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Giovanni Verga (1840-1922) I Malavoglia

I Malavoglia - UniBG I Malavoglia.pdf · malvoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L’onorevoleScipioni e L’uomodi lusso) • 17 maggio 1878, scrivendo a Capuana, Verga

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Giovanni Verga (1840-1922)

I Malavoglia

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C’è voluta, senza dubbio, un’immensa dose di

coraggio, per rinunziare così arditamente ad ogni

piccolo artificio, ad ogni minimo orpello retorico. […]

Ma non c’è voluto meno talento per rendere vive

quelle povere creature di pescatori, quegli uomini

elementari attaccati, come le ostriche, ai neri scogli

di lava della riva di Trezza. […] Un romanzo come

questo non si riassume. È un congegno di piccoli

particolari, allo stesso modo della vita,

organicamente innestati insieme. (Luigi Capuana,

1881)

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• Dicembre 1874: Padron ’Ntoni «Bozzetto marinaresco»;

• Settembre 1875: rifacimento del bozzetto per renderlo

«più semplice, breve ed efficace»;

• Settembre 1876: sta ancora lavorando al rifacimento del

bozzetto;

• Febbraio del 1878 il testo è finalmente pronto, ma consta

ormai di oltre trecento pagine manoscritte: il risultato non

è però ancora soddisfacente e Verga si propone di

continuare a lavorarci;

• aprile 1878: annuncia all’amico Salvatore Paola Verdura

il ciclo, intitolato dapprima La Marea, poi I Vinti (I

malvoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra,

L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso)

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• 17 maggio 1878, scrivendo a Capuana, Verga può

annunciare la nuova impostazione del testo, segnalata già

dal titolo rinnovato:

«Io son contento del mio sacrifico incruento, che mi

lascia meglio soddisfatto del mio lavoro e mi fa

sperare che riesca quale l’ho vagheggiato in

immaginazione. A proposito, mi hai trovato una

’ngiuria [soprannome] che si adatti al mio titolo? Che

ti sembra di I Malavoglia?». (Lettera di Verga a

Capuana, 17 maggio 1878)

• 1878-1880: il lavoro prosegue nei due anni seguenti;

• Inizio 1881: il testo è definitivamente pronto e viene

pubblicato da Treves con una prefazione dell’autore.

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Luogo della narrazione e membri della famiglia Toscano• Luogo della narrazione: Aci Trezza

• Padron 'Ntoni: è il capofamiglia;

• Bastianazzo: figlio di Padron 'Ntoni, muore durante il viaggio sulla «Provvidenza»;

• La Longa: moglie di Bastianazzo;

• 'Ntoni: primogenito di Bastianazzo; irrequieto e incapace di sopportare la

condizione della sua famiglia, solo dopo la "disgrazia" di Lia e la propria

carcerazione, riconosce i valori del mondo di Aci Trezza, nel momento in cui deve

allontanarsene per sempre;

• Mena: figlia di Bastianazzo, è innamorata di Alfio Mosca che però non può

sposare perché povero; viene promessa a Brasi Cipolla, ma dopo la rovina della

famiglia il matrimonio salta;

• Luca: figlio di Bastianazzo e della Longa, è più responsabile di 'Ntoni e degli altri

fratelli, ma muore nella battaglia di Lissa;

• Alessi: figlio di Bastianazzo; è il nipote maggiormente incline ad apprendere il

sapere ancestrale di Padron 'Ntoni: toccherà a lui il ruolo di "ponte" tra il passato

idillico di Padron 'Ntoni e la modernità dei tempi post-unitari: sposato con la

cugina Nunziata, ormai adulto ricostruirà la famiglia Malavoglia assumendo il ruolo

di patriarca del nonno e ricomprando la Casa del Nespolo;

• Lia: la più piccola della famiglia Malavoglia, dopo la rovina della famiglia emigrerà

per fare la prostituta.

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• Alfio Mosca: onesto lavoratore, possiede un asino ed (in seguito) un mulo, ed ha la sua ambizione lavorativa.

Si innamora di Mena, che ricambia, ma i due non possono sposarsi perché Alfio è povero, e per convenienza

Mena tenterà invece il matrimonio con Brasi Cipolla. Alfio tornerà ad Aci Trezza otto anni dopo la sua partenza.

