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Il Figlio Del Drago

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racconto basato sulla biografia di Vlad Tepes

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Il Figlio Del Drago

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

Mi svegliai tardi quel giorno.I raggi del sole ormai alto penetravano invadenti dalla �nestra, destandomi da un’altra notte d’incubi terribili.Gli avvenimenti dei giorni passati avevano turbato profon-damente il mio spirito e segnato per sempre i miei occhi.Appena fui cosciente mi resi conto di aver dormito troppo

a lungo oltre l’orario convenuto, il mio signore poteva essere già sveglio da un pezzo e lui non tollera ritardi simili. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai in corridoio. Imperdonabile una simile mancanza! Giunto all’ingresso salii rapida-mente lo scalone principale. Mi bloccai ansimante di fronte al pesante portone della sala da pranzo, dovevo darmi una sistemata e soprattutto placare il mio respiro a�annoso, forse così avrebbero notato meno il mio ritardo.Con mano incerta girai la maniglia dello scuro portone di legno ed entrai nel salone. La tavola era imbandita, ma la coazione non era nemmeno stata toccata. I servitori erano disposti in piedi ai lati della stanza ed osservavano immobili i movimenti del mio signore che stava lì vicino lo scrittoio passeggiando avanti e indietro completamente assorto nei suoi pensieri. Non sia accorse nemmeno del mio arrivo. Feci un passo, ma nel silenzio irreale che si era creato questo riecheg-giò per tuta la sala, sommerso in �ne dal rumore dei passi del mio signore, l’unico suono che accompagnava le sue parole sommesse sussurrate tra se e se. Io rimasi immobile. Buttai lo sguardo sullo scrittoio, notai diverse carte geogra�che della regione valacca e dei territori circostanti, vi erano anche delle mappe della città di Tirgoviste e dei villaggi vicini, questo non lasciava presagire nulla di buono, erano piani militari…che stesse ancora una volta preparandosi ad uno scontro?Non eran passate che poche settimane da quando il mio signore aveva guidato le sue truppe alla conquista della città di Tirgoviste riconquistando così il trono usurpato dall’odiato zio Vladislao secondo.Fu un massacro indescrivibile... La sera del sabato che precedeva il dì di pasqua dell’anno 1459 ci accampammo poco fuori le mura di Tirgoviste, capitale valacca.Attendevamo nell’ombra il momento giusto per attaccare. Avevamo radunato un cospicuo numero di fedeli soldati, la città sarebbe presto ritornata al legittimo erede al trono...Tra i fumi dell’accampamento osservavo il mio signore seduto d’innanzi al fuoco, assorto come sempre prima di una battaglia in pensieri oscuri e impenetrabili.Nei suoi occhi i ri�essi rossi delle �amme non facevano che accentuare la sua espressione carica di rancore profondo e sete di vendetta verso l’uomo che sena

alcun diritto sedeva sul trono di suo padre. Ma di questi tempi cose simili sono all’ordine del giorno, è una terra divisa dall’odio, ove le lotte interne e i colpi di mano si susseguono sena �ne.Ripensando a quei momenti, il suo sguardo richiamò alla mia mente il giorno in cui vidi quegli occhi per la prima volta...Era l’autunno del 1448, il mio vagabondare senza meta mi aveva portato �no alla Transilvania meridionale in cerca chissà di un villaggio isolato, lontano dai con�itti per i quali ero stato costretto a lasciare il mio paese. Ma il destino be�ardo si sa, trova sempre il modo per raggiungerti e condurti al suo volere…Così quella sera, mentre consumavo d’innanzi al fuoco la misera cena che ero riuscito a cacciarmi, dai cespugli alle mie spalle sbucò fuori un giovanotto che inciampando su una radice ruzzolò a terra ai miei piedi. Immediatamente a�errai la spada e puntandogliela alla gola gli chiesi chi fosse e cosa stesse facendo in giro per il bosco a quell’ora della sera. Lui mi �ssò dritto negli occhi facendomi gelare il sangue, poi con gesto sicuro scostò la lama della mia spada e si rialzò, io rimasi immobile.Improvvisamente il rumore di cavalli che si avvicinavano lo mise in allarme, mi chiese un posto per nascondersi, io indicai la mia tenda e lui si tu�ò dentro appena prima dell’arrivo di una dozzina di guardie a cavallo che mi chiesero se avevo visto passare qualcuno.“Da giorni vago per questi boschi e queste fredde terre senza sapere nemmeno dove sono diretto e in verità voi signori siete le sole anime che ho visto sino ad ora.” Il capitano cominciò a guardarsi intorno. “Ma dite un po’, è forse il �glio del diavolo che cercate? Quale uomo può aver commesso un peccato tanto grave da meritare un’intera guarnigione di cavalieri alle costole? Stizzito il cavaliere ordinò di proseguire e sparì tra i cespugli. L’ultima guardia esitò qualche secondo a partire e avvicinatasi mi sussurrò come se stesse con�nandomi un segreto inconfessabile: “Diamo la caccia al �glio di Dracul, Vlad III!Appena due settimane fa con un pugno di guerrieri era riuscito a cacciare il nostro sire Vladislao II dalla capitale, ma la città è tornata in mano nostra e a quel cane non rimane che fuggire tra questi boschi, ma lo troveremo!”Poi anche l’ultima guardia si dileguò tra la vegetazione. Solo allora capii che quello sguardo mi era noto… Il ragazzo uscì dalla tenda e senza troppi conve-nevoli fece per andarsene. “Tuo padre ti credeva morto giovane Vlad, e anche io a dire il vero…” Il ragazzo si blocco immediatamente. “Conosci mio padre?”Sorrisi, poi dissi ”Per lunghi anni ho servito tuo padre, �no il giorno in cui cadde

in un imboscata insieme a tuo fratello Mircea.Nessuno ancora sa chi fossero, ma uccisero tuo padre e tutte le sue guardie, ma la sorte peggiore toccò al primogenito, tuo fratello…gli furono strappati gli occhi e lo seppellirono vivo.Fuggii per miracolo solo per scoprire la mia amata città presa d’assedio dalle truppe di Vladislao. Così non mi rimase altro che fuggire.Voi piuttosto, tutti vi credevano morto da quando foste fatto prigioniero con vostro fratello Radu nel palazzo del sultano Murad! Maledetti turchi!”“Come potete vedere sono vivo, e intendo riprendere il posto di voivoda che mi è stato rubato”. Una strana espressione si dipinse sul suo volto al pensiero degli orrori vissuti durante la prigionia, ma poi il pensiero ritornò allo zio e di nuovo apparve quella maschera d’odio.Pensai che doveva essere un segno del destino il mio incontro col �glio di Vlad e che forse ora avevo la possibilità di lavare l’onta di non essere stato in grado di proteggere il mio sire. Decisi così di seguire quel ragazzo alla ricerca di nuove truppe per poi tornare ad assediare Tirgoviste e riprendere il posto del padre.Passarono lunghi anni, ma alla �ne, in quella sera del 1459 accampati fuori delle mura della città, eravamo pronti a reclamare il posto di voivoda valacca che spettava al nostro signore Vlad III.Le truppe erano sistemate e pronte e pronte per attaccare contemporaneamente da tutti i fronti, ma non sarebbe stato un assalto clamoroso, dovevamo agire di sorpresa.Alle prime luci dell’alba fu dato il segnale e in ogni quartiere della città i nostri uomini fecero irruzione nelle case arrestando tutti… Ciò che avvenne poi fu qualcosa di raccapricciante…Dalla �nestra si vedevano ancora le �la di corpi impalati che circondavano le mura della città e che poi proseguivano lungo la via principale. Migliaia di corpi lasciati in pasto ai corvi, un monito disse lui, per i nemici della Valacchia…Distolsi lo sguardo da quello spettacolo orribile scossi il capo per fugare quei pesanti ricordi, poi tornai a concentrarmi sullo scrittoio e sui movimenti del mio signore che ancora assorto nei suoi pensieri continuava a camminare su e giù per la sala. Poi il mio sguardo cadde su una lettera che stava là tra le altre carte, un missiva che annunciava la venuta di alcuni emissari, ambasciatori dell’impero Ottomano. Il mio signore accortosi della mia presenza si accostò alla �nestra e con lo sguardo �sso sull’orizzonte mi disse che dovevamo prepararci per accogliere questi ospiti così importanti con gli onori dovuti.

