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ERIC HEBBORN Il m a n u a l e del f a l s a r i o traduzione di Mary Archer

Il m a n u a l e f a l s a r i o - HEBBORNCASE10 nella sua teoria che ogni arte è imitazione. Riassumendo a grandi linee: alcuni artisti imitano la natura, altri imitano l’arte,

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ERIC HEBBORN

Il m a n u a l e del f a l s a r i o

traduzione di Mary Archer

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PREFAZIONE

Il fatto che questo libro venga pubblicato dall’editore NeriPozza di Vicenza mi fa doppiamente piacere: anzitutto perche'avrò l’onore di entrare in un catalogo che comprende uno splen- _dido testo sulle tecniche artistiche, il Libro dell’arte di CenninoCennini; in secondo luogo perche' Vicenza e la patria di un altrodei miei eroi, l’Arrighi.

Ludovico degli Arrighi, detto il Vicentino, fu forse il più gran-de amanuense rinascimentale ed è noto presso gli studiosi dicalligrafia (che in fondo è una forma di disegno) per il suo cele—bre manuale sull'argomento, L’operina, pubblicato a Roma nel1522. Nella sua introduzione l’Arrighi informa il “hegninissimolettore” di avere intrapreso la stesura dell’opera perche' “pregatopiù volte, anzi costretto da molti amici”. Molti infatti gli avevanochiesto con grande insistenza di insegnar loro l'arte calligraca enon potendo egli istruirli tutti individualmente, ebbe l’idea diricorrere alla recente invenzione della stampa per diffondere leproprie conoscenze in materia.

Più di quattrocento anni dopo, mi capita di trovarmi in unasituazione analoga. Come l’Arrighi, ho scritto un manuale prati-co per soddisfare molte persone desiderose di apprendere un’arteche, a quanto pare, suscita un notevole interesse: quella di falsi-ficare dipinti e disegni. Non passa settimana senza che mi giungauna lettera o una telefonata di qualcuno che chiede consigli sucome creare “nuove opere antiche” ed è naturale che non possarispondere a tutti personalmente. Se queste pagine soddisfano lerichieste di quegli appassionati, potrò dire di avere raggiunto ilmio scopo.

Voglio ringraziare, senza tuttavia corresponsahz'lizzarli sul ri- .saltato finale, Danny Lao, Christine Roach, john e Colin Hou—rihan e ]oe e ]enni Scott, per avermi assistito nella stesura delmanoscritto. A Joe Scott, che ha anche eseguito i diagrammicontenuti nel volume, sono grato per i suoi numerosi e utiliconsigli. Raimondo Luciani, che è l’autore delle fotografie, ha

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contribuito in diversi altri modi alla realizzazione del libro e diquesto lo ringrazio. Ringrazio anche Mary Archer per la suasensibile traduzione del testo inglese.

Ma sono soprattutto riconoscente all’editore per la ducia cbeba riposto in me e alla Arcbens Fine Art di New Bond Street,Londra, per il tempo che mi ha concesso, sollevandomi dai mieiimpegni, altrimenti il libro non avrebbe potuto vedere la luce.

Ancora una volta il mio pensiero coincide con quellodell’Arrighi che conclude così il suo manuale:

Lettor, se trovi cosa che t’offendain questo Trattatel del Vicentino,non te maravigliar, perché divinoe non humano è quel ch’è senza menda.

HE.

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INTRODUZIONE

Mundus vult decipi,ergo decipiaturSebastian Franck, Paradoxa (1533)

Si racconta che nell’antica Grecia vivevano due grandi pit-tori rivali. Un giorno si decise di stabilire quale fosse il miglioresottoponendo un’opera di ciascuno a una giuria di esperti. Ilgiudizio doveva avere luogo all’aperto e per proteggere i dipin—ti dal sole e dalla polvere li si coprì con un telo. Quando fuscoperto il primo quadro, che rappresentava un grappolod’uva, i membri della giuria rimasero stupefatti, tali erano lasua bellezza e il suo realismo. Mentre tutti se ne stavano davan—ti al dipinto in ammirato silenzio, scesero dal cielo alcuni uc-celli e si misero a beccare gli acini dipinti. Al che uno deigiudici disse: «Non hanno forse questi uccelli deciso per noi?Questo dipinto è così perfetto che hanno creduto che l’uvafosse vera». Tuttavia si ritenne giusto dare un’occhiata ancheil secondo quadro prima di emettere il verdetto. Bene, imma-ginate lo stupore generale quando, cercando di rimuovere iltelo che lo copriva, si resero conto che era esso stesso dipinto:un vero capolavoro di trompe l’oeil. Allora i giudici dichiara-rono che il secondo dipinto era sicuramente migliore del pri—mo. Dissero: «La prima opera ha ingannato soltanto uno stor-mo di uccelli ignoranti, ma la seconda ha beffato alcuni dei piùgrandi esperti del Paese».

Questo aneddoto, pur essendo certamente apocrifo, dimo-stra che la pratica di ingannare gli esperti ha un’età veneranda;si direbbe che le falsificazioni, le imitazioni e le truffe riguar—danti opere d’arte esistano da quando esiste l’arte stessa. Certistudiosi considerano il disegno di una testa di bisonte scopertoin una Caverna in Spagna una copia, o un’imitazione, o undisegno preparatorio riferibile a una composizione analoga diun’altra caverna — nessuno può avere certezze in proposito.

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Quella dell’attribuzione, invece, è una preoccupazione rela-tivamente recente; sembra che per l’uomo antico l’autografianon fosse molto importante, che per lui contasse l’opera inquanto tale. Si ritiene —— anche se è solamente una congettura— che in età preistorica l’arte, più che essere oggetto di ammi-razione, servisse a scopi magici e che la sua magia operasse inmaniera indipendente dai suoi autori. Certamente le primegrandi civiltà della storia conservavano ancora quell’atteggia-mento, dato che Sumeri, Egizi, Babilonesi, Indiani e Cinesiantichi ci hanno lasciato innumerevoli capolavori anonimi, nes-suno dei quali può essere definito originale nel senso che espri—me il punto di vista personale di un singolo individuo. L’arti—sta—artigiano di quei tempi accantonava volentieri il suo egoper seguire modelli accettati da tutti ed esprimere così unacultura generale piuttosto che le sue stesse propensioni, secon-do la definizione di Virginia Woolf: «I capolavori non sononascite singole e solitarie, ma il risultato di molti anni di pen-siero comune, del pensiero della gente tutta, di modo che,dietro alla singola voce vi è l’esperienza di una massa».

Soltanto con il fiorire della civiltà greca cominciamo a co-noscere il nome di qualche artista, o perché ci sono pervenuteopere firmate, o perché gli artisti sono citati nei testi classici.E non appena si cominciò a firmare le opere d’arte si comin-ciò anche a falsificarle. E curioso che le prime contraffazionisiano da attribuire proprio ai grandi maestri. Per esempio,Fidia, volendo aiutare il suo allievo prediletto Agoracrito avendere una statua di Afrodite, la firmò con il proprio nome,e pare che Apelle abbia firmato e messo in vendita certe operedi Protogene.

I grandi maestri hanno continuato per centinaia d’anni aprestare il proprio nome per promuovere le opere dei lorodiscepoli. Nel XVIII secolo Boucher firmava le copie eseguitedagli allievi della sua scuola; nel secolo successivo, Ingres au-tografò una copia di una propria opera eseguita dall’allievoAmaury-Duval, e anche Corot era ben noto per questa abitu-dine. In epoca più recente Picasso ebbe a dire: «Se un falsofosse davvero buono, ne sarei felice; prenderei subito la pennaper firmarlo».

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Evidentemente, l’atteggiamento dell’artista nei confronti diciò che è “autentico” e di ciò che è “falso” è diverso da quellodel mercante d’arte, dello studioso e del collezionista. OsbertSitwell racconta un aneddotto interessante sul pittore ingleseWalter Sickert:

Ricordo l’evidente piacere con cui mi raccontò di quella voltache, notato un certo quadro in una vetrina di Holborn, attraversò la .strada per guardarlo meglio. Aveva un aspetto vagamente familiare:era qualcosa di noto, eppure di diverso... Si accorse che c’era un’eti-chetta all’interno del vetro del negozio, in corrispondenza del qua-dro: recava scritto a grandi lettere il nome Sickert. Si avvicinò di piùe riconobbe in quel quadro una composizione che aveva lasciataincompiuta qualche anno prima. Dall’ultima volta che l’aveva vistaera cambiata parecchio: era stata stupendamente completata ed eraora firmata, in maniera del tutto verosimile, con il suo nome. «IoStesso non avrei potuto migliorarla ulteriormente», disse. «Ora nonho più bisogno di finire i miei quadri... Vorrei soltanto conoscere ilnome dell’eccellente artista che completa e firma le mie cose»‘.

Un’altra volta, una casa d’aste stava per mettere in venditaalcuni quadri attribuiti a Sickert, quando uno dei titolari o unesperto cominciò a dubitare della loro autenticità e gli telegra-fò per domandargli se ne fosse lui l’autore. Sickert andò avedere le opere in questione, poi mandò un telegramma dirisposta che diceva: «No, ma poco importa»?

Tutti conosciamo la stretta parentela fra la parola arte e itermini “artificio”, “artificioso” e “artificiale”, così come sap-piamo che certe espressioni, come _“diffondere ad arte notiziefalse” o “vi è troppa arte nelle sue parole”, suggeriscono un’in—tenzionalità che rasenta l’inganno. In altre parole, non è chiaroin quale misura l’arte appartenga all’estetica e in quale all’etica.Il fatto è che queste due sfere d’indagine sono tuttora di per-nenza della riduttiva disciplina filosofica; anzi, è possibile chela nostra incapacità di tracciare un confine fra bellezza e mo-rale abbia origine nella filosofia di Aristotele, in particolare

‘ Walter Richard Sickert, A Free House, London 1947, p. XXXI.

’ Ibidem.

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nella sua teoria che ogni arte è imitazione. Riassumendo agrandi linee: alcuni artisti imitano la natura, altri imitano l’arte,ma tutti sono imitatori. Ora, se si condanna ogni imitazionedell’arte precedente come contraria all’etica (o addirittura allalegge, come fa la società moderna), ci si trova nell’imbarazzan—te necessità di trattare con sospetto artisti come Michelangelo,Cellini, Rembrandt, Rubens, Fragonard, Delacroix, Degas ecentinaia di altri.

Ma non ho la presunzione di risolvere qui questioni chenon sono riusciti a risolvere gli intelletti più raffinati della sto—ria; perciò eviterò, per quanto possibile, ogni riessione seriasulla bellezza e sulla morale, limitandomi a descrivere i mate-riali e le tecniche del falsario — materiali e tecniche che, fattaeccezione per quelli impiegati per l’invecchiamento delle ope-re, sono naturalmente identici a quelli con cui operarono igrandi artisti del passato.

Questo libro, dunque, potrà essere utile anche all’appassio-nato d’arte che desideri penetrare nel mondo affascinante delletecniche artistiche. Soltanto se comprendiamo il pittore comeartigiano possiamo apprezzarlo veramente come artista, anchequando la nostra abilità di falsari non superi i confinidell’bobby domenicale.

Svelerò il maggior numero possibile di segreti, anche perchéla chimica moderna ne ha fatto dei “segreti di Pulcinella”; mail lettore farà bene a tenere presente il famoso detto cinese:«Quando la persona sbagliata usa i mezzi giusti, i mezzi giustifunzionano nel modo sbagliato». In altre parole, non aspetta-tevi, leggendo questo volume, di diventare automaticamentecapaci di creare falsi favolosi, sbalordendo i vostri amici e con-fondendo gli esperti.

Questo ci porta a un argomento importante che è beneaffrontare subito: nel corso di tutto il libro distinguerò, inmaniera più o meno esplicita, tra il falso “perfetto” e il falso“decorativo”. Chi esegue un falso “perfetto” vuole che questopossa essere confuso con il suo modello, mentre chi crea unfalso “decorativo” vuole soltanto emulare, più o meno fedel—mente, lo stile di un artista e conferire alla propria opera unpiacevole aspetto antico. Naturalmente, il falso decorativo è

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piu' facilmente alla portata del contraffattore medio, pertantodescriverò molte tecniche che non si prestano a creare operedestinate a superare lo scrutinio degli esperti d’arte o dei chi-mici. Questo non significa però che abbia trascurato il falsovero e proprio, perciò il volume si rivolge sia al falsario profes-sionista sia al dilettante.Nello spazio di un libro non posso fare altro che presentarel'argomento e sperare che conquistipo almeno interessi il letto-re. Non potrò certo insegnare a disegnare o a dipingere, manon è grave, perché, come osserva Marx Doerner, «Non si puòimparare a disegnare o a dipingere da un libro più di quantosi possa imparare a nuotare su un sofà»Per concludere, vorrei consigliare la lettura di questo ma-nuale agli studiosi di storia dell’arte. Dice infatti FriedrichWinkler : «Per affinare la propria capacità di distinguere ciòche è autentico, il migliore esercizio è riconoscere ciò che èfalso. E chi meglio di un falsario consumato può riconoscerecio' che è falso? Un tempo non soltanto gli artisti si formavanoeseguendo copie e imitazioni, ma anche gli studiosi e tutti co-loro che volevano diventare esperti d’arte. Sono dell’avviso chequella pratica dovrebbe essere ripristinata: integrando gli studinormali con l’apprendimento diretto delle tecniche dei maestriantichi si otterrebbe una conoscenza dell’arte ben più profondadi quella data da un approccio puramente accademico.Nel XVI secolo Baldassarre Castiglione scrisse un libro suidoveri del signore di corte, il Cortegiano, e nel novero delleconoscenze da coltivare comprese la pittura, in quanto — se-condo lui — anche se non procura alcun piacere, essa assicurauna migliore comprensione delle cose e una più chiara valuta-zione dell’eccellenza delle statue antiche e moderne, di vasi,monumenti, medaglie, cammei, intagli e altri oggetti?

A un così saggio consiglio non c’è nulla da aggiungere. Nonvi resta che procurarvi carta, matita, tele e pennelli, e seguirmiin quest’avventura.

' Max Douner, The Materials of the Artist, London 1954, p. VII.' Cimo da Sepp Schiìller in Forgers, Dealers and Experts, London 1960, p. XV.' Baldassarre Castiglione, Il cortegiano, Milano 1991.

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PRIMA PARTE

I DISEGNI

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TAVOLA CRONOLOGICA DELL’INTRODUZIONE

DEI PRINCIPALI MATERIALI DA DISEGNO

Preistoria Carboncino Nerofumo (da candele o lampade) Gessetti nero, bianco e rosso

Antichità Colori ad acqua (noti presso gli Egizi come tinture)

100 a.C. I Cinesi inventano la carta

795 Inizia la fabbricazione della carta in Medio Oriente (Baghdad)

1270 Prime cartiere italiane (Fabriano)

1336 Prime cartiere in Germania

1390 circa Cennino Cennini insegna a fabbricare lo stilo di piombo

1400 Si diffonde l’uso, destinato a durare nel tempo, deigessetti (nero, bianco e rosso) 1496 Prime cartiere in Inghilterra

1500 circa Introduzione degli acquerelli (attribuita ad Albrecht Durer)

1586 Prime cartiere in Olanda

1700 circa Diviene popolare la tecnica dei pastelli, che resterà in auge per tutto il XVIII secolo

1755 Si incomincia a produrre la carta fabbricata a mac- china; finora veniva fabbricata esclusivamente a mano, plasmando i fogli uno per uno con telai ma- novrati manualmente

1790 Si diffonde l’uso della moderna matita con mina digrafite1798 Prime macchine per la fabbricazione della carta a nastro continuo

1831 Gillot brevetta il prototipo del pennino in acciaio

1880 Inizia la fabbricazione della carta con fibre di legno e amido1930 Primi esempi di carta fabbricata interamente con fibre sintetiche

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CAPITOLO 1

LA CUCINA DEL DIAVOLO

Dio ci mette la carne — il diavolo ci mette i cuochi.Carlo VI

Di solito si immagina che chi falsifica le opere d’arte lavori inantro misterioso e semibuio. Nulla di più sbagliato. Il buonfalsario opera in uno studio ben illuminato, come i suoi piùrispettatabili colleghi: l’artista e il restauratore. Ma questo libronon è stato scritto per il falsario già esperto che, grazie alla suaabilità, può permettersi di affittare o di acquistare uno studiocome si deve; si rivolge invece al principiante, che probabil-mente dovrà dedicarsi alla sua insana passione in un angolo del-la casa sufficientemente illuminato, magari in solaio, nella ca-mera da letto o nel soggiorno. Oppure — perché no? — in cucina.Bene, è proprio della cucina che vi parlerò, come luogo di lavo- ro privilegiato del contraffattore: della cucina del diavolo.Vi è un’antica connessione fra l’arte del disegno e dellapittura e l’arte culinaria. Nei vecchi trattati di pittura si trova-no citate molto spesso sostanze come lo zucchero, il miele, laglicerina, le uova, il latte, il formaggio e così via: a leggerliviene l’acquolina in bocca come se si trattasse di ricettari dicucina (dai quali non si discostano poi molto). Centrino Cen-nini, per esempio, che scriveva verso la fine del Trecento, nellesue spiegazioni delle tecniche pittoriche si abbandonava spessoa similitudini con il mangiare e il bere:

E sai che fa la prima colla? Un’acqua che viene a essere menforte; e appunto come fussi digiuno e mangiassi una presa di confet-to, e beessi un bicchiere di vino buono, ch’è uno invitarti a disinare,così è questa colla: è un farsi accostare il legname a pigliare le collee gessi.

‘ Cennino Cennini, Il libro dell’arte, con commento e note di F. Brunello, Vicen-ll 1982, p. 119.

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Nel suo libro Collecting, an Unruly Passion, il dottor Muen-sterberger, di professione psicanalista, afferma che «il gustodelle cose raffinate ha origine nella bocca e poi passa all’oc-chio...», e riporta le seguenti parole di Paul Sachs, stimatoesperto di disegni antichi: «Chi si professa amante delle bellearti ma è indifferente alle gioie del palato va automaticamentesospettato» .Ma se vi consiglio di lavorare in cucina o nelle sue vicinanzenon è per incoraggiarvi a sviluppare il vostro senso estetico confrequenti razzie al frigorifero; è perché la culinaria, al pari deldisegno e della pittura, oltre che essere un’arte è un’attivitàartigianale, e gli attrezzi e i materiali del cuoco servono spessoanche all’autore di nuove “opere antiche”.

