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I NIZIATIVA 5 APRILE 2014 “I O SONO DI BUONA SALUTE COME SPERO DI VOI E DI TUTTI …” Classi quinte di scuola primaria dell’IC Darfo 2 SOMMARIO INIZIATIVA A ROVATO IL TEMPO, LA GUERRA DI PIE- RO, MONUMENTO AI CADUTI (CLASSE GORZONE) LA DISERZIONE, I SOLDATI E I COLONNELLI, MONUMENTO AI CADUTI (CLASSE ANGOLO) MONUMENTO AI SUOI CADU- TI, TANTE VOCI CONTRO LA GUERRA, IL MILITE IGNOTO, GIROTONDO (CLASSE ANGO- NE) ALLE FRONDE DEI SALICI, AD UN COMPAGNO, LA RISPOSTA SOFFIA NEL VENTO, IL MONU- MENTO (CLASSE BOARIO) MONUMENTO AI CADUTI, TRE COLORI, LADDORMEN- TATO NELLA VALLE (CLASSE ERBANNO) MONUMENTO AI CADUTI, SCOPPIERÀ LA PACE, FUOCO E MITRAGLIATRICI (CLASSE MONTECCHIO) n. 4 - Marzo/Aprile 2014 L L E E NOSTRE NOSTRE MONTAGNE MONTAGNE RACCONTANO RACCONTANO LA LA G G RANDE RANDE G G UERRA UERRA PAGINA 1 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014 http://montagneraccontano.wordpress.com/

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INIZIATIVA 5 APRILE 2014 “IO SONO DI BUONA SALUTE COME SPERO DI VOI E DI TUTTI…”

Classi quinte di scuola primaria dell’IC Darfo 2

SOMMARIO

INIZIATIVA A ROVATO

IL TEMPO, LA GUERRA DI PIE-

RO, MONUMENTO AI CADUTI

(CLASSE GORZONE)

LA DISERZIONE, I SOLDATI E I

COLONNELLI, MONUMENTO

AI CADUTI (CLASSE ANGOLO)

MONUMENTO AI SUOI CADU-

TI, TANTE VOCI CONTRO LA

GUERRA, IL MILITE IGNOTO,

GIROTONDO (CLASSE ANGO-

NE)

ALLE FRONDE DEI SALICI, AD

UN COMPAGNO, LA RISPOSTA

SOFFIA NEL VENTO, IL MONU-

MENTO (CLASSE BOARIO)

MONUMENTO AI CADUTI,

TRE COLORI, L’ADDORMEN-

TATO NELLA VALLE (CLASSE

ERBANNO)

MONUMENTO AI CADUTI,

SCOPPIERÀ LA PACE, FUOCO

E MITRAGLIATRICI (CLASSE

MONTECCHIO)

n. 4 - Marzo/Aprile 2014

LLEE NOSTRENOSTRE MONTAGNEMONTAGNE RACCONTANORACCONTANO LALA GGRANDERANDE GGUERRAUERRA

PAGINA 1 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

http://montagneraccontano.wordpress.com/

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PAGINA 2 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

“Io sono di buona salute come spero di voi e di tutti” (Rovato 5 Aprile 2014)

Sabato 5 aprile 2014 siamo andati alla scuola primaria di Rovato per presentare il nostro progetto agli alunni della scuola primaria Don Milani di Rovato e per incontrare il Gruppo di lavoro del Corso di Avvia-mento alla Ricerca Storica di Rovato diretto da Don Donni. L’iniziativa ha come titolo “Io sono di buona salu-te come spero anche di voi e di tutti” perché centrale nel nostro lavoro è stato questo prezioso manuale cura-to dal dott. Francesco Zeziola che con tenacia ha saputo cogliere il valore del lavoro di trascrizione porta-to a termine dal sig. Bruno Poli Imitatori. Noi alunni abbiamo presentato il lavoro affrontato con il progetto “Le nostre montagne raccontano la grande guerra” descrivendo le attività che ci hanno visto coinvolti in prima persona, partendo dal soggiorno in alta Valle Camonica sui luoghi della memoria, i canti degli alpini, il la-voro sulle lettere dal fronte con la selezione dei materiali delle lettere di risposta con la ricostruzione della vita del soldato, la pubblicazione del giornalino bimestrale, il calendario e il lavoro sulla poesia come grido di pace. L’accoglienza da parte della scuola di Rovato è stata incredibile, gli alunni hanno presentato il loro lavoro che ha riguardato la loro scuola, perché all’ingresso c’è un insolito monumento ai caduti, le pareti so-no costituite dalle lapidi che ricordano i caduti delle guerre: si ha la sensazione di entrare in un sacrario. Nell’aula Magna ci sono poi dei quadri molto importanti che riguardano la guerra.

Il Tempo di Giulio Barni (1916) Se il tempo diventa sereno il 10 faremo l'azione se il tempo diventa sereno... Ed i soldati scrutarono le stelle e il firmamento, pesarono respirando il fremito del vento. Ma il 9 si vide splendere un cerchio intorno alla luna la luna era velata d'un velo nebuloso. I soldati e gli ufficiali che stavan da 30 giorni in attesa dell'azione si guardarono l'un l'altro si sarebbero baciati. All'alba del 10 pioveva.

“Il tempo” di Giulio Barni (classe 5^ Gorzone)

Arianna, Elena, Daniele, Nicola, Bonela, Paola, Martina, Valeria, Andrea, Marco, Giulia

Questa poesia scritta da Giulio Barni ci fa capire come erano in ansia i sol-dati quando dovevano combattere: scrutavano il cielo per cogliere ogni cambiamento del tempo. Avrebbero dovuto compie-re l’azione ma, fortunata-mente, “… All’alba del 10 pioveva”. Noi a fatica ab-biamo colto il significato di queste parole perché non sappiamo cosa voglia dire vivere nell’angoscia e nel terrore della guerra. Giulio Barni non fu un poe-ta conosciuto; durante la guerra scrisse delle poesie in cui esprimeva le sue

emozioni e i suoi stati d’animo in quei difficili e terribili momenti.

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PAGINA 3 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

La guerra di Piero Dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma son mille papaveri rossi. Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente. Così dicevi ed era inverno e come gli altri verso l'inferno te ne vai triste come chi deve il vento ti sputa in faccia la neve. Fermati Piero, fermati adesso lascia che il vento ti passi un po' addosso dei morti in battaglia ti porti la voce chi diede la vita ebbe in cambio una croce. Ma tu no lo udisti e il tempo passava con le stagioni a passo di giava ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di primavera. E mentre marciavi con l'anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore. Sparagli Piero , sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra a coprire il suo sangue.