Le sue parole sue parole mi lasciarono un po’ sconcertato. Di sicuro gli ambascia-tori di Maometto II venivano per chiedere il pagamento dei tributi, perché allora organizzare addirittura un banchetto in loro onore?Mi limitai ad obbedire, anche quando m spiegò che dopo il banchetto, ad un suo segnale, avrei dovuto portargli un martello e dei paletti di legno, per un cerimo-niale disse. Gli ambasciatori ricevettero un’accoglienza degna di un re, cosa che in verità suscitò il loro stupore. Il banchetto fu qualcosa di un tale fasto e una tale ricchezza che solo a �ne pasto, ormai quasi esausti per l’abbu�ata, si ricordarono del motivo per cui eran venuti. “Credo sia giunto il momento di parlare di a�ari mio caro Vlad III �glio di Dracul. Sapete, voci delle vostre gesta sono giunte all’orecchio dell’imperatore, che nella sua in�nita grazia, ha deciso di dimos-trarvi la sua stima o�rendovi la possibilità di divenire un alleato dell’impero…”La voce di quel pomposo tacchino rendeva ogni sua parola oltremodo irritante.“Ovviamente questa alleanza si traduce nell’immediato pagamento del consueto tributo di diecimila ducati veneziani d’oro.” Mentre l’in�mo ambasciatore tornava a sedere il mio signore che sino ad allora era rimasto immobile ad ascol-tare, con espressione compiacente, disse: “Bene miei cari signori, credo anch’io sia giunto il momento di dimostrare la mia stima verso l’imperatore, e sarò dunque ben lieto di dargli ciò che gli spetta”.Mentre parlava il suo sorriso si trasformò in un ghigno male�co e la sua voce si fece penetrante come la lama di una spada.Ecco il segnale, io entrai portando in un vassoio ciò che mi era stato ordinato mentre le guardie si avventarono sugli ambasciatori immobilizzandoli.Non capivo cosa stesse accadendo, ma poi il mio sire prese il martello e avvicina-tosi al primo ambasciatore gli con�ccò il paletto nel cranio.Mi voltai di scatto serrando gli occhi per l’orrore, ma udii chiaramente il rumore delle ossa del cranio infrante e del sangue e i pezzi di cervello che schizzavano a terra. La stessa sorte toccò agli altri ambasciatori tranne l’ultimo, cui furono strappati gli occhi e fu rimandato a Costantinopoli per riferire quanto accaduto.Quella per me fu un’altra notte di incubi terribili.Passarono alcuni giorni in cui sembrava non accadere nulla, per quanto i servitori avessero cercato di pulire, l’odore del sangue non era ancora scomparso, eppure questo sembrava mettere il mio signore di uno strano buon umore.Non faceva che studiare piani, inviare informatori, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro… e io sapevo cosa.Un tale a�ronto all’impero non avrebbe fatto altro che suscitare la collera di

Maometto II. Pochi giorni dopo infatti un’altra lettera che annunciava l’arrivo di ambasciatori da Costantinopoli mi fece capire che il momento era giunto.La città di Tirgoviste portava ancora le ferite degli sconti passati, non avremmo mai potuto sostenere un nuovo attacco. Ma Vlad si dimostrava freddo e impassi-bile come sempre, ancora una volta assorto nei suoi oscuri pensieri.In quei momenti mi tornavano alla mente le immagini di quel ragazzino che correva per le stanze del padre, ma come fu per Dracul, egli ora era il condottiero che doveva guidare il popolo valacco e difenderlo dai suoi nemici, interni o esterni che fossero.Vlad sembro destarsi improvvisamente battendo il pugno sul muro e facendomi trasalire. “Radunate i miei uomini migliori, lasciamo Tirgovste, ci dirigiamo a Giurgiu, dev’essere tutto pronto entro sera, ci muoveremo di notte!”. Poi fu tutto un viavai tumultuoso di servitori, scudieri e uomini in arme, ma la sera eravamo già in marcia. Ci accampammo sulle rive del Danubio attendendo l’alba e l’arrivo degli ambasciatori.Sapevo che il mio signore aveva capito immediatamente che quella seconda spedizione non era altro che una stupida trappola ed infatti alle prime luci dell’alba apparve la carovana degli ambasciatori, scortata in gran segreto da una guarnigione della guardia imperiale.Furono colti di sorpresa e annientati facilmente quando i nostri uomini appostati li assalirono in massa. Ancora guerre, ancora sangue…Tornammo vittoriosi alla nostra capitale, ma sapevo che quello era solo l’inizio di una lunga guerra.Gli anni che seguirono furono un momento di grande a�ermazione per il mio signore, egli comandava sulle sue terre col pugno di ferro e il guanto di velluto, e il suo popolo lo amava e lo temeva al tempo stesso, come si conviene per ogni sovrano. Egli era un capo severo ed esigente, ma aveva a cuore il benessere del suo popolo e più di tutto si prodigava con ogni mezzo per proteggerlo contro l’invasione dei mori.Motivo su�ciente a far dimenticare i suoi modi cruenti e a farlo apparire come un eroe per il suo popolo.

11 Febbraio 1462A dimostrazione del costante impegno nella lotta contro l’invasore turco Vlad fece recapitare al re d’Ungheria una lettera in cui lo informava di aver giustiziato il considerevole numero di 23.883 mori negli ultimi tre mesi, e di voler proseguire con ogni mezzo in tal senso.

