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Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto La scuola di Palo Alto, famoso gruppo del Mental Research Institute di Palo Alto in California, negli anni ’70, col testo di P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana del 1967, ampliando l’idea di comunicazione, sostiene che tutti i comportamenti hanno valenza comunicativa poiché, come afferma Birdwhistell, l’individuo partecipa a un sistema globale di interazione. L’opera ha posto le basi di un nuovo paradigma della comunicazione, evidenziandone cinque assiomi che prestano attenzione agli effetti pragmatici dell’azione comunicazionale e danno valore all’influenza reciproca di tutti i fattori coinvolti. L’approccio pragmatico esamina la comunicazione interpersonale come un processo irreversibile, in continua evoluzione, in cui le persone coinvolte si influenzano reciprocamente. L’approccio strategico considera, invece, la comunicazione come un atto appreso, che va guidato ed educato. La conoscenza delle tecniche di comunicazione interpersonale fa divenire più consapevoli dei numerosi fattori che influenzano l’interazione. La sintassi si occupa dei rapporti formali dei segni tra loro, dell’ordinamento delle parole, del loro accordo e collegamento nella proposizione e nel periodo, senza riferimento al contenuto significativo. La semantica studia i significati delle parole nella loro evoluzione storica e si occupa delle relazioni dei segni con ciò che designano. Il primo dei cinque assiomi, o proprietà della comunicazione, è infatti l’impossibilità di non comunicare. Tutte le diverse situazioni interpersonali diventano automaticamente comunicative, ogni forma di comportamento è un messaggio e, siccome è impossibile non comunicare, i due processi sono inscindibili; anche se in modo inconscio, non intenzionale, non verbale, si comunica. Lo si fa attraverso il silenzio, i gesti, i vestiti, ma l’effetto è lo stesso. La comunicazione all’interno della società rappresenta un processo molto articolato e complesso, che va inserito nell’ampia visuale psicosociale e filogenetica delle diverse comunità. E’ impossibile parlarne e analizzarlo senza correlarlo a un gran numero di variabili della realtà individuale cui si riferisce (evolutive, culturali, ideologiche, sociologiche, antropologiche, economiche, psicologiche). Soggetti che hanno vissuto simili esperienze sociali e culturali riescono a comunicare più compiutamente e agevolmente. Scrive a questo proposito Masserman : “simboli dal contenuto motivazionale più complesso e contingente, come casa, famiglia, lavoro e così via presentano necessariamente significati ancor più variabili per persone che necessariamente differiscono quanto a esperienze individuali e ambienti sociali”.

Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

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Page 1: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto

Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto

La scuola di Palo Alto, famoso gruppo del Mental Research Institute di Palo Alto in California, negli anni

’70, col testo di P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana del

1967, ampliando l’idea di comunicazione, sostiene che tutti i comportamenti hanno valenza

comunicativa poiché, come afferma Birdwhistell, l’individuo partecipa a un sistema globale di

interazione. L’opera ha posto le basi di un nuovo paradigma della comunicazione, evidenziandone

cinque assiomi che prestano attenzione agli effetti pragmatici dell’azione comunicazionale e danno

valore all’influenza reciproca di tutti i fattori coinvolti. L’approccio pragmatico esamina la

comunicazione interpersonale come un processo irreversibile, in continua evoluzione, in cui le persone

coinvolte si influenzano reciprocamente. L’approccio strategico considera, invece, la comunicazione

come un atto appreso, che va guidato ed educato. La conoscenza delle tecniche di comunicazione

interpersonale fa divenire più consapevoli dei numerosi fattori che influenzano l’interazione. La sintassi

si occupa dei rapporti formali dei segni tra loro, dell’ordinamento delle parole, del loro accordo e

collegamento nella proposizione e nel periodo, senza riferimento al contenuto significativo. La

semantica studia i significati delle parole nella loro evoluzione storica e si occupa delle relazioni dei

segni con ciò che designano. Il primo dei cinque assiomi, o proprietà della comunicazione, è infatti

l’impossibilità di non comunicare. Tutte le diverse situazioni interpersonali diventano automaticamente

comunicative, ogni forma di comportamento è un messaggio e, siccome è impossibile non comunicare,

i due processi sono inscindibili; anche se in modo inconscio, non intenzionale, non verbale, si

comunica. Lo si fa attraverso il silenzio, i gesti, i vestiti, ma l’effetto è lo stesso. La comunicazione

all’interno della società rappresenta un processo molto articolato e complesso, che va inserito

nell’ampia visuale psicosociale e filogenetica delle diverse comunità. E’ impossibile parlarne e

analizzarlo senza correlarlo a un gran numero di variabili della realtà individuale cui si riferisce

(evolutive, culturali, ideologiche, sociologiche, antropologiche, economiche, psicologiche). Soggetti che

hanno vissuto simili esperienze sociali e culturali riescono a comunicare più compiutamente e

agevolmente. Scrive a questo proposito Masserman :

“simboli dal contenuto motivazionale più complesso e contingente, come casa, famiglia, lavoro e così

via presentano necessariamente significati ancor più variabili per persone che necessariamente

differiscono quanto a esperienze individuali e ambienti sociali”.

Page 2: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

La diversità degli aspetti connotativi aumenta quanto più numerose sono le divisioni sociali e culturali

fra individui e gruppi: si può dire che queste difficoltà hanno sempre costituito, per la comprensione e

la fratellanza fra gli uomini, ostacoli di gravissima e talora tragica portata.

Primo assioma

Secondo assioma

Terzo assioma

Quarto assioma

Quinto assioma

Ritorna a Capitolo 1 La comunicazione: fondamenti

Primo assioma: E’ impossibile non comunicare. Ogni comportamento e’ comunicazione.

Non esiste qualcosa che sia un non-comportamento e, in una interazione, qualsiasi comportamento ha

valore di messaggio. La comunicazione non è volontaria: anche non rispondendo o non reagendo si

comunica qualcosa. Ogni comunicazione può essere scomposta in:

1. messaggio, ogni singola unità di comunicazione;

2. interazione, una serie di messaggi.

C’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale e proprio

perché è troppo ovvia spesso viene trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. Non esiste

un qualcosa che sia un non-comportamento, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si

accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire

è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività, le

parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non

possono non rispondere a queste comunicazioni, e in tal modo comunicano anche loro. Come afferma

il primo assioma, ogni comportamento è comunicazione: nell’uomo, ogni comportamento è una

trasformazione di processi neurologici interni, sui quali pertanto reca delle informazioni. Ogni

comportamento è quindi, in qualche modo, comunicazione sull’organizzazione neurologica di un

individuo: non si può non comunicare. Pertanto, la comunicazione non è sempre intenzionale, conscia

ed efficace e molto spesso comunichiamo senza accorgercene. Lo stesso ritrarsi, come l’immobilità o il

silenzio, rappresentano anch’essi una forma di comunicazione. Tuttavia, questi segnali possono essere

facilmente fraintesi e queste ambiguità non sono le sole complicazioni che possono sorgere dalla

struttura di livello di ogni comunicazione. Ne consegue una possibile applicazione pratica: non pensare

Page 3: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

più che una persona non stia comunicando, ma chiedersi sempre cosa sta comunicando una persona

con il suo silenzio o la sua assenza.

Secondo assioma: Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo che il

secondo qualifica il primo ed è quindi metacomunicazione.

Una comunicazione trasmette informazioni, ovvero un aspetto comunicativo di contenuto (notizia,

report), e un certo comportamento da seguire, ovvero un aspetto comunicativo di elezione (comando,

command). Ogni comunicazione implica, inoltre, un impegno e quindi definisce il modo in cui il

trasmettitore considera la sua relazione con il ricevitore. È dunque possibile teorizzare un secondo

assioma della comunicazione, basato sul fatto che una comunicazione non soltanto trasmette

informazione ma, al tempo stesso, impone un comportamento. Nella comunicazione possiamo

distinguere due aspetti fondamentali:

1. l’aspetto di notizia, che trasmette un’informazione e rappresenta, quindi, il contenuto del

messaggio;

2. l’aspetto di comando, che si riferisce al modo in cui il messaggio è comunicato e definisce, pertanto,

la relazione tra i comunicanti; si riferisce al messaggio che deve essere assunto e, perciò, alla

relazione tra i comunicanti (Ecco come mi vedo ... Ecco come ti vedo ... ecco come ti vedo che mi

vedi). Di qui la centralità della meta-comunicazione, cioè della comunicazione sulla comunicazione: la

capacità di meta-comunicare in modo adeguato non so lo è la conditio sine qua non della

comunicazione efficace, ma è anche strettamente collegata con il problema della consapevolezza del

sè e degli altri.

E’ importante considerare il rapporto esistente tra l’aspetto di contenuto (notizia) e l’aspetto di

relazione (comando) della comunicazione. Gli aspetti di relazione sono di un tipo logico più elevato dei

contenuti: sono meta-informazione poiché sono informazione sull’informazione. La relazione, infatti,

può essere espressa anche in modo non verbale (gridando e/o sorridendo) ed anche il contesto in cui

ha luogo la comunicazione influisce ulteriormente a chiarire la relazione. Rispetto al rapporto

contenuto – relazione, la relazione è un’informazione sul contenuto, ovvero su come esso deve essere

assunto, ed è perciò ancora meta-comunicazione. Una confusione tra i due livelli può creare paradossi.

Ogni comunicazione implica un impegno e quindi definisce il modo in cui il trasmettitore considera la

sua relazione con il ricevente. Una comunicazione non solo trasmette informazione, ma al tempo

stesso impone un comportamento. Ne deriva, anche in questo caso, una possibile applicazione pratica:

Page 4: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

se do un’informazione in modo arrogante,scostante, critico ciò che arriva al ricevente è il livello di

disconferma e rifiuto e posso suscitare una reazione aggressiva o passiva; comunque il ricevente

risponderà a questo livello.

Terzo assioma: La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di

comunicazione tra i comunicanti.

I comunicanti segmentano il loro scambio in unità di comunicazione dotate di senso e chiusura

attraverso l’uso della punteggiatura; essa organizza gli eventi comportamentali dell’interazione in

corso. Realtà diverse dovute ai modi diversi di punteggiare la sequenza sono alla radice di

innumerevoli conflitti di relazione. Un’altra caratteristica fondamentale della comunicazione riguarda

l’interazione tra i comunicanti. La comunicazione può essere considerata come una sequenza

ininterrotta di scambi che alcuni teorici hanno definito come punteggiatura della sequenza di eventi.

