrapposizione tra potenze continentali e potenze marittime e l’influenza dell’ambiente sulla condot-ta umana.

La nuova geopolitica, invece, pur non rifiutando le grandi generalizza-zioni, ha anche una dimensione locale, riconosce una maggiore impor-tanza ad elementi culturali, sociologici, economici, piuttosto che ai con-

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dizionamenti meramente fisici, dai quali l’uomo si è parzialmente affran-cato grazie al progresso tecnologico3.

Ciò è indubbiamente dovuto prima di tutto ai sistemi di informazione e di comunicazione, il che porta alcuni a sostenere che la geopolitica sa-rebbe più contemporanea che moderna e difficilmente collocabile in se-coli lontani (Bettoni G., 2004).

Esiste anche una confusione terminologica tra “geopolitica” e “geo-grafia politica”, utilizzati sovente come sinonimi, soprattutto nei paesi anglosassoni, in passato propensi a negare margini di autonomia scienti-fica alla geopolitica.

Definire il campo di studio della geografia politica è questione di non facile soluzione. La mancanza di limiti precisi all’oggetto di studio ha consentito ai geografi politici di interessarsi dei più svariati fenomeni do-tati di caratteristiche sia fisiche che geografiche e a politologi, sociologi e scienziati sociali in genere di fare geografia politica. Ciò che è sostenibile è che nella geografia politica l’interesse più duraturo è quello relativo all’interrelazione fra politica e ambiente fisico e ai reciproci condiziona-menti4.

Nel corso degli anni lo stesso campo di indagine della disciplina è an-dato ampliandosi: l’attenzione si è spostata dal soggetto statale a feno-meni più estesi. I geografi politici oggi studiano i flussi migratori, il mo-vimento di capitali e ricchezze, le questioni ambientali, le influenze lin-guistiche e demografiche, le dinamiche elettorali, il processo di definizio-

3 Interessante è anche quanto sostenuto da Agnew, secondo il quale la geopolitica

ha assunto una certa importanza ed una strutturale presenza in ambito geografico da quando il mondo è stato pensato come un insieme unico. Il salto qualitativo si sarebbe così realizzato quando nelle quotidiane attività di governo di uno Stato sono entrate considerazioni relative all’intero scacchiere mondiale (Agnew J., 1998).

4 Sono molte le definizioni di geografia politica che potremmo riportare: quella di Alexander (analisi delle regioni politiche o delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre); quella di Pounds (il carattere geografico, la politica e la potenza dello Stato); quella di Jackson (lo studio dei fenomeni politici nel loro contesto geografico); quella di Kasperson e Minghi (analisi spaziale dei fenomeni politici); quella di Cohen e Rosenthal (l’analisi degli attributi geografici del processo politico); ancora quella di Ferro (discipli-na focalizzata sullo Stato e con motivi portanti la territorialità, la nazionalità, la sovrani-tà delle organizzazioni umane); e quella di Fabbri (che parla di una geografia umana in-teressata ai modi in cui, e i motivi per cui, l’uomo modifica e organizza gli spazi del mondo, ed una geografia politica focalizzata sulle modificazioni e sull’organizzazione politica di questi spazi).

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ne delle decisioni politiche, le aziende transnazionali e così via: Pasquale Coppola soleva ricordare che, in fondo, tutta la Geografia umana è Geo-grafia politica (Coppola P., 1997). Tabella 3. Rapporti epistemologici tra geografia politica e geopolitica (da Vallega,1994, p. 351)

1916 Kjellén R. Geografia politica e geopolitica coincidono

1925 Haushofer K. Geografia politica: scienza della distribuzione degli Stati sulla superficie terrestre e della loro dipendenza dall'ambiente na-turale. Geopolitica: si veda la Tab. 1

1926 Maull 0. La geopolitica è una geografia politica applicata

1927 ZFG La geografia politica si occupa dello stato in quanto forma ultima del paesaggio culturale; la geopolitica si occupa della telluricità

1941 CNG La geopolitica coincide con la geografia politica

1941 Toschi U. La geografia politica studia i fenomeni politici come feno-meni geografici. La geopolitica è una dottrina geografica che ha per obiettivo l’elaborazione di leggi scientifiche

