Upload
vandung
View
290
Download
3
Embed Size (px)
Citation preview
Giovanni Verga (1840-1922)
I Malavoglia
C’è voluta, senza dubbio, un’immensa dose di
coraggio, per rinunziare così arditamente ad ogni
piccolo artificio, ad ogni minimo orpello retorico. […]
Ma non c’è voluto meno talento per rendere vive
quelle povere creature di pescatori, quegli uomini
elementari attaccati, come le ostriche, ai neri scogli
di lava della riva di Trezza. […] Un romanzo come
questo non si riassume. È un congegno di piccoli
particolari, allo stesso modo della vita,
organicamente innestati insieme. (Luigi Capuana,
1881)
• Dicembre 1874: Padron ’Ntoni «Bozzetto marinaresco»;
• Settembre 1875: rifacimento del bozzetto per renderlo
«più semplice, breve ed efficace»;
• Settembre 1876: sta ancora lavorando al rifacimento del
bozzetto;
• Febbraio del 1878 il testo è finalmente pronto, ma consta
ormai di oltre trecento pagine manoscritte: il risultato non
è però ancora soddisfacente e Verga si propone di
continuare a lavorarci;
• aprile 1878: annuncia all’amico Salvatore Paola Verdura
il ciclo, intitolato dapprima La Marea, poi I Vinti (I
malvoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra,
L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso)
• 17 maggio 1878, scrivendo a Capuana, Verga può
annunciare la nuova impostazione del testo, segnalata già
dal titolo rinnovato:
«Io son contento del mio sacrifico incruento, che mi
lascia meglio soddisfatto del mio lavoro e mi fa
sperare che riesca quale l’ho vagheggiato in
immaginazione. A proposito, mi hai trovato una
’ngiuria [soprannome] che si adatti al mio titolo? Che
ti sembra di I Malavoglia?». (Lettera di Verga a
Capuana, 17 maggio 1878)
• 1878-1880: il lavoro prosegue nei due anni seguenti;
• Inizio 1881: il testo è definitivamente pronto e viene
pubblicato da Treves con una prefazione dell’autore.
Luogo della narrazione e membri della famiglia Toscano• Luogo della narrazione: Aci Trezza
• Padron 'Ntoni: è il capofamiglia;
• Bastianazzo: figlio di Padron 'Ntoni, muore durante il viaggio sulla «Provvidenza»;
• La Longa: moglie di Bastianazzo;
• 'Ntoni: primogenito di Bastianazzo; irrequieto e incapace di sopportare la
condizione della sua famiglia, solo dopo la "disgrazia" di Lia e la propria
carcerazione, riconosce i valori del mondo di Aci Trezza, nel momento in cui deve
allontanarsene per sempre;
• Mena: figlia di Bastianazzo, è innamorata di Alfio Mosca che però non può
sposare perché povero; viene promessa a Brasi Cipolla, ma dopo la rovina della
famiglia il matrimonio salta;
• Luca: figlio di Bastianazzo e della Longa, è più responsabile di 'Ntoni e degli altri
fratelli, ma muore nella battaglia di Lissa;
• Alessi: figlio di Bastianazzo; è il nipote maggiormente incline ad apprendere il
sapere ancestrale di Padron 'Ntoni: toccherà a lui il ruolo di "ponte" tra il passato
idillico di Padron 'Ntoni e la modernità dei tempi post-unitari: sposato con la
cugina Nunziata, ormai adulto ricostruirà la famiglia Malavoglia assumendo il ruolo
di patriarca del nonno e ricomprando la Casa del Nespolo;
• Lia: la più piccola della famiglia Malavoglia, dopo la rovina della famiglia emigrerà
per fare la prostituta.
• Alfio Mosca: onesto lavoratore, possiede un asino ed (in seguito) un mulo, ed ha la sua ambizione lavorativa.
Si innamora di Mena, che ricambia, ma i due non possono sposarsi perché Alfio è povero, e per convenienza
Mena tenterà invece il matrimonio con Brasi Cipolla. Alfio tornerà ad Aci Trezza otto anni dopo la sua partenza.
• Zio Crocifisso: detto anche "Campana di legno", è l'usuraio del paese, vecchio e avaro, protagonista di "negozi"
e proprietario di barche e case. È zio della Vespa, con la quale si sposerà non per amore, ma per appropriarsi
della sua chiusa; il matrimonio si rivelerà per lui un inferno, poiché la moglie dilapida in breve tempo il
patrimonio da lui costruito in una vita interamente trascorsa ad accumulare denaro.