E se gli sparo in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire ma il tempo a me resterà per vedere vedere gli occhi di un uomo che muore. E mentre gli usi questa premura quello si volta , ti vede e ha paura ed imbracciata l'artiglieria non ti ricambia la cortesia. Cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che il tempo non ti sarebbe bastato a chiedere perdono per ogni peccato; cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno e non ci sarebbe stato un ritorno. Ninetta mia crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio Ninetta bella dritto all'inferno avrei preferito andarci in inverno. E mentre il grano ti stava a sentire dentro alle mani stringevi un fucile dentro alla bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole. Dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi.

E’ il titolo di questa fa-mosa canzone contro la

guerra, del cantautore italiano Fabrizio De An-drè. Ha come tema la guerra e il protagonista è un soldato di nome Piero. Le descrizioni sono tal-mente chiare e forti nel testo che sembra di esse-re lì, in quel luogo e in quel momento, e di assiste-re alla scena. Nelle varie strofe si alternano: ri-flessioni pacifiste contro la guerra, inviti del nar-ratore affinché il soldato agisca e narrazione della vicenda. La canzone inizia dicendo che il soldato Piero si trova sepolto in un campo di gra-no dove, sul bordo dei fossi, crescono mille papa-veri rossi. Nel torrente vorrebbe vedere i pesci argentati anziché i cadaveri dei soldati trascinati

dalle acque. Durante l’inverno, in pessime condizioni atmosferiche (freddo, vento, neve), deve andare verso l’ “inferno”, inteso come la “guerra”. L’autore incita Piero a fermarsi e a riflettere sulla crudeltà della guer-ra, in cui tanti soldati in battaglia hanno dato la vita in cambio di una croce. In una giornata di primavera, dopo un lunghissimo cammino iniziato in inverno, il soldato Piero oltrepassa il confine che divide due nazio-ni, portandosi sulle spalle la fatica e l’angoscia della guerra. Mentre Piero marcia, vede in fondo alla val-le un uomo, anche lui obbligato a combattere, che indossa una divisa diversa: è il nemico. Il narratore incita Piero a sparargli fino a quando non lo vede morto. Mentre Piero pensa se sparare al cuore o alla testa, il nemico si volta, lo vede, ha paura e, non pensandoci tanto, gli spara. Piero cade a terra e subito muore senza neanche avere il tempo di chiedere perdono per i suoi peccati. Si rende conto che la sua vita finisce in quel giorno e non avrebbe più avuto l’occasione di viverla.

è un cantautore italia-no molto conosciuto; nato a Genova il 18/02/1940 e morto l’11/01/1999 a 59 anni a causa di un male incurabile. Questa famosa can-zone fu incisa nel lu-glio del 1964. Nelle nostre ricerche abbiamo trovato che Fabrizio De Andrè per questa canzone aveva avuto l’ispira-zione dai racconti del-lo zio Francesco, tor-nato vivo dai campi di concentramento.

“La guerra di Piero” di Francesco de Andrè (classe 5^ Gorzone)

“La guerra di Piero”

Fabrizio De Andrè

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PAGINA 4 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Nei suoi ultimi momenti il pensiero di Piero va alla sua amata Ninetta; aggiunge che avrebbe preferito mo-rire in inverno, stagione morta, piuttosto che a maggio quando la natura fiorisce e si apre alla vita. Solo la natura poteva sentire le parole di una persona ormai morta che stringeva ancora il fucile fra le mani. La canzone si chiude con l’immagine di un campo di grano e Piero che riposa all’ombra dei fossi circondato da mille papaveri rossi, così come era iniziata. La canzone ha la struttura di una “poesia”. Nella quattordicesi-ma strofa prevale la rima baciata e sono pochi i versi che presentano la rima alternata.

Dal libro “STORIA DI GORZONE E DEL SUO CASTELLO” di G.M. Bonomelli (1972) “… Alla fine del 1968 la popolazione, riunitasi nella sala parrocchiale, nominò un comitato per la pro-grammazione ed erezione di un monumento ai Cadu-ti, opera da tempo auspicata, anche perché la lapi-de sul muro della vecchia scuola recava i nomi dei soli Caduti nella guerra 1915-18. Il comitato … lan-ciò una sottoscrizione alla quale aderirono genero-samente quasi tutte le famiglie. L’opera, realizzata dallo scultore Alessandro Turelli e da Gioacchino Marini, artista dello scalpello, venne a costare L. 2.500.000, di cui due milioni offerti dalla popolazio-ne. Contribuirono inoltre alla realizzazione dell’ope-ra: l’Amministrazione comunale, la Comunità Monta-na di Valle Canonica e l’Amministrazione provinciale. Il monumento fu inaugurato la domenica del 9 no-vembre 1969. Intervennero alla cerimonia autorità civili, militari e religiose, le scolaresche con i loro inse-gnanti e la popolazione tutta. Madrina del monumento la N.D. Paola Alberzoni. …”“… Il tributo di sangue e di sofferenza dato da Gorzone per la prima guerra mondiale fu molto pesante: ben tredici furono i cadu-ti; numerosi i mutilati e altrettanto numerosi i reduci minati nel fisico. Basti pensare che il comune, allora, con-tava sì e no 600 anime. “ I Caduti di Gorzone nella prima guerra mondiale furono: Bertolini Giacomo di Giacomo, soldato 5° reggimento alpini, nato il 24 luglio 1884 a Gorzone, disperso il 15 giugno 1917 sul monte Ortigara in combattimento. Cominelli Eugenio Fermo di Antonio, soldato 152° reggimento fanteria nato l’8 agosto 1893 a Gorzone, morto il 3 settembre 1917 sull’Altipiano della Bainsizza per ferite in combattimento. Cominelli Giacomo di Francesco, soldato 3° reggimento artiglieria da campagna, nato il 15 marzo 1897 a Gorzone disperso il 24 ottobre1917 in combattimento nel ripiegamento del Piave. Cominelli Giuseppe di Oberto, sergente 11° reparto d’assalto, nato il 12 luglio 1894 a Gorzone, morto il 17 giugno1918 sul Carso per ferite riportate in combattimento. Cominelli Oberto di Bortolo, soldato 8° reggimento fanteria, nato il 17 novembre 1882 a Gorzone, morto il 24 settembre 1918 a Gallarate per malattia. Ghirardelli Ambrogio di Giovan Maria, soldato 227° reggimento fanteria, nato il 5 settembre 1897 a Gor-zone, morto il 3 aprile 1918 in prigionia per malattia. Ghirardelli Vittorio (mancano i dati relativi sull’ “Albo d’Oro” dei militari caduti nella grande guerra ) Mercanti Costantino di Isidoro, caporale maggiore 77° reggimento fanteria, nato il 20 gennaio 1891 a Gorzone, morto il 17 agosto sul Sabotino per ferite riportate in combattimento. Mercanti Giuseppe di Giovanni, soldato 1° reggimento genio, nato il 19 marzo 1887 a Gorzone, morto il 26 settembre 1918 a Pavia per malattia. Minini Ambrogio di Pio, soldato 5° reggimento alpini, nato il 27 luglio a Gorzone, morto il 3 aprile 1916 sul Monte Tonale in seguito a caduta di valanga. Minini Costante di Giuseppe, soldato 5° reggimento alpini, nato il14 giugno 1890 a Gorzone, morto il 7 giugno 1916 nella 18^ sezione sanità per ferite riportate in combattimento. Minini Luigi di Domenico, soldato 5° reggimento alpini, nato il 17 aprile 1894 a Gorzone, morto il 13 giu-gno 1918 sul campo per ferite riportate in combattimento. Minini Pietro di Giuseppe, soldato 114° reggimento fanteria, nato il 4 aprile 1888 a Gorzone, morto il 19 giugno 1916 nell’ospedale da campo n: 029 per ferite riportate in combattimento. Il monumento ai Caduti è scolpito nella “Pietra Simona”, pietra locale estratta fino agli anni Settanta dalle cave situate sulla Collina di Luine a Gorzone.