1942 Migliorini E. Nel senso del Kjellén, la geografia politica rientra nel campo delle scienze geografiche; nel senso di Haushofer rientra in quello delle scienze politiche

1943 Nice B.

La geopolitica è una politica su basi geografiche. È ozioso pertanto il problema di una sua identificazione con la geo-grafia politica, da cui differisce, nonostante molti punti di contatto, per spirito e fini

1954 Whittlesey D. Disconosce la geopolitica come scienza e usa il termine co-me abbreviazione di “geografia politica”

1992 Jean C. La geopolitica e la geostrategia, termini in parte sovrapposti e spesso usati come sinonimi, sono discipline intermedie fra la geografia da un lato e la politica e la strategia dall’altro lato

Le difficoltà di definizione di una disciplina siffatta inducono uno

studioso come il Glassner a concludere semplicemente che «la geografia politica è un campo di studio e di ricerca molto vasto e vario, entusia-smante per lo studente ed utile per molte altre discipline» (Glassner M.I., 1993, p. 27).

Volendo in qualche modo segnare la differenza tra geografia politica e geopolitica, possiamo sostenere che la geografia politica si occupa della distribuzione spaziale dei fenomeni politici e dell’influenza dei fattori geografici. La geopolitica introduce un senso di conflittualità e competi-zione, interessandosi dell’influenza dei fattori geografici sulle scelte e le

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azioni politiche in relazione a quelle degli altri soggetti operanti sul me-desimo territorio. Il conflitto è forse il principale discrimine tra le due di-scipline5.

1.2 Teorie geopolitiche In un contesto così vario è necessario tracciare la cornice complessiva

entro i cui limiti si muovono i principali attori del sistema internazionale, sempre in funzione della comprensione delle dinamiche che più da vici-

5 Almeno un accenno va fatto a Friedrich Ratzel (1844-1904) e a Rudolph Kjellén

(1864-1922), ritenuti rispettivamente fondatori della geografia politica e della geopoliti-ca, come prima ricordavamo.

Per Ratzel lo Stato è un organismo biologico, nel pieno solco delle teorie della so-pravvivenza e dell’evoluzione della specie. Le elaborazioni di Ratzel costituiscono nei fatti una declinazione darwiniana dello spazio (Ratzel F., 1882).

Il geografo tedesco fu attivo sostenitore della politica della Germania guglielmina di conquista del potere mondiale e di competizione sia con l’Inghilterra sia con la Russia.

Rifiutando il determinismo geografico, egli sosteneva la necessità per lo Stato di rea-lizzare unità tra territorio e nazione, ovvero quell’identità generatrice della capacità di superare i propri confini. Spazio e frontiere non sono dati statici, ma dinamici, mobili e modificabili.

Le coordinate fisiche, spazio e posizione, sono completate dal senso dello spazio, concetto in cui si fondono percezioni, disegni ed ambizioni (Ratzel F., 1901). Così co-me gli organismi viventi, ogni popolo è in lotta per lo spazio con gli altri popoli per la presenza di una naturale conflittualità dovuta alla tendenza di ogni Stato all’espansionismo territoriale, preceduto da quello commerciale (Ratzel F., 1897). In al-tre parole, le frontiere politiche seguono le frontiere economiche, sono funzione diretta ed organica della ricchezza espressa. Ratzel definì la dinamica tra popolazione, territorio e organizzazione politica come un sistema organico di geografia politica, per cui lo Stato tenderebbe naturalmente all’espansione inglobando territori circostanti.

Il primo ad utilizzare il termine “geopolitica”, invece, fu lo studioso svedese Kjellén, nel 1899. Egli coniugava geografia e scienza politica, individuando nello Stato un orga-nismo territoriale vivente, la cui essenza è il potere. In ogni caso, per lo svedese la geo-politica attiene al campo della scienza politica e non a quella geografica. Kjellén credeva nella transitorietà della pax britannica e del relativo equilibrio di poten-za e sosteneva una ridefinizione delle dinamiche mondiali attorno a tre panregioni poli-tico-economiche: la panregione americana; la panregione tedesca, aggregatrice della Mit-teleuropa e degli imperi austriaci ed ottomani, giungendo fino al Golfo Persico, seguen-do la direttrice tracciata dalla ferrovia Berlino-Bagdad; la panregione asiatica dominata dal Giappone (Kjellén R., 1924).

