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GLI STATI TOTALITARI: NAZISMO, FASCISMO E STALINISMO (entrata del campo di concentramento di Auschwitz) 1

GLI STATI TOTALITARI: NAZISMO, FASCISMO E … · Mentre per il comunismo la dittatura del proletariato e la violenza sono semplici strumenti, necessari ma temporanei, per la realizzazione

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GLI STATI TOTALITARI:

NAZISMO, FASCISMO E STALINISMO

(entrata del campo di concentramento di Auschwitz)

1

TOTALITARISMO

Ideologia e sistema politico caratterizzato dal completo controllo da

parte dello stato sulla società e sugli individui. Il termine cominciò a

entrare in uso con l’arrivo del fascismo e delle dittature simili del

periodo, per indicare una situazione di contrapposizione dello stato

liberale.

Il totalitarismo è caratterizzato da:

• Un unico partito che applica la dittatura con la completa

soppressione di ogni libertà di opposizione e dissenso

• Presenza di una ideologia indiscutibile e che deve essere

imposta come assoluta

• Uso del terrore poliziesco

• Monopolio dei mezzi di comunicazione di massa, utilizzati a

opera di propaganda

• Penetrazione dello stato-partito in ogni settore della società e

dimensione della vita quotidiana

Lo stato tenta di penetrare nella vita sociale, proponendosi di

controllare la vita politica e di manipolare e trasformare l’ideologia e la

coscienza stessa degli individui.

Il totalitarismo tende politicizzare ogni avvenimento.

I tre totalitarismi sorti in Europa tra le due guerre sono: fascismo

italiano, nazismo tedesco e comunismo staliniano.

DIFFERENZE E SOMIGLIANZE TRA I TOTALITARISMI

Le differenze tra totalitarismo fascista e totalitarismo comunista sono

da riportare alle differenze d'ideologia e di base sociale tra

nazifascismo e comunismo in generale.

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L'ideologia comunista è umanistica, razionalistica e universalistica e il

suo punto di partenza è l'uomo e la sua ragione. L'ideologia

nazifascista è organicistica, irrazionalistica e antiuniversalistica e il suo

punto di partenza è la razza. Mentre per il comunismo la dittatura del

proletariato e la violenza sono semplici strumenti, necessari ma

temporanei, per la realizzazione dello scopo finale, per il fascismo la

dittatura e la violenza sono principi di governo permanenti. Infine

l'ideologia comunista è rivoluzionaria mentre quella fascista è

reazionaria L'indirizzo politico generale del comunismo è

l'industrializzazione e la modernizzazione forzate in vista della

costruzione di una società e senza classi, l'indirizzo politico generale

del nazifascismo è l'instaurazione della supremazia assoluta e

permanente della razza eletta (soprattutto per il nazismo).

Un’altra differenza tra i due blocchi di regimi sta nell’uguaglianza.

I regimi di destra hanno sempre diffuso e propagandato ideologie di

disuguaglianza e sono sempre stati negatori di libertà, democrazie e

giustizia, argomenti che il bolscevismo (di ispirazione comunista-

socialista) ha sempre tentato di attuare.

Oltre all’ideologia anche la politica economica attuata dai due blocchi

era diversa:

mentre l’economia statale dell’URSS era gestita totalmente dallo stato

(pianificazione integrale) ed era stata abolita con la forza qualsiasi

proprietà privata, nel nazismo e nel fascismo lo stato interviene

nell’economia solo per salvaguardarla, tutelando gli interessi delle

grandi imprese private. La proprietà privata non venne abolita e le

industrie rimasero privatizzate e aiutate in caso di crisi.

Nonostante tali diversità, sono entrambi (compreso il nazismo) degli

stati totalitari per cui valgono tutte le caratteristiche sopra indicate,

senza distinzioni.

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Infatti di fronte alle violenze delle polizie segrete di stato, alle

repressioni degli oppositori politici, ai campi di concentramento, la

differenza tra i tre regimi è minima se non nulla, senza dimenticare i

metodi propagandistici esercitati grazie al totale controllo dei mezzi di

comunicazione. Infatti in entrambi i casi i leader dei regimi

dichiararono

• la chiusura di ogni giornale di opposizione

• il controllo assoluto di ogni fonte di informazione (giornali,

radio, ..ecc.)

• discorsi e propagande fatti da uomini (di solito il capo del

regime) dotati di grande potere carismatico. (capacità di esercitare

influenza e attrazione sulle masse. Il carisma è l’attributo di un leader:

capo). Il potere è quello di ottenere dagli altri un determinato

comportamento).

POLITICA ECONOMICA

Dal 1922 al 1925: Politica liberista: piena libertà agli operatori

economici di importare e di esportare le merci.

Negli anni 30: Politica protezionistica: nega la libertà di importazione

introducendo dazi doganali, contingenti, licenze di importazioni,

restrizioni valutarie ..ecc.

I dazi doganali sono imposte che colpiscono le merci che entrano ed

escono dal territorio nazionale.

I contingenti fissano le quantità massime di merci che possono essere

importate. In questo caso sono previste delle licenze distribuite fra gli

aspiranti importatori.

Tra il libero scambio e la politica autarchica (autosufficienza economica

di un paese attraverso l’utilizzo di risorse interne e limitando al

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minimo l’importazione) esistono politiche che variano il grado di

protezionismo che un paese può adottare.

Vantaggi del protezionismo:

• Argomenti NON economici: obbiettivi politici e bellici come

autosufficienza agricola, produzione autonoma di materiali essenziali

all’industria bellica, boicottaggio di prodotti di un paese ostile.