Monumento ai Caduti di Gorzone

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PAGINA 5 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Abbiamo affrontato in classe il tema della diserzione. Il disertore è colui che, pur chiamato alle armi, si ri-fiuta di partire per la guerra o abbandona la battaglia. Non entriamo in merito alle valutazioni politiche e religiose o personali che portano a questa decisione ma vogliamo dare voce a coloro che hanno detto di no alla guerra , hanno rifiutato di obbedire ad ordini che ritenevano ingiusti per la propria coscienza mora-le e hanno disertato pur sapendo di subire l’onta del disonore essendo spesso considerati traditori ed essen-do perseguiti come delinquenti. Abbiamo analizzato una canzone francese intitolata “Il disertore” e una poesia di Roberto Piumini intitolata i “Soldati e il colonnello”. Il disertore è una canzone francese conosciuta in tutto il mondo, scritta da Boris Vian nel 1954 e pubblicata il 27 maggio di quello stesso anno, giorno del-la disfatta della Francia nella Battaglia di Dien Bien Phu, che segna la fine della guerra in Indocina. La canzone è stata tradotta in più lingue, anche censurata è diventata una bandiera della lotta pacifista e nonostante sia collocata in un periodo storico e in un contesto di guerra particolare, può rispecchiare feno-meni tipici di tutti i conflitti in tutte le nazioni. Si tratta di una lettera che un soldato scrive al presidente della Repubblica al quale spiega perché, richiamato alle armi, si rifiuta di obbedire ; ribadisce che non se la sente di andare in battaglia perché non vuole ammazzare nessuno, la vita ha un valore inestimabile, e purtroppo la guerra gli ha già tolto i suoi affetti più cari rubandogli tutto il suo passato. Grida che diserte-rà e non solo, attraverserà tutto il suo Paese per urlare a tutto il popolo che la guerra, tutte le guerre, por-tano solo distruzione umana e materiale e che tutti devono rifiutare di obbedire all’ordine di uccidere il prossimo, sa che rischia comunque la vita perché i disertori vengono fucilati ma non intende desistere, lui non userà mai le armi e si lascerà ammazzare per manifestare il diritto di esprimere le proprie opinioni.

I no alla guerra e la diserzione (classe 5^ Angolo)

Alessandro, Alice, Andrea, Claudio, Desirée, Gianluca, Greta, Laura, Lorenzo C., Lorenzo M.,

Luca, Marco, Margherita, Nermin, Nicole, Silvia, Simone

Signor Presidente, le scrivo questa lettera che leggerà, forse, se il tempo lei avrà. Ho appena ricevuto le carte militari per partire in guerra questo mio giorno sulla terra. Signor Presidente, io non la voglio fare io non sono nato per ammazzar ogni soldato Non è per contrariarla, ma io le devo devo dire la decisione è presa io diserterò. Da quando sono nato, ho visto morir mio padre ho visto partire i miei fratelli e piangere i miei figli. Mia madre ha sofferto tanto, che è già nella tomba. le bombe più non sente nemmeno nella mente. Se mi inseguirete dite pure ai soldati che non porto mai armi e che potranno am-mazzarmi. Quand’ero prigioniero mi hanno rubato la moglie mi hanno rubato l’anima e tutto il mio passato.

Domani di buon’ ora io chiuderò la porta in faccia agli anni morti: e m’incamminerò. Mendicherò la mia vita sulle strade di Francia dalla Bretagna alla Provenza e griderò con potenza: rifiutate di obbedire, rifiutatevi di fare non andate in guerra, rifiutate di partire. Se bisogna offrire sangue allora date il vostro È lei il nostro capo

signor Presidente.

“Il Disertore” di Boris Vian

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PAGINA 6 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Molto spesso camminiamo per le vie e le piazze del nostro Paese e non ci accorgiamo di ciò che ci circonda. Tante volte siamo passati davanti al Monumento ai Caduti, ma non ci siamo mai fermati ad osservarne i particolari. Ed è proprio nel corso del lavoro sulla Guerra Bianca che abbiamo avu-to modo di riscoprirlo e capirne il significato. Il Monumento ai Caduti si trova nell’omonima piazzetta al centro del Paese. Non sappiamo di preciso quando fu eretto, ma possiamo azzar-dare un’ipotesi: molto probabilmente fu costruito dopo la Prima Guerra Mondiale come testimonia una vecchia fotografia che abbiamo trovato. Era molto diverso da quello che c’è oggi. Era costituito da una stele ret-tangolare e recava inciso solo il nome dei soldati caduti dal 1915 al 1918. Inoltre il retro del monumento era costituito da pietre sovrapposte quasi a ricordare una montagna. L’unico elemento comune ai due monu-menti sono le statue poste sulla cima. L’attuale Monumento ai Caduti è al centro di una piccola aiuola circolare con due bassi cipressi ai lati ed un terzo a destra del monumento, inoltre a sinistra è collocata una scultura che ricorda le vittime sul lavoro. L’aiuola è delimitata da un basso muretto chiuso davanti da una catena fissata a due paletti di metallo. Nel complesso il monumento è alto e maestoso. La base ha la forma di un parallelepipedo e riporta il nome dei caduti e dei dispersi durante la Seconda Guerra Mondiale e durante la lotta partigiana. Esso è sormontato da un altro parallelepipedo più piccolo con ai lati due colonne; al centro sono elencati i caduti della Prima Guerra Mondiale e quelli della Campagna d’Africa. In alto, all’interno di una cornice, vi è incisa questa frase “ Angolo ai suoi figli migliori”. Al di sopra sono collocate le statue in pietra di due persone che, secondo noi, rappresentano una donna ( lo si capisce dai capelli raccolti in una crocchia che era la pettinatura delle donne di quel tempo), che sorreg-ge un soldato sofferente o morente. Potrebbero essere una mamma che sorregge il proprio figlio. Abbiamo capito che il monumento è importante perché ci ricorda ciò che è avvenuto nel passato e soprattut-to ci ricorda che non dobbiamo commettere più gli stessi errori.