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Modelli interpretativi per le questioni in campo 19

no afferiscono alla condotta del protagonista di questo studio, la Federa-zione Russa.

Figura 1. La pivot area

Fonte: Lizza G., 1996.

Le teorie del potere continentale costituiscono una rivisitazione della

questione euro asiatica, ovvero della possibilità di giungere ad un’alleanza tra Germania e Russia. Tali teorie sostengono la superiorità degli Stati dominatori dello spazio continentale euro asiatico sulle potenze maritti-me, della terra sul mare: un’alleanza russo-tedesca avrebbe prodotto un cambiamento sostanziale sui piatti della bilancia del potere mondiale, de-tronizzando nei fatti il dominio britannico basato sul controllo dei mari.

Sir Halford John Mackinder (1861-1947) è il più conosciuto esponen-te delle teorie del potere continentale. Le sue elaborazioni hanno quale punto focale l’esistenza di uno spazio il cui dominio assicura il controllo delle terre continentali e, di conseguenza, del mondo. Egli ridefinisce i confini di quest’area - denominata in un primo momento “pivot area” e successivamente “heartland” - più volte nel corso degli anni, alla luce delle modificate contingenze storiche.

Da inglese, sposta i confini dell’area verso est nel 1904 e nel 1943, quando ritiene che sia la Russia (e poi l’Unione Sovietica) ad essere la principale minaccia per l’ordine internazionale costituito sotto l’egida bri-

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La Russia nuovo soggetto geopolitico 20

tannica, e verso occidente nel 1919, quando teme la Germania. Secondo le situazioni contingenti, l’area cui si fa riferimento è identificabile nel primo caso tra Asia centrale e Oceano Artico, per abbracciare nel secon-do caso il Baltico, il Mar Nero e l’Europa centro-orientale.

Mackinder basava la sua teoria sulla contrapposizione tra mare e terra. Più tardi, Carl Schmitt, che di Mackinder si diceva debitore, avrebbe det-to che la storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze di terra contro potenze marinare (Schmitt C., 1986).

L’Heartland era il "cuore" pulsante di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo» (Mackin-der H.J., 1919) . Secondo Mackinder, lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni nel cuore della terra eurasiatica, in considerazione della sterminata disponibilità di spazio e di risorse avrebbe necessariamente generato un vasto mondo economico, più o meno isolato, contrapposto al mondo dominato allora dagli inglesi grazie alla potenza marittima (Mackinder H.J., 1904). Un universo economico e militare centrato sul land power, potenzialmente più forte del liberal imperialism marittimo, qua-lora fosse riuscito ad espandersi fino alle coste eurasiatiche e qui ad otte-nere l’impiego di vaste risorse continentali per la costruzione di flotte per conquistare il mondo. Un’eventualità possibile a inizio Novecento, se-condo lo studioso inglese, nel caso la Germania si fosse alleata con la Russia. Per conservare il dominio delle potenze marittime, Mackinder suggerisce quindi di impedire questa alleanza.

Sul finire della prima guerra mondiale, infatti, il nemico principale era ancora individuato nella Germania ed i trattati di Versailles furono posi-tivamente accolti da Mackinder in quanto vittoria del realismo sui princi-pi democratici wilsoniani: quei trattati separavano la Germania dalla Rus-sia attraverso la costituzione di Stati cuscinetto e lasciavano milioni di te-deschi fuori dai confini nazionali, piantando, tra l’altro, il seme della futu-ra instabilità.

Nel 1943 la situazione appariva cambiata e Mackinder annunciava:

Tutto considerato, la conclusione inevitabile è che, se l’Unione Sovietica emergerà da questa guerra come conquistatrice della Germania, dovrà essere considerata la maggiore Potenza terrestre del globo. Per di più, sarà la Potenza