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362 aprile giugno 2014 Dire il vero su se stessi. Cantiere foucaultiano  MATERIALI 1 3 Alessandro Fontana Una educazione intellet tuale 7 Pier Aldo Rovatti Dimmi chi sei. Foucault e il dilemma della veridizione 35 Massimiliano Nicoli, Luca Paltrinieri Il management di sé e degli altri  49 Mauro Bertani La ne di un mondo? Foucault e la veridizione cristiana 75 Philippe Chevallier Michel Foucault e il “sé” cristiano 101 Laura Cremonesi, Arnold I. Davidson, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli Da dove viene il sé? La forza del dir-vero e l’origine dell’ermeneutica del sé  119 Tiziano Possamai La pratica losoca di Michel Foucault 137  PALESTRA 148 Roberto Bertolini Disobbedire alla verità. A proposito del corso Del governo dei viventi  149 Eugenio Giacomelli Niente verità senza alterità. Una nota sull’ultimo corso di Foucault 157 Alessandro Melosso Frammenti di un gesto losoco 167  MATERIALI 2 179 Robert Castel L’insicurezza sociale. Rischi e prote zioni nella crisi della modernità organizzata 183  POST Alessandro Dal Lago Dopo la democra zia globale niente? A proposito di legittimità  193

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362aprilegiugno 2014

Dire il vero su se stessi.Cantiere foucaultiano

  MATERIALI 1  3Alessandro Fontana Una educazione intellettuale  7

Pier Aldo Rovatti Dimmi chi sei. Foucaulte il dilemma della veridizione  35

Massimiliano Nicoli, Luca Paltrinieri Il management di sé e degli altri  49

Mauro Bertani La fine di un mondo? Foucaulte la veridizione cristiana  75

Philippe Chevallier Michel Foucault e il “sé”cristiano  101

Laura Cremonesi, Arnold I. Davidson, OrazioIrrera, Daniele Lorenzini, Martina

Tazzioli Da dove viene il sé? La forza deldir-vero e l’origine dell’ermeneutica del sé  119Tiziano Possamai La pratica filosofica di Michel

Foucault  137

  PALESTRA  148Roberto Bertolini Disobbedire alla verità. A

proposito del corso Del governo dei viventi   149Eugenio Giacomelli Niente verità senza alterità.

Una nota sull’ultimo corso di Foucault  157Alessandro Melosso Frammenti di un gesto

filosofico  167

  MATERIALI 2  179Robert Castel L’insicurezza sociale. Rischi e

protezioni nella crisi della modernitàorganizzata  183

  POST Alessandro Dal Lago Dopo la democrazia globale

niente? A proposito di legittimità  193

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49aut aut, 362, 2014, 49-74

Il management di sé e degli altri

MASSIMILIANO NICOLI

LUCA PALTRINIERI

Leconomista premio Nobel Herbert Simonera solito ironizzare sul mito dell’econo-mia di mercato attraverso un esperimento

mentale: se un extraterrestre sorvolasse la terra e fosse dotato dellacapacità di vedere i mercati colorati di rosso e le imprese coloratedi verde, vedrebbe delle immense distese di verde e delle piccolemacchie rosse. Soffermiamoci su questa considerazione: se da unaparte il pensiero neoliberale celebra il mercato come la perfettaincarnazione del laissez-faire  e dall’altra i suoi critici ne sottoli-

neano gli aspetti alienanti per cui tutto, comprese le nostre vite,può essere messo in vendita, entrambi sostengono che le societàneocapitaliste sono caratterizzate dal trionfo del mercato. Eppureè innegabile che la maggior parte degli esseri umani in Europa e intutti i cosiddetti paesi avanzati passa la maggior parte della propriavita all’interno di un’organizzazione molto particolare: l’aziendacapitalista. Uno degli aspetti peculiari dell’organizzazione azien-dale è proprio il fatto che la produzione sembra qui sfuggire aidogmi del libero mercato per fare posto a un modello gerarchico

e disciplinare che lascia ben poco spazio alla “libertà” dei singoli.1 A un primo sguardo, lo stesso dell’extraterrestre di Simon, lapromessa di libertà del liberalismo politico moderno sembra essere

1. Su questo punto si veda per esempio D. Courpasson, L’action contrainte. Organisationsliberales et domination, PUF, Paris 2000, passim; P.-Y. Gomez, H. Korine, L’entreprise dansla démocratie. Une théorie politique du gouvernement des entreprises, De Boeck, Bruxelles2009.

