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Hotel Incanto

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Milos Fabbri, racconti fanta-giallo.Hotel Incanto è composto da tre racconti. Si narra di vicende che portano alla luce la solitudine, la cattiveria, la solidarietà del genere umano. L'autore ci conduce all'interno di alcuni stereotipi per mostrarci un'altra chiave di lettura. 1) In un paesino sperduto si compie da secoli un rituale per scacciare i dubbi. Tutti vivono felici, ma poi arriva la carestia, la morte, la prostituzione... 2) Le favole finiscono con un bacio, con un: “E vissero felici e contenti”. Ma poi cosa potrebbe succedere se Prezzemolino, Biancaneve e Cenerentola si incontrassero in un hotel? 3) Due bambini assistono a un incidente e raccolgono un pacco regalo dalla strada. Davide promette alla donna sdraiata a terra che lo consegnerà lui alla figlia, scomparsa da un anno. Inizia la ricerca.

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In uscita il 30/6/2016 (14,50 euro)

Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2016

(2,99 euro)

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MILOS FABBRI

HOTEL INCANTO racconti

www.0111edizioni.com

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HOTEL INCANTO Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-9370-003-0 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Giugno 2016 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

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a mio padre, a mia madre.

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ANTONOMASIA

Usate l’istinto Tifosi Rione Verde

Ho il vaccino che fa per te, tutto quello che tu non puoi fare…

Vince il bene, il male sta rimontando.

Perde il senso. Non guardarli mai

mentre ti assolvono, potresti accorgerti che son colpevoli.

Tu trema intanto io

finisco di fare il ritratto all’istinto.

A. Bergonzoni

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1 «Guarda che è solo ciccia! Un ammasso di carne, potrebbe essere una mucca, un maiale… La verità è che quello che adoriamo, quella pelle su cui facciamo scivolare le nostre mani, non ci provocherebbe nulla se non fosse per l’idea che abbiamo su quel pezzo di carne: la coscia di una donna, il culo, le tette». «Fatto sta che a me quell’ammasso di ciccia piace e molto. Palpare un culo, stringere e accarezzare una tetta…». «Sì, ma non è il contatto col culo che ti eccita, è l’idea che quel culo ti debba eccitare. Quel culo è di una gran gnocca, per cui mi piace. Perché non te ne vai in un porcile e inizi a palpare i maiali? Magari ti spari anche una sega». «Mi sa che stasera, mio caro amico, dici un ammasso di cazzate». Augusto e Filippo si alzarono, scostarono le sedie e poggiarono le mani sul tavolo. Si guardavano; si volevano un mondo di bene. Quello di questa sera era un addio. Fingevano, tra sorrisi e ricordi, che presto si sarebbero rivisti. Augusto lo sarebbe andato a trovare e anche Filippo non avrebbe mancato di tornare in città per qualche festività. «Sono contento che parti, hai preso la decisione giusta, mi mancherai molto, ma sono felice. Non c’è nulla qui per cui valga la pena restare, anche se non capisco perché hai deciso proprio quel posto». «E tu allora? Perché rimani? Puoi venire con me, un po’ di

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isolamento non ci farà altro che bene…». «Ne abbiamo già parlato. Andiamo a fumarci una sigaretta». Fuori dal locale era buio. Soffiava un vento caldo. Le foglie si libravano nell’aria per poi riposarsi a terra. Era autunno, l’inizio dell’autunno. «Comunque non è così lontano, è scomodo da raggiungere e a volte impossibile» rise malinconico, «ma come diavolo ti è venuta in mente questa cazzata della ciccia?». «Non è una cazzata, dovremmo dare meno importanza al sesso. Questa società ne sta diventando schiava». «Tutte le società, in tutte le epoche, ne sono state schiave! Certo che è solo un pezzo di carne, sicuramente l’attrazione è accentuata da tutto quello che ci ruota attorno dal punto di vista ideologico, ma la gnocca è la gnocca, mio caro Augusto». Si salutarono e, voltandosi di spalle, lasciarono che il vento li portasse un po’ con sé, un po’ più leggeri, più lontani che mai.

