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Geografia politica ed economica 3 AA 2007/2008 Clima, desertificazione e migrazioni

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Geografia politica ed economica 3 AA 2007/2008 Clima, desertificazione e migrazioni. L’uomo ha dimostrato finora notevoli capacità di adattamento a condizioni climatiche estreme. Ma il clima rimane un importante fattore di attrazione, permanenza o ridistribuzione dei migranti. - PowerPoint PPT Presentation

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Page 1: Geografia politica ed economica 3 AA 2007/2008 Clima, desertificazione e migrazioni

Geografia politica ed economica 3

AA 2007/2008

Clima, desertificazione e migrazioni

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L’uomo ha dimostrato finora notevoli capacità di adattamento a condizioni climatiche estreme.

Ma il clima rimane un importante fattore di attrazione, permanenza o ridistribuzione dei migranti.

La crescita demografica nel mondo è in via di rallentamento, il tasso di crescita annuo è sceso dal 2% del 1970 all’1,2% del 2007, e si prevede che scenderà allo 0,3% nel 2050.

Si aggiungeranno comunque circa 3 miliardi di persone nei prossimi 40 anni, portando la popolazione a stabilizzarsi intorno ai 10 miliardi di persone nella seconda metà del XXI secolo (stime).

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La distribuzione della crescita demografica è irregolare. L’aumento maggiore si avrà nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa.

La crescita si concentrerà nelle città, soprattutto in quelle di dimensioni medie, e lungo le zone costiere.

Cresce il numero di abitanti che vive nelle zone aride e semiaride del pianeta.

Scarsità d’acqua: non è un problema mondiale, è un problema locale. La scarsità dipende dall’uso che si vuole fare di una risorsa naturale.

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Popolazione mondiale 1950 – 2050 (stime ONU)

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Crescita demografica annua nel 2006 (tutte le variabili incluse), fonte ONU

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Storia del clima

L’ambiente è un fattore che muta nel tempo.

Diversi cicli: mutamento meteorologico / mutamento climatico.

Difficile ricostruire la storia del clima (paleoclimatologia): la misurazione sistematica e scientifica dei dati è un fatto recente, e larga parte del pianeta rimane ancora parzialmente scoperta.

Sicuramente si sono susseguite, anche in epoca storica, fasi di riscaldamento e di raffreddamento, fasi umide e fasi asciutte.

Storia del clima in Europa:

900 a.C – 800 d.C : clima fresco e piovoso nel Mediterraneo, foreste estese800 – 1200 : clima più caldo (+1,5 / 2°C), innalzamento del livello del mare ed estensione delle paludi costiere, malaria1200 – 1550 : raffreddamento1550 – 1850 : clima freddo (-1 / 1,5°C), ghiacciai estesi, vendemmie tardive, carestie1850 – oggi : progressivo riscaldamento

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Clima e migrazioni nel passato

Al momento si tratta ancora di ipotesi, ricerche tuttora in corso:

• Migrazione degli Etruschi• Espansione celtica verso sud• Discesa dei popoli germanici e slavi e dei Magiari• Unni, Turchi, Tatari, Mongoli, Manciù• Invasioni arabe• Diffusione delle civiltà sudamericane sugli altipiani• Migrazione degli Anasazi in Nordamerica• Crisi della civiltà maya

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Storia del clima: visioni diverse a confronto (1)

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Storia del clima: visioni diverse a confronto (2)

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Produzione di vino in Inghilterra nel XIII secolo(“Periodo caldo medievale”)

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Venezia nel XVII secolo (“Piccola era glaciale”)

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Londra nel XVII secolo (“Piccola era glaciale”)

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L’abbandono della Groenlandia da parte dei coloni vichinghi durante la “Piccola era glaciale”

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Le conseguenze del raffreddamento del clima.

Diminuzione della popolazione in Islanda durante la “Piccola era glaciale” (Lamb 1995) :

• 77.500 nel 1095• 72.000 nel 1311• 50.000 nel 1703• 38.000 nel 1780

Oggi 314.000 abitanti.

La statura media degli abitanti passò dai 178,6 cm dell’XI secolo ai 170,7 cm del XVIII secolo. Oggi è di 182,9 cm.