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L’individuo-impresaDiventare “imprenditori di sé”: questo slogan riassume la tecnolo-gia principale attraverso la quale il management, dagli anni novantaa oggi, ha cercato di migliorare le performance dei singoli. Nona caso, il tema dell’“imprenditore di se stesso” ricorre come unmantra nella letteratura non solo manageriale dalla fine degli anniottanta ai nostri giorni. Se da una parte le imprese hanno sollecitatodei programmi di formazione e di sviluppo personale all’insegnadell’autoimprenditorialità, dall’altra non si contano gli appelli disedicenti coach, psicologi, esperti di carriera a diventare “managerdi se stessi” e “a reinventare la propria carriera come un’impresaindividuale”.4 La formulazione classica, in questo senso, è quelladata da Bob Aubrey, un consulente americano trasferitosi in Fran-cia negli anni settanta, nel suo bestseller Le travail après la crise:

Nel vocabolario classico del lavoro (disoccupazione, impiego,carriera, ferie, salario, pensione e altri termini di questo tipo)il salariato è in una relazione di dipendenza nei confrontidell’impresa che lo impiega. Ma se l’individuo prende su di séla responsabilità del suo lavoro, inverte automaticamente i ruoli

di individui e imprese. In questo senso diventa più pertinenteutilizzare il vocabolario dell’impresa per descrivere come l’in-dividuo debba vendere e gestire il suo lavoro su un mercato.Ogni lavoratore deve cercare un cliente, posizionarsi su unmercato, stabilire un prezzo, gestire dei costi, investire nellosviluppo di sé e formarsi. Insomma, ritengo che dal punto divista dell’individuo il lavoro è la sua impresa, e il suo svilupposi definisce come un’impresa di sé. 5 

L’individuo al lavoro è invitato a descriversi come un’impresa chevende le sue merci su un mercato: non a caso questa forma di “la-voro su di sé” nella forma dell’autoimprenditoria coincide con la

4. W. Bridges, Creating You & Co. Learn to Think Like the CEO of Your Own Career , DaCapo Press, Cambridge (Mass.) 1998, pp. IX-XX.

 5. B. Aubrey, Le travail après la crise. Ce que chacun doit savoir pour gagner sa vie au 21e siècle, InterÉd., Paris 1994, p. 85.

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precarizzazione e la flessibilizzazione del lavoro, se non con il ritor-no a una situazione precedente all’avvento dell’impresa modernache fissa la forza-lavoro sur place tramite il contratto.6 Al limite, lageneralizzazione dell’“imprenditoria di se stessi” dissolve la stessaforma impresa in una rete di contratti tra individui che sono con-temporaneamente produttori, appaltatori, consulenti, impiegati,consumatori e, in ogni caso, manager di se stessi.7 Ne deriva tuttauna letteratura sul “management della modernità riflessiva” chedescrive, se non celebra, la dissoluzione dei confini tra “impresa” e“società”, la trasformazione dell’impresa stessa in una “comunità dipratiche”, “mondo non prescritto, non predeterminato, transeuntee infinitamente mutabile, che il management legge, interpreta,ascolta, non solo per i suoi fini, ma anche per i fini di coloro che haassociato e cooptato”.8 Si può allora capire come l’opposizione traimpresa e mercato descritta da Simon sia di fatto solo apparente,essendo il mercato del lavoro proprio una tecnologia di “messa incompetizione” degli individui-imprese tra loro.9

D’altro canto, il modello dell’“impresa di sé” deborda l’am-bito strettamente lavorativo e designa l’espansione della “cul-tura d’impresa” negli ambiti più svariati.10 Nella letteratura sul

self-help l’impresa diventa non solo modello di gestione dellecarriere, ma anche della vita familiare e personale: secondo TonyRobbins, coach di Clinton, Gorbaciov e della principessa Diana,“il management è tutto, nelle imprese o rispetto a noi stessi”.11 Ne

6. Cfr. su questo punto il libro di B. Segrestin e H. Hatchuel,  Refonder l’entreprise,Seuil, Paris 2012, pp. 34-39.

7. T. Le Texier, Le management de soi , working paper  inedito (ringraziamo l’autoreper averci permesso di consultarlo). Si veda, dello stesso autore,  De l’“arrangement” àl’“organisation”. Essai sur les dispositifs de gestion, “Gérer et comprendre”, 111, 2013, pp.

 50-74.8. M. Minghetti, F. Cutrano (a cura di),  Le nuove frontiere della cultura d’impresa. Manifesto dello humanistic management, Etas-RCS, Milano 2004, p. X.

9. Cfr. P.-Y. Gomez, H. Korine, L’entreprise dans la démocratie, cit., p. 50.10. Cfr. le due opere contemporanee di R. Keat, N. Abercrombie (a cura di), Entreprise

Culture, Routledge, London-New York 1991, e J.-P. Le Goff,  Le mythe de l’entreprise .Critique de l’idéologie managériale, La Découverte, Paris 1992.

11. A. Robbins,  Awaken the Giant Within. How to Take Immediate Control of Your Mental, Emotional, Physical and Financial Destiny, Summit Book, New York 1991, p. 355.Cfr. anche T. Le Texier, Le management de soi , cit.

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deriva che ogni sbaglio, ogni dolore, ogni situazione drammaticadell’esistenza è interpretabile come un errore manageriale. I ma-nuali di autocostruzione personale ci invitano a “gestire” i nostridrammi affettivi, a pianificare i nostri divertimenti e a misurarele nostre relazioni con gli altri secondo una griglia costi-benefici.Si tratta di una scena complessiva che non solo costituisce unosfondo ideologico estremamente potente e una sorta di catechismolaico obbligatorio, ma organizza anche un “gioco di verità” a cuiciascun individuo partecipa in prima persona.12 Possiamo dire diessere ormai immersi all’interno di un ordine del discorso in cui ildivenire impresa della soggettività – ciò che con le parole di PeterSloterdijk potremmo chiamare “Io S.p.A.”13 – è un fondamentoveritativo rispetto al quale è difficile compiere un’operazione didistanziamento e sospensione.

Retrospettivamente, il trionfo del modello di veridizione incen-trato sull’“impresa di sé” a partire dagli anni novanta, rende quasiprofetiche certe affermazioni di Michel Foucault del 1979. Nelsuo corso al Collège de France, Nascita della biopolitica, Foucaultaveva insistito precisamente su questo punto: il neoliberalismo ècaratterizzato, ancor più che dall’espansione illimitata del merca-

to e della mercificazione, dalle dinamiche concorrenziali propriedell’impresa.14 Si potrebbe dire che il vero punto di contatto trale due grandi correnti neoliberali descritte da Foucault, l’ordoli-beralismo tedesco e la Scuola di Chicago, è proprio l’affermazionedel modello dell’impresa come griglia interpretativa della societàe culmine imprescindibile della tecnologia del sé neoliberale. Pergli ordoliberali, e per il più rappresentativo tra di essi, AlexanderRüstow, si tratta, in effetti, di promuovere una Vitalpolitik, unanuova biopolitica, la cui trama è costituta dall’impresa come forma

12. Cfr., su questo punto, P.-Y. Gomez, Une esthétique de l’entrepreneur , in A. Hatchuel,E. Pezet, K. Starkey, O. Lenay (a cura di), Gouvernement, organisation, gestion: l’héritagede Michel Foucault, Presses de l’Université de Laval, Laval (Québec) 2005, pp. 253-272.

13. P. Sloterdijk,  Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica   (2009), trad. di S.Franchini, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 404.

14. M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France, 1978-1979 (2004),trad. di M. Bertani e V. Zini, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 129-130.

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elementare della proprietà privata e “potenza che dà forma allasocietà”.15 In altri termini:

Bisogna che la vita dell’individuo non si inscriva come vitaindividuale nel quadro di una grande impresa costituita dall’a-zienda o, al limite, dallo stato, ma piuttosto che possa inscriversinel quadro di una molteplicità di imprese diverse concatenatee intrecciate tra loro; imprese che, in un certo senso, siano aportata di mano per l’individuo, molto limitate nella loro dimen-sione, affinché l’azione dell’individuo, le sue decisioni, le suescelte, possano avere su di esse degli effetti significativi e per-cepibili, ma anche abbastanza numerose perché [l’individuo]non dipenda da una soltanto. Infine, bisogna che la vita stessadell’individuo – ad esempio, il suo rapporto con la proprietàprivata, con la famiglia, con la sua conduzione, con i sistemiassicurativi e con la pensione – faccia di lui e della sua vita unasorta di impresa permanente e multipla. È dunque questo nuovomodo di dare forma alla società secondo il modello dell’impresa,o delle imprese, fin nella sua trama più minuta, a costituire unaspetto della Gesellschaftspolitik degli ordoliberali tedeschi.16

D’altro canto, per i teorici del capitale umano della Scuola di Chi-cago – Schultz e soprattutto Becker –, l’impresa è il fondamentaleprincipio di comprensione dei fenomeni economici proprio dalpunto di vista “microscopico” che essi inaugurano. Le indagini mi-croeconomiche di Becker sulla famiglia e l’educazione conduconoinfatti all’idea che l’homo oeconomicus, più che un consumatore dimerci, è “un imprenditore, è l’imprenditore di se stesso”.17 L’im-prenditore di sé neoliberale si descrive nei termini di un “capitale

umano”, ovvero come un insieme di competenze e attitudini cheimplicano dei costi di gestione (i “costi-opportunità”), ma anche

15. Ivi, p. 131. Sulla questione della coincidenza tra impresa e proprietà privata alleorigini del liberalismo, cfr. P.-Y. Gomez, H. Korine,  L’entreprise dans la démocratie, cit.,pp. 71-99.

16. M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., p. 196.17. Ivi, p. 186.

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la sua valutazione continua e la sua ri-valorizzazione attraverso ilconfronto permanente con il mercato.18 Poiché il “capitale uma-no” non cessa di valorizzarsi nel corso di ogni attività umana (peresempio leggendo un libro, praticando uno sport ecc.), è proprionell’interpretazione di sé come “capitale umano” che si può legge-re l’estensione del modello dell’impresa di sé dalla gestione dellacarriera professionale alla gestione dell’intera esistenza.

 In effetti, la nozione di “capitale umano” si ritrova in una plura-lità di discorsi, scientifici e non, e si può dire che si è infine impostacome lo sfondo permanente del regime di veridizione neoliberale.Essa è un perno delle teorie e delle pratiche economico-politichecontemporanee, è entrata a far parte del linguaggio imprendito-riale e della finanza, così come del linguaggio delle organizzazionisindacali e del linguaggio politico. È nel gergo tecnico-amministra-tivo delle istituzioni pubbliche, dall’Unione europea in giù, finoalle istituzioni locali. Fa parte delle parole-chiave delle scienze dellaformazione e di quelle psicologiche, e funziona da anni all’inter-no dei piani di riforma della scuola e dell’università. È integratanelle scienze giuridiche che si occupano della regolazione delmercato del lavoro ed è il fondamento delle scienze manageriali ed

economico-aziendali, e in particolar modo del management dellerisorse umane.19 La forza del discorso neoliberale che afferma cheognuno è un imprenditore di se stesso impegnato nella gestionemanageriale del proprio capitale umano è da mettere in relazionecon questa produzione di discorsi di verità nell’ambito della go-vernamentalità neoliberale.

Gestire la libertà: il lavoro nell’epoca neoliberaleNon bisogna tuttavia attribuire a Foucault una specie di chiaroveg-

genza rispetto a dinamiche che si sarebbero affermate solo qualcheanno dopo. Il successo del modello dell’imprenditore di sé nei

18. Cfr. L. Paltrinieri, Quantifier la qualité. Le “capital humain” entre économie,démographie et éducation, “Raisons politiques”, 52, 2013, pp. 89-108; M. Feher, S’apprécier,ou les aspirations du capital humain, “Raisons politiques”, 28, 2007, pp. 11-31.

19. Cfr., su tutte queste questioni, P. Cipollone, P. