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nutili come frigoriferi al polo nord, due palchi “per comizi” sono stati montati nel centro di Perugia: in venti giorni di campagna elettorale non sono stati mai utilizzati. Nessun partito sembra rite- nere necessario esporre, di fronte alla gente in carne ed ossa, le proprie idee, le proprie proposte per il governo della regione. Soltanto qualche leader nazionale parla in qualche sala, quasi sempre con una scaletta di comizio valida per tutta Italia. Si discute nei salotti televisivi e principalmente utiliz- zando i brindisi di fine cena elettorale. E’ l’America che avanza a grandi passi con la gioia di tutti coloro che hanno scambiato l’essenza della democrazia americana con le distorsioni della classe politica di quel gran- de Paese. La sfida non è sul carisma dei lea- der in competizione, ma sulla qualità dei cuochi prescelti per i banchetti a cui si viene invitati. Quello che non c’è è una idea chiara del ruolo e del significato del governo regionale. Non ci è stato detto se nella prossima legislatura verrà riproposto uno statuto così come lo conosciamo né quale sistema politico si vuol costruire in sostituzione dell’attuale che tutti ritengono ignobile. La violenza della lotta per la con- quista della preferenza personale sta produ- cendo nuove lacerazioni in gruppi dirigenti già frantumati, che proprio per questo non riescono a diventare di qualità e di sensibi- lità regionale. La feudalizzazione della poli- tica raggiunge il suo apice, stratificando un senso comune che piega la scelta degli elet- tori alle carriere dei candidati piuttosto che alle qualità politiche delle proposte in campo. Il dibattito, infatti, ha riguardato firme false illegittimamente certificate, azio- ni di intrusione nell’anagrafe di Roma, le barzellette berlusconiane e poco d’altro. La destra le sue idee e i suoi programmi li sta realizzando ormai da tre anni. Soltanto i fessi continuano ad accusare Berlusconi di non attuare il suo programma. Lo ha fatto in molte cose e quello che il berlusconismo ha prodotto impegnerà qualche generazione nel lavoro di risanamento democratico. Quello che vuole la destra è evidente. Non c’è niente da capire. Qualcuno ha capito quali sono le idee forza dell’Unione? E’ vero che soltanto battere Berlusconi è un passaggio importante e decisivo per qualsia- si idea di rilancio di una politica riformatri- ce, ma insistiamo nel sostenere che il nodo è la sconfitta del berlusconismo come ideo- logia. Una ideologia che ha riguardato anche pezzi importanti del centrosinistra. Da qui lo sconforto per l’indifferenza con cui i leader del centrosinistra, ad ogni livel- lo, hanno marginalizzato la questione delle “riforme” istituzionali che la destra sta approvando al Senato della Repubblica. Se non in campagna elettorale, quando si rende consapevole il popolo italiano dei rischi che corre la democrazia? E’ vero che Prodi l’allarme lo ha lanciato con una certa nettezza, provocando oltre che le volgarità della destra anche i distinguo dei soliti cer- chiobottisti. E’ vero anche che, subito dopo, si è tornati a svolgere la tornata elet- torale come se si trattasse di un sondaggio di massa in attesa delle elezioni “vere”, quel- le politiche del 2006. Eppure le questioni sul tappeto, oltre quella istituzionale, riguardano il destino di tutti. Declino o non declino, l’Italia è un Paese dove diminuisce la capacità di competere con qualche speranza nei mercati mondiali, con un debito pubblico che va per la sua strada nonostante la “creatività” dei mini- stri. La tenuta dello stato sociale non è più sostenibile con la buona volontà dei governi locali di centrosinistra e c’è il rischio di un collasso per molti servizi e beni pubblici. La regione dell’Umbria ha i conti in ordine, dicono. Bravi. Anzi bravissimi. Sarebbe utile sapere come gestirete i tagli dei trasfe- rimenti nazionali ed europei. E la stagione elettorale sarebbe stata adatta per una forte mobilitazione a salvaguardia della tenuta sociale della nostra terra. Più preoccupati per la propria preferenza personale che per il resto, i leader locali hanno perso un’altra occasione per svolgere un confronto di massa. Del resto sono ormai molti anni che la politica ha smarrito il suo significato. Il ceto politico esegue il suo rito e chiede un’altra delega in bianco. Per nostra arcaica formazione, nonostante tutto, sollecitiamo la partecipazione al voto. Portiamo pazienza. commenti Le penne di pavone Il pastore e le sue imprese Parole, parole La tramontana La scienza e la marina Le belle famiglie 2 politica Aspettando che si faccia giorno 3 di Stefano Corradino Un accordo che non disarma 4 Renato Covino Più ombre che luci 6 di Osvaldo Fressoia Le piazze del fucilatore 7 di Salvatore Lo Leggio regione Nascita e morte del nuovo che avanza 8 di Renato Covino società La politica nella scienza 10 di Maurizio Mori La scuola nel marasma 11 di Stefano De Cenzo ambiente L’alibi della partecipazione 12 di Roberto Quirino La guerra dei rifiuti 13 di Alberto Barelli economia La forza della moneta 14 di Roberto Monicchia cultura Attualità della nonviolenza di m.m. La storia infinita 15 di Paolo Lupattelli Libri e idee 16 Marzo 2005 - Anno X - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 mensile umbro di politica, economia e cultura copia omaggio in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese I Regionali. Istruzioni per l’uso ampagna elettorale senza brividi. Né ci pare di qualche interesse almanaccare su chi verrà eletto o verrà trombato, verrebbe da dire “fatti suoi”. I motivi, almeno in Umbria, di questo ammosciamento sono evidenti. Non c’è par- tita, il dubbio è se il centrosinistra avrà una percentuale superiore o inferiore al 60%. Gli stessi esponenti del centrodestra appaio- no come rassegnati a perdere. Quanto ai programmi quello che si legge o si sente in proposito è desolante. Non solo non c’è una proposta coerente, ma neppure aleggia uno straccio di idea. Siamo di fronte ad uno scadimento dei gruppi dirigenti del centrosinistra. Ma non è l’unico dato da sottolineare, c’è anche la paura che il discu- tere di cose rischi di pregiudicare gli equili- bri faticosamente raggiunti. L’esempio più evidente è fornito dal congresso di Rifondazione, dove alla sensata e tutt’altro che estremistica protesta di alcuni della minoranza che contestavano che si fosse andati ad un accordo senza porre alcuna discriminante programmatica, Bertinotti ha opposto l’idea che il programma si fa nel crogiolo delle cose. Insomma al partito pro- cesso e alla tattica processo di luxembur- ghiana memoria ha aggiunto anche... il pro- gramma processo. D’altra parte il fatto che Berlusconi perda è strategico, non solo per eliminare un ele- mento di inquinamento della vita pubblica. La sua sconfitta rappresenterebbe il tramon- to della cosiddetta Seconda Repubblica, la fine di un equilibrio instabile di cui il cava- liere è stato, nel bene e nel male, il perno, e probabilmente rimetterebbe in discussione la deriva plebiscitaria e autoritaria andata avanti nell’ultimo decennio e supinamente accettata dalla sinistra moderata. Ciò costituisce un buon motivo per votare comunque per l’Unione e, al suo interno, per le forze alla sinistra di Uniti dell’Ulivo, nella speranza - sempre l’ultima a morire - che trovino coesione e autorevolezza nella nuova fase che si può aprire e facciano da contraltare alle pulsioni moderate. Insomma, senza parafrasare il Montanelli di “turatevi il naso e votate Dc”, è un voto utile, nonostante le poche illusioni e, perché no, un po’ di schifo. C Il banchetto elettorale Il presidente Johnson e il vice Humphrey a un barbecue elettorale

Il banchetto elettorale · 2017-06-14 · distorsioni della classe politica di quel gran-de Paese. La sfida non è sul carisma dei lea-der in competizione, ma sulla qualità dei

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nutili come frigoriferi al polo nord,due palchi “per comizi” sono statimontati nel centro di Perugia: in venti

giorni di campagna elettorale non sono statimai utilizzati. Nessun partito sembra rite-nere necessario esporre, di fronte alla gentein carne ed ossa, le proprie idee, le proprieproposte per il governo della regione.Soltanto qualche leader nazionale parla inqualche sala, quasi sempre con una scalettadi comizio valida per tutta Italia. Si discutenei salotti televisivi e principalmente utiliz-zando i brindisi di fine cena elettorale. E’l’America che avanza a grandi passi con lagioia di tutti coloro che hanno scambiatol’essenza della democrazia americana con ledistorsioni della classe politica di quel gran-de Paese. La sfida non è sul carisma dei lea-der in competizione, ma sulla qualità deicuochi prescelti per i banchetti a cui siviene invitati. Quello che non c’è è unaidea chiara del ruolo e del significato delgoverno regionale. Non ci è stato detto senella prossima legislatura verrà ripropostouno statuto così come lo conosciamo néquale sistema politico si vuol costruire insostituzione dell’attuale che tutti ritengonoignobile. La violenza della lotta per la con-quista della preferenza personale sta produ-cendo nuove lacerazioni in gruppi dirigentigià frantumati, che proprio per questo nonriescono a diventare di qualità e di sensibi-lità regionale. La feudalizzazione della poli-tica raggiunge il suo apice, stratificando un

senso comune che piega la scelta degli elet-tori alle carriere dei candidati piuttosto chealle qualità politiche delle proposte incampo. Il dibattito, infatti, ha riguardatofirme false illegittimamente certificate, azio-ni di intrusione nell’anagrafe di Roma, lebarzellette berlusconiane e poco d’altro. La destra le sue idee e i suoi programmi lista realizzando ormai da tre anni. Soltanto ifessi continuano ad accusare Berlusconi dinon attuare il suo programma. Lo ha fattoin molte cose e quello che il berlusconismoha prodotto impegnerà qualche generazionenel lavoro di risanamento democratico.Quello che vuole la destra è evidente. Nonc’è niente da capire. Qualcuno ha capitoquali sono le idee forza dell’Unione?E’ vero che soltanto battere Berlusconi è unpassaggio importante e decisivo per qualsia-si idea di rilancio di una politica riformatri-ce, ma insistiamo nel sostenere che il nodoè la sconfitta del berlusconismo come ideo-logia. Una ideologia che ha riguardatoanche pezzi importanti del centrosinistra.Da qui lo sconforto per l’indifferenza concui i leader del centrosinistra, ad ogni livel-lo, hanno marginalizzato la questione delle“riforme” istituzionali che la destra staapprovando al Senato della Repubblica. Senon in campagna elettorale, quando sirende consapevole il popolo italiano deirischi che corre la democrazia? E’ vero cheProdi l’allarme lo ha lanciato con una certanettezza, provocando oltre che le volgarità

della destra anche i distinguo dei soliti cer-chiobottisti. E’ vero anche che, subitodopo, si è tornati a svolgere la tornata elet-torale come se si trattasse di un sondaggiodi massa in attesa delle elezioni “vere”, quel-le politiche del 2006. Eppure le questioni sul tappeto, oltre quellaistituzionale, riguardano il destino di tutti.Declino o non declino, l’Italia è un Paesedove diminuisce la capacità di competerecon qualche speranza nei mercati mondiali,con un debito pubblico che va per la suastrada nonostante la “creatività” dei mini-stri. La tenuta dello stato sociale non è piùsostenibile con la buona volontà dei governilocali di centrosinistra e c’è il rischio di uncollasso per molti servizi e beni pubblici. Laregione dell’Umbria ha i conti in ordine,dicono. Bravi. Anzi bravissimi. Sarebbeutile sapere come gestirete i tagli dei trasfe-rimenti nazionali ed europei. E la stagioneelettorale sarebbe stata adatta per una fortemobilitazione a salvaguardia della tenutasociale della nostra terra. Più preoccupatiper la propria preferenza personale che peril resto, i leader locali hanno perso un’altraoccasione per svolgere un confronto dimassa. Del resto sono ormai molti anni chela politica ha smarrito il suo significato. Ilceto politico esegue il suo rito e chiedeun’altra delega in bianco. Per nostra arcaica formazione, nonostantetutto, sollecitiamo la partecipazione al voto.Portiamo pazienza.

commenti

Le penne di pavone

Il pastore e le sue imprese

Parole, parole

La tramontana

La scienza e la marina

Le belle famiglie 2

politica

Aspettandoche si faccia giorno 3di Stefano Corradino

Un accordo che non disarma 4Renato Covino

Più ombre che luci 6di Osvaldo Fressoia

Le piazze del fucilatore 7di Salvatore Lo Leggio

regione

Nascita e morte del nuovo che avanza 8di Renato Covino

societàLa politica nella scienza 10di Maurizio Mori

La scuola nel marasma 11di Stefano De Cenzo

ambiente

L’alibi della partecipazione 12di Roberto Quirino

La guerra dei rifiuti 13di Alberto Barelli

economia

La forza della moneta 14di Roberto Monicchia

cultura

Attualità della nonviolenzadi m.m.

La storia infinita 15di Paolo Lupattelli

Libri e idee 16

Marzo 2005 - Anno X - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10

mensile umbro di politica, economia e cultura

copia omaggio

in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese

I

Regionali.Istruzioniper l’uso

ampagna elettorale senza brividi.Né ci pare di qualche interessealmanaccare su chi verrà eletto o

verrà trombato, verrebbe da dire “fatti suoi”.I motivi, almeno in Umbria, di questoammosciamento sono evidenti. Non c’è par-tita, il dubbio è se il centrosinistra avrà unapercentuale superiore o inferiore al 60%.Gli stessi esponenti del centrodestra appaio-no come rassegnati a perdere. Quanto ai programmi quello che si legge osi sente in proposito è desolante. Non solonon c’è una proposta coerente, ma neppurealeggia uno straccio di idea. Siamo di frontead uno scadimento dei gruppi dirigenti delcentrosinistra. Ma non è l’unico dato dasottolineare, c’è anche la paura che il discu-tere di cose rischi di pregiudicare gli equili-bri faticosamente raggiunti. L’esempio piùevidente è fornito dal congresso diRifondazione, dove alla sensata e tutt’altroche estremistica protesta di alcuni dellaminoranza che contestavano che si fosseandati ad un accordo senza porre alcunadiscriminante programmatica, Bertinotti haopposto l’idea che il programma si fa nelcrogiolo delle cose. Insomma al partito pro-cesso e alla tattica processo di luxembur-ghiana memoria ha aggiunto anche... il pro-gramma processo.D’altra parte il fatto che Berlusconi perda èstrategico, non solo per eliminare un ele-mento di inquinamento della vita pubblica.La sua sconfitta rappresenterebbe il tramon-to della cosiddetta Seconda Repubblica, lafine di un equilibrio instabile di cui il cava-liere è stato, nel bene e nel male, il perno, eprobabilmente rimetterebbe in discussionela deriva plebiscitaria e autoritaria andataavanti nell’ultimo decennio e supinamenteaccettata dalla sinistra moderata.Ciò costituisce un buon motivo per votarecomunque per l’Unione e, al suo interno,per le forze alla sinistra di Uniti dell’Ulivo,nella speranza - sempre l’ultima a morire -che trovino coesione e autorevolezza nellanuova fase che si può aprire e facciano dacontraltare alle pulsioni moderate.Insomma, senza parafrasare il Montanelli di“turatevi il naso e votate Dc”, è un votoutile, nonostante le poche illusioni e, perchéno, un po’ di schifo.

C

Il banchetto elettoraleIl presidenteJohnsone il vice Humphreya un barbecue elettorale

ei pr imi, f reddiss imi,giorni di marzo CarlaSpagnoli, virgulto del-

l’illustre famiglia perugina, halanciato un appello: “Borghesidi tutta l’Umbria, unitevi escendete in campo”.Lo scorso anno si era candidataalle europee nell’Al-leanza postfascistadi Fini , oggi è laprima del listino diLaffranco. Ai più laf rase è sembratauna sconcia e ridi-cola stronzata, maCampi, l’editoriali-sta del “giornalino”,è gasat i s s imo: v iscorge i segni d iuna r i scossa bor-ghese, di una nuovamoralità che scuotele buone famigl ieperugine, aduse amimet izzars i peramore de l quietovivere.La prima ad acco-g l iere l ’ appel lo èstata un’altra Spa-gnol i , l a cuginaFrancesca, vedovadel medico Francesco Nar-ducci, scomparso misteriosa-mente 20 anni fa. Mentre dal-l’inchiesta giudiziaria trapelanoincessanti le voci sulle connes-sioni con i delitti del “mostrodi Firenze”, Francesca è scesain campo.Lanciato attraverso gli strilli ele anticipazioni della stampalocale, il libro Un amore all’in-

ferno, basato sui colloqui delgiornalista Cugia con la vedo-va, a Perugia era già introvabilequalche ora dopo l’uscita.La Spagnoli nei prossimi giornilo presenterà a Roma e Milano.Batti il ferro mentre è caldo. A giudicare dai resoconti sui

quotidiani non s’intravedononovità sconvolgenti, ma bastapoco per alimentare i pruritidel pubblico: il matrimonio dafavola tra i rampoll i di duegrande famiglie, l’invidia dellasorella, il primo coito, le stra-nezze del medico, il suo “tem-pio segreto”, gli strani compor-tamenti dei congiunti Nar-ducci, prima e, soprattutto,

dopo la scomparsa di Fran-cesco. La Spagnoli dice di vole-re da i magis t rat i l a ver i tà ,anche la più cruda, ma chiedealla pubblica opinione di noncondannare senza prove quelloche considerava il suo “dio”.Intanto fa cassa e cerca fama.

Non una, dunque,ma due sono leSpagnoli che (per laprobabile felicità diCampi) “romponoil tradizionale riser-bo”.Le fornicazioni coni fascisti sono unapratica duratura deiborghes i , da l losquadrismo a Salò,ma di rado essaviene ostentata.Quanto alle vergo-gne fami l iar i d inorma i panni spor-chi s i l avano incasa . “I borghes ison tutti dei porci,più sono marci, piùsono lerci” cantavaGiorgio Gaber.Si trattava di unaiperbole grottesca,

ma conteneva un grumo diverità.I migliori, però, si comportava-no con stile, nascondevano illerciume, tenevano ben chiusinegli armadi scheletri e caro-gne. Oggi l ’ av idi tà sembraincoraggiare l’ impudicizia edettare diverse norme di com-portamento. L’effetto è pesti-lenziale.

La scienzae la marinan varie città dell’Umbria si è svolta dal 14 al 20marzo la rassegna Umbria scienza, collegata allaXV Settimana nazionale della Scienza.

Numerosissime le iniziative assunte in diversi settoridello scibile: mostre e convegni su Giove e Saturno,dibattiti e spettacoli sulla luce, intrattenimenti mate-matici, mostre, laboratori, etc. L’impressione ricavatadalla lettura del pieghevole illustrativo è che prevalganettamente il curioso e lo sfizioso: si va infatti dallafisica in cucina alla scienza del vino, dal volo dellarondine alla scienza della voce, con annesso concertolirico. Tra le tante omissioni, alcune assai gravi anchein una manifestazione promozionale, spicca quelladella genetica, disciplina così promettente e così con-turbante. Forse si è voluto evitare che si parli dilibertà e divieti nella ricerca, tema scottante nell’im-minenza dei referundum.Uno stravagante manifesto è stato fatto affiggeredall’Università di Perugia. Vi campeggia una citazio-ne condivisibile: “Lo scienziato non è chi dà le vererisposte, ma chi propone le giuste domande”. E’ attri-buita a un tale Strauss, senz’altra indicazione, nénome personale né data né qualifica. Sarà uno deimusicisti, il filosofo o chi altro? Il poster contiene anche un invito: “Diventa scienzia-to, l’umanità ti ringrazierà”. Ci siamo ricordati di unantica pubblicità istituzionale: “Vieni in marina, gire-rai il mondo”. L’associazione di idee in questo caso è

trasparente. Ci capita di conoscere molti giovaniricercatori: domani forse l’umanità li ringrazierà, maoggi la politica italiana con il suo mix di tagli e divietili espelle dai patri confini, verso i laboratori di paesipiù aperti e generosi.