Ma il clima potrebbe non spiegare tutto.

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Anomalie termiche tra il 1995 ed il 2004 (NASA)

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Temperature medie annue 1856 – 2006 (Meteorological Office – UK)

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Riscaldamento previsto dal Meteorological Office - UK entro il 2070 - 2100 (rispetto alla media 1960-1990)

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Previsioni sul cambiamento climatico: diversi modelli a confronto

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Cause naturali o cause antropiche?

Paleoclimatologia del pianeta negli ultimi 11.000 anni

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La storia del clima si ricostruisce attraverso una molteplicità di fonti: geomorfologia, analisi dei sedimenti, documenti storici.

Nel lungo termine i movimenti tettonici hanno un’influenza determinante.

Una variazione di 1-2 gradi può portare conseguenze importanti: può liberare o bloccare i valichi alpini, chiudere o aprire lo stretto di Bering, può far avanzare o ritirare le acque marine, può diffondere od ostacolare le malattie tropicali.

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Come per le specie animali (ma anche vegetali) la risposta più diretta per superare i vincoli climatici è lo spostamento.

Le crisi climatiche acute possono essere superate (es. scorte di cibo) ma quelle croniche prima o poi generano uno spostamento.

Il cambiamento climatico non è sempre un fattore “push”: il riscaldamento può essere un vantaggio nelle vastissime regioni boreali rimaste finora sottoutilizzate.

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La desertificazione

Non esiste una definizione univoca. Esistono diverse interpretazioni e definizioni del fenomeno:

• “La creazione di condizioni simili a deserto risultanti da processi di erosione” (Aubreville, 1949)

• “La riduzione o distruzione del potenziale biologico della terra che può condurre a condizioni desertiche. E’ un aspetto di degradazione dell’ecosistema conseguente a una consistente riduzione nel loro potenziale biologico…” (UNEP, 1977)

• “Il processo che porta ad una riduzione irreversibile della capacità del suolo di produrre risorse e servizi" (FAO-UNEP-UNESCO, 1979)

• “L’impoverimento di ecosistemi terrestri sotto l’effetto dell’impatto umano, che può essere misurato attraverso la riduzione di produttività di specie utili, la riduzione di biomassa e la riduzione di biodiversità nella micro e macro-fauna e flora, e l’accelerata degradazione del suolo” (Dregne, 1983)

• “Tutte le espressioni comprese per indicare i processi socio-economici, naturali e antropici, che causano una modifica nel suolo, nella vegetazione, nell’atmosfera e nel bilancio idrico di regioni caratterizzate da aridità indotta dalle caratteristiche del suolo e del clima” (FAO/UNEP, 1984)

• “Degradazione del suolo e delle risorse idriche in aree aride, semi-aride e secche/sub-umide, dovuta principalmente agli impatti antropici negativi” (UNEP, 1991)

• “Degradazione del suolo in aree aride, semi-aride e secche/sub-umide, risultante da vari fattori, incluse le variazioni climatiche e gli impatti antropici” (UNEP, 1994).

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Elemento comune: la progressiva riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità produttiva.

Produttività biologica: la Conferenza delle Nazioni Unite sulla Desertificazione (Nairobi 1977) aveva adottato una definizione di desertificazione ("riduzione o distruzione del potenziale biologico del terreno che può condurre a condizioni desertiche") che prescindeva dalla collocazione geografica (polare o tropicale), dalle caratteristiche climatiche, dalle cause (naturali o antropiche) e dai processi (salinizzazione, erosione, deforestazione, ecc) all'origine del degrado del potenziale biologico del suolo.

Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sulla lotta alla Siccità e Desertificazione (UNCCD): definizione di desertificazione in termini di degrado. Definizione di desertificazione in funzione delle caratteristiche climatiche, introduce esplicitamente fra le cause del fenomeno, oltre all'azione dell'uomo, anche le variazioni climatiche (UNEP 1994).

Desertificazione / desertizzazione

In genere la degradazione ha inizio in aree limitate e procede a macchia e per fasi successive, subendo bruschi peggioramenti durante i periodi particolarmente asciutti o regressioni durante quelli più umidi.

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Si tratta della combinazione di un insieme di fenomeni, tra i quali: - l'erosione del suolo; - la variazione delle caratteristiche strutturali del suolo; - la salinizzazione; - la rimozione della coltre vegetale e del materiale rigenerativo; - le variazioni del regime pluviometrico; - le interazioni tra la superficie terrestre e l'atmosfera.

Il problema non è il deserto che avanza, il degrado del suolo è un fenomeno che avviene in maniera differenziata a livello locale.

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Toynbee: le condizioni climatiche ed ambientali avverse stimolano l’innovazione ed il progresso tecnico.

Huntington: i cambiamenti climatici ciclici avvenuti nell’Asia centrale hanno generato, in diverse epoche storiche, spostamenti di popolazioni verso ovest e verso sud (Unni, Turchi, Tatari, Mongoli, Manciù) con ricadute sull’intero continente euroasiatico.

I cambiamenti climatici però non avvengono simultaneamente nelle varie parti del mondo.

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Africa centro-settentrionale: dopo l’ultima glaciazione, terminata circa 10.000 anni fa, il clima si è progressivamente inaridito. Le popolazioni neolitiche, in prevalenza nere, che vi si erano insediate si sono spostate verso nord e verso sud, concentrandosi su aree marginali e danneggiando ulteriormente le savane attraverso il taglio degli alberi e lo sfruttamento dei pascoli.

Circa 5.000 anni fa il Sahara aveva (ri)preso l’aspetto desertico che conosciamo oggi, ma l’acqua (fossile) si trova ancora nel sottosuolo, sebbene a profondità crescenti.

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Sahel: negli anni ’70 la popolazione era essenzialmente rurale, con una forte presenza di pastori nomadi e confederazioni tribali. Il bestiame era fonte di reddito e di sopravvivenza. La domanda d’acqua era in aumento (crescita demografica, aumento dei capi di bestiame, espansione dell’agricoltura), la cooperazione internazionale allo sviluppo propose e realizzò lo scavo di nuovi pozzi.

Con più acqua a disposizione, il risultato fu un ulteriore aumento dei capi di bestiame ed una pressione crescente sulle zone circostanti. Si formarono zone desertificate. Pressione umana eccessiva su regioni “di frontiera” soggette a variazioni climatiche cicliche. Il risultato fu la carestia.

La siccità non era più grave di quelle avvenute in passato, ma le popolazioni e le attività umane si erano spinte verso zone a rischio.

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Limiti della regione saheliana occidentale

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Rischio desertificazione in Africa (FAO)

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Cambiamento climatico e desertificazione: è necessario migrare?

Oggi vivono nelle terre aride e semiaride circa 700 milioni di persone. Entro il 2020, secondo la Banca Mondiale, 60 milioni potrebbero migrare verso terre più umide.

Nell’Africa centro-settentrionale è già in atto uno spostamento di popolazione verso le oasi e verso le città, ma anche verso l’Europa.

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Un’oasi fluviale tradizionale: la valle dello Ziz (Marocco)

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Tinerhir / Tīnġīr (Marocco):da villaggio a città

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Le nuove vie carovaniere:Strada P32 Ouarzazate - Errachidia (Marocco)

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Inconvenienti delle nuove vie carovaniere.Desertificazione o intrusione di attività antropiche in territori inadatti?

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Nouakchott (Mauritania): la responsabilità è del deserto o dell’uomo?

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Nouakchott (2)

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Nuove oasi a El Oued / Al-Wād (Algeria)

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Nuove oasi a Cufra / Al-Kufra (Libia)

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Nuove oasi a Cufra / Al-Kufra (Libia)

Page 43: Geografia politica ed economica 3 AA 2007/2008 Clima, desertificazione e migrazioni

Nuove oasi a Sabria (Tunisia)

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Nuove oasi a Kebili / Qibilī (Tunisia)

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Si fugge anche dal freddo.

Migrazioni da nord verso sud in Scandinavia.

Siberia e valle dell’Amur.

Mobilità dei pensionati sempre più intensa in direzione sud, sia in Europa (es. Baleari e coste spagnole, Riviera ligure, Costa Azzurra) sia in Nordamerica (Florida). In realtà spesso le motivazioni “climatiche” degli spostamenti nascondono motivazioni molto più complesse.