• Zio Crocifisso: detto anche "Campana di legno", è l'usuraio del paese, vecchio e avaro, protagonista di "negozi"

e proprietario di barche e case. È zio della Vespa, con la quale si sposerà non per amore, ma per appropriarsi

della sua chiusa; il matrimonio si rivelerà per lui un inferno, poiché la moglie dilapida in breve tempo il

patrimonio da lui costruito in una vita interamente trascorsa ad accumulare denaro.

• Compare Agostino Piedipapera: sensale di pochi scrupoli, zoppo, immischiato nella vicenda del contrabbando.

Si rende responsabile, assieme allo zio Crocifisso, della rovina economica dei Malavoglia, fingendo di

acquistare il credito che Padron 'Ntoni deve al vecchio usuraio e poter così far uscire la famiglia dalla casa del

nespolo. È sposato con Grazia Piedipapera, donna pettegola ma sensibile ai problemi dei Malavoglia.

• La Locca: sorella dello zio Crocifisso, vedova, è una vecchia demente e fuori di senno, che vaga perennemente

per il paese alla ricerca del figlio Menico, morto in mare sulla Provvidenza assieme a Bastianazzo ed al carico

di lupini. È madre di un altro ragazzo che non viene mai nominato, e che è sempre chiamato "figlio della

Locca". Dopo l'arresto di quest'ultimo, viene mandata all'ospedale dei poveri.

• Turi Zuppiddo: vicino di casa dei Malavoglia, svolge il mestiere di calafato, cioè aggiusta le barche, sua moglie

Venera è la pettegola del paese, hanno una figlia, Barbara, con cui per un periodo 'Ntoni pensa di volersi

sposare, però la cosa non andrà in porto.

• Grazia Piedipapera: moglie di Tino Piedipapera, molto affezionata alla sorte dei Malavoglia.

• Cugina Anna: vicina di casa e amica dei Malavoglia, lei è rimasta vedova con tanti figli da crescere tra cui

Rocco Spatu, che in seguito diventerà assiduo frequentatore dell'osteria.

• Nunziata: altra vicina e amica dei Malavoglia, dopo la partenza di suo padre per Alessandria d'Egitto si è

ritrovata sola a crescere i suoi fratellini, da grande sposerà Alessi.

• La Santuzza: ostessa del paese, sarà lei la causa del litigio tra 'Ntoni e Don Michele, si dice sia l'amante di

massaro Filippo. Suo padre, zio Santoro, sta sempre fuori all'osteria a chiedere l'elemosina.

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• Vanni Pizzuto: barbiere del paese, entrerà nel giro del contrabbando.

• Don Franco: speziale del paese, rivoluzionario, nella sua bottega spesso succedono discussioni in cui si

parla di politica. Sua moglie viene chiamata La Signora.

• Massaro Filippo: assiduo frequentatore dell'osteria, si dice che la sera vada nella stalla con la Santuzza e

con la scusa di fare il rosario fanno l'amore.

• Mariano Cinghialenta: carrettiete, assiduo frequentatore dell'osteria, entrerà nel giro del contrabbando.

• Rocco Spatu: figlio maggiore della cugina Anna, assiduo frequentatore dell'osteria, è quasi sempre ubriaco,

entrerà nel giro del contrabbando.

• Don Michele: brigadiere del paese, assiduo frequentatore dell'osteria, verrà cacciato e poi richiamato

dall'osteria dalla Santuzza, e sarà questo il motivo che durante una retata anti-contrabbando 'Ntoni lo

accoltellerà.

• Mastro Croce Callà: sindaco del paese, comandato da sua figlia Betta.

• Compare Mangiacarrubbe: pescatore, frequentatore dell'osteria, ha una figlia, la Mangiacarrubbe, solita

ragazza che sta alla finestra ad aspettare un marito.

• Don Giammaria: sacerdote del paese, ha una sorella, Donna Rosolina, che abita con lui.

• Don Silvestro: segretario comunale del paese, è lui che praticamente esercita il potere al posto del

sindaco.

• Mastro Cirino: sagrestano, inserviente comunale, portalettere e calzolaio del paese.

• Padron Fortunato Cipolla: ricco del paese, proprietario di numerose vigne e terreni e anche di una barca,

ha un figlio bietolone, Brasi, che vuole far sposare con Mena Malavoglia, ma dopo la morte di Luca l'affare

salta.

• Don Ciccio: medico del paese.

• Zio Cola: pescatore e proprietario di una barca.

• Barabba: pescatore che lavora sulla barca di Padron Fortunato Cipolla.

• Peppi Naso: macellaio del paese, molto ricco.

• Avvocato Scipioni: avvocato a cui si rivolgono i Malavoglia per la questione della casa del nespolo, ed è

anche l'avvocato difensore di 'Ntoni durante il processo per la coltellata a Don Michele.

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La scansione in capitoli e spazio-temporale

• La struttura: quindici capitoli divisi in due grandi sezioni:

1) I-IX, in cui il protagonista è padron ’Ntoni;

2) XI-XV, in cui il protagonista è ’Ntoni;

3) il capitolo X funge da cerniera tra i due blocchi.

• Lo spazio: il villaggio, non descritto minuziosamente ma

presentato ai lettori come una realtà già nota, si articola in una

serie di luoghi chiave che assolvono a funzioni ben distinte tra

loro:

1) la farmacia, dove si svolgono i discorsi politici;

2) il sagrato della chiesa, dove chiacchierano i

possidenti;

3) l’osteria, per gli sfaccendati;

4) la bottega di Vanni Pizzuto, per i pettegolezzi degli

uomini;

+ il mare e la sciarra che fanno da confini.

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Lo speziale teneva conversazione sull'uscio della bottega, al

fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di lettere

leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva

anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a

portata di mano, sotto il mortaio di cristallo, perciò quistionavano

tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo,

e ci pigliavano delle malattie dalla bile; ma non avrebbero potuto

stare un giorno senza vedersi. Il sabato poi, quando arrivava il

giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz'ora, ed

anche un'ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie,

onde spiattellare le sue idee, e non andare a letto a mo' dei bruti,

come compare Cipolla, o compare Malavoglia. L'estate poi non

c'era neppur bisogno della candela, giacché si poteva star

sull'uscio, sotto il lampione, quando mastro Cirino l'accendeva, e

qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie

doganali; e anche don Silvestro, il segretario comunale, tornando

dalla vigna, si fermava un momento. (Cap. II)

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• Il tempo: uniforme, monotono e poco rilevato;

• Assenza quasi completa di riferimenti espliciti agli anni e

ai mesi della storia (tempi del progresso);

• Scansione temporale basata invece sulle ricorrenze

religiose, sui ritmi stagionali dei lavori e dei raccolti, sugli

avvenimenti che riguardano da vicino la vita del paese

(tempi del mito);

• Ritmo narrativo diversificato nei vari capitoli a seconda

delle esigenze: poche ore trattate analiticamente in

capitoli come il secondo, terzo e quarto; circa dieci anni

riassunti nei capitoli finali;

• Il tempo totale dell’azione è di 15 anni: dalla partenza di

’Ntoni per il servizio militare nel 1863 fino al suo ritorno e

definitivo allontanamento dopo essere stato in prigione

nel 1878 circa.

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La drammaticità e lirismo de I Malavoglia

• I Malavoglia sono la perfetta realizzazione delle teorie

elaborate da Verga e Capuana perché l’assenza

volontaria del narratore è totale;

• Tutto ciò non rende però la narrazione piatta e

aridamente obiettiva, ma fiabescamente atemporale,

leggendaria, carica di valori simbolici e mitici nel

trattamento del tempo e dello spazio, nel linguaggio

imitativo del dialetto, nella vicenda rigorosamente

analizzata, ma osservata dall’autore con immensa pietà;

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Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada

vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello,

tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che

sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della

parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla,

poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci

Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in

figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle

tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di

padron 'Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza

ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta

dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le

burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia,

erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla

barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron 'Ntoni, per spiegare il

miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso — un pugno che

sembrava fatto di legno di noce — Per menare il remo bisogna che le

cinque dita s'aiutino l'un l'altro. Diceva pure: — Gli uomini son fatti

come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il

dito piccolo deve far da dito piccolo. (Cap. I)

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— Siete là anche voi, comare Mena? — esclamò Alfio appena la vide, e lasciò

quello che stava facendo.

Ella disse di sì col capo, e Nunziata intanto era corsa a schiumare la pentola che

riversava, da quella brava massaia che era.

— Così son contento, che posso dirvi addio anche a voi! disse Alfio.

— Sono venuta a salutarvi, — disse lei, e ci aveva il pianto nella gola. — Perché

ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?

Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore, come quando era andato

a dirle addio. — O bella! perché ci vado? e voi perché vi maritate con Brasi

Cipolla? Si fa quel che si può, comare Mena. Se avessi potuto fare quel che

volevo io, lo sapete cosa avrei fatto!… — Ella lo guardava e lo guardava, cogli

occhi lucenti. — Sarei rimasto qui, che fino i muri mi conoscono, e so dove metter

le mani, tanto che potrei andar a governare l'asino di notte, anche al buio; e vi

avrei sposata io, comare Mena, ché in cuore vi ci ho da un pezzo, e vi porto meco

alla Bicocca, e dappertutto ove andrò. Ma questi oramai sono discorsi inutili, e

bisogna fare quel che si può. Anche il mio asino va dove lo faccio andare.

— Ora addio, concluse Mena; anch'io ci ho come una spina qui dentro… ed ora

che vedrò sempre quella finestra chiusa, mi parrà d'avere chiuso anche il cuore, e

d'averci chiusa sopra quella finestra, pesante come una porta di palmento. Ma

così vuol Dio. Ora vi saluto e me ne vado.

La poveretta piangeva cheta cheta, colla mano sugli occhi, e se ne andò insieme

alla Nunziata a pianger sotto il nespolo, al chiaro di luna.

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Temi

• quello della casa del nespolo, oggetto della

valenza mitica che simboleggia il permanere della

tradizione e dei valori del passato;

• quello della partenza e del ritorno, legati

indissolubilmente al tema della morte;

• quello del ripetersi immutabile delle stagioni e

degli eventi, in contrapposizione con il mutamento

continuo che il progresso porta.

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La Pasqua infatti era vicina. Le colline erano tornate a vestirsi di

verde, e i fichidindia erano di nuovo in fiore. Le ragazze avevano

seminato il basilico alla finestra, e ci si venivano a posare le

farfalle bianche; fin le povere ginestre della sciara avevano il loro

fiorellino pallido. La mattina, sui tetti, fumavano le tegole verdi e

gialle, e i passeri vi facevano gazzarra sino al tramonto.

Anche la casa del nespolo sembrava avesse un'aria di festa; il

cortile era spazzato, gli arnesi in bell'ordine lungo il muricciuolo e

appesi ai piuoli, l'orto tutto verde di cavoli e di lattughe, e la

camera aperta e piena di sole che sembrava contenta anch'essa,

e ogni cosa diceva che la Pasqua si avvicinava. I vecchi si

mettevano sull'uscio verso mezzogiorno, e le ragazze cantavano

al lavatoio. I carri tornavano a passare nella notte, e la sera si

udiva un'altra volta il brusio della gente che chiacchierava nella

stradicciuola. (Cap. VIII)

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Temi

• quello della definitiva crisi della civiltà di cui padron

’Ntoni è difensore irrimediabilmente condannato alla

sconfitta: la religione della famiglia, in cui egli credeva,

svanisce infatti di fronte all’incalzare di un progresso

senz’anima, di fronte al nuovo che distrugge l’antica

civiltà contadina: e a questa distruzione soggiacciono in

primo luogo i due elementi della grande famiglia

Malavoglia che l’ansia di cambiamento irretisce: Lia e

’Ntoni, la cui perdizione è in effetti parallela alla sconfitta

del vecchio patriarca.

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Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente

devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini

pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola

vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell'ignoto,

l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente

dell'attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue

sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle

passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e

potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le

sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. (Introduzione)

Perché la riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire

scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la

verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del

soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale.

(Introduzione)

Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se

riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza

passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la

rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere.

(Introduzione)

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Dalla prefazione a L’amante di

Gramigna

[L’opera d’arte deve sembrare] Essersi fatta

da sé, aver maturato ed esser sorta

spontanea come un fatto naturale, senza

serbare alcun punto di contatto col suo

autore.

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Discorso indiretto libero

• [Qui è Piedipapare che parla] — Eh! s'è

lavorato! potete dirlo anche voi, padron 'Ntoni!

— ma per padron 'Ntoni ei si sarebbe buttato

dall'alto del fariglione, com'è vero Iddio! e a lui lo

zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il

mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui

bollivano più di duecento onze all'anno!

Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso

senza di lui. (Cap. II)

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Uso dei proverbi

— È venuto con suo figlio Brasi, il quale adesso si è fatto grande — seguitava padron

'Ntoni.

— Sicuro, i ragazzi crescono, e ci spingono per le spalle nella fossa, rispose padron

Fortunato.

— Ora bevete un bicchier di vino che è di quello buono, aggiunse la Longa, e questi ceci

qui li ha abbrustoliti mia figlia. Mi dispiace che non sapevo niente, e non vi ho fatto

trovare cose degne del vostro merito.

— Eravamo qui vicino di passaggio, rispose padron Cipolla, ed abbiamo detto: andiamo

a vedere comare Maruzza.

Brasi si riempì le tasche di ceci, guardando la ragazza, e dopo i monelli diedero il sacco

al tondo, che invano la Nunziata colla bambina in collo cercava di trattenerli, parlando

basso come se fosse in chiesa. I vecchi in questo tempo si erano messi a discorrer fra di

loro, sotto il nespolo, colle comari che facevano cerchio e cantavano le lodi della

ragazza, com'era brava massaia, che teneva quella casa meglio di uno specchio. «La

figliuola com'è avvezzata, e la stoppa com'è filata».

— Anche la vostra nipote è cresciuta, osservò padron Fortunato — e sarebbe tempo di

maritarla.

— Se il Signore le manda un buon partito noi non vogliamo altro, rispose padron 'Ntoni.

— «Matrimonii e vescovadi dal cielo sono destinati» aggiunse comare la Longa.

— «A buon cavallo non gli manca sella» — conchiuse padron Fortunato; ad una ragazza

come vostra nipote un buon partito non può mancare. (Cap. VIII)

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IroniaIl peggio era che i lupini li avevano presi a credenza, e lo zio Crocifisso non si

contentava di «buone parole e mele fradicie», per questo lo chiamavano

Campana di legno, perché non ci sentiva di quell'orecchio, quando lo volevano

pagare con delle chiacchiere, e' diceva che «alla credenza ci si pensa». Egli

era un buon diavolaccio, e viveva imprestando agli amici, non faceva altro

mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche,

o addossato al muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero che non gli

avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne volevano, e se

qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì glieli prestava subito, col pegno,

perché «chi fa credenza senza pegno, perde l'amico, la roba e l'ingegno» a

patto di averli restituiti la domenica, d'argento e colle colonne, che ci era un

carlino dippiù, com'era giusto, perché «coll'interesse non c'è amicizia».

Comprava anche la pesca tutta in una volta, con ribasso, e quando il povero

diavolo che l'aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano

pesargliela colle sue bilancie, le quali erano false come Giuda, dicevano quelli

che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l'altro corto, come

san Francesco; e anticipava anche la spesa per la ciurma, se volevano, e

prendeva soltanto il denaro anticipato, e un rotolo di pane a testa, e mezzo

quartuccio di vino, e non voleva altro, ché era cristiano e di quel che faceva in

questo mondo avrebbe dovuto dar conto a Dio. [Continua nella slide

successiva]

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Insomma era la provvidenza per quelli che erano in angustie, e aveva anche

inventato cento modi di render servigio al prossimo, e senza essere uomo di

mare aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne avevano, e li

prestava, contentandosi di prendere un terzo della pesca, più la parte della

barca, che contava come un uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se

volevano prestati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto il

guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo — e quando gli

dicevano perché non ci andasse lui a rischiare la pelle come tutti gli altri, che

si pappava il meglio della pesca senza pericolo, rispondeva: — Bravo! e se in

mare mi capita una disgrazia, Dio liberi, che ci lascio le ossa, chi me li fa gli

affari miei? — Egli badava agli affari suoi, ed avrebbe prestato anche la

camicia; ma poi voleva esser pagato, senza tanti cristi; ed era inutile stargli a

contare ragioni, perché era sordo, e per di più era scarso di cervello, e non

sapeva dir altro che «Quel che è di patto non è d'inganno», oppure «Al giorno

che promise si conosce il buon pagatore». (Cap. IV)

Page 23: I Malavoglia - UniBG I Malavoglia.pdf · malvoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L’onorevoleScipioni e L’uomodi lusso) • 17 maggio 1878, scrivendo a Capuana, Verga

Se dovessi tornare a scrivere quel libro lo farei

come l’ho fatto (lettera dell’11 aprile 1881).

La felice intuizione d’artista con cui il Verga colava

la lingua comune e il dialetto isolano in un cavo

straordinariamente lavorato, come disse d’aver

voluto fare lo Zola colla lingua francese e il gergo

popolare parigino nell’Assommoir, rompeva a un

tratto tutte le nostre tradizioni letterarie impastate,

anzi che no, di pedanteria, tenaci, più di quello che

paia, anche nei meglio disposti verso le utili e

necessarie novità e arditezze ben riuscite. […]

L’evoluzione del Verga è completa. (Luigi

Capuana, 1881)