• Argomenti economici:

1. Protezione delle industrie fondamentali per la vita del paese

2. Difesa delle industrie nascenti

3. Protezione dei settori in crisi

4. Combattere le strategie di dumping che consente nel vendere

all’estero i prodotti col prezzo pari alla spesa di produzione, mentre sul

mercato nazionale a prezzi altissimi per compensare il mancante

guadagno estero. Dopo essersi sviluppato un mercato estero, i prezzi

internazionali vengono aumentati.

L’ECONOMIA FASCISTA

Prima fase tra il 1920 e 1925: fase liberista

L governo fascista adottò, nei sui primi anni di governo, una linea

economica liberista e "produttivistica", tesa a rilanciare la produttività e

a incoraggiare l’iniziativa privata.

Seconda fase tra il 1925 e 1930: quota novanta

Questa politica economica portò, accanto ad un effettivo incremento

produttivo, anche dei risvolti negativi quali l’inflazione, l’aumento del

deficit nei conti con l’estero e un forte deterioramento del valore della

lira.

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Il nuovo ministro delle Finanze inaugura una nuova politica

economica fondata sul protezionismo, sulla deflazione, sulla

stabilizzazione monetaria e sull’intervento statale nell’economia.

Il desiderio di dare all’Italia un’immagine di stabilità monetaria e

politica portò il duce ai provvedimenti tesi alla rivalutazione della lire

a quota novanta. Per arrivarvisi era necessaria una manovra

deflazionistica, la quale portò un rallentamento dell’economia e un

ulteriore compressione dei consumi. L’obiettivo, teso a rassicurare

soprattutto i ceti medi e i risparmiatori, fu raggiunto in un anno e

favorì soprattutto gli industriali che lavoravano per il mercato interno,

mentre ad essere svantaggiati furono i lavoratori dipendenti e le

industrie che lavoravano per l’esportazione

Terza fase anni 30: dirigismo economico

L’intervento dello stato nell’economia divenne dirigismo economico

(Protezionismo doganale).

La risposta del regime fascista alla crisi mondiale del ‘29 si esplica

attraverso due linee direttrici fondamentali:

• lo sviluppo dei lavori pubblici e

• l’intervento, diretto o indiretto, dello Stato a sostegno dei settori

in crisi.

Lo Stato si impegnò per evitare il collasso del sistema bancario.

Contemporaneamente ad un più elevato dazio sui cereali lo stato inizia

la campagna tesa al raggiungimento dell’autosufficienza nel settore dei

cereali con l’espansione dei territori coltivabili e l’adozione di nuove

tecniche agricole.

Per quanto riguarda la prima linea economica furono realizzati

numerosi edifici,, nuove strade ed attuate numerose opere di bonifica.

Tuttavia l’intervento statale si fece sentire soprattutto nell’ambito

finanziario ed industriale.

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Superata la crisi Mussolini non seppe sfruttare l’occasione per poter

mettere in moto un processo di sviluppo che si riflettesse sulle

condizioni di vita della popolazione; iniziò invece una politica

economica di guerra orientata verso il rafforzamento dell’apparato

bellico.

Fase "liberista"

• vengono alleggerite le tasse gravanti sulle imprese,

• viene abolito il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita,

• viene privatizzato il servizio telefonico.

• Impulso alle esportazione

• Compressione dei consumi interni

• Protezione ai gruppi industriali con tariffe doganali e

salvataggio dello stato delle imprese in difficoltà.

Difficoltà economiche:

1) Rallentamento economia internazionale (minor esportazione)

2) Squilibrio della bilancia dei pagamenti

3) Svalutazione della lira

4) Forte inflazione

1926 "quota novanta":

90 lire per 1 sterlina

Manovra deflazionistica:

1) Ritorno di dazi su grano e zucchero

2) Si riduce la circolazione di moneta contante

3) Intensificazione del controllo sul reddito tramite la Banca d’Italia

Conseguenze e crisi del 29

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Favorite le industrie nazionali (belliche), colpite le industrie esportatrici

(tessile), riduzione della produzione e del commercio estero, aumento

della disoccupazione.

Protezionismo doganale

1931 creazione dell’I.M.I. (Istituto mobiliare italiano) un istituto di

Credito pubblico che aveva il compito di sostituire le banche nel

sostegno alle industrie in crisi.

1933 creazione dell’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) che, con i

fondi statali, divenne maggiore azionista delle industrie in crisi: nasce

lo "Stato imprenditore e Banchiere".

1925 inasprimento del dazio sui cereali;

"battaglia del grano",

Lo scopo viene in parte raggiunto, ma alcuni settori (come

l’allevamento o le colture specializzate) vengono danneggiate da tale

provvedimento (specie nel sud)

1934: Inizio della "politica dei lavori pubblici".

L’isolamento economico del paese continuava ad accentuarsi, specie

dopo la conquista dell’Etiopia, dopo la quale Mussolini rilanciò la

politica dell’autarchia.

1934 vengono istituite le corporazioni.

Pianificazione integrale.

Lo stato governo in modo rigido tutti i meccanismi economici,

stabilendo che cosa produrre , in quanto tempo, con quanti

investimenti e a quale prezzo.

• Abolizione di qualsiasi iniziativa individuale privata

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• Presuppone la proprietà pubblica di tutti i mezzi di

produzione.

L’ECONOMIA STALINISTA

La rivoluzione staliniana è considerata “la crisi degli ammassi” del

1927. In quell’anno infatti si verificò un forte calo nella produzione

agricola, ci si aspettava un minimo di 7 tonnellate di prodotti, ma se ne

ebbero soltanto 4. I kulaki avevano ridotto la vendita dei loro prodotti,

cosi si ebbe l’inevitabile mancanza di beni di prima necessità (pane

burro formaggio).

Stalin dichiarò i kulaki responsabili della crisi, accusati di nascondere

grano fino ad arrivare alla persecuzione, degenerata in

dekulakizzazione.