Il lavello di cucinaL’arte della falsificazione comprende molte operazioni cherichiedono l’uso dell’acqua: dalla pulitura dei pennelli ai varitrattamenti della carta (sbiancatura, tinteggiatura, trazione, ap-piattimento), dalla preparazione degli inchiostri a quella di im-pasti, colle e altro.Le uovaLa tecnica della tempera a uovo, che vanta una tradizioneben più antica di quella della pittura a olio, è così denominataproprio perché prevede l’impiego delle uova.l latteIl latte è un buon fissativo per i disegni a matita, a gessettio a pastello.Il parteSi può usare la mollica di pane come gomma, per alleggerirele zone scure dei disegni a gessetto e per creare il tipico effetto“consumato” che contraddistingue molti disegni antichi.

' Werner Muensterberger, Collectz'ng, an Unruly Passion, Princeton 1994, p. 37.

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Le patateQuando si disegna a inchiostro e la superficie del foglio èunta, l’inchiostro non fa presa; si può risolvere il problemati; frizionando la carta con una mezza patata.

Caffè, tè e cicoriaSono sostanze che si possono impiegare per tingere la carta.

L’olio d'olivaA volte può creare macchie interessanti su un disegno.

La gelatinaPuò servire come colla in certi procedimenti.

La Farina" la materia prima di molte colle.La spianatoia per impastare i dolciLa tavola di legno che si usa in cucina per impastare lafarina ha la stessa forma e dimensione delle tavole usate dagliartisti come supporto per i fogli da disegno e spesso è fatta diun legno migliore.

Le vaschette del ghiaccioNel suo libro The Falce's Progressî il noto falsario TomKeating racconta che preparava gli inchiostri di seppia per isuoi “Samuel Palmer” in uno di quei vassoi a scomparti chelervono per fare il ghiaccio: riempiva le vaschette con tonalitàdiverse, dalla più chiara alla più scura.

La stufa a gasLa stufa a gas può fornire la fonte di calore richiesta inmolti procedimenti, come la preparazione degli impasti, dellecolle e delle miscele oleose, o l’indurimento e la “crepatura”della superficie dei dipinti a olio.

' Tom Keating, Geraldine Norman and Frank Norman, The Fake’s Progress,London 1977, p. 84.

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Questo elenco di materiali e attrezzi comuni che servono siaal cuoco sia al falsario ingegnoso è tutt’altro che completo;come vedremo più avanti, vi si possono aggiungere il mortaio,la bilancia, i piatti e le posate, i candeggianti, i detersivi e,naturalmente, il tavolo di cucina, soprattutto se ha il piano dimarmo. Né va dimenticato il secchio dell’immondizia, al qualesono destinati i tentativi mal riusciti, giacché, come si dice inItalia, «non tutte le ciambelle riescono col buco».

Ma per quanto la vostra cucina sia ben attrezzata, non con-terrà mai tutto ciò che vi serve per preparare i vostri intrugliartistici. Nei prossimi quattro capitoli vi parlerò della carta,degli inchiostri e degli attrezzi da disegno che non si trovanoin tutte le case, di come procurarveli e di quali scegliere. '

Ma prima vorrei accennare all’unico strumento ingombran-te che può essere utile al falsario: il torchio a vite, o pressa, delgenere usato in legatoria. Questo tipo di torchio ha un bancoil cui formato varia dai 25 x 50 cm ai 50 x 40 cm, ma ricordateche più è grande più è utile. Se vi capita di trovarne uno da unrigattiere acquistatelo, ma soltanto se è a buon mercato, perchéper appiattire i disegni basta una pila di libri e per stampare ipropri marchi di collezionista è sufficiente un cucchiaio.

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CAPITOLO 2

SE IL MONDO FOSSE DI CARTA...

Gli xtracci danno cartala carta dà banconotele banconote danno banchele banche danno prestitii prestiti danno pezzentii pezzenti danno stracci Anonimo

La prima cosa di cui si deve occupare l’aspirante autore di“disegni antichi” è fare provvista di carta d’epoca. Dove tro-varla? Prima di rispondere a questa domanda bisogna porseneun'altra: che cosa cercare? Al falsario è assolutamente indi-spensabile una buona conoscenza della carta antica e, anzitut-to, deve sapere come veniva fabbricata.

LA CARTA FATTA A MANO

John Evelyn (1641—1706), che ci è noto per i suoi diari, ciha lasciato questa divertente e precisa descrizione delle variefasi della fabbricazione della carta a mano:

Sono andato a trovare il mio signore della Casa di St. Albans nellasua grande e antica dimora di Byete, donde ci siamo poi recati allacartiera; qui ho visto fabbricare un tipo di carta bianca e ruvida.Separano gli stracci di lino, che usano per la carta bianca, da quellidi lana, impiegati per la carta bruna. Li pestano in lunghe vasche conpastelli e mazze, fino a ridurli a una poltiglia che versano in un’altraVasca mescolandola ad acqua. Qui immergono una rete intelaiata,fatta con fili metallici sottili come capelli e fitta come il pettine di untelaio. La sollevano e scuotendo la poltiglia fanno scolare l’acquasuperua attraverso il setaccio. Poi, con grande destrezza, le dannouno strattone, infine scodellano lo strato di poltiglia come una frit-tella sopra un piano liscio di legno, fra due panni di anella, e lopremono in un grande torchio, dove la anella assorbe tutta l’umi-

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-dità. Dopo averlo estratto lo appendono ad asciugare, come si fa conil bucato. Quindi lo immergono in un bagno di acqua e allume, einfine lo lucidano. I fogli vengono accatastati in risme. Nell’acqua incui si fanno macerare gli stracci si mette della colla. Il marchio chetroviamo sui fogli è foggiato nella rete .

Per maggiore chiarezza ripeterò la descrizione di Evelyncon qualche precisazione. La materia prima è costituita da‘cenci di lino e di altre fibre resistenti che, battuti vigorosamen-te e mescolati con acqua, diventano una pasta umida. I foglisono fabbricati uno per uno dall’operaio addetto al tino, ilquale comincia con l’immergere nella pasta fibrosa un setacciodella dimensione del foglio stesso, costituito da una rete metal-lica finissima e molto fitta fissata a un telaio di legno. Questosetaccio è detto “forma”. Dopo aver fatto sgocciolare l’acquaeccedente, l’operaio, tenendo la forma perfettamente orizzon-tale, le dà una scrollata per distribuirvi uniformemente la pa—sta. E tale la sua abilità nel reggerla a livello, che lo spessoredel foglio non varia mai di oltre 0,02 mm da un margine all’al-tro. Fatto questo, toglie alla forma il telaio di legno e con unostrattone deciso trasferisce il sottile strato di pasta umida dallatela metallica a un feltro. Vi sovrappone un altro feltro, sulquale verrà steso il foglio successivo, a formare una pila distrati alterni — pasta, feltro, pasta — che verrà poi sottoposta apressione in un torchio. I fogli vengono quindi appesi uno peruno ad asciugare, e quando sono asciutti vengono passati in unbagno di acqua e colla. Il grado di resistenza della carta dipen-de dalla qualità dei cenci, dalla forza della colla e dal grado dipressione cui è stata sottoposta.

Ciò che è importante ricordare di tutto questo procedimen-to è che l’operaio scuote la forma in più direzioni, perciò lefibre non si trovano orientate tutte nello stesso senso, comeinvece nella carta fabbricata a\macchina. In altre parole, la cartafatta a mano non ha grana. E facile distinguere le sottili lineeparallele (vergelle) lasciate sul foglio fabbricato a mano dal fon-do della forma dalla grana della carta fabbricata a macchina.

' John Evelyn, The Diary of ]o/m Evelyn, London 1959, p. 72.

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ligrana

La ligrana è data da un disegno in filo metallico applicatosul fondo della forma. Il disegno crea un rilievo sul reticolatodi li metallici, così in quel punto la pasta di carta rimane piùsottile la filigrana risulta visibile in trasparenza. Per gli stu-diosi le filigrane sono molto importanti, perché aiutano a da-tare i disegni e a stabilirne la provenienza; ma ogni esperto sache anche quando contengono una data, questa non costituisceche un termine post quem per la datazione del disegno. Perciò,non illudetevi che una filigrana con una data plausibile perl'artista che volete imitare sia un passaporto sicuro per il vostrofalso. Naturalmente per i vostri “falsi decorativi” non ha im—portanza il tipo di filigrana: ve ne sono diverse che sono in sédecorative, come quelle qui riprodotte.

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Come imitare la filigrana

Anche se è una pratica che sconsiglio, si può imitare lafiligrana tanto bene da ingannare anche un occhio esperto. Siprende un foglio di carta dell’epoca giusta e vi si dipinge ildisegno con dell’olio incolore, come l’olio di papavero. Oppu-re lo si esegue raschiandolo sul rovescio del foglio con unalametta o un bisturi. Naturalmente, questo richiede una manoesperta e la massima attenzione, perché può sempre capitarel’osservatore scrupoloso che esamina la filigrana controlucecon una lente d’ingrandimento, e se in quel punto la carta ètroppo ruvida, oppure troppo liscia e un po’ lucida, potrebbeinsospettirsi. A volte si può correggere l’eccessiva ruvidezzacon qualche colpo di ferro da stiro, o restituire opacità allezone troppo lucide inumidendo leggermente la carta e lavoran—dola con un pennello duro ma essibile.

LA CARTA FABBRICATA A MACCHINA

La prima macchina per fabbricare la carta fu inventata inFrancia nel 1798 da Louis Robert. Fino a quella data tutta lacarta era fatta a mano. Poco prima si era sperimentato l’impie-go delle fibre di legno e di altre fibre. Tutte quelle innovazioniconsentirono di produrre un tipo di carta molto più economi-co, che gradualmente sostituì il prodotto fatto a mano, salvoche per i lavori più importanti. Ma la carta fatta con pasta dilegno è di qualità inferiore a quella fatta di cenci: è menoresistente, sbiadisce con maggiore facilità ed è meno gradevolealla vista e al tatto. Pertanto, se vogliamo trattare bene i nostriclienti, la eviteremo. E vero che oggi esistono processi chimiciche danno una pasta di legno migliore di quella prodotta mec-canicamente (che è poco più che segatura), come è vero che sitrova ancora carta fabbricata a mano dagli stracci. Ma se vo-gliamo essere buoni imitatori dei maestri del passato dobbia-mo usare i loro stessi materiali, il che significa andare allaricerca del prodotto genuino.

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DOVE TROVARE LA CARTA D’EPOCA

I posti migliori dove fare pratica nel riconoscere i foglid'epoca prima di iniziare ad acquistarli, sono: le gallerie e lecase d'aste, dove si possono scorrere le raccolte di stampe e didisegni privi di montatura; i negozi di stampe antiche, dovepure si trovano cartelle piene di stampe senza comice; innei librai antiquari, dove il falsario trova più interessanti le pagi-e all'inizio e alla fine dei volumi che non quelle chestanno nel mezzo. Un altro luogo da frequentare per impararea ricoscere la carta è il museo, ma, a meno di possedere lecredenziali necessarie, bisogna accontentarsi di guardare lestampe, i disegni e i libri al di là di un vetro.I libri sono uno strumento particolarmente prezioso per ilprincipiante, perché di solito sul frontespizio sono stampatiil luogo e la data di pubblicazione, che spesso indicanodove e quando è stata fabbricata la carta stessa. Anche le stam-pe offrono questo servizio, ma meno frequentemente. Peresempio, uno trova un’acquaforte di Rembrandt (1606-1669)assolutamente autentica, firmata e datata 1645, e pensa che siastampata su carta olandese del Seicento, quando in realtà puòessere una prova di stampa postuma tirata da una lastra origi-nale su carta inglese dell’Ottocento. Per quanto riguarda idisegni, poi, può capitare che l’artista giusto e la carta giustasi incontrino per secoli.Potrete cominciare a collezionare fogli antichi soltantoquando sarete in grado di stimare con ragionevole esattezzal'età e la qualità di ogni tipo di carta. A quel punto avrete giàfatto la conoscenza dei vostri fornitori, che saranno appunto lecase d’aste, i rivenditori di stampe e i librai antiquari.

Gallerie e case d'aste

Chi frequenta le aste di disegni antichi cerca soprattutto laqualità, cioè i disegni migliori che può permettersi di acquista-Oppure spera di fare qualche scoperta emozionante, il chesignifica ancora una volta, ricerca della qualità. Noi falsari,invece, pur non essendo insensibili alla bellezza di un buon

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disegno, andiamo alla ricerca più dei lavori scadenti che diquelli di pregio, ossia di opere che valgano meno della carta sucui sono disegnate. A volte questi infelici scarabocchi sonoeseguiti con un tratto così lieve da essere a malapena visibili,allora siamo pronti a trasformarli in qualcosa di meglio. Altrevolte il loro autore, in tutta modestia, ha lasciato in bianco ilrovescio del foglio in attesa che fosse una mano più abile ariempirlo. Ci interessano anche i fogli d’epoca su cui sonoincollati disegni di scarso valore e le vecchie montature, chemagari recano una firma o una scritta interessanti, o il marchiodi un collezionista illustre. Sono tutte cose che meritano diessere riciclate, soprattutto in quest’epoca di acuta coscienzaecologica.

Per scegliere i pezzi per i quali fare un’offerta vi serve unpo’ di fantasia. Naturalmente, quando se ne presenta l’oppor-tunità e le vostre finanze ve lo permettono, acquisterete qual-che disegno di pregio da conservare per fini di studio. E piùprobabile che troviate quello che cercate alle aste minori, in-dette dalle case piccole, ma è bene tenerle d’occhio tutte. E ungiorno potreste avere il piacere di trovare un vostro lavoro frai disegni descritti come importanti nel catalogo.

Il rivenditore di stampe

Di norma il rivenditore di stampe non ha molto da offrirci,a parte il piacere di spulciare nelle sue raccolte. Ma da luipossiamo sempre avere per pochi soldi qualche stampa me-diocre su carta grossa e di grande formato, che possiamo se-parare in due strati (con il metodo descritto più avanti), rica-vandone un bel foglio grande di carta d’epoca senza danneg-giare la stampa, che possiamo sempre rivendere per rifareidelle spese. Se riuscite a farvi amico un rivenditore di stampe,potreste trovare nel suo retrobottega cose che interessano piùa voi che a lui. Per fare un esempio, il “Piranesi” riprodottonella tav. VII è stato disegnato su autentica carta settecente—sca, recante la vera filigrana di un foglio veramente usatodaPiranesi. Questo è stato possibile grazie a un rivenditore distampe mio amico, che aveva acquistato due volumi antichi di

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acqueforti del grande incisore italiano e non aveva esitato adisfarli, dato che gli conveniva di più vendere le stampe sin-golarmeente. Aveva messo da parte la rilegatura e i fogli bian—chi d’inizio e fine, e io, naturalmente, ero stato ben lieto diacqutarli.

Il libraio

Vi consiglio di frequentare assiduamente tutti i luoghi in cuisi vendono libri usati, dalla libreria antiquaria di buon livelloalla bancarella sul marciapiede, al mercatino delle pulci, per—chè a volte vi si trovano vecchi registri o libri contabili parzial-mente usati o del tutto vergini, accantonati prima che venisse-'ro traciate le righe di colonna sulle pagine bianche. Spesso laprima registrazione del contabile vi informa esattamente sul—l'annodi nascita del volume. Si trovano per lo più registri delSette-Ottocento; naturalmente, più sono antichi più sono rari.Ai mercatini delle pulci i libri antichi — sempre che se ne tro-vino — sono talmente deteriorati da essere inservibili; ma avolte anche in questi si trova qualche pagina utile. Questi ru-deri presentano due vantaggi per il falsario: anzitutto si posso—no acquistare per poche lire e poi si può disfarli senza rimorsi.Si possono staccare con l’acqua i fogli che foderano l’internodella copertina, o salvare le pagine bianche all’inizio e alla finedel volume, si possono rifilare i margini e fare altri interventi,tutto senza problemi di coscienza.A questo proposito vorrei fare una precisazione: siamo con-traffattori, non vandali, creatori, non distruttori. Perciò, quan-do raccogliamo materiale per le nostre creazioni dobbiamorispettare il lavoro degli artisti che ci hanno preceduto. Nonstrapperemo una pagina a un bel libro, come non raschieremoil colore da una tela di Rembrandt.Anche se il libraio non ha nulla che vi interessa, spiegategliche cosa cercate: potrebbe tenervelo da parte alla prossimaoccasione. Il modo migliore di farvelo amico è acquistare dalui qualche volume per la vostra biblioteca. Come dice il vec-chio adagio: «Nulla lega gli uomini quanto il denaro che passadi mano in mano».

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LA PREPARAZIONE DELLA CARTA

Supponiamo che siate stati fortunati nella vostra ricerca eabbiate messo da parte un discreto numero di fogli d’epoca emagari qualche libro mastro. Siete ansiosi di cominciare a di-segnare, ma prima dovrete probabilmente trattare la carta. Seintendete lavorare con la matita o i gessetti questo potrebbenon essere necessario, ma lo sarà certamente se avete sceltol’inchiostro o l’acquerello. Con il passare del tempo la collache impregna la carta si disintegra e quest’ultima torna a esserecompletamente assorbente. Se disegnaste direttamente su untale foglio, l’inchiostro spanderebbe — cosa che gli esperti no—tano subito.