Solo allora compresi il signi�cato di tutte quelle carte che erroneamente avevo scambiato per resoconti delle �nanze del regno…no, esse altro non erano che la minuziosa trascrizione delle vittime cadute per mano sua…In quegli anni la sua crudeltà crebbe a dismisura, io stesso stentavo a concepire simili orrori e le mie notti si facevano sempre più insonni.Non solo in battaglia si macchiava delle più aberranti azioni sanguinarie, egli aveva reso l’abitudine di pranzare sui campi di battaglia, circondato dai corpi dei suoi nemici, e non di rado lo vidi mentre si faceva servire coppe piene di sangue di quei cadaveri… Io assistevo a quegli orrori senza proferire parola, ma il mio animo invece urlava, urlava disperatamente e cercava di fuggire, ma non potevo.Mi sentivo sempre più sottile, fragile… e alla �ne il mio cuore �nì col cedere alla disperazione.I miei occhi non avrebbero più sopportato la vista del sangue ne la mia mente avrebbe retto a quelle barbarie. Avevo combattuto per anni e sapevo cosa voleva dire macchiarsi del sangue di un altro uomo, ma ciò che avevo visto andava ben oltre l’umana sopportazione.Un giorno in preda allo sconforto mi avvicinai al mio sire che come ormai solito stava banchettando tra i cadaveri dell’ultimo scontro, e con le lacrime agli occhi dissi: “Perdonatemi mio signore, ma come potete resistere a tutto questo? In cuor mio vi giuro non vi riconosco più! Ciò che vedo ormai è solo un mostro…un mostro…non resisto!” Lui si fermò un istante e con tono freddo e distaccato disse: “Dite mio caro, vi da forse fastidio questo odore? In tal caso credo che impalerò anche voi, così non avrete più di che lamentarvi”. E così fece.Il mio corpo ora penzola inerte insieme agli altri dall’alto di questa pertica, mentre i corvi famelici fanno scempio delle mie carni…No egli non era più il ragazzo che giocava nelle stanza del padre, e nemmeno il �ero condottiero che guidava le sue truppe in difesa della patria.Possa Iddio misericordioso aver pietà della mia anima per aver servito per così lunghi anni il demonio in persona…

Ma la storia di Vlad Tepes III non �nisce certo qui, il suo regno di terrore proseguì ancora per anni, sebbene nell’aprile del 1462 l’esercito Ottomano organizzando una massiccia invasione arrivò ad assediare e distruggere anche l’ultimo avamposto, la città di Bralia, incendiando anche tutte le città vicine �no a Nikopolis, i voivoda non si arrese.Nella notte del 17 aprile dello stesso anno si lanciò in un feroce assalto nella

foresta di Baneasa, fra il Danubio e le Prealpi Carpatiche, che cogliendo nel sonno i Turchi arrivò a contare più di 7000 morti, e per�no il sultano fuggì a stento dall’agguato.Le truppe di Tepes però si stavano dissipando e verso giugno le truppe Otto-mane giunsero in vista della città di Tirgoviste.Ai loro occhi tuttavia si presentò uno spettacolo terri�cante.La capitale era stata data alle �amme e i corpi di più di 20.000 prigionieri svetta-vano dall’alto di una �tta foresta di pali. Tanto bastò a far ritirare l’avanzata turca ma al comando della città fu posto un altro voivoda quale Radu cel frumos, che poi altri non era che il fratello con cui aveva condiviso la prigionia nel palazzo del sultano e che sentendosi abbandonato e tradito dal fratello era diventato fedele servitore dell’impero.Vlad dovette ritirarsi cercando di raggiungere il castello di Poienari, ma la �ducia riposta nel re d’Ungheria fu presto smentita. Si sa, le questioni economiche spesso cancellano le più forti alleanze e in quel periodo il re aveva bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi, un tempo duramente perseguitati da Vlad…Sebbene la popolazione intera cercasse di coprire la sua fuga, egli fu in�ne catturato dal noto condottiero del re, tale ser Jan Jiskra de Brandis che lo condusse al castello di Bran e successivamente a Visegrad dove sembrava dovesse concludersi il destino del �glio del drago, ma così non fu. Passarono dodici lunghi anni, ma nel 1476, sotto la minaccia di una nuova invasione turca, il re Mattia tornò a chiedere l’aiuto di Vlad e lo rilascio immediatamente…Foreste di pali tornarono ad innalzarsi in tutta la regione e per i turchi non vi fu altra scelta che la ritirata. A questa ovviamente segui una durissima risposta e così continuò per lungo tempo.Ma nel turbinio degli eventi la �ne di Vlad Tepes III si è persa nella memoria, lasciando posto ad una miriade di miti e leggende che come sempre si formano intorno a �gure così emblematiche.