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2 Il paese di Fracasso non era conosciuto da nessuno al di fuori delle proprie mura, che peraltro non aveva. Ma se per caso qualcuno avesse deciso di scrivere una guida sulle città più particolari in Italia, avrebbe dovuto includerlo. La sua caratteristica era la netta impossibilità da parte degli abitanti di porsi dei dubbi. Detta così può sembrare una cosa di poca importanza o addirittura riluttante, ma a loro anche questo non importava. Oltremodo, se può sembrare semplicistico ed egoistico è solo perché non si è colto il vero senso della loro natura. Privi di dubbi sì, ma per le cose giuste. Non erano stupidi, sapevano bene che solo gli stolti si sentono sempre dalla parte del giusto. La loro saggezza stava nel non lacerarsi l’un l’altro con inutili inganni mentali. La loro mente era pulita e questa magia era possibile anche per merito di un escamotage. Durante il giovedì di mezza Quaresima si usava fare una grande festa: la pentolaccia. Oltre ai soliti dolci e giochi per bambini, dentro le pignatte di terracotta c’erano dei topi. Ed era questo il loro segreto: far fuggire quei roditori dal paese. Una tradizione che li salvò per lungo tempo. Ma tutto passa e niente è destinato a durare: ed ecco arrivare, anche dove sembrava non essere possibile, il male, ovvero il dubbio. I padri fondatori di Fracasso erano riusciti a creare un paese dove ognuno poteva trovare la propria centralità, dove ognuno

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aveva la possibilità di vivere serenamente. Ma un giorno le cose cambiarono. Il paese era l’unico di tutta l’isola. Fu fondato da una banda di briganti intorno al diciottesimo secolo. Dapprima fu usato come nascondiglio: arrivare all’isola di Fracasso era (ed è tuttora) un’impresa ardua. Era il posto ideale per isolarsi. Allo stato non importava (e non importa tuttora) di migliorare l’accesso all’isola. Bastava una giornata di mare mosso per bloccare l’isola nel più completo abbandono. Col tempo però i briganti cambiarono stile di vita e si chiusero nel paese iniziando un’esistenza mesta e priva di eccessi. Si ritirarono in una sorta di meditazione. Gli anziani, unendo le proprie idee, avrebbero voluto che la nuova generazione, i loro figli, crescessero con un nuovo pensiero e l’origine del pensiero sta sempre nel dubbio. Volevano lasciargli in eredità non soltanto ori e ricchezze, ma anche una mente sana. Per essere genuinamente pensanti, noi dobbiamo sostenere e protrarre quello stato di dubbio che stimola a una completa ricerca, in modo da non accettare un’idea o asserire positivamente una credenza finché non si siano trovate fondate ragioni per giustificarla. Ebbene, a distanza di duecento anni si può dire che il paese di Fracasso non aveva capito la lezione. Come detto, tutti gli abitanti vivevano felici e contenti senza porsi mai alcuna domanda.

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3 «Dottore, sono ormai vent’anni che non mi ammalo; nemmeno un banale raffreddore. Non potrebbe darmi qualcosa per farmi star male?». «Ma come», gli rispose il medico stupito, «non siete contento?!». «Contento…» proseguì il signore con la cicatrice sotto l’occhio sinistro, «e perché mai? Il dolore per l’essere umano è necessario, come potrebbe altrimenti gioire della propria buona sorte? Solo nel momento in cui il dolore svanisce si riesce, almeno per un po’ di tempo, a essere felici. La prego dottore, mi dia una medicina per farmi ammalare». «Franco, io vado in Comune a prendere la cassa di birra, tu cosa fai? Ci vediamo da Paolo? Mi ha detto che dobbiamo organizzarci per giovedì: dobbiamo decidere i turni e chi pulirà alla fine della festa». Mirco aveva finito di svuotare i cestini del parco. «Va bene, ci vediamo da Paolo. Certo che il sindaco ha avuto proprio un’idea geniale; far pulire le strade e i parchi agli alcolizzati in cambio di birre» Franco si mise a ridere. «Io ne sono contento, non tanto per la ricompensa, ma almeno adesso ho qualcosa da fare, prima stavo sempre seduto a ubriacarmi guardando il mare. Adesso non riesco più a stare seduto e basta». Alzò con forza il carretto e lo spinse,