• Compare Agostino Piedipapera: sensale di pochi scrupoli, zoppo, immischiato nella vicenda del contrabbando.
Si rende responsabile, assieme allo zio Crocifisso, della rovina economica dei Malavoglia, fingendo di
acquistare il credito che Padron 'Ntoni deve al vecchio usuraio e poter così far uscire la famiglia dalla casa del
nespolo. È sposato con Grazia Piedipapera, donna pettegola ma sensibile ai problemi dei Malavoglia.
• La Locca: sorella dello zio Crocifisso, vedova, è una vecchia demente e fuori di senno, che vaga perennemente
per il paese alla ricerca del figlio Menico, morto in mare sulla Provvidenza assieme a Bastianazzo ed al carico
di lupini. È madre di un altro ragazzo che non viene mai nominato, e che è sempre chiamato "figlio della
Locca". Dopo l'arresto di quest'ultimo, viene mandata all'ospedale dei poveri.
• Turi Zuppiddo: vicino di casa dei Malavoglia, svolge il mestiere di calafato, cioè aggiusta le barche, sua moglie
Venera è la pettegola del paese, hanno una figlia, Barbara, con cui per un periodo 'Ntoni pensa di volersi
sposare, però la cosa non andrà in porto.
• Grazia Piedipapera: moglie di Tino Piedipapera, molto affezionata alla sorte dei Malavoglia.
• Cugina Anna: vicina di casa e amica dei Malavoglia, lei è rimasta vedova con tanti figli da crescere tra cui
Rocco Spatu, che in seguito diventerà assiduo frequentatore dell'osteria.
• Nunziata: altra vicina e amica dei Malavoglia, dopo la partenza di suo padre per Alessandria d'Egitto si è
ritrovata sola a crescere i suoi fratellini, da grande sposerà Alessi.
• La Santuzza: ostessa del paese, sarà lei la causa del litigio tra 'Ntoni e Don Michele, si dice sia l'amante di
massaro Filippo. Suo padre, zio Santoro, sta sempre fuori all'osteria a chiedere l'elemosina.
• Vanni Pizzuto: barbiere del paese, entrerà nel giro del contrabbando.
• Don Franco: speziale del paese, rivoluzionario, nella sua bottega spesso succedono discussioni in cui si
parla di politica. Sua moglie viene chiamata La Signora.
• Massaro Filippo: assiduo frequentatore dell'osteria, si dice che la sera vada nella stalla con la Santuzza e
con la scusa di fare il rosario fanno l'amore.
• Mariano Cinghialenta: carrettiete, assiduo frequentatore dell'osteria, entrerà nel giro del contrabbando.
• Rocco Spatu: figlio maggiore della cugina Anna, assiduo frequentatore dell'osteria, è quasi sempre ubriaco,
entrerà nel giro del contrabbando.
• Don Michele: brigadiere del paese, assiduo frequentatore dell'osteria, verrà cacciato e poi richiamato
dall'osteria dalla Santuzza, e sarà questo il motivo che durante una retata anti-contrabbando 'Ntoni lo
accoltellerà.
• Mastro Croce Callà: sindaco del paese, comandato da sua figlia Betta.
• Compare Mangiacarrubbe: pescatore, frequentatore dell'osteria, ha una figlia, la Mangiacarrubbe, solita
ragazza che sta alla finestra ad aspettare un marito.
• Don Giammaria: sacerdote del paese, ha una sorella, Donna Rosolina, che abita con lui.
• Don Silvestro: segretario comunale del paese, è lui che praticamente esercita il potere al posto del
sindaco.
• Mastro Cirino: sagrestano, inserviente comunale, portalettere e calzolaio del paese.
• Padron Fortunato Cipolla: ricco del paese, proprietario di numerose vigne e terreni e anche di una barca,
ha un figlio bietolone, Brasi, che vuole far sposare con Mena Malavoglia, ma dopo la morte di Luca l'affare
salta.
• Don Ciccio: medico del paese.
• Zio Cola: pescatore e proprietario di una barca.
• Barabba: pescatore che lavora sulla barca di Padron Fortunato Cipolla.
• Peppi Naso: macellaio del paese, molto ricco.