L’obiettivo del regime era quello di riunire i contadini sulla base di

fattorie (kolzoz) collettive affinché lo stato potesse gestire l’intera

produzione (pianificazione integrale).

Ogni azienda kulaka venne eliminata e i loro averi utilizzati per l’opera

economica. Ecco avvenuta quindi l’eliminazione della proprietà

privata.

Uno sforzo gigantesco trasformò l’URSS in una grande potenza

industriale, erano sorti impianti di grandi dimensioni e la produzione

aumentò vistosamente.

L’industrializzazione avvenuta era stata compiuta in modo

rapidissimo e questo comportò costi umani e sociali altissimi nonché

una gran necessità di capitali ed escludendo di poterli ottenere

dall’estero, si passo al basso livello dei salari, quindi dei consumi e il

trasferimento delle ricchezze dall’agricoltura all’industria.

Come abbiamo visto questi tre regimi hanno molte cose in comune,

innanzitutto il dittatore (che sia Stalin o Hitler o Mussolini), una volta

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salito al governo ha fatto di tutto per manipolare l’opinione pubblica,

ha imposto il suo potere con violenza e crudeltà indescrivibile tramite

repressioni, privazioni di diritti, l’azione di corpi di polizia speciali

(polizia politica sovietica, GPU, SS, gestapo, squadre fasciste) allo

scopo di eliminare tutti gli oppositori politici, nonché tantissime altre

iniziative che hanno smantellato lo stato liberale e la democrazia. Senza

dimenticare che nazismo e stalinismo e in misura minore il fascismo,

hanno creato campi di concentramento dove radunare e costringere a

lavorare spesso fino alla morte milioni di persone, ritenute avversari

politici o delinquenti comuni o addirittura accusate di contaminare la

razza (siamo nel caso degli ebrei).

CAMPI DI CONCENTRAMENTO E PERSECUZIONI

Il più tragico aspetto della seconda guerra mondiale, che ha lasciato

un’ombra sinistra e non facilmente cancellabile nella storia soprattutto

del popolo tedesco, infatti, è rappresentato dalla persecuzione degli

ebrei, dalle carneficine condotte nei campi di sterminio e dal tentativo

di Hitler di eliminare la razza ebraica considerata inferiore e

contaminatrice di quella ariana tedesca.

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In ognuno dei tre totalitarismi sono sorti campi di concentramento: essi

sono strumenti di Stato in tutti i regimi nei quali l’esercizio della

repressione garantisce quello dell’autorità. Da un paese all’altro, tra i

diversi campi vi sono solo soltanto differenze di sfumature che si

spiegano con diverse circostanze.

CAMPI ITALIANI

In Italia non sorsero molti campi di sterminio, per lo più vennero

istituiti campi di internamento ove venivano radunate migliaia di

persone considerate nemici della patria italiana (es. slavi), oppositori

politici (es. partigiani), italiani di razza ebrea. Da questi campi i

detenuti ripartivano per finire in campi di lavoro o in campi di

sterminio in Germania.

CAMPI SOVIETICI

I campi sovietici, denominati gulag, erano dei campi di lavoro ove

finirono a lavorare altri milioni di detenuti oppositori dello stalinismo.

Dirigenti politici, quadri intermedi, funzionari, ufficiali dell’esercito,

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contadini e anche semplici cittadini vennero giustiziati o costretti a

lavorare in questi campi, in particolare nell’epoca delle grandi purghe.

Questo terribile periodo in cui il popolo sovietico viveva nella paura

perché bastava un semplice sospetto della polizia per mandare una

intera famiglia a lavorare nei gulag, trasformò la dittatura in terrore.

Nei Gulag si lavorava fino allo sfinimento per l’estrazione dell’oro, del

carbone, del piombo oppure, se organizzati in campi agricoli, per la

produzione di prodotti alimentari necessari allo stato. Spesso i

lavoratori venivano destinati allo sviluppo del sistema ferroviario od

altre opere pubbliche, sempre per il bene dell’Unione sovietica.

Nel maggior numero dei casi i detenuti lavoravano all’aperto con

temperature di parecchi gradi sotto lo zero, comportando per molti

prigionieri il rischio di morte.

La massima estensione dei gulag si ebbe intorno al 1940.

Queste deportazioni ebbero un calo quando Stalin stesso si accorse del

pericolo di isolamento totale del regime dalla società, quando anche la

classe operai cominciava a dare segnali di malcontento.

Stalin scaricò le colpe dei massacri e delle sofferenze dei contadini sui

suoi sottoposti, fino quasi ad apparire come il difensore dei contadini e

con una riduzione delle pene e ponendo anche un numero massimo di

prigionieri nei gulag, si ebbero le prime riconciliazioni con i contadini

KULAKI

Un discorso a parte va fatto per la classe contadina dei kulaki, accusata

di nascondere il grano e i prodotti che secondo i piani dell’economia

pianificata, doveva finire tutta nelle tasche dello Stato. Quando Stalin

vide che i prodotti non rientravano, prese il via la campagna di

“liquidazione dei Kulaki come classe” e decise di avviare la

collettivizzazione delle terre. Ciò avrebbe portato la fine del potere dei

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Kulaki. Le loro resistenze furono grandi, ma l’esercito era troppo forte,

fu una sorte dio guerra civile. Furono poi create “brigate di

dekulakizzazione” ove vennero applicate le pratiche del grande

terrore.

Trecentomila aziende vennero dukulakizzate e i loro averi trasferiti

allo stato, i kulaki vennero giudicati da speciali tribunali e poi uccisi o

deportati nei campi.