Salivano i soldati in una lunga fila, armati e allineati. Gridava il colonnello: "Andiamo alla battaglia! faremo un gran macello!" Pensavano i soldati alle mogli e ai figli: erano sconsolati. E tutti, lì per lì, si voltarono indietro: la marcia si invertì. "Tornate, traditori!" strillava il colonnello. "Tornate, malfattori!" L'esercito scendeva in una lunga fila, scendeva e sorrideva.

La poesia di Roberto Piumini racconta una vicenda di diserzione. Questa volta è tutto un plotone di soldati che non ubbidisce al proprio colonnel-lo. Questo li incita a fare un “macello” dei nemici. Ma anche i nemici hanno mogli, sorelle, madri e i soldati, pensando ai loro cari, capiscono tutta l’ingiustizia di quell’ordine: invertono la marcia e se ne vanno sorridendo, in quel sorriso ci sta tutto il loro no alla guerra e il sì alla vita e alla pace.

Angolo ai suoi figli migliori (classe 5^ Angolo)

“I soldati e il colonnello” di Roberto Piumini

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PAGINA 7 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Dal bollettino parrocchiale “Il monumento per i caduti” Forse è la volta buona. Il Gruppo Alpini di Angone coglie l’occasione per annunciare a tutte le famiglie della nostra comunità che il monumento a tutti i caduti di Angone, è in cantiere. Si tratta di un masso granitico dell’Adamello che

dovrà essere lavorato e scolpito dal signor Ercoli di Bienno, insigne mae-stro di scultura. Le famiglie angonesi, interessate a ricordare i propri ca-duti sul monumento, sono pregate di segnalare per tempo i dati anagra-fici dei propri cari. Riguardo all’inaugurazione, si prevede il periodo di fine maggio. Domenica 13 Settembre 1981 “Inaugurazione del monumento” Dalle parole ai progetti, dai progetti ai fatti. Per iniziativa del gruppo Alpini di Angone è stato possibile realizzare e inaugurare il monumento ai caduti, domenica 13 settembre 1981. Da tempo era nelle intenzioni della popolazione di Angone e, finalmente, con la collaborazione della comunità e di altri enti, l’opera si è potuta concretizzare. Manca ancora la fusione dell’aquila in bronzo, il cui mo-dello lo si può ammirare alla sommità del monumento. All’inaugurazione erano presenti le autorità governative, provinciali, co-muni locali e i rappresentanti di tutte le armi. Era inoltre presente lo scultore Sig.Ercoli. La S.Messa è stata celebrata sul piazzale della chiesa dal delegato del vescovo Mons. Angelo Petrobelli e allietata dai canti del coro Alpini di Darfo e dalla fanfara dei bersaglieri di Novara.

II GUERRA MONDIALE

Cristini Mario – classe 1914 disperso nell’oceano Atlantico nel settembre ‘41

Cristini Arturo – classe 1918 Disperso in Russia

Filippi Pioppi Giacomo – classe 1923 Morto in Germania in campo di concentramento

Pedersoli Bortolo – classe 1922 Disperso in Russia

Pedersoli Raffaele – classe 1923 Morto in Germania in campo di concentramento

Saviori Andrea – classe 1915 Caduto sul fronte Greco il 14-3-1941

Angone ai suoi caduti: ieri, oggi, domani (classe 5^ Angone)

Alexander, Alice, Andrea, Cecilia, Chiara, Deiana, Daniele, Elisa N., Elisa S., Ezana, Giorgia,

Melany, Nour, Sara, Simone, Stefano

Questi sono i nostri caduti scolpiti sul monumento: I GUERRA MONDIALE 1.Cristini Giuseppe – classe 1894 caduto sull’ Ortigara nel 1917

2. Pedersoli Maffeo – classe 1980 caduto sul Monte Colombano il 10-7-1916

3. Pedersoli Raffaele – classe 1898 caduto a Bassano il 28-12-1917

4.Teachi Edoardo – classe 1897 caduto sul Carso il 23-5-1917

5. Treachi Giacomo – classe 1892 caduto in Libia

Cristini Valentino – classe 1912 caduto a Mogadiscio il 21-11-1935

26 febbraio 2014 : “Davanti al monumento” Tra la chiesa e la strada principale del paese, in mezzo ad un praticello si trova il nostro monumento. E’ un grosso e alto blocco di granito, nella cui parte superiore c’è scolpita la figura di un soldato con in te-sta un elmetto ed un fucile al fianco. Sulla punta è posata un’aquila nera con le ali ed il becco aperti : sembra voglia proteggere e difendere i suoi soldati. Sotto sono scritti i nomi di dodici caduti della prima e della seconda guerra mondiale. Sul pavimento antistante il monumento, sono fissati due proiettili. A destra, appese ad un’asta sventolano la bandiera italiana e quella della pace.

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PAGINA 8 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Poco distante, sulla parete laterale della chiesa, si nota il vecchio monumento: una lapide con cinque fotografie e due croci che ac-compagnano il nome di sette soldati, deceduti in guerra su vari fronti. E’ sostenuta da una base decorata in pietra Simona. Dalla finestra della nostra aula, vediamo questi “monumenti-ricordo”; ora che li conosciamo meglio, guardandoli dall’alto, pos-siamo salutare ogni giorno i caduti delle due guerre mondiali di Angone. Marzo 2014… In una teca trasparente scavata alla base del monumento, sono state chiuse tre ampolle contenen-ti l’acqua del fiume Don, la sab-bia del Don e la terra di Niko-lajewka (oggi Livenka).

Le ha portate un ragazzo di Angone al ritorno dal suo pellegrinaggio in terra di Russia “NON PIU’ LACRIME DI GUERRA”. Un bel dono per i soldati caduti nella “campagna di Russia”. Monumento … memoria storica I monumenti sono la “memoria” di ogni paese. Sono opere create dall’uomo allo scopo di ricordare i caduti delle guerre e per conservarne in futuro il ri-cordo. Costituiscono il centro focale del culto dei morti, in quanto servono a commemorare il loro sacrificio. Il nostro monumento ci ha permesso di sapere che gli italiani hanno combattuto in due importanti guerre e purtroppo tanti soldati hanno perso la vita. Così sarà sempre per chi lo leggerà.

Fratello senza nome e senza volto da una verde trincea t'han dissepolto. Dormivi un sonno quieto di bambino, un colpo avea distrutto il tuo piastrino. Eri solo un fante della guerra, muto perché ti imbavagliò la terra.