• Avvocato Scipioni: avvocato a cui si rivolgono i Malavoglia per la questione della casa del nespolo, ed è
anche l'avvocato difensore di 'Ntoni durante il processo per la coltellata a Don Michele.
La scansione in capitoli e spazio-temporale
• La struttura: quindici capitoli divisi in due grandi sezioni:
1) I-IX, in cui il protagonista è padron ’Ntoni;
2) XI-XV, in cui il protagonista è ’Ntoni;
3) il capitolo X funge da cerniera tra i due blocchi.
• Lo spazio: il villaggio, non descritto minuziosamente ma
presentato ai lettori come una realtà già nota, si articola in una
serie di luoghi chiave che assolvono a funzioni ben distinte tra
loro:
1) la farmacia, dove si svolgono i discorsi politici;
2) il sagrato della chiesa, dove chiacchierano i
possidenti;
3) l’osteria, per gli sfaccendati;
4) la bottega di Vanni Pizzuto, per i pettegolezzi degli
uomini;
+ il mare e la sciarra che fanno da confini.
Lo speziale teneva conversazione sull'uscio della bottega, al
fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di lettere
leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva
anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a
portata di mano, sotto il mortaio di cristallo, perciò quistionavano
tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo,
e ci pigliavano delle malattie dalla bile; ma non avrebbero potuto
stare un giorno senza vedersi. Il sabato poi, quando arrivava il
giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz'ora, ed
anche un'ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie,
onde spiattellare le sue idee, e non andare a letto a mo' dei bruti,
come compare Cipolla, o compare Malavoglia. L'estate poi non
c'era neppur bisogno della candela, giacché si poteva star
sull'uscio, sotto il lampione, quando mastro Cirino l'accendeva, e
qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie
doganali; e anche don Silvestro, il segretario comunale, tornando
dalla vigna, si fermava un momento. (Cap. II)
• Il tempo: uniforme, monotono e poco rilevato;
• Assenza quasi completa di riferimenti espliciti agli anni e
ai mesi della storia (tempi del progresso);
• Scansione temporale basata invece sulle ricorrenze
religiose, sui ritmi stagionali dei lavori e dei raccolti, sugli
avvenimenti che riguardano da vicino la vita del paese
(tempi del mito);
• Ritmo narrativo diversificato nei vari capitoli a seconda
delle esigenze: poche ore trattate analiticamente in
capitoli come il secondo, terzo e quarto; circa dieci anni
riassunti nei capitoli finali;
• Il tempo totale dell’azione è di 15 anni: dalla partenza di
’Ntoni per il servizio militare nel 1863 fino al suo ritorno e
definitivo allontanamento dopo essere stato in prigione
nel 1878 circa.
La drammaticità e lirismo de I Malavoglia
• I Malavoglia sono la perfetta realizzazione delle teorie
elaborate da Verga e Capuana perché l’assenza
volontaria del narratore è totale;
• Tutto ciò non rende però la narrazione piatta e
aridamente obiettiva, ma fiabescamente atemporale,
leggendaria, carica di valori simbolici e mitici nel
trattamento del tempo e dello spazio, nel linguaggio
imitativo del dialetto, nella vicenda rigorosamente
analizzata, ma osservata dall’autore con immensa pietà;
Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada
vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello,
tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che
sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della
parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla,
poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci
Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in
figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle
tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di
padron 'Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza
ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta
dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le
burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia,
erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla
barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron 'Ntoni, per spiegare il
miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso — un pugno che
sembrava fatto di legno di noce — Per menare il remo bisogna che le
cinque dita s'aiutino l'un l'altro. Diceva pure: — Gli uomini son fatti
come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il
dito piccolo deve far da dito piccolo. (Cap. I)
— Siete là anche voi, comare Mena? — esclamò Alfio appena la vide, e lasciò
quello che stava facendo.
Ella disse di sì col capo, e Nunziata intanto era corsa a schiumare la pentola che
riversava, da quella brava massaia che era.
— Così son contento, che posso dirvi addio anche a voi! disse Alfio.
— Sono venuta a salutarvi, — disse lei, e ci aveva il pianto nella gola. — Perché
ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?
Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore, come quando era andato
a dirle addio. — O bella! perché ci vado? e voi perché vi maritate con Brasi
Cipolla? Si fa quel che si può, comare Mena. Se avessi potuto fare quel che
volevo io, lo sapete cosa avrei fatto!… — Ella lo guardava e lo guardava, cogli
occhi lucenti. — Sarei rimasto qui, che fino i muri mi conoscono, e so dove metter
le mani, tanto che potrei andar a governare l'asino di notte, anche al buio; e vi
avrei sposata io, comare Mena, ché in cuore vi ci ho da un pezzo, e vi porto meco
alla Bicocca, e dappertutto ove andrò. Ma questi oramai sono discorsi inutili, e
bisogna fare quel che si può. Anche il mio asino va dove lo faccio andare.
— Ora addio, concluse Mena; anch'io ci ho come una spina qui dentro… ed ora
che vedrò sempre quella finestra chiusa, mi parrà d'avere chiuso anche il cuore, e
d'averci chiusa sopra quella finestra, pesante come una porta di palmento. Ma
così vuol Dio. Ora vi saluto e me ne vado.
La poveretta piangeva cheta cheta, colla mano sugli occhi, e se ne andò insieme
alla Nunziata a pianger sotto il nespolo, al chiaro di luna.
Temi
• quello della casa del nespolo, oggetto della
valenza mitica che simboleggia il permanere della
tradizione e dei valori del passato;
• quello della partenza e del ritorno, legati
indissolubilmente al tema della morte;
• quello del ripetersi immutabile delle stagioni e
degli eventi, in contrapposizione con il mutamento
continuo che il progresso porta.
La Pasqua infatti era vicina. Le colline erano tornate a vestirsi di
verde, e i fichidindia erano di nuovo in fiore. Le ragazze avevano
seminato il basilico alla finestra, e ci si venivano a posare le
farfalle bianche; fin le povere ginestre della sciara avevano il loro
fiorellino pallido. La mattina, sui tetti, fumavano le tegole verdi e
gialle, e i passeri vi facevano gazzarra sino al tramonto.
Anche la casa del nespolo sembrava avesse un'aria di festa; il
cortile era spazzato, gli arnesi in bell'ordine lungo il muricciuolo e
appesi ai piuoli, l'orto tutto verde di cavoli e di lattughe, e la
camera aperta e piena di sole che sembrava contenta anch'essa,
e ogni cosa diceva che la Pasqua si avvicinava. I vecchi si
mettevano sull'uscio verso mezzogiorno, e le ragazze cantavano
al lavatoio. I carri tornavano a passare nella notte, e la sera si
udiva un'altra volta il brusio della gente che chiacchierava nella
stradicciuola. (Cap. VIII)
Temi
• quello della definitiva crisi della civiltà di cui padron
’Ntoni è difensore irrimediabilmente condannato alla
sconfitta: la religione della famiglia, in cui egli credeva,
svanisce infatti di fronte all’incalzare di un progresso
senz’anima, di fronte al nuovo che distrugge l’antica
civiltà contadina: e a questa distruzione soggiacciono in
primo luogo i due elementi della grande famiglia
Malavoglia che l’ansia di cambiamento irretisce: Lia e
’Ntoni, la cui perdizione è in effetti parallela alla sconfitta
del vecchio patriarca.
Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente
devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini
pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola
vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell'ignoto,
l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente
dell'attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue
sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle
passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e
potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le
sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. (Introduzione)
Perché la riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire
scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la
verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del
soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale.
(Introduzione)
Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se
riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza
passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la
rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere.
(Introduzione)
Dalla prefazione a L’amante di
Gramigna
[L’opera d’arte deve sembrare] Essersi fatta
da sé, aver maturato ed esser sorta
spontanea come un fatto naturale, senza
serbare alcun punto di contatto col suo
autore.
Discorso indiretto libero
• [Qui è Piedipapare che parla] — Eh! s'è
lavorato! potete dirlo anche voi, padron 'Ntoni!
— ma per padron 'Ntoni ei si sarebbe buttato
dall'alto del fariglione, com'è vero Iddio! e a lui lo
zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il
mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui
bollivano più di duecento onze all'anno!
Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso
senza di lui. (Cap. II)
Uso dei proverbi
— È venuto con suo figlio Brasi, il quale adesso si è fatto grande — seguitava padron
'Ntoni.
— Sicuro, i ragazzi crescono, e ci spingono per le spalle nella fossa, rispose padron
Fortunato.