Possiamo, perciò, aggiungere un terzo assioma della comunicazione: la natura di una relazione

dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. In quest’ottica, la

comunicazione si configura come un processo circolare in cui gli organismi coinvolti punteggiano la

sequenza in modo che sembri che l’uno o l’altro abbia iniziativa o che si trovi in posizione di

dipendenza, stabilendo tra di loro ben precisi modelli di scambio. Diventa, dunque, evidente che la

punteggiatura organizza gli eventi comportamentali, diventando vitale per le interazioni in corso. Ne

consegue un’indicazione di possibile applicazione pratica: per risolvere una disfunzionalità, occorre

saper ascoltare il punto di vista dell’altro e ricercare un’integrazione delle diverse punteggiature.

Quarto assioma

Quarto assioma: Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico.Il

linguaggio numerico ha una sintassi logica assai piu’ complessa e di estrema efficacia, ma manca di

una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma

non ha alcuna sintassi adeguata per definire la natura della relazione.

La comunicazione verbale (numerica) necessita del supporto del messaggio non verbale per evitare

possibili fraintendimenti. Il linguaggio non verbale contiene elementi analogici che si trasmettono

attraverso la postura, la gestualità, il tono della voce, la mimica e che corrispondono, in parte, a

universali del comportamento umano, in parte a codici culturalmente definiti. Ne consegue

Page 5: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

un’indicazione di possibili applicazione pratica: è utile ascoltare il livello non verbale e riconoscere se

trasmettiamo messaggi rispettosi della cultura del ricevente in una posizione paritaria.

Quinto assioma: Tutti gli scambi di comunicazione possono essere definiti simmetrici o complementari,

a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza tra i due comunicanti.

Il linguaggio può configurarsi come modulo numerico o come modulo analogico. Si parla di modulo

numerico con riferimento alla comunicazione verbale e ogniqualvolta il linguaggio genera un rapporto

tra nome e cosa nominata arbitrario, trasmette l’aspetto di contenuto, ha una sintassi logica completa

ed efficace e manca di una semantica adeguata (relazione). Si parla, invece, di modulo analogico con

riferimento alla comunicazione non-verbale (ivi compresi gesti, posizioni del corpo, espressioni, ritmi

della voce) e ogniqualvolta il linguaggio genera un rapporto tra rappresentazione e cosa rappresentata

basato su analogia, trasmette l’aspetto di relazione, ha una semantica completa e manca di una

sintassi adeguata (relazione). L’uomo ha la necessità di combinare questi due linguaggi tra loro e di

tradurre dall’uno all’altro. Uno scambio di comunicazione è:

1. simmetrico, quando è basato sull’uguaglianza ed è, dunque, paritario e democratico. Uno scambio

comunicativo è detto simmetrico quando ciascuno dei due dialoganti tende a rispecchiare il

comportamento dell’altro e a minimizzare la differenza, tendendo all’uguaglianza. I due comunicanti

sono sullo stesso piano e, quindi, in equilibrio tra loro;

2. complementare, quando è basato sulla differenza e sul rapporto autorità/subordinazione. Uno

scambio comunicativo è complementare, quando il comportamento di uno completa quello dell’altro e

si mantiene la differenza. I due comunicanti hanno due diverse posizioni per cui uno prevale sull’altro.

La relazione tra due individui non è comunque mai definitiva, ma tende al contrario a mutare, anche

senza l’intervento di fattori esterni. All’interno delle relazioni simmetriche possiamo, poi, distinguere

altri due tipi di interazione:

1. relazioni simmetriche-simmetriche, in cui i due comunicanti sono in costante competizione per la

conquista della posizione dominante;

2. relazioni simmetriche-reciproche, in cui i due comunicanti assumono alternativamente la posizione

dominante, a seconda delle situazioni.

Ne consegue un’indicazione di possibile applicazione pratica: essere consapevoli del tipo di relazione

che si vuole instaurare permette di essere chiari nel messaggio che si invia e di evitare sgradevoli

conflitti di ruolo o lotte di potere.

Page 6: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

Gli assiomi della pragmatica della comunicazione conducono al fenomeno dell’irreversibilità dell’atto

comunicazionale: una volta che il messaggio è stato inviato e che ha prodotto i suoi effetti, non lo si

può più cancellare. L’esperto di comunicazione si addestra a prestare attenzione, durante ogni fase

della comunicazione in corso, al feedback, ovvero all’insieme delle risposte, verbali e analogiche,

fornite dall’interlocutore durante la relazione comunicazionale. I fattori che influenzano il grado di

efficacia di una comunicazione sono:

1. l’identità dei comunicanti, che a sua volta comprende l’identità personale (età, sesso, genere, etnia,

caratteristiche fisiche), sociale (ruoli sociali svolti all’interno della famiglia, di una classe sociale o di un

ceto), professionale (aspetti legati alla professione esercitata, allo status raggiunto e all’autorità

riconosciuta) e spirituale (aspetti relativi alla fede professata, ai valori etici, al credo o sentimento

religioso);

2. la relazione tra gli attori comunicanti, che contribuisce a qualificare alcuni aspetti dell’identità.

Quando viene esercitato un ruolo, gli attori della comunicazione recitano delle parti (Goffman);

3. il contenuto della comunicazione, che richiede trattazioni diverse a seconda del livello culturale degli

interlocutori e delle loro implicazioni psicologiche ed emotive;

4. il linguaggio, canale dell’espressione soggettiva utile a rappresentare quella realtà che si vuole

condividere. La scelta del lessico congiunge le modalità espressive con contenuti cognitivi e processi

emotivi;

5. la congruenza tra linguaggio verbale e linguaggio analogico, tra quello che si dice e come lo si

esprime, tra le parole pronunciate e i toni e i gesti che lo accompagnano;

6. il canale di trasmissione, che ha il potere di influenzare il messaggio (per Marshall Mc Luhan il

mezzo è il messaggio): così, una comunicazione vis a vis è diversa da una telefonica, via Internet o

scritta;

7. il contesto, dimensione spazio-temporale condivisa dai partecipanti allo scambio comunicativo nella

comunicazione interpersonale. Ogni processo di comunicazione va inserito nella matrice contestuale in

cui si svolge;

8. gli obiettivi, ovvero lo scopo della comunicazione, inteso in senso lato, è quello di aumentare la

condivisione, lo scambio, la reciprocità di cognizioni ed emozioni;

9. la flessibilità delle strategie utilizzate, da adottare in relazione agli obiettivi posti.

La comunicazione analogica non può essere isolata dalla comunicazione verbale: le due forme di

comunicazione, verbale e non verbale, costituiscono un insieme non separabile, se non artificialmente,

Page 7: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

per fini didattici. La comunicazione non verbale comprende:

1. la postura, ovvero il modo di disporre nello spazio le parti del corpo, che consente di distinguere la

funzione comunicativa da quella espressiva;

2. la prossemica, che indica due aspetti del modo di collocarsi e di presentarsi socialmente e di

relazionarsi fisicamente con le altre persone: l’uso dello spazio, la prossimità in termini di

vicinanza/distanza e la posizione del corpo, di fianco o di fronte;

3. le espressioni del viso, un insieme di segnalazioni involontarie che indicano le principali reazioni

emotive (gli occhi non sono bugiardi);

4. i movimenti e i gesti delle braccia e delle mani, che accompagnano il linguaggio enfatizzando e

punteggiando il messaggio parlato;

5. le comunicazioni mimiche o cinesiche, che determinano atti linguistici in quanto gesti emblematici

(ad es. alzare la mano per chiedere parola), descrittivi (gesti che scandiscono le parti salienti del

discorso illustrando in modo più forte concetti espressi verbalmente), di regolazione (ad es.

ondeggiare la mano per attenuare la forza di un concetto), di adattamento (posizionamento del corpo

per dominare stati d’animo o adeguare la propria espressione al contesto), di manifestazione affettiva

(ad es. una carezza);

6. la comunicazione paraverbale, che riguarda la prosodia, i toni, il tempo, il timbro e il volume della

voce. La paralinguistica studia i fenomeni collaterali (para), concomitanti all’enunciazione verbale. Le

modalità secondo cui ogni proposizione può essere enunciata sono:

• il tono, indicatore dell’intenzione e del senso che si da a quello che si dice, mediante il quale si può

esprimere entusiasmo, disappunto, interesse, noia, coinvolgimento, apatia, apprezzamento, disgusto;

• il volume, che riguarda prevalentemente l’intensità sonora, il modo di calibrare la voce in base alla

distanza dall’interlocutore;

• il tempo, ovvero le pause, la lentezza o la velocità assoluta, che possono servire come fattori che

sottolineano, accentuano o sfumano il significato verbale;

• il timbro, ovvero l’insieme delle caratteristiche individuali della voce (gutturale, nasale, soffocata): è

il colore della voce;

• la comunicazione verbale, costituita dal linguaggio, strumento di cui ci si serve per tradurre

l’esperienza interna in concetti e per esprimere i propri pensieri e trasformarli in processo

interpersonale e sociale.

Il processo di percezione degli stimoli esterni subiscono interferenze causate da:

Page 8: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

1. filtri neuro-fisiologici, di natura genetica, che limitano la mera capacità percettiva;

2. socio-culturali, che condizionano la capacità cognitiva e derivano dall’appartenere a una data

comunità, cultura, gruppo etnico, religione, zona geografica;

3. psicologici personali, che possono condizionare il potenziale cognitivo, emotivo ed esperienziale

dell’individuo.

La linguistica distingue il piano denotativo, che indica la relazione tra una parola e l’oggetto a cui fa

riferimento in termini meramente referenziali, e il piano connotativo, che incorpora un giudizio di

valore sulla forza evocativa che la parola contiene in sé. Le parole rappresentano la più piccola unità

dell’aspetto esecutivo del processo linguistico (Vygotsky). Ciascuna parola contiene caratteristiche

distintive che possono essere utilizzate in modo diverso a seconda della forza con cui si ha intenzione

di esprimere le proprie intenzioni. Le parole possono essere descrittive (descrivono fenomeni

osservabili), valoriali (assegnano valore ad oggetti, persone, stati d’animo e sono generalmente

astratte), interpretative (sono meramente soggettive e si basano sui processi di attribuzione e

categorizzazione). La scelta delle parole forma il registro linguistico. L’atto linguistico riguarda i mezzi

linguistici, che le persone usano per compiere le più comuni azioni sociali, ed evidenzia il carattere

d’azione del linguaggio, che ha la capacità di provocare effetti sul ricevente.