Tante voci contro la guerra

La tomba del Milite Ignoto contiene i resti di un militare morto in guer-ra, il cui corpo non è mai stato identificato e che si pensa non potrà mai essere riconosciuto. E' una tomba simbolica che rappresenta tutti coloro che sono morti in un conflitto e che non sono mai stati identificati. Nel 1920 venne deciso di creare la tomba del Milite Ignoto nel com-plesso monumentale del Vittoriano in piazza Venezia a Roma. Sotto la statua della dea Roma, sarebbe stata tumulata la salma di un soldato italiano sconosciuto, selezionata tra quelle dei caduti della Prima guer-ra mondiale. La scelta venne affidata a Maria Bergamas, madre del volontario irredento Antonio Bergamas che aveva disertato dall'esercito austriaco per unirsi a quello italiano ed era caduto in combattimento senza che il suo corpo fosse ritrovato. Il 26 ottobre 1921, nella basilica di Aquileia (Udine), Maria scelse il corpo di un soldato tra undici altre salme di caduti non identificabili, raccolti in diverse aree del fronte. La donna venne posta di fronte a undici bare allineate, e dopo essere passata davanti alle prime, non riuscì a proseguire, gridando il nome del figlio si accasciò al suolo davanti a una bara, che venne scelta. Quel soldato per ogni mamma è il figlio che non è più tornato dalla guerra.

Ora dormi in un'urna di granito, sempre di lauro fresco rinverdito. E le madri che non han più veduto tornare il figlio come te caduto, né san dove l'abbian sepolto, ti chiamano e rimangono in ascolto. Oh, se mai la voce ti donasse Iddio per dire, o madre, il figliol tuo son io.

“La preghiera del milite ignoto” di Renzo Pezzani (1898 – 1951)

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PAGINA 9 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

E' una filastrocca nella quale il cantante suona la chitarra accompagnato da un coro di bambini che ri-spondono alle sue domande. In un mondo sconvolto dalle bombe e dai lutti non c'è più posto per far gio-care i bambini che alla fine si devono rassegnare a giocare essi stessi alla guerra, continuando il loro gi-rotondo. Il girotondo è il gioco infantile di tutti; la guerra è il “gioco” dei potenti che distrugge ogni cosa. Questo “girotondo” è il canto della più grande tragedia che l'uomo è in grado di scatenare:a causa della guerra muoiono tutti e alla fine al posto dei prati per i giochi rimangono solo buche! La parte che noi pre-feriamo della canzone è questa: « Ci penseranno gli uomini, le bestie, i fiori, i boschi e le stagioni con i mille colori », perché ci fa pensare alla bellezza della natura e della pace. Tutto questo purtroppo vie-ne cancellato dall'orrore delle bombe e della guerra. La canzone diventò uno dei manifesti contro la guerra ed ebbe molto successo.

Girotondo di Fabrizio De Andre' (1940 – 1999) famoso cantautore italiano

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PAGINA 10 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell'ultima c'erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.

La poesia è stata scritta alla vigilia della seconda guerra mondiale: per il poeta nessuna guerra potrà mai es-sere giusta. Quando finisce una guerra, infatti, i danni non riguardano solo gli edifici distrutti, ma è soprattutto la popo-lazione a pagarne le spese ed a soffrire, costretta a combattere e a morire per interes-si non suoi.

La risposta soffia nel vento - Bowlin in the Wind (Bob Dylan)

Alle Fronde dei salici (classe 5^ Boario)

Andrea, Angelica, Dastion, Giulia, Julet, Kledi, Laura, Nicol

E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, tra i morti abbandonati nelle piazze sull'erba dura di ghiaccio, al lamento d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese: oscillavano lievi al triste vento. La poesia è stata scritta durante la seconda guerra mondiale. All’inizio l’autore si chiede come i poeti, lui compreso, avrebbero potuto com-porre poesie, con l’ occupazione straniera che pesava sull’animo, in mezzo ai morti lasciati nelle piazze, sentendo i lamenti dei bambini, vittime innocenti e lo straziante grido della madre che correva verso il figlio ucciso e appeso al palo del telegrafo. Perciò anche le cetre dei poeti, simbolo della loro poesia, erano appese ai salici, come quelle degli Ebrei, durante la schiavitù di Babilonia, in segno di lutto.

Quante strade deve percorrere un uomo prima che tu possa chiamarlo uomo? E quanti mari deve navigare una bianca colomba prima di dormire nella sabbia? E quante volte devono volare le palle di cannone prima che siano per sempre vietate? La risposta, amico mio, soffia nel vento. La risposta soffia nel vento. E per quanti anni può esistere una montagna prima di essere erosa dal mare? E per quanti anni possono gli uomini esistere prima di essere lasciati liberi?

E quante volte può un uomo volgere lo sguardo e fingere di non vedere? La risposta, amico mio, soffia nel vento. La risposta soffia nel vento. E quante volte deve un uomo guardare in alto prima di poter vedere il cielo? E quante orecchie deve avere un uomo prima di poter sentire gli altri che piangono? E quante morti ci vorranno prima che lui sappia che troppi sono morti? La risposta, amico mio, soffia nel vento. La risposta soffia nel vento.

B. Brecht condanna la guerra perché porta morte, fame, dolore sia ai vinti sia ai popoli vincitori: è triste pensare che è proprio la gente più povera quella che subisce le conseguenze più gravi.

“La guerra che verrà” di Bertolt Brecht (1898 - 1956) drammaturgo, poeta tedesco.

“Alle Fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo

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PAGINA 11 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

Questa canzone famosa è stata scritta nel 1962 da Bob Dylan, un cantautore americano. E’ composta da tre strofe, all’interno delle quali sono presenti delle domande sulla condizione dell’uomo. Nella prima strofa si parla dell’uomo che vaga senza meta, non riesce a trovare pace e a imparare a non usare le armi. Nella seconda, viene trattato l’argomento dell’indifferenza nei confronti delle sofferenze inflitte agli innocenti. Nella terza strofa vi è una riflessione sulla guerra che distrugge tutto; l’uomo perciò non si sentirà libero finché non capirà questo. Il ritornello è la risposta a queste domande: l’uomo si sente impotente davanti a questi problemi. Vi è un segno di ottimismo poiché una risposta c’è e

si trova nel vento, aspetta solo di essere colta.