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Possibili effetti del cambiamento climatico entro il 2100, indipendentemente dalle cause (naturali o antropiche)

(Ferrara, Ferruggia, 2007)Fino a 1°C• Alcuni ecosistemi si spostano verso latitudini più elevate e quelli montani verso quote più alte• La produzione agricola mondiale aumenta, ma l’aumento avviene per lo più alle alte latitudini, mentre alle basse latitudini diminuisce• Aumenta il rischio di forte erosione costiera, soprattutto per le aree costiere più basse• Le risorse idriche tendono a diminuire in alcune regioni subtropicali• L’intensità di alcuni eventi estremi tende ad aumentare.

Tra 1° e 2°C• I danni alla biodiversità cominciano ad essere significativi, un quarto delle specie viventi rischia l’estinzione• La produzione agricola mondiale aumenta, soprattutto alle alte latitudini, mentre diminuisce ancora a quelle più basse• Le regioni costiere più basse rischiano di essere inondate in maniera permanente• Le risorse idriche si riducono drasticamente in molte regioni subtropicali• La frequenza e l’intensità degli eventi estremi aumenta in modo significativo.

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Tra 2°C e 3°C• Scompare gran parte della tundra e metà della foresta boreale• Un altro terzo delle specie viventi potrebbe estinguersi, portando la scomparsa

complessiva delle specie a circa il 50% rispetto al XX secolo• La produzione agricola mondiale raggiunge il livello massimo, ma rimane

concentrata alle alte latitudini• I rischi di malnutrizione e di malattie aumentano alle basse latitudini, soprattutto

se la popolazione continua ad aumentare• La Groenlandia subisce una parziale deglaciazione ed il ghiaccio scompare

dall’Antartide occidentale• Le regioni costiere più basse sono inondate• L’acqua potabile non è più disponibile per circa 1 miliardo di persone• Gli eventi estremi catastrofici sono molto frequenti.

Tra 3°C e 4°C• La produzione agricola diminuisce alle alte latitudini e si riduce anche a livello

mondiale• L’estinzione delle specie si accentua• Altre regioni costiere e molti atolli corallini sono inondati• Un terzo della popolazione mondiale non ha più accesso all’acqua• La Groenlandia è largamente libera dai ghiacci e continua la deglaciazione

dell’Antartide occidentale• Possibile deviazione della Corrente del Golfo• Eventi catastrofici sempre più diffusi, in particolare siccità, incendi e tempeste.

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Tra 5°C e 6°C• Estinzione di massa di specie animali e vegetali• Migrazioni di massa dalle basse alle alte latitudini• Probabile interruzione della Corrente del Golfo e forte innalzamento del livello del mare• Solo alle alte latitudini resistono condizioni ambientali adatte ad una vita “normale”.

Ma non si sa se e quando avverranno questi cambiamenti. Più facile prevedere l’andamento delle temperature, più difficile prevedere le variazioni del regime pluviometrico.

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Le risposte al cambiamento climatico

Agricoltura: la presenza di anidride carbonica aumenta la produttività e si liberano vaste regioni boreali, ma la temperatura più alta danneggia la produttività alle basse latitudini. Probabile aumento delle precipitazioni nelle regioni boreali e diminuzione alle basse latitudini. La tecnologia potrà comunque giocare un ruolo importante.

Nuove riserve idriche, dissalazione dell’acqua marina, diffusione delle serre, miglioramenti agronomici, OGM, abbandono dell’agricoltura e passaggio ad altre attività economiche.

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Acqua: più scarsa alle medio-basse latitudini, più abbondante alle alte latitudini. Vegetazione ed orografia hanno comunque un’influenza locale molto importante. Aumentano eutrofizzazione e presenze batteriche.

Razionalizzazione dell’approvvigionamento e dell’uso dell’acqua. Aumento dell’offerta, risparmio e riciclaggio, diversa allocazione tra i settori economici, riduzione dell’irrigazione.

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Ambienti costieri: difficile prevedere quanto, quando e dove si innalzerà maggiormente il livello dei mari e degli oceani. Accelerazione dei fenomeni di erosione già in atto per vari motivi.