CAMPI TEDESCHI

Ciò che caratterizzava i campi di concentramento tedeschi

differenziandoli da quelli degli altri stati totalitari era lo scopo per cui

erano sorti. I campi inizialmente servivano a imprigionare tutti coloro

che non accettavano l’ideologia nazista (fossero essi comunisti,

socialisti, liberali, cattolici o protestanti, preti o laici) e avevano una

funzione essenzialmente politica di “dissuasione” nei confronti di ogni

eventuale oppositore. Successivamente nei campi furono rinchiusi

anche prigionieri di guerra, zingari, omosessuali e infine ebrei. A questi

ultimi fu riservato il trattamento peggiore.

Il lager riproduceva al suo interno l’ideologia nazista di una società

ordinata gerarchicamente e dominata dalla “razza eletta”.

La gerarchia esistente dei lager vedeva:

• gli ebrei all’ultimo posto, segnalati da una stella o triangolo

gialla;

…poi in ordine seguivano:

• gli omosessuali e gli zingari col triangolo rosa;

• gli asociali col triangolo nero;

• detenuti politici col triangolo rosso;

• i preti o religiosi col triangolo viola;

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• i criminali comuni col triangolo verde (ai quali spesso erano

affidati compiti di sorveglianza)

Mappa dei campi di concentramento

QUESTIONE EBREA

Il lavoro dei prigionieri veniva sfruttato al massimo e i maltrattamenti,

le punizioni e le privazioni portavano alla morte la maggior parte dei

detenuti in pochi mesi.

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Con gli ebrei, i campi di concentramenti si trasformarono in lager: vere

e proprie macchine della morte. Mentre prima nei campi si moriva per

fame o per eccesso di lavoro, per gli ebrei, accusati di rovinare la razza

ariana e usati come capro espiatorio per la situazione di crisi che aveva

colpito in quel periodo la Germania (come il resto d’Europa), sorsero

campi equipaggiati di camere a gas e forni crematori allo scopo di

eliminare milioni e milioni di ebrei. Nel 1941 fu avviata la soluzione

finale cioè un vero e proprio genocidio (distruzione di massa di un

gruppo etnico; dopo la seconda guerra mondiale venne riconosciuto

come un crimine contro l’umanità). La soluzione finale consisteva

quindi nel totale sterminio degli ebrei d’Europa, allo scopo di eliminare

un intero popolo.

Solo il bisogno di manodopera per le esigenze belliche della Germania

che si avviava verso una sconfitta, li salvò dallo sterminio totale; ciò

nonostante ben sei milioni di ebrei furono uccisi dal nazismo.

Per portare a compimento questo orrendo progetto, furono tentate

diverse vie, si pensò prima alla deportazione di tutti gli ebrei fuori

dall’Europa, poi si sperimentarono fucilazioni di massa ma a causa

della lentezza del procedimento e dall’abbrutimento che esso

provocava, esse furono sostituite dalle più efficienti camere a gas

capaci di contenere inizialmente 200 uomini, poi ampliate per poterne

contenere fino a 2000.

I bambini erano le prime vittime della “soluzione finale”, in quanto

venivano condotti allo sterminio non appena giungevamo nei lager.

L'assassinio degli ebrei è stato qualcosa di unico perché mai, fino ad

allora, uno Stato aveva deciso e annunciato che un gruppo umano

doveva essere eliminato. Questo non soltanto per le enormi dimensioni

dello sterminio, ma anche per le motivazioni e il metodo con cui esso è

stato eseguito: un genocidio pianificato da gruppo dirigente politico

che godeva di un ampio consenso e attuato da una collaborazione

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attiva di centinaia di migliaia di soldati, poliziotti, funzionari,

imprenditori, ecc.. nell’indifferenza e nel silenzio di un intero paese.

ANTISEMITISMO

Il termine indica un fenomeno sociale di origini antiche, a cui fanno

capo i pregiudizi, gli atteggiamenti e i comportamenti ostili verso gli

ebrei.

La manifestazione più tragica di questo fenomeno si è verificata con

Hitler e con la soluzione finale, mirata all’eliminazione completa degli

ebrei d’Europa.

• il moderno antisemitismo è un’ideologia che ha per base una

classificazione degli esseri umani per razze (per colore della pelle, per

religione, ecc..) e che vede quella “bianca” o ariana come superiore alle

altre.

L’ostilità e il pregiudizio verso gli ebrei erano sentimenti antichi e

radicati, ora rilanciati dal nazionalismo che si stava diffondendo in

Europa: essendo gli ebrei ritenuti “stranieri” perché seguaci di un’altra

religione, venivano accusati, come diceva Hitler, di danneggiare la

nazione

• l’antico antisemitismo nella storia è nato come il prodotto di

una ostilità religiosa (Antigiudaismo) alimentata dai cristiani contro gli

ebrei, accusati come popolo dell’uccisione di Gesù ( ovvero del

deicidio). Ciò non vuole affermare che i cristiani siano gli ispiratori del

razzismo, ma si può dire che questo sentimento è rimasto presente

nella civiltà cristiana per quasi 2000 anni.

La condanna a morte emanata dai romani nei confronti di Gesù a causa

del tradimento di Giuda (essendo egli ebreo), venne attribuita a loro.

Dopo la distruzione di Gerusalemme e la dispersione del popolo di

Israele, comunità ebraiche sorsero in tutti i paesi d’Europa. Si

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dedicavano spesso al commercio, nonché al prestito per interesse o

usura, vietata ai cristiani. Vennero quindi accusati di essere ricchi e

avidi affamatori del popolo e nei momenti di crisi sociale, divenivano il

bersaglio di odio e violenze (ad esempio durante l’epidemia di peste,

vennero accusati di avvelenare i pozzi e diffondere il morbo per il puro

odio verso i cristiani)

Le prime violenze verso il popolo ebreo si ebbero con le crociate: gli ebrei

furono colpiti perché ritenuti tra gli infedeli e pericolosi per la società

cristiana.