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dirigendosi in Comune. «Era riuscita ad arrivare fino al terzo giovedì. Metà Quaresima, ma non riuscì ad andare oltre. Così, la bella fanciulla mise fine al proprio digiuno e si mangiò un enorme salsicciotto. Dopo averlo trangugiato cominciò a girare per il paese travestita da vecchia per non farsi riconoscere. Come andò a finire te lo puoi immaginare: fu presa e messa al rogo». «Ed è per questo che festeggiamo la sega vecchia?» chiese la bambina al padre che si stava alzando per alimentare il fuoco. «Esatto, il giovedì di mezza Quaresima si interrompe il digiuno per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, l’equinozio di primavera. E tu ti diverti a rompere la pentolaccia». «Non so come altro fare, quest’anno non riesco a prenderli. Le trappole sono le solite, i soliti posti, il solito formaggio, ma di topi proprio non se ne vedono» così disse al sindaco la ragazza incaricata della cattura dei topi. «Ma dovranno pur esserci dei topi in questo paese; dov’è finito il tuo disgustoso piacere nell’acchiapparli?» le rispose lui indispettito. «Viviamo in campagna, dopotutto, forse abbiamo cementificato un po’ troppo negli ultimi anni. Insomma affrettati, ma lentamente. Come pensi che lo possiamo fare il festival dei topi se non abbiamo nemmeno un topo?». «Proverò fuori città signor sindaco, speriamo bene». Romina s’incamminò verso la campagna ed entrambi sprofondarono nei loro pensieri, molto diversi fra loro. «Hai sentito Filippo, quel che si va dicendo?» chiese il barbiere guardando nello specchio il suo cliente. «Non bisogna prendere queste feste troppo sul serio, mio caro Antonio, non bisogna prendere la vita troppo sul serio. Tanto,

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non ne usciremo vivi». «Sì, tu fai presto a parlare, sei l’unico straniero del paese. E poi, cosa ci mettiamo dentro la pentolaccia? Le feste vanno onorate». Prese la spazzola dal cassetto e diede una pulita al collo di Filippo, il servizio era finito. Filippo sorrideva, non ci voleva certo un chiaroveggente per risolvere l’enigma di quella sciagura. «Sono solo storie, Antonio, io penso che il male di questa città venga da ben altri posti e da altre persone». Filippo si tolse la mantella protettiva e si alzò. «Ti saluto, Antonio, stasera ho un incontro galante, ci vediamo giovedì alla festa. Vedrai che andrà tutto come al solito». «Allora, Maria, hai finito di confezionare il vestito della vecchia?». «Ho finito, ho finito, ma tu non hai sentito la notizia?». Aspettò che l’amica la guardasse negli occhi e abbassando la voce disse: «Non ci sono i topi. Nemmeno uno. Vedrai, cadremo tutti in disgrazia». «E non possiamo fare nulla?» le chiese Chiara intimorita. «Pregare, possiamo solo pregare cara, e prepararci a un periodo di carestia».

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4 Romina di topi non ne trovò e la festa fu un fallimento. In un primo momento si cercò di non badare all’inconveniente: le pentole piene di dolci furono appese alla corda che attraversava la piazza principale del paese. I bambini gioiosi, dopo essere stati bendati, si lanciarono coi bastoni cercando di rompere le pignatte. Attorno a loro il cerchio di folla rimaneva in silenzio, aspettando. Qualcuno sussurrava a qualcun altro che sarebbe stato un disastro e difatti, quando i bambini si accorsero che non vi erano topi all’interno, gettarono a terra i bastoni, si tolsero le bende e corsero piangendo tra le gonne delle mamme. Il sindaco, a cui non importava nulla di quella festa, si avvicinò alla catasta di legna dove era sistemata la vecchia e appiccò il fuoco. Il rogo divampò in breve tempo. Tutti lo guardarono bruciare attoniti, colti da un brutto presentimento. Quando il fuoco lasciò posto solo alle braci, le persone iniziarono ad allontanarsi in silenzio. Avevano il dubbio che l’anno che si stava affacciando avrebbe portato molte disgrazie. Il rito non si era compiuto. Bastò quell’evento per far sì che tutte le certezze e le sicurezze che si celavano nei loro animi si dissolvessero in un respiro. Come ombre di sera, le stesse sagome che fino a poco prima non recavano nessuna paura ora erano fonte di ansie e timori.