Oltre a restituire al foglio il suo contenuto di colla, dovreteforse fare altre cose prima di iniziare a disegnare. Gli autori difalsi disegni antichi compiono spesso l’errore di “invecchiare”il foglio. Non c’è nulla di più assurdo, perché se la carta èautenticamente antica non c’è bisogno di invecchiarla e se nonlo è non va usata per niente (salvo, ovviamente, che per i di—segni puramente decorativi). Quello che dovrete forse fare saràripulire e riparare il foglio, per prepararlo a diventare un dise-gno “antico” sopravvissuto nei secoli in condizioni sufficiente—mente buone da essere ancora almeno decifrabile. Vediamoallora come si compiono queste operazioni di restauro.Riparazione dei fori prodotti dai parassiti

È necessario “rattoppare” i fori prodotti dai parassiti, per-ché passandovi sopra con la penna si deposita dell’inchiostronel loro bordo interno e questo è un indizio inequivocabile delfatto che il disegno è recente. Il “rattoppo” verrà tolto a dise-gno terminato.

Ecco un buon metodo. Riducete in poltiglia un poco dicarta (il sistema più semplice è masticarla), posate il foglio datrattare su una superficie di marmo e applicate sul foro un po’di poltiglia ben masticata e assolutamente morbida. Coprite ilpunto con diversi strati di carta assorbente e battetelo con unmartelletto di legno saldando bene la pasta al foglio. Battete

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ripetutamente, con pazienza, ma anche con delicatezza: il pro-cedimento è esattamente quello con cui si batte l’oro. Con ilpassare del tempo sentirete la pasta di carta indurire, e alla finesarà parte integrante del foglio. Lasciate seccare perfettamenteil rattoppo”, poi tagliate o raschiate con una lametta la spor-genza, in modo che la parte riparata non risulti più elevata delfoglio. S’intende che questo genere di riparazione è estrema-mente delicato: il risultato dipende in parte dalla fibra dellacarta, ma soprattutto dal grado di destrezza con cui è eseguito.Perciò va evitato, se non è proprio indispensabile.

Eliminazione delle macchie di unto

Se c’è una macchia d’unto in un punto critico del foglio —per esempio dove va disegnato un volto — è necessario elimi—narla. L’operazione va fatta prima di sbiancare, tingere o incol-lare la carta, perché le sostanze grasse possono interferire conquesti procedimenti. Posate il foglio su una superficie levigatae dura, create un piccolo tampone liscio con della carta assor-bente o della bambagia, imbevetelo di benzina e tamponatedelicatamente la macchia. Non frizionate assolutamente, macontinuate a picchiettare con pazienza finché la sostanza untanon si amalgamerà alla benzina e non sarà asportata per eva-porazione.Un altro metodo consiste nello spargere sulla macchia undi gesso in polvere o di borotalco. Vi si posa sopra unfoglio di carta e lo si passa con il ferro da stiro caldo. Il gesso(o borotalco) può essere sostituito con un foglio di carta assor- 'bente.

Come fare aderire l’inchiostro a una supercie grassa

Le superfici grasse o unte respingono l’inchiostro, perciò ènecessario trattarle prima di disegnarvi. Lo si può fare frizio-nandole con del fiele di bue purificato, con ammoniaca diluitain acqua, o con una mezza patata.

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Come rimuovere lo sporco di superficie

Primo metodo. Mettete il foglio in una bacinella a fondo piatto,copritelo di acqua (circa 3 mm) ed esponetelo al sole per ungiorno o due. Tutta la sporcizia di superficie (escluse cioè lemacchie che erano penetrate nelle fibre della carta) scomparirà.

Secondo metodo. Spalmate su tutta la superficie della carta unimpasto denso di acqua e farina (vedi p. 78), poi lavate ilfoglio: insieme all’impasto di farina si staccherà tutta la spor—cizia che si era depositata sulla carta.

Terzo metodo. Mescolate del sale finissimo con un poco disucco di limone e formate un impasto molto denso; spalmatelosul foglio e lasciatevelo per un’ora. Lavate il foglio con acquabollente fino a eliminare completamente l’impasto, che porteràcon sé tutta la sporcizia. Dovrete poi lasciare asciugare il fogliolentamente, non al sole né vicino a una fonte di calore (sistemarischioso che può essere usato solo con carta molto resistente).

Come sbiancare la carta

Se una macchia resiste ai trattamenti descritti sopra, potetecercare di eliminarla con la sbiancatura. Come si è detto, lacarta antica è fatta di stracci, cioè di fibre di tessuto, perciò èlogico che reagisca alle sostanze candeggianti in maniera ana-loga al bucato di casa. Per sbiancare la carta si usano agentidecoloranti come il perossido di ossigeno (acqua ossigenata), iquali scompongono le macchie in elementi incolori che poivengono eliminati nel lavaggio.Il metodo di sbiancatura più semplice è il seguente:

1. In una bacinella del tipo che si usa nelle camere oscure peril fissaggio delle fotografie, diluite un cucchiaio di candeg-gina in un litro d’acqua.

2. Posate il foglio su una lastra di vetro che faccia da supportoe fatelo scivolare nella soluzione.

3. Osservate i cambiamenti di colore della macchia rispetto al

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resto del foglio e del foglio stesso. Se in capo a quindiciminuti non vi sono variazioni di rilievo aggiungete ancoraun poco di candeggina, senza però dimenticare che unasoluzione troppo forte potrebbe intaccare e indebolire lacarta, oppure renderla troppo bianca, il che non si addicea un foglio antico.

4. Dopo la sbiancatura, la carta va lavata in acqua corrente per almeno quindici minuti. -

Se volete seguire un metodo più scientifico procurateviun camice, affittate un laboratorio chimico e procedete comesegue.

Si suppone che il vostro laboratorio disponga di una cabinaa tenuta di esalazioni, bene illuminata, dotata di acqua corren-- te con relativo scarico e di una finestrella per osservare i pro-cessi che avvengono al suo interno. Mescolate 75 ml di soluzio-ne di formalina (al 40%) e 60 g di clorato di sodio per usoindustriale con tre litri d’acqua. Vedrete il liquido diventaregiallo a causa della formazione di biossido di cloro, uno sbian-cante ossidante analogo alla vostra candeggina di casa. Comenel metodo casalingo descritto sopra, si posa il foglio su una lastra di vetro per maneggiarlo con maggiore sicurezza e lo sifa scivolare nella soluzione in una bacinella da fotografo. An-che le fasi successive — l’osservazione degli effetti del tratta-mento, l’eventuale correzione della soluzione e il lavaggio delfoglio per eliminare i sali di sodio — sono identiche. Il vantag-gio di questo sistema, impiegato dai restauratori professionistidi disegni e di stampe, è che il foglio non assume un candore innaturale. Lo svantaggio, dal nostro punto di vista (comune peraltro a tutte le tecniche di candeggio), è che cancella lemacchie di umidità e di ruggine, le muffe, gli escrementi dimosca e così via, che testimonierebbero dell’età del nostro fu-turo disegno. Comunque, le macchie deturpanti vanno elimi—nate e spesso la sbiancatura è l’unico sistema per farlo.

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Come impregnare la carta di colla

Prima di compiere questa operazione bisogna cancellaretutte le scritte a matita che non ci interessano, come le anno-tazioni fatte dai librai sulle pagine bianche dei volumi, altri-menti vengono fissate e non è più possibile cancellarle. Undisegno antico con la scritta «2 voll. L. 20.000» sul verso po—trebbe suscitare qualche sospetto.

La colla si prepara diluendo 30 g di gelatina in un litrod’acqua; la gelatina può essere sostituita con la colla di pelle inpolvere (35—50 g per ogni litro d’acqua). Per i disegni pura-mente decorativi si può usare del Vinavil sciolto in abbondanteacqua. Si può stendere la colla con un pennello, oppure im-mergere il foglio nella soluzione, nella solita bacinella da foto-grafo. La carta molto delicata va posata su una lastra di vetroe il tutto va adagiato con cura nella vaschetta. Quando la cartaè molto assorbente è bene incollarla due o tre volte, comin-ciando con una soluzione blanda e lasciando asciugare il foglioogni volta. Per fare asciugare i fogli appendeteli a un filo condelle mollette da bucato o con altro tipo di pinzette; appoggia-ti su una qualsiasi superficie vi si incollerebbero.

Come correggere un foglio troppa bianco

Se vi capita di eccedere nella sbiancatura, per cui il tonomorbido del foglio d’epoca si è trasformato in un bianco aset-tico, potete rimediare aggiungendo un po’ di colore alla colla.Una soluzione blanda di permanganato dà un giallo chiaromolto simile a quello della carta antica; lo stesso risultato siottiene con la birra scura, il caffè, il tè, la cicoria o la liqueri-zia. Per verificare la tinta immergete nella colla colorata unframmento di carta assorbente bianca, premetelo fra altri duestrati di carta assorbente per togliere il liquido in eccesso elasciatelo asciugare. Potrete valutare il colore soltanto quandoil campione sarà perfettamente asciutto ed eventualmente po-trete modificarlo aggiungendo acqua o sostanza colorante, se-condo il bisogno.

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Come si sdoppia un foglio

Spalmate il foglio su entrambe le facciate con un impastopiuttosto denso di acqua e farina (vedi p. 78) poi mettetelo fradue pezzi di stoffa robusta e a trama fitta, più grandi del fogliostesso (la fibra più indicata è il lino), e passate il ferro da stirosu entrambe le facciate per far sì che il tessuto si incolli benesull’intera superficie. Mettete il tutto sotto una pila di libri elasciatevelo finché l’impasto non sarà perfettamente asciutto.Ci vorranno alcune settimane. A questo punto separate concura i due lembi di stoffa e vi troverete con metà della cartaincollata su uno e l’altra metà incollata sull’altro. Ora ciascunlembo con la propria porzione di carta va lasciato a bagno inacqua tiepida finché il foglio non si stacca da solo. A questaoperazione si può sottoporre soltanto la carta molto resistentee che non contenga fibre grosse, perché si rischia di ritrovarsicon dei buchi su uno uno dei due strati e delle protuberanzesull’altro.

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CAPITOLO 3

E SE IL MARE FOSSE D’INCHIOSTRO...

Che vi sia fiele bastante nel tuo inchiostro,benché tu scriva con una penna d’oca.William Shakespeare

L’INCHIOSTRO

Dopo avere considerato il principale supporto dei disegniantichi — la carta — rivolgiamo ora la nostra attenzione ai ma- .teriali usati per disegnare, cominciando dall’inchiostro. Se ilbravo pittore usa pochi colori, il bravo disegnatore usa pochiinchiostri. Questo non signica che nel corso della storia nonsia stato sperimentato pressoché ogni liquido capace di lasciareuna traccia, dal sangue al succo di more; ma l’esperienza e latradizione hanno dimostrato che bastano pochi inchiostri dibuona qualità per eseguire ogni tipo di disegno. Esistono fon-damentalmente quattro categorie di inchiostri: a base di carbo—ne, di ferro-gallica, di bistro e di seppia.

Inchiostri a base di carbone

Questi sono inchiostri molto stabili, usati già dagli Egiziper scrivere e disegnare su papiro, su legno, su terracotta esu altri materiali. Sono costituiti da una sospensione di fulig-gine in olio, gomma arabica o colla. Anche quando la sostan-za legante si disintegra nel corso del tempo, il nero rimaneinalterato, aderente all’oggetto come se fosse entrato a farneparte. L’inchiostro cinese e quello indiano sono entrambi abase di carbone e poiché oggi sono facili da reperire e nonhanno una composizione chimica molto diversa da quelli diun tempo, ogni buon falsario dovrebbe averli a disposizione.Vanno invece evitati gli inchiostri moderni resistenti all’ac-qua, perché contengono piccoli quantitativi di vernice chedanno loro una lucentezza del tutto estranea ai disegni anti-

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Inoltre, queste vernici di solito sono sintetiche e un’ana-lisi chimica ne rivelerebbe immediatamente la presenza. IlMigliore inchiostro cinese è ancora quello in stecche; deveProvenire dalla Cina e le imitazioni vanno evitate. Badate checerrti produttori europei confezionano il loro prodotto sca—dente con carta di riso stampata a ideogrammi cinesi (astuziadegna della nostra categoria).

Inchiostri a base ferro—gallica

Sono inchiostri prodotti mescolando del solfato ferroso conacido tannico, una sostanza presente in natura, soprattuttonelle galle della quercia. Ne è stato accertato l’impiego inopere del Il secolo a.C. ed è ragionevole supporre che fossenoto già precedentemente. Nel primo Medioevo era ancorautilizzato e pare che nel Rinascimento fosse l’inchiostro piùcomune. In seguito fu sostituito dapprima dal bistro, poi dalnero di seppia, ma il suo uso non venne mai del tutto abban-donato e ancora oggi alcuni falsari lo trovano utile per certilavori. Purtroppo non è disponibile nei negozi e bisogna fab-bricarselo. Un tempo esistevano moltissime ricette per farlo edè per questo che nei disegni antichi lo si trova in una varietàdi sfumature che vanno dal giallo pallido a un nero così inten-so da poter essere confuso con l’inchiostro di carbone, conbruni aranciati e varie tonalità verdastre fra i due estremi. Enon è raro trovare queste diverse tinte in uno stesso disegno.Un’altra caratteristica di questo inchiostro è la sua acidità (do—vuta alla presenza di acido tannico e di acido solforico), chepuò col tempo corrodere la carta. Questo è un effetto che, con+ un po’ di bravura, è possibile imitare, dando al disegno unconvincente aspetto antico.Qui di seguito troverete due ricette fondamentali per l’in-chiostro a base ferro-gallica, una antica e l’altra del secoloscorso, quando la produzione di inchiostri al tannino parecostituisse una diffusa attività artigianale. Potrete variarle aseconda delle vostre esigenze; l’importante è che il risultato siaquello che desiderate (personalmente il vino della prima ricettapreferisco riservarlo alla mia tavola).

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«In un quarto di gallone d’acqua mescola due once di gommaarabica, cinque once di galla di quercia e tre di copra. Coprila miscela e lasciala riscaldare al sole; diverrà così un inchiostromigliore. Sarebbe più rapido farla bollire leggermente sul fuo-co, ma la sostanza non bollita presenta un lustro più bello edura più a lungo. Invece dell’acqua, il vino serve meglio alloscopo; diluite il vostro inchiostro con un poco di vino e d’acetoquando diventa troppo denso».

(Da La petite schole di Francis Clement, 1587)

Mettete a bagno in due litri d’acqua per tre giorni 125 g digalla ridotta in polvere fine.Sciogliete 50 g di gomma arabica e 50 g di solfato di ferro inun litro di acqua piovana.Unite le due soluzioni e lasciate riposare per qualche giorno,mescolando di tanto in tanto.Fate bollire.Filtrate con una garza e imbottigliate.

A proposito, se non vi capita di trovare galle di querciadurante le vostre gite in campagna, risultati analoghi si posso-no ottenere con le ghiande rimaste a marcire ai piedi dellequerce. Potrete pestare le galle o le ghiande nel mortaio dicucina.

Bistro

Il bistro è una sospensione di sottile caligine, ottenuta bru-ciando legno di betulla, di pino o di salice, in acqua piovanain cui sia stata sciolta della gomma arabica. Era molto usato neisecoli XVII e XVIII e dà risultati particolarmente belli inmano a chi sa impiegarlo per le acquerellature. Maestri comeRembrandt, Poussin (15 94-1665) e Claude Lorrain (1600—1682)ottenevano con questa tecnica splendidi effetti di luminosità.Purtroppo è oggi difficilmente reperibile e, sebbene i fabbri-canti di un tempo conoscessero certamente un buon metodoper produrlo, io finora non sono riuscito a trovare una ricettache mi dia risultati soddisfacenti. Può capitare di trovarlo invecchie cassette di colori e in tal caso vale la pena di investiresull’intera cassetta, pur di assicurarselo. Comunque, un eccel-lente surrogato è la terra d’ombra naturale in tubetti (natural-

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mente a base d’acqua, non a olio) che, se di buona marca, èpraticamente identica all’inchiostro. Va diluita in acqua a se-conda dell’intensità desiderata e se ne può variare la tonalitàper imitare qualsiasi esempio di bistro antico, con l’aggiunta dialtre terre, come la terra di Siena naturale o la terra d’ombra ‘bruciata, entrambe chimicamente accettabili per i nostri scopi.

Il Nero di seppia

Questo inchiostro, che solitamente è fatto con il liquidonero della seppia, entrò nell’uso comune soltanto alla fine delXVII secolo e molti disegni seicenteschi che gli studiosi defi-niscono seppia sono in realtà a bistro. Come gli inchiostri a base di carbone, anche il nero di seppia si trova ancora facil-in mente nei negozi (non è necessario andare a pescare le seppie),ma anche di esso esistono varietà idrorepellenti che vannoevitate a causa della loro lucentezza artificiale. La versione al-l’acquerello, se di buona marca, è del tutto accettabile, a con-dizione che il legante sia la gomma arabica. Questo perché la gomma arabica, sia antica sia recente, reagisce in manieramolto simile, nelle minuscole quantità che si possono prelevareda un disegno per analizzarle in laboratorio.

STRUMENTI PER DISEGNARE

Un tempo per disegnare si usavano la penna d’oca o lo stilodi canna, strumenti che in mano ai grandi maestri danno risul-tati difficilmente imitabili con qualsiasi altro attrezzo. Unascorsa ai disegni di Rembrandt può essere particolarmenteistruttiva in questo senso. Forse nessuno ha avuto una sensibi-lità per gli strumenti da disegno pari a quella di Rembrandt.Con lo stilo di canna creava un tratto che soltanto quello stru-mento può dare; e così con la penna d’oca, con il pennello, conil gessetto. Non forzava mai la natura degli attrezzi che usava,

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pur governandoli; era come un buon compositore, che sfruttale caratteristiche dei vari strumenti musicali, senza mai consen-tire all’uno di fare la parte dell’altro e traendo il massimo datutti.

La penna d’oca

Per disegnare o per scrivere si usano le penne delle ali.Prima di tutto dovrete trovare un’oca o un altro uccello chefaccia al caso vostro e che sia disposto a cedervi una delle suepenne. Poi dovrete munirvi di un temperino molto affilato o diun bisturi e di una tavoletta di legno per praticare le necessarieincisioni nel calamo (la cannuccia) della penna. Il procedimen—to da seguire è descritto da Edward Johnston nel suo manualeclassico, da cui sono tratte le illustrazioni che seguono .

l. Accorciate convenientemente il calamo.

2. Strappate le barbe della penna per un certo tratto del ca-lamo.

' Edward Johnston, Writing & Illuminating & Lettering, London 1906.