Capitolo 1 La comunicazione: fondamenti

Teorie dei segni, dell’informazione e della comunicazione

Il linguaggio è contemporaneamente lo strumento e il modo fondamentale di comunicazione, utilizzato

da ogni uomo per la costruzione di rapporti di interazione con gli altri uomini e con il mondo in

generale. L’unità di base di ogni tipo di linguaggio è il segno: si definisce “segno” ogni cosa che sta per

qualcos’altro e serve a comunicare questo qualcos’altro a qualcuno. In base ai criteri dell’intenzionalità

e della motivazione relativa, distinguiamo almeno cinque diverse tipologie di segni:

1. indici (o sintomi), motivati naturalmente/non intenzionali, basati sul rapporto causa-effetto (ad es.

starnuto per avere raffreddore);

2. segnali, motivati naturalmente/usati intenzionalmente (ad es. sbadiglio involontario per noia);

3. icone (dal gr. eikón, immagine), motivati analogicamente/intenzionali, basati sulla similarità di

forma e struttura, riproducono le proprietà dell’oggetto designato (ad es. le simbologie presenti sulle

guide turistiche);

4. simboli, motivati culturalmente/intenzionali (ad es. colore nero per lutto);

Page 9: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

5. segni propriamente detti, non motivati/intenzionali (ad es. comunicazione gestuale).

Procedendo dagli indici ai segni propriamente detti, la motivazione che lega il qualcosa al qualcos’altro

del segno è sempre più convenzionale e meno diretta, con conseguente aumento della specificità

culturale del segno. Su un primo versante gli indici, essendo fatti di natura, hanno per definizione un

valore universale e rimangono uguali per tutte le culture in ogni tempo; sul versante opposto, i segni

propriamente detti dipendono da ogni singola tradizione culturale (ad es. il termine gatto è un segno

linguistico propriamente detto, prodotto intenzionalmente per riferirsi ad un animale nella specifica

cultura linguistica italiana). Il segno è, dunque, l’unità fondamentale della comunicazione (dal latino

communis, mettere in comune, rendere comune, trasmette informazioni). Si può parlare di

comunicazione utilizzando un’accezione molto larga o più ristretta del termine. Secondo una prima ed

ampia accezione, ogni fatto culturale, compresi i fatti di natura filtrati dell’esperienza umana, veicola

informazioni che possono essere interpretate da qualcuno. Secondo un’accezione più ristretta, si ha

comunicazione quando c’è un comportamento prodotto da un’emittente al fine di far passare

dell’informazione, percepito da un ricevente come tale. Il coinvolgimento del concetto di intenzionalità

differenzia la comunicazione dal semplice passaggio di informazione. In maniera ancor più rigorosa, è

verosimile individuare tre possibili categorie nel fenomeno generale della comunicazione:

a) Comunicazione in senso stretto:

forte emittente intenzionale es. linguaggio verbale umano, sistemi

ricevente intenzionale di comunicazione artificiali

b) Passaggio di informazioni:

“codice”: emittente non intenzionale es. parte della comunicazione non

ricevente intenzionale verbale umana (postura)

c) Formulazione di inferenze:

debole nessun emittente

(è solo presente un “oggetto culturale”) es. modi di vestire

interpretante

Teorie dei segni

- Tommaso D´Aquino

- Immanuel Kant

Page 10: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

- Umberto Eco

- Ferdinand de Saussure

- Charles Sanders Peirce

- Thomas Albert Sebeok

- Gottlob Frege

- Teorie culturologiche

La teoria dell´informazione

- Misura dell´informazione

- Comunicazione e informazione

Teorie della comunicazione

- Karl Bűhler

- Roman Jacobson

- Claude Shannon e Warren Weaver

- Ferdinand de Saussure

- John L. Austin

- John Searle

- Paul Grice

- Schema di un sistema interattivo della comunicazione

L´ambiente o contesto

I modelli comunicativi

- Il modello matematico dell´informazione

- Il modello semiotico-informazionale

- Il modello semiotico-testuale

- Il modello semiotico-enunciazionale

Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto

- Primo assioma

- Secondo assioma

- Terzo assioma

- Quarto assioma

- Quinto assioma

Stili di comunicazione e comunicazione indiretta

Page 11: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

Comunicazione persuasiva e negoziazione del conflitto

- Comportamento relazionale positivo

- Il conflitto

Paul Grice

Ultimo contributo fondamentale da considerare è quello offerto da Paul Grice (1913-1988), filosofo

che, con la sua opera, ha permesso un ulteriore evoluzione della teoria del significato e della

comunicazione. Il cuore della riflessione di Grice è rappresentato dall’individuazione di alcune regole di

base che governano la conversazione tra individui e che sottostanno all’unico e imprescindibile

principio della cooperazione, espresso in questi termini:

“Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene,

dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato.”

Le regole della conversazione sono state riunite da Grice in quattro massime fondamentali:

1. massima della quantità, che recita espressamente:

“fornisci l’informazione necessaria, né più, nè meno.”

Secondo tale massima, il contributo che viene dato da ciascun partecipante alla conversazione deve

essere informativo quanto richiesto. Non ci si aspetta che uno o tutti i partecipanti diano

un’informazione sovrabbondante o inferiore alle aspettative;

2. massima della qualità, che recita espressamente:

“sii sincero, fornisci informazione veritiera, secondo quanto sai.”

Secondo tale massima in genere non si dovrebbe dire ciò che si ritiene falso, o ciò di cui non si hanno

prove sufficienti, o lo scopo della comunicazione fallirebbe;

3. massima di relazione, che recita espressamente:

“sii pertinente.”

Secondo questa massima il contributo informativo di un enunciato dovrebbe essere pertinente con la

conversazione;

4. massima di modalità, che recita espressamente:

Page 12: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

“sii chiaro.”

L’enunciato dovrebbe essere chiaro, poco ambiguo, breve e ordinato. Infatti questa massima,

contrariamente alle altre tre, non si riferisce a quanto detto bensì al modo in cui questo viene esposto.

Le massime costituiscono delle norme comportamentali che il parlante generalmente segue, ma che

possono anche essere sistematicamente violate, in casi particolari, per ottenere effetti di ironia o

sarcasmo o per realizzare significati diversi dal semplice significato composizionale di un enunciato.

Nel caso in cui tali massime siano violate entrano in gioco le implicature conversazionali (ad es. se

Luigi dice Monica è stata proprio carina con me e in realtà Monica non si è comportata in modo gentile,

Luigi sta deliberatamente violando la massima di qualità per realizzare un effetto di sarcasmo). Tutti i

comportamenti derivanti dall’osservanza delle massime o dalle loro violazioni o sfruttamenti danno

luogo a delle implicature conversazionali, che consistono in informazione supplementare derivante dal

confronto di ciò che il parlante ha detto con la sua supposta aderenza al principio di cooperazione e

alle massime. Se, ad esempio, dico al mio interlocutore Quella signora è una vecchia ciabatta e il mio

interlocutore mi risponde dicendo Che bella giornata oggi, non è vero?, dal fatto che egli non sta

rispettando la massima di relazione (la sua risposta infatti non è pertinente) e dall’assunto che

comunque stia rispettando il principio di cooperazione (non ho motivo per ritenere che non lo stia

facendo), inferisco che la sua violazione della massima è deliberata, non accidentale, e quindi egli sta

implicando conversazionalmente di non voler pronunciarsi sulla signora in questione. Le implicature

conversazionali sono tali in quanto essenzialmente collegate a certe caratteristiche generali del

discorso e si distinguono infatti da altri tipi di implicature, principalmente dalle implicature

convenzionali, che invece sono legate al significato convenzionale delle parole usate nel discorso (ad

esempio l’uso del ma ci suggerisce che le informazioni che si trovano alla sua sinistra e alla sua destra

sono in contrasto tra di loro). Il concetto di implicatura conversazionale è fondamentale in pragmatica

per calcolare l’informazione proveniente dal rapporto tra il linguaggio e il contesto in cui viene usato.

Stili di comunicazione e comunicazione indiretta

Per scelta stile si intende la tendenza a privilegiare un modo di esprimersi e di relazionarsi piuttosto

che un altro, che può essere utile in alcune circostanze e disfunzionale in altre. Esistono diversi stili di

comunicazione:

1. stile passivo, caratterizzato da un atteggiamento di minimizzazione delle proprie posizioni e dalla

rinuncia a esprimere le proprie idee. Lo stile passivo può essere utile quando non abbiamo intenzione

Page 13: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

di dedicare energie e ci fidiamo dell’interlocutore;

2. stile aggressivo, caratterizzato da atteggiamenti tesi a mostrare la superiorità di chi parla nei

confronti del suo interlocutore. Nello stile aggressivo c’è la tendenza a ipervalutare se stessi e a

sottovalutare gli altri. Lo stile aggressivo può essere utile quando vogliamo far valere i nostri diritti;

3. stile manipolativo, caratterizzato da atteggiamenti tesi a raggirare l’altra persona con l’intenzione di

ottenere una risposta a proprio vantaggio. La manipolazione porta ad alterare le informazioni, a

trasmetterle in modo parziale, non pertinente o congruente, a privilegiare ambiguità espositive. La

manipolazione delle emozioni riguarda l’adozione di comportamenti di seduzione, di dissimulazione dei

propri sentimenti, emozioni e pensieri tesi a ottenere qualcosa dall’interlocutore, che crede invece alla

veridicità di quanto dichiarato. Lo stile manipolativo può essere utile quando abbiamo qualcosa da

nascondere o da proteggere;

4. stile assertivo, caratterizzato da atteggiamenti tesi a far valere le proprie opinioni, meriti,

sensazioni, diritti, nel pieno riconoscimento e rispetto di quelli degli altri. E’ utile usare lo stile

assertivo quando vale la pena instaurare un rapporto basato sul riconoscimento dei propri e altrui

diritti.