Se dovrai scrivere alla mia casa, Dio salvi mia madre e mio padre, la tua lettera sarà creduta mia e sarà benvenuta. Così la morte entrerà e il fratellino la festeggerà. Non dire alla povera mamma che io sia morto solo. Dille che il suo figliolo più grande, è morto con tanta carne cristiana intorno. Se dovrai scrivere alla mia casa, Dio salvi mia madre e mio padre, non vorranno sapere se sono morto da forte. Vorranno sapere se la morte sia scesa improvvisamente. Dì loro che la mia fronte è stata bruciata là dove mi baciavano, e che fu lieve il colpo, che mi parve fosse il bacio di tutte le sere. Dì loro che avevo goduto tanto prima di partire, che non c'era segreto sconosciuto che mi restasse a scoprire; che avevo bevuto, bevuto tanta acqua limpida, tanta, e che avevo mangiato con letizia,

Questa poesia fa parte di una raccolta intitolata “Poesie grigioverdi”: esse si ispirano all’esperienza vis-suta da Corrado Alvaro che ha combattuto nella prima guerra mondiale. Per lui la guerra rappresenta soprat-tutto il distacco doloroso dalla famiglia e dalla casa. Il poeta dice ad un commilitone di scrivere una lettera ai suoi familiari, quando sarà morto. Essi, nel riceverla, saranno contenti credendola del figlio e festeggeranno, ancora all’oscuro di ciò che gli è successo. L’amico do-vrà spiegare che il loro caro non è morto solo, ma insie-me con tanti altri soldati. Essi non vorranno sapere se è morto coraggiosamente, ma se ha sofferto: perciò dirà loro che è stato colpito in fronte con un colpo leggero proprio come il bacio che riceveva tutte le sere dalla mamma. Alla fine, vengono ripetuti i primi versi: l’arri-

vo della lettera, portatrice di morte, sarà accolto con gioia dai familiari ignari.

Che mi seppellirono con tanta tanta carne di madri in compagnia sotto un bosco d'ulivi che non intristiscono mai; che c'è vicina una via ove passano i vivi cantando con allegria. Se dovrai scrivere alla mia casa, Dio salvi mia madre e mio padre, la tua lettera sarà creduta mia e sarà benvenuta. Così la morte entrerà e il fratellino la festeggerà.

che andavo incontro al mio fato quasi a cogliere una primizia per addolcire il palato. Dì loro che c'era gran sole pel campo, e tanto grano che mi pareva il mio piano; che c'era tante cicale che cantavano; e a mezzo giorno pareva che noi stessimo a falciare, con gioia, gli uomini intorno. Dì loro che dopo la morte è passato un gran carro tutto quanto per me; che un uomo, alzando il mio forte petto, avea detto: Non c'è uomo più bello preso dalla morte.

“Ad un compagno” di Corrado Alvaro

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PAGINA 12 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Il monumento ai caduti si racconta … noi ascoltiamo (classe 5^ Erbanno) Alessia, Alice, Alina, Andrea, Angela, Attilio, Camilla, Davide, Elia, Elisa, Francesca,

Francesco, Gabriele, Giacomo, Lorenzo, Luca, Manuel, Marta, Paolo B., Paolo C., Valentina

Sono ormai qui da quarant'anni, che non sono pochi. Esattamente dal 1973. Intendo qui nel cortile della scuola di Erbanno. Prima ero parte di una montagna che domina la valle. Pensavo che, come altre pietre qui intorno, sarei diventato l'ornamento del portone di un famoso palazzo, dove tutti avrebbero guardato le sfumature rossastre e viola della mia pietra simona come fossi un principe. Infatti sono fatto di una resistente roccia molto diffusa in Valcamonica, usata per costruire portali, camini, scudi araldici e finestre. Le cose però non sono andate proprio così: un gruppo di scalpellini di Boario mi ha trasformato in un monumento ai ca-duti delle guerre e lo scultore A. Turelli ha scolpito in me una fiera Nike alata, che era una dea figlia di un titano e di una ninfa. Lei guarda il cielo e sembra chiedere a Dio di accogliere i due soldati ai suoi piedi. Quello di destra ha lo sguardo rivolto verso il basso, forse osserva per l'ultima volta dei fiori ed è stanco di guerra, quello di sinistra verso l'alto e magari riflette su come l'uomo potrebbe imparare la pietà e a chiarirsi con le parole.Non mi dispiace essere ciò che sono: sono simbolo e memo-ria e, attraverso me, nessuno potrà mai dimenticare le vittime delle due grandi guerre. Mi piace pensare di essere stato collocato nel cortile della scuola perchè è un luogo importante, dove i bambini vengono istruiti ed educati e dove tutti possono guardarmi con calma, anche se i bambini mi sembrano più attenti e meno frettolosi degli adulti. Ci sono delle lastre bianche sotto i soldati, che riportano i nomi dei caduti e dei dispersi delle due guerre. Sono tanti per un piccolo paese. Se avessi le braccia, però, mi piacerebbe scrivere di vita, non di morte. Son fatto di pietra, ma un cuore ce l'ho e infatti mi rattristo se i bambini che corrono cadono e si fanno male. Anch'io vorrei giocare perchè mi piacerebbe provare la sen-sazione di avere degli amici. Cresce del muschio freddo fra le mie pietre, fa il solletico a volte, e la mia base è riscaldata dalle foglie secche dell'autunno. Ci sono anche delle catene che mi fanno sembrare rinchiuso, ma sono lì per proteggermi e per dire a tutti che sono importante. D'estate divento rovente, d'inverno mi ricopre la brina. Mi è piaciuto a novembre ascoltarvi suonare il flauto per me; intanto guardavo dall'alto i fiori deposti ai miei piedi: un po' facevano starnutire, ma erano di compagnia la notte, quando non c'è nessuno aparte le stelle. Qualche giorno fa Elisa ed Elia mi hanno disegnato per il giornalino sco-lastico e mi sono sentito un pochino in imbarazzo, ma lusingato dall'inte-resse che ancora suscito. Son qui per questo, in fondo, per non essere dimenticato, e infatti nel fine settimana mi annoia il silenzio. Vi conosco da cinque anni, vi ho visti correre piccoli piccoli e, dopo un tempo che è pas-sato veloce, chiacchierare dietro di me di segreti che non si possono raccontare e di ragazze. E siccome nes-suno sa che ascolto, parlate davanti a me senza timore; così mi sento parte della vostra vita e, attraverso voi, della vita di Erbanno.

Mezza luna cilentana nebbia padana soldatini non ne abbiamo più; tutti pronti sull'attenti partono i fanti colorati con le giacche blu. Quelli nella nebbia hanno una bandiera verde ricorda che la nostra tre colori ha.

La battaglia è già iniziata buona giornata cannoncini con le bocche in su; partiremo noi da dietro con l'aiuto di San Pietro il destino poi ci guiderà. Quelli sul confine hanno una bandiera rossa ricorda che la nostra tre colori ha.