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3. Praticate due incisioni sulla punta del calamo, la prima così

la seconda così.

4. Posate la penna sulla tavoletta di legno con le due estremitàall’insù e create la punta praticando un taglio netto, o dritto

od obliquo.

5. La punta della penna va tagliata e aperta così

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Lo stilo di canna

Lo stilo di canna si prepara in un modo molto simile allapenna d’oca. L’unica differenza è che la punta della penna nonva aperta. .

La stilo di metallo e la penna

Lo stilo di metallo esiste fin dai tempi dei Romani, ma sol-tanto nel secolo scorso si riuscì a renderlo abbastanza essibileda poterlo usare per disegnare, e anche come strumento discrittura era considerato un oggetto di pregio, bello da posse-dere, piuttosto che un attrezzo pratico da usare. Il valore chesi attribuiva a quel tipo di strumento nel XVIII secolo emergechiaramente da una frase scritta dal pastore Woodford nel1790: «Ciò scritto con uno stilo di rame, già di proprietà dellamia povera mamma».

Chi più di tutti contribuì a diffondere l’uso di una punta dimetallo per scrivere e disegnare fu un incolto fabbricante dibottoni di Birmingham, di nome Joseph Gillot. L’ingegnosoGillet scoprì che certe fasi della lavorazione dei bottoni si prestavano alla fabbricazione di punte essibili d’acciaio e nel1831 brevettò il prototipo del pennino. Il pubblico colse subi-

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to i due principali vantaggi di quello strumento: si acquistavabell’e fatto ed era facile da maneggiare. Furono queste duequalità a decretare la fine dell’era della penna d’oca e delloÈ stilo di canna. Come dimostra questa inserzione apparsa sulcatalogo illustrato dell’Esposizione Internazionale del 1862, iI primi pennini d’acciaio erano di foggia molto bella.l I pennini sono pratici e funzionali e, anche se oggi sonomolto meno belli, sono ancora utili a chi preferisce maneggia- 're arnesi piuttosto che premere bottoni. Si trovano facilmentesul mercato, perciò dovreste procurarvene un buon assorti-f mento.Il pennelloÈ importante usare sempre pennelli della migliore qualità.Quelli per acquerello in vero zibellino sono eccellenti, mahanno prezzi astronomici. Per fortuna la tecnologia ha pensatoalle nostre tasche e oggi possiamo acquistare ottimi pennelli infinto zibellino a prezzi infinitamente più bassi.Il disegno a pennello, popolarissimo in Oriente, non è statoaltrettanto amato in Occidente. I nostri artisti incominciaronoa usare questa tecnica nel XVII secolo, quando era in auge ilchiaroscuro, essenzialmente perché il puro disegno a pennello(non abbinato al tratto di penna) e il metodo ideale per ren-dere rapidamente gli effetti di luce. Si stende il colore con ilpennello in maniera tale da lasciare bianche le zone illuminate.Vi sono disegni a penna e pennello di Rembrandt, e disegnieseguiti interamente a pennello da Poussin, da Claude Lorraine da Goya, che sono fra i più splendidi esempi di disegnoeuropeo. Anche Manet era un grande maestro del disegno apennello, così come lo era Picasso, ma questi due maestri sonotroppo recenti per ricevere qui la nostra attenzione.Il bastoncino di legnoSe provate ad affilare la punta del manico di un pennello ea usarla come una penna vedrete che si ottiene un tratto moltobello, simile a quello di certi disegni antichi. Ho impiegato

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questa tecnica per disegnare nello stile di maestri del Settecen-to come Reynolds, Romney e Rowlandson. Il bastoncino dilegno dà una linea vigorosa quasi quanto lo stilo di canna, enelle mani giuste può dare risultati molto felici.

La punta d’argento

Come si è detto, i Romani conoscevano lo stilo d’argento,che usavano probabilmente per scrivere sulla pergamena. Gliartisti dei secoli XV e XVI si servivano di un arnese con lapunta di piombo, 0 di una lega di piombo e stagno, per trac-ciare schizzi preliminari da ripassare con un altro strumento,come la penna a inchiostro o il gessetto nero, un po’ come noioggi usiamo la matita per tracciare il primo schizzo da ripas—sare a penna o a pennello. In certi disegni antichi è ancoravisibile il lieve solco lasciato sul foglio da questo antenato dellanostra matita. Raramente, però, il disegno definitivo venivaeseguito con la punta di piombo: per tutto il Rinascimento sipreferì la punta d’argento.

La punta d’argento quasi non lascia traccia sulla carta nontrattata; per questo gli artisti italiani — quasi esclusivamentefiorentini e umbri, perché quella tecnica era sconosciuta a Ve-nezia — dovettero inventare la cosiddetta “carta tinta”. Il foglioveniva preparato con un composto di ossa in polvere, gommaarabica sciolta in acqua, bianco cinese e il colore desiderato. Alposto del bianco cinese si poteva usare il gesso bianco, alter-nativa conveniente per il falsario, perché il bianco cinese è unavariante del bianco di piombo, le cui versioni moderne posso—no essere chimicamente un po’ diverse da quella tradizionale,cosa che gli esami radiografici rivelerebbero. Naturalmente,per le opere decorative va benissimo il bianco di piombo com—merciale. Anziché la carta tinta si può usare della normalecarta patinata, sulla quale la punta d’argento lascia una tracciaben visibile.

Ma prima di passare alla preparazione della carta soffermia—moci brevemente sulla punta stessa. L’attrezzo ideale è costi-tuito da due o tre centimetri di filo d’argento, del tipo usatodai gioiellieri, dello spessore di una mina da matita, montato su

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uno di quei manici che gli incisori usano per le punte da ac-quaforte e che si possono trovare in ogni negozio di articoliper artisti ben fornito. In mancanza d’altro si può utilizzarequalsiasi oggetto d’argento dotato di una punta o che possaessere appuntito. Per anni la mia punta d’argento è stata uncucchiaino al quale avevo affilato il manico. Con questo eseguiiun disegno che fu al centro di una tormentata vicenda.

Era uno studio di un giovane ricciuto su carta preparata 'rosa, con lumeggiature in bianco cinese, eseguito in uno stilevicino a quello di Lorenzo di Credi (1459-1537), uno deimaggiori maestri della punta d’argento. Un potenziale acqui—rente mostrò una fotografia del disegno ad Anthony Blunt,allora conservatore delle collezioni della casa reale e direttoredel Courtauld Institute, dicendogli che lo aveva avuto da me.Sir Anthony, che conoscevo personalmente, mi comunicò lesue impressioni, basate sulla fotografia. Erano del tutto nega—tive: considerava il disegno grossolano e trovava sgradevole ilviolento contrasto fra luci e ombre. Nel complesso dubitavache fosse autentico. Il caso volle che in quel periodo fossiospite in casa sua a Londra. Senza curarmi di commentare ilsuo giudizio, un giorno lasciai “sbadatamente” il disegno sullamensola del caminetto nella camera degli ospiti, e lui lo “tro-vò”. A quel punto la sua opinione mutò radicalmente: la “du—rezza sgradevole” divenne “pervasiva dolcezza”, esaltò la bel-lezza del giovane modello e attribuì il suo precedente giudizioalla cattiva qualità della fotografia, che esasperava i contrastitonali. Ma non abbandonò la sua cautela e mi chiese di potersottoporre il disegno a un esame di laboratorio al CourtauldInstitute. Acconsentii e quando mi fu restituito aveva la qua- >lifica di “disegno sicuramente antico”. Non solo, ma Anthonysi era messo in contatto con Ellis Waterhouse, che allora diri—geva il Barber Institute, proponendogli l’acquisto dell’operaper il suo museo. Quando Waterhouse vide il disegno ne fuconquistato non meno di Anthony, ma non riuscì a trovare ifondi necessari per comprarlo (evitando così al Barber Institu-te il grande imbarazzo che ne sarebbe seguito). Trovai infineun acquirente, uno stimatissirno mercante di disegni antichi dinome Hans Calmann, che lo rivendette a un suo ricco cliente

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per un importo rimasto ignoto, con un’attribuzione sicura aLorenzo di Credi.

Incoraggiato da quel successo, pensai di eseguire un altrodisegno nello stesso stile e di offrirlo direttamente a Calmann.Ma questo era molto rischioso: i disegni rinascimentali a puntad’argento sono estremamente rari e che ne comparissero duein rapida successione, entrambi su carta rosa, con lumeggiatu-re bianche e raffiguranti un giovane, non poteva non insospet-tire. A meno che… beh, a meno che i due disegni, una voltaaccostati, non risultassero così chiaramente di mano diversa,da non poter essere collegabili altro che cronologicamente etipologicamente. Con questa finalità in mente preparai un se-condo foglio rosa, ma con una ricetta diversa, applicando unfondo meno denso e usando carta proveniente da un’altra fon-te, questa volta con la filigrana che la datava al 1425 circa. Misembrò altresì prudente sostituire il mio manico di cucchiainocon il dente di una forchetta d’argento. Fatti questi preparati-vi, eseguii un altro disegno di “pervasiva dolcezza”, che questavolta Calmann attribuì alla bottega del Verrocchio. Qualcheanno più tardi il primo disegno fu rimesso sul mercato a bassoprezzo a causa di voci “infondate” che ne mettevano in dubbiol’autenticità. Trascorsero altri dieci anni e ricomparve aun’asta. Nel frattempo uno scriteriato si era dato da fare a“invecchiarlo”: era così malridotto che quasi non lo riconosce-vo e, date le sue condizioni, il suo prezzo calò ulteriormente.Tale fu il destino di quel particolare falso.

Ma torniamo alla punta d’argento. Questa deve essere finema lievemente arrotondata, perché se è troppo aguzza puògraffiare o lacerare il foglio. Con l’uso si consuma pochissimo.Produce un tratto grigio-argenteo molto chiaro, che ben prestodiventa brunastro a causa del processo di ossidazione. Le lineescure si ottengono ripassando più volte nello stesso punto. Perle ombreggiature conviene eseguire un fitto tratteggio paralle-lo, alla maniera di Leonardo. Fu proprio l’arte di Leonardo ainuire maggiormente sullo stile di Lorenzo di Credi, cometestimonia Giorgio Vasari:

...e perché a Lorenzo piaceva fuor di modo la maniera di Lionardo,

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la seppe così bene imitare, che niuno fu che nella pulitezza e nel finirl'opere con diligenza l’imitasse più di lui, come si può vedere inÎ:molti disegni, fatti di stile e di penna o d’acquerello, che sono nel“nostro libro; fra i quali sono alcuni ritratti da medaglie di terra,acconci sopra con panno lino incerato e con terra liquida con tantadiligenza imitati e con tanta pazienza finiti, che non si può a penacredere, non che fare.

Il tratto a punta d’argento è indelebile, pertanto è impossi-bile correggerlo con cancellature. Come ho detto sopra, questoattrezzo non lascia quasi traccia sulla carta normale e per farsì che l’argento si depositi bisogna che il fondo sia ruvido.Ecco come si prepara la carta secondo Cennino Cennini, al cuiLibro dell’arte rimando il lettore anche per altre ricette.

Quando tu vo’ tignere carta di cavretto, o veramente foglio dicarta bambagina, togli quanto una mezza noce di verdeterra, e perla metà d’essa un co’ [sic] d’ocria; e per la metà dell’ocria, biaccasoda; e quanto una fava d’osso (con quello osso che indrieto t’hodetto da disegnare); e quanto mezza fava di Cinabro; e macina bentutte queste cose in su prieta proferitica con acqua di pozzo, o difontana, o di fiume. E tanto le macina, quanto hai sofferenza di potermacinare, ché mai non possono essere troppo; ché quanto più lemacini, più perfetta tinta viene. Poi tempera le predette cose concolla di questa tempera e fortezza: togli uno spicchio di colla daglispeziali, non di pesce, e mettila in uno pignattello in molle in tantaacqua chiara e netta, quanto possa tenere due mugliuòli comuni, perispazio di sei ore. Poi, questo pignattello mettilo a fuoco che siatemperato, e schiumalo quando bolle. Quando ha bollito un poco,tanto veggia la conla ben disfatta, colala due volte. Poi togli unvassello da dipintori, grande e capace ai detti colori macinati; emettivi tanta di questa conia, che corra bene al pennello; 6 toin unpennello di setole grossetto, che sia morbido. Poi abbi quella tuacarta che vuoi tignere; e di questa tinta ne da’ distesamente per locampo della tua carta menando la mano leggiermente, e ’l pennellosquasi mezzo asciutto, ora per un verso ora per l’altro; e così ne da’tre o quattro volte o cinque, tanto che veggia che ugualmente la carta

' Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, icultorz' e architetti, a cura di C. Ragghianti, 4 voll., Milano 1942, vol. II, pp. 241-242.

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disegno, andiamo alla ricerca più dei lavori scadenti che diquelli di pregio, ossia di opere che valgano meno della carta sucui sono disegnate. A volte questi infelici scarabocchi sonoeseguiti con un tratto così lieve da essere a malapena visibili,allora siamo pronti a trasformarli in qualcosa di meglio. Altrevolte il loro autore, in tutta modestia, ha lasciato in bianco ilrovescio del foglio in attesa che fosse una mano più abile a

sia tinta; e sta’ di spazio dall’una volta all’altra tanto che ciascunavolta asciughi. E se vedessi che per lo tuo tignere aridisse o incoiasseper la tinta, è segno che la tempera è troppo forte: e però, quandodai la prima fiata, ponvi rimedio. Come? Mettivi dentro dell’acquachiara tepida. Quando è asciutta e fatta, togli un coltellino e va’ coltaglio fregando su per lo foglio tinto, leggiermente, acciò che levi viase nessun granelluzzo vi fusse .

PREPARAZIONE DELIA “CARTA TINTA”

Cennini ci istruisce anche su come preparare la polvered’osso necessaria per trattare la carta.

Bisogna sapere che osso è buono. Togli osso delle cosce e dellealie delle galline, o di cappone; e quanto più vecchi sono, tantosono migliori. Come gli truovi sotto la mensa, così gli metti nelfuoco; e quando vedi son tornati ben bianchi più che cenere, trane-gli fuora, e macinagli bene in su proferito; e adoperalo secondo chedico di sopra .

Ma ecco una versione semplificata del metodo di Cenniniper la preparazione della carta tinta.

1. Mescolate tre cucchiai ben colmi di piombo in polveremolto fine (potete acquistare il piombo già in polvere pres-so un buon colorificio, ma se non lo trovate dovrete prepa-rarvelo voi) e un cucchiaio ben colmo di ossa in polvere.

2. Sciogliete un poco di gelatina in una tazza di acqua caldaottenendo una colla molto liquida. Per provarne la consi—stenza immergetevi il pollice e l’indice: asciugando, la colladovrebbe risultare leggermente appiccicosa, ma non tanto darichiedere uno sforzo anche minimo per staccare le due dita.3. Aggiungete questa colla alla polvere di piombo e di ossa,

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mescolando in maniera da ottenere un composto omogeneoe cremoso. Tingetelo con il colore di vostra scelta, usando

' Cennini, op. cit., pp. 17-19.' Ibidem, p. 9.

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soltanto le terre (come la terra verde, la terra d’ombra, l’o—cra, la terra di Siena e così via). Se volete preparare il fogliocon un fondo blu, dovrete usare esclusivamente l’azzurrod’oltremare puro, ovvero il blu di lapislazzuli. Si ottiene unatinta bluastra anche con il nero di carbone.

4. Mettete questo composto in un pentolino e portate lenta-mente a ebollizione, mescolando di tanto in tanto. Non ap- .pena bolle toglietelo dal fuoco.

5 . Lasciate raffreddare la miscela. Fissate il foglio a una tavoladi legno con del nastro adesivo lungo tutto il perimetro,perché dovrà asciugare ben piatto. Spennellatevi il compo-sto per almeno due volte, con un pennello piatto di setolefini, largo circa due centimetri. Se necessario, la miscela puòessere diluita un poco con dell’acqua. Se la vostra prepara—zione è troppo densa, il foglio risulterà troppo lucido. Perrimediare a questo inconveniente inumidite un poco la car—ta con il vapore, tenendola sopra una pentola d’acqua inebollizione, poi ripassatela leggermente con della carta ve-trata molto molto fine. La rimozione delle asperità con unalama di coltello, suggerita da Cennini, dovrebbe rendersinecessaria soltanto se non avrete polverizzato le ossa a suf-ficienza.

CARBONCINO, GESSETTI E PASTELLI

Il carboncino

La tecnica del carboncino è una delle più antiche. Impiega-ta già dall’uomo preistorico, sembra non essere mai stata ac—cantonata: era in uso nella Grecia antica, come testimoniano lefonti letterarie, e schizzi a carboncino sono stati ritrovati aPompei, ma ancora oggi molti artisti se ne servono. Il carboncino migliore è di legno di salice o di tiglio. Lo sitrova facilmente in commercio, ma se siete convinti assertoridel “fai-da-te”, ecco come produrlo. Prendete una lattina dimetallo completa di coperchio e bucherellatela sopra e sottocon un chiodo. Riempitela bene con Stecchi e rametti sottili di

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salice e mettetela in un grande falò. È una buona scusa pertrascinare tutta la famiglia a fare un picnic in campagna: nonè necessario che i vostri familiari sappiano che al negozio al—l’angolo si trovano carboncini altrettanto buoni, se non miglio-ri. Il picnic dovrà durare per diverse ore, finché il falò non sisarà esaurito, consentendovi di estrarre il vostro barattolo dalleceneri e di portarvelo a casa. Il più grande esponente dellatecnica a carboncino fu Albrecht Diìrer (1471-1528). Un gior-no potrei essere smentito, ma ritengo che i suoi magnifici ri—tratti a carboncino siano davvero inimitabili. Immagino di nonessere l’unico ad avere tentato — devo ammetterlo, senza suc—cesso —— di eseguirne uno.