Da allora, violenze e massacri si verificarono periodicamente in Europa

fino ad arrivare a Hitler.

LEGGI RAZZIALI

Nel 1933 Hitler giunse al potere e poco dopo entrarono in vigore i

primi provvedimenti contro gli Ebrei tedeschi.

• Essi erano esclusi dagli uffici pubblici e dall’avvocatura;

• I medici ebrei erano esclusi dalle mutue.

Con questi provvedimenti iniziava l’eliminazione degli Ebrei da tutti i

settori della vita del Paese, e benché non tutti fossero d’accordo,

nessuno interveniva, perché si mirava alla pacificazione.

Secondo i grandi capi nazionalsocialisti, era un errore credere che il

problema ebraico potesse essere risolto senza spargimento di sangue:

la soluzione non poteva avvenire altrimenti se non in maniera cruenta.

Nel 1935 furono emanate le leggi di Norimberga e molti altri nuovi

provvedimenti tra i quali:.

• I matrimoni tra Ebrei e soggetti di sangue tedesco o assimilato

sono proibiti.

• I rapporti extraconiugali tra Ebrei e individui di sangue tedesco,

o assimilato sono proibiti.

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• Gli Ebrei non possono tenere al loro servizio in qualità di

domestiche, donne di sangue tedesco o assimilato che abbiano meno di

quarantacinque anni di età.

• E’ proibito agli Ebrei esporre bandiere dai colori nazionali

tedeschi. Per contro essi possono esporre bandiere dai colori ebraici:

l’esercizio di questo diritto è tutelato dallo Stato.

• Le infrazioni del 1° provvedimento saranno punite con la

reclusione. Le infrazioni al 2° provvedimento saranno punite con pena

di prigione o di reclusione.

Queste leggi erano leggi “sacrali”, mediante le quali Hitler intendeva

realizzare il suo sogno. Egli voleva estirpare la religione cristiana e

sostituirla con un nuovo culto, una nuova morale. Solo una religione

gli poteva assicurare degli uomini religiosamente obbedienti,

fanaticamente sottomessi, che gli corressero dietro.

Secondo Hitler, l’Ebreo simboleggiava il male: " Se l’Ebreo non

esistesse, bisognerebbe inventarlo", perché una religione non può fare a

meno del diavolo. La sua presenza faceva sì che si percepisse meglio il

Dio.

Più l’orrore sarebbe stato intenso, più intense sarebbero state

l’adorazione e la fede. Queste idee di Hitler entrarono nella mente della

popolazione: l’Ebreo non è soltanto impuro e contamina tutto con il

suo stesso contatto, ma impuro è anche tutto quanto gli appartiene e

partecipa alla sua vita.

Nel 1938, i provvedimenti sacrali vennero emessi con frequenza

raddoppiata

Tra le nuove disposizioni c’erano:

• La denuncia obbligatoria dei beni appartenenti agli Ebrei.

• L’obbligo di assumere il nome di Israele o di Sara.

• La soppressione delle ultime eccezioni a favore degli avvocati

ex combattenti.

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• L’obbligo di apporre la lettera J su passaporti e carte d’identità.

A metà ottobre 1938 venne deciso che era arrivato il momento di

risolvere il problema ebraico. Gli Ebrei dovevano sparire dall’economia

tedesca a lasciare la Germania.

Dal novembre 1938 le sinagoghe vennero bruciate e gli ebrei deportati.

altri provvedimenti vennero emessi:

• Tutti gli Ebrei sono esclusi totalmente e definitivamente dal

commercio.

• Gli Ebrei devono pagare un’ammenda collettiva di un miliardo.

• Ai ragazzi Ebrei è vietato frequentare scuole tedesche.

(Ministero dell’Educazione)

• La libera circolazione degli Ebrei viene limitata: essi non

possono frequentare determinati quartieri, né mostrarsi in pubblico a

determinate ore.(Polizia)

• E’ proibito agli Ebrei l’accesso alle vetture-letto e alle vetture-

ristorante; e così pure l’accesso ai ristoranti e alberghi frequentati dai

membri del partito.

E Hitler in un discorso disse: "O l’Europa e il mondo si piegheranno ai miei

voleri; e allora io concentrerò il popolo ebraico in qualche isola deserta. O

tenteranno di resistermi; e allora la razza maledetta sarà votata allo

sterminio".

Quando nel 1941 la guerra diventò veramente totale, quando il Führer

finalmente si convinse che i ponti erano definitivamente tagliati e che

una nuova Monaco era impossibile, i nazisti ricorsero alla seconda

alternativa: si avvio così la soluzione finale.

CAMPI TEDESCHI E CAMPI SOVIETICI

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L’annientamento del ebraico rappresenta per molti storici un fenomeno

senza precedenti e non può essere equiparato a nessun altro dei

massacri di cui è tragicamente ricca la storia. Ma altri storici

revisionisti, tra i quali il tedesco Nolte, danno un’interpretazione del

passato tale da rendere discutibile che questi crimini possano essere un

evento unico e incommensurabile.

Questo revisionista storico tedesco mira a stabilire un rapporto causa-

effetto tra bolscevismo e nazismo, in quanto i gulag staliniani hanno

preceduto, per volontà e metodi di sterminio, i lager nazisti. Nolte

cerca di spiegare che mentre il bolscevismo si insediava in Russia con il

colpo di stato, la Germania rispondeva con una borghesia tedesca

armata di antibolscevismo.

E dal 1933 sia la Russia bolscevica che la Germania nazionalsocialista,

divennero nello stesso tempo modelli da imitare e terrori da eliminare,

in quanti sia Hitler che Stalin condannarono le plutocrazie e , come

anche Mussolini, soppressero gli avversari politici applicando il terrore

poliziesco ed eliminandone la classe dirigente.