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Il cielo che sovrastava la città si oscurò come durante il giorno della crocifissione di Cristo, le nubi ricoprirono il cielo: «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Passarono poche settimane prima che la siccità calasse nel paese. Niente più raccolti, niente più grida di bambini giocosi. Anche la pesca iniziò a essere carente. Il paese si chiuse in una nuvola di tristezza e di povertà. I topi sono i roditori delle coscienze umane, così come lo sono i pensieri negativi che ci angosciano e ci tormentano non trovando né sollievo né pace se non vengono espressi e cacciati fuori dalla nostra psiche. Così il paese dovette rimanere con le sue angosce, non avendo potuto scacciare nessun topo. Romina era una bambina di tredici anni, non aveva genitori e non aveva famiglia. Era stata cresciuta dal parroco e da Vittorio, il proprietario di una cantina vinicola. Era davvero intelligente e quando Vittorio notò la sua predisposizione per la scienza, iniziò subito a indottrinarla. La stessa cosa fece don Alberto, ma in senso opposto alle aspettative di Vittorio. I due uomini si alternavano nel consacrare il sapere di Romina e ognuno dei due era sicuro e autoritario nella propria verità. Chi poteva aver creato il mondo se non una figura come Dio, un uomo seduto su un trono che stava fra le nuvole e ci guardava sempre, in ogni momento? Questa cosa sconvolgeva parecchio le fantasie di Romina, che appena appresa questa notizia aveva iniziato a faticare ad andare in bagno. Era molto meno riluttante alle idee di Vittorio: «Mia cara, noi non siamo

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altro che l’evoluzione, l’apice raggiunto dall’evoluzione». Ma anche Vittorio non mancava di aggiungere alla sua educazione una sana dose di misticismo. «Ma se siamo tanto evoluti» gli chiese una volta Romina con i grandi occhi puntati su di lui «perché facciamo così schifo?». Vittorio prese un bicchiere d’acqua e lo riempì. «Vieni qui, guarda». Versò dentro al bicchiere quasi colmo d’acqua un qualche goccia di vino. «Vedi, ora la limpidezza del bicchiere si è offuscata, così come l’animo dell’uomo. Basta qualche goccia scura per offuscare la limpidezza dell’acqua. Guarda ora». Vittorio prese una bottiglia grande d’acqua e cominciò a versarla dentro il bicchiere. Ci volle quasi tutto il contenuto, un litro d’acqua, per far tornare il liquido del bicchiere lindo e trasparente. «Hai visto? Sono bastate poche gocce per intorpidire l’acqua, ma c’è voluta un’intera bottiglia per farla tornare pulita». Romina aveva accettato il compito di catturare i topi non solo perché si voleva rendere utile, ma soprattutto le piacevano quei piccoli roditori. Qualche giorno prima della festa, mentre teneva i topolini chiusi nelle gabbie al bordo del suo letto, gli si sedeva a fianco e discuteva lunghe ore con loro. Quei topi servivano al paese per non farsi rodere dai pensieri negativi, mentre a lei servivano in caso fosse arrivata la fata. Romina si sentiva come Cenerentola e non avrebbe disdegnato l’arrivo di un bel principe azzurro. «Disse er maiale ar topo: nun poi amar la capra, sta più grande de te! Ma er topo rispose: so’ ancora giovane, crescerò…».

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5 In che tempo vivi tu e in che tempo siamo ormai fra scheletri e radici fra farfalle mi maledici. Ma quale tempo che speranza la vita si è portata via il nostro amore la nostra vita… Teresa blocca la mano, smette di scrivere. Concentra l’attenzione su quel ticchettio che le sembra di aver sentito. Ripone il suo quaderno sotto il solito asse di legno e si avvicina alla finestra rivolta verso est. Sale coi piedi nudi sopra la balla di fieno sottostante e scruta la strada: lo vede. Finalmente, lo sapevo che sarebbe arrivato. Devo andare a prendere l’asino e correre da lui. Teresa schizza fuori dalla stalla, ma non c’è nessun asino ad attenderla. Già da molto tempo, tutte le bestie del villaggio sono morte. Teresa farnetica, è considerata pazza ormai da tutto il paese. Nessuno le rivolge più la parola, nemmeno quando entrano nel fienile per consumare il suo corpo. Finito l’amplesso, le gettano qualcosa da mangiare a terra ed escono in silenzio. Teresa si è chiusa in se stessa rinunciando alla vita. Ma ora, tornata ad affacciarsi alla finestrella del fienile, sente dentro di sé quella piccola fiammella. Il calore della sua esistenza non