La tramontanaon questa testata seguita dal sottotitolo “Arianuova a Perugia” è uscito il n. 1 di febbraio2005 di un nuovo foglio locale, a distribuzio-

ne gratuita, diretto da Renzo Zuccherini, nome notoper le battaglie civili e l’impegno da gran tempo pro-fuso in particolare sui temi della protezione dell’am-biente, proseguendo così la linea di “Risonanze”diretto da Giorgio Filippi e di cui Zuccherini è stato(è ancora?) tra i redattori più attivi . “La tramontana- scrive Zuccherini nell’editoriale di presentazione - èil vento che spazza Perugia... porta il freddo, è vero,ma pulisce l’aria, disperde le nuvole e l’umidità,riporta il sereno”.Ecco, questo vorrebbe fare questo nuovo giornale:spazzare l’aria un po’ stagnante e chiusa della città, eportare aria nuova, idee aperte, discussione, dibatti-to”. Il giornale è affiancato da due siti rispettivamentetitolati, a maggiore esplicitazione della sua linea,l’uno “redattoreambientale” e l’altro con il capitinia-no “ilpotereditutti”. Al nuovo foglio, a RenzoZuccherini, alla redazione il ben arrivato e gli auguridi “micropolis”.

Le penne di pavoneMonsignor Paglia, vescovo di Terni, è stato protagonista il 10marzo del “diario” mattutino di Maurizio Costanzo. Ha parlato didialogo religioso e del suo nuovo libro, ripetendo in tutte le salseche “Dio ci vuole bene” e facendo risalire a questo amore origi-nario tutte le buone opere di cui gli uomini sono capaci. Comeesempio di ciò citava l’umile san Francesco. Quando il condutto-re, sornione, ha dichiarato: “Voi non lo sapete, ma monsignorPaglia è il vero artefice dell’accordo per le acciaierie di Terni”, ilprelato non ha fatto un cenno di diniego, né ha parlato della lottaoperaia, dell’impegno sindacale, della civica solidarietà, piuttostos’è gonfiato come una rana e si è applicato le penne di pavone,accaparrandosi tutto il merito. “Ai dirigenti della multinazionaleThyssen-Krupp - ha detto - abbiamo fatto capire che è necessariorispettare le persone”.

Il pastore e le sue impreseDai resoconti del convegno perugino svoltosi a metà nella sededi Assoindustria su Economia ed etica risulta che monsignorChiaretti, oltre ad essere vescovo di Perugia e Città della Pieve, èpresidente dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti. Che ivescovi fossero capitani di imprese lo sapevamo da tempo, nonsolo nel settore dell’allevamento ovino, ma in tanti altri, dall’im-mobiliare al turistico, ma una volta pudicamente velavano questaloro funzione, ora la esibiscono. I tempi cambiano.

Parole, paroleAi Rifondatori folignati piacciono le parole inusitate: in un conve-gno sulle ferrovie hanno protestato contro la “stradalità esaspe-rata”. Non sappiamo se la parola sia inventata o presa a presti-to: di sicuro nei vocabolari non c’è. In compenso fa rima conbanalità. Altre parole si segnalano per un uso quasi truffaldino.Sul “Corriere dell’Umbria” del primo marzo abbiamo letto un tito-lo riferito a Cascia, “Carabinieri sequestrano isola ecologica”. Cisiamo immaginati una sor ta di “Colonia felice”, un Eden diambientalisti creativi, insidiato da gendarmi “cattivi”, ma leggen-do l’articolo si apprende che l’isola è un ammasso di porcherie.

Il ciclista, la sciantosa,il dimezzatoNon sappiamo se i candidati si servano di image makers perapparire nei manifesti secondo il modello che desiderano propor-re di sé, in ogni caso ci provano. Così nel manifesto policromo ilcapolista perugino del Prc Tippolotti sfodera il suo migliore sorri-so e indossa un maglione da ciclista, che ne esalta la giovanilità.Giovanile e gioviale vuole apparire anche la forzista Spadoni, chesotto una giacca d’un vivido rosso mostra un foulard etnico e unvistoso collier. In realtà sembra una sciantosa. A Terni il diessinoRossi ha preferito mostrarsi di profilo. Perché ha nascosto l’altromezzo volto? C’è qualcosa che lo induce a vergogna?

Cornuto e mazziatoL’avvocato Ranieri di Foligno, candidato in pectore alle elezioniregionali per Forza Italia aveva già fatto stampare santini e mani-festi, ma è stato escluso all’ultimo momento. Aveva minacciatodi ricorrere alla giustizia avanzando un dubbio ragionevole: suquale lista erano state raccolte le firme? Richiamato da Scajola,ha ottenuto un incarico dal partito, lo hanno messo tra i dirigentidella Consulta cattolica di Fi. Probabilmente si tratta di una sine-cura, che lo aiuterà a recuperare il denaro già speso, ma per ilresto non pare un incarico allettante.

il piccasorci

2 commentimar zo 2005

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - è un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. Larubrica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e,ove necessario, di “rosicare il cacio”.

IC

il fatto

Le belle famiglieN

3 p o l i t i c amar zo 2005

uca Coscioni. 38 anni. Nato adOrvieto. Ex-ricercatore universi-tario e maratoneta. Anni fa èstato colpito dalla sclerosi latera-

le amiotrofica, che ha paralizzato il suocorpo. Una minima mobilità gli permettedi muovere il mouse di un computer ecomunicare attraverso un sintetizzatorevocale. Un uomo dal grande coraggio cheha trasformato il suo caso individuale in“caso politico”, in una battaglia collettivaper abolire la legge 40 sulla fecondazioneassistita, quella che proibisce la ricercasulle cellule staminali embrionali. LucaCoscioni oggi è il presidente dei Radicaliitaliani, e l’associazione che porta il suonome ha coinvolto un centinaio di premiNobel e promuove la costituzione delCongresso mondiale per la libertà diricerca scientifica.Patologie cardiovascolari, diabete,morbo di Parkinson e Alzheimer, sclerosie lesioni del midollo spinale... Ne sonoaffette centinaia di milioni di persone.L’utilizzo a fini terapeutici delle cellulestaminali embrionali potrebbe rappre-sentare la vera cura del prossimo futuro.Ma ci si ostina a schierarsi contro questotipo di ricerche, chiedendone addiritturail divieto. Perché?E’ semplicemente il tentativo del fronteproibizionista di subordinare la scienza aidogmi della Chiesa cattolica, mai come inquesto momento parte attiva anche alleNazioni Unite. L’Onu ha approvato unadichiarazione suggerendo ai governi divietare qualsiasi forma di clonazione sia afini riproduttivi che terapeutici, ritenendonon opportuna la distinzione. Una risolu-zione priva di qualsiasi peso politico per-ché i paesi favorevoli alla ricerca scientifi-ca sulle cellule staminali embrioniali equelli che si sono astenuti dal voto sonoin numero superiore a quelli favorevolialla messa al bando della clonazione tera-peutica. La legge italiana n. 40 sullafecondazione medicalmente assistita vietaanche la clonazione terapeutica. La clona-zione terapeutica non ha nulla a che vede-re con la clonazione riproduttiva. La clo-nazione terapeutica, infatti, si ottiene tra-sferendo il nucleo di una cellula adulta,ad esempio prelevata dalla cute, in un cel-lula uovo da cui è stato sottratto il nucleo.Attraverso una stimolazione la cellulauovo comincia a produrre cellule stami-nali embrionali che verranno prelevate edutilizzate al solo fine di studiare possibilicure.Il vantaggio è che consente di utilizzarecellule geneticamente identiche a quelledel paziente, eliminando così i rischi dirigetto.Tu ti stai scontrando contro le atavicheresistenze di una parte della Chiesa. Mac’è una parte del mondo cattolico che atuo avviso è più disponibile a discuterne? I cattolici non c’entrano nulla. Le gerar-chie vaticane conoscono bene la realtà dimolti credenti che accettano sia le verità

della religione sia le verità della scienza.Quando si è trattato di rispondere a que-stioni fondamentali della vita nell’ambitodella coscienza privata, proprio i cattolicisono stati in grado, per l’aborto e il divor-zio, di rifiutare il dogmatismo clericale.Nel 1995 è iniziato il tuo impegno poli-tico diretto come consigliere comunaledi Orvieto. Da allora sono trascorsi diecianni. Molte cose sono cambiate nella tuavita in conseguenza della malattia chehai contratto ma ciò che non è mutato èproprio il tuo impegno politico. Neiradicali, nell’associazione da te fondata.Che bilancio trai da questa esperienza? Ciascuno di noi forse dovrebbe fermarsiogni tanto a fare un bilancio delle espe-rienze vissute. E’ necessario guardarsi perverificare dove stiamo andando e cosastiamo diventando, se siamo fedeli a noistessi, alla nostra coscienza maturata conil buon senso, la riflessione e l’esperienzadi vita. La sclerosi laterale amiotrofica mi costrin-ge ormai da nove anni a molteplici sforziper non cedere alla disperazione piùprofonda. La mia esperienza è anchequella di chi vede quotidianamente violatidiritti fondamentali a partire da quellodel rispetto della dignità umana, quelladei malati che potrebbero trovare curacon la ricerca sulle cellule staminaliembrionali. Il percorso fatto ha interessa-to e interessa l’eliminazione dei pregiudi-zi sulle diversità e la violenza di quei dog-matismi che privano i più deboli, e,aggiungo, le persone che ne hanno cura,di una esistenza dignitosa. E non solo.Essere diventato il simbolo di una batta-glia di libertà rafforza, credo, anche glialtri. Io faccio politica radicale, e voglioche le mie ragioni, oltre che le mie soffe-renze, vincano: sui referendum, sullalibertà e responsabilità individuale nelleterapie, sull’eutanasia...José Saramago, uno dei 50 premi Nobelche sostengono apertamente la tuacausa, ha scritto: “Attendevamo damolto tempo che si facesse giorno, erava-mo sfiancati dall’attesa, ma ad un trattoil coraggio di un uomo reso muto da unamalattia terribile ci ha restituito unanuova forza”. Quanto è stato importanteil sostegno alla tua causa individuale ecollettiva di esponenti così autorevoli?Le parole che il premio Nobel portogheseper la letteratura, Josè Saramago, mi harivolto sono state molto forti e toccanti, emi hanno, in qualche modo, fatto sentireda subito legato a lui. L’incontro fisicodunque è stato inevitabile e straordinario.In quella occasione mi ha detto che lanostra lotta deve essere oggetto di unagrande campagna di opinione pubblicache renda visibile una realtà che alcuneentità tendono ad occultare. “Per quanto possono le mie forze, io nonho potere nelle mani, contate su di me” -queste le parole che mi ha rivoltoSaramago, nell’accettare di divenire

Presidente d’Onore dell’Associazione cheporta il mio nome per la libertà di ricercascientifica e di scrivere la prefazione dellaseconda edizione del mio libro IlMaratoneta. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna leleggi sulla clonazione terapeutica sonostate varate molti mesi fa; Francia,Germania, Svezia e Spagna hanno intra-preso con convinzione la strada della clo-nazione terapeutica. In Italia siamofermi. E la responsabilità, affermi tu, èdi entrambi gli schieramenti politici.Senza alcun distinguo? Alcune forze delcentrosinistra hanno raccolto decine dimigliaia di firme... Non ritieni che asinistra ci siano migliori condizioni didialogo legate, storicamente, ad unamaggiore sensibilità per le battaglie civi-li? Il veto sulle Liste radicali-Luca Coscionialle prossime consultazioni regionali èstato imposto dalle minoranze clericali dientrambi gli schieramenti. Se Berlusconiera determinato a realizzare l’accordo diospitalità delle nostreliste, ha dovuto obbe-dire e i “servi” si sonofatti padroni. Sull’altrofronte la maggioranzadella Margherita, conProdi in testa, si è fattainterprete delle gerar-chie ecclesiastiche ed èprevalsa sulle posizionifavorevoli ad un’intesaelettorale, espresse ne-gli ultimi giorni daiDs, da RifondazioneComunista, dallo Sdi eda una minoranza dellaMargherita stessa, tral’altro, con un appellofirmato da oltre 150parlamentari. Sonoperò sicuro che i loroelettori vorrebbero in maggioranza ribel-larsi a questa scelta, proprio come i catto-lici in maggioranza devono subire politi-che vaticane che non condividono e nonvivono. Tra pochi mesi dovremo votare sul refe-rendum contro la legge 40/2004 per laprocreazione assistita. La data del votonon è stata ancora fissata e sembranoesserci fortissime pressioni affinché leurne si aprano in una giornata “balnea-re”, a giugno, in modo da rendere diffici-le il raggiungimento del quorum del50% dei votanti. E’ così? Sarebbe più opportuno far svolgere ilreferendum a maggio e non a giugno,non in prossimità delle ferie estive, inmodo da evitare il fenomeno dell’asten-sione. E questo il governo lo sa. La leggeconsente che il Governo possa decidereuna data che sia tra il 15 aprile e il 15giugno. Sa che deve scegliere il giorno piùadeguato per consentire l’elettore adandare alle urne. E il giorno più opportu-

no certamente non sarà quello che faràprevalere questioni di opportunità politi-ca, rispetto agli interessi del corpo eletto-rale che dovrebbe essere quello di votarenelle migliori condizioni possibili. Verràpenalizzata l’affluenza alle urne dell’elet-torato. Nel centrodestra in molti tendono adinvitare gli elettori ad andare al mare.Berlusconi a suo tempo ha addiritturadichiarato che i referendum “liberisti”dei radicali erano invece referendum“comunisti”... Cosa ne pensi?Parlano di libertà di coscienza, come se lanostra coscienza avesse bisogno del loropermesso. Ma a me non interessa che si“schierino”. Mi interessa molto di più checonsentano una partita non truccata, unconfronto vero, fatto di dibattiti e diinformazioni. E spero anche cheBerlusconi non fissi il voto al 13 giugno,come fece Prodi nel ‘97, arruolando d’uf-ficio quei milioni di famiglie che sono giàvia dal luogo di residenza.In conclusione ci dici perché i cittadini

italiani devono andarea votare al referendume quanto e’ importantequesta battaglia dicivilta’?Rimando al sito www.lucacoscioni.it la spie-gazione dettagliata dellemotivazioni che i citta-dini devono conoscereper deliberare. Mi limi-to qui a dire che votan-do sì ai referendum nonsi difende solo il dirittoalla fecondazione assi-stita, si difende il dirittoalla libertà di scelta e dicoscienza, che includela libertà di procreare.In uno Stato liberaleper reprimere una

libertà occorre che il suo esercizio provo-chi un danno alla libertà di un’altra perso-na. Mettere al mondo un figlio con lafecondazione assistita non è un’attivitàcriminale. Mettere al mondo un figlio èun atto di amore.Votare sì significa anche liberare la societàitaliana dalle ingerenze delle gerarchieecclesiastiche, e porre un freno alla derivaclericale e autoritaria della Chiesa cattoli-ca, restituendo anzitutto ai fedeli lalibertà religiosa, al posto dell’obbligo diprofessare una religione di stato. Votare sìsignifica consentire la ricerca sulle cellulestaminali embrionali. Abbiamo quindi ildovere morale di sostenere tutte le stradepossibili della ricerca, per raggiungere ilprima possibile il risultato sia sulle cellulestaminali adulte che quelle embrionali.Votare sì significa votare contro l’equipa-razione tra concepito e persona; per con-sentire la diagnosi preimpianto e la fecon-dazione eterologa, unico rimedio possibilein caso di infertilità totale.

Aspettandoche si faccia giorno

Stefano Corradino

L

Un’intervistaesclusiva all’orvietanoLuca Coscionisui referendum,per il rispettodella dignitàe la libertàdella ricerca

4 p o l i t i c amar zo 2005

ubblichiamo per inte-ro sia i l documentodella direzione azien-dale, presentato il 25

gennaio, su cui è avvenuta larottura, che il testo dell’accordodefinitivo, siglato tra azienda esindacati il 26 febbraio, nonsolo per un dovere di informa-zione ai nostri lettori, ma perun motivo più di merito. Neigiorni successivi all’accordo, eancora oggi, organi di stampa,associazioni imprenditoriali, lostesso governo, ma non solo,hanno sostenuto che in realtàl’accordo firmato non differivadalla piattaforma dell’azienda.Da una lettura attenta ci si puòrendere conto che così non è.Certo, il magnetico chiude, maquesto era già chiaro dopo il 7gennaio. Su ciò l’azienda nonconcedeva margini di trattativa.Ma per il resto le differenze, diforma e di sostanza, sonosostanziali.

Le linee dell’accordo

Sulla forma. L’accordo è statofatto tra azienda e sindacato eda questo punto di vista rappre-senta una vittoria di quest’ulti-mo, che è arrivato alla firmasenza la pletora di tutele esterneeserci tate costantemente.Governo, Enti locali, associazio-

ni imprenditor ia l i , Vescovosono rimasti fuori dall’ultimafase della trattativa e questo diper sé è un bene. Dopo anni larappresentanza dei lavoratoririconquista una sua sostanzialeautonomia, liberandosi da tute-le esterne. Si tratta di una svoltache non può non essere valoriz-

zata e che fa giustizia della leg-genda metropolitana secondocui la trattativa si stava conclu-dendo grazie alla mediazione dimonsignor Paglia nel corso diuna cena da quest’ultimo orga-nizzata . Ciò, naturalmente,esclude che, al di là di accordigenerici e protocolli d’intesa, la

ThyssenKrupp Ast sia disponi-bi le a sedere a farraginosi ,affollati e inconcludenti tavoliterritoriali, ma neppure in pre-cedenza la multinazionale appa-riva disponibile a partecipare atali riti.Nella sostanza. I primi quattroarticoli sono ripresi in gran

parte dal testo precedente, conqualche significativa variante.In primo luogo si porta il sinda-cato ufficialmente a conoscenzadel piano industriale, in secon-do luogo salta la frase in cui sisosteneva, con scarsa eleganza,che l’Ast aveva beneficiato di200 milioni di euro di investi-menti in più rispetto alla conso-rella tedesca. Le varianti signifi-cative però cominciano dall’ar-ticolo 5. Nel testo originario siprevedeva una diminuzione del-l’occupazione di 155 unità, nel-l’accordo ciò sparisce. Allo stes-so modo l’assorbimento deilavoratori del magnetico eraprevisto solo nell’inossidabile,oggi s i accetta di spalmarloanche nelle controllate, segnoche l’impegno nei confronti diquest’ultime diviene più vinco-lante. Inoltre si prevede che l’a-zienda manterrà fino al 2008-2009 l’occupazione invariata,impegnandosi ad assumere qua-lora si scendesse sotto i livelliattuali, mentre si introduconoelementi di tutela a favore dellesocietà a partecipazione minori-taria Ast che, a parità di condi-zioni, vengono privilegiate neiconfronti delle ditte esterne.Infine si assume l’impegno diinformare i coordinatori delleRappresentanze sindacali unita-rie sull’andamento dell’occupa-

P

Un accordo che non disarmaRenato Covino

9 punti della propostadell’Ast del 25 gennaiosu cui è avvenutala rottura tra aziendae sindacati

1. La ThyssenKrupp conferma la sua strategia come leadermondiale della produzione di acciai inossidabili laminatipiani. In una prospettiva a lungo termine l’Ast è parte fonda-mentale di questa strategia. Su questo si fonda il piano indu-striale dell’Ast.Basandosi su questo concetto industriale la ThyssenKrupp siimpegna ad importanti investimenti sul suo sito produttivo diTerni con i quali potrà essere migliorata a lungo termine lacompetitività delle azioni inox, nonché la loro qualità e quan-tità con particolare riferimento alla produzione di laminati afreddo. Questi investimenti notevoli serviranno inoltre allaverticalizzazione della produzione inox nel territorio, con l’ar-ricchimento di tutte le produzioni a valle, come illustrato nelpiano industriale. Nei prossimi anni saranno erogati investi-menti secondo le regole della ThyssenKrupp, in base alle qualil’ammontare minimo degli investimenti è pari a circa 45%degli ammortamenti minimi degli impianti (attualmente paria circa 30 milioni di euro). A questi si aggiungono ulterioriinvestimenti in funzione dei risultati economici aziendali.Pertanto sulla base di tale regola e sulla base dei risultati attesidi gestione per l’esercizio attuale e quello a venire, gli investi-menti saranno di circa 94 milioni di euro, inclusi quelli per lacommercializzazione dei prodotti Ast, a cui si aggiungono i30 miliardi di euro per l’investimento nel laminatoio a freddoche rappresenta quindi un investimento straordinario aggiun-tivo, una tantum, come meglio specificato al punto 2.ThyssenKrupp conferma quindi la propria volontà di raffor-

zare adeguatamente il sito siderurgico ternano, che ha sin quiprofittato di investimenti per 200 milioni di euro in piùrispetto a quello tedesco, per migliorare soprattutto gli aspettiqualitativi e quantitativi delle proprie produzioni e consolida-re quindi la propria leadership mondiale sul fronte degli acciaiinossidabili.In tale ottica dunque si conferma il ruolo strategico di Ast eNirosta [la società tedesca] quali componenti con pari dignitàdi quello che di fatto costituisce il polo di produzione diacciaio inox di rilevanza mondiale. Questo significa che le dueaziende, che si collocano allo stesso livello della gerarchia digruppo, vengono gestite in maniera del tutto omogenea,applicando le medesime regole, salva ovviamente l’osservanzadelle leggi nazionali.2. Come segnale concreto della fiducia della ThyssenKruppnel futuro del sito produttivo di Terni e della sua volontà dicreare questo futuro, la società investirà in un nuovo lamina-toio a freddo al passo con le nuove tecnologie per circa 30miliardi di euro, che entrerà in funzione entro il 2006 e cheprodurrà laminati di elevata qualità per soddisfare meglio leesigenze del mercato. Insieme ad un ulteriore rafforzamento della rete di distribu-zione, questo investimento serve ad incrementare la commer-cializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto. Tenuto conto che la produzione di laminati a freddo ha rag-giunto quest’anno il volume di 550 mila tonnellate (la produ-zione più alta realizzata sino ad ora) il nuovo laminatoio èdestinato ad accrescere tale volume produttivo che, secondo leprevisioni aziendali, raggiungerà nel 2008 le 700 mila tonnel-late. La linea del nuovo laminatoio si aggiunge a quelle attual-mente in produzione (esercizio 2003-2004: con 550 mila ton-nellate di produzione). Pertanto, sulla base delle previsioni delpiano industriale, il volume produttivo complessivo dell’Astraggiungerà nell’esercizio 2008-2009 il valore di 1,4-1,5milioni di tonnellate.3. Per la società Titania la ThyssenKrupp si impegna a mante-nere le attuali produzioni e studiare piani di consolidamento edi rilancio.