A volte chi parla può voler dire ciò che esprime letteralmente; altre volte può voler sottintendere un

contenuto opposto, come nel caso dell’ironia; altre volte ancora desidera inviare richieste implicite che

spera l’interlocutore intuisca. In quest’ultimo caso, chi parla si avvale di atti linguistici indiretti, che

consentono di ottenere la risposta desiderata senza esprimerla apertamente. Negli atti linguistici

indiretti, chi parla comunica all’ascoltatore diversi messaggi contemporaneamente, fidandosi del

bagaglio di conoscenze linguistiche e relazionali dell’ascoltatore, del suo intuito, della sua capacità di

rispondere in modo empatico. Alcuni tipi di messaggi indiretti studiati dai linguisti pragmatici sono:

1. i postulati conversazionali, ovvero modi convenzionali, espressioni idiomatiche di porgere richieste

che mascherano l’intenzione imperativa o di porre domande senza sembrare intrusivi;

2. i presupposti linguistici, che sono la parte sommersa del discorso, in quanto stanno prima e sotto

ciò che viene pronunciato, e fungono da fondamenta, in quanto sorreggono il sovrastante discorso

manifesto;

3. l’ambiguità, un elemento strutturale del linguaggio, ovvero la tecnica di esprimere più significati

contemporaneamente;

4. luoghi comuni e truismi, ovvero un complesso di affermazioni ovvie con cui si può intendere altro

rispetto al detto.

Page 14: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

Nell’ambito retorico, la metafora è una figura che esprime una similitudine consistente nel

trasferimento a un oggetto del nome proprio di un altro, stabilendo un rapporto di analogia. La

metafora opera uno spostamento di significato attraverso una parentela di somiglianze.

Comunicazione persuasiva e negoziazione del conflitto

La comunicazione persuasiva è quel tipo di comunicazione che ha come obiettivo quello di stimolare

nell’ascoltatore l’adesione alla tesi contenuta nel messaggio, usando la forza della parola che fa

accedere senza costringere, che obbliga senza creare un vincolo di necessità. Il linguaggio persuasivo

è prevalentemente indiretto, sensorialmente specificato, suggestivo, evocativo, analogico, metaforico.

La forza persuasiva si fonda sulla conoscenza dell’interlocutore, delle sue aspirazioni, delle sue

debolezze, sull’utilizzo delle regole retoriche. I fattori di cui si avvale un messaggio persuasivo sono:

1. fattori strutturali, che riguardano l’organizzazione del discorso, la scelta dei contenuti e delle

argomentazioni;

2. fattori valoriali, che si riferiscono ai valori universali condivisi dall’ascoltatore e dal parlante;

3. fattori affettivi, che si riferiscono alle emozioni come leva per l’azione.

La persuasione può essere centrata:

1. sul persuasore, quando chi parla utilizza se stesso come strumento persuasivo, quando crede che

basta la sua presenza per persuadere (attrattiva, forza espressiva, potere);

2. sul contenuto, quando chi intende persuadere si affida a un’esposizione sicura, con riferimenti

precisi, affidabili, con collegamenti pertinenti, seguendo più la logica dei fatti che quella delle idee e

delle ideologie (metodo, dimostrazione, evidenza);

3. sul persuadendo, quando il relatore bada alle eventuali relazioni degli interlocutori e tenta di

persuaderli in diversi modi (coinvolgimento, manipolazione).

La negoziazione è un processo in cui due o più interlocutori si impegnano per risolvere uno stesso

problema, partendo da interessi opposti rispetto alle soluzioni, da posizioni di potere reciprocamente

relative. Il processo negoziale stimola un continuo e mutevole confronto non solo sugli obiettivi della

trattativa, ma anche sulla volontà di perseguirli, sull’atteggiamento negoziale che gli interlocutori

assumono, sulle abilità personali, sull’equilibrio di potere percepito e attribuito, legittimato e

riconosciuto e sulla gestione del conflitto. Si può gestire il conflitto con diversi approcci:

1. approccio collaborativo, che richiede un confronto aperto, un processo di negoziazione basato sul

principio Io vinco/Tu vinci;

Page 15: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

2. approccio di tipo competitivo, che si avvale di tecniche di persuasione e di manipolazione;

3. approccio compromissorio, che opera espliciti richiami ad obiettivi di ordine superiore o ricorre a

terzi elementi in gioco;

4. approccio di tipo accomodante, che è un approccio passivo in cui si è pronti a concedere o a cedere

posizioni;

5. approccio di tipo confronto o collaborazione, in cui attraverso il confronto face-to-face, deponendo

le armi, si può trovare insieme la giusta soluzione che consente ad entrambi di vincere (win-win). In

questo caso, entrambi i contendenti hanno interesse a rafforzarsi, eliminando al più presto il conflitto,

perché sono di pari livello ed in fondo si stimano reciprocamente;

6. approccio di tipo compromesso, adottando il quale entrambi portano a casa qualcosa, cedendo su

altri punti. E’ un particolare risultato del confronto, dove si pratica il concetto del “dout des”. E’ quella

particolare situazione in cui in qualche modo entrambi i contendenti perdono (lose-lose);

7. approccio di tipo accomodante, in cui si cerca di contenere l’emotività puntando sulle opinioni

comuni e accantonando le divergenze. Tale approccio non risolve necessariamente il conflitto, ma

comporta un abbandono delle ostilità in quanto si intravede una soluzione possibile. Di solito, questo

approccio si sceglie quando il gioco non vale la candela e risulta più conveniente ristabilire l’armonia;

8. approccio di tipo forzato, che si realizza quando una parte cerca di imporre una soluzione ad un

altra, magari ad un livello molto basso. Se il conflitto viene portato ai livelli gerarchici superiori,

automaticamente si crea un vinto ed un vincitore (win-lose). Si utilizza questo approccio quando si è

veramente sicuri di essere nel giusto, si vuole trarre un vantaggio, la posta è alta, si agisce per

principio, la decisione è urgente e, comunque, non si teme per la compromissione dei rapporti

interpersonali;

9. approccio del tipo abbandono, che è un modo per rinviare un problema. Questa scelta è utile

quando si sa di non poter vincere, la posta è bassa, serve prendere tempo, si vuole innervosire il

contendente, si vuole restare neutrali o lasciar decantare il problema, vincendo semplicemente

aspettando (Confucio).

Comportamento relazionale positivo

Il conflitto

John Searle

Page 16: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

John Searle (1932), anche lui filosofo analitico del linguaggio, elabora la sua teoria a partire dalla

critica alla tassonomia di Austin appena analizzata, non costruita, a suo dire, in base a principi chiari,

tanto che si fa confusione tra verbi illocutori e atti illocutori, vi sono sovrapposizione tra le classi

verbali e troppa eterogeneità al loro interno. Searle pone come criterio centrale della sua

classificazione il concetto di scopo illocutorio. Lo scopo illocutorio è parte integrante della forza

illocutoria, ma ne è distinto. Per esempio, richiesta e comando hanno lo stesso scopo illocutorio, cioè il

far fare qualcosa al destinatario, ma la loro forza è diversa. Searle propone cinque categorie di atti

illocutori:

1. gli atti rappresentativi hanno come scopo quello di impegnare chi enuncia alla verità della

proposizione espressa. Verbi che denotano atti di questa classe sono, per esempio, suggerire,

ipotizzare, asserire;

2. gli atti direttivi hanno come scopo illocutorio quello di costituire dei tentativi di indurre il

destinatario a fare qualcosa. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, ordinare,

comandare, invitare, sfidare, provocare;

3. gli atti commissivi hanno come scopo quello di impegnare chi enuncia ad assumere una condotta

futura. Un verbo che denota un atto di questa classe è, per esempio, promettere;

4. gli atti espressivi hanno come scopo quello di esprimere lo stato psicologico a proposito di una

proposizione la cui verità è data per scontata. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio,

chiedere scusa e congratularsi;

5. gli atti dichiarativi, se eseguiti felicemente, fanno corrispondere contenuto proposizionale e realtà.

Essi provocano dei cambiamenti di status nelle persone o negli oggetti a cui si riferiscono, grazie agli

indicatori di forza illocutoria in essi contenuti. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio,

scomunicare, battezzare.

Searle introduce, inoltre,il concetto di atto linguistico indiretto, ovvero quell’atto che, pur

appartenendo ad una data classe, ha lo scopo illocutorio tipico di un’altra. Per esempio, se un parlante

dice Sono stanco di sentire menzogne, non sta facendo solo un’affermazione, ma sta anche invitando

o ammonendo il destinatario a cambiare comportamento, cioè sta proferendo un atto direttivo

indiretto. In casi come questo, il parlante comunica più del contenuto semantico della proposizione,

facendo appello ad un bagaglio di conoscenze condivise con il destinatario ed alla sua capacità di

trarre delle inferenze. Sinora abbiamo considerato gli atti linguistici presi singolarmente come unità.

Nei discorsi, però, gli atti linguistici sono organizzati in sequenze e per essere compresi devono essere

Page 17: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

interpretati come un solo atto linguistico complessivo, una sorta di atto linguistico globale o macro-

atto linguistico. La sua comprensione e interpretazione richiede all’ascoltatore, o lettore, capacità di

riduzione, integrazione e riorganizzazione dell’informazione ricevuta attraverso operazioni non solo

semantiche, ma anche pragmatiche. Individuare l’atto linguistico globale contribuisce a comprendere

la coerenza di un discorso, che dipende non solo dalle connessione semantiche o proposizionali, ma

anche da quelle relative proprio agli atti linguistici tra loro. Come semanticamente ogni discorso ha un

suo argomento o tema, così pragmaticamente è individuabile uno scopo del macro-atto linguistico.

Considerando il discorso nella sua globalità, è possibile anche interrogarsi sul sistema di valori e sul

modello interpretativo che l’autore usa e che, per questa via, fa implicitamente accettare anche a chi

legge. Attraverso lo studio degli atti linguistici possiamo capire come un discorso funziona, con quali

strategie è organizzato, qual è il rapporto instaurato tra l’enunciatore ed il destinatario. Per esempio,

un discorso costruito su atti verdittivi costruisce un modello dotato di una certa competenza e autorità

per esprimere giudizi di valore. Se un discorso, è basato su atti esercitivi, all’enunciatore è attribuita

una competenza modale di potere e al destinatario quella di dovere. Se un discorso è, invece,

caratterizzato da atti comportativi che esprimono lo stato d’animo dell’enunciatore, questo discorso è

fortemente emotivo e tende a suscitare l’adesione e la partecipazione dei destinatari ai sentimenti

dell’enunciatore stesso.