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l’ha ancora abbandonata del tutto e quello, almeno secondo lei, è il salvatore. Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». Le prime gocce di pioggia, cadendo sull’asfalto, fanno alzare piccole nuvolette di polvere. Quasi nessuno se ne accorge. Sono tutti rintanati come topi nelle loro tane. Ognuno aspetta il momento di morire e la morte è già entrata da tempo dentro il villaggio, a banchettare. Queste deboli gocce di pioggia non fanno in tempo a toccare terra che evaporano. Arrivano dopo un anno di siccità. È una pioggerellina, per ora, che non disseta nulla. Ma, mentre la pioggia aumenta lievemente, ecco apparire una figura sulla via principale: un uomo, a giudicare dall’aspetto. È mercoledì; a voler essere precisi, è il mercoledì delle ceneri, primo giorno di Quaresima. La figura che è entrata in paese, percorrendo la deserta strada principale, porta con sé una valigetta di pelle nera, dei mocassini neri ai piedi e un cappello dello stesso colore. È vestito, non è logoro né trasandato e potrebbe essere uscito da un rispettabile salotto inglese dopo aver bevuto una tazza di tè. Dietro di lui, poco distante, lo scafista che è tornato sull’isola. L’uomo si accorge subito dello stato di abbandono in cui il paese si trova, ma sembra non darsene pena, non ne è stupito. Continua a camminare con lo sguardo rivolto a un punto preciso, seppur indefinito, come se sapesse benissimo dove sta andando e forse è così. Il secondo ad accorgersi di quella strana creatura è il signor sindaco che, mentre esce di casa per andare da Antonomasia (nome da lui affibbiatole), volge lo sguardo verso est e rimane

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esterrefatto. È quasi un anno che non si vedono stranieri avvicinarsi al villaggio ed erano parecchi mesi che non c’erano più collegamenti con l’isola. Per Dio! Non credo ai miei occhi, ma chi mai potrà essere questo illustre sconosciuto? Quest’uomo che viene a spezzare quest’assordante silenzio? Solo in un secondo momento il sindaco si accorge che sta piovendo. Il signor sindaco si avvicina all’uomo, che nel frattempo si è fermato guardandolo. «Salve, mi presento: dottor commendator Giuliani, sono il sindaco del paese, o per lo meno di ciò che ne resta. Ma voi, signore, mi sembrate una copia originale di un vagabondo travestito da nobile. Come mai siete capitato su quest’isola?». Il sindaco, dopo essere rimasto in attesa di una risposta senza ottenerla, si rassegna e invita l’ospite alla taverna a bere qualcosa. «Venga, venga, andiamo a parlare giù in osteria, oggi fa freddo e… finalmente piove. È arrivato proprio in un buon momento. Lo sapevo che prima o poi le cose si sarebbero sistemate». «Vedrà, sistemerò tutto nel giro di poche settimane, ma fossi in lei non ne sarei così entusiasta». Il sindaco lo guarda interdetto, non capendo dove volesse andare a parare: «Che intende mi scusi?». Ma non ottiene risposta. La pioggia intanto inizia a cadere più violenta sul villaggio. Le persone sono uscite di casa per ammirare questo miracolo. Maria e Chiara posano i ferri da cucito sulla sedia calda ed escono. Quasi si sono dimenticati i loro vecchi occhi, dell’immagine della pioggia. Le due donne sorridono come

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quando erano bambine e si lasciano bagnare da quel tanto desiderato acquazzone. Solo Teresa è rimasta dentro il fienile, raggomitolata su se stessa, sopra un sottile strato di paglia. È seminuda, nonostante il freddo. Se in un primo momento l’entusiasmo alla vista del messia le ha dato nuova vitalità, ora è nuovamente sprofondata nel dolore della sua perdita. A cosa mi può servire una nuova vita senza la persona che ho amato. A cosa mi può servire l’amore se sono stata tradita. Ma nulla, ora, potrebbe essere più freddo del suo animo. Forse in questo lungo anno si è giocata la possibilità di una felicità futura; forse proprio perché in lei non ha più visto un futuro, o forse solo perché queste sono state le circostanze in cui si è dovuta destreggiare. Fatto sta che se ne sta rannicchiata nel suo giaciglio, indifferente a quello che sta accadendo fuori. Prima che calasse la sventura su di lei e su tutto il paese, Teresa faceva la scrittrice. Prima di quel lontano giorno in cui si ritrovò, quasi suo malgrado, a fare la prostituta, Teresa dedicava il suo tempo alla scrittura. Anche ora, nei momenti di solitudine, chiusa dentro il fienile, raccoglie da sotto un asse di legno il suo quaderno e inizia a scrivere i suoi tormenti, le sue paure e qualche sogno. Si è accorta che tra due settimane sarà passato un anno dalla disgrazia in cui è caduto il paese; e si rende conto che sta per succedere qualcosa. Ma Teresa è lontana, ormai non spera più in nulla: non soltanto la sua vita è cambiata, ma è giunta a una conclusione. L’amore a cui tanto si era legata l’ha tradita; e adesso Teresa barcolla in questa vita come un ubriaco in cerca della via di casa.