4. Nell’ambito della ristrutturazione del sito produttivo diTerni, le produzioni di lamerino magnetico saranno ridottegradualmente e cesseranno non oltre il 31 dicembre 2005. 5. Tutti i 360 addetti alle produzioni del magnetico integratinella produzione dell’inox, ad eccezione di 28 addetti in pos-sesso di requisiti pensionistici o dei requisiti di modalità per ilraggiungimento dei requisiti pensionistici. Una parte di talepersonale, per 127 unità, andrà a sostituire il personale Ast econtrollate che uscirà per il raggiungimento dei requisiti pen-sionistici o di mobilità finalizzata alla pensione. La lista deipensionamenti e della mobilità, pertanto, non supererà nelcomplesso le 155 unità (28 dal magnetico e 127 dall’Ast ocontrollate), mentre gli altri lavoratori attualmente addetti almagnetico saranno adibiti a nuovi posti di lavoro creati aseguito degli investimenti e/o dei miglioramenti organizzativi.6. Per i 634 dipendenti con contratti a termine l’azienda siimpegna alla loro riconferma, alle scadenze previste, secondole modalità a tutt’oggi utilizzate.7. Per la società delle Fucine la ThyssenKrupp si impegna amantenere le attuali produzioni per l’anno in corso. In questoperiodo la ThyssenKrupp valuterà, peraltro, investimenti peril miglioramento qualitativo ed interventi per migliorare lasituazione economica.Alla fine del 2005, l’Azienda valuterà, in dialogo con leOO.SS. e con il Governo, le decisioni da assumere per rilan-ciare la produzione, anche mediante l’eventuale ricerca di ade-guata partnership comprese società del gruppo Thyssen-Krupp.8. La ThyssenKrupp sosterrà e collaborerà con enti e societàpresenti sul territorio, ad iniziative volte alla ricerca ed allascienza.9. La ThyssenKrupp è disponibile a partecipare, in dialogocon il Governo, gli Enti Locali e le altre parti interessate, alladefinizione di un Protocollo d’Intesa volto a sostenere inizia-tive per il miglioramento dei fattori localizzativi, infrastrut-turali con particolare riferimento al rifornimento energeticoa prezzi competitivi.

zione e degli investimenti. Tutto ciò,unito ad un volume di investimenti di124 milioni di euro e all’impegno nelleproduzioni a freddo, lascia pensare che -con tutti i rischi del caso - ci sia l’inten-zione di mantenere in vita e di garantirelo sviluppo del polo ternano. Insommaper una vertenza messa male, in cui ilrischio era quello di uno stallo, la chiu-sura appare tutt’altro che disprezzabile.E’ un risultato che, per quanto riguardala fase finale, è stato realizzato quasiesclusivamente dai lavoratori e dai lorosindacati, grazie ad azioni di lotta e aduna mobilitazione continua, con uncoinvolgimento - che pure c’è stato -minore della città e della regione rispettoallo scorso anno. Ciò avvalora la ipotesidel pareggio adombrata da un lavoratoredurante le assemblee che hanno seguitol’accordo. Un uno ad uno con un goalsegnato fuori casa si è detto, metaforaripresa da Giorgio Cremaschi che fuorida ogni trionfalismo ha spiegato come ilsindacato abbia sperimentato una nuovastrada di rapporto con le multinazionali,che sul magnetico la battaglia sia statapersa, mentre risultati significativi sonostati ottenuti per quanto riguarda latutela degli organici e il controllo deiprocessi di investimento. Cremaschi, in una sua intervista a “ilmanifesto”, ha messo in luce le dramma-tiche carenze del governo, il suo appog-gio tutto di facciata alla protesta operaia.E’ implicita e condivisibile, in questaposizione, la critica ad un’ipotesi - colti-vata dalle istituzioni locali - che contavasull’intervento governativo per sbloccarela vertenza.

Il dopo accordo

Quello che è avvenuto dopo la chiusuradella trattativa è altrettanto significativo.Per la prima volta, a quanto ci risulta, siè andati ad una consultazione formaliz-zata dei siderurgici ternani attraverso unreferendum. Ciò è ancor più significati-vo nel momento in cui tutti i sindacati -perfino quelli dubbiosi su tale pratica -hanno accettato di sottoporre al votooperaio l’operato della delegazione sin-dacale. L’accordo è passato a maggioran-za e, tuttavia, il voto merita qualcheriflessione. Su 3.882 aventi diritti al votoil 21,4% (829 lavoratori) non hannopartecipato alla consultazione i votantisono stati quindi 3.053 (78,6%). Diquesti 2.140 (70,1%) hanno votato afavore, 696 (22,1%) contro, mentre leschede bianche e nulle sono state 217(7,8%). Insomma una maggioranza soli-da, ma niente affatto bulgara, che mostracome ci siano settori di sofferenza e didiffidenza nei confronti dell’azienda e,sopratutto, di vigilanza rispetto allagestione dell’accordo.Se si disaggregano i dati tali elementirisultano ancora più evidenti.A Terni i no registrano percentuali piùalte alla Elettrotreni, una partecipatadalla Thyssen Krupp e dall’imprenditore

piemontese Coppo, che lavora nell’in-dotto del magnetico. Alla Ilserv risultaaver votato solo il 50% degli aventi dirit-to. Le percentuali più alte si registranoinvece nei settori legati all’inossidabile,dove le scelte dell’azienda consolidano leposizioni. A Torino, infine, partecipano al votosolo 225 su 479 dipendenti, forse nellaconvinzione che si pensi da parte azien-dale ad un ridimensionamento dell’im-pianto. Insomma dove si affermano cer-tezze l’accordo passa senza difficoltà,dove queste certezze sono meno evidentisi manifestano aree di incertezza e di dis-senso. Ciò non è di per sé un male.Indica ai sindacati la necessità di unagestione attenta e puntuale dell’accordo,che salvaguardi tutti i lavoratori dell’Ast.E, comunque, per il momento emergecome l’occupazione non sia a rischio,come non lo è, nei fatti, il ridimensiona-mento dell’impianto ternano. Certo, lamonocultura produttiva rischia di toglie-re flessibilità all’impresa, ma giocare sudue prodotti (inossidabile e magnetico)non avrebbe di per sé assicurato certezzemolto maggiori.

Il nuovo management

L’ultimo dato da sottolineare sono i cam-biamenti del management. Si sapeva giàche, conclusa la vertenza, Rademachersarebbe passato ad un altro incarico. Ilnuovo vertice della società sarà costituitoda Jurgen Herman Fhecter, presidente, eda Harald Espenhanhn, amministratoredelegato. Su undici membri del consigliodi amministrazione gli italiani sarannosolo tre: Luigi Agarini, come vicepresi-dente, Mauro Borghesi e Marco Pucci.Tranne Agarini si tratta di tecnici di cuiuno, Borghesi, ormai vicino al pensiona-mento. I tedeschi invece hanno anchealtri ruoli nella capofila: la Thyssen-Krupp Stainless. D’altro canto che gliitaliani non avranno un ruolo centrale sievince anche dalla composizione delgruppo dirigente, tutto scelto all’internodel Consiglio di amministrazione. Nefaranno parte Borghesi con delega almarketing e Pucci al commerciale, macon altri due tedeschi e con l’ammini-stratore delegato, anch’esso tedesco.Rademacher, per il momento, rappresen-terà la società nelle sedi istituzionali enella trattativa con il governo per quantoriguarda energia, infrastrutture e logisti-ca, con sommo fastidio delle istituzioni,che se lo troveranno nuovamente tra ipiedi dopo essere stati, di fatto, da luiesclusi dall’accordo. Insomma la multi-nazionale ha riconquistato la “sua azien-da” così come il sindacato ha riconqui-stato l’esclusiva rappresentanza dei lavo-ratori. E’ definitivamente tramontata l’e-poca e l’ipoteca del management eredita-to dalle vecchie partecipazioni statali,oggi tutto fuori gioco. Non sappiamo seciò sia un bene, certo è che la situazionenon sarà certo peggiore di quella del pas-sato.

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Primo TencaArtigiano Orafo

Via C.?Caporali, 24 - 06123 PerugiaTel. 075.5732015 - [email protected]

I 12 punti dell’accordofirmato il 26 febbraio 20051. La ThyssenKrupp conferma la sua strategia come leader mondiale della produzione di acciaiinossidabili laminati piani. In una prospettiva a lungo termine l’Ast è parte fondamentale di que-sta strategia. Su questo si fonda il piano industriale dell’Ast.Basandosi su questo concetto industriale la ThyssenKrupp si impegna ad importanti investimentisul suo sito produttivo di Terni con i quali potrà essere migliorata a lungo termine la competiti-vità delle azioni inox, nonché la loro qualità e quantità con particolare riferimento alla produzio-ne di laminati a freddo. Questi investimenti notevoli serviranno inoltre alla verticalizzazione dellaproduzione inox nel territorio, con l’arricchimento di tutte le produzioni a valle, come illustratonel piano industriale e di cui viene fornita copia alle OO.SS. Nei prossimi anni saranno erogatiinvestimenti secondo le regole della ThyssenKrupp, in base alle quali l’ammontare minimo degliinvestimenti è pari a circa il 45% degli ammortamenti minimi degli impianti (attualmente pari acirca 30 milioni di euro). A questi si aggiungono ulteriori investimenti in funzione dei risultatieconomici aziendali. Pertanto sulla base di tale regola e sulla base dei risultati attesi di gestioneper l’esercizio attuale e quello a venire, gli investimenti saranno di circa 94 milioni di euro, inclu-si quelli per la commercializzazione dei prodotti Ast, a cui si aggiungono i 30 miliardi di euro perl’investimento nel laminatoio a freddo che rappresenta quindi un investimento straordinarioaggiuntivo, una tantum, come meglio specificato al successivo punto 2.ThyssenKrupp conferma quindi la volontà di rafforzare adeguatamente il sito siderurgico terna-no, per migliorare soprattutto gli aspetti qualitativi e quantitativi delle proprie produzioni e con-solidare quindi la propria leadership mondiale sul fronte degli acciai inossidabili.In tale ottica dunque si conferma il ruolo strategico di ThyssenKrupp Ast e ThyssenKruppNirosta [la società tedesca] quali componenti con pari dignità di quello che di fatto costituisce ilpolo di produzione di acciaio inox di rilevanza mondiale. Questo significa che le due aziende, chesi collocano allo stesso livello della gerarchia di gruppo, vengono gestite in maniera del tuttoomogenea, applicando i medesimi principi, salva ovviamente l’osservanza delle leggi nazionali.2. Come impegno concreto della fiducia della ThyssenKrupp nel futuro del sito produttivo diTerni e della sua volontà di creare questo futuro, la società investirà in un nuovo laminatoio afreddo al passo con le nuove tecnologie per circa 30 miliardi di euro, che entrerà in funzioneentro il 2006 e che produrrà laminati di elevata qualità per soddisfare meglio le esigenze del mer-cato. Insieme ad un ulteriore rafforzamento della rete di distribuzione, questo investimento serve adincrementare la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto. Tenuto conto che la produzione di laminati a freddo ha raggiunto quest’anno il volume di 550mila tonnellate (la produzione più alta realizzata sino ad ora) il nuovo laminatoio è destinato adaccrescere tale volume produttivo che, secondo le previsioni aziendali, raggiungerà nel 2008 le700 mila tonnellate. La linea del nuovo laminatoio si aggiunge a quelle attualmente in produzio-ne (esercizio 2003-2004: con 550 mila tonnellate di produzione). Pertanto, sulla base delle previ-sioni del piano industriale, il volume produttivo complessivo dell’Ast raggiungerà nell’esercizio2008-2009 il valore di 1,4-1,5 milioni di tonnellate.3. Per la società Titania la ThyssenKrupp si impegna a mantenere le attuali produzioni e a verifi-care piani di consolidamento e di rilancio.4. Nell’ambito della ristrutturazione della ThyssenKrupp Ast, le produzioni di lamierino magne-tico, a seguito della delibera del Consiglio di Sorveglianza della ThyssenKrupp GmbH del 28gennaio 2005, saranno ridotte gradualmente e cesseranno entro e non oltre il 31 dicembre 2005.Le OO.SS. ne prendono atto, fermo restando le valutazioni espresse.5. Tutti gli addetti alle produzioni del magnetico saranno integrati nelle produzioni del gruppoThyssenKrupp Ast. Una parte di tale personale andrà a sostituire il personale Ast e controllateche uscirà per il raggiungimento dei requisiti pensionistici, concordando di fare ricorso allamobilità finalizzata alla pensione, secondo le modalità a tutt’oggi utilizzate, gli altri lavoratoriattualmente addetti al magnetico saranno adibiti a nuovi posti di lavoro creati a seguito degliinvestimenti e/o dei miglioramenti organizzativi.6. Per i 634 dipendenti con contratti a termine l’azienda si impegna alla loro riconferma, alle sca-denze previste, secondo le modalità a tutt’oggi utilizzate.7. Per la società delle Fucine la ThyssenKrupp si impegna a mantenere le attuali produzioni perl’anno in corso. Per l’anno 2005 la ThyssenKrupp valuterà, peraltro, investimenti per il migliora-mento qualitativo ed interventi per migliorare la situazione economica.Dopo questo, l’Azienda valuterà, in dialogo con le OO.SS. e con il Governo, le decisioni da assu-mere per rilanciare la produzione, anche mediante l’eventuale ricerca di adeguata partnershipcomprese società del gruppo ThyssenKrupp.8. Alle stesse prestazioni a corrette condizioni di mercato le società di partecipazione minoritariadella ThyssenKrupp Ast saranno privilegiate rispetto a società esterne.9. Basandosi sulle previsioni di piano, il livello occupazionale rimarrà costante fino al 2008-2009. A tale scopo l’azienda realizzerà apposite assunzioni. In caso di variazioni significative dellasituazione di mercato questo impegno sul livello occupazionale non potrà essere mantenuto.10. I coordinatori delle Rsu saranno informati dalla direzione aziendale nell’ambito di incontritrimestrali sull’andamento del livello occupazionale e lo stato degli investimenti.11. La ThyssenKrupp sosterrà e collaborerà con enti e società presenti sul territorio, ad iniziativevolte alla ricerca ed alla scienza.12. La ThyssenKrupp è disponibile a partecipare, in dialogo con il Governo, gli Enti Locali e lealtre parti interessate, alla definizione di un Protocollo d’Intesa volto a sostenere iniziative per ilmiglioramento dei fattori localizzativi, infrastrutturali con particolare riferimento al rifornimentoenergetico a prezzi competitivi.

e elezioni regionali sono ormai“domani”, ma se non fosse per ifaccioni dei candidati che pen-dono tristemente dai muri delle

città, e che rimandano più a loculiingranditi di cimiteri che ad una immi-nente tenzone elettorale, nulla o poco più,farebbe pensare a tale scadenza, che soloqualche lustro fa avrebbe infiammato ognicontrada dell’Umbria. Pesa certamente ilfatto che, pare, qui in Umbria non vi siapartita e che il centro-sinistra vincerà age-volmente, ma dell’Umbria, dei suoi pro-blemi più urgenti e delle sue prospettivec’è poca traccia, non solo nei tabellonielettorali, ma anche nel dibattito politico(ormai soprattutto televisivo). Eppure cosedi cui parlare e preoccuparsi non manche-rebbero, in una regione che - esauriti i fat-tori trainanti dello sviluppo degli ultimi30 anni che l’avevano portata quasi allesoglie del novero delle regioni più avanza-te, ed esauriti anche i fondi per il terremo-to - appare sempre più come sospesa e inbilico tra stagnazione, sviluppo (semprepiù ipotetico) e arretramento. Di questoabbiamo voluto parlare con i sindacatiumbri, attraverso la voce dei rispettivisegretari regionali, Manlio Mariotti (Cgil)Pierluigi Bruschi (Cisl) e Roberto Silvestri(Uil) con cui, uno ad uno, siamo riuscitiad incontraci, per cercare di enucleare, sepossibile, elementi di analisi ed alcunerisposte rispetto a questioni come, peresempio, quelle legate al Patto perl’Umbria, alla situazione economica e pro-duttiva regionale, al la vicenda AstThyssenKrupp (TS-AST) e, facendo riferi-mento, ovviamente, anche alla imminentescadenza elettorale, alle richieste da farealla politica. La prima cosa che emerge allaluce di questi incontri è un’ampia identitàdi vedute fra le tre organizzazioni sindacaliumbre, una spia anche questa, secondonoi, della gravità di una situazione, avver-tita implicitamente come un fattore cheormai mette a rischio la stessa tenuta delleorganizzazioni dei lavoratori. Ciò trovasubito conferma nella valutazione data delPatto per l’Umbria che - ben lungi dallaliturgica esaltazione che di esso viene fattacontinuamente, soprattutto dai massimilivelli istituzionali e politici regionali - ègiudicata da tutti, complessivamente,positiva. Si sottolinea in proposito comel’introduzione del metodo della concerta-zione, abbia formalizzato finalmente untipo di relazioni industriali che, pur contutti i limiti, costituisce un passo in avan-ti. Non mancano, però, i rilievi critici. Piùaspro il giudizio della Cisl: il Patto per losviluppo, al di là della bontà indubbia delmetodo, di fatto si è tradotto in una con-trattazione “più consociativa che concerta-tiva, che proprio per questo non ha intac-cato le criticità del sistema Umbria” dicein maniera recisa Bruschi. La verità - facapire - è che tutti gli attori sociali, conresponsabilità maggiori da parte dellaRegione, hanno continuato a gestire le

ingenti risorse (pubbliche) come prima,rispettivamente offrendole e ricevendole,indipendentemente dal loro essere legate omeno a precisi programmi di sviluppo.Più articolato il giudizio di Mariotti (Cgil)e di Silvestri (Uil) che sottolineano comeil Patto abbia rappresentato prima di tuttouna controtendenza, di grande importanzapolitica, rispetto ad un tipo di relazioniindustrial i che a l ivel lo centrale, i lGoverno Berlusconi aveva cercato di pie-