Hitler, oltre all’eliminazione degli ebrei accusati di rovinare la razza

ariana, eliminò tutte le forze che potevano ostacolarlo o diventare un

potere a lui alternativo. Coloro che potevano rientrare una questo

cerchio potevano finire in esilio o in campi di concentramento a

lavorare o venire uccisi immediatamente, senza pietà e senza alcun

genere di appello.

Stalin anch’egli eliminò la classe contadina dei Kulaki, accusata della

crisi russa, avviando stragi contadine o deportazioni di massa.

Nei lager si moriva nelle camere a gas, nei gulag di freddo perché

lasciati nudi con una temperatura sotto lo zero a lavorare fino allo

sfinimento o tramite fucilazioni. Questo era quello che volevano

puntualizzare i revisionisti: sia in uno, che in un altro campo si moriva

ed è stato un errore affidare l’egemonia dell’orrore alla Germania,

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quando in Russia si era compiuta la stessa cosa e anche prima. Hitler

inizia la sua opera di annientamento all’inizio della guerra, mentre

Stalin aveva già iniziato vent’anni prima.

Nolte vuole ricordare che anche in Russia vennero fucilati gli ebrei

rappresentanti del capitalismo e dei piccoli proprietari.

I revisionisti quindi non vogliono mettere in discussione la morte di sei

milioni di ebrei, perché c’è stata e non si può cancellare, ma c’è il rifiuto

del concetto di unicità dei crimini nazisti.

In pratica viene affermato che il Nazismo ammirava la compattezza

ideologica dell’URSS e per opporvisi utilizzò gli stessi metodi di

terrore di Stalin.

E per quanto riguarda il lavoro forzato all’interno di un lager, il

discorso andrebbe allora allargato alle colonie, dove gli schiavi

venivano sfruttati.

Personalmente sull’equazione gulag = campi nazisti ritengo sia di

grande attualità la riflessione di Primo Levi nel suo capolavoro “Se

questo è un uomo” che è una incisiva e drammatica testimonianza

della sua esperienza nel lager di Auschwitz.

Per Levi fra i Lager sovietici e i Lager nazisti si potevano osservare

delle sostanziali differenze: “la principale differenza consiste nelle

finalità. I lager tedeschi costituiscono qualcosa di unico nella pur

sanguinosa storia dell’umanità: all’antico scopo di eliminare e

terrificare gli avversari politici, affiancavano uno scopo moderno e

mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture. A

partire press’a poco dal 1941, essi diventavano gigantesche macchine

di morte: camere a gas e crematori erano stati deliberatamente

progettati per distruggere vite e corpi umani sulla scala di milioni;

l’orrendo primato spetta ad Auschwitz, con 24.000 morti in un solo

giorno, nell’agosto 1944. I campi sovietici non erano e non sono certo

luoghi in cui il soggiorno sia gradevole, ma in essi, neppure negli anni

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più oscuri dello stalinismo, la morte dei prigionieri non veniva

espressamente ricercata: era un incidente assai frequente, e tollerato

con brutale indifferenza, ma sostanzialmente non voluto; insomma, un

sottoprodotto dovuto alla fame, al freddo, alle infezioni , alla fatica. In

questo lugubre confronto fra due modelli di inferno bisogna ancora

aggiungere che nei Lager tedeschi, in generale, si entrava per non

uscirne: non era previsto alcun termine altro che la morte, almeno per

quanto riguardava gli ebrei e gli zingari, la strage era pressoché totale e

la mortalità era del 90-98 per cento.

. Per contro, nei campi sovietici un termine è sempre esistito: al tempo

di Stalin i “colpevoli “ venivano talvolta condannati a pene

lunghissime (anche quindici o venti anni) con spaventosa leggerezza,

ma una sia pur lieve speranza di libertà sussisteva.

Un'altra differenza viene dal fatto che in Unione Sovietica, ad esempio,

i rapporti tra guardiani e prigionieri erano meno disumani, non vi era

la distinzione di "superuomini" e "sottouomini" come sotto il nazismo.

Ad esempio nel comunismo non è presente una giustificazione dello

sterminio come strumento di edificazione del nuovo mondo, così come

è assente il richiamo a dottrine suprematiste o razziste, anche dei

poveri nei confronti dei ricchi. Diversamente era per il nazismo e lo

stesso fascismo, movimenti che avevano il gene del razzismo,

dell’imperialismo e del bellicismo.

È vero che il sistema concentrazionario sovietico è iniziato per primo

ed è durato molto più a lungo di quello nazista, facendo però un

numero inferiore di vittime. Nella loro grandissima maggioranza, i

prigionieri dei gulag erano dei cittadini sovietici; quelli del nazismo, ad

eccezione di una minoranza di antifascisti tedeschi, rientravano tutti

nella categoria dei non appartenenti alla comunità ariana. Un vero e

proprio “genocidio” è stato commesso dallo stalinismo durante la

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collettivizzazione forzata delle campagne. Ma la liquidazione dei

Kulaki non corrispondeva a un processo di purificazione razziale; era

piuttosto la conseguenza di una terribile guerra sociale dichiarata dal

potere sovietico contro il mondo tradizionale ereditato dall'impero

zarista.

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PRIMO LEVI

VITA E PERCORSO LETTERARIO

Primo Levi nacque a Torino nel 1919 e morì a Torino nel 1987. La sua

vita tranquilla mostra un particolare interesse per gli studi scientifici in

particolare modo per la chimica,

materia in cui si laurea nell’università

di Torino, iniziando una professione

che non abbandonerà più, neanche

dopo la guerra e dopo essere diventato

scrittore. A questa passione per la

chimica Levi deve molto: grazie ad

essa e a un po’ di tedesco da lui

conosciuto che trova il modo di

sopravvivere al coperto nel durissimo

inverno di Auschwitz, che portò la

morte di moltissime persone a causa

del disagio climatico che si aggiungeva a tutto il resto.