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Vento uccidimi / smettila di urlare / che ti ho fatto per meritare questo. / Hai portato via la pace, l’amore, / per lasciarci con un pugnale in mano. / Guarda il sangue, sangue sui corpi. / Li hai portati via, vento. / Posati in questo giorno, ferma il tempo. / Portami di nuovo davanti a quel Dio chiamato Libertà. Posati. / Vento uccidimi, / non farmi sopportare l’agonia che c’è tra le fiamme, / né il dolce silenzio delle nuvole. Soffia, soffia, vento!

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6 Il sindaco del paese si chiamava Marco Giuliani ed era conosciuto da molti come un grande imprenditore, da altri come un grande truffatore. Non tutti sapevano il motivo per cui tornò a vivere nel paese di Fracasso. Solo in pochi erano a conoscenza della verità e si guardavano dal rivelarlo ad altri: un po’ per paura, un po’ per profitto. Giuliani se ne andò dal paese natio che aveva compiuto da poco ventidue anni. I suoi genitori si diceva fossero una delle poche famiglie che ancora avevano il DNA dei padri fondatori. Suo padre capì ben presto che da quel figlio non avrebbe ricavato molto di buono. Lo avevano mandato in continente (così gli isolani chiamavano l’Italia) per studiare e sapevano che l’educazione scolastica era il trampolino per evitare una vita modesta come la loro. Giuliani era il secondo di due figli. Il primo nato si chiamava Primo e per sua sfortuna morì all’età di nove anni in circostanze misteriose. Era passata da poco l’una del pomeriggio quando la madre chiamò la famiglia per il pranzo. Arrivarono tutti in sala tranne Primo. La madre si allarmò. Era dalla sua nascita, dall’avvento del primogenito, che Mara aveva attacchi di panico ingiustificati. Corse in cortile chiamando il figlio, ma non c’era nessuno.

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Continuò a cercarlo attorno alla casa finché lo trovò. Era morto. Appeso all’albero. Giù nel lato destro del cortile c’era un meraviglioso platano, fino a quel giorno era stato magnifico osservarlo, ma ora… Primo era impiccato con una grossa corda a uno dei suoi rami. Non si seppe mai come fosse potuto succedere. Marco Giuliani tornò a Fracasso perché fu obbligato dalla magistratura. All’età di cinquantadue anni fu arrestato a Milano per frode fiscale, collusione con la mafia e falsa testimonianza. Era diventato un pezzo grosso. Aveva gli amici giusti per far carriera, ma a un certo punto osò troppo: voleva tutto il potere per lui, voleva essere il più potente. Questo gli costò l’uscita di scena. Fu condannato agli arresti domiciliari. Fu costretto a uscire dal palazzo e a non farsi più vedere. Ecco perché a distanza di trent’anni tornò a vivere a Fracasso. Ma questo non lo cambiò nell’animo. La sua vita imprenditoriale era finita, ma avrebbe avuto per sempre una piccola isola su cui ripiegare. Le sue ambizioni non potevano cessare per colpa di un magistrato e qualche uomo di potere, ora si sarebbe occupato dei problemi di Fracasso. La sua natura fisica rispecchiava parecchio anche il suo animo. Era un signore basso e tozzo. Il capo quasi pelato. Camminava goffamente, un po’ per il suo abbondante bacino, un po’ per le sue corte gambe. Non aveva un aspetto piacevole e, troppo spesso, metteva in mostra quel suo ghigno sfoggiando il dente d’oro che campeggiava accanto al primo premolare. Era stato eletto durante le ultime elezioni a seguito di una disgrazia. Prima che Marco Giuliani ricevesse l’onore di diventare primo