“Tre colori” di Tricarico

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PAGINA 13 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Rimbaud scrisse “Le dormeur du val” nel 1870, quando la Francia combatteva contro i prussiani e molti sol-dati erano morti. Questa poesia diventò negli anni molto conosciuta, così è stata più volte musicata da gran-di artisti francesi. L'abbiamo ascoltata, ma non ci è piaciuta molto, è pure in francese! Sembra che anche Fabrizio de Andrè si sia ispirato a quest'opera per scrivere la Guerra di Piero e questa canzone sì ci è piaciuta. Se vuoi apprezzare “L'addormentato nella valle”, devi leggere la poesia lenta-mente, perché è come se svelasse piano piano un segreto al lettore. Nella prima strofa Rimbaud descrive una bellissima valle, molto verde, dove un fiume dai riflessi argentei non solo scorre, ma canta, e dove ci sono il sole che risplende e un'imponente montagna. Questi versi hanno suscitato in noi stupore, ci sembrava un po' di essere in un paradiso sereno, e hanno creato un'atmosfera calma e rilassante. Poi ecco che il poeta presenta il protagonista della poesia: è un giovane soldato che dorme sdraiato nell'erba. Ha la bocca aperta, forse perché è stupito da tanta bellezza. Ci hanno colpito le parole delicate usate dallo scrittore per descrivere la scena, ma un attento lettore si chiede: perché il soldato è pallido? Non sta forse disteso al sole? Non è forse così accaldato da doversi bagnare la nuca per avere sollievo dall'afa? Che bell'immagi-ne: c'è molto sole e la luce piove… All'inizio della terza strofa il poeta ci ripete che il soldato dorme e sorri-de, ma ci fornisce anche un sorprendente dettaglio: sorride come un bambino malato. Noi ci siamo detti: i bambini malati non sorridono, anzi, fanno qualsiasi altra cosa, ma non questa! E poi, perché dovrebbe senti-re freddo sotto il sole? Un attimo prima aveva cercato sollievo nell'acqua del fiume, ora ha freddo e biso-gna che la natura lo culli. Tutto questo sembra molto tenero, ma strano... Abbiamo cominciato a sentirci un po' tristi. Nell'ultima strofa il poeta aggiunge che non sente più i profumi. Magari perché è addormentato, ci siamo detti. Se ne sta lì tranquillo, con la mano sul petto... Infatti dorme tranquillo, il poeta ce lo ripete ancora una volta, come a volerci convincere che va tutto bene. Ma il verso fnale ci svela verità: il soldato è morto. Ha due ferite rosse sul fianco. E' tutto finito. Secondo noi, sicuramente un'altra vittima innocente di una guerra.

È una gola di verzura dove il fiume canta impigliando follemente alle erbe stracci d'argento: dove il sole, dalla fiera montagna risplende: è una piccola valle che spumeggia di raggi. Un giovane soldato, bocca aperta, testa nuda, e la nuca bagnata nel fresco crescione azzurro, dorme; è disteso nell'erba, sotto la nuvola, pallido nel suo verde letto dove piove la luce. I piedi tra i gladioli, dorme. Sorridente come sorriderebbe un bimbo malato, fa un sonno. Oh natura, cullalo tiepidamente: ha freddo. I profumi non fanno più fremere la sua narice. Dorme nel sole, la mano sul suo petto tranquillo. Ha due rosse ferite sul fianco destro.

Soldatini di frontiera mille mamme aspettano cercate di non farvi fucilar; questa storia è stata scritta e già studiata pensavate di doverla ripassar? Quelli in cima al monte hanno una bandiera bianca ricorda che la nostra tre colori ha verde la speranza rosso il sangue di frontiera neve biancaneve i cuori abbraccerà; tre colori come i fiori non son per caso ta tata tata tata tata.

“Le dormeur du val” (L' addormentato nella valle) di Arthur Rimbaud, poeta francese (1854 - 1891)

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PAGINA 14 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Il Monumento ai Caduti di Montecchio si trova vicino alla nostra scuola, in una piazzetta racchiusa tra la Chiesa di Santa Maria Assunta, la scuola dell’infanzia, l’Oratorio dei Morti e il tratto di strada che giunge al ponte vecchio. In quest’area è vietato parcheggiare le macchine e, vista la vicinan-za delle scuole, è uno spazio pedonale. E’ protetto da una recinzione in fer-ro alta circa un metro, per l’esattezza 85 cm, con un perimetro di circa 16 m.; intorno ha una siepe di piante sempreverdi e fiori che arricchiscono la base del monumento, composta da due gradini, il primo alto 24 cm e di lato 2,20 m e il secondo alto 21 cm e di lato 1,80 m . Il monumento è a base quadrata, il basamento misura m. 2,20 per lato e ad ogni vertice è posizio-nato un proietto allungato alto circa 70 cm, che sottolinea la drammaticità della guerra. La forma del monumento salendo si assottiglia, mantenendo la base quadrata, e assumendo l’aspetto di obelisco. Nel nostro monumento possiamo individuare cinque sezioni: la prima è costituita dalla base e uguale da ogni lato; la seconda, in cui è evidente nella facciata dalla parte dell’oratorio dei Morti, il bassorilievo, lungo 79 cm e alto 41 cm, con i simboli della guerra: due fucili incrociati, un caschetto e un pugnale; la terza porzione, è costituita su ogni lato da una lapide in ricordo ai caduti della prima guerra mondiale, delle guerre del 35 e del 39, della seconda guerra mondiale ; la quarta porzione si allarga e ha scritto la parola PATRIA; la quinta sezione riporta in bassorilievo una croce e alla sommità è posizio-nata una stella a cinque punte. Il monumento è stato costruito con pietra simona la cui colorazione è rossa-stra. Per ricordare i suoi caduti il paese di Montecchio ha costruito questo monumento, inserendo i nomi dei soldati morti in guerra con la loro data di nascita. Noi pensiamo che la data di nascita sia stata messa per individuare con esattezza il soldato caduto, perché allora c’erano molti casi di omonimia e in questo modo lo si distingueva con certezza. Inoltre questo dato eviden-zia maggiormente la giovane età della morte. Nella lapide fronte strada si legge la scritta “MONTECCHIO AI SUOI GLO-RIOSI CADUTI”; dovrebbe essere illuminata da un lumino che però è sempre spento. Nella lapide di fronte all’Oratorio dei Morti si legge “CADUTI GUERRA 19151918” e “AFRICA”. Riportiamo di seguito i nomi dei caduti nel primo conflitto (15-18): BERTONI ANGELO 1894 BERTONI ANGELO 1889 DEROCHI GIOVANNI 1893 FIORA GIOVANNI 1895 FIORINI BORTOLO 1891 PELAMATTI ANTONIO1896 PELAMATTI MAFFEO1891 PEDERSOLI ENRICO1884 PEDERSOLI FELICE 1890 TABONI FRANCESCO 1897 Soldati caduti della campagna d’ AFRICA FIORA SILVESTRO 1873 CHIMINELLI GIOVANNI1891 Nella lapide di fronte alla scuola dell’infanzia si legge “CADUTI GUERRE 19351939” combattute in Etio-pia e in Spagna

Monumento ai caduti (classe 5^ Montecchio)

Alessandro, Alessia, Alex, Daniele, Filippo, Marta, Michela, Nicola, Stefano, Sveva, Valeria

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PAGINA 15 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Verrà un giorno più puro degli altri e scoppierà la pace sulla terra qual sole di cristallo. Di fulgore nuovo si vestiran le cose e canteranno camminando gli uomini liberi ormai dall'incubo della morte violenta. Il grano crescerà sopra i rottami delle armi distrutte; più nessuno verserà sangue di fratello. Alfine verrà quel mondo: il mondo delle fonti e delle spighe, sconfinato regno d'abbondanza e freschezza senza limiti. Allora i vecchi, il giorno di domenica di lor vita serena, aspetteran la morte naturale: d'ogni loro cammino ultima meta, splendido tramonto.