Ferdinand de Saussure

Per Ferdinand de Saussure (1957 – 1913), il segno è un’entità unitaria ma comprendente al suo

interno due componenti: il significato, ovvero il concetto a cui il segno fa riferimento, e il significante,

veicolo per il precedente. Significato e significante sono entità psichiche, che esistono nella coscienza

degli interagenti per suo tramite, ma non hanno una consistenza oggettiva e materiale. All’interno del

segno, il rapporto tra significato e significante è arbitrario, definito attraverso una convenzione: ogni

segno è tale e specifico in quanto diverso da ogni altro, sia sul versante del significante che su quello

del significato. Il concetto di arbitrarietà è presupposto imprescindibile sia per la definizione del

significante che del significato. Ad un primo livello, quello del significante, ogni specifica lingua

costruisce arbitrariamente una relazione di significazione tra una combinazione di suoni e una certa

porzione di realtà. Ad un secondo livello, ogni lingua fissa i significati in maniera arbitraria. Così, la

lingua italiana attribuisce una diversa cadenza semantica ai termini legna, legname e bosco; la lingua

francese racchiude nel solo termine bois l’intera valenza semantica dei precedenti di lingua italiana. In

Page 18: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

definitiva, ogni lingua storico-naturale categorizza in modo differente la realtà, sia sul versante del

significato che su quello del significante. L’arbitrarietà come regola di ogni lingua nella fissazione di

suoni e concetti dipende anche e soprattutto da tutta una serie di priorità, imposte dalla realtà

contestuale: vi sono delle necessità pratiche che inducono le culture a organizzare una specifica

libreria di concetti, un vero e proprio apparato espressivo, che permette la comunicazione tra gli

appartenenti alla comunità di turno. Ad esempio, le necessità contestuali hanno reso necessario alla

comunità eschimese la codificazione di significanti diversi per distinguere diverse tipologie del

fenomeno che in lingua italiana è individuato sempre e solo dal termine neve. Ad un livello più elevato

rispetto a quello del segno, parlando delle unità fondamentali del linguaggio, un’altra distinzione

importante fatta da de Saussure è quella relativa ai concetti di langue e parole. Il concetto di langue

può essere assimilato a quello di codice. E’ un’istituzione sociale, perché, per dirla alla Durkheim, è

coercitiva e trascendente l’individuo. Una lingua non può essere controllata da singole persone perché

presuppone un patto stipulato tra tutti i membri di una società intera: non a caso sono in molti a

pensare che il linguaggio sia l’istituzione sociale più democratica che esiste, basandosi

sull’osservazione ovvia che nessuna lingua naturale è mai nata per contratto. La langue è una sorta di

grammatica presente a tutti i livelli linguistici (suoni, sillabe, frasi) a cui tutti i parlanti di una lingua

fanno riferimento, molto spesso inconsapevolmente. E’ un insieme di regole socialmente condivise,

che costituiscono le forme della lingua. E’ esterna all’individuo e si acquisisce passivamente. La parole,

invece, può essere intesa come il momento della parlata, l’atto fonatorio in sé e per sé. Attraverso il

parlare, il singolo individuo fa sua la langue. L’atto della parlata è prettamente individuale, creativo,

attivo e vario, ma pur sempre prodotto in funzione di un codice (langue). Ogni lingua è come una

macchina che permette al suo guidatore di andare dove desidera: il cofano, il telaio, l’apparato esterno

è la langue, mentre l’individuo alla guida rappresenta la parole, a cui spetta decidere dove andare con

il mezzo a disposizione. Un aspetto davvero interessante è che la langue è composta da pochi

elementi mentre la parole da molti. In italiano, ad esempio, ci sono meno di trenta suoni, vocali e

consonanti, utilizzati in combinazioni differenti e potenzialmente infinite: la langue è pertanto formale

e invariante, la parole sostanziale e variabile. Al di là degli aspetti appena citati, sono diverse le

caratteristiche specifiche che permettono di distinguere tra langue e parole:

Caratteristiche distintive di langue e parole

LANGUE PAROLE

sociale VS individuale

Page 19: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

passiva attiva

esterna interna

formale sostanziale

pochi elementi molti elementi

invariante variabile

John L. Austin

Soffermandoci in modo particolare sulla comunicazione verbale, ogni enunciato prodotto costituisce un

atto linguistico. La più importante teoria degli atti linguistici è stata elaborata da John L. Austin (1911

– 1960), filosofo analitico del linguaggio. Il concetto centrale della filosofia analitica del linguaggio è

che parlare è agire. Sulla base di tale assunto, il fenomeno linguistico viene considerato dal punto di

vista pragmatico, cioè si considerano gli enunciati

“in quanto prodotti da proferimenti del parlante in situazioni determinate. Proferimenti che

equivalgono ad atti di dire qualcosa, ma anche, e in vari sensi, a delle azioni “.

Austin intuì che produrre un enunciato vuol dire fare contemporaneamente tre cose distinte, compiere

tre atti: di qui la possibilità di descrivere l’atto linguistico su tre livelli differenti, a partire dalla sua

formulazione sino ai suoi effetti nel contesto extralinguistico.

1. Ad un primo livello individuiamo l’atto locutivo, o locutorio, che consiste nel formare una frase in

una data lingua, una proposizione con la sua struttura fonetica, grammaticale e lessicale (ad es.

Francesco mangia come struttura SN + SV, costituita da due parole a loro volta create a partire da

specifici fonemi, con un certo significato denotativo,…). Detto altrimenti, l’atto locutorio è l’atto di dire

qualcosa, sia come attività fisica necessaria a produrre l’enunciato, sia come conoscenza della

grammatica della lingua usata, sia come conoscenza del senso e del riferimento dei vocaboli usati.

2. Ad un secondo livello, l’atto illocutivo, o illocutorio, è l’atto che consiste nel dire qualcosa,

nell’intenzione con la quale e per la quale si produce la frase, nell’azione che si intende

convenzionalmente compiere dicendo quell’enunciato (ad es. Francesco mangia nel suo valore di dare

un’informazione, descrivere, fare un’affermazione). Ogni enunciato possiede una propria e specifica

forza illocutiva. Per esempio, una frase proferita da un parlante o scritta da un autore può avere la

forza illocutoria di una promessa, di una minaccia o di una semplice affermazione. Il destinatario

riconosce la forza illocutoria di un atto linguistico per mezzo di indicatori contenuti nei discorsi orali o

Page 20: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

scritti. È questo il livello che la filosofia analitica del linguaggio ha maggiormente approfondito e che è

più interessante, se si vuole affrontare un’analisi del discorso.

3. Ad un terzo livello, infine, l’atto perlocutivo, o perlocutorio, è l’atto che consiste nel fare qualcosa,

che produce sempre effetti e conseguenze. Il perlocutivo può essere definito anche come l’atto che

consiste nell’effetto che si provoca, e si ha intenzione di provocare, nel destinatario del messaggio,

nella funzione concreta effettivamente svolta da un enunciato prodotto in una determinata situazione

(ad es. Francesco mangia può valere, da questo punto di vista, come sollievo per gli amici di

Francesco che temono per la sua salute).

La frase Chiuderesti la porta? ha la struttura grammaticale di una frase interrogativa (atto locutivo), il

valore di una richiesta o un ordine (atto illocutivo), l’effetto di ottenere che venga chiusa la porta (atto

perlocutivo), sempre che la sua forza illocutiva riesca a raggiungere l’obiettivo voluto. Perché un atto

linguistico sia appropriato, esso deve rispondere ad alcune condizioni. Per prima cosa, devono essere

soddisfatte alcune condizioni preparatorie che riguardano le conoscenze, i desideri e le credenze del

parlante e del destinatario. Per esempio, una promessa ha come condizione che l’atto riguardi

qualcosa di piacevole per il destinatario, un’asserzione che l’atto riguardi qualcosa che il destinatario

non sa e si presume che voglia sapere. Esistono, poi, vere e proprie condizioni di sincerità, necessarie

in quanto l’atto linguistico è legato convenzionalmente al significato ed alle intenzioni del parlante. Per

esempio, una richiesta è sincera se il parlante vuole effettivamente che il destinatario faccia quanto

richiesto. Vi sono, poi, condizioni essenziali che caratterizzano ogni singolo atto linguistico in modo

specifico. Per esempio, una promessa ha come essenziale che il parlante si assuma un obbligo, un

ordine presuppone come essenziale un voler far fare qualcosa a qualcuno. Infine, vi sono condizioni

sociali che riguardano la posizione sociale di chi compie l’atto e del destinatario. Per esempio, è un

giudice in un processo ad assolvere o a condannare, un superiore in un esercito a dare ordini. Queste

condizioni di felicità di un atto linguistico sono necessarie per un suo successo, il che avviene quando il

destinatario riconosce esattamente il significato voluto dal parlante. Sia nei discorsi orali che in quelli

scritti, possono essere riconosciuti indicatori di forza illocutoria che aiutano a disambiguare un atto

linguistico. Per esempio, in un discorso orale è importante l’intonazione della voce, in un discorso

scritto sono importanti i segni di interpunzione e l’ordine delle parole e, in entrambi i casi, sono

importanti indicatori di forza illocutoria i modi verbali. Tuttavia, non è possibile stabilire la forza

illocutoria di un atto linguistico considerandone solo il contenuto semantico, indipendentemente dal

contesto in cui si trova. Gli indicatori di forza puramente linguistici possono anche essere in contrasto

Page 21: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

con le circostanze di proferimento. Il valore illocutorio di un atto è indecidibile a prescindere dal

particolare contesto in cui viene pronunciato, dalle relazioni intercorrenti fra i suoi partecipanti, dai

rapporti gerarchici e di potere che li legano, dalle rispettive credenze, aspettative, desideri e volontà.