gare in senso apertamente autoritario.“Non dimentichiamo - dice Mariotti - cheil Patto per l’Umbria è intervenuto appenadue mesi dopo quello ‘per l’Italia’, firmatoda Cisl e Uil con il Governo, costituendo- continua con un pizzico di orgoglio - ilprimo esempio di risposta tesa a ricucire,dal basso e dai territori, la lacerazionedeterminatasi a livello nazionale fra Cgil,Cisl e Uil”, ed a cui si sono aggiunte inseguito, via via che il Patto per l’Italia

mostrava sempre più la sua inconsistenza,iniziative analoghe in altre regioni.Insomma, il Patto, nato e immaginatoquale “propellente” di una nuova stagionedi sviluppo regionale, si è trasformato,quasi subito, secondo il dirigente Cgil, inuno strumento che è servito soprattutto adifendersi dagli sconquassi dell’economiamondializzata e senza regole, e dalla lati-tanza clamorosa del governo Berlusconi,di cui si auspica, senza infingimenti, lasconfitta il prima possibile. Circa gli ele-menti di criticità del sistema Umbria,invece, le posizioni collimano in manierapressoché totale: il nanismo delle imprese,la loro scarsa propensione all’innovazioneed alla internazionalizzazione, una crescitadel Pil regionale inferiore alla medianazionale e delle regioni limitrofe, costi-tuiscono per tutti e tre i sindacati umbri iprincipali punti critici da aggredire.Occorre, inoltre, tenere conto del fatto,solo apparentemente paradossale, chetutto ciò si accompagna - dicono come incoro - ad una tenuta, se non ad una cresci-ta, dell’occupazione (a cui contribuisceperò molto lavoro atipico e precario,anche nella pubblica amministrazione),indicativa, per l’appunto, di bassa produt-tività e di una economia regionale fondatasu settori produttivi oggi penalizzati dalloro scarso contenuto tecnologico e dalbasso valore aggiunto. Se non si introdu-cono nuovi meccanismi di riequilibrionell’apparato produttivo regionale su cuiconcentrare le risorse - destinate ad esseresempre di meno - l’Umbria corre il rischiodi sganciarsi, magari dolcemente, dalnovero delle regioni più avanzate ed essererisucchiata da una sorta di meridionalizza-zione sociale ed economica. La stessa rico-struzione post-terremoto - ed anche suquesto il giudizio è concorde - sebbeneattuata senza episodi significativi di mal-versazioni e corruzione, non è stata coltacome un’occasione di nuovo sviluppo e diriqualificazione produttiva, in grado cioèdi garantire meccanismi virtuosi di rilan-cio stabili e duraturi, producendo, peresempio, nuovi materiali, magari più sicu-ri, o - come dice Bruschi - mettendo incantiere un grande programma, strategicoin una regione sismica come la nostra, dimessa in sicurezza di tutti gli stabili. Atutto questo, si aggiunge il permanere dilivelli di inefficienza e burocratismo dellapubblica amministrazione che rendonoassolutamente urgente una riforma endo-regionale profonda, su cui il ritardo è, agiudizio di tutti, grande, pur se - siammette - “in non pochi casi è lo stessosindacato a svolgere un ruolo di freno, perpaura di smuovere situazioni consolidate ecomode”. In proposito Mariotti, purricordando che il peso del pubblico impie-go in Umbria è in media con quella nazio-nale, al tempo stesso si domanda perchécontinuino ad esistere nove Comunitàmontane ed un solo ente deputato allapromozione dello sviluppo. In questo qua-

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L’Umbria fra stagnazione e arretramento

Più ombre che luciOsvaldo Fressoia

L

dro di luci ed ombre, anche l’esito dellavertenza TK-AST, recentemente conclusa,fa registrare un’ampia convergenza: l’ac-cordo raggiunto, nonostante la perdita,dolorosa, del magnetico non è affatto unasconfitta; i risultati ottenuti, primi fratutti gli importanti investimenti per l’ac-ciaio inossidabile, ma anche per le produ-zioni delle altre controllate dal gruppo(fucinature, tubificio), permettono, infat-t i , a Terni di r imanere strategica inEuropa. Di pari importanza - si sottolinea- è l’accordo sui livelli occupazionali, nonsolo per la garanzia del posto di lavorodegli addetti al magnetico, ma anche perla stabilizzazione di quanti (del magneticoe non) avevano contratti a termine.Silvestri, ternano, e - ci tiene a sottolinear-lo - “cresciuto sindacalmente dentro laTerni” - ci confessa che la perdita delmagnetico è stata più uno scacco politico(“una manifestazione di debolezza e subal-ternità politica del nostro paese a livelloeuropeo” ci aveva detto Mariotti) che unaperdita vera e propria dal punto di vistaproduttivo, dati appunto gli investimentigarantiti per l’“Inox”. Ma ad una nostra, un po’ maligna,domanda sulla sostanziale identità fra l’ac-cordo raggiunto e le proposte iniziali diTK-AST, Silvestrismentisce seccamen-te, giurando che,soprattutto per quan-to riguarda i livellioccupazionali , gl iammortizzatori per ilavoratori in esuberoed i l r iprist ino delturn-over, le posizionidell’azienda erano,al l’ inizio assai piùvaghe. A proposito di TK-AST, chiediamopareri e proposte sul tema, assai complica-to, del rapporto con le multinazionali (inUmbria sono 33), verso cui, manca nelnostro paese, qualsiasi tipo di legislazione“sociale” che, come per esempio inFrancia, le costringa, almeno in parte, afarsi carico dei problemi del territorio oveoperano. Alcune possibili soluzioni sonoindividuate, prima di tutto, nella costitu-zione, ormai assolutamente irrinviabile, diun vero sindacato europeo che si muovaalmeno per garantire condizioni minimeper tutti i lavoratori europei, e per stabili-re relazioni industriali e sindacali minima-mente condivise.In secondo luogo, nella creazione di con-testi favorevoli volti a fidelizzare le multi-nazionali al territorio, attraverso politichetese a migliorare e incrementare infrastrut-ture e reti di servizi, costringendole in talmodo a discutere con il territorio stesso, acontrattare con esso, e, se necessario, arisarcirlo. Su questo - è convinzionecomune - occorre chiedere alla politica,nazionale e locale, un contributo decisivo.“Sono più di 10 anni - si lamenta Silvestri- che non si parla di politica industriale, aRoma come a Perugia”. “E’ ancora forteinvece - dice un po’ irritato Bruschi -anche fra gli imprenditori la tentazione atrattare direttamente con il livello istitu-zionale e politico, saltando la concertazio-ne”. Va da sé che le strade per uscire da unquadro così difficile sono poche e strette,ma è proprio su questo che le organizza-zioni sindacali convergono nel chiedere,anche alla legislatura regionale che verrà, ilmassimo sforzo di programmazione -”integrata” ci tiene a chiamarla Mariotti -capace di trasformare quelle che appaionooggi delle debolezze, in punti di forza.Fare cioè, dei nostri settori di punta“poveri” - la piccola azienda diffusa(soprattutto nel Perugino), i sistemi localiproduttivi (ceramica a Deruta, tipografiaa Città di Castello), la maglieria, la mecca-

nica leggera - i nostri punti di eccellenza edi produzioni di alta e altissima qualità,più capaci, quindi, di vanificare eventualidumping sociali. Inoltre - è soprattuttoBruschi a dirlo - dobbiamo sfruttare di piùe meglio la risorsa territorio, le nostre bel-lezze naturali e artistiche e trasformareun’altra delle nostre “debolezze”, cioè lacarenza delle infrastrutture viarie - a cuinon dobbiamo ovviamente rinunciare(“ma in maniera intelligente e senza detur-pare il paesaggio”) in occasione per valo-rizzarlo, più di quanto fatto finora, e farneanch’esso un punto di eccellenza e volanodella filiera ricettiva e turistica regionale.In tale direzione occorrerebbe che tutto ilnostro sistema di ricerca e formazione,prima di tutto le nostre università, trovinola maniera di integrarsi sinergicamente,magari attraverso un unico centro per l’in-novazione e la ricerca, capace di interagirecon le imprese ed i territori, per rilanciarela ricerca, soprattutto quella applicata, ingrado di supportare il sistema industrialelocale alla creazione di nuovi prodotti. Delresto il dumping e i “cinesi” - su questonon ci sono dubbi da parte di tutti e tresindacati - debbono essere affrontati senzaisterismi, con la consapevolezza che i dazi,lungi dal risolvere il problema, portereb-

bero con sé molte ecostose controindica-zioni.Dovremmo invece - èil loro punto di vistacomune - cercare dievitare gli effetti nega-tivi legati all’arrivo diproduzioni a bassocosto provenienti dapaesi poveri, raffor-zando i controlli sul

ricorso scorretto a forza lavoro a bassissi-mo costo (come le tradotte notturne dilavoratori cinesi sottopagati, scoperte aCittà di Castello), e puntare sulle poten-zialità che il fenomeno pure contiene. Lastessa invasione delle multinazionali stra-niere nella distribuzione alimentare (Lidl,Penny market, ecc.) può avere anche i suoieffetti positivi, che - si sostiene - non sonosolo quelli dei prezzi molto più bassi, mafacendo in modo che queste catene distri-butive straniere possano diventare, tramiteappositi accordi, il veicolo dei nostri pro-dotti di qualità in altri paesi. Il problema è, allora, come rapportarsi alfenomeno. Occorre una legislazione regio-nale, “che però fatica a nascere” diceBruschi, in grado di migliorare il sistemadistributivo e commerciale umbro, divalorizzare la qualità dei prodotti locali,cercando di accrescere fra le imprese lapropensione a cooperare per fare frontealla concorrenza e per evitare ingiustificatelievitazioni dei prezzi, soprattutto dei benidi prima necessità. “Putroppo - diceMariotti - il fallimento dell’accordo Coop-Conad, non è un bel segnale”. Per finire, chiediamo un giudizio su rap-porti unitari qui in Umbria: “Sono ancorainsoddisfacenti, non sono organici”, perBruschi. “Accontentiamoci”, dice Mariotti, mentreper Silvestri “in mancanza di quella ‘orga-nica’ l’importante è l’unità di azione”.Quasi un anno fa, Pierre Carniti ci con-cesse una lunga intervista in cui, fa l’altro,si arrabbiava nell’osservare una certa sotto-valutazione della imprescindibilità dell’u-nità, senza la quale il sindacato non contapressoché nulla e non è in grado di incide-re neanche sui punti da mettere all’ordinedel giorno con le controparte.Ci sbaglieremo, sarà forse anche la perce-zione dei tempi bui che viviamo, ma cipare di capire che il sindacato umbro,almeno oggi, sia d’accordo con il “vec-chio” Pierre.

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Parlanoi segretariregionalidi Cgil, Cisl e Uil

iorgio Almirante non era affattouno dei ragazzi che aderironoalla Repubblica di Salò, traviatidal massiccio indottrinamento

del regime fascista, di cui a proposito e asproposito si parla. Era piuttosto un quadrodirigente della repubblica collaborazionista.Capo di gabinetto del gerarca Mezzasoma,insieme a lui firmò un manifesto che pro-metteva la fucilazione immediata non soloai partigiani, ma a qualunque soldato deldisperso esercito italiano, a qualunque gio-vane in età di leva che non si consegnasse aitedeschi occupanti e/o ai repubblichini. Daqui l’epiteto di “fucilatore”, che in segno disfida ripropose nel titolo di un suo libro dimemorie. Collaborò per anni alla rivistaufficiale dell’antisemitismo fascista “Difesadella razza”. Nell’Italia repubblicana fu perdecenni segretario del Msi, il partito cheteneva accesa la fiamma di Salò. Alternava ildoppio petto della moderazione e la camicianera delle squadre violente e non condannòmai il fascismo. “Se lo facessi - disse ad uncongresso - sarei un rinnegato”. La sua pre-senza nelle piazze, soprattutto nei momentidi ripresa dello squadrismo, acquistava per-tanto il sapore di una provocazione. Fu inuno di quei momenti che Alberto La Volpe,sindaco di Bastia Umbra, gli negò la piazzadel paese, decretando urgentissimi lavori emobilizzando all’uopo le ruspe. La Volpemilitava nel Psi, un partito di governo, ma,da democratico, sentiva intollerabile la pre-senza di un figuro come Almirante. Pagòper questa sua scelta: la magistratura loestromise dalla carica di sindaco, nella qualepoté reinsediarsi solo dopo anni. Oggi, apochissimi chilometri da Bastia, a SantaMaria degli Angeli, l’amministrazionecomunale di Assisi ha intitolato una piazzaal fucilatore e l’ha solennemente inaugurataalla presenza della vedova. Nessuna meraviglia. “Micropolis” ha scrittopiù volte di questo strisciante revisionismo,che ha preso a pretesto le foibe e dovrebbetrovare il suo coronamento nella legge che

concede ai repubblichini lo status (e le pen-sioni) di “combattenti”. Siamo di fronte aduna vera e propria “riabilitazione”. Sui muridelle città umbre è comparso negli scorsigiorni un manifesto colorato in cui un talLollo, dichiarandosi “l’ultima raffica diSalò” e proclamando “io non ho tradito”,invitava a votare per un seguace dellaMussolini. Folclore? Anche. Ma una provo-cazione così in altri tempi non sarebbe statasopportata.C’è di più. In risposta alle dichiarazioni delsegretario Ds di Assisi centro, Anselmo,l’amministrazione comunale ha elaboratouna sorta di controstoria con il crisma del-l’ufficialità. Almirante sarebbe ammirevoleper la sua tenacia, avrebbe salvato un amicoebreo dalle persecuzioni, etc; il vero scanda-lo sarebbero le vie e piazze intitolate aTogliatti, cui viene attribuito un “tacito ecolpevole assenso” sugli italiani infoibati“dal suo amico compagno Tito”. Il testo,oltre che osceno per il tono, è risibile nelcontenuto storiografico, ma non si trova uncane che lo spernacchi a dovere. E’ comunque un documento rivelatore: ledestre non s’accontentano della riabilitazio-ne, vogliono un vero e proprio ribaltamen-to, i fascisti sugli scudi e gli antifascistiall’inferno. La revisione storica del restoaccompagna la demolizione sistematicadello spirito repubblicano e della cartacostituzionale. E’ anche frutto - lo scrivia-mo da tempo - di una cecità della sinistramoderata italiana che ha facilmente cedutoall’ondata revisionistica, quando non l’haaccompagnata.Ma lo sbandamento continua e coinvolgeanche la sinistra non moderata, assai disat-tenta. Alla provocazione assisana non c’èstata una reazione né istituzionale né politi-ca, non un intervento della Provincia odella Regione, non una manifestazione dimassa. E i comunicati stampa del prodeAnselmo e di qualche altro dirigente diseconda o terza fila non servono quasi anulla.

Le piazzedel fucilatore

Salvatore lo Leggio

G

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i si è soffermati analiticamente suquella che fu definita la “tangen-topoli ternana” - in sé marginaleper entità, per persone coinvolte e

per l’essere concentrata in una specificarealtà della regione - non tanto per la rile-vanza dell’evento, quanto per il peso cheassume nell’immaginario collettivo e per imodi in cui incide sull’atteggiamento dellediverse forze politiche e in particolare sulPds prima e sui Ds poi. Insomma il feno-meno è la manifestazione di moltepliciforme di disagio destinate ad avere un ruolotutt’altro che marginale negli anni successivie a determinare processi inediti nella realtàregionale.Non è, innanzi tutto, secondario che vengainvestita l’unica città umbra con una carat-terizzazione industriale ed operaia. E’ ilfrutto del corrodersi di un tessuto di rela-zioni sociali e politiche che aveva tenutofino a buona parte degli anni ottanta, cheviene destrutturato dalla crisi dell’acciaio.Terni operaia si trasforma, in meno di undecennio, in una realtà con corpose valenzeplebee. Accanto a ciò si collocano le trasfor-mazioni intervenute delle realtà periferichedel Pci nel periodo dell’unità nazionale. Lavoglia di governo trasforma profondamentele culture e i modi di far politica. L’esaurirsidi una prospettiva di governo spinge acostruire canali di comunicazione con ipoteri centrali, che vengono individuati nelPsi craxiano che assume a Terni un ruolo dicerniera con il governo. A ciò si aggiunge lanecessità di rispondere alla crisi economica,salvaguardando il ciclo degli affari e l’occu-pazione, ma anche settori di ceti medi rite-nuti centrali dal Pci-Pds. Si realizza così unaforma di keynesismo straccione fondato sulciclo dei lavori pubblici che diviene unodegli elementi permissivi del fenomeno tan-gentizio.Tutto ciò entra in rapporto con processi cheinvestono l’insieme del territorio regionale econ le trasformazioni più generali del siste-ma politico. L’Umbria, sotto l’urto dellacrisi economica, comincia ad essere attra-versata da spinte centrifughe che si manife-stano sotto la forma di rinascenti municipa-lismi. Al tempo stesso, tra il 1993 e il 1994,la stessa presenza dell’Umbria nel noverodelle regioni italiani viene rimessa in discus-sione. Non a caso la Fondazione Agnellipropone la redistribuzione dei territoriumbri tra altre regioni: la provincia di Ternicon il Lazio, quella di Perugia con laToscana. I motivi di tale scorporo sonoindividuati nella necessità di definire regio-ni con dimensioni e popolazione tali daconsentire una capacità competitiva nelmercato globale e di autosostenere la spesasociale.Il voto a Ciaurro assume queste molteplicivalenze: è un voto di ceto medio, con fortivenature plebee; è un voto ambiguo in cuisi cumulano ansie di moralizzazione eumori antioperai; infine rappresenta unmunicipalismo contrattualistico che attra-versa l’insieme del mondo politico cittadinoe che continuerà a permanere, sia pure in

forme meno virulente, dopo la sconfitta delcentro destra nel 1999. Tali caratteri trova-no alimento nelle modificazioni del sistemapolitico. Non v’è dubbio che l’adozione delmaggioritario, la riduzione delle competen-ze delle assemblee elettive, l’elezione direttadel sindaco e l’aumento dei suoi poterifavoriscano derive plebiscitarie e fenomenidi trasformismo.

La sconfitta del 1994 e la “vittoria” del 1996Tali dati spiegano, peraltro, quanto avverrànel 1994 a livello nazionale: la costruzionedi un partito di plastica come Forza Italia ela prima vittoria di Berlusconi. I dati nazio-nali delle elezione del 28 marzo 1994 sono,da questo punto, di vista emblematici. IlPolo delle libertà e del buon governo, costi-tuito da Forza Italia, Alleanza nazionale e laLega Nord, raggiunge il 42,9%, Patto Segnie Partito popolare (nuovo nome della Dc) il15,7%, mentre i Progressisti (Pds, Psi rifor-mato, Verdi, Rifondazione comunista, Retee Alleanza democratica) totalizzano il34,8% dei consensi. In Umbria il nuovo

meccanismo consente di aggiudicare aiProgressisti tutti i collegi, lasciando agli altrisolo le quote destinate alle minoranze, etuttavia i dati dimostrano un cedimentoelettorale della sinistra di una qualche rile-vanza. Nel 1992 le forze politiche che face-vano in qualche modo riferimento alla sini-stra (Psi, Pds, Rifondazione, Verdi e Pri)raggiungevano complessivamente il 61,7%,nel 1994 totalizzano il 51,3%. Vero è checiò è il frutto di una perdita consistente divoti socialisti e repubblicani, che si orienta-no sul centrodestra, ma è anche vero che siassiste ad un cambio degli umori degli elet-tori che penalizza la sinistra. Per contro ivoti del cattolici di centro raggiungono il15,8% rispetto al già scarso 24,9% dellaDc. La destra (An e Fi più liste minori) rac-coglie il 32,9% di consensi. An raggiunge il16,4%, il 10,2% in più rispetto al Msi disoli due anni prima, mentre Forza Italia rea-lizza il 15,2%.Non è certamente questa la sede per raccon-tare l’ascesa e la caduta del primo governoBerlusconi. Il 22 dicembre 1994 il cavaliere,costatato che con il ritiro della Lega Nord

dalla maggioranza non aveva più voti suffi-cienti né alla Camera né al Senato, rassegnale dimissioni. Viene incaricato Dini,Ministro del Tesoro nell’esecutivo presiedu-to da Berlusconi, che governa con l’appog-gio di Popolari, Progressisti - tranneRifondazione - e Lega Nord, fino ai primimesi del 1996.In tale situazione si svolsero le elezioniamministrative della primavera del 1995. Sivotò per buona parte dei Comuni, per ledue province e per la Regione. Si andò aliste di centro sinistra, Prodi aveva annun-ciato in febbraio la volontà di candidarsicontro Berlusconi, e per le Regioni si votòcon una nuova legge elettorale (elezionediretta del presidente e listini a lui collega-ti). Il centrosinistra, comprendente ancheRifondazione comunista, si presentò sottola sigla di Progetto democratico. Al di là di coalizioni e di metodi elettorali,quello che costituì il tratto caratterizzantedella scadenza elettorale fu nella sostanzal’accettazione dei processi che avevano con-sentito il successo di Ciaurro a Terni. Laconvinzione fu quella che, scegliendo rap-presentanti della società civile, meno espostisul piano dell’appartenenza partitica diquelli che li avevano preceduti, fosse possi-bile superare più agevolmente il turno elet-torale. Fu questo che portò alle candidaturedi Salari a Foligno, di Maddoli a Perugia,Nicola Molé alla Provincia di Terni e diBruno Bracalente alla Regione. La sceltaaprì quella che venne definita la “stagionedei professori”. Il tratto dominate di questaoperazione - fortemente voluta dal nuovosegretario regionale del Pds, AlbertoStramaccioni, succeduto a Mauro Agostinieletto al Parlamento nel 1994 - fu una sortadi mimetismo della sinistra che, tranne nelcaso di Bracalente, che comunque facevaparte della segreteria regionale del Pds, can-didò personalità provenienti in buona partedal mondo cattolico. I “professori” furono,peraltro, anche il tramite attraverso cui lagenerazione dei quarantenni del maggiorpartito della sinistra marginalizzò pezzi digruppo dirigente storico, imponendo la suacentralità. All’operazione di cosmesi nellecandidature se ne aggiunse un’altra sulpiano dei programmi. Lo slogan portante fuquello dell’abbandono delle vecchie prati-che politiche, della battaglia contro il “par-tito della spesa pubblica”, della Regione leg-gera, ente di indirizzo e di programmazionegenerale, mentre la gestione andava delega-ta, in omaggio alle nuove leggi sugli entilocali, alle strutture comunali e provincialifortemente volute - come le leggi elettorali -dal Pds. Il mix liberal-liberista-modernizzatore parvefunzionare. Il centro destra totalizzò il36,8%, il centrosinistra raggiunse il 62,4%.Sembrò un grande successo, in realtà siportò a casa la somma dei voti della partesinistra del Partito popolare, scissasi dalladestra confluita nel Ccd, e dei progressisti.Val la pena di ricordare che ancora nel 1992le forze in questione rappresentavano laquasi totalità degli elettori umbri. Insomma

Note sull’ultimo ventennio in Umbria (6)

Nascita e mortedel nuovo che avanza

Renato Covino

C

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il Polo diviene una realtà più corposa e fortedell’opposizione democristiana nei decenniprecedenti, almeno dal punto di vista elet-torale, anche se dal punto di vista politico esociale non riuscirà a dimostrare capacità diintercettare ed organizzare bisogni ed inte-ressi diffusi. In queste elezioni, inoltre, sicomincia a manifestare un tratto destinatoad accentuarsi nel decennio successivo,ossia la sempre maggiore autonomia delceto politico e la trasformazione dei partitiin strutture di raccolta di voti, in comitatielettorali destinati ad avere sempre menopeso come mediazione tra società e politica.Il buon esito delle elezioni regionali eamministrative sembrò un buon viatico perle elezioni politiche del 21 aprile 1996.A livello nazionale Prodi e l’Ulivo realizza-rono una vittoria di misura sul polo avver-sario, come dimostrano i dati del propor-zionale. Il Polo delle libertà (An, Ccd-Cdue Forza Italia) raggiungerà il 42,1%, l’Ulivosi fermerà al 34,9%. La differenza saràdeterminata dal fatto che l’accordo di desi-stenza con Rifondazione (8,6%) consentiràdi ottenere la maggioranza, mentre la corsasolitaria di Radicali (1,9%) e soprattuttodella Lega Nord (10,1%), non permetteran-no al Polo di affermarsi. Insomma si mani-festava una situazione di equilibrio di fattotra forze politiche e sociali, che in questocaso consentirà al centro sinistra di realizza-re la vittoria e di governare per cinque anni.Un altro tratto di un qualche interesse è lacrescita del non voto che aumenta dal 19,8del 1994 al 23% del 1996. Il dato regiona-le fu in questo quadro assolutamente delu-dente. Gli elettori rispetto alle amministra-tive saliranno da 517.875 a 585.005, mal’incremento favorirà il centro destra chenella quota proporzionale raggiungerà il41,1%. La Lega si attesterà sull’1,1%, ilcentro sinistra e Rifondazione sul 57,8%,percentualmente il 4,6% in meno rispettol’anno precedente, cui corrisponde unaumento analogo del Polo delle libertà(+4,3%).

Dalla retorica della Regione leggera al terremotoSe si dovesse caratterizzare con un’immagi-ne il periodo che va dalla primavera del1995, quando si svolsero le elezioni regio-nali, alla fine del settembre 1997, quando siverificò il terremoto, esso potrebbe esserecaratterizzato come la fase dell’uccisione delpadre. Sono gli anni della retorica dellaRegione leggera, della polemica culturale epolitica contro la programmazione e laspesa pubblica, del cupio dissolvi del passato.L’idea è che occorra destrutturare il sistemaistituzionale umbro, ridurre aziende di pro-mozione turistica, unità sanitarie locali,comunità montane, puntare alla program-mazione interregionale e di area ampia,decentrare tutto il decentrabile a Comuni eProvince. La chiave di volta è quella dellamodernizzazione, intesa come trionfo delmercato e rivitalizzazione della società civi-le, vista esclusivamente come ceti medi eimprenditori. Se, tuttavia, si guarda più inprofondità si scopre come la Regione stessaregistri una desolante assenza di interlocu-tori pesanti. La crisi continua a macinare. Idati del Pil umbro sono al disotto di quellidelle altre regioni dell’Italia centrale, l’occu-pazione ristagna e cala, l’Università è in unacrisi finanziaria dovuta alle politiche dissen-nate e tangentocratiche del Rettore Dozza,le associazioni imprenditoriali mostranomomenti di oscuramento politico e più ingenerale l’imprenditoria vive un momentodi difficoltà. Le nuove operazioni pensatenegli anni ottanta e volte al rinnovamentodel tessuto economico della regione (dalCentro multimediale di Terni a Umbriafic-tion, ai Centri tecnico promozionali, agliistituti di eccellenza dall’Isrim ai parchi tec-nologici, ecc.), sono in difficoltà, mentre

sempre più labili sono i rapporti con lagrande impresa ormai multinazionalizzata(la privatizzazione definitiva dell’Ast e lacessione del pacchetto azionario di control-lo alla Krupp è dei primi mesi del 1995).Insomma in un momento in cui interventopubblico e progetto politico sarebbero cen-trali per la ripresa e per la tenuta dell’Um-bria, si polemizza contro una programma-zione di tipo bulgaro imposta alla Regionedai vecchi gruppi dirigenti, e si plaude alcrollo di quanto realizzato, nel bene e nelmale, negli anni precedenti. Non a caso laConvenzione programmatica del Pds, che sitiene a Perugia al Teatro Morlacchi il 28-29giugno 1996, si muove, fin dalla relazionedi Stramaccioni, su questa linea. La polemi-ca contro l’assistenzialismo statalistico,destinato a impigrire le imprese, abituate adessere destinatarie di finanziamenti pubbli-ci; la definizione come priorità di stimolinei confronti della concorrenza e della com-petizione; la necessità di un asse culturalecontro lo statalismo che assuma come ele-mento centrale il liberalismo, sono gliaspetti dominanti del ragionamento in cuisi delinea un’ipotesi di alleanza a due: cetopolitico e impresa. Il documento, significa-tivamente titolato Protagonisti dell’Italia checambia. Dall’Umbria un’alleanza politica esociale per l’innovazione e lo sviluppo, in unnuovo rapporto tra pubblico e privato (for-mula che avrà fortuna), ricalca questaimpostazione. Al centro della riflessione edelle speranze un unico soggetto: l’impresa,alle cui esigenze dovrebbe essere piegato lostesso stato sociale. A questa centralità del-l’impresa avrebbe dovuto corrispondere lariduzione al minimo dell’intervento pubbli-co nella produzione e nei servizi, della spesapubblica direttamente gestita, un welfarestate che avrebbe dovuto assumere i caratte-ri di welfare mix (pubblico e privato).In realtà già ad autunno questa linea mostrala sua inadeguatezza. La crisi impone permolti aspetti quel rilancio dell’attività diprogrammazione e di rapporti con gli inter-locutori sociali, primo tra tutti il sindacato,che il segretario regionale della Cgil,Assuero Becherelli, richiede a gran voce inuna sua intervista del settembre 1996.Inoltre la rivoluzione copernicana propostae le soluzioni pratiche non fanno un passoavanti: non diminuiscono gli enti interme-di, sempre maggiori sono le difficoltà diripresa economica, mentre i poteri non rie-scono a ridefinirsi e ricollocarsi e l’impren-ditoria locale evidenzia sempre minori capa-cità di reazione. D’altro canto il sistemabancario locale tende sempre più a collocarei propri centri decisionali fuori della regio-ne, grazie alle politiche di fusione e diacquisizione che cominciano a maturareproprio sotto i governi dell’Ulivo, grazie allemodifiche alla nuova bancaria. Le difficoltàpolitiche si cumulano con quelle relative alriassetto del sistema politico locale e trova-no una loro evidenza nelle elezioni comu-nali del 27 aprile 1997. Vanno al votoNocera, Gubbio, Terni, Assisi, Città diCastello, Trevi, Bevagna, Montecastrilli.Solo a Nocera e Terni Rifondazione è com-presa nella coalizione al primo turno, men-tre vi entra al secondo turno ad Assisi. Ildato complessivo è per molti aspetti deva-stante. Rispetto alle regionali del 1995 ivotanti calano, negli otto Comuni interes-sati, di oltre 9.000 unità. Rifondazionemantiene le stesse percentuali, l’Ulivo scen-de del 7,2%, il Polo sale del 3,2%, restandosui valori delle elezioni politiche, le listeciviche infine raggiungono il 4,3% le listeminori totalizzano lo 0,6%. Il risultato èche Terni rimane al centrodestra con unoscarto di 4.300 voti. Il centro sinistra eRifondazione vedono calare il proprio con-senso dal 49,5% del 1995 al 40,9%.Vengono inoltre perdute Assisi e Nocera.Particolarmente deludente il voto del Pds

che cala negli otto comuni, sempre in con-fronto con il 1995, dell’11,2% attestandosial 26,7%. E’ il sintomo di come la crisicontinui a corrodere insediamenti elettoraliconsolidati. Non a caso a Terni Ciaurrosfonda, più che nel 1993, nelle roccafortielettorali della sinistra. Appare evidentecome la politica del liberismo ad oltranza,del privilegiamento dell’impresa non paghie non ottenga risultati tangibili, così comenon venga compresa la proiezione verso unnuovo modello di sviluppo - più predicatoche praticato - che avrebbe dovuto far pre-cipitare, per automatismi scarsamente com-prensibili, una nuova classe dirigente. E’ ciò che porta alla verifica, che si chiuderàa fine luglio, con un documento significati-vamente titolato Un nuovo patto con l’Um-bria (altro slogan ricorrente). In esso si con-figura un cambio di rotta: sparisce il mottoche aveva orientato la politica di Bracalente,quello della Regione leggera, si prende attoche la riduzione di strutture come leComunità montane e le aziende ospedalieredebba essere fatta senza forzature e si rilan-cia la pratica della programmazione. Siabbandona il sillogismo secondo cui l’alleg-gerimento delle strutture amministrativeavrebbe reso disponibili risorse da mettere a

disposizione del sistema delle imprese, chele avrebbe autonomamente utilizzate.Naturalmente a tale impostazione, che met-teva in discussione scelte fino a qualchemese prima ampiamente condivise, provocala reazione di Bracalente che, nel dibattitoin Consiglio regionale che chiude la verifi-ca, cerca di minimizzare le novità e di pre-sentare un quadro di continuità dell’azionepolitico-amministrativa da lui rappresenta-ta. Sembra quasi che si apra una lotta sot-terranea tra i sostenitori del presidente dellagiunta regionale e i suoi avversari che siriflette sul rimpasto di giunta, con l’uscitadi qualche sostenitore di Bracalente. Inquesto contesto avviene un fatto imprevi-sto, destinato a solidificare il mutamentoprima delineato. E’ il terremoto del 27-28settembre 1997 che costringe a ridiscuteresul piano empirico le politiche d’interventopubblico, il ruolo della Regione e delleamministrazioni locali, non fosse altro perl’entità dei finanziamenti che verrannodirottati dallo Stato, che assommeranno adalcune migliaia di miliardi, i quali si indiriz-zeranno soprattutto verso la Valle umbra enella zona pedemontana e montana ad essacontigua, determinando nuovi equilibri egerarchie territoriali.

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Francesco Mandarini

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10 s o c i e t àmar zo 2005

olitico, scienziato, educatore è iltitolo del Convegno (Perugia,18-19 febbraio 2005) che havoluto ricordare, nel decennale

della morte, la figura di AlessandroSeppilli, Direttore dell’Istituto di Igienedell’Uni-versità di Perugia dal 1949 al1977, Sindaco di Perugia dal 1953 al 1964.Politico, scienziato, educatore Seppilli lo èstato indubbiamente: ma in maniera deltutto particolare - che è poi quella che loha connotato, e per la quale molti chesiamo stati suoi allievi amiamo ricordarlo. Tre categorie, politico, scienziato, educato-re, vissute e praticate contestualmente manon solo: integrate e intersecate tra di loro,tanto che ci pare impossibile immaginareun Seppilli privo di una di esse. Come“scienziato” ed “educatore” non occorronomolte parole a giustificazione: era la suaprofessione, la sua collocazione ufficialenella società, nell’università intesa comescuola piuttosto che come accademia.Semmai vanno qui sottolineate le linee delsuo impegno scientifico sempre attento epronto a problemi che la società gli andavaproponendo. Tra i primi, e pochi, a studia-re fin dai primi anni cinquanta l’inquina-mento elettromagnetico; le linee di ricercadedicate al fumo di tabacco attivo e passi-vo, all’endemia gozzigena studiata in varieregioni e rilevata come indicatrice di gravicarenze e squilibri alimentari, all’inquina-mento atmosferico nella Conca Ternana,alle condizioni abitative e alimentari dipopolazioni rurali in Umbria e nel sudd’Italia, alle condizioni di lavoro in rappor-to alla salute; poi i tanti anni dedicati, nellaricerca e nella formazione, a un serviziosanitario pubblico e universale, e all’educa-zione sanitariaPer ricordare il Seppilli “politico” un pocopiù di parole vanno spese: “politico” nelsenso della polis, di interesse e impegno perla civitas, la comunità, gli individui e igruppi, il riconoscimento, l’affermazione,la pratica dei diritti: la democrazia di cui idiritti sono appunto, per Seppilli, indicato-ri fondamentali. “Politico” non tanto e nonsolo perché militava in un partito, il Psi,dove aveva ricoperto ruoli a livello sia loca-le che nazionale, o ruoli politico-ammini-strativi - Sindaco di Perugia - e istituziona-li, nel Consiglio Superiore di sanità, nelMinistero della sanità. “Politico”, senzasoluzione di continuità con il suo essere“scienziato” ed “educatore”. Il suo impegnoscientifico di ricerca lo ha sempre portato,come già ricordato, ad arare terreni chefanno parte, appunto, dei diritti dei citta-dini, delle loro condizioni di vita, di lavo-ro, di salute, così come la sua attività dieducatore (a noi suoi allievi amava ripetereche l’università è prima di tutto una scuo-la) è sempre stata volta alla formazione dioperatori sanitari che interiorizzassero ilfatto che, come scrisse, “la riforma sanitariaè stata concepita come strumento politico,verso una maggiore democrazia”, e che l’e-ducazione sanitaria altro “non vuol essereche educazione alla democrazia”. Allora, seè permessa una forzatura, AlessandroSeppilli politicoscienziatoeducatore.

Democrazia e diritti: una politica per la saluteSeppilli è stato fin dall’inizio in prima filanel lungo percorso di costruzione dellariforma sanitaria, la legge 833 del 23dicembre 1978. In prima fila, promotoredel “Movimento degli Ordini dei medici” edella mobilitazione di Province e Comuni(a quel tempo era Sindaco di Perugia) perla riforma sanitaria, a cavallo degli anni ‘50e ‘60. La parola d’ordine era dare attuazio-ne al mandato della Costituzione repubbli-

cana che all’articolo 32 sanciva, e sanciscetuttora - anche se un governo e forze digoverno revanchiste hanno oggi tantavoglia di negare - tra i diritti fondamentalidei cittadini di uno stato democratico, “ildiritto alla salute”, e nel contempo guar-dando avanti, e ricercando collegamenticon un passato non tutto da buttare.Seppilli docente universitario iscriveva lariforma sanitaria (un servizio pubblico uni-versale democraticamente gestito dall’entelocale, più vicino ai cittadini) tra i compitidi elaborazione culturale, di ricerca e diproposizione, di sperimentazione,dell’Istituto di Igiene da lui diretto.Ricordando tradizioni di pubblico servizionella legge Crispi-Pagliani del 1888(Seppilli sarà relatore ufficiale aMontecitorio, a Camere riunite, nella cele-brazione del centenario della legge), comenel ruolo del medico condotto, Seppilliriportò alla luce la figura di Angelo Celli,

anch’egli politico democratico, docenteuniversitario di igiene, educatore sanitarioagli albori del XX secolo: “un’eredità quan-to mai positiva”, dirà nell’AulaParlamentare. E a Celli dedicherà la suaFondazione “Per una cultura della salute”.Già nel 1967 la Commissione ministerialee il Consiglio Superiore di Sanità, con ilcontributo essenziale di Seppilli, avevanostilato i loro documenti che diventeranno ilfulcro del Capitolo V (Sicurezza sociale) diquel Piano di sviluppo del Paese cui mai si

apriranno le porte delle aule parlamentari.Ma ormai - sono gli anni ‘70 dello scorsosecolo - la riforma sanitaria è in fase dilancio, il progetto di legge, dopo quasi duedecenni di ostracismi e resistenze, è arrivataal dibattito in Parlamento. Seppilli sottoli-nea i lunghi tempi del percorso e nonmanca di lanciare alcuni allarmi a discus-sione ancora in corso. Finalmente le Aule licenziano la legge 833“Istituzione del Servizio SanitarioNazionale”: occorre mettersi al lavoro, vigi-lare, incentivare e costruire momenti essen-ziali del nuovo sistema. Dal canto suo,impegna il lavoro di ricerca e di formazionenell’Istituto di Igiene dell’Università diPerugia di cui è Direttore, e nel CentroSperimentale di Educazione Sanitaria chepresiede, a costruire modelli - e operatori -indirizzati a sviluppare la democrazia delSsn, garantita dalla gestione da parte deiComuni e dalla educazione sanitaria;

costruire un giusto rapporto tra gestionepolitica e gestione e operatività tecnica, darluogo a modalità e strumenti di partecipa-zione dei cittadini. Ricordiamo: “La rifor-ma sanitaria - scrive - è stata concepitacome strumento politico, verso una mag-giore democrazia”.

Educazione sanitariaSeppilli riesuma, e lo ripropone all’Europae all’Italia, un vecchio documento, la Cartasociale europea licenziata a Torino nel 1961,con la quale l’Italia e altri 12 paesi europeiimpegnano popoli e governi all’azionesociale coordinata nel Consiglio d’Europa,al rispetto dei principi, all’adozione deiprovvedimenti conseguenti: diritto, tra l’al-tro, “alla protezione della salute”, alla “sicu-rezza sociale”, “all’assistenza sociale e medi-ca”, “a beneficiare dei servizi sociali”. Aifini dell’esercizio del “Diritto alla protezio-ne della salute” i 13 Paesi firmatari si impe-gnano a prendere misure adeguate, tra lealtre, per lo “sviluppo del senso di respon-sabilità individuale in materia di salute”: èil passaggio dalla opinione pubblica illumi-nata alla coscienza sanitaria, “che è quantodire - scrive Seppilli - un servizio di educa-zione sanitaria”, che “non è appannaggio dispecialisti, né, tantomeno, qualcosa daaggiungere ai servizi e presidi socio-sanita-ri, bensì un modo di operare, una consape-volezza, un impegno di tutti gli operatori atutti i livelli”. Dal lavoro di Seppilli e dellasua scuola escono modelli organizzativi diservizio, di formazione degli operatori, dipratica di lavoro che diverranno dominantiin Italia, in Spagna e in vari paesidell’America Latina.

All’ertaSeppilli indicava, orientava, costruiva, esapeva anche vigilare. E già nel 1984 licen-ziava un articolo dal titolo, appunto“All’erta!”. Viene da lontano l’attacco, oggiportato con protervia e arroganza qui inItalia, ma non solo in Italia, a quei dirittiche pure erano stati solennemente procla-mati dagli Stati e dal Consiglio d’Europacon la Carta sociale europea. Seppilli, già ametà degli anni ‘80 del secolo appena pas-sato, aveva individuato quantità e qualitàdell’attacco, e lanciava il suo grido di allar-me “All’erta, all’erta!”. All’erta contro -sono parole sue - “la voglia di privato”, gli“slogan diabolici” quali la supposta gratuitàdel servizio, che tutti in realtà pre-paghia-mo, o dovremmo pre-pagare, con le tasse,la supposta necessità dei ticket, la crimina-lizzazione della legge sull’aborto e dei con-sultori, la marginalizzazione della preven-zione nell’ambiente di vita e di lavoro.“All’erta!” Un avvertimento e un invito allavigilanza, alla difesa di valori, servizi, ope-ratività che pur in anni bui come questinon possono non essere patrimonio eimpegni di quanti hanno condiviso e con-dividono la cultura e l’azione di Seppilli, diquanti con lui e con i suoi principi hannocreduto e sperato, di quanti vogliono viverein una società quantomeno democratica emeno ingiusta.

Dieci anni dalla morte di Alessandro Seppilli

La politica nella scienzaMaurizio Mori

P

11s o c i e t àmar zo 2005

el nuovo “caso italiano”,determinato dallo stra-no governo Berlusconi,è parte la sistematica

difformità tra la realtà e l’immagi-ne offerta dai media, soprattuttodalle tv. La rappresentazione di unpaese soddisfatto e in crescita ècontraddetta ogni giorno da scio-peri, proteste, manifestazioni dellecategorie più varie e nei settori piùdiversi. Lo dimostra anche lo scio-pero della scuola del 18 marzo,che ha visto un buon livello dicoesione tra organizzazioni in pas-sato profondamente divise.Contrariamente alle rassicurantidichiarazioni del ministroMoratti, la scuola italiana apparein grandi difficoltà, a cominciaredal corpo insegnante. Per farechiarezza sulle condizioni del pre-cariato, che rappresenta oltre il15% dei docenti italiani, abbiamoincontrato Federica Cupelli delMovimento interregionale inse-gnanti precari (Miip), PatriziaPuri dei Cobas scuola di Perugia,Giovanni Falsetti rappresentantedei precari Cgil nella provincia diPerugia e Giovanni Pucciarinidella segreteria regionale Cislscuola. L’occasione è stata fornitadal recente annuncio di 200.000nuove immissioni in ruolo.Periodicamente, a seguito dell’en-nesima promessa di nuove assun-zioni, i media tornano ad occu-parsi degli insegnanti precari.Quale è lo stato reale delle cose eche peso dare a questi annuncisensazionali?Puri: Se analizziamo i cambia-menti che si sono verificati nelmondo del lavoro in questi ultimianni, possiamo dire che la scuola,a partire dagli anni novanta, li haanticipati, trasformando la preca-rietà da situazione transitoria acondizione permanente, caratte-rizzata, per di più, da un peggiora-mento continuo delle condizionidi lavoro, non solo in termini disalario. Il precariato rappresentacirca un quinto del corpo docente.Se a ciò si aggiunge il fatto che lamaggior parte degli insegnantiprecari ha un’età compresa tra i 35e i 45 anni, risulta evidente che citroviamo di fronte ad una genera-zione che non ha alcuna possibi-lità di riciclarsi al di fuori dellascuola, ma che rischia fortemente,invece, di essere espulsa. Pucciarini: A me pare che ancorauna volta siamo di fronte ad unapolitica degli annunci che va con-tro la certezza del diritto. La pro-messa delle 200.000 assunzioni vainfatti messa in relazione conquanto già sancito dalla legge 143del luglio scorso, votata da mag-gioranza e opposizione, che impe-gnava il governo a coprire in treanni tutti i posti vacanti per idocenti. Sui numeri, poi, c’ènecessità di fare chiarezza. Ad oggii posti vacanti nella scuola sonostimati intorno a 150.000,100.000 per il personale Ata(amministrativo, tecnico e ausilia-rio) e 50.000 per i docenti, quindiben al di sotto del numero sban-dierato, anche se le previsioni rela-tive ai futuri pensionamenti(400.000 fino al 2013) potrebbe-ro aprire spazi consistenti. Maqueste cifre potenziali si scontranocon la costante e continua ridu-

zione degli organici, già avviata inverità dal centrosinistra, che que-sto governo, attraverso la riduzio-ne del tempo-scuola prevista dallariforma, intende proseguire conmaggiore incisività. Ciò significatagli certi sia per i docenti che peril personale Ata.Falsetti: Gli annunci degli ultimigiorni hanno reso visibile il pro-blema del precariato, ma la realtàche essi intendono mascherare èben diversa. In primo luogo comeè possibile che dopo avere appro-vato in estate il piano triennaledelle assunzioni, il governo, nellafinanziaria, abbia previsto ditagliare 17.000 posti? Il ministroMoratti, nell’attesa che la riformadella scuola superiore entri a regi-me, ha decretato il blocco degliorganici di diritto per un anno.Intanto, però, le iscrizioni nellascuola pubblica sono in aumento.In Umbria, tra elementari e supe-riori, c’è stato un incremento di1.300 unità: non sarebbe più logi-co ampliare gli organici anzichécongelarli? Altre due considerazio-ni, infine, svelano il carattere illu-sorio dell’annuncio delle nuoveassunzioni. Innanzitutto non si èancora esaurito l’effetto derivantedall’avere portato tutte le cattedrea 18 ore, altri posti saranno taglia-ti; infine le immissioni in ruolo sifanno sugli organici di diritto,bloccati, mentre i precari, cometutti sanno, rientrano prevalente-mente negli organici di fatto.Entrando più nello specifico, i200.000 posti dovrebbero scatu-

rire dalla cosiddetta propostaValditara (An) che prevedeimmissioni in ruolo a costo zeroper lo Stato grazie al differimentoper 5 anni della ricostruzione dicarriera già maturata. Una propo-sta che, come prevedibile, ha pro-vocato uno scossone tra i precari.Quale è il vostro giudizio?Puri: Si tratta di una propostalesiva della dignità dei precari cheha, evidentemente, il solo fine diottenere consensi politici. E’ infat-ti del tutto priva di dati certi rela-tivi alle risorse, oltre che in con-trasto con il quadro di tagli cheabbiamo fin qui delineato. La pro-posta fa leva sulle difficili condi-zioni di vita e di lavoro degli inse-gnanti precari. In pratica quelloche si offre è un posto sicuro incambio di diritti. Che c’è di diver-so da altre forme di deregulationapplicate nel privato? Capisco chemolti lavoratori possano esseretentati, ma il prezzo da pagare ètroppo alto. Senza contare che ilprovvedimento creerebbe un peri-coloso precedente, intervenendonon solo sulle condizioni salarialima anche sullo stato giuridicodegli insegnanti, dando vita aforme di differenziazione e gerar-chie interne assai pericolose.Pucciarini: Con una simile propo-sta, oltre che a spazzare via regoleormai consolidate relative allaricostruzione di carriera di chientra in ruolo, si finirebbe perdividere ulteriormente il mondodel precariato. E’ evidente che chiha dietro di sé molti anni di lavo-

ro precario costerebbe assai di piùallo Stato rispetto a chi, vincitoredi concorso ordinario o neolaurea-to con abilitazione all’insegna-mento, non ha neanche un giornodi lavoro alle spalle. Il precariatostorico, insomma, pagherebbe unprezzo enorme in termini di dirittie in termini economici.Falsetti: Come mai il senatore diAn si è accorto solo ora delle orri-bili condizioni in cui versa il pre-cariato e, soprattutto, dove eraquando il suo governo tagliava infinanziaria 17.000 posti di lavoro?Verrebbe da pensare ad una opera-zione propagandistica, dalmomento che non ha il beneplaci-to del Parlamento né del governo.Un’altra osservazione è di naturatecnica. Al di là del differimentodella ricostruzione di carriera, laproposta adombra la sciaguratapossibilità che i precari di piùlungo corso siano costretti, peruna eventuale ricongiunzione, aversare di tasca propria una parteo la totalità dei contribuiti pensio-nistici. Il mese scorso il ministro ha resonota l’ultima bozza del decretolegislativo sulla formazione degliinsegnanti e sul loro accesso allaprofessione, da cui emerge ilruolo preponderante assegnatoalle università, non solo nella for-mazione iniziale ma anche nelreclutamento. Anche in questocaso le reazioni sono state contra-stanti. Cupelli: Noi diciamo no ad undecreto dove non c’è alcun riferi-

mento ad una fase transitoria chepermetta il graduale passaggio dal-l’attuale sistema di reclutamentoal nuovo - di fatto limitato a colo-ro che conseguiranno lauree spe-cialistiche - e quindi l’assorbimen-to del precariato storico. In parti-colare giudichiamo inaccettabile lacancellazione del principio costi-tuzionale del concorso pubblico,unica forma di selezione chiara erealmente accessibile a tutti. Inmerito al ruolo delle università èfin troppo evidente come esse, apartire dall’istituzione delle Ssis,abbiano solo lucrato sui docentiprecari, svelando il loro caratteredi centri di potere e baronie chespacciano per formazione di eccel-lenza corsi che rispondono a meriinteressi economici. Falsetti: Che il compito affidatoalle università vada ben oltre ilmandato delle legge delega è giàstato obiettato dal ConsiglioNazionale della PubblicaIstruzione. C’è poi all’interno deldecreto l’idea feroce, abilmentealimentata sui media dal ministro,che i precari contribuiscano a“invecchiare” il corpo docente ita-liano, che solo i più giovani, quellicon la laurea abilitante, abbiano lecapacità per insegnare e che quin-di solo a loro debba essere data lapossibilità di entrare in ruolo. Ilproblema, invece, è un altro. Sitratterebbe, semmai, di facilitare ilpercorso pensionistico, il turn-over, altrimenti si rischia sul seriola gerontocrazia. Tutti i provvedi-menti di questi ultimi due/treanni in tema di formazione ereclutamento dei docenti hannoavuto il duplice obiettivo di divi-dere i lavoratori precari e diaumentare il clima di incertezzaper preparare il terreno all’assun-zione per chiamata diretta. Anchenoi riteniamo perciò che siaimprescindibile una fase di transi-zione che, attraverso regole condi-vise, consenta di assorbire, gra-dualmente, tutte le diverse tipolo-gie del precariato, in modo dascongiurare una guerra tra fascegenerazionali. Pucciarini: Sul piano del principionon c’è nulla di strano che all’uni-versità spetti la formazione deldocente sino all’abilitazione,conosciamo tutti i limiti dei con-corsi ordinari o riservati. Il dub-bio, piuttosto, è se questa univer-sità, quella del 3+2, frutto anch’es-sa della riforma Moratti, dellaquale è fin troppo evidente lo sca-dimento culturale, sia in grado diassolvere questo compito. Puri: In un contesto diverso lalaurea abilitante ci trova d’accor-do, anche perché siamo convintiche la pedagogia, la didattica e lametodologia abbiano un pesodecisivo nella formazione di uninsegnante.Ora però dobbiamo evitare cheuna generazione venga impune-mente espulsa. Se, contrariamentea quanto abbiamo tentato didimostrare, c’è effettivamente pos-sibilità e volontà di fare nuoveassunzioni le graduatorie ci sonogià, non è nemmeno un problemadi transizione. C’è forza lavorodisponibile in abbondanza, si trat-ta solo di smettere di sfruttarla edi riconoscerle, finalmente, i giu-sti diritti.

D La scuolanel marasma

Stefano De Cenzo

12 ambientemar zo 2005

Roberto Quirino, responsabile della sezione diSpoleto di Italia Nostra, ci ha inviato questo con-tributo, già pubblicato in altra forma, piùampia, su “Casa rossa”, il giornale del circolo spo-letino di Rifondazione Comunista. Volentieri glidiamo spazio su “micropolis”, convinti comesiamo della necessità che il dibattito sull’ambiente(e sullo sviluppo) delle città non debba essere con-finato al livello municipale, ma coinvolgere l’inte-ra comunità regionale.

re sono i documenti fondamentalida cui trarre notizie utili sullo statodell’ambiente a Spoleto, reperibilinelle biblioteche pubbliche: la pon-

derosa Relazione sullo stato dell’ambiente del ter-ritorio della Comunità Montana dei MontiMartani e del Serano, la Prima relazione sullostato dell’ambiente del Comune di Spoleto (Rsa) eil Piano di Azione Locale Ag21 (Pal), tutti editinel 2003 a conclusione dei forum di Ag21,svoltisi nelle due istituzioni durante i due anniprecedenti. Ag21 (Agenda 21) è un percorsopartecipativo, riconosciuto dagli organismieuropei, in cui istituzioni locali, associazioniambientaliste, di categoria e cittadini hannodato seguito a quanto previsto nella cosiddettaCarta di Aalborg, un documento, sottoscrittoanche dal Comune di Spoleto, che ha stabilitola necessità per le città europee di individuarele criticità ambientali, proponendo soluzioni emodalità per raggiungere modelli di sostenibi-lità per i centri abitati e per i territori. Quando Italia Nostra accettò di partecipare alforum Ag21 promosso dal Comune di Spoletosembrava essersi inaugurato finalmente unmodo nuovo, coinvolgente e reciprocamenteresponsabilizzante, di contribuire alla gestionedell’ambiente in collaborazione con l’ammini-strazione comunale. Presto gli entusiasmi sisono smorzati, costatando la puntuale assenza

agli incontri periodici di alcune componentifondamentali della vita locale: le associazioni dicategoria, gli imprenditori e gli operatori eco-nomici. Altro elemento rilevato più volte èstato la latitanza dei rappresentanti dell’ammi-nistrazione comunale, presenti solo agli incon-tri conclusivi delle varie fasi in cui si è articola-to il percorso partecipativo, per commentare irisultati emersi. Si è fatta progressivamentestrada l’impressione che il Forum sarebbe ser-vito come cavallo di Troia per far passare deter-minate scelte programmatiche, che l’ammini-strazione comunale avrebbe considerato avalla-te dal semplice fatto di averlo attivato. La sen-sazione è diventata certezza quando è venuto amancare il coinvolgimento dei partecipanti alForum al convegno Indicatori e partecipazione,componenti essenziali dello sviluppo sostenibile,organizzato dal Comune nel novembre 2003.Qualche mese prima, a giugno, era stato pre-sentato il Piano di Azione Locale conseguentealla Prima relazione sullo stato dell’ambientedel Comune di Spoleto. Vi si registravano leindicazioni emerse da Ag21, ma sembravanoanche essere intervenute ingerenze o travisa-menti atti ad attenuarne la portata e l’efficacia.In seguito all’adozione del nuovo PianoRegolatore Generale e con la presentazionedelle osservazioni in merito da parte dei sog-getti aventi diritto, Italia Nostra, Legambientee il Comitato Antinquinamento diSantochiodo inviarono al sindaco un docu-mento in cui costatavano l’interruzione delprocesso partecipativo di Ag21, la modificazio-ne di parti sostanziali del Pal e la mancataapplicazione nel Prg dei principi ispiratori diAg21. In realtà, a fronte di quanto raccoman-dato nei documenti di Ag21 circa un uso par-simonioso del suolo e di quanto evidenziatocriticamente dalla Relazione della ComunitàMontana (p. 408: “... intensificazione dell’ur-

banizzazione intorno a Spoleto in forma disor-dinata con disgregazione del tessuto paesisti-co”), nel nuovo piano regolatore si assiste aduna sfrenata corsa al consumo di territorio e dipaesaggio, con una nuova edificazione checopre la vastissima superficie di mq 1.986.573.Colle Risana, malgrado sia inserito in Area diparticolare interesse naturalistico, è interessatoda un grande sviluppo di nuovo edificato resi-denziale, alterazioni saranno provocate al ColleSan Tommaso, alla Passeggiata, Colle Attivoli,Colle Ciciano e perfino nella zona antistanteNapoletto. Colate di cemento si prevedono permolte frazioni, che perderanno la fisionomiastorica di castelli e di ville aperte. Di tutto e dipiù è leggibile nelle osservazioni al Prg conse-gnate all’Amministrazione non solo da ItaliaNostra, Legambiente, Wwf e Città Nuova, maanche dal Comitato “Contro Lo SvincoloSud”, che si batte contro la realizzazione diuno svincolo, corredato da tunnel, sottopassi esovrappassi, nella zona antistante l’illustreCollegiata di San Pietro. Sul n. 42 della rivista“Carta”, Paolo Berdini, ingegnere dell’UfficioTerritorio di Italia Nostra nazionale, ha scrittoa proposito di questo svincolo e della circon-vallazione che dovrebbe completarlo: “Nonsiamo più negli anni spensierati della spesapubblica facile: pensare oggi a nuove circonval-lazioni in luoghi ancora intatti è dunque mag-giormente colpevole. Meglio sarebbe interveni-re con intelligenza e lungimiranza sulle disfun-zioni e sui problemi viari che esistono, miglio-rando la qualità e la vita dei cittadini ...”.E’ ovvio che le considerazioni emergenti dalleOsservazioni debbano essere correlate con laserie complessa di problematiche, di fattori, dielementi e di dati contenuti nelle Relazionidella Comunità montana e di Ag21 e nel Pal.Inoltre non è da dimenticare che Spoleto pos-siede ben tre dei ventiquattro siti da bonificareiscritti all’apposita Anagrafe redatta dagli orga-nismi regionali: Italmatch Chemical Spa,Stabilimento militare del munizionamento ter-restre, Area di San Giovanni di Baiano (vedi “IlSole-24 Ore Centronord”, 11 agosto 2004, n.61, p. 12).Giusto in questi giorni (febbraio 2005) i capo-luoghi umbri sono entrati nel novero dellecittà “a targhe alterne”. Potrebbe accadereanche a Spoleto. E’ opportuno, infatti, renderenoto che Spoleto possiede un parco veicolareappurato in 787 veicoli ogni 1000 cittadini eche gli spostamenti avvengono per l’83% sumezzi propri, a fronte del 12% con mezzi pub-blici, grazie alla tendenza crescente alla rarefa-zione e disgregazione del tessuto urbano con larealizzazione di quartieri residenziali non dota-ti di servizi. Per quanto riguarda il faraonicoprogetto di mobilità alternativa urbana, prefe-

riamo non pronunciarci. Siamo comunqueperplessi di fronte allo scavo di Viale Matteottie pensiamo che sarà un grossissimo problemamantenere decorosi ed efficienti i percorsimeccanizzati e svuotare Spoleto dalle auto! Altri problemi sarebbero da affrontare in que-sta veduta d’assieme dello stato dell’ambiente aSpoleto. Per esempio, non molti sono a cono-scenza e consapevoli dell’alluvionabilità dellazona di San Venanzo-Pontebari, dove stannocrescendo complessi ad alta densità abitativa,mentre la stessa area urbana di Spoleto nellasua completezza è classificata a rischio R4, cioèmolto elevato.Qualche passo avanti è stato invece fatto ulti-mamente nello smaltimento dei rifiuti, tramitela raccolta differenziata, per la quale si registrauna situazione in crescita, ma la città non offreuno spettacolo particolarmente curato perquanto riguarda il decoro urbano, e grossissi-mo è il problema delle discariche abusive nelbosco attraversato dalla carrozzabile per MonteLuco.Grazie all’adozione di uno sciagurato PianoEnergetico Regionale, è nuovamente in aggua-to l’installazione di pale eoliche sui montiSerano, Cammoro, Maggiore, Martani, Patricoe Acetella.E’ veramente singolare che, anche a livellonazionale, sia tornato alla ribalta l’eolico,ingiustamente considerato pulito e alternativo,proprio nel momento in cui nazioni fino alqualche tempo fa considerate guida, come laGermania e la Danimarca, lo stanno ampia-mente ridimensionando o addirittura smantel-lando. Veri mostri, le pale eoliche sono deltutto inutili se impiantate isolatamente, effi-cienti solo se impiantate in sequenze di decinee centinaia di torri, innalzate su sommità perraggiungere le quali sono necessarie massicceopere di scavo per la realizzazione di piste e diimponenti sterri per il loro impianto. Scrive ilpoeta tedesco Botho Strauss: “Nessuna fase diindustrializzazione ha determinato una detur-pazione del paesaggio così brutale, come que-sto conficcamento e sprangamento creato daimulini a vento (..) Essa distrugge non soltantospazi esistenziali, ma anche i più profondi spazidella memoria”. Quale tipo di energia alterna-tiva adottare, dunque? Veramente alternativosarebbe innanzi tutto il risparmio energetico,derivante dal consapevole mutamento di abitu-dini e di comportamenti individuali e colletti-vi; veramente alternativo sarebbe anche il sola-re termico, per le caratteristiche precipue disoleggiamento del nostro paese. E’ comunquesingolare notare come negli allegati al Prg spo-letino l’installazione del solare termico sia lega-to a semplici autorizzazioni e non ad una pia-nificazione, con buona pace di Ag21.

RistoranteCentro Convegni

Via del Pastificio, 806087 Ponte San Giovanni - Perugia

Tel. (075) 5990950 - 5990970

Contributo per la conoscenza dello stato dell’ambiente a Spoleto

L’alibi della partecipazioneRoberto Quirino

T

n accordo di primavera che geleràogni speranza di mantenimentodell’autonomia dell’Alto Tevere inmateria di rifiuti e significherà il

tramonto per la Sogepu, l’azienda municipa-lizzata tifernate? Non è uno scenario troppopessimista. E’ con ogni probabilità il quadroche si delineerà con la convenzione sotto-scritta ad inizio marzo dai sindaci dei comu-ni dell’ ambito territoriale (Ato n.1), daquello di Perugia e dalla Regione Umbria,destinata a rivoluzionare la gestione dellaraccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Unaccordo nato male e gestito peggio, controppe incertezze e poche garanzie e che, aridosso delle elezioni regionali, ha innescatola vera e propria bomba delle dimissioni-denuncia del presidente della stessa munici-palizzata tifernate Vincenzo Bucci. Per ora,tra i pochi dati certi, oltre alla vittoria delpartito della Gesenu, l’azienda che gestisce ilservizio di smaltimento a Perugia, si registrail bel regalo fatto ai contribuenti umbri: oltretre milioni e mezzo di euro che la Regionesborserà nei prossimi tre anni per coprire isoli costi del trasferimento dei rifiutidall’Alto Tevere a Perugia (A/R!!!). Unamontagna di soldi buttati via, che si sarebbe-ro potuti impiegare per risolvere tanti pro-blemi che invece, evidentemente, si è preferi-to lasciare sul tappeto per poter arrivare oggialla realizzazione di un progetto al quale sistava lavorando più o meno in sordina datempo, sotto la regia della presidente regio-nale Lorenzetti. Ma quali sono i termini di questa vera e pro-pria rivoluzione? In sostanza, i rifiuti prodot-ti in Alto Tevere saranno in un primomomento raccolti nella discarica diBelladanza dove verrà prevista un’appositastazione di trasferenza (la Regione ha stan-ziato 350.000 euro per realizzare tre stazionidi trasferenza a Gubbio, Gualdo e Città diCastello), per poi essere trasferiti a Ponte Rio(Perugia) ed essere sottoposti alla preselezio-ne. L’impianto di Città di Castello non hainfatti la struttura per la preselezione, comeinvece richiesto dalla normativa a partire dalprossimo anno. Una volta selezionati, i rifiu-ti saranno riportati nella discarica diBelladanza (le spese di trasporto sarannoappunto a carico della Regione, cioè dei con-tribuenti). Ma nella discarica tifernateandranno a finire anche i rifiuti di tutti icomuni dell’Ato e una parte di quelli pro-dotti a Perugia, per una quantità totale chepasserà da trenta a quarantamila tonnellateannue. Tutto questo per i prossimi tre anni,nel corso dei quali, come hanno sottolineatogli amministratori di Città di Castello, ladiscarica tifernate dovrà essere dotata del-l’impianto di preselezione. Ma il conferi-mento di una tale quantità di rifiuti decre-terà l’esaurimento della discarica nei soliprossimi cinque anni, pertanto si dovrà lavo-rare da subito per l’ampliamento, il cuiimpegno economico non è da poco.Insomma motivi di perplessità non manca-no. Ma il primo interrogativo è: perché nonsi è pensato a realizzare questo benedettoimpianto di preselezione per tempo, dalmomento che la normativa è stata emanatala bellezza di dieci anni fa? I soldi destinati alcosto del trasporto dei rifiuti non potevanoessere utilizzati per la realizzazione di tale

opera, chiedendo nel frattempo una prorogaper Belladanza? Tanti interrogativi appunto,ai quali si aggiungono le perplessità suscitatedalla stessa sottoscrizione della convenzione.Il sindaco di Città di Castello, nonostantel’importanza dell’atto, ha accordato la pro-pria adesione senza che la questione sia statadiscussa in Consiglio comunale. Gli stessipartiti di maggioranza non sono stati inter-pellati. L’aspetto più grave è che persino ivertici della Sogepu sono stati messi di fron-te al fatto compiuto! Così il documento nonsolo non è stato siglato dall’azienda, ma si èarrivati alle clamorose dimissioni del presi-dente, che ha bollato l’accordo come svan-taggioso per l’intero territorio altotiberino edannoso per la Sogepu.Nella sua ultima relazione al Consiglio diamministrazione Bucci non ha usato mezzeparole. La convenzione prevede che il corri-spettivo pagato alla discarica di Belladanzaper ogni tonnellata di rifiuti sarà di ventieuro, mentre il prezzo di mercato è di qua-rantacinque. Per la Gesenu è un vero e pro-prio affare, ma c’è un’evidente sproporzionereale: la cifra è inferiore addirittura ai solicosti di gestione, calcolati sui ventuno euro atonnellata. A queste condizioni per Città di

Castello la gestione della discarica, conside-rata oggi uno dei migliori impianti esistentiin Italia, appare a dir poco problematica. Forti dubbi riguardano la stessa volontà poli-tica di realizzare il preselettore. Progettazionea parte, per raggiungere tale obiettivo (costoprevisto circa nove miliardi), è necessariocoinvolgere tutti i comuni interessati. Èimportante anche assicurare un bacino diutenza che possa conferire le cinquantamilatonnellate annue di rifiuti necessarie per ren-dere redditizio l’impianto. A questo proposi-to si punta il dito sull’assenza di ogni riferi-mento a sinergie con i comuni toscani. Talequestione, fondamentale per l’Alto Tevere,non è stata nemmeno presa in considerazio-ne. E nei comuni toscani c’è ora chi ipotizzadi rimettere in discussione i passi già intra-presi. E il ruolo della Sogepu? Del trasportodei rifiuti da Belladanza a Ponte Rio si occu-perà esclusivamente la Gesenu, mentre l’a-zienda tifernate non è neppure menzionata.Altro aspetto preoccupante è quello dell’in-troduzione della tariffa unica: consideratoche le tariffe di Perugia sono ben più alte,saranno inevitabili rincari considerevoli pergli altotiberini.Insomma, il dubbio è che l’intera operazione

sia stata imposta ai sindaci altotiberini daPerugia. E a ben leggere recenti prese diposizione, è chiaro che a tale scenario si èiniziato a lavorare da tempo. Già nel consiglio comunale di Perugia del 21febbraio scorso Enzo Santucci (Ds) dichiara-va: “E’ opportuno che si stabiliscano accordiin particolare con Città di Castello ed abbia-mo già un precedente molto positivo che èl’Ato per l’acqua. La stessa cosa deve avvenireper i rifiuti”. Più chiare le parole di MariaRita Manfroni (Prc): “Abbiamo Città diCastello che ha la discarica con tutta lacapienza utile”. Emblematici anche i tanti silenzi. Almomento dell’approvazione della propostadi gestione integrazione dei rifiuti da partedel Consiglio delle autonomie locali del feb-braio 2001, arrivate le osservazioni di tutti icomuni ma l’allora sindaco tifernate AdolfoOrsini non era intervenuto, mentre il tavolodi concertazione tenutosi nel 2001 avevaregistrato la latitanza della Sogepu. Durantel’approvazione del Piano regionale per lagestione integrata dei rifiuti (siamo nel2002) era assente l’assessore umbertideseRosi. E ricordando le dichiarazioni del sindaco diUmbertide Giulietti (“la nostra adesione alcostituendo Ato 1 è pertanto legata alla defi-nizione di un accordo importante tra Perugiae Città di Castello”), c’è chi vede nella stessaUmbertide il cavallo di Troia che ha fattopassare il progetto.Se questo spiega quanto accaduto, le affer-mazioni del candidato di Pietralunga FurioBenigni (Rc), che ha dichiarato di voler capi-re quante Asl, quante Comunità montanesono previste in Umbria, lanciano ombrepesanti sul futuro. E’ probabile che si stiaandando ad una centralizzazione sempremaggiore dei poteri verso Perugia che, rifiutia parte (per l’acqua è già avvenuto), riguar-derà la sanità e tutti gli altri settori. Una prospettiva che non trova resistenze tragli amministratori ma neppure tra i partiti diopposizione, che rispetto all’accordo hannoavuto una posizione morbida. La Margheritatifernate, che in consiglio ha presentato unamozione chiedendo l’annullamento dell’ac-cordo, aveva annunciato fuoco e fiamme, maevidentemente è stata richiamata all’ordine.Il consigliere regionale Lignani Marchesani(An), che deve pensare a raccogliere votianche a Perugia, si è limitato a dire che vigi-lerà per il rispetto dell’accordo.E mentre l’Alto Tevere vede cancellata lapropria autonomia, viene invece premiataOrvieto, dove saranno conferite ventimilatonnellate di rifiuti prodotti a Perugia.Un’operazione che a poche settimane dalleelezioni, come ha evidenziato la stampa, assi-cura la soluzione di un bel po’ di problemiall’azienda locale, la Sao, e soprattutto allecasse del comune. Insomma, se da una partesi penalizza, dall’altra si premia.

Alto Tevere

La guerra dei rifiutiAlberto Barelli

U

13 ambientemar zo 2005

Dietro la convenzionetra Gesepu e Gesenu

fa capolinoil centralismo perugino

el XX secolo la dimensione eco-nomica dei fatti sociali haassunto il massimo rilievo e unapervasività globale. Riunendo

studi pubblicati negli ultimi vent’anni in ununico volume (Il tempo dell’economia.Strutture, fatti, interpreti del Novecento,Bollati Boringhieri, Torino 2004), PierluigiCiocca, economista di lungo corso, vicedi-rettore generale della Banca d’Italia, segue levicende dell’economia del ‘900, interrogan-dosi sulla strutturale oscillazione tra con-quiste epocali (come il superamento delvincolo demografico) e diseguaglianze strut-turali, sia nelle economie avanzate che traqueste e i paesi terzi. Ne risulta confermatala sostanza evolutiva, e la permanenza dicontraddizioni cicliche, del modo di produ-zione capitalistico. Ordinati per sezioni (lestrutture, la storia, gli interpreti), i 22 saggiadottano un metodo che integra modellianalitici e risultanze della ricerca storica: unapproccio che si richiama a Cipolla e aiclassici. E’ un modo per rifuggire dal diffu-so pregiudizio ideologico dell’irrilevanzadella verifica storica dei modelli teorici.Tra i dati strutturali particolare importanzaè annessa alla moneta e al credito, a untempo fattori di sviluppo e accumulazione,e motivi di instabilità permanente: inflazio-ne e deflazione sono la radice di molte crisipolitiche, non ultima l’affermazione deifascismi. Così appare riduttivo l’approccioneoclassico, che assegna alla moneta l’e-sclusiva funzione di mezzo di circolazione;più adeguate risultano le analisi di Marx,Schumpeter e Keynes. Ciò è ancor più veronel ‘900, quando il capitalismo completa latrasformazione da “economia con moneta”a economia monetaria di produzione. Altreimportanti trasformazioni, come l’ascesa e ildeclino dell’impresa pubblica (che neglianni ‘70 sembrava una realtà acquisita) el’enorme incremento del risparmio di lavo-ratori e pensionati (40% del totalenell’Italia del 2000), rafforzano tale direzio-ne di marcia. In questo contesto acquistanomassima importanza fattori quali la fiduciae la difesa dall’instabi-lità. Ne discendononuovi compiti dellapolitica economica,mentre stabilità moneta-ria e rigore creditizionon appaiono strumenti“di parte”, bensì prere-quisiti della crescita edella stessa equità socia-le. Tutela del risparmio eselezione del creditoemergono come gli stru-menti principali di unapolitica economica atti-va, che voglia mantenerefinalità di piena occupa-zione e di maggioreperequazione dei redditi.In questa direzione sonocentrali l’autonomiadelle banche centrali e la legislazione suimercati. Parallelamente perdono peso altristrumenti della politica economica, quali la

leva fiscale, l’impresa e l’investimento pub-blici. Sconfitta l’alternativa della pianifica-zione socialista (per sua intrinseca incapa-cità a trasformare sul piano intensivo e dei

consumi i progressi nel-l’industrializzazione pri-maria), ritornato in augeil liberismo, restacomunque aperto il pro-blema di sostenere ladomanda globale egovernare le aspettative,tanto più in presenza diuna globalizzazione nonaccompagnata da ade-guati istituti regolativi,per cui è impossibileescludere il ripresentarsidi crisi anche profonde edurature. L’analisi storica è incen-trata sull’Italia, conside-rata un caso di interessegenerale sia per i suoisuccessi che per i suoi

fallimenti. Da un lato infatti, l’industrializ-zazione italiana, compiuta senza la disponi-bilità di materie prime, dimostra che l’aper-

tura ai mercati internazionali è elementodecisivo: il modello export-lead del dopo-guerra consente di sostenere le importazioniattraverso le esportazioni. Altro elemento “acredito” del sistema italiano è l’imprendito-rialità diffusa, riflesso di una secolare pro-pensione alla dimensione mercantile.D’altra parte l’economia italiana proponeanche fallimenti dolorosi, a cominciaredalla questione meridionale e dal divario tracrescita economica e condizione civile e cul-turale; risulta in qualche modo un dato per-

manente del capitalismo (non solo nostra-no) la difficoltà a riprodurre su scala allar-gata gli effetti positivi. L’analisi di alcunimomenti chiave puntualizza tali potenzia-lità e contraddizioni: le aporie della strettamonetaria di quota 90, gli aspetti congiun-turali e le scelte di fondo che presiedonoalla fondazione dell’IRI e alla legge bancariadel 1936, il ruolo della stabilizzazionemonetaria del 1947 nel preparare le condi-zioni del miracolo economico, gli squilibriirrisolti di uno sviluppo non “guidato”,esplosi con gli shock salariali ed energeticidegli anni ‘70. Le carenze della politica eco-nomica riemergono nella mancata crescitadegli anni ‘90. Nonostante le privatizzazio-ni e l’apertura dei mercati, si manifesta unarecessione latente, caratterizzata da un ral-lentamento di produttività ed esportazioni,che richiama a limiti di fondo: la frammen-tazione del sistema delle imprese, la scarsaconcorrenza interna, la tendenza dei profittiverso la rendita.La rilettura dell’opera - che talvolta è ricor-do partecipe - di alcuni interpreti e prota-gonisti dell’economia italiana (daPantaleoni a Einaudi, da Sraffa a Caffè, daMattioli a Baffi), coglie alcuni elementicomuni, pur nella diversità delle imposta-zioni teoriche. In particolare viene illustratala diffusa coscienza “liberista” (condivisadalla cultura di sinistra, spesso anche quellamarxista), che considera il mercato un ele-mento di modernizzazione progressista cuisi oppongono nei fatti i “poteri forti” delsistema: in altre parole il contrasto tra“produttori” e rendita. Si rileva poi l’acutacoscienza del distacco tra modelli teorici erealtà economica italiana, con conseguentescelta di farvi fronte anche con un impegnopolitico in prima persona da parte di moltieconomisti. Alcune tesi di Ciocca appaionodiscutibili. Fra tutte, l’idea che ridurre lapolitica economica agli aspetti monetari enormativi non incida negativamente sugliobiettivi di equità sociale: l’esperienzaattuale, sia italiana che dell’UE, spinge agiudizi meno ottimistici. In generale, però,il rigore analitico, il profondo senso storiconel giudizio sulle strutture economiche efinanziarie, il monito sulla precarietà delleconquiste del capitalismo novecentesco,costituiscono corposi elementi di contro-tendenza rispetto alla deriva sciatta e vacuadel dibattito economico attuale, specie neisuoi aspetti programmatici.

14 economiamar zo 2005

Il Novecento italiano in un libro di Pierluigi Ciocca

La forza della monetaRoberto Monicchia

N

Totale al 23 febbraio 2005: 5020 EuroAssociazione Seingioco-Pg, 50 euro; Mapi Battista, 30 euro; NicolaChiarappa, 250 euro; Loucia Demosthenous, 100 euro; Angelo Guidobaldi, 70euro; Carla Mantovani, 50 euro; Claudia Mantovani, 30 euro; FrancescoMorrone, 50 euro; Mauro Tippolotti, 50 euro; Massimo Trauzzola, 100 euro;Cena di sottoscrizione 880 euro.

Totale al 23 marzo 2005: 6680 Euro

12.000 Euro per micropolis

Un monitosulla precarietàdelle conquistedel capitalismo,un antidotocontrola sciatteriadel dibattitoeconomicocorrente

arlando di Alberto Burri, il pittoreEmilio Tadini diceva “è un curiosomiscuglio di vecchio e di nuovo.Riesce insieme ad essere insieme un

uomo all’antica, tagliato nel diamante, e unartista spontaneamente all’avanguardia, conuna capacità continua di trovare nuove mate-rie e trasferirle nella sua pittura”. Antico emoderno al tempo stesso ma di sicuro uomoriservatissimo fino alla misantropia.Prediligeva il silenzio, la solitudine, la sua casadi campagna isolata nell’Appennino. Amava,ironicamente, paragonarsi a Diogene diSìnope per la testarda anticonformista ricercadi pace e solitudine. Alle abbaglianti e falseluci del successo dei salotti dei circoli artisticipreferiva la luce del sole della sua amatissimaCittà di Castello. Leggendaria la sua ritrosiaalla mondanità, alle interviste, ai bagni difolla. Nel 1979 a Milano in occasione dell’i-naugurazione di una sua personale allaGalleria Marconi si allontanò appena termi-nato l’allestimento, prima che arrivasse lacarovana degli abituali mondani frequentatoridei vernissage. Un aristocratico individuali-smo quello del Maestro tifernate, una reticen-za tesa a non contaminare l’Arte con il merca-to e i suoi figli, con la pubblicità e le publicrelation. Un Burri che, appassionato delmondo western, si diverte ad impersonarel’ultimo dei mohicani, a rivendicare il dirittoad essere padrone di se stesso, a vendere i suoiquadri solo a coloro che riteneva degni dicomprarli, terrorizzato dall’idea di diventare“l’homme de main”, il braccio secolare dellaCritica, l’impiegato a tempo pieno o parzialedelle gallerie e dei mercanti d’arte. Di pochema significative parole non amava i critici e,in genere, il mondo che ruotava intornoall’arte. Si limitava ad utilizzarlo. Famoso ilsuo sberleffo ad un critico che, in mezzo adun effluvio di parole, paragonò il rosso deisuoi “Sacchi” al sangue delle garze usate inguerra. I critici, lui di scarse parole, li vedevacome disinvolti giocolieri della parola che,spesso, si dilungano a parlare del titolodimenticandosi del quadro. L’enunciazionedella sua teoria estetica la lasciava ai suoi qua-dri, alle emozioni che suscitano in chi li guar-da. A chi gli chiedeva della sua arte ripeteva :“Le parole non mi sono di aiuto quandoprovo a parlare della mia pittura. E’ una realtàche è parte di me stesso, una realtà che nonposso rivelare con le parole”. E ancora, citan-do Picasso, uno dei pochissimi artisti contem-poranei che citava con entusiasmo e ammira-zione: “Io non cerco, trovo”. Questi accennial modo in cui Burri portava il peso di viverela sua diversità da artista tornano spontanea-mente e prepotentemente alla memoria dicoloro che lo hanno conosciuto. L’occasione ola provocazione, secondo i punti di vista,della sollecitazione della memoria è dataanche dalla mostra “Prima di e con Burri”inaugurata nei giorni scorsi alla Pinacotecacomunale di Città di Castello e aperta fino al12 giugno prossimo. Una raccolta di opere diartisti contemporanei a Burri di cui ci sfuggeil criterio di scelta, organizzata dal Comunedi Città di Castello e dalla Regionedell’Umbria in collaborazione con laFondazione Palazzo Albizzini e al cui allesti-mento ha contribuito, a vario titolo, un eser-cito impressionante di collaboratori. Unamostra che nelle presentazioni del catalogoviene definita in termini contraddittori. Per ilsindaco di Città di Castello, Cecchini, si trat-

ta di “un evento di rilievo nel panorama arti-stico e culturale non solo regionale”. Lagovernatrice Lorenzetti si limita ad un buro-cratico auspicio “di un ulteriore supporto perl’immagine, con una ricaduta turistica, e dun-que economica, per tutto il territorio “.Intanto sarebbe interessante conoscere i costi.Il presidente della Fondazione Calvesi, menoparco di parole di Burri, si produce conmestiere nella giustificazione artistica dell’e-vento da lui definito “la bussola di Burri”, unpresunto orientamento delle sue simpatie,artistiche ed umane. Siamo alquanto curiosidi vedere le reazioni della critica meno coin-volta e interessata di Calvesi. A noi è sembra-ta un’antologia di citazioni artistiche mediocriche poggia più sui nomi che su una sceltarigorosa delle opere. Chi saprebbe sostenerecon la sicurezza di Calvesi che Burri amasseo stimasse tutti questi artisti ? Credo in pochi.In ogni caso è un omaggio e ognuno fa gliomaggi che vuole e che può. Certo fa uncerto effetto vedere grandi nomi comeCézanne, Picasso, Mirò accostati ad Alvaro eNemo Sarteanesi, di cui non abbiamo trovatotraccia nei nostri libri. Ma una festa è unafesta e una filiale e affettuosa citazione pater-na da parte della curatrice e dell’allestitorenon guasta mai. Certo Burri non avrebbedigerito facilmente tutto il contorno dellamostra. La mondanità, il chiacchiericcio pro-vinciale, gli strumentali e improbabili concer-ti promossi per l’occasione dagli “Amici delfestival”, i facili entusiasmi di qualche ammi-nistratore. Lui, pignolo allestitore e curatoredi ogni particolare,si sarebbe incazzatonon poco nel legge-re su “UmbriaRegione”, il periodi-co di uno degli entiorganizzatori, uncondensato di ine-sattezze come:“Burri con Burri.Una grande mostradel pittore tifernateinaugura la nuovaala di PalazzoVitelli...” Visto ilclima festivo digenerale soddisfa-zione in molti sisono sbilanciati inarditi progetti. Inun’intervista Calvesi ha auspicato l’acquisizio-ne di Palazzo Vitelli a S.Egidio e la realizza-zione del “famoso progetto del maestro con ilcomplesso architettonico nero come sfondo-quinta scenica”. Alle feste, si sa, è lecitosognare. Poco opportuno, invece, aggiungereai progetti argomenti scomodi, specialmentequando si è presidenti di una Fondazione chegestisce un bene pubblico come le opere diBurri. Ma se uno vuol raccontare una storiadeve andare fino in fondo. “micropolis”; vistecerte amnesie dei protagonisti e constatatoche le cronache quotidiane non lo fanno, hadeciso di scavare un po’ più a fondo in questastoria infinita. Per ristabilire un certo equili-brio, perché l’argomento tira e fa venderecopie, anche a chi nella vita non ha mai com-prato “il manifesto”. Sostiene Calvesi che èdifficile prevedere soluzioni brevi all’annosavicenda giudiziaria “perché noi siamo, comeFondazione, gli eredi legittimi della vedovaMinsa Craig, ma è spuntato un fratello che

ritiene di avere in mano un foglietto dellasorella che cambierebbe la destinazione eredi-taria”. Ora questo fratello non è spuntato dalnulla, ma esiste da più di ottanta anni e risie-de allo stesso indirizzo da diversi decenni. Iltanto citato foglietto è un normale foglio pro-tocollo in cui Minsa Craig vedova Burri nelmaggio del 2003 ha scritto le sue ultimevolontà. Per la curiosità dei nostri lettori e lamemoria di Calvesi, il “foglietto” titolatoUltimo testamento di Minsa Craig stabilisceche tutti i suoi beni, meno i libri, devonoessere venduti e il denaro dato allaAssociazione Amici di Burri. Indica poi ilnotaio nel cui studio deve essere costituital’Associazione, il direttore della stessa e gliesecutori testamentari nelle persone di RobertBecker e di Sean Sweeney. Persone queste cheCalvesi dovrebbe conoscere bene visto che haaffermato di averle incontrate nei giorniseguenti la scomparsa della Craig anche se idue negano l’incontro. “Foglietto” indigestoper la Fondazione che si vede sconfessatadalla vedova dell’artista nella propria attivitàal punto di spingerla a costituire una nuovaassociazione per promuovere l’arte del marito;indigesto perché vede allontanarsi una bellacollezione di quadri che sprovvedutamente orancorosamente faceva cercare in Italia; per-ché ha autorizzato i due esecutori testamenta-ri a provvedere ai funerali della Craig e allatemporanea sistemazione dei beni. “Foglietto”sbeffeggiato ripetutamente nelle dichiarazionie nelle interviste di Calvesi in quanto ritenutonon valido ai fini legali. Di diverso parere i

giudici francesi,almeno fino adoggi. Infatti, nelluglio del 2004 ilTribunale di Gran-de Istanza di Nizzaha revocato allaF o n d a z i o n eAlbizzini e a Ti-ziano Sarteanesil’autorizzazione aprendere possessodei beni di MinsaCraig nel suo ulti-mo domicilio, beniche si erano affretta-ti a richiedere, con-dannandoli al paga-mento delle speselegali e al pagamen-

to di un risarcimento a Cecil Craig. Il 3marzo scorso la Corte di appello di Aix enProvence si è pronunciata sul ricorso in appel-lo della Fondazione Albizzini e di TizianoSarteanesi decretando l’impossibilità dellaprima a costituirsi in giudizio in Francia e lamancanza dei requisiti di esecutore testamen-tario del secondo, condannando i ricorrentiin appello al pagamento delle spese legali e alpagamento di una somma a Cecil Craig.Come mai Calvesi e il consiglio di ammini-strazione della Fondazione, in genere tantosolerti nell’intrattenere la stampa, non hannoinformato l’opinione pubblica di questi svi-luppi? Si deciderà una buona volta la musco-losa governatrice Lorenzetti ad esercitare ilpotere di controllo su una Fondazione chesembra irresistibilmente attratta dalle impresegiudiziarie? Sostiene Calvesi che i contenziosinon sottraggono energie alla Fondazione.Energie forse no, ma soldi pubblici chepotrebbero essere utilizzati meglio, si.

15 c u l t u r amar zo 2005

Burri e la Fondazione

La storia infinitaPaolo Lupattelli

Attualitàdellanonviolenzam.m.

La nonviolenza in questi anni di guerre uma-nitarie da sinistra e di guerre preventive dadestra, pur sempre guerre di prevaricazione edi distruzione, è una parola, spesso solo unaparola, tornata di prepotenza sulle pagine deigiornali, così tanto da rischiare di divenire dimoda e non essere adeguata ai suoi significati,e alle pratiche, più profondi. Non violenti ipacifisti e il largo mondo del pacifismo, non-violenti quanti si battono contro guerre speci-fiche che infiammano questo povero mondo:ma il pacifismo da solo, e tanto meno il rifiutodi questa o di quella guerra non fanno ancoranonviolenza. Insomma, stiamo rischiando diassistere alla retorica della nonviolenza, emagari talora al suo uso consolatorio.Giunge a questo punto opportuno il lavoro diMario Martini, professore alla Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università di Perugia,studioso di Capitini e curatore della sua operaomnia, che ha pubblicato una antologia degliscritti di Capitini, Le ragioni della nonviolenza(Edizioni ETS, Pisa 2004), anche per arrivare“attraverso l’analisi dei testi - come scrivenell’Introduzione - a porre i termini di con-fronto della loro attualità”. E ci sembra pro-prio che l’attenzione all’attualità abbia merite-volmente guidato Martini a mettere mano allasua Antologia e poi all’organizzazione internadella stessa: c’è l’esplicito riferimento ai movi-menti pacifisti di oggi “a carattere e di portatainternazionale”, ci sono citazioni dai docu-menti rivendicanti “elementi di reale democra-zia, che ricordano molto da vicino la omnicra-zia capitiniana, quel potere di tutti”. Martininon fa concessioni al semplicismo delle mode,alla declamazione superficiale della nonviolen-za: “E’ una ragione intrinseca quella che colle-ga in Capitini le idee, il pensiero, e l’azione, latestimonianza. Egli ha saputo tradurre nellapratica le idee della nonviolenza, e d’altra parteha saputo impiantare in un discorso teorico,filosofico e religioso, ma anche politico, i prin-cipi della stessa perché ne risultassero giustifi-cati razionalmente”. Ci piace insomma imma-ginare che Martini abbia anche voluto ammo-nire eventuali nonviolenti d’accatto a non glis-sare ma piuttosto a confrontarsi, seriamente,con questo “discorso teorico, filosofico e reli-gioso”.Il volume antologico di Martini percorre orga-nicamente il discorso capitiniano, lavorando,anche cronologicamente, sui suoi scritti piùessenziali, dai fondamentali Elementi di un’e-sperienza religiosa (1937) su su attraverso Ilproblema religioso attuale (1948), Religioneaperta (1955) fino agli ultimi scritti degli anni‘60 che Martini riunisce sotto un titolo com-plessivo L’impegno nonviolento. Un libro da leg-gere, non un’antologia da sfogliare, magarinon tutto d’un fiato, ma con l’attenzione, lapassione, la partecipazione che Capitini meri-ta, tanto più in tempi così bui. Ricordandol’epigrafe per la tomba di Aldo Capitini dettatada Walter Binni: “Libero religioso e rivoluzio-nario nonviolento / pensò e attivamente pro-mosse l’avvento / di una società senza oppressi/ e l’apertura di una realtà liberata e fraterna”.

P

Marco Rufini, Braccio da Montone.Vita di un capitano di ventura,Roma, Edizioni e/o, 2004.

Torna di moda la biografia roman-zata, non a caso la collana in cui esceil libro si intitola significativamenteVite narrate. Era un genere andatoin disuso, nonostante avesse avutonello scorso secolo notevoli espo-nenti: da Lytton Strachey delle regi-ne Elisabetta e Vittoria e diEminenti vittoriani, a Stefan Zweigdi Fouché, fino a giungere al piùmodesto esempio italiano di MariaBellonci. Lo segnaliamo soprattuttoper un motivo: si tratta di un autoreumbro che, cosa rara, pubblica per itipi di una casa editrice nazionale diqualche prestigio. Il volume presen-ta tutti gli ingredienti del genere: ifatti storici si intrecciano con le leg-gende costruite intorno al personag-gio, l’ambientazione si coniuga conl’indagine psicologica, attraverso cuisi cerca di spiegare il carattere e le

scelte dell’uomo. Braccio ne emergenon solo come un condottiero diindubbio valore, ma anche come ungovernante oculato, con un grandeprogetto: quello di unificare l’Italia,di costruire un grande stato nazio-nale. La visione globale si intrecciacon le lotte interne alla città traRaspanti e Beccherini, ossia trapopolo grasso e nobiltà di originefeudale e guerriera di cui Braccio èun esponente di spicco, lotte da cuiil capitano di ventura riesce a distac-carsi per perseguire il suo sogno.Insomma si ha nel personaggioquasi la prefigurazione di quelmodello di Principe che verrà dise-gnato un secolo dopo da NicolòMachiavelli. Il progetto fallisce nonper mancanza di valore del suo idea-tore quanto per il tradimento deisuoi subalterni. E qui Rufini ripren-

de uno stereotipo volto a spiegareun fallimento senza colpa, mante-nendo la simpatia o la stima costrui-ta nel lettore nei confronti del prota-gonista. Il libro, malgrado qualchemomento di tedio, si lascia leggere.

Dragutin Drago V. Ivanovic, Me-morie di un internato montenegrino.Colfiorito 1943, Perugia-Foligno,Istituto per la storia dell’Umbriacontemporanea - Editoriale umbra,2004.

E’ la traduzione di parte di un libropubblicato nel 1989 in Monte-negro, prima che cominciasse lamattanza che ha attraversato, smem-brato e lacerato la ex Jugoslavia, incui l’autore descrive la sua vita neidiversi campi di concentramentoitaliani attraverso cui è transitato in

Montenegro, in Albania ed in Italia.L’editore italiano ha riportato solo lavicenda del campo di concentra-mento di Colfiorito, struttura cheiniziò a funzionare nel gennaio1943 e dove Ivanovic fu internato il28 maggio dello stesso anno.L’autore è un giovane comunistamontenegrino che faceva parte nelsuo paese della Resistenza antinazi-sta ed antifascista. Catturato dai cet-nici il 28 aprile del 1942 aveva fattouna lunga trafila di campi daSkadar, Bar, Kota, tra Albania eMontenegro, per essere poi imbar-cato alla volta di Bari il 15 aprile1943, mandato a Foggia da dove,per essersi rifiutato di collaborarealla ricostruzione di baracche edalloggiamenti danneggiate dai bom-bardamenti alleati, era stato speditoa Colfiorito. Il volume narra la

lunga teoria di piccoli eventi, di pri-vazioni e di tentativi di negaredignità agli internati (oltre settecen-to che diverranno in seguito 1.600),ma ricostruisce anche le forme diorganizzazione minuta di resistenzache sfociano, il 22 settembre, nellafuga collettiva da Colfiorito. Quelliche non riusciranno a fuggire (circa400) saranno deportati successiva-mente in Germania e sterminati daitedeschi. Il volume si conclude conla fuga. Non così l’avventura italianadei montenegrini internati, moltidei quali combatteranno fino allaliberazione con le brigate partigianedel centro Italia. Ivanovic collabo-rerà con la brigata operante nel terri-torio di Ascoli Piceno. Dopo la libe-razione riuscirà, malgrado le diffi-coltà opposte dagli Alleati, a giunge-re a Bari e ad imbarcarsi per laJugoslava, dove combatterà fino allafine della guerra. Il libro documentacon ampie descrizioni la vita di unastruttura solo recentemente risco-perta ed entrata negli itinerari storicidella Resistenza, dando spessore aduna vicenda politica ed umana trop-po a lungo sconosciuta.

16 libri- idee mar zo 2005

Sottoscrivete per micropolisc/c 13112 ABI 1005 CAB 03001Intestato a Centro Documentazione e Ricerca c/o BNL Perugia Agenzia 1

Perugia, nella saletta dellapartecipazione della Provincias i è svol to i l 15 marzo undibattito in controtendenza.

L’andazzo della campagna elettoralespinge ad evitare i nodi più spinosi delprogramma ed a rifugiarsi in una pro-paganda generica; invece lì, almenonelle intenzioni, si discuteva di conte-nuti. I circoli liberal di Perugia e Ternidi LibertàEguale hanno presentato illibretto Le riforme dei riformisti che,con una introduzione di Enr icoMorando e Michele Salvati, raccogliealcune delle relazioni tenute nell’agosto2004 nell’annuale convegno orvietanodell’associazione. A discuterne c’eranoil presidente di LibertàEguale, lo stori-co Luciano Cafagna, e l’economistatoscano Tommaso Nannicini, uno degliautori. Giovanni Barro e Sandro Corsi, rispet-tivamente presidenti dei circoli perugi-no e ternano, hanno voluto corredarel’invito con una breve summa del rifor-mismo liberal di cui si proclamanoalfieri e che non sarebbe soltanto “ilrifiuto della via rivoluzionaria”, ormairidotta a “demagogismo rivoluziona-rio”, ma assai più. Invero il testo è piùsincretico che sintetico e i modelli diriferimento risultano caoticamente enu-merat i più che integrat i . Si c i tanoBernstein, Turati e Giddens, si evocano,tutti insieme e appassionatamente, i“grandi principi” della socialdemocra-zia, della liberaldemocrazia, del solida-

rismo cattolico, condendoli con un piz-zico di “riformismo ambientalista” e di“riformismo sindacale”. Il riformismosarebbe “un insieme di contenuti chenon sono né moderati né radicali, masemplicemente innovatori”. Su questebasi quelli di LibertàEguale dell’Umbriaaspirano a presentarsi come il noccioloduro e puro della Fed, una specie ditimone del “timone riformista”.Il dibattito smentisce in gran parte lepremesse e a farlo è lo stesso Cafagna,quando si accorge che il pubblico ègeneralmente composto da ex comuni-st i . “Bisogna compiere una svolta

coraggiosa e controcorrente - dice -come quella che fece Togliatti con ilpartito nuovo, che molti suoi compagninon digerivano”.Non era prevedibile cogliere l’inclitoprof. Cafagna intento a compiere un’o-perazione simile a quella che qui inUmbria ha fatto da naif il rifondaroloternano Stufara; ma tant’è. La svolta diSalerno in questa luce diventa la madredi tutte le svolte, dei diessini come deibertinottiani. Avrà buon gioco a inter-rompere il giochetto, intervenendo dalpubblico, Ernesto Galli della Loggia:“L’analogia non ha fondamento. Dietro

il partito nuovo di Togliatti c’era ilmarchio di garanzia dell’Unione sovieti-ca staliniana”. In ogni caso nelle due relazioni comenegli interventi, quasi tutti elogiativi, icontenuti delle riforme che si auspicanostentano ad emergere. Si parla per allu-sioni, anche se qualcuna è trasparente.Quella di Nannicini, ad esempio: “Lasocietà italiana è appesantita dai dirittiacquis i t i” . I d i r i t t i come zavorra ,insomma. A svelare la natura di questo riformi-smo che si vuole di sinistra e a mostrar-lo nella sua nudità è la provocazione diGalli Della Loggia, che fa il candido,come il bimbo della favola: “In fondo leriforme che ci si aspetta dai riformistisono quel le che la Thatcher fecevent’anni fa”.E’ incredibile e divertente il fatto chetanti si proclamino d’accordo con lui, acominciare da Barro e Cafagna. SoloNannicini un po’ resiste. Entra nel con-creto: meno pensioni, meno servizipubblici, meno pubblici dipendenti. Lacosiddetta “legge Biagi”, quella che pre-carizza il lavoro, va bene, ma bisognaprevedere le tutele.E conclude dicendo che i suoi riformi-sti hanno come modello Blair, ma chenoi non abbiamo avuto pr ima laThatcher a fare il lavoro più sporco, percui “un po’ di thatcherismo è ancoranecessario, seppure in dosi omeopati-che”. Evidentemente Berlusconi non gliè bastato.

la battaglia delle idee

libri

Editore:Centro di Documentazione e Ricerche SegnoCritico Via Raffaello , 9/A - PerugiaTipografia: LitosudVia di Tor Sapienza 172 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96N.38/96 Chiuso in redazione il 22/03/2005Fotolito: Grafos PerugiaImpaginazione: Giuseppe Rossi

Direttore responsabile: Fabio MariottiniRedazione: Salvatore Lo Leggio (coordinatore)Alfreda Billi, Franco Calistri, Renato Covino,Stefano De Cenzo, Osvaldo Fressoia, PaoloLupattelli, Francesco Mandarini, Enrico Mantovani,

Roberto Monicchia, Maurizio Mori, Franco MorroneResponsabili delle redazione localiAssisi: Enrico SciamannaCittà di Castello: Mauro AlcherigiOrvieto: Stefano Corradino

Riformisti e thatcherianiS.L.L.

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