Sistemi di protezione fisica della costa e blocco dei cunei salini (difesa passiva). Sostituzione dell’agricoltura con il turismo. Sviluppo dell’acquacoltura e della pesca.

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Insediamenti umani: minori capacità produttive (agricoltura, pesca, turismo) e variazioni della domanda e dell’offerta di molti beni e servizi. Infrastrutture a rischio (frane, alluvioni, consumi energetici). Salute a rischio.

Come abbiamo visto, le variazioni andranno analizzate al livello locale.

Migrazioni?

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Banca Mondiale (2006): 1,4 miliardi di persone si trovano già oggi in zone ad alta fragilità ambientale.

Myers (1994): 25 milioni di “rifugiati ambientali”, 7 milioni di rifugiati ufficialmente riconosciuti (politici, religiosi, etnici).

UNCCD (Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione): 135 milioni di persone rischiano di diventare profughi per l'inaridimento dei loro territori entro il 2050.

Columbia University, Norwegian Geotechnical Institute e Banca Mondiale (2005): il 20% della superficie della Terra e 3,4 miliardi di persone (circa metà della popolazione mondiale) si trovano in aree esposte ad almeno un rischio ambientale significativo tra siccità, inondazioni, frane, cicloni, eruzioni vulcaniche, terremoti e maremoti.

UNEP: in Africa 10 milioni di persone negli ultimi 20 anni sono state sfollate a causa della desertificazione.

UNHCR: 40 milioni di eco-rifugiati nel 2010, oltre 150 milioni nel 2050.

Tra le strategie adottate dai profughi ambientali vi è la migrazione temporanea.

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Ma è l’ambiente a cambiare o sono l’aumento della popolazione e la sua diffusione spaziale che fanno percepire come “disastri naturali”

i fenomeni naturali?

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Densità di popolazione nel mondo (2005)

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Gli “eco-rifugiati”

"I rifugiati in generale lasciano le loro case per paura, non per opportunità. Laddove gli emigranti volontari cercano di fuggire da situazioni precarie, i rifugiati devono fuggire da una povertà intollerabile e dall'estremo degrado delle condizioni di vita, e perfino dalla prospettiva di fame o di altri pericoli gravi. Gli emigranti cercano migliori mezzi di sostentamento, i rifugiati vogliono restare vivi“ (Myers, 1994).

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I richiedenti asilo che non rientrano nella definizione della Convenzione di Ginevra (1951) vengono classificati come:

• Rifugiati “de facto” (coloro che di fatto sono ospitati da un paese per motivi umanitari)

• Rifugiati “in orbita” (persone che cercano asilo in un paese terzo, diverso dal primo paese di soggiorno)

• Immigrati (coloro che migrano per ragioni economiche e non a causa di persecuzioni da parte dello stato di origine)

• Rifugiati ambientali (coloro che fuggono dalle catastrofi ambientali a cui l’Alto Commissariato offre soltanto assistenza primaria per motivi umanitari).

I “rifugiati ambientali”, o “eco-rifugiati”, non sono riconosciuti in quanto tali, anche se è in atto un esteso dibattito internazionale.

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Argomenti addotti a favore dell’esclusione del riconoscimento dello status di “rifugiato” per i “profughi ambientali”:

• Lo spostamento non avviene necessariamente oltre i confini del Paese

• Assenza dell’elemento individuale della persecuzione

• Possibilità di recupero dei territori oggetto di sconvolgimenti ambientali.

Tuttavia, chi fugge da terre esposte al rischio non è sicuro di farvi ritorno perché il territorio può essere irrimediabilmente compromesso.

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UNEP (1985), definizione di “rifugiati ambientali”:

“persone che hanno dovuto forzatamente abbandonare le loro abitazioni per necessità temporanee o permanenti a causa di grandi sconvolgimenti ambientali (naturali e/o indotti dall’uomo), i quali hanno messo in pericolo la loro esistenza, o danneggiato seriamente la loro qualità di vita”.