Nella sua riflessione teorica, Austin procede ulteriormente, tentando una propria classificazione degli

atti linguistici in :

1. atti verdittivi, che esprimono, in base a prove o ragioni, un giudizio di valore o di fatto. Verbi di

questa categoria sono, per esempio, valutare, giudicare, descrivere, analizzare;

2. atti esercitivi, che esprimono una decisione pro o contro una linea d’azione e tendono a dirigere il

comportamento del destinatario. È il caso di verbi come ordinare, comandare, dare istruzioni, vietare;

3. atti commissivi, che impegnano il parlante ad una certa linea d’azione. È il caso di verbi come

promettere, giurare, garantire;

4. atti espositivi, che servono ad esprimere i propri punti di vista, le proprie argomentazioni e a

chiarificare l’uso o il riferimento delle parole. È il caso di verbi come affermare, negare, accettare,

classificare;

5. atti comportativi, che esprimono le reazioni del parlante a comportamenti od atteggiamenti appena

passati o immediatamente futuri degli altri. È il caso di verbi come chiedere scusa, ringraziare,

maledire

Teorie della comunicazione

Il termine comunicazione deriva dalle parole latine communis e actio. Il termine communis deriva, a

sua volta, da cum + munio ed indica il sentirsi o l’essere obbligati nei confronti di qualcuno; il termine

actio vuol dire, invece, azione. Comunicare, dunque, non vuol dire null’altro che creare un rapporto di

collegamento a ciò che è altro e diverso da sé, sentirsi obbligati in un rapporto comune: espressioni

che trovano la loro principale valenza nel termine relazione. Comunicare significa relazionarsi con

qualcuno, istituire un rapporto dialettico, un incontro con qualcuno che non sia il sé, ma l’altro da sé, e

che in tale rapporto sia attivo e non passivo. Anche il semplice stare al mondo può essere definito

comunicazione, in quanto in ciò è individuabile sempre una posizione di confronto, uno scambio, un

dialogo, non necessariamente verbale e non necessariamente rivolto all’altro uomo. Tra i termini

comunicazione ed informazione la differenza è molto sottile. Possiamo comprendere cosa si intende

per comunicazione e cosa per informazione, introducendo due classi di differenze fondamentali. La

differenza tra le due attività è, prima d’ogni altra cosa, una differenza di mezzi. Seguendo la più

Page 22: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

importante teoria sviluppata sul tema, l’informazione è una specie, nel senso che è compresa, nel

genere di attività che chiamiamo comunicazione. Generalmente, trasmettendo un messaggio

informativo si trasmette una notizia. La trasmissione di una comunicazione comprende, invece, varie

modalità specifiche. Una comunicazione può consistere nella modalità sponsorizzazione, promozione,

manifestazione ed altro ancora. Possiamo, poi, cogliere una distinzione relativa al feedback, ovvero

alla retroazione del dato trasmesso. Nell’attività di informazione, il fine che attraverso la trasmissione

di una notizia si vuole raggiungere, è di far conoscere qualcosa a qualcuno. Il feedback, in questo

caso, è utile per poter ottenere quelle informazioni che permettono di valutare e verificare se l’attività

ha raggiunto l’obiettivo e, eventualmente, quale ne è stata l’efficacia. L’attività di comunicazione,

invece, ha l’obiettivo di creare un rapporto tra due referenti, di reciproca crescita ed influenza.

All’attività comunicativa, il feedback è utile per poter valutare quantitativamente e qualitativamente il

cambiamento, ovviamente in senso positivo, che nella relazione i due interagenti hanno maturato. Più

volgarmente, la differenza tra comunicazione ed informazione può essere individuata nel fatto che la

comunicazione consiste in informazione significata, dotata di senso. Per una riflessione più puntuale

sul tema della comunicazione passiamo in rassegna le varie teorie che al riguardo sono state

elaborate.

Karl Bűhler

Roman Jacobson

Claude Shannon e Warren Weaver

Ferdinand de Saussure

John L. Austin

John Searle

Paul Grice

Schema di un sistema interattivo della comunicazione

Karl Bűhler

Karl Bűhler (1879-1963), psicologo e filosofo tedesco, ha teorizzato il modello strumentale del

linguaggio e, in esso, ha individuato l’esistenza di tre elementi posti in relazione tra loro nei processi

comunicativi: un mittente, un destinatario e ciò su cui si comunica (oggetti e fatti). In una situazione

comunicativa e con riferimento ai soggetti che ne sono coinvolti, il segno linguistico assume tre

funzioni di senso, in relazione alle tre componenti fondamentali della comunicazione. Il segno è

Page 23: Gli Assiomi Della Comunicazione Della Scuola Di Palo Alto

simbolo, in virtù della sua corrispondenza a oggetti e fatti; è sintomo (indice, indicium) in rapporto alla

sua dipendenza dall’emittente, della cui interiorità è espressione; è segnale in forza del suo appello

all’ascoltatore, di cui dirige il comportamento esterno o interno. In un processo comunicativo:

1. il mittente esprime con i suoi messaggi il suo stato d’animo, le sue idee, la visione che ha del

mondo e della realtà in generale;

2. il messaggio viaggia dal mittente al destinatario e deve parlare di qualcosa, riguardare la realtà;

3. il destinatario riceve il messaggio, cogliendolo come se fosse un appello.

Il segno può essere sbilanciato verso uno dei tre vertici del triangolo. La funzione appellativa, però, in

forma esplicita o implicita, è sempre presente.

Oggetti e fatti

Rappresentazione

Espressione Appello

Emittente Ricevente

Modello strumentale del linguaggio

Roman Jacobson

Roman Jakobson (1896 – 1982), linguista, riprendendo e ampliando il modello di Bűhler, scompone il

processo della comunicazione in sei elementi principali, a ciascuno dei quali associa una particolare

funzione:

Modello di Jakobson

1. Il contesto è l’universo nel quale avviene la comunicazione, il suo intorno, la situazione nella quale

di fatto si situa la dinamica comunicativa. E’ l’oggetto, l’argomento, il problema a cui ci si riferisce nel

messaggio. Cambiando il contesto, il messaggio può assumere un diverso significato. Al contesto

Jakobson associa la funzione referenziale, mediante la quale è possibile fare riferimento o informare su

un determinato contesto, un oggetto, un argomento o un problema (ad es. l’acqua è limpida, ha una

temperatura di 15°). Da sottolineare la differenza esistente tra il concetto di contesto e quello di

cotesto. Il cotesto, ovvero il testo contiguo alla comunicazione, precedente o successivo, può essere

considerato un particolare caso di contesto.

2. Il messaggio è ciò che il testo, o l’insieme di testi, comunicano o, in senso più largo, l’oggetto

materiale scambiato (suoni, scritti, modi di vestire). La funzione ad esso associata è quella poetica,

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ovvero la possibilità di esprimere in modo formalmente raffinato il messaggio (ad es. Chiare, fresche e

dolci acque); è l’attenzione alla forma stessa del messaggio, l’orientamento del messaggio al

messaggio stesso. Jakobson, richiamando lo slogan riferito al presidente americano Eisenhower I like

Ike, fornisce un esempio molto efficace di funzione poetica del messaggio: tale espressione risulta

gradevole all’udito, contiene una rima interna, è efficace e semplice da ricordare.

3. Il mittente (o emittente), è chi produce o origina la comunicazione. La funzione ad esso associata è

quella emotiva, che permette di esprimere pensieri, opinioni, sentimenti (ad es. Che bell’acqua

trasparente, viene voglia di berla).

4. Il destinatario (o ricevente), è colui che riceve e a cui è rivolto il messaggio. La funzione ad esso

associata è quella conativa o persuasiva, quella per cui il mittente si sforza di produrre un effetto sul

destinatario, del tipo convincere, indurre, persuadere a fare, dire, credere qualcosa. (ad es. Bevi

quest’acqua! Sentirai com’è buona e Fresca).

5. Il canale o contatto è il mezzo attraverso il quale il messaggio passa dal mittente al destinatario. Il

canale può essere sia di tipo fisico (ad es. l’aria per la voce), che tecnico (ad es. un cavo). Il canale è

spesso responsabile di problemi di rumore, ovvero di disturbo alla comunicazione, che per lo più

dipendono dalla sua stessa natura (ad es. le interferenze nella radio). Ogni comunicazione può essere

disturbata o addirittura impedita, nel caso del rumore, oppure può essere facilitata e rafforzata, nel

caso della ridondanza. Rumore è un termine tecnico, che fa riferimento a inconvenienti di tipo fisico,

per es. una voce rauca o balbettante da parte dell’emittente, oppure la distrazione o la sordità da

parte del ricevente. Anche quando il termine intende riferirsi, in maniera più traslata, a un codice

troppo difficile o troppo oscuro, o alla mutevolezza eccessiva del referente, si tratta sempre

d’inconvenienti di tipo tecnico. Di fatto, l’esistenza del rumore è una caratteristica da considerare non

solo come un disturbo, ma anche come una qualità che caratterizza la costruzione di un messaggio

secondo un linguaggio specifico anziché un altro. Dunque, è dagli accidenti della comunicazione, dagli

errori e non solo dalle differenze che talvolta un linguaggio ha la possibilità di evolvere e trarre le

caratteristiche più utili per la cultura che ne fa uso. I principali tipi di canale sono:

• canale fisico sonoro, ovvero qualsiasi ambiente in cui è presente l’aria portatrice di vibrazioni

acustiche;

• canale fisico visivo, ovvero qualsiasi ambiente in cui è presente o può passare la luce (ad es. una

sala buia per proiezione cinematografica);

• canale fisico olfattivo, ovvero qualsiasi ambiente caratterizzato dalla trasmissione di odori;

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• canale fisico tattile, ovvero qualsiasi materia che trasmette vibrazioni o sensazioni tattili (ad es. il

rilievo nella scrittura braille);

• canale tecnico sonoro, ovvero tutti gli strumenti che trasmettono suono (ad es. telefono, microfono,

radio, cinema);

• canale tecnico visivo, ovvero strumenti come la fotografia e il cinema;

• canale visivo-sonoro-tattile e olfattivo, ovvero le tecnologie di realtà virtuale.