Non essendo un letterato di professione nella narrazione, Levi cerca il

bisogno di esprimere, portare a chiarezza il motivo di come tanti esseri

umani possano portare a galla una malvagità ad altri esseri umani.

Vuole conoscere cosa succede nell’animo delle persone perché possano

commettere un tale sterminio.

Mentre lavorava come ricercatore chimico a Milano, decise di unirsi ad

un gruppo di resistenza ebraica formatosi in seguito all’intervento

tedesco nel nord Italia nel 1943. Si sentì obbligato di unirsi alla lotta

ebraica, ma non per propria coscienza, ma perché qualcun altro (il

regime), ti ha dichiarato nemico e ti ha costretto ad una presa di

coscienza.

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La sua esperienza nella resistenza dura poco, perché viene catturato e

inviato nel campo di concentramento di Fossoli. Quando l’Italia passa

sotto l’occupazione nazista, tutti gli ebrei rinchiusi nei diversi campi

vengono deportati in quelli di sterminio in Polonia: a Levi tocco

Auschwitz.

Qui inizia la sua penetrazione nell’abisso, lucida e terrificante per chi vi

sopravvive, per chi l’ha creato, per chi vi si è adattato, per chi deve

giustificarsi a se l’essere ancora vivo. Nella sfortuna Levi si trova però

fortunato ad essere capitato in un periodo in cui la guerra era poco

favorevole alla Germania, per cui il lavoro degli ebrei era sfruttato al

massimo. E proprio grazie alla sua conoscenza della chimica,

sopravvisse perché impegnato in attività di laboratorio.

Tornato in Italia riprese il suo lavoro come chimico industriale nel

1946, ma si ritirò nel 1974 per dedicarsi interamente alla scrittura.

Infatti appena tornato dal lager nel 1946 scrive “se questo è un uomo” .

il racconto caldo sulla sopravvivenza dei pochi di Auschwitz. Un libro

speciale non esclusivamente di denuncia o testimonianza, ma

prevalentemente di coscienza. Il suo significato era quello di non far

dimenticare l’accaduto sia a sé stesso che alla gente.

Dopo 17 anni esce la “tregua”, la continuazione del primo libro, che

narra la storia dei sopravvissuti attraverso il loro lungo viaggio di

ritorno a casa.

Poi scriverà altre storie come nel 1978 “la chiave a stella” che sembra

distaccarsi dal ricordo dei lager, ma nel 1982 esce “se non ora,

quando?” e nel 1986 “i sommersi e i salvati” (titolo tra l’altro di uno dei

capitoli di “se questo è un uomo”), che riprendono il tema dei lager.

Gli strascichi psicologici dovuti all’internamento nel campo di

concentramento, soprattutto il sentimento di colpa di essere

sopravvissuto al massacro gli pesano molto. La sua salvezza

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l’attribuisce alla fortuna, alla sua conoscenza della chimica, per il fatto

di sapere un minimo di tedesco e alla sua capacità di adattamento.

Finisce per sentire inconsciamente la colpa di essere ancora vivo e

queste grandi ossessioni furono probabilmente la causa del suo

suicidio nel 1987.

La tomba di Levi con il suo nome di battesimo

e il numero attribuitogli dei tedeschi (174517).

LA DISCESA NELL’ABISSO E IL RICORDO

Se si vuole comprendere P.Levi è necessario comprendere l’abisso che

c’è nell’animo umano e nella storia. L’abisso di Levi non è di tipo

poetico e mitico, più pensato che vissuto, ne individuale perché

coinvolse milioni di persone; Levi vuole farci entrare in un abisso

storico, attuale, vissuto: i lager nazisti.

Vengono toccati storia, psicologia e il profondo contemporaneamente.

Il profondo è inteso come il luogo dove affiorano tutti i demoni che

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portano uomini a fare del male ad altri uomini (sfruttamento, torture,

morte, ecc..).

Levi vuole comprendere come possono accadere queste cose, quali

sono le dinamiche e chi può essere in grado di mandare avanti tali

azioni.

Un altro sentimento presente è il senso di colpa di essere

sopravvissuto. Levi non ha mai detto di esser vivo grazie alla sua forza,

ma ha sempre parlato di fortuna, quella fortuna che invece non ha mai

toccato le oltre sei milioni di persone che invece sono morte; la fortuna

di essere entrato in lager nel 1944, quando la manodopera di

qualunque persona anche dei “diversi” poteva servire; la fortuna di

aver superato la selezione per i forni crematori; la stessa fortuna che gli

ha permesso di tornare a casa, mentre milioni di persone si sono perse.

Ma in Levi e soprattutto nei suoi romanzi è sempre in primo luogo il

ricordo persona di una ascesa all’inferno concreta e vissuta.

Levi ha cominciato a scrivere per tenere sempre vivo questo ricordo, al

contrario di altri che farebbero di tutto pur di dimenticare, prima per se

stesso e poi per gli altri.

Levi vuole tenere vivo il fatto che quello che è accaduto e veramente

capitato e che tutti devono ricordare per comprendere la nascita della

disumanità che sta all’interno di ogni persona che essa sia degli

oppressi o degli oppressori. Parla di presa di coscienza.

Tutto questo si può capire solo comprendendo il come e il perché, quali

forze scattino, perché nel pieno della civiltà trovi così ampio spazio

questo tipo di barbarie.

“SE QUESTO È UN UOMO”

E’ in primo luogo un resoconto documentato di un anno di

sopravvivenza ad Auschwitz.