— Ora bevete un bicchier di vino che è di quello buono, aggiunse la Longa, e questi ceci
qui li ha abbrustoliti mia figlia. Mi dispiace che non sapevo niente, e non vi ho fatto
trovare cose degne del vostro merito.
— Eravamo qui vicino di passaggio, rispose padron Cipolla, ed abbiamo detto: andiamo
a vedere comare Maruzza.
Brasi si riempì le tasche di ceci, guardando la ragazza, e dopo i monelli diedero il sacco
al tondo, che invano la Nunziata colla bambina in collo cercava di trattenerli, parlando
basso come se fosse in chiesa. I vecchi in questo tempo si erano messi a discorrer fra di
loro, sotto il nespolo, colle comari che facevano cerchio e cantavano le lodi della
ragazza, com'era brava massaia, che teneva quella casa meglio di uno specchio. «La
figliuola com'è avvezzata, e la stoppa com'è filata».
— Anche la vostra nipote è cresciuta, osservò padron Fortunato — e sarebbe tempo di
maritarla.
— Se il Signore le manda un buon partito noi non vogliamo altro, rispose padron 'Ntoni.
— «Matrimonii e vescovadi dal cielo sono destinati» aggiunse comare la Longa.
— «A buon cavallo non gli manca sella» — conchiuse padron Fortunato; ad una ragazza
come vostra nipote un buon partito non può mancare. (Cap. VIII)
IroniaIl peggio era che i lupini li avevano presi a credenza, e lo zio Crocifisso non si
contentava di «buone parole e mele fradicie», per questo lo chiamavano
Campana di legno, perché non ci sentiva di quell'orecchio, quando lo volevano
pagare con delle chiacchiere, e' diceva che «alla credenza ci si pensa». Egli
era un buon diavolaccio, e viveva imprestando agli amici, non faceva altro
mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche,
o addossato al muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero che non gli
avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne volevano, e se
qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì glieli prestava subito, col pegno,
perché «chi fa credenza senza pegno, perde l'amico, la roba e l'ingegno» a
patto di averli restituiti la domenica, d'argento e colle colonne, che ci era un
carlino dippiù, com'era giusto, perché «coll'interesse non c'è amicizia».
Comprava anche la pesca tutta in una volta, con ribasso, e quando il povero
diavolo che l'aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano
pesargliela colle sue bilancie, le quali erano false come Giuda, dicevano quelli
che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l'altro corto, come
san Francesco; e anticipava anche la spesa per la ciurma, se volevano, e
prendeva soltanto il denaro anticipato, e un rotolo di pane a testa, e mezzo
quartuccio di vino, e non voleva altro, ché era cristiano e di quel che faceva in
questo mondo avrebbe dovuto dar conto a Dio. [Continua nella slide
successiva]
Insomma era la provvidenza per quelli che erano in angustie, e aveva anche
inventato cento modi di render servigio al prossimo, e senza essere uomo di
mare aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne avevano, e li
prestava, contentandosi di prendere un terzo della pesca, più la parte della
barca, che contava come un uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se
volevano prestati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto il
guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo — e quando gli
dicevano perché non ci andasse lui a rischiare la pelle come tutti gli altri, che
si pappava il meglio della pesca senza pericolo, rispondeva: — Bravo! e se in
mare mi capita una disgrazia, Dio liberi, che ci lascio le ossa, chi me li fa gli
affari miei? — Egli badava agli affari suoi, ed avrebbe prestato anche la
camicia; ma poi voleva esser pagato, senza tanti cristi; ed era inutile stargli a
contare ragioni, perché era sordo, e per di più era scarso di cervello, e non
sapeva dir altro che «Quel che è di patto non è d'inganno», oppure «Al giorno
che promise si conosce il buon pagatore». (Cap. IV)
Se dovessi tornare a scrivere quel libro lo farei
come l’ho fatto (lettera dell’11 aprile 1881).
La felice intuizione d’artista con cui il Verga colava
la lingua comune e il dialetto isolano in un cavo
straordinariamente lavorato, come disse d’aver
voluto fare lo Zola colla lingua francese e il gergo
popolare parigino nell’Assommoir, rompeva a un
tratto tutte le nostre tradizioni letterarie impastate,
anzi che no, di pedanteria, tenaci, più di quello che
paia, anche nei meglio disposti verso le utili e
necessarie novità e arditezze ben riuscite. […]
L’evoluzione del Verga è completa. (Luigi
Capuana, 1881)