Tre categorie:

1) Persone che si spostano temporaneamente a causa di stress ambientali dovuti sia a disastri naturali (inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche) sia a man made disasters, ma che in momenti successivi possono ritornare nei luoghi di provenienza per iniziarvi la ricostruzione. 2) Persone permanentemente spostate e riallocate in altra area. Questo gruppo di sfollati subisce gli effetti di disastri causati da progetti di sviluppo (grandi dighe, industrie, attività minerarie) e da disastri naturali che danneggiano un’area in modo permamente. 3) Persone che si spostano provvisoriamente o permanentemente perché non possono essere sostenute dalle risorse delle loro terre a causa della degradazione ambientale.

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Relazioni tra degrado ambientale e processi migratori:

– migrazioni ricorrenti nel quadro di una risposta abituale alle fluttuazioni climatiche, come nel caso della siccità;

– ondate di migranti a breve termine come reazione ad un singolo evento climatico;

– movimenti su grande scala determinati da fenomeni cronici, come nel caso della desertificazione.

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Flussi costanti di rifugiati ambientali sono evidenti in diverse parti del mondo, es:

• Asia Centrale

• Corno d’Africa

• Sahel occidentale

• Argentina

• Messico

Le relazioni tra conflitti, siccità, migrazioni e degrado ambientale però sono molto complesse, come dimostrano i casi del Darfur e del Ruanda.

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Confine Sudafrica - Lesotho

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Confine Brunei - Malaysia

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Confine Haiti – Repubblica Dominicana

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Il ruolo della desertificazione nelle migrazioni Messico – Stati Uniti

Il confine è lungo circa 3.000 km. Nonostante le barriere fisiche è attraversato ogni anno illegalmente da circa 300.000 migranti messicani e 200.000 migranti di altra provenienza. Contando anche gli stagionali si arriva a circa 2 milioni di ingressi illegali ogni anno. Gli immigrati messicani regolari sono circa 150.000 l’anno.

Nel 2004 vivevano negli USA 10 milioni di immigrati illegali o clandestini. Di questi, 6 milioni erano messicani (stime Census Bureau)

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Il confine a Tijuana (3)

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Uso del suolo negli Stati Uniti (nord) e in Messico (sud)

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Ogni anno la desertificazione in Messico danneggia 1.500 km2 e causa l’abbandono di 600 km2 di terre coltivate. Il Governo messicano stima che il 97% del territorio sia interessato da varie forme di erosione del suolo. Il 70% della superficie è a rischio desertificazione.

Le cause principali sono il pascolamento, il disboscamento, la distruzione della vegetazione per la produzione energetica, le cattive pratiche irrigue (salinizzazione), le attività minerarie e l’espansione urbana.

Pressione crescente sulle terre marginali.

Il cambiamento climatico può aggravare il fenomeno, ma le cause sono locali.

La desertificazione è molto più avanzata nel versante messicano del confine piuttosto che in quello statunitense.

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La desertificazione e la scarsità d’acqua, secondo le stime del governo messicano, causano l’abbandono delle terre aride e semiaride da parte di circa 900.000 persone l’anno.

Controverso il ruolo delle piantagioni commerciali: vantaggi e svantaggi.

Le migrazioni dal Messico verso gli Stati Uniti hanno una prevalente motivazione economica, ma il degrado ambientale gioca sicuramente un ruolo importante. Le due motivazioni sono spesso intrecciate tra loro.

L’abbandono delle campagne e delle attività agricole, comunque, è avvenuto ed avviene anche in terre che non sono colpite dal degrado ambientale.

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In questo caso è molto difficile distinguere i migranti economici dai rifugiati ambientali, ma individuare le motivazioni prevalenti può aiutare ad affrontare il problema.

Una parte dei rifugiati ambientali, infatti, potrebbe decidere di tornare nelle terre d’origine se le condizioni ambientali migliorano.

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Risposte:

• Ritiro dell’agricoltura dalle terre marginali e a rischio• Controllo del pascolamento e promozione di usi del suolo più sostenibili• Riduzione dei consumi idrici da parte dell’agricoltura• Introduzione di varietà vegetali resistenti alla siccità• Sviluppo di attività economiche alternative.

Non è detto, però, che i contadini e i pastori accettino di modificare le proprie abitudini.

Cooperazione: top/down; bottom/up.