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cittadino, il paese era un onesto luogo abbandonato fra le onde del Mediterraneo. La costa opposta non distava molto, ma a nessuno importavano le sorti di quella località. La città che gli faceva da garante, che tutelava la popolazione dal totale abbandono, distava quindici chilometri. C’era un’unica strada asfaltata, la principale, tutto il resto era terra battuta o ghiaia. Ma nessuno se ne era mai curato, a nessuno questo era mai sembrato un difetto, se non al futuro signor sindaco. Era l’unico a possedere una di quelle auto sportive che per gli altri abitanti erano state, fino ad allora, soltanto delle immagini sulle riviste. Successe quindi che il caro Giuliani iniziò una campagna diffamatoria contro il sindaco in carica. Non avendo meriti lui e non avendo demeriti l’altro, non sapeva bene come accaparrarsi le simpatie politiche della gente. L’unico metodo era la calunnia. Cercò di insinuare il dubbio e a poco a poco ci riuscì. Nessuno inizialmente credeva allo sproloquio che Giuliani teneva fino a notte fonda dentro la taverna. Ma, a forza di sentirlo e risentirlo, diventò come l’atto di dolore che dovevano ripetere almeno trenta volte appena usciti dal confessionale. Nessuno degli abitanti aveva mai commesso alcun crimine degno di nota. Non c’erano stati né furti né omicidi a memoria d’uomo. Qualche scaramuccia all’uscita della locanda, ma nulla più. Eppure, a padre Alberto questo bastava per castigare i suoi fedeli. «Venite, amici, venite qua al chiarore di questo lumicino spento. Bisogna modernizzare questo paese, se no rimarremo isolati dal resto del mondo. Dobbiamo portare sull’isola i turisti. Ci servono strade, case nuove, alberghi. Dobbiamo rivalutare il nostro territorio». La metà degli uditori probabilmente nemmeno capiva le esternazioni di Marco

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Giuliani ma, per un senso di adeguamento, iniziarono a sostenerlo. Soprattutto quando videro le loro serate e qualche loro vizio offerti proprio dal futuro sindaco. Il paese di Fracasso era sempre vissuto nella monotonia che la tranquillità spesso cela. Cosa c’è di male nel non avere problemi e nel non avere i dubbi su quello che si sta facendo? Fino alla venuta in politica di Giuliani nessuno si poneva dubbi e nessuno veniva accusato di essere un esaltato. Nessuno si chiedeva come mai quell’uomo vivesse in cotale stato di indifferenza. Se il seme andava piantato nella terra in quel periodo, così era e così si faceva. Se i figli andavano educati in quella maniera, così era e così si faceva. Ma quando il signor Giuliani iniziò a fare domande che nessuno aveva mai fatto e quando iniziò a supporre cose che nessuno aveva mai supposto, anche la gente cambiò. Giuliani riuscì a insidiare nelle coscienze pensieri negativi che nessuno riuscì più a espellere dalla propria psiche. Certo, fino a quel momento c’era stata la fiera dei topi, una festività che serviva proprio a quello scopo. Ma è facile credere al potere magico di un antidoto quando in realtà non è mai esistita la malattia. Ma ora il dubbio aveva invaso il paese e, dopo un solo anno di permanenza del nuovo sindaco, la situazione nella cittadina stava andando a rotoli. Perfino i topi, animali usati fino ad allora per esorcizzare i drammi, erano fuggiti. Furono cementificate aree di cui nessuno ne capiva il futuro utilizzo. Fra i giovani si diffuse la mania di bere alcolici per poi andare a fare danni nella campagna vicina. Le scorribande aumentarono sempre più, arrivando ad arrecare danni alle persone del villaggio che a loro volta si vendicavano creando vere e proprie faide. Il culmine del degrado si toccò nell’inverno in cui il sindaco

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annunciò l’ordinanza che vietava qualunque critica nei suoi confronti. Questa decisione fu presa dal sindaco dopo essere stato criticato sia dal parroco sia da una piccola frangia di suoi seguaci. In occasione del suo cinquantottesimo compleanno, aveva fatto proiettare sul muro del campanile della chiesa un video che raffigurava una donna mentre si esibiva in uno striptease. Il paese si spezzò in due tronconi: chi sosteneva la linea rigida del sindaco e chi invece voleva trovare il modo di cacciarlo dalla vita politica e non solo. Ma a bloccare ogni forma eversiva fu la festa di mezza Quaresima. Quando giunse il sabato delle palme, verso sera, Filippo fu trovato disteso a terra in mezzo al suo campo. Morto. Fu il primo di una lunga serie.

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7 Quando Filippo, otto anni prima, salutò il suo amico non avrebbe certo sospettato che l’avrebbe raggiunto. Peccato, però, che non si sarebbero potuti incontrare. Appena arrivato a Fracasso, aveva spedito una lettera ad Augusto in cui aveva scritto a chiare lettere tutto il suo amore nei suoi confronti. Continuarono una fitta corrispondenza nella quale Filippo raccontò anche l’avvento di quell’uomo che stava arrecando danni in quel luogo. Poi, per un lungo periodo, Augusto non ricevette più nulla e si allarmò. A Filippo quel paese piacque. Nessuno pretendeva nulla in più del possibile. Si era fatto qualche amico con cui condivideva molte serate di svago e aveva conosciuto alcune signore a cui piaceva lasciarsi accarezzare le proprie “cicce”. Filippo era un bravo amante. A volte, mentre tornava a casa un po’ intorpidito dal vino, si abbandonava a qualche ricordo; ma Filippo non era tipo da crogiolarsi nel passato e, quelle poche volte che lo faceva, era solo per regalarsi un sorriso pensando alla gioventù. Non aveva trovato nessun motivo per restare a Presto (il paese in cui era nato e cresciuto), ma ne aveva trovati molti per decidere di andarsene. Non aveva famiglia e non intendeva farsene una. Il suo carattere solitario e deciso gli precludeva rapporti troppo intimi e duraturi. Era una persona molto sensibile e anche restia ad aprirsi confidando ad altri i suoi

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sentimenti e le sue paure. Capitò pochi mesi prima dalla sua partenza che, in una sera dove entrambi non avevano bevuto molto, Filippo confidò ad Augusto il suo malessere per la vita e la sua insoddisfazione per non riuscire a interpretare come voleva la propria esistenza. Dopo la sua partenza, almeno in un primo tempo, Filippo lasciò un enorme vuoto nella vita di Augusto, che si manteneva sempre informato sugli accadimenti di quel luogo. Quando venne a conoscenza dello sbarco di quell’uomo sull’isola, Augusto si informò su tutte le vicende giudiziarie di Marco Giuliani. Appena seppe del decesso del suo amico, chiese al suo superiore di essere mandato sul posto per fare qualche accertamento. Gli fu consentito.

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8 Augusto, entrando nella locanda, si scruta attorno. C’è molta gente: visi seri, tirati e induriti. Augusto si siede al tavolino libero indicatogli dal sindaco. Si avvicina poco dopo la cameriera, una ragazza scarna dal viso spigoloso, per prendere l’ordinazione. Quello che Augusto sta vedendo è solo il retrogusto di una bottiglia andata a male, nulla di questo posto gli sembra profumare di vita; tutto è spento e mortificato. I locandieri, incuriositi e stupiti dall’ospite inatteso, si sono tutti avvicinati al sindaco, creando una piccola folla attorno al tavolo. «Allora, mio caro signore, ancora non ci ha detto il motivo della sua visita. Che cosa vi ha portato nel nostro umile paese?». «Accertamenti, voglio capire cosa sta realmente accadendo in questo posto. Vengo dalla capitale. Ci è giunta la notizia della vostra sfortuna. Sono qui per cercare di porvi rimedio, almeno per quello che mi è consentito». La cameriera, interrompendo la conversazione, posa sul tavolo una bottiglia d’acqua e un bicchiere di rum per il sindaco. «Spero siano solo delle convergenze parallele; in questo paese certo le cose non vanno per nulla bene, ma stiamo cercando di riportare l’ordine» dice brusco il sindaco. Augusto si versa nel bicchiere un po’ d’acqua e la beve con

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calma. «Abbiamo saputo, i miei colleghi e io, che lo scorso mese sono morte altre tre persone. Si dice, mi riferisco a voci che ci giungono da persone del posto, che c’è stata una certa libertà da parte vostra su questioni di ordine pubblico». Interviene, in risposta a queste accuse, un uomo che è in piedi alle spalle del sindaco. «Chi è lei precisamente? E di cosa ci sta accusando, precisamente?». La sua voce è tesa e retta, come un cobra pronto all’assalto. «Statevene tranquilli, le cose verranno a galla. Se non avete di che preoccuparvi, non preoccupatevi. Rimarrò solo pochi giorni. Se collaborate non ci saranno problemi. Sappiamo dove si nasconde il male di questo paese. Sono qui solo per accertamenti». Detto ciò Augusto fa per alzarsi, ma la mano del sindaco lo trattiene con fermezza. Augusto lo guarda negli occhi, con altrettanta severità, poi, scostandogli la mano, si alza ed esce dal locale. Appena lo straniero esce, Antonio si rivolge al sindaco chiedendogli cosa pensa di fare con quell’uomo. «Niente, per ora niente e poi, hai sentito, non è qui per arrestare nessuno, stiamo a vedere… ma non c’è nulla da temere, quell’uomo è solo un acuto ottuso. Di cosa vorrebbero… accusarci?». Antonio non aggiunge altro alla conversazione con il sindaco, ma nella sua mente riaffiorano i ricordi della scomparsa del vecchio sindaco. Ormai sono passati due anni, ma proprio quello può essere il nesso con l’arrivo di quel presunto poliziotto. FINE ANTEPRIMACONTINUA...