La funzione che Jakobson attribuisce al canale è quella fatica, che permette di verificarne il

funzionamento, di assicurarsi che il canale sia funzionale al trasferimento del messaggio (ad es. Prova

microfono: uno, due, tre…). La funzione fatica della lingua svolge principalmente il compito di

garantirsi che esista una connessione tra emittente e destinatario. Dunque, qualsiasi strategia

pubblicitaria che porti l’attenzione del pubblico sul messaggio, qualsiasi comportamento che creando

una relazione, o rafforzandola, attraverso comportamenti abitudinari ad essa relativi, convalidi la

possibilità di poter avere scambi tra i partecipanti alla relazione, rientra nell’area coperta dalla

cosiddetta funzione fatica. Buona parte di quei comportamenti che, pur esprimendo dei contenuti

specifici, non sono minimamente interessati al comunicarli quanto all’attivare o rafforzare una

determinata rete di rapporti (ad es. il farsi notare dal datore di lavoro o l’intrattenervi colloqui), può

non avere per forza la finalità di scambiarsi dei contenuti, ma anche semplicemente la necessità

formale di mantenere attiva la relazione. La componente fatica è particolarmente presente in tutte le

forme di comunicazione costruite da una società non tanto per trasmettere determinati contenuti,

quanto per garantire il rafforzamento di determinati valori sociali, che fungono da collante tra i

cittadini. Far condividere la partecipazione a rituali e scambi di tipo simbolico è una tradizionale forma

di governo dalle civiltà basate sull’esistenza di miti. Se talvolta può sembrare che l’esistenza in una

società di determinate figure simboliche possa essere un modo per determinare conseguenti gerarchie

nei rapporti sociali, altre volte l’apparente opposizione e conflitto tra bene e male, buono e cattivo,

schiavo e padrone si risolve in un canovaccio in cui le parti si scambiano, mentre ciò che rimane

stabile è la struttura sociale: ed è proprio su tale stabilità che traggono vantaggio determinate figure

sociali anziché altre, più che dal ruolo sociale che apparentemente vi svolgono.

6. Il codice è un sistema strutturato per produrre segni, come ad esempio la lingua italiana, con cui il

mittente formula il messaggio che invia al destinatario. E’ necessario che il mittente conosca il codice

con cui codificare il messaggio e che questo sia condiviso dal destinatario, affinché la decodifica

avvenga in maniera corretta. Vi sono situazioni che forzano l’uso di un codice anziché di un altro

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proprio per la natura del mezzo usato o dell’ambiente (ad es. una telefonata obbliga all’uso del

linguaggio verbale). Come si è già avuto modo di notare, l’esistenza di media specifici può influenzare

la società e, dunque, gli individui che ne fanno parte trasformandone i comportamenti e gli

atteggiamenti. Secondo alcuni, una persona pensa così come parla. Se, dunque, un linguaggio

determinato ci abitua a esprimerci secondo modalità specifiche, la conseguenza sarà che la mente

muterà di conseguenza. Per alcuni, le tecnologie dei media sono anche tecnologie della mente. Di fatto

è vero anche il contrario: l’esistenza di linguaggi codificati della comunicazione influenza

pesantemente il modo in cui si sviluppano le nuove interfacce tecnologiche della comunicazione. E’

importante avere ben presente che la costruzione di determinati strumenti di comunicazione e dei

relativi linguaggi non sarà un semplice strumento per gli individui, ma diventerà parte della loro vita,

ne condizionerà i loro modelli cognitivi, sarà un mutamento, per alcuni un’evoluzione, nel loro modo di

relazionarsi con il mondo. La funzione che Jacobson lega al codice è quella metalinguistica, che

consiste nella possibilità che la lingua parli della lingua, rendendo possibile la descrizione del codice

stesso (ad es. Acqua è una parola che si scrive con il gruppo consonantico ‘cq’).

Nella teoria di Jakobson la comunicazione è unidirezionale. Tale modello risente fortemente

dell’influsso della teoria dell’informazione e da essa trae caratteristiche talvolta limitanti. Nel lavoro di

Julien Greimas, linguista, così come di Umberto Eco, semiologo, ed altri, al contrario la comunicazione

è vista come un processo cooperativo, in cui non si ha un unico soggetto o attore della comunicazione,

ma una molteplicità che attraverso una dinamica circolare partecipano alla costruzione cooperativa del

senso del discorso. I nuovi media, ed in particolare le reti telematiche, sono tecnologie in cui l’utente

potrebbe essere sia attore che spettatore della comunicazione. I testi sono aperti e l’utente stesso, le

sue azioni, sono una parte determinante del contenuto del testo. Sono strumenti potenzialmente

molto cooperativi, in cui la distinzione tra mittente e destinatario rischia di diventare obsoleta, o

almeno fortemente sfumata. Qualsiasi testo mediale, sia esso realizzato tramite la scrittura o

attraverso un film, un romanzo o, in particolare, attraverso la televisione, deve possedere una

molteplicità di livelli semantici, deve cioè essere polisemico, e quindi possedere la caratteristica di

essere aperto, ovvero offrirsi all’essere completato attraverso il suo uso da parte del pubblico.

Claude Shannon e Warren Weaver

Una diversa classificazione degli elementi coinvolti nella comunicazione, intesa però nel senso di

informazione, è stata proposta al tempo della seconda guerra mondiale da Claude Shannon (1916 –

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2001) e Warren Weaver, ingegneri. Le differenze rilevabili tra la loro classificazione e quella di

Jakobson dipende dalla diversa formazione culturale dei rispettivi teorizzatori. Per Shannon e Weaver,

le componenti della comunicazione sono in tutto sette:

1. l’emittente;

2. il segnale, trasmesso dall’emittente;

3. il messaggio, veicolato dal segnale;

4. il ricevente, ovvero chi materialmente riceve il messaggio;

5. il destinatario, potenzialmente diverso dal ricevente, è colui a cui i messaggio è diretto;

6. la fonte, da cui l’emittente apprende il messaggio che trasmette;

7. il rumore, uno o più potenziali, che disturba, se presente, il segnale. Esso può essere di natura

tecnica, come un disturbo fisico vero e proprio, oppure semantico, ad esempio un flusso di pensieri

parallelo al principale che abbassa il livello di concentrazione.

Per informazione, Shannon e Weaver intendono non il contenuto del messaggio, ma la misura della

prevedibilità del segnale, che è ridondante quando è molto prevedibile, entropico in caso contrario. Più

il messaggio risulta ridondante, più si è al riparo da cattive interpretazioni. La formazione culturale di

Shannon e Weaver li portò a individuare nella cura della codifica del segnale e nell’efficienza del

sistema di trasmissione la sufficiente garanzia di una buona comunicazione. In realtà, ciò vale

sicuramente per il passaggio di informazione che avviene tra macchine. Il caso della comunicazione

umana è, invece, più complesso: la sue efficienza dipende da tutta una serie aggiunta di fattori, come,

ad esempio, la condivisione del contesto, che non possono essere tralasciati.

Teorie dei segni

L’uomo vive immerso in un mondo di segni: ciascuno, anche inconsciamente, in ogni istante della

propria esistenza produce, riceve e interpreta segni. Ogni cosa può essere segno, ma non è detto che

lo sia necessariamente: il segno, sia naturale che convenzionale, per essere tale ha bisogno di essere

segno per qualcuno, che sia in grado di riconoscerlo, coglierlo ed interpretarlo. Così, il fumo è segno di

fuoco solo ed esclusivamente se vi è qualcuno che lo coglie come tale; in caso contrario, il fumo è

semplicemente fumo, privo di qualsiasi valenza signica. La realtà parla solo all’uomo disposto ad

ascoltare e capire. La scienza che studia i segni è la semiotica. Più precisamente, la semiotica

individua nei sistemi linguistici le unità che li compongono (i segni), cerca di comprenderne le relazioni

reciproche e di spiegare i processi e gli atti di comunicazione che li coinvolgono. Nell’ambito delle

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ricerche di tipo semiotico sono state formulate, dai tempi della filosofia classica ad ora, varie teorie

relative ai diversi possibili tipi di relazione esistenti tra un oggetto, un segno e il modo in cui tale

segno viene interpretato nella mente. Senza inoltrarci troppo in questo terreno molto delicato,

analizziamo i più importanti apporti avutisi in materia.

Tommaso D´Aquino

Immanuel Kant

Umberto Eco

Ferdinand de Saussure

Charles Sanders Peirce

Thomas Albert Sebeok

Gottlob Frege

Teorie culturologiche

Tommaso D’Aquino

Tra le prime riflessioni teoriche relative alla natura del segno, grande rilevanza assume il contributo di

Tommaso D’Aquino (1221 ca. – 1274), per cui il segno in sé comporta un qualcosa che ci sia

manifesto, dal quale siamo condotti per mano alla conoscenza di qualcosa di nascosto. Considerando

in modo specifico i segni convenzionali, non è centrale la maggiore rilevanza del segno o dell’oggetto

significato: è la convenzione di turno a stabilire, tra due oggetti, quale dei due sia segno e quale

l’oggetto significato. Generalmente, l’uomo tende a considerare segno l’oggetto che coglie per primo e

che costruisce l’altro nella mente. In una conversazione, il termine computer pronunciato da chi parla

è segno in quanto induce nella mente di chi ascolta l’immagine dell’oggetto che vi facciamo

corrispondere, senza che questo sia necessariamente presente nel contesto in cui ci si relaziona

Immanuel Kant

Per Immanuel Kant (1724 – 1804), filosofo, l’uomo non conosce il mondo attraverso le cose, ma

attraverso le rappresentazioni mentali che se ne costruisce. Esiste dunque una mediazione nel modo in

cui l’uomo conosce il mondo, che sottrae agli oggetti e alle cose un valore assoluto e di universalità.

“Tutto ha inizio con l’esperienza, ma non tutto deriva dall’esperienza”: con quest’affermazione Kant

accoglie la tesi empirista che nessun contenuto innato vi sia nel processo della conoscenza e che ogni

acquisizione abbia la sua origine nell’esperienza sensibile, ma sostiene anche che nella conoscenza

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opera qualcosa che non proviene dall’esperienza sensibile e che è “a priori”.

La conoscenza dell’uomo è quindi una sintesi fra una materia del conoscere, che il soggetto

conoscente riceve dall’esterno, e una forma con cui questo la organizza, la unifica, generando le

rappresentazioni del mondo naturale. In altre parole, la conoscenza non è una ricezione passiva di dati

dell’esperienza, ma un’attività di organizzazione di questi dati: attività di classificazione, elaborazione

e unificazione attraverso funzioni dette “a priori”.

Tali funzioni sono proprie di tutti gli uomini, indipendenti dall’esperienza e precedenti a essa, in quanto

presupposto e condizione di possibilità dell’esperienza stessa.