I gessetti

Nel suo saggio intitolato Challe, G. K. Chesterton raccontadi un giorno in cui se ne andò a disegnare all’aria aperta, nelsud dell’Inghilterra. Gli piaceva lavorare con i gessetti coloratisulla carta da pacco marrone e, nonostante la sua padrona dicasa ritenesse eccentrico volere della carta da pacco senza avernulla da impacchettare, era riuscito ad avere da lei un fogliodella sua carta preferita. Poi era partito, con una scatola digessetti colorati, per andare a disegnare un paesaggio dallescogliere sulla Manica. Ma una volta giunto sul posto avevascoperto di essere quasi sprovvisto del gessetto più importante:il bianco. Dandosi dello stupido per non avere controllato lasua scorta prima di partire, stava apprestandosi a tornare acasa, quando d’un tratto scoppiò in una fragorosa risata. Si eraaccorto che stava seduto su tonnellate di gesso bianco: bastavasollevare una zolla d’erba e staccare un frammento del terrenosottostante per avere tutto il gesso che voleva. ,

La tecnica à trois crayons

Questo episodio ci fa riettere sulla provenienza di certipigmenti — i migliori — che, dotati di un marchio di fabbrica,vediamo allineati sugli scaffali dei negozi. I gessetti li forniscela natura, sotto forma di terra di vari colori, di cui le più usate

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sono l’argilla nera e il gesso rosso. I tre gessi menzionati finora— bianco, nero e rosso — sono praticamente gli unici usati daimaestri antichi: sono noti dai tempi delle pitture nelle cavernee da allora li si è impiegati in vari modi. Si tratta di una com-binazione cromatica particolarmente felice, che ritorna, nelcorso della storia dell’arte, ogni volta che il disegno vive unperiodo di grande fioritura. La tavolozza degli antichi pittorigreci, come Apelle e Micone, era praticamente limitata a queitre colori e i vasi della Grecia arcaica erano decorati con figurerosse o nere (con o senza l’aggiunta del bianco). L’accostamen-to di rosso, nero e bianco fu ampiamente usato nel Rinasci-mento; più tardi fu molto amato da Rubens (1577—1640) e,grazie all’influsso di quest’ultimo, ebbe una magnifica fiorituranella Francia del XVIII secolo. Fu allora che le splendideopere di Antoine Watteau (1684—1721), Francois Boucher(1703-1770) e altri lo resero famoso in tutto il mondo come“tecnica a trois crayons” (un metodo che richiede l’impiego dicarta tinta per rendere visibile il bianco).

E' raro riuscire a individuare la ragione per cui un datoaccostamento di colori risulta più gradevole di altri. Di solitoci si accontenta di invocare il gusto personale, citando il solitoproverbio: de gustibus non disputandum est. Ma ritengo che cisia una ragione quasi scientifica per cui la tecnica à troiscrayons è particolarmente felice, una ragione che ha a che farecon la sensibilità dell’artista e dell’osservatore al grado di “ca-lore” delle tonalità cromatiche. Si sentono spesso gli artistiparlare di colori caldi e colori freddi, e dire che i più caldi sonoi rossi e i vari toni di arancio, e i più freddi gli azzurri e i viola.Ora, come tutti sappiamo, la luce del sole èla nostra principalefonte di calore e si sa che essa, rifratta da un prisma, si scom-pone nel cosiddetto spettro solare. Ma il fatto interessante èche, se si invia questa luce rifratta su una serie di termometriallineati, il primo e l’ultimo della serie segnano temperaturediverse: quello all’estremità dei rossi marca la temperatura piùalta e quello all’estremità dei violetti la più bassa. In breve, ciòche il pittore sa per istinto è in realtà un fatto osservabile. Mache cosa ha a che fare tutto questo con la bellezza della tecnicaa trois crayons?

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Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo capireche cos’è il colore. Noi percepiamo un colore come dotato dideterminate proprietà rispetto ad altri. Le due più importantisono: la cromia, con la quale indichiamo la natura del colore,per esempio, il giallo, il rosso, l’azzurro e così via; il tono (o latonalità) con il quale indichiamo il rapporto tra il chiaro e loscuro. Un disegno a gessetti in bianco e nero può emulareperfettamente gli effetti di un disegno a colori per quanto ri-guarda i toni, ma nulla può fare per quanto riguarda la cromia.La ragione è che, pur potendo parlare di un nero o di unbianco relativamente caldi, entrambi sono essenzialmente colo-ri freddi e, mescolati, producono grigi anch’essi freddi, a voltetendenti all’azzurro. Possono perciò sostituire soltanto i coloriche si trovano all’estremità fredda dello spettro solare. Ma seentra in campo il rosso, che appartiene all’estremità calda dellospettro, accanto al nero e al bianco, è possibile rendere il ca—lore relativo a qualsiasi tonalità cromatica. In conclusione, conbianco, nero e rosso possiamo rendere il rapporto fra i diversicolori in termini sia di tono che di cromia, creando impressionianaloghe a quelle prodotte dalla policromia. E questa proprie-tà che, pur operando a livello inconscio, rende così gradevolela tecnica a trois crayons.

I gessetti naturali si trovano facilmente in commercio ehanno la stessa composizione chimica di quelli usati secoliaddietro o addirittura nella preistoria. Si presentano in formadi pratici bastoncini o matite, ma hanno un solo difetto: fre-quentano cattive compagnie e nei negozi si trovano insieme aschiere di volgari nuovi arrivati, un’orda pacchiana, un incubocromatico. Per il principiante è facile scambiare i gessettimoderni dai colori più discreti per terre naturali, perciò gliconviene sempre rivolgersi a un negoziante fidato, specifican—do che desidera le varietà naturali.

I pastelli

Vi sono diverse pitture preistoriche eseguite con una sortadi pastello. Per esempio, nelle grotte di Eyzies-de-Tayac e diFont-de-Gaume, in Francia, si è trovata dell’ocra rossa in for-

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ma di frammenti triangolari, talvolta appuntiti; alcuni hannouna forma allungata, come una matita, altri sono stati forati…così da poterli appendere, forse al collo. Sembra che Leonardoabbia sperimentato i pastelli, ma non si è conservato alcundisegno in quella tecnica di sicura attribuzione al maestro.Il Barocci (1535-1612) ci ha lasciato molti disegni a gessettodi una qualità simile al pastello, ma fu soltanto nella Franciadel XVIII secolo che la tecnica dei pastelli si affermò autono- mamente, anche se si dovrebbe parlare ancora di pittura piùche di disegno. La differenza è che nel disegno le forme hannoun contorno lineare, mentre nella pittura i contorni risultanodall’incontro di due o più zone di diverso tono o colore.L’esponente più celebre del vero e proprio disegno a pastellifu forse Degas.

Ma che vogliate usarli per dipingere o per disegnare — edipende da quale artista volete imitare — vi conviene prepararei vostri pastelli da soli, perché quelli in commercio di solitocontengono tinture al catrame fossile, che sbiadiscono rapida-mente. Una semplice prova consiste nell’immergere il pastelloin alcool puro: se l’alcool si colora è presente una tintura, alcatrame fossile o d’altro tipo.

Come fabbricare i pastelli

I pastelli si fanno con pigmenti finemente macinati (per icolori si veda la tavolozza ideale presentata a p. 122) impastaticon acqua e con un glutine. Il glutine, o sostanza legante, puòessere costituito da:

gomma arabica: in misura del 2% rispetto al pigmento, conl’aggiunta di un poco di miele per evitare che il pastello risultifragile e si spezzi troppo facilmente;

colla o gelatina: al massimo 3% del pigmento;

latte scremato: in sostituzione dell’acqua (legante molto blan-do, sostituibile con acqua leggermente saponata, con idromeleo con tempera diluita);

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gomma di astragalo: un ottimo legante; l’astragalo può esserepreventivamente lasciato in immersione in alcool, poi se nediluiscono 3 g in 1 l d’acqua per formare una gelatina, cheviene scaldata fino ad assumere una consistenza pastosa.

Si possono usare molti altri glutini, comprese le emulsionidi cera, il Vinavil molto diluito o addirittura il brodo di avenafiltrato. Dovrete fare qualche esperimento per scoprire checosa si addice di più alle vostre esigenze e ai vostri pigmenti.

Per preparare i colori chiari si mescola al pigmento unasostanza bianca, che può essere argilla, gesso o talco, che de—vono essere in polvere molto fine e di colore assolutamentebianco. Secondo Pernety ,gli artisti del suo tempo usavano ilbianco di piombo. La pasta densa ottenuta mescolando il pig-mento, l’acqua e il glutine viene lasciata a essiccare un pocoall’aria, fino a che diventa facilmente plasmabile. Per accelerar-ne l’essiccazione si può posarla su un foglio di carta assorbenteo su una superficie di terracotta porosa. Lavorandola a manosi plasma una serie di palline che poi si arrotolano in baston—cini cilindrici. Conviene plasmare prima un campione, peraccertarsi che l’impasto contenga la giusta quantità di glutine.Si fa asciugare il pastello di prova al sole o nel forno e lo sisperimenta su un campione di carta preparata con il metododescritto sotto. E bene provarlo anche a contatto dell’acqua: senon è subito assorbente, il glutine è troppo forte. Quandosarete sicuri che l’impasto è giusto, potrete plasmare tutti ipastelli e metterli a essiccare su un foglio di giornale o di cartaassorbente in un luogo moderatamente caldo. Se è troppo ri—gido per essere manipolato, impastatelo con altra acqua e la-sciatelo riposare affinché l’acqua eccedente si separi dall’impa-sto e possa essere eliminata. Aggiungete un poco di latte scre-mato e plasmate i bastoncini come descritto sopra. Se il pastel-lo di prova tende a sbriciolarsi, allora dovrete aggiungere delglutine. Non è necessario che i vostri pastelli fatti in casa ab—biano una forma perfetta, ma i colori saranno sicuramente piùsmaglianti di quelli che si trovano in commercio.

' A.J. Pernety, Dictionnaire de peinture, sculpture et gravare, Paris 1757.

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Preparazione della carta per il disegno a pastelli

È necessaria una carta abbastanza ruvida, ma non tanto ‘da essere abrasiva sul pastello, che altrimenti perderebbescorrevolezza. La carta troppo liscia può essere trattata comesegue:

1. Spalmate uniformemente la superficie del foglio con collad’amido (vedi p. 78), senza lasciare tracce di pennellate.2. Spolverizzatela di pomice molto fine.3. Scuotete il foglio per eliminare la polvere eccedente.

Di solito i disegni a pastello si eseguono su carta tinta, cheprobabilmente mancherà nella vostra raccolta di fogli antichi.Per tingere la carta basta aggiungere un po’ di pigmento allacolla con cui si impregna il foglio all’inizio oppure a quella disuperficie. Non cercate di tingere carta che non sia stata trat-tata con la colla, perché otterreste delle brutte chiazze che,come l’acne, sono un segno di giovinezza, non di vecchiaia.

Fissativi per il pastello

Le opere a pastello sono estremamente delicate: basta toc-carle per spandere il colore e il minimo urto provoca il distac-co di particelle di pigmento. E perciò indispensabile fissarle,anche se purtroppo questa operazione rischia di guastare labrillantezza e l’incanto dei colori, ma bisogna farlo con lamassima delicatezza.

Il fissativo viene spruzzato mediante un apposito erogato-re, che può essere acquistato o improvvisato con una cannuc-cia per bibite e un qualsiasi contenitore. La cannuccia va ta-gliata trasversalmente, a metà circa e soltando per metà dellasua circonferenza. La si piega ad angolo retto in corrispon—denza del taglio, si immerge un’estremità nel fissativo e nel-l’altra estremità si soffia, così che dal taglio esce la sostanzanebulizzata. E importante non tenersi troppo vicini al disegnoe conviene dirigere lo spruzzo in aria e poi verso il disegnosoltanto per un secondo, ripetendo l’operazione, se necessa-

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rio, una o due volte. Ecco alcune formule per la preparazionedel fissativo:

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— 2% di mastice sciolto in etere, oppure— 5% di gommalacca bianca, 5% di trementina veneta e 90%di alcool puro, oppure— 2% di vernice dammar bianca sciolta in benzina, oppure— 10% di sandracca sciolta in alcool.Per i disegni decorativi si possono usare anche il latte scre-mato o i fissativi già pronti, venduti in bombolette.

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CAPITOLO 4

NASCITA DI UN DISEGNO “ANTICO”

Il genio non consiste nell’avere ideenuove, ma nell’essere posseduti dal-l’idea che ciò che è stato detto nonbasta ancora.Eugène Delacroix

LA SCELTA DELL’ARTISTA

A questo punto della vostra formazione avrete ormai raccol-to e preparato un buon numero di fogli antichi e vi sareteriforniti di penne, inchiostri, gessetti e quant’altro. Si tratta oradi scegliere l’artista da imitare. Se avete poteri parapsicologicispeciali è possibile che l’artista scelga voi. E quello che avve-niva a Tom Keating: il maestro di turno, che Keating chiamava“il vecchio” — e che poteva essere Rembrandt, Goya, Degas oaltri — “scendeva” in lui, prendeva possesso del suo corpo e deisuoi materiali, e i quadri si dipingevano da soli. Svegliandosiun mattino Keating trovò sul suo cavalletto, al posto del qua-dro al quale stava lavorando la sera prima, un autoritatto diGoya. Tutto questo è meraviglioso, se non fosse per un incon-veniente: quando un “vecchio” scende quaggiù, di solito di-mentica il suo genio lassù e poi la sua manualità è talmentemalridotta che sarebbe meglio che restasse dov’è. Ce la cavia—mo benissimo ugualmente.

Se non intendete limitarvi a eseguire un disegno puramen-te decorativo, potrebbe essere l’età stessa della carta a sugge-rirvi chi imitare. E quello che avvenne con il mio “Piranesi”,acquistato poi dalla Galleria Nazionale di Danimarca e de-scritto per molti anni, in molti prestigiosi cataloghi, comeun’opera autentica.

Nel 1968-69 avevo comprato, in una libreria antiquaria neipressi di Tottenham Court Road, a Londra, un certo numerodi fogli settecenteschi pesanti e di grande formato. Erano diprima qualità e in ottimo stato di conservazione, perciò mi

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dispiaceva tagliarli per ricavarne fogli più piccoli. Dovevodunque pensare a un artista del Settecento che avesse usatoformati eccezionalmente grandi. Furono la dimensione e lospessore della carta a ricordarmi quelli usati da Piranesi per lesue grandi incisioni. Pensai che sarebbe stato bello avere unabacchetta magica per fare comparire su quei fogli un gruppodi disegni preparatori per una serie delle sue incisioni. Mapurtroppo le bacchette magiche nella mia vita sono state rarecome i contatti con gli artisti nell’aldilà, così non mi restavache sedermi e mettermi al lavoro.

Esistono diversi buoni motivi per consentire alla carta discegliere l’artista, non ultimo il fatto che ciò ispira fiducia inchi è abituato a maneggiare disegni antichi. Per esempio, neglianni Settanta la Galleria Nazionale del Canada a Ottawa fuinformata che certi disegni che aveva acquistato credendoliopera del pittore e incisore seicentesco Stefano della Bella(1610-1664) avevano nel sottoscritto la loro poco invidiabileorigine, ma la curatrice dei disegni e delle stampe di quelmuseo stentò a credere che fossero contemporanei. Una delleragioni principali per cui continuò a sostenere l’attribuzione aStefano fu che la carta era identica a quella di un disegnosicuramente autografo conservato al Louvre. Secondo un gior-nale di allora, l’esperta disse: «I due fogli sembrano proveniredalla stessa partita». Grazie a questo i miei disegni conservaro—no il loro status ancora per un po’.

Vi è però uno svantaggio nell’affidare la scelta alla carta:l’artista potrebbe non essere fra quelli che sapete imitare me-glio. In tal caso — se, per esempio, non vi piacesse Piranesi ——è meglio che il foglio resti vergine. E molto importante, infatti,nutrire una grande ammirazione e il massimo rispetto per ilmaestro che si intende emulare e in assenza di tali sentimentinon si può sperare di produrre qualcosa di buono. Un atteg-giamento prossimo alla venerazione è la nostra risorsa piùimportante perché ci dà il senso della nostra integrità comeinterpreti o copisti, basato sia sulla modestia sia sul rispetto dinoi stessi. In questo somigliamo ai buoni traduttori: come loroci accontentiamo di essere semplici artigiani. Magari non siamopuri di cuore come gli anonimi manovali cui si devono le

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meraviglie del mondo, dalle piramidi alle cattedrali, ma servia-mo anche noi con semplice devozione e fede salda una bellezzadella quale non ci attribuiamo personalmente alcun merito. Ilmio consiglio, dunque, è quello di scegliere un artista che am-mirate sinceramente.

Terminato questo piccolo sermone, eccoci a dover affronta-re un altro inconveniente. Magari adorate Leonardo, Miche-langelo, Rembrandt, ma se, come è probabile, la vostra ammi-razione è di molto superiore alla vostra bravura, potrebbe es-sere saggio trasferirla su uno dei maestri minori. Inoltre, dovre-te studiare molti disegni antichi autentici e procurarvi tutte lecopie che le vostre finanze vi permettono di acquistare. Guar-datele spesso, finché non le conoscerete a memoria, e pianpiano scoprirete di saper cogliere nei disegni quella cosa inef—fabile che chiamiamo qualità e di trovarla non soltanto nelleopere degli artisti illustri, ma anche in quelle di molti maestrimeno famosi. Questi sono così numerosi che sarebbe inutilevolerne nominare alcuni. Non dovete mai stancarvi di guarda-re: questo è il segreto.

Quanto al sistema usato dagli studiosi per scegliere l’artistaal quale attribuire un’opera, mi è stato rivelato da Harry WardBailey, che fu per un certo tempo il rappresentante della Chri-stie’s a Roma. Quando si prepara il catalogo di vendita perun’asta di opere minori ve n’è sempre qualcuna il cui autorepuò essere soltanto indovinato. Ecco il metodo “divinatorio”del quale sono venuto a conoscenza. Gli esperti si radunanoattorno a un tavolo, provvisti di una copia del monumentaleDictionnaire der peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs diBenezit. Dopo avere chiuso gli occhi aprono il volume a casoe mettono il dito su un nome. I nomi vengono poi messi aconfronto e viene scelto il più probabile. E un metodo che anoi non serve per scegliere un artista da emulare, ma può es—sere utile per decidere a chi attribuire un falso decorativo ese—guito senza avere in mente nessun maestro in particolare.