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Il romanzo si apre con una specie di poesia che è nello stesso tempo

una preghiera e una maledizione biblica.

"Se questo è un uomo”

"Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

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Esigenza di non dimenticare. Ci sirivolge al lettore.

VOI: gente comune che è stata lontanada questo inferno. Siamo NOI chedobbiamo decidere se quelli che hannovissuto questo inferno possono essereuomini o donne umane.

QUESTO: viene usato come unpronome.

CHE: anafora

Parte imperativa: Levi vuole che siricordi.

Se non ricordiamo ciò che è accaduto,Levi ci condanna alla malattia:maledizione biblica.

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi."

Questa poesia terribile e intensa, racchiude in se tutta la ragione dello

scrivere di P. Levi: testimoniare. La parola “Voi” sottintende lo stato di

diversità, di distacco che caratterizza chi non è stato tra i dannati della

terra.

Con i versi successivi vengono scandite le terribili tappe della vita nei

lager.

L’immagine del ventre della donna, freddo come una rana d’inverno,

comunica potentemente l’orrore, la bestialità di una condizione umana

che trasforma ciò che per natura è la calda fonte della vita, nella

viscida, gelida tomba della morte.

I sei versi successivi alternano la rabbia e l’invocazione.

Meditate, vi comando, scolpitele, ripetetele: se questo non farete la

maledizione biblica, quella più terribile, vi colpisca. Così com’è

accaduto a noi.

RIASSUNTO

La storia comincia con il racconto dell’arresto, nel 1943, di Primo Levi

che viene poi portato in un campo di internamento a Fossoli (MO). In

seguito, aumentando il numero degli ebrei nel campo, essi vengono

trasferiti ad

Auschwitz. Il

viaggio è lungo

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cinque giorni e per tutto il viaggio non viene dato loro né da bere né da

mangiare.

Lager di Auschwitz-Birkenau dove venne deportato Primo Levi

Quando scendono dal treno tutto è confuso, non riescono a capire cosa

stia succedendo: li dividono dai cari, li spogliano, li rasano e li

chiudono poi in una stanza dove devono aspettare la doccia. Vengono

poi dati loro dei vestiti e delle scarpe (non i loro), e la vita nel campo

comincia. Inizia la lotta per la sopravvivenza la sopravvivenza, la

riflessione di Levi in un luogo dove insegnano a non essere più un

uomo. Il lavoro il procurarsi cibo occupa tanto i prigionieri da far

sembrare a loro stessi di avere dimenticato i ricordi da uomini liberi; di

ciò lo scrittore si accorge quando entra in Ka-Be (l’infermeria) e ha il

tempo necessario per riflettere fino a che non ne esce. Dopo l’uscita

dalla Ka-be viene assegnato ad un altro Block e a un altro Kommando

dove trova un suo amico. Successivamente Levi, essendo laureato in

chimica, riesce a guadagnarsi un posto in un laboratorio tedesco

all’interno del campo. Qui le condizioni di vita sono meno disumane e

ciò gli permetterà di sopravvivere fino alla liberazione.

Commento

Il libro è un crudo racconto dei fatti acceduti, durante la seconda

guerra mondiale, nel campo di concentramento di Auschwitz. Il testo,

pur essendo stato scritto dopo la liberazione dal lager, è scritto in

maniera tale da sembrare un diario: infatti sin dalla prima pagina del

libro Levi racconta come se rivivesse le violenze subite nel lager; tutto è

confuso, non si riesce a capire bene cosa stia succedendo, proprio la

sensazione che l’autore ha quando viene deportato. Alcune volte Levi

racconta con disperazione, esempio quando stavano preparandosi per

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partire per il campo, descrive così le donne “e non dimenticarono le fasce.

E i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i

bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se

dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste da

mangiare?”

E’ messo molto in evidenza l’atteggiamento dei tedeschi nei confronti

dei deportati: Quando salgono sul treno, essi contano i “pezzi”, questo

è il nome attribuito ai deportati; per loro è un lavoro come un altro

(“era il loro ufficio di ogni giorno”), uno in più, uno in meno non fa

differenza, sembra quasi che addirittura li scherniscano, si prendano

gioco di loro e Levi in questo caso si pone una domanda: “come si può

percuotere un uomo senza collera?”.

Un’altra parte da sottolineare nel testo è il capitolo che parla della

sopravvivenza all'interno del lager, ma non sopravvivenza intesa come

mangiare, dormire ecc., ma come salvare l’ultimo residuo d’uomo che

c’è in ogni deportato. Ad un certo punto del racconto Levi spiega che

hanno tolto loro ogni cosa: vestiti, scarpe, capelli, ricordi e persino il

nome, infatti viene a loro assegnato un numero e quello sarà il suo

nuovo nome. La dignità e l’esistenza dell’uomo stesso viene

annientata, distrutta perché deve essere adattata al sistema creato da

“loro”.

Vengono annientati così, un po’ alla volta, lentamente in modo che il

loro essere muoia prima del loro corpo.

Un altro elemento sottolineato dallo scrittore è quando entra nella Ka-

Be, dove lui ritrova in parte se stesso, ritrova i suoi cari, i suoi amici, i

suoi parenti. Lì lui si rende conto che li stanno annientando, che lo

stanno cancellando pian piano. E le marce che prima là fuori ascoltava

meccanicamente, qui le sento come uno strazio, una musica fastidiosa

che ancora oggi forse lo tormenta e lo inquieta.

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Il dramma dei lager è stato una piaga per la storia dell’uomo e nessuno

di coloro che non vi è stato può immaginare com’è vivervi al suo

interno; Levi ha cercato di trasmetterci una memoria che non deve

essere dimenticata per non sbagliare di nuovo.

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