Se, quindi, ognuno di noi ha percezioni molto diverse, perchè avverte le cose in modo personale e vive

occasioni del tutto individuali di percezione, ha però un modo di organizzarle che poggia su condizioni

comuni a tutti gli esseri umani.

Umberto Eco

Altro contributo rilevante, è quello prestato da Umberto Eco (1932), per cui la semiotica è la teoria

della menzogna, posizione che si regge sulla distinzione concettuale esistente tra i segni naturali e

quelli linguistici. I primi non possono che essere veritieri: il fumo, ad esempio, non può non indicare la

presenza di fuoco. I secondi, invece, possono anche essere menzogneri, come quando si riferiscono a

qualcos’altro che non esiste necessariamente. La frase Sei bellissima!, ad esempio, è una menzogna

se chi la pronuncia lo fa con sguardo sfuggente e incrociando le dita dietro la schiena. La scrittura

utilizza segni grafici che vengono trasmessi a distanza dall’emittente al destinatario. L’assenza di un

rapporto vis-a-vis o di atteggiamenti che possano tradire stati d’animo, agevola la menzogna. Se la

frase prima presa ad esempio, anziché pronunciata verbalmente, venisse comunicata in forma scritta,

l’assenza di contatto diretto non permetterebbe di cogliere possibili stati d’animo esplicativi, favorendo

la possibilità di menzogna

Charles Sanders Peirce

Per il filosofo Charles Sanders Peirce (1839 – 1914), il segno è la risultante del rapporto d’interazione

tra il veicolo segnico, l’interpretante (l’elemento di mediazione) e il referente (l’oggetto reale). I

rapporti tra il veicolo segnico e l’interpretante, e tra l’interpretante e il referente sono diretti; tra il

veicolo segnico e il referente, invece, il rapporto è sempre mediato da una chiave d’accesso alla realtà.

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Interpretante

Veicolo SEGNO

segnico Referente

Triangolo semiotico di Peirce

Definito il segno, Peirce propone una tassonomia rappresentativa/referenziale in cui distingue i segni

in simboli, icone e indici in funzione del rapporto che essi hanno con il loro denotato:

1. negli indici la relazione tra segno e cosa denotata è di tipo contiguo, o in connessione fisica con

l’oggetto: l’indice intrattiene, cioè, un rapporto esistenziale con l’oggetto che significa. Esempi di indici

sono la banderuola, la stella polare, le lettere apposte alle figure geometriche. Venendo meno la

contiguità, anche l’indicalità del segno viene persa: un pronome contenuto in un dizionario, ed

esempio, non è più indice, perché persa la contiguità non è più in grado di indicare un oggetto

specifico nella realtà;

2. nelle icone il rapporto tra il segno e la cosa denotata è di analogia, somiglianza o metafora: è icona,

ed esempio, l’insegna WC accompagnata dall’immagine stilizzata di un uomo o di una donna. E’

importante notare come la scelta dell’analogia usata, e dunque delle qualità pertinenti del segno, sia di

per sé un forte punto di vista in base al quale è possibile caratterizzare l’interpretazione di una

funzionalità o di un contenuto;

3. nei simboli la correlazione significato/significante è arbitraria e convenzionale: la parola casa indica

in italiano una costruzione destinata ad uso abitativo solo perché così è stato deciso in modo

convenzionale.

Ulteriori distinzioni possono essere introdotte considerando il segno dal punto di vista del mittente,

dell’universo del discorso e del destinatario. Dal punto di vista del mittente, ovvero di colui che fa il

segno, questi possono essere distinti secondo criteri diversi.

1. I segni possono essere volontari o non volontari, a seconda che siano prodotti consapevolmente o

inconsapevolmente. Un esempio di segno volontario è l’espressione Mi passi il bicchiere?,

accompagnata da un gesto di indicazione; un esempio di segno involontario è, invece, un tic nervoso.

Oggi, tutta la sintomatologia medica si basa su segni involontari;

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2. I segni possono essere intenzionali o non intenzionali, a seconda che li si producano per essere

interpretati o senza volerne un’interpretazione. La distinzione tra volontarietà e intenzionalità è molto

sottile. L’imbracatura utilizzata da chi pratica bungee jumping può essere considerata un segno che ne

permette il riconoscimento volontario ma non intenzionale, poiché utilizzarla non ha per costoro la

primaria finalità di farsi riconoscere. Il caso di un segno volontario e intenzionale è molto comune: si

verifica ogniqualvolta utilizziamo volontariamente un simbolo per evocarne il senso associato.

Utilizziamo un segno volontario e intenzionale, ad esempio, quando suoniamo il clacson nell’intento di

trasmettere all’automobilista davanti alla nostra vettura, ancora immobile nonostante sia già scattato

il verde, il messaggio Muoviti! Il semaforo è verde! I segni non volontari e non intenzionali più comuni

sono i tic nervosi. E’ invece impossibile pensare a segni non volontari e intenzionali;

3. Posso essere, ancora, espressivi o comunicativi, a seconda che esista o meno un destinatario che

interpreti i segni, trasformando la loro semplice trasmissione in comunicazione. Tutti i segni espressivi

sono potenzialmente comunicativi. Una donna vestita di nero produce un segno espressivo della sua

condizione di lutto, ma non comunicativo se non è presente nessuno che possa interpretare il

significato del colore indossato.

Rispetto alla relazione segno-universo del discorso, distinguiamo i segni in base:

1. alla forma: il segno può essere naturale, come l’impronta digitale, o culturale, come il colore

indossato indicante lutto per culture diverse;

2. alla relazione esistente tra il significante e il significato: il segno può, da questo punto di vista,

essere portatore di un contenuto stabile o circostanziato e dipendente dalla situazione di contesto;

3. alla relazione esistente tra significante e denotato: la distinzione è tra icone, indici e simboli di

matrice peirceiana;

4. all’organizzazione: i segni possono essere isolati, in serie, ovvero più veicoli per lo stesso referente,

o sistematici, ovvero un sistema chiuso e internamente consistente di segni.

Dal punto di vista del destinatario del segno, colui al quale si fa segno, distinguiamo:

1. segni felici, che sono quelli interpretati correttamente dal destinatario;

2. segni infelici, ovvero semplici oggetti per il mittente erroneamente interpretati come segni dal

destinatario. E’ il caso di abiti di colore nero, interpretati come segni espressivi di una condizione di

lutto ma, in realtà, semplice espressione di gusto personale;

3. segni concorrenti, che sono quei segni che vengono interpretati diversamente dall’emittente e dal

destinatario.

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Thomas Albert Sebeok

Un punto di svolta nella storia della semiotica fu segnato nella prima metà degli anni Sessanta quando

Thomas A. Sebeok (1920 – 2001) estese i confini della scienza dei segni quale risultava fino ad allora

sotto il nome di “semiologia”. Quest’ultima si basava semplicemente sul paradigma verbale ed era

viziata dall’errore di scambiare la parte per il tutto. Sebeok definisce tale tendenza nello studio dei

segni “ la tradizione minore” contrapponendovi quella “maggiore” per ampiezza temporale ed

estensione tematica, rappresentata da Locke e Peirce e che risale ai primi studi sui segni e sui sintomi

(l’antica semeiotica medica) di Ippocrate e Galeno.

Nelle sue pubblicazioni Sebeok ha fatto valere una nuova visione della semiotica in cui il campo

coincide con quello delle scienze della vita, in base all’assunto che tutto ciò che è vita è segno.

In seguito all’opera di Sebeok, ampiamente ispirata a Peirce, ma anche a Charles Morris (1901-1979)

e a Roman Jacobson (1896-1982) diretti maestri di Sebeok – sia la concezione del campo semiotico,

sia la concezione della storia della semiotica sono mutate notevolmente.

La semiotica odierna deve a Sebeok la sua configurazione come “semiotica globale”. In virtù di questo

approccio “globale” o olistico” la ricerca semiotica sulla “vita dei segni” è direttamente interessata

anche ai segni della vita.

Teorie culturologiche

Per le teorie culturologiche, un’analisi sui media, e dunque sui segni che essi utilizzano, non può

essere separata da un’analisi sulla società che li impiega, sulla sua storia e la sua cultura, cioè su

come a determinati segni corrispondano determinati valori e implicazioni sociali. L’ attenzione è posta

su ciò che già gli epicureisti definivano il simulacro di una cosa, ovvero una sorta di pulviscolo

portatore dell’immagine dell’oggetto. Per Denzin Norman, sociologo, il simulacro si trasforma in

artefatto cognitivo, ovvero in una meta-rappresentazione del modo in cui noi ci rappresentiamo le

cose nella mente. L’artefatto cognitivo funge da mediatore tra noi e le cose, non rappresentate

semplicemente sulla base dell’esperienza percettiva avutane, ma anche considerando come tale

esperienza si organizza rispetto alle precedenti culturali che di tali cose se ne sono fatte. In tale

processo, diventa importante il modo in cui delle cose selezioniamo delle qualità pertinenti,

tralasciandone altre che pur gli appartengono; diviene, dunque, cruciale il punto di vista culturale che

guida tale selezione. Per Louis Hjelmslev, (1899 – 1965) semiotico, una semiotica è il rapporto che si

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gioca all’interno di un segno tra il piano dell’espressione, ovvero il cosiddetto piano dei significanti, e

piano del contenuto, il cosiddetto piano dei significati. Hjelmlsev, parlando di semiotica connotativa,

ovvero una semiotica il cui pino espressivo è a sua volta una semiotica, riconosce l’esistenza di due

livelli di significazione insiti in un segno: la denotazione, l’oggetto cui il segno si riferisce, e la

connotazione, l’insieme di significati e valori aggiunti di cui un segno è simultaneamente portatore in

una determinata cultura. Per spiegare in modo semplice tale distinzione, analizziamo come segno

esemplificativo la parola ulivo e la valenza che essa assume nella nostra cultura: in questo caso la

denotazione consiste nell’oggetto ulivo cui la parola si riferisce, la connotazione nel significato di pace

che l’ulivo simboleggia nella cultura cattolica. Non esiste una formula unica per costruire il senso di un

discorso. Tanto meno, dunque, si può pensare che le semplici regole della sintassi siano sufficienti a

ricostruire il senso di un discorso. Sebbene il modo in cui un segno si colloca all’interno di un testo

sarà un elemento rilevante anche dal punto di vista semantico, la restituzione di un determinato senso

sarà il frutto di un insieme di fattori ben più complesso.