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LA SCELTA DEL DISEGNO DA ESEGUIRE

Forse penserete che scegliendo l’artista si scelga automatica-mente il tipo di disegno da eseguire. Non è necessariamentecosì, perché lo stesso artista può avere disegnato in manierediverse a seconda della destinazione delle sue opere. Oggi ten-diamo a considerare un disegno come un’opera d’arte autono-ma, nata al solo scopo di piacere, ma per l’artista di un tempole cose stavano diversamente. L’idea che qualcuno, se non uncollega, potesse appendere alla parete un disegno per ammirar-lo gli sarebbe parsa assurda, perché per lui un disegno non eraaltro che un mezzo per raggiungere un fine, una fase nel pro-cesso di creazione di un’opera da eseguire con una tecnicadiversa: un edificio, una scultura, un dipinto, eccetera. Perquesta ragione lo stile di un disegno antico non dipende tantodal gusto del suo autore, quanto dallo scopo per cui è statoeseguito. Spesso si dice di un disegno “mi piace la libertà deltratto”, o “manca di vigore”, o “è troppo lavorato”, senza te-ner conto del fatto che uno stesso artista poteva un giornodisegnare liberamente e il giorno dopo arrovellarsi su unacomposizione tormentata. Certo i maestri antichi non avevanoin mente il gusto del XX secolo. Stile e scopo erano per lorointimamente connessi, così poteva capitare che per preparareun dipinto da cavalletto o un affresco eseguissero una serie didisegni in maniere diverse. Potevano impostare la composizio-ne con qualche rapido schizzo a penna e inchiostro, eseguirestudi particolareggiati delle figure e poi creare un “modello”dell’insieme, molto ben finito, per mostrare al committentequale sarebbbe stato il risultato finale. Oppure potevano ese-guire un disegno in grandezza naturale — un “cartone” — par-tendo da un disegno ben finito di piccole dimensioni, che in-grandivano con la tecnica della quadrettatura (che consiste neltracciare sul bozzetto e sul supporto finale lo stesso reticolo dilinee da usare come guida per l’ingrandimento). Disegni pre-liminari, studi, modelli e cartoni di uno stesso artista possonoessere del tutto diversi non soltanto nella tecnica ma anchenello stile. Un tipico esempio è quello del Guercino (1591—1666), che lavorò in due stili nettamente diversi: uno a rapido

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tratto di penna con acquerellature a pennellata libera per lostudio delle composizioni, l’altro a gessetti, molto curato, pergli studi dal vero.

Pertanto, prima di iniziare un disegno, chiedetevi a qualescopo l’avrebbe eseguito l’artista che intendete imitare. Doveteseguire non soltanto la sua mano, ma anche la sua mente,poiché un disegno riette il processo di pensiero di chi l’haeseguito. Come dice Michelangelo nelle sue Rime: '

Sì come nella penna e nell’inchiostroè l’alto e ’l basso e ’l mediocre stile 'e ne’ marmi l’immagin ricca e vile,secondo che ’l sa trar l’ingegno nostro…

A questo punto attingiamo ai processi mentali di un grandeartista e vediamo come possano suggerirci un disegno da ese-guire nel suo stile. L’artista del quale cercheremo di intercet-tare il pensiero è Rembrandt. Come tutti i grandi maestri, nonfu un genio isolato, ma un anello, anello d’oro, della lungacatena della tradizione del disegno, inaugurata dai nostri piùlontani antenati, che soltanto oggi è diventata anacronistica erischia l’estinzione. Dato che nel XX secolo si è posto un forteaccento sull’originalità, noi tendiamo a vedere nei grandi mae-stri del passato, come Pieter Bruegel il Vecchio (1528—1569) oRembrandt, personalità artistiche del tutto differenti, uniche esenza collegamento tra l’una e l’altra. È perché il tempo haoscurato la connessione tra loro. Non vediamo che la punta didue iceberg che però nella parte sommersa sono uno solo:entrambi appartengono a un vasto continente costituito daartisti minori, i quali, pur non essendo emersi singolarmente,sono le fondamenta senza le quali i nostri giganti non potreb-bero ergersi così in alto.

Uno dei molti artisti da cui deriva lo stile di disegno diPieter Bruegel il Vecchio è Hans Leonard Sch'àufelein (1483ca.-1538). La copia tratta da Schèiufelein (tav. VIII) fu da me ese-guita allo scopo di conoscere meglio la maniera di Bruegel

' Michelangelo Buonarroti, Rime, a cura di Ettore Barelli, Milano 1975, p. 139.

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prima di intraprendere l’imitazione della sua nota opera Ilpittore e l’esperto (vedi tav. I). Ma Bruegel non fu l’unico atrarre vantaggio dal lavoro di Schiufelein: uno sguardo al ri-tratto in piedi di signora di Hans Holbein il Giovane (1497/98-1543) (tav. IX) rivela una certa somiglianza con il disegnoda me copiato, il che può indicare una fonte di ispirazionecomune a entrambi gli artisti, oppure la conoscenza diretta deldisegno di Schiufelein da parte di Holbein. Essenzialmente citroviamo di fronte a una forma artistica. Queste due signorenella loro lunga veste rappresentano un motivo che sembrarisalire ai Greci, costituito da una figura femminile la cui azio—ne è resa dal movimento del panneggio. Se ne possono realiz-zare innumerevoli varianti, ma deve esserci una certa costanteperché l’opera possa dirsi riuscita. Anzitutto la figura devepresentarsi di profilo o quasi, così che risulti visibile la parteposteriore della veste, che è ciò che dà il senso dello spazioappena attraversato dalla figura e introduce l’elemento tempo-rale, senza il quale ogni azione è impossibile. In secondo luogo,la figura non va scorciata, perché questo arresterebbe il movi-mento. Terzo: il panneggio deve essere mosso, non può rica—dere inerte come da un attaccapanni. Queste regole non sonomeno ferree di quelle che governano la composizione di unsonetto e possono essere infrante soltanto a spese della forma.A quanto risulta, Rembrandt possedeva il foglio di Holbeinche faceva parte della collezione di stampe e disegni raccolti indue volumi. E interessante notare che un inventario del 1656descrive uno di quei volumi come una raccolta di disegni «deipiù importanti maestri di tutto il mondo» e dell’altro dice cheè pieno di «curiosi disegni in miniatura, di molte silografie e distampe raffiguranti costumi di ogni tipo». Rembrandt non erasoltanto un grande artista, era anche un esperto d’arte e perconoscere a fondo il disegno di Holbein ne fece una copia(vedi tav. X), cosa che consiglierei caldamente agli espertid’oggi. Una volta copiato, il disegno entrò a far parte dellascorta di immagini alla quale poteva attingere liberamente e amemoria.Rembrandt era uno di quegli artisti che riprendevano con-tinuamente motivi altrui adattandoli ai propri scopi. Li faceva

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suoi a tal punto da farle sembrare invenzioni originali a chinon conosca le fonti bene quanto lui. Ed effettivamente sonosempre assolutamente rembrandtiani. E il tipo di artista com-pleto cui Lionel Trilling doveva riferirsi quando scrisse: «L’ar—tista immaturo imita. L’artista maturo ruba». Una volta dige-rito, il motivo gli apparteneva al punto tale che lo usava comese provenisse dalla natura e non dall’arte. Per esempio, il dise—gno di Holbein è alla base della vivace raffigurazione di Saskiache scende le scale portando fra le braccia il figlioletto Rum-bartus, di cui potete vedere una mia copia nella tav. XI. Larapidità della linea dà un tale senso di immediatezza e i dettaglidella scena domestica sono così bene osservati, che a tuttaprima lo si prende per un disegno dal vero. Ma riettendoci sicapisce che non può esserlo: Saskia è in movimento, con unpiede fra un gradino e l’altro, in una posizione che nessunamodella potrebbe conservare a lungo. Anche la veste si muovee non è facile congelare in questo modo i panneggi. Inoltre, lascala è evidentemente stretta, perciò Rembrandt avrebbe do—vuto porsi al di sopra o al di sotto della modella per ritrarla;invece l’ha ritratta lateralmente, non scordata. Dunque non

può trattarsi di un disegno dal vero. Siamo in presenza di unmirabile esempio di memoria visiva (la scena doveva esseremolto familiare a Rembrandt), unita e fusa con una vasta co-noscenza dell’arte. Che il disegno di Holbein abbia contribuitoalla creazione di quest’opera è dimostrato dalla nappa (o forseè un portamonete) appesa alla cintura di Saskia, che, costituen-do il riferimento verticale, suggerisce la forza di gravità e dàpeso al bambino, giustificando contemporaneamente lo sposta-mento di peso da un piede all’altro della figura che scende. Neldisegno di Holbein vi sono due nappe, che servono allo stessoscopo. Rembrandt raffigura la lunga veste della moglie unpoco sollevata dai gradini ma, poiché disegna le pieghe a me—moria, esse sono un misto di ciò che l’artista vide sul foglio diHolbein e di ciò che vide nella realtà.Il disegno di Holbein è più riconoscibile come fonte diispirazione di Rembrandt nella raffigurazione di Lot che lasciaSodoma accompagnato dai due angeli (tav. XII). La composi-zione nel suo insieme si basa sul lavoro di un altro artista:

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Rubens. Rembrandt conosceva il dipinto di Rubens attraversola copia di un’incisione che da esso aveva tratto Lucas Vorster-man (vedi tav. XIII). Si basava dunque sulla copia di unacopia, su stimoli di terza mano. Né l’opera di Rubens era deltutto originale, poiché il motivo della donna con il fagottoderiva da un’incisione di Giorgio Ghisi (1520—1582), tratta dauna composizione di Francesco Salviati (1510—1563), che a suavolta forse lo riprese da Botticelli. Come ho detto sopra, sitratta di un motivo che risale nel tempo fino all’antichità; conle loro variazioni, Rembrandt, Rubens, Salviati e molti altridiedero prova di originalità non abbandonando la tradizione,bensì padroneggiandola così bene da usarla come se fossequalcosa di assolutamente nuovo. Anche qui calza il parallelocon la poesia; dice Orazio nell’Ars Poetica: «Anziché foggiareparole nuove vi consiglio di rimaneggiarle con ogni sorta diartificio, così da poter dare valore a quelle vecchie».Abbiamo esaminato due casi in cui Rembrandt usa la pro-pria conoscenza del disegno di Holbein; vediamo ora un aspet-to curioso della sua copia di quel disegno. Nelle due compo-sizioni ispirate a Holbein il panneggio sollevato è un fattoreimportante: in quella con Saskia è rialzato dai gradini e perciòli descrive; nella composizione con Lot la donna con il fagottosolleva lei stessa il lembo della propria veste, come nell’origi-nale. Ma nella copia del disegno di Holbein, Rembrandt stra—namente tralascia la parte inferiore della figura, che compren—de l’importante panneggio. Perché? Non possiamo risponderecon certezza al quesito, ma proviamo a inventare una ragione.Immaginiamo che l’artista avesse già eseguito una copia (oraperduta) della figura intera e che per una qualsiasi ragione nonfosse soddisfatto della parte superiore, perciò la rifece su unaltro foglio — quello che ci è pervenuto. Stabilito così che undisegno originale di Rembrandt è andato perduto, possiamodarci da fare per “ritrovarlo”. Abbiamo tutti gli elementi checi servono. Anzi, in base al nostro piccolo studio possiamoaffermare che un tempo esistessero almeno due altri disegni:una copia o una versione adattata della figura di Salviati ese-guita da Rubens, e una versione dello schema compositivo diRembrandt — fase intermedia fra il suo disegno finale e il dise-

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gno di Rubens —— in cui Lot potrebbe, per esempio, apparireancora rivolto all’indietro, come nella fonte.

ACCOSTAMENTO DI ELEMENTI PROVENIENTI DA FONTI DIVERSE

Un altro sistema spesso usato dai falsari per “inventare” unsoggetto è quello di combinare un certo numero di elementitratti da originali diversi. Ma è un metodo che richiede unanotevole abilità, perché bisogna evitare di creare un mosaicoeterogeneo dai tasselli facilmente riconoscibili da parte di chiha familiarità con le fonti. Perciò è consigliabile adottarlo sol-tanto per i falsi decorativi. Per esempio, nel mio disegno deco-rativo in stile leonardesco riprodotto nella tav. XIV, mi sonoispirato sia alle opere del maestro sia a quelle della sua scuola.Le mie fonti sono state: il busto a gessetto rosso oggi a Win-dsor (tav. XV) e il ritratto della Danza dell’ermellino di Craco-via (tav. XVI), entrambi di Leonardo, da cui ho tratto la mano,e uno studio di testa femminile (tav. XVII) del suo allievoCesare da Sesto (1477—1523). Nessuna di quelle opere è apenna e inchiostro, e mutare la tecnica da una parte aiuta aunificare gli elementi, dall’altra rende più difficile riconoscereimmediatamente le fonti. Ma ripeto che sconsiglio di adottarequesto sistema per creare veri falsi.

Tutto quanto si è detto fin qui a proposito di copie, variantie così via presuppone una certa capacità di disegnare, che illettore può avere o non avere. Chi non possedesse alcunaabilità in questo campo non disperi — potrà incoraggiarlo lavicenda di ]upp ]enniches, semplice guardiano del museo diColonia. Nel 1947, mentre faceva il suo turno di lavoro a unagrande mostra intitolata “Da Nolde a Klee”, ]enniches colsecerti commenti del pubblico che colpirono la sua immagina-zione. «Un bambino di cinque anni saprebbe fare di meglio»,dicevano gli scettici, mentre altri, esprimendo una sinceraammirazione, dicevano di trovare quei quadri «molto toccan-ti». Per tutto il resto della giornata ]enniches osservò le opereesposte e infine giunse alla conclusione che anche lui, pur nonsapendo disegnare, avrebbe potuto creare opere “toccanti” co-

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me quelle. Il giorno dopo arrivò al lavoro con un rotolo dicarta da ricalco sotto il braccio e ricalcò i contorni di un certonumero di opere. Tornato a casa le trasferì su carta da disegno,le colorò e infine vi appose le firme false di Nolde, di Klee edi altri artisti. Poi produsse falsi certificati di garanzia e offrì isuoi prodotti a un personaggio equivoco, un pittore-collezioni—sta-mercante di nome Schuppner, che aveva già subito unacondanna per ricettazione di merce rubata. Schuppner li ac—quistò a un prezzo ragionevole e fu così che iniziò un piccoloe fiorente commercio, dal quale l’intraprendente guardiano dimuseo ricavò abbastanza denaro da ricostruire la sua casabombardata durante la guerra. Tutto avrebbe potuto continua-re tranquillamente se un giorno uno dei “Nolde” non fossecapitato sotto gli occhi del maestro, che lo respinse come falso.A quel punto ]enniches e Schuppner dovettero affrontare iltribunale, cosa che noi dovremmo cercare di evitare (ma diquesto ci occuperemo più avanti). Finì che nessuno dei dueandò in carcere: Schuppner, accusato di frode continuata e difalsificazione, fu assolto per insufficienza di prove, mentre Jen-niches, condannato a un anno di carcere per gli stessi reati,ebbe sospesa la pena a condizione che si comportasse bene peri tre anni successivi. La corte e il pubblico trovarono moltodivertente l’idea che un uomo ignorante e, soprattutto, negatoper il disegno, avesse saputo impiegare così bene un rotolo dicarta da ricalco. Ciò che è stato fatto una volta può essererifatto: se il disegno non è il vostro forte, comprate della cartada ricalco. Ma vi avverto: le opere antiche non si prestano aessere ricalcate con la stessa facilità di quelle moderne. Chinon sa disegnare può sempre rivolgere il proprio interesse al-l’arte contemporanea, un campo in cui la sua deficienza po-trebbe addirittura rivelarsi un vantaggio.

ARTISTI ACCESSIBILI

Finora in questo capitolo abbiamo parlato soprattutto digrandi nomi: Bruegel, Holbein, Rembrandt. Bisogna studiare imigliori esempi di disegno per formarsi un valido criterio con

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L’INVECCHIAMENTO DELL’INCHIOSTRO

Quello che si è detto a proposito della carta vale anche perl’inchiostro, che dovrebbe avere la giusta composizione chimi-ca fin dall’inizio. Se, per esempio, volete che sia sbiadito, an-nacquatelo prima di disegnare. Il falsario intelligente non ècostretto a darsi da fare per invecchiare il suo disegno, perchénasce già “vecchio”.

Può sempre rendersi necessario, però, qualche interventoper rimediare a un errore del “maestro” o per imitare qualcheeffetto speciale del tempo. Per esempio, potreste voler darel’impressione che uno degli acidi contenuti nell’inchiostro abase ferro-gallica abbia corroso la superficie della carta. Perottenere questo effetto dovete esaminare bene il disegno e in—dividuare i punti in cui si è depositato più inchiostro, ovverole linee più grosse, dove è più probabile che il foglio sia statoconsumato. Ora prendete una penna d’oca e affilatene bene lapunta, rendendola più sottile possibile (vedi p. 37), intingetelain acido solforico (uno degli acidi contenuti nell’inchiostro abase ferro—gallica) e ripassate le linee. Dovete tenervi esatta-mente al centro della linea e, calcando bene, far scorrere piùvolte la penna d’oca, prima in una direzione, poi in quellaopposta, finché non sentite di avere trapassato lo spessore del-l’inchiostro. L’acido dovrebbe fare il resto. Per facilitarnel’azione immergete un foglio di carta assorbente in acqua bol-lente e adagiatelo su un sottile vassoio di metallo. Posatevisopra il disegno a faccia in su e tenete il tutto sospeso soprauna fonte di calore. L’acido solforico va diluito e provato pri—ma dell’impiego su un frammento di carta dello stesso tipo diquella del disegno.

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Di solito si ottengono risultati più convincenti se la corro-sione è lenta, ma sembra che il caso abbia una grossa parte inquesto procedimento. Dopo il trattamento, il foglio va sciac-quato bene, poi lo si può cuocere (non bruciare) nel forno atemperatura moderata, facendo attenzione che il calore nonalteri significativamente il colore della carta. E un po’ comefriggere l’aglio: basta un attimo di distrazione per bruciarlo.Tenete quindi d’occhio ciò che avviene nel forno. Se l’opera—zione riesce, la carta risulterà friabile, caratteristica di moltidisegni antichi autentici intaccati dall’inchiestro di galla.

Un altro modo di invecchiare l’inchiostro prima di usarloconsiste semplicemente nell’allungarlo con acqua di rubinetto(una parte di inchiostro e una di acqua) e nel lasciarlo evapo—rare all’aria per diverse settimane, finché non sarà tornato allasua densità iniziale. A quel punto sarà lievemente granulare esotto la lente d’ingrandimento apparirà identico a molti inchio-stri antichi. Se si raggruma eccessivamente, mescolatene lametà con inchiostro normale.

COME DARE UN PASSATO AI NOSTRI DISEGNI

Se vogliamo che i nostri disegni siano convincenti dovrannodare l’impressione di avere una lunga storia alle spalle. In altreparole, dovranno mostrare i segni di essere passati per le manidi diversi collezionisti e mercanti d’arte, i quali si presume chenon li abbiano lasciati esposti alle intemperie, ma che abbianofatto di tutto per conservarli nelle condizioni migliori. I tremetodi tradizionali per proteggere i disegni sono: incollarli inun album, montarli su carta o su cartoncino per conservarli inscatole, incorniciarli.

Supponiamo che un certo disegno abbia fatto parte di unalbum, poi ne sia stato tolto e sia stato montato su un supportoe infine, dotato di uno nuovo, sia stato incorniciato. Qualisegni porterebbe di quella sua storia e come possono esseresimulati?

Beh, la prova più evidente che un disegno abbia fatto partedi un album è che sia tuttora incollato a una pagina provenien-

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te da quell’album. E questa, naturalmente, è una condizionemolto facile da simulare: basta incollare il disegno su una pa-gina bianca tolta da un libro antico. Un tocco in più consistenel creare le tracce di un altro disegno un tempo incollato sulverso della pagina. E sufficiente incollarvi veramente un dise—gno qualsiasi, lasciarvelo per una settimana, finché la colla (dicui più avanti darò le ricette) non sarà ben secca, poi toglierlo.Non sarà necessario usare una cura particolare nel distaccarlo,perché se dovesse rimanervi incollato un frammento del foglio,0 se sul retro del disegno dovesse rimanere incollato un fram-mento della pagina, questo non farà che rendere più verosimileil risultato finale.

Ricordate che se un disegno è rimasto incollato a un altrofoglio per molti anni, quando lo si stacca di solito l’area cheoccupava è più chiara del resto della superficie. Anche questoè facile da simulare. Prendete un foglio contenente una buonaquantità di colla, mascherate la zona che volete risulti piùchiara e tingete il resto con un delicato acquerello di una dellesostanze indicate a p. 30.

Certi disegni antichi sono stati distaccati con così poca curadagli album che li contenevano, che hanno completamenteperso gli angoli. A volte, ma non sempre, questi vengono re—staurati. Naturalmente la cosa più facile per noi è lasciare ilfoglio com’è. Vi sono poi molti disegni antichi ai quali gliangoli sono stati addirittura tagliati, per eliminare macchie,strappi o altro. Perché non dovremmo fare lo stesso anche noi?

Uno degli indizi del fatto che un disegno è rimasto montatoper molto tempo è una sottile striscia più chiara lungo tutto ilperimetro, dove un tempo il foglio era coperto dalla montatu-ra. Si può contraffatte questo segno del tempo tingendo il fo-glio con uno dei metodi già descritti, dopo avere mascheratoil bordo. E bene eseguire questa operazione prima di tracciareil disegno, altrimenti, quando si inumidisce il foglio, l’inchio-stro potrebbe spandere.

Un foglio che rimane a lungo appeso a una parete ingialliscedi più, nelle parti esposte, di uno tenuto al riparo dalla luce inun album o in una scatola. Inoltre il tracciato può, in una certa

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misura, sbiadire. Per simulare queste due condizioni sono ne—71

cessari diversi trattamenti. Anzitutto bisogna mascherare ibordi che si immagina fossero coperti dalla cornice, poi biso-gna fare impallidire il disegno (vedi l’operazione di sbiancaturaa p. 28), sciacquando bene il foglio alla fine per eliminare lasostanza sbiancante, infine va ingiallita nella giusta misura laparte che si immagina fosse rimasta esposta.

Bordi e angoli segnati dal tempo

Un disegno antico ha i bordi sciupati. Se il nostro foglio èin realtà una pagina di un vecchio libro, il tempo e le manipo-lazioni avranno segnato soltanto tre lati e due angoli: il quartolato (con i relativi due angoli), saranno stati protetti dalla rile-gatura, rimanendo integri. Ancora peggio: la pagina potrebbeessere stata ritagliata o strappata dal volume di recente, perciòbisogna conferire al suo lato interno l’aspetto di un bordosciupato “naturalmente” dal tempo. Se è stata strappata, biso-gna anzitutto rifilare il margine per raddrizzarlo. Si passa poia logorarlo, appoggiandolo sul bordo del tavolo e consuman—dolo da entrambe le parti con una lametta o della carta vetratamolto fine. Si termina l’operazione strofinandolo fra il pollicee l’indice. Questo è il momento in cui potrebbe accidental-mente strapparsi, ma non più di quanto basti per diventareuguale agli altri tre bordi. Si può staccare un minuscolo fram-mento dagli angoli o arrotondarli con la lametta. Infine, se ènecessario — ma di solito non lo è — si può modificare un pocoil colore dell’area trattata.

Riparazione degli strappi

Se siete troppo energici nel logorare un margine, può ca—pitarvi di fare degli strappi abbastanza lunghi nel foglio.Questi vanno riparati con cura per far credere che gli antichipossessori del disegno lo abbiano avuto caro e si siano quin-di preoccupati di ripararlo. E un’operazione molto semplice:tenendo accostati i due lembi vi si incolla, sul retro del fo-glio, una strisciolina di sottile carta di riso giapponese che litenga uniti.

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L’effetto creato dal tempo

Un disegno antico è stato toccato e messo a contatto conaltre superfici innumerevoli volte e reca sempre i segni, più omeno evidenti, di questa continua frizione, anche quando èstato conservato in un album. Se è un disegno a gessetti o amatita può essere diventato quasi illeggibile. Di disegni presso-ché invisibili non c’è una grande richiesta, perciò, quando,prima di fissarlo, strofinate il vostro disegno “antico” con unpanno morbido (l’ideale è un vecchio calzino di lana), siateleggeri di mano e fermatevi prima di averlo danneggiato trop-po. Anche i disegni a inchiostro si alterano nel tempo pereffetto della frizione: per simulare questa condizione potetestrofinare la superficie del foglio molto delicatamente conpolvere di pomice o con carta vetrata finissima.

Ma prima di intraprendere una qualsiasi delle operazioni di“invecchiamento” descritte sopra, è necessaria una lunga os—servazione dei segni dell’età sui disegni antichi genuini. Il tem-po, oltre a distruggere, crea: produce toni bellissimi e patineincantevoli, che appagano l’occhio sensibile. Dall’opera diquesto vecchio maestro, di cui siamo gli apprendisti, abbiamomolto da imparare.

MONTATURE D’EPOCA

Spesso una montatura ha molto da dire sulla storia di undisegno e può perfino indicare se un’attribuzione è corretta.Dato che oggi si tende a togliere i disegni antichi dalle mon-tature originali, capita di trovare vecchie montature vuote chevale la pena di raccogliere.

Il primo importante collezionista di disegni fu il pittore,architetto e scrittore Giorgio Vasari (1511-1578), che raccolsedisegni di vari artisti allo scopo di illustrare la sua celebreopera biografica, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori earchitetti (1550). Egli chiamava quella sua raccolta Libro didisegni, ma in realtà pare che si trattasse di cinque grossi vo-lumi di opere ornate con bordi da lui stesso disegnati a penna

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e acquerellati . Quelle cornici decorative erano invenzionimagnifiche: non c’era un motivo uguale a un altro e ciascunadi esse era concepita specificamente per il disegno che dovevacontenere. La collezione creata con amore dal Vasari purtrop-po finì nelle mani di vandali, cioè di mercanti d’arte che smem-brarono i volumi per trarne maggiore profitto. Quando, nel1730, il grande collezionista francese P:]. Mariette (1694-1774) scriveva dei Débriss de la fameuse collection de Dessin duVasari, gran parte di quei “resti” appartenevano a un altrocelebre collezionista francese, P. Crozat (1661-1740), che evi-dentemente contribuì a disperdere ulteriormente la raccolta,perché il pittore ed esperto d’arte inglese Richardson il Vec-chio (1665—1745) gli rimproverò «una sorta di vero sacrile-gio» . Sarà molto difficile che vi capiti di trovare in venditauna montatura originale di Vasari, ma vale la pena di studiarlee di copiarne alcune per il loro alto valore decorativo. Il grossodella collezione si trova al Louvre.

Anche Mariette, Crozat e Richardson disegnarono bellemontature per i disegni delle loro collezioni. Quelle di Mariet-te, il più insigne collezionista francese del Settecento, eranoeleganti e di colore blu. Nella sua collezione afuì buona partedell’enorme raccolta di Crozat, ma alcuni pezzi di quest’ultimoci sono pervenuti nelle loro montature originali, che sono an—ch’esse blu. Bisogna studiare gli originali conservati al museoper distinguere le montature di Crozat da quelle di Mariette.Quanto alle montature di Richardson, esse si riconoscono perla serie di linee parallele, che comprendono una fascia in oroe una acquerellata. Richardson preferiva il cartoncino alla cartae spesso scriveva la sua attribuzione sotto al disegno, aggiun-gendo una scritta sul verso. Anche sulle montature di Richard-son vale la pena di fare un piccolo studio.

Un altro tipo di montatura interessante è quello di padreSebastiano Resta (1635-1714), le cui attribuzioni sono risultatespesso assurde, tendenziose addirittura fraudolente, tanto

' Si vedano i due articoli di Otto Kurz in «Old Master Drawings», )I, 1937,p. 1 e seg. e p. 32 e seg.' Ibidem.

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che un critico moderno lo ha definito <<un ciarlatano singolarema non privo di fascino>>“. Resta fu però un grande collezio-nista che ebbe una profonda inuenza sui Richardson e, trami-te loro, sulle successive generazioni di collezionisti inglesi.Come Vasari, tenne i suoi disegni raccolti in volumi e come luine decorò personalmente le montature, ma con minore abilità.I suoi album, almeno sedici volumi, fecero la stessa fine delLibro di Vasari: fatta eccezione per il famoso Codice Resta,conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, furonosmontati e il contenuto fu disperso nelle varie collezioni d’Eu-ropa. Uno dei maggiori responsabili fu quel ]ohnathan Richar-dson che aveva fatto la morale a Crozat. Del Codice Restaesiste una splendida edizione in facsimile", che però attual-mente costa quasi cinque milioni di lire ed è perciò fuori dallaportata del comune falsario; altrimenti sarebbe un eccellentestrumento di studio e di consultazione.L’unico modo di conoscere a fondo le montature antiche èdi vederne e maneggiarne molte. In questo gli esperti sonodecisamente avvantaggiati, perché lavorano per musei chepossiedono grandi collezioni e perché tutti gli studiosi provvistidelle necessarie credenziali hanno accesso a quelle collezioni.

MONTATURE MODERNE

I disegni antichi vengono spesso rimontati, perciò non c’èmotivo per cui voi non possiate mettere le vostre imitazioni inmontature moderne. Curatevi però di scegliere colori sobri,intonati alla delicatezza delle cose d’epoca. Seguendo lo stileadottato da un buon museo, potreste risparmiare ai suoi cura-tori la fatica di cambiare la montatura, se un giorno acquistas-sero un vostro disegno. Ma abbiate la precauzione di cambiarecontinuamente stile, altrimenti tanto varrebbe firmare i vostrifalsi; non dimenticate che la montatura costituisce un indizio

'A.E. Popham, Sebartiano Resta and his Collectz'onr, O.M.D. XI (1937), p. 1 eseg’" Cento tavole del Codice Rerta, Milano 1955.

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sulla provenienza dell’opera. Un’altra cosa da fare è montare ildisegno in maniera che l’esperto possa sollevarlo e vederne ilrovescio o esaminarne la filigrana. Uno dei sistemi più usati èquello di fissarlo ai due angoli superiori con un pezzetto dinastro adesivo ripiegato, o di applicare lungo tutto il marginesuperiore una striscia di adesivo piegato che faccia da cardine.Da molto tempo non si usa più incollare l’intera superficie delfoglio (qualche volta conviene anche a noi adeguarci ai tempi).Se la vostra ricerca di vecchie cornici e montature ha datobuon esito, queste cose contribuiranno a creare la giusta auraintorno al vostro disegno, a dargli una storia e, chissà, magarianche una provenienza.

Ora, quando riutilizzate questi materiali d’epoca per confe-rire il tocco finale ai vostri disegni, c’è una cosa che quasisempre vi sarà indispensabile: la colla.

COLLE

La prima cosa da fare è dimenticare le colle moderne, tantopratiche e facili da usare. Dovrete tornare alle sostanze appic-cicose e difficili da maneggiare che si usavano un tempo. Perfare le vostre colle vi serviranno: una pentola doppia per ba-gnomaria, una serie di pennelli riservata esclusivamente a que-sto scopo e molto buonumore.

Colla di pergamena

La colla di pergamena è consigliata dal monaco medievaleTeofilo nel suo trattato sulle tecniche artistiche, da CenninoCennini nel suo Libro dell’Arte, scritto alla fine del secolo XIVe poi, nel Settecento, da Watin, “verniciatore di Sua Maestà,Luigi XV”. Ecco la ricetta che ne dà il Cennini.

Ell’è una colla che si fa di colli [ritagli] di carte di pecora e dicavretti, e mozzatura delle dette carte. Le quali si lavano bene, met-tonsi in molle un di innanzi le metti a bollire; con acqua chiara la fa’bollire tanto, che torni delle tre parti una. E di questa colla voglio

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che quando non hai colla di spicchi, che adoperi sol di questa peringessare tavole o vero ancone; ché al mondo non puoi avere lamigliore.

Un’altra buona ricetta è quella di Riffault:

Mettete un chilo di ritagli di pergamena in 14 litri d’acqua inebollizione. Lasciate bollire a fuoco lento per diverse ore, finché laquantità non si sarà dimezzata. Filtrate con una garza o un panno dilino. Lasciate raffreddare: la colla assumerà la consistenza di unarobusta gelatina. Per avere una colla mediamente forte, aggiungete2300 mi d’acqua. Se invece volete una colla debole potete aggiungerefino a 9 litri d’acqua.

Preparare la colla di pergamena non è mai stata la cosa piùsemplice e oggi è più difficile che mai. A parte lavare accura-tamente la pergamena e controllare rigorosamente la tempera—tura durante la cottura, il problema maggiore è reperire lamateria prima. Nel 1930 Hilaire Hiler poteva ancora scrivere:«Si possono acquistare ritagli di pergamena in qualsiasi grandecittà, da ditte che la impiegano per produrre lampadari, docu-menti legali o altro. Molti commercianti che trattano in mate-riali artistici possono fornirvi un indirizzo utile o procurarvi iritagli direttamente» 25. Oggi tutto questo è tramontato: daquando si fanno i lampadari con la pergamena artificiale e idocumenti legali con la carta, la pergamena vera è rarissima e,anche quando la si trova, ha un costo esorbitante. Si possonosempre raccogliere vecchi libri sfasciati, rilegati con questomateriale, ma è molto difficile trovarne un numero sufficientee, in ogni caso, è più saggio conservarli per eseguire disegninella maniera degli artisti del XIV e del XV secolo. Tuttosommato vi consiglierei di mettere da parte la colla di perga-mena e di servirvi di altre colle.

Se si ha l’accortezza di usare soltanto colle di provenienzanaturale, le analisi chimiche non saranno motivo di preoccupa-

’ Cennini, op. cit., p. 115.' Vergnand Riffault, Nouveau Manuel complet du Pez'ntre..., Paris 1843.' Hilaire Hiler, Notes on the Technique of Painting, London 1934, p. 49.

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zione. Infatti, il tecnico non va alla ricerca di tracce di capra,di pecora, di pesce e così via, ma cerca di individuare la pre-senza di agenti chimici che in natura hanno varia origine. Lospiega bene ].G. Vibert, egli stesso un chimico:

Quando gli autori antichi parlano di gusci d’ostrica di corna dicervo, di madreperla eccetera, tutto questo va inteso come carbonatodi calcio, simile al gesso. Quando parlano di sangue di maiale o dialtri animali macellati, di latte, formaggio fresco, croste di formaggiosvizzero, tuorlo d’uovo o insetti macinati, tutto questo in linea diprincipio è caseina, fibrina o vitellina, che sono tutte più o meno lastessa cosa. Se si tratta di vesciche di pesci, di code di vacca, divecchi guanti, di caprette nate morte o di zoccoli di pecora, tutto ciòè gelatina .

Colla di pelle

La colla di pelle è stata usata in ogni epoca ed è ancorafacilmente reperibile in varie forme: in polvere, in granuli e infogli. Per valutarne la qualità ci si basa esclusivamente sulcolore; se una varietà chiara non è necessariamente buona euna scura non è necessariamente cattiva, una molto chiara vadecisamente scartata (contrariamente al caso della gelatina),perché significa che è fatta di ossa e di pelle di pecora, e haquindi una resa inferiore a quella fatta con il cuoio. Il suocolore naturale è un rosso chiaro brillante. Questo tipo di collacosta poco, è facile da preparare e va molto bene per il nostrolavoro. Ecco come prepararla:

Mettete la colla (in polvere, in granuli o in fogli) a bagno inacqua fredda nella pentola per bagnomaria e lasciatevela peruna notte intera (500 g di colla per 1 l d’acqua).

Mettete la pentola sul fuoco e aggiungete altra acqua finché lacolla non assumerà la consistenza desiderata. Dovrebbe essereleggermente cremosa ma abbastanza liquida, perché altrimentidiventa molto difficile da spalmare, soprattutto una volta chesi è raffreddata.

'G. Vibert, La Science de la peinture, Paris 1891, p. 170.

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Nello stesso modo si preparano la colla di pesce e quella dipelle di coniglio.

Colla in pasta

Molti collezionisti un tempo commettevano l’ingenuità diincollare i loro disegni al foglio o al cartoncino di supporto conun adesivo liquido del tipo descritto sopra. Ma, come ci infor-ma Cennino Cennini nel darci la ricetta riportata qui sotto, lacolla più usata per la carta era quella di farina. Questa hasenz’altro causato minori danni ai disegni antichi della collaliquida che a volte penetra nella carta macchiando il disegno.

A che modo si fa colla di pasta, o ver sugoloIncominciando a lavorare in tavola col nome della SantissimaTrinità, invocando sempre suo nome e della groriosa Vergine Maria,fare ci conviene il fondamento: cioè, e’ sono chiamate di più ragionicolle. L’è una colla che si fa di pasta cotta, la quale è buona dacartolai e maestri che fanno libri, ed è buona ad incollar carte l’unacoll’altra, e ancora attaccare stagno con carta. Alcuna volta ci è dibisogno per incollar carte per fare istrafori. Questa colla si fa perquesto modo: abbi un pignattello presso a pien d’acqua chiara, fa’che si scaldi bene. Quando vuol bollire, abbi della farina ben tami-giata; mettine a poco a poco in sul pignattello, di continovo rirnenan-do con uno stecco o cuslieri. Lasciala bollire, e fare che non siatroppa soda. Tra’la fuori, mettila in una scodella: se vuoi che nonpuzzi, mettivi del sale; e così l’adopera quando tu n’hai per bisogno.

Le prove di cucina hanno dimostrato che i risultati noncambiano molto se si omettono le invocazioni alla Santa Trini-tà e alla Vergine Maria. Ecco una ricetta moderna praticamen-te equivalente a quella di Cennini:Prendete 100 g di farina bianca e 15 g di allume in polveree mescolateli con poca acqua fredda così da ottenere una cre-ma densa. Dato che con il tempo la colla, come la carta, ingial-lisce, è bene aggiungere all’acqua una sostanza colorante, op-

'Cennini, op. cit., p. 111.

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pure sostituire l’acqua con un infuso di tè o di caffè. Dopoavere ben sciolto gli eventuali grumi, aggiungete mezzo litrod’acqua (o di tè o caffè diluiti) e mettete la pasta sul fuoco.Mescolando di tanto in tanto portatela a ebollizione. Lasciatelabollire a fuoco lento per circa cinque minuti, mescolando con-tinuamente.

In questo modo otterrete una pasta densa, che potrete di-luire con un poco d’acqua tiepida ogni volta che ve ne serve unpo’. Naturalmente, potrete prepararne quantitativi maggiori ominori, a condizione che le dosi restino invariate. Prima diusarla sbattetela con una palettina di legno. Al lettore faràpiacere sapere che-questa colla, adoperata sapientemente, puòprodurre le più orrribili macchie.

In questo capitolo ci siamo occupati di dare ai nostri dise—gni un aspetto antico. Abbiamo visto che se sono importanti levere e proprie tecniche di invecchiamento (produzione distrappi, di macchie, eccetera), inserire il disegno in un “conte—sto” non lo è di meno. Per questo abbiamo usato fogli antichie montature d’epoca che fornissero un passato alle nostreopere e, possibilmente, suggerissero la loro provenienza. Biso-gna creare l’impressione che disegno e montatura abbianocondiviso lo stesso destino, almeno per un certo tempo. Que-sto significa che, se la montatura reca certe macchie e certiguasti, le stesse macchie e gli stessi guasti dovranno compariresul disegno: non vogliamo mettere vino nuovo in botti vecchie.Volendo, possiamo spingerci oltre e aggiungere al nostro ma—nufatto quelle che gli esperti definiscono “scritte spurie”. Evero che molti collezionisti detestano le iscrizioni false ma,come diceva Cicerone, soltanto «sulle statue altrui» (Odi falsasinscriptiones statuarum alienarum).

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CAPITOLO 6

L’IMPORTANZA DI UN NOME

Dare nomi è davvero un'arte poetica.Thomas Carlyle

FIRME

Chi potrebbe negare la potenza della parola? «In principioera il Verbo...». Fra tutte le parole, le più potenti, le più ma-giche sono i nomi. Nei miti come nelle Sacre Scritture, il Cre-atore pronuncia il nome delle cose che desidera creare, ed esseprendono vita. Seguendo l’esempio del grande Demiurgo, an-che lo stregone di un tempo usava la potenza dei nomi e, senzadistinguere chiaramente fra il nome e la cosa stessa, immagina-va che con canti e incantesimi avrebbe potuto far scendere lapioggia, evocare gli spiriti dei morti o entrare in contatto coldiavolo.

Uso e abuso dei nomi sono ancora oggi una pratica magicaquotidiana: tutti noi, ogni volta che pronunciamo un nome,operiamo un incantesimo. Ma per lo più non ce ne rendiamoconto e, soprattutto, lo facciamo senza competenza. Siamoquindi null’altro che apprendisti stregoni — anzi, più che stre-goni, siamo esseri Stregati. Perché il più grande alchimista,mago, incantatore (comunque lo si voglia chiamare) dei nostritempi è il pubblicitario. Quale tremenda magia impiega persoggiogare il potenziale consumatore! E tutto con un sempliceespediente: la ripetizione incessante, martellante del nome delprodotto che vuole vendere. Ce lo fa leggere sui giornali, sulloschermo televisivo, sui manifesti, negli stadi, sulle maglietteche la gente indossa. In verità, da qualsiasi parte ci voltiamo cigiunge all’orecchio o ci appare davanti agli occhi l’onnipresen-te nome. Con quel continuo ripetere (la cantilena magica deitempi antichi) ci manda in uno stato di trance in cui, al pari deinostri antenati colpiti dall’incantesimo dello sciamano, nonsappiamo più distinguere i nomi dalle cose. A questo punto,

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81per quanto possa essere valido un prodotto senza nome, nonlo prendiamo nemmeno in considerazione. Non compriamopiù orologi, bibite o borsette, ma Rolex, Coca—Cola, Fendi oaltri nomi magici.

La stessa cosa vale per i disegni e i dipinti: la tecnica divendita del mercante d’arte è esattamente la stessa del veridi-tore di un qualsiasi bene voluttuario. Un’opera firmata da unartista famoso è un oggetto incantato e quell’incantesimo, dicui non è necessariamente responsabile l’autore, moltiplica ilsuo valore sul mercato. Tempo fa circolava un aneddoto su unbuontempone che vide da un noto antiquario di Parigi undipinto firmato e ne domandò il prezzo. «Mille franchi», rispo—se l’antiquario. «E senza la cornice e la firma?» domandò lui.«Oh, in tal caso», disse l’antiquario che era a sua volta spiri-toso, «può averlo per tre franchi e cinquanta».

Quante volte abbiamo notato un amante dell’arte che sbir—ciava nell’angolo di un quadro, cercando ansiosamente unafirma che lo autorizzasse a esserne ammaliato oppure no. Per-ché va detto che i nomi possono essere impiegati per la magianera, oltre che per la magia bianca; in tal caso hanno l’effettodi maledizioni. Per esempio, un Rembrandt che porta la firmadi un seguace del maestro — per esempio, Ferdinand Bol(1616-1680), agli occhi del mondo perde gran parte del suovalore, sia artistico sia monetario. Ma di questo tratteremo piùavanti, in un altro capitolo.

Scrivendo a proposito dei noti falsari contemporanei VanMeegeren, Elmyr de Hory e Tom Keating, Mark Jones osser-vò: «La loro fama è dovuta più al prestigio degli artisti cheimitavano che al loro talento. Un nome è davvero tutto»”.Quando le cose stanno così, il falsificatore di opere d’arte nondovrebbe disdegnare un pizzico di magia, sia per consolidarela propria reputazione, sia per consegnare le proprie opere allavita con il vantaggio di un buon nome. Bisogna però esserecauti nell’uso delle firme, soprattutto quando si tratta di dise-gni antichi. Infatti, gli artisti di un tempo si consideravano

'Mark Jones (a cura di), Falee?, London 1990, p. 235.

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anonimi artigiani; soltanto quando iniziarono a vedere se stessicome individui dotati di un talento inimitabile pensarono difarsi pubblicità con una firma. (Se avessero riettuto meglio,forse avrebbero concluso che un lavoro veramente inimitabilenon ha bisogno di firma — si firma da solo.) Raramente, però,firmavano i disegni, perché in genere questi erano eseguiti infunzione di un dipinto, di una scultura, di un arazzo, di unavetrata o di un’opera architettonica. Considerare quei disegnipreliminari degni di una firma sarebbe parso molto strano achi aveva l’abitudine di distruggere schizzi, studi, cartoni emodelli subito dopo averli usati. Prima del XVIII secolo sitendeva a firmare soltanto i pochi disegni finiti, che nascevanocome opere d’arte autonome.

Un’importante eccezione a questa regola è costituita daimolti disegni di scuola tedesca che venivano contrassegnaticon un monogramma. Sembra che a inaugurare quella praticasiano stati i grandi incisori, come Albrecht Durer (1471-1528),Martin Schongauer (1435/404491) e Albrecht Altdorfer(1480-1538), i quali cominciarono a siglare le stampe che pub-blicavano a fini di vendita per evitare i plagi, poi presero l’abi-tudine di firmare anche i disegni. Per inciso, gli sforzi compiutida Durer per salvaguardare i propri diritti d’autore non ebbe-ro molto successo. Il grande incisore italiano MarcantonioRaimondi (1480-1534) trasferì su rame le sue due serie di silo-grafie intitolate La vita di Maria e La piccola Passione, copian-do, nel caso della prima, anche il monogramma, e le vendettecome originali per il tramite degli editori veneziani Niccolò eDomenico Dal Gesù. Se si sia trattato o meno di frode è que—stione tuttora dibattuta. Il fatto che avesse firmato una dellelastre esattamente come soleva fare Durer, e cioè

ALBRECHT DURER NORICOS FACIEBAT 1504non fa certo una buona impressione. Ma in fondo Raimondiera un riproduttore di disegni e che tipo di riproduzione è

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83quella in cui manca una scritta importante? Comunque, Durersi indignò all’idea che qualcun altro avesse lucrato sul suonome e, come ci riferisce il Vasari, ricorse alla Signoria diVenezia. Quale fu il verdetto non è chiaro. A Raimondi fuposto il veto di servirsi della sigla del maestro di Norimberga,ma sicuramente non venne ordinata la distruzione delle lastreincriminate, perché qualcuna di quelle stampe fa ancora la suacomparsa sul mercato di tanto in tanto. Pienamente riabilitate,le incisioni di Raimondi-Biker sono molto ricercate dai colle—zionisti, desiderosi di assicurarsi i frutti dell’ingegno di duegrandi incisori al prezzo di uno.

A questo punto anche voi potreste collegare un nome ma-gico ai vostri lavori, come fece Marcantonio Raimondi, e saretelieti di sapere che potete farlo con la coscienza tranquilla,poiché in realtà state semplicemente apponendo un’iscrizione.Per la legge, firmare un disegno con il nome, per esempio, diRembrandt non costituisce una falsificazione, perché un dise—gno non è, dal punto di vista legale, un documento.

Ma bisogna essere molto ingenui per credere che bastimettere il nome di Rembrandt su un disegno eseguito alla suamaniera perché gli esperti lo credano suo. Al più penserannoa un’attribuzione eccessivamente ottimistica e, se il disegnosegue fedelmente lo stile del maestro e sembra davvero antico,lo attribuiranno a uno dei suoi seguaci. E così il vostro giocoè fatto.

Ma supponiamo che il vostro disegno non sia affatto nellostile di Rembrandt e porti comunque il suo illustre nome.Immaginiamo che lo abbiate eseguito alla maniera di VanDyck (1599—1641) e lo abbiate firmato “Rembrandt”. Questosarebbe diabolico. Non ha limiti la vostra malizia? Quello chestate facendo e indurre un povero e ignaro esperto d’arte aingannarsi ragionando in questo modo: «Ecco un interessantedisegno antico, erroneamente attribuito a Rembrandt. Chi po-trebbe esserne l’autore?». Naturalmente, di primo acchito nonpenserà a voi o a me e, presumendo che siate riusciti a dare aldisegno tutta la freschezza ela spontaneità di un autentico VanDyck, sarà molto tentato di continuare il suo ragionamentocosì: «Come sono stato in gamba a identificare un’attribuzione

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errata. Sarò ancora più in gamba se scoprirò un Van Dyckinedito. Si, si: più lo guardo più mi sembra un Van Dyck. Chescoperta sensazionale ! »

Ho sperimentato con successo questo trucco con un dise-gno alla maniera di Parri Spinelli (1387-1453), al quale avevoapposto l’impensabile firma di Giotto, cancellandola poi conuna riga a indicare che un esperto, in passato, aveva messo indubbio quell’attribuzione così ambiziosa. Il foglio fu acquista-to da uno dei più importanti storici dell’arte di quegli anni:Philip Sutton.

Per imparare a copiare bene una firma ci vuole molto eser-cizio. Un buon metodo è quello che appresi un giorno da untizio in un bar romano. L’uomo si chiamava Booth e sostenevadi essere un discendente dell’assassino di Lincoln. Quando melo disse mi fece pensare alla signora che, nell’apprendere dellateoria dell’evoluzione di Darwin, osservò: «Beh, se è vero chediscendiamo dalle scimmie dovremmo almeno avere il buongusto di non parlarne». Comunque, dopo aver tentato invanodi rifilare al barista un certo tipo di banconota da cinquantadollari; Booth si rivolse a me proponendomi uno scambio: miavrebbe confidato un segreto inestimabile se gli avessi pagatoqualche drink. Mi spiegò che nella sua professione si trovavaspesso nell’imbarazzante situazione di avere in tasca qualchetraveller's cheque cui mancava soltanto una firma per esserebuono. Per questa ragione era stato costretto a coltivare l’artedella calligrafia. Volle darmi una dimostrazione della sua bra-vura e mi invitò a fare la mia firma su un pezzo di carta; poiprese il foglio e, nascondendolo con la mano, vi scrisse sopra.Dopo qualche attimo me lo restituì, chiedendo con una puntad’orgoglio: «Quale delle due firme è la sua?» Era impossibiledistinguerle: dato che si trovavano l’una sopra l’altra, non ave-vo idea se avesse tracciato la sua copia sopra o sotto l’originale.Mi congratulai con lui per la sua abilità e accettai di farmi dareuna lezione a pagamento. Mai fu denaro meglio investito.

Il suo metodo era semplicissimo. Dopo avermi spiegato chel’ideale era servirsi della stessa penna che aveva tracciato l’ori—ginale, mi rivelò che il calligrafo non deve vedere in una firmauna serie di lettere, ma una linea o un insieme di linee astratte.

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La lettura delle lettere tende a distrarre l’attenzione dalle qua—lità della linea in quanto tale. Per evitare di distrarsi e perconcentrarsi sui movimenti importanti, è utile capovolgere lafirma e copiarla rovesciata, così:

Dopo di che, tutto dipende dall’esercizio. Col tempo siarriva a copiare una firma alla velocità con cui la traccia il suolegittimo proprietario, ottenendo la stessa linea uida e natu-rale. Ecco alcune firme su cui potrete esercitarvi. Sono quasitutte a pennino, perciò Vi conviene usare lo stesso attrezzo(come consiglia Booth). Dato che dovrete copiarle molte volte,Vi suggerisco di fare diverse fotocopie di questa pagina e delledue che seguono, ingrandendole del 30%. Dubito che vi ser—virà mai la firma di Van Eyck, ma è un magnifico esempio di'calligrafia e un ottimo stimolo per le vostre doti di calligrafi.

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MONOGRAMMI

Da giovane ho vissuto per un certo tempo con una coppiaanziana: i Gibbs. Fu dal signor Gibbs che appresi le primenozioni, se non proprio sui monogrammi, sull’uso delle inizialiin genere. Era un vecchietto di buon cuore e, sapendo che erosempre al verde, mi teneva da parte le sue lamette da barbausate perché potessi esercitarmi a tagliare la peluria che stavaspuntandomi sul mento. Mi mostrò come affilarle passandolecon un moto rotatorio sull’interno di un bicchiere bagnato.Una volta, durante una mia assenza da casa di alcune settima-ne, Gibbs mi inviò un pacchetto di lamette usate, con un bi-glietto di accompagnamento firmato Albert Gibbs R.A. Quan—do tornai gli dissi che ero stato colpito dalle iniziali R.A.: nonsapevo che fosse un artista e che appartenesse addirittura allaRoyal Academy! «Ma no» Gibbs si schermi, «RA. significa“Royal Artillery”». Vermi così a sapere che nella prima guerramondiale aveva combattuto nell’artiglieria reale.

Anche la sigla di Albrecht Dùrer, A.D., si prestava a ungioco di parole, perché seguita dall’indicazione dell’anno pote-va significare «Anno Domini». Il fatto che una sigla si possainterpretare in diversi modi ogni tanto crea imbarazzo ancheagli esperti. Come nel caso dello studioso, membro dell’Acca-demia di Francia che, dopo avere fatto un lungo studio sullasigla «MJ.D.D.», scritta su un vaso che riteneva antico, edessere giunto alla conclusione che significava Magno ]0w' Deo-rum Deo (Al grande Giove, dio degli dei), finì per scoprire cheil vaso non era affatto antico e che la sigla significava Moutard]aune de Dijon (Senape gialla di Digione).

Tutto questo per dire che potete usare iniziali e monogram-mi con la massima libertà, lasciando agli esperti il compito diinterpretarli. Per esempio, potreste scrivere A.D. nell’angolo diun vostro disegno intendendo qualsiasi cosa, oltre che Albre—cht Durer o “Anno Domini” — da “Ammiratore di Dùrer” ad“Acqua Distillata”. Custodite il vostro piccolo segreto e lascia-te che gli altri pensino quello che vogliono.

Eccovi alcuni esempi di monogrammi e di iniziali che ungiorno potrebbero servirvi..... Acquista il manuale del falsario HEBBORNCASE.COM...............

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