A tal proposito così scriveva papa Pio II, Silvio Piccolomini (1458-1464), in uno dei suoi commentari riguardo la �gura sicuramente enfatizzata di Vlad l’impalatore.

«I valacchi sono un popolo che abita al di là del Danubio, fra il mare Eusino e le regioni chiamate Transilvania (...) Ai nostri giorni fu loro signore Dracula, uomo

dal carattere incostante e vario (...) Dopo aver invaso la provincia di Cinibio, incendiò moltissimi villaggi pieni di persone, e, allo stesso modo, trascinati in Valacchia molti uomini in catene, li fece impalare.«Alcuni mercanti che erano stati attirati dalla promessa di protezione da parte dello Stato, mentre attraversavano la Valacchia con merci preziose, furono uccisi dopo essere stati depredati dei loro beni. Ordinò che gli fossero portati da Vurcia quattrocento fanciulli per insegnar loro la lingua valacca; invece li chiuse in una fornace e li fece cremare. Fece uccidere gli uomini più nobili della sua stirpe e tutti coloro che erano suoi parenti stretti, insieme con mogli e �gli. Fece sotter-rare alcuni dei suoi servitori �no all'ombelico e li tra�sse con frecce, molti altri, invece, li scuoiò. «Catturò in guerra un certo Daym, �glio di un altro Daym voivoda, e mentre era ancora vivo e vedente, gli fece costruire una tomba e ordinò ai sacerdoti di celebrargli le esequie; quando queste furono portate a termine, mozzò il capo al prigioniero. Cinquantatre ambasciatori che erano stati inviati dai transilvani furono gettati in prigione; e, dopo aver invaso le loro terre, appro�ttando del fatto che non temevano alcun atteggiamento ostile, mise tutto a ferro e fuoco. Fece impalare Ceilino, capo delle sue truppe, perché non aveva saputo soddisfare la sua mostruosità. «Fece impalare seicento uomini di Vurcia, caduti nelle sue mani mentre si dirigevano verso un'altra provincia. Un certo Zegano, che si era ri�utato di impiccare con le sue mani un ladro che era stato fatto prigioniero, lo fece cuocere in un grande pentolone e lo diede da mangiare ai suoi concittadini. Strappò persino il seno alle madri dei fanciulli che bevevano il latte e li sfracellò contro la roccia sotto i loro occhi. Entrato nella provincia di Transilvania, fece convocare presso di sé come amici tutti i valacchi che vi abitavano e, riunitili insieme, scagliò loro contro i soldati e li sterminò, in�ne incendiò i loro villaggi. Si dice che abbia ucciso con questi metodi più di tremila persone. Nell'anno 1462, l'imperatore dei Turchi, al cui potere era soggetto, chiese un tributo. Egli rispose che si sarebbe recato di persona ad Adrianopoli e avrebbe portato il tributo; quindi, chiese una lettera per i prefetti del luogo, con la quale poter viaggiare in sicurezza. Gli fu concessa. «Attraversando il Danubio con l'esercito, uccise i prefetti turchi che gli vennero incontro e, compiute grandi razzie tra le popolazioni, trucidò più di venticin-quemila persone di entrambi i sessi, tra le quali perirono anche alcune bellissime vergini, sebbene fossero state chieste in mogli dai valacchi. Condusse in Valac-

chia un gran numero di prigionieri, dei quali alcuni fece scuoiare, altri furono fatti arrostire sul fuoco in�lzati su spiedi, altri ancora furono fatti cuocere nell'olio bollente, e i restanti furono fatti impalare, così che il campo in cui furono compiute queste cose sembrava una selva di pali (...) Dopo aver commesso tante nefandezze, fu in�ne catturato da Mattia, re d'Ungheria (...) Ancora oggi il valacco langue in carcere, uomo di corporatura grande e bella e il cui aspetto sembra adatto al comando; negli uomini spesso, a tal punto di�erisce l'aspetto �sico dall'animo.

(E. Silvio Piccolomini, Commentari rerum memorabilium, 1584, Libro IX, pag. 598).

Questa comunque non è che una testimonianza di ciò che fu la �gura di quest’uomo, ma a nulla valgono tali miti e fantasie, poiché per il popolo valacco egli resta un eroe e così verrà ricordato nei secoli. Vlad III �glio del drago, voivoda valacco, signore del suo popolo.

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