Jorge Carrera Andrade (Quito, 18 settembre 1902 – Quito, 9 novembre 1978) è stato un poeta, storico e diplomatico ecuadoriano, considerato uno dei più originali poeti dell'America spagnola contemporanea.

Riportiamo di seguito i nomi dei caduti: MEDAGLIA D’ARGENTO C.M. SPADACINI ANTONIO 1907 CAPOR. VOLASSI GUERRINO 1912 CAPOR.PEDERSOLI VALENTINO 1915 S.C.R.M.VOLASSI FERRUCCIO 1915

CADUTI GUERRA 1940 1945 CHIMINELLI BORTOLO 1913 DO PROVINO 1914 DO SAMUELE 1920 FIORINI CARLO 1921 FIORINI ANTONIO 1926 FIORINI ROCCO 1917 PELAMATTI GINO 1922 PEDERSOLI FELICE 1910 RIZZI PIETRO 1908 VELA ANTONIO 1906

Nella lapide di fronte alla chiesa si legge “DISPERSI IN GUERRA 1940 1945”. Riportiamo di seguito i nomi dei dispersi: CHIMINELLI FRANC. ROCCO 1915 CHIMINELLI GIUS. ALFO 1922 CINGHIA GIOVANNI 1912 GHIROLDI LUIGI 1914 PEDERSOLI GIACOMO 1927 PEDERSOLI STEFANO1919 PDERSOLI BORTOLO 1920 PEDERSOLI GUERRINO 1916 TOSINI STEFANO 1914 Caduto civile PEDERSOLI ANDREA DI CARLO

All’interno del giardinetto verso l’Oratorio dei Morti si trova l’alzabandiera con il tricolore, usato per le celebrazioni ufficiali, come ad esempio il 4 no-vembre, il 25 aprile, il 2 giugno in cui partecipano le autorità e la cittadinanza.

“Scoppierà la pace” di Jorge Carrera Andrade

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PAGINA 16 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 4 - Marzo/Aprile 2014

Non ne parliamo di questa guerra che sarà lunga un'eternità; per conquistare un palmo di terra quanti fratelli son morti di già! Trincea di raggi, maledizioni, quanti fratelli son morti lassù! Finirà dunque 'sta flagellazione? di questa guerra non se ne parli più. Fuoco e mitragliatrici, si sente il cannone che spara; per conquistar la trincea: Savoia! - si va. Fuoco e mitragliatrici, si sente il cannone che spara; per conquistar la trincea: Savoia! - si va. Da monte Nero a monte Cappuccio fino all'altura di Doberdò, un reggimento più volte distrutto: alfine indietro nessuno tornò. Non ne parliamo di questa guerra che sarà lunga un'eternità; per conquistare un palmo di terra quanti fratelli son morti di già! Fuoco e mitragliatrici, si sente il cannone che spara; per conquistar la trincea: Savoia! - si va. Fuoco e mitragliatrici, si sente il cannone che spara; per conquistar la trincea: Savoia! - si va.

Canto della Grande Guerra composto sull’aria della canzo-netta napoletana “Sona chitarra” di Libero Bovio con musica di Ernesto De Curtis, del 1913. Raccolto da Roberto Leidy ad Alfonsine da reduci della prima Guerra Mondiale (RA), il canto è anonimo. Dal repertorio di Leonello Rambelli e Spartaco Pagani. Fu scritto probabilmente tra il 16/12/1915 (episodio della "Trincea dei raggi" o "dei razzi", che gli eroici fanti della Brigata Sassari riuscirono a conquistare con un assalto alla baionetta), ed il 29/3/1916 (quinta battaglia dell'Isonzo). Alle pendici di Monte San Mi-chele era allora situato un trincerone italiano, che verso val-le andava al bosco Cappuccio (qui chiamato "monte Cap-puccio”). Canto di protesta contro le terribili condizioni della guerra in cui, per conquistare pochi metri di terra, si devono perdere tanti compagni. Questa canzone, dalla melodia assai suggestiva, tuttora è suonata a valzer nelle Quattro Province (Piacenza, Genova, Alessandria e Pavia) con stru-menti tradizionali come piffero (oboe popolare ad ancia doppia) fisarmonica cromatica e cornamusa. Canti come questo, da cui traspare - con inattesa sincerità - un senti-mento doloroso verso l’obbligo del servizio militare e verso la guerra, non sono molto frequenti nel repertorio dei solda-ti, dato che la retorica celebrativa dei canti militari impone e diffonde ben altri testi. E’ una canzone che parla di guerra, di conflitti a fuoco e di morte. Il cannone spara per conquistare la trincea dei nemi-ci. Sono morti tanti fratelli, per conquistare un palmo di ter-ra. Spiega che i soldati difendono la propria patria dagli attacchi della nazione nemica. Si augura che finirà questa flagellazione e che di questa guerra non se ne parli più, nel senso che non ne vogliono più sapere di morire per una guerra voluta dai capi. E’ una canzone che ricorda i caduti

morti lassù, uccisi dai nemici e parla delle armi che sono state usate in quegli anni di guerra. E’ una canzone che parla del male e di soldati italiani che hanno combattuto fino alla fine. Dice che i soldati hanno dovuto com-battere per conquistare le trin-cee nemiche. Fa capire che la guerra porta solo morte e di-struzione e niente di buono e neanche di bello. E’ una canzo-ne di protesta alla guerra, la canzone fa ricordare ai giovani, ma anche agli adulti, che con la guerra non si risolve niente e che in guerra sono morti molti ragazzi, bambini e donne.

Fuoco e mitragliatrici ( gruppo dei BARABAN)

Non vogliono più parlare di questa brutale guerra perché per conquistare un palmo di terra molti ragazzi sono morti. Dicono che la guerra durerà un’eternità. Si urla “Savoia si va!” perché a quel tempo governava-no i Savoia. Parla di spostamenti faticosi a piedi lunghi, duri sfiancanti. I soldati italiani attaccano le trincee nemiche. Parla di un reggimento distrutto e parla di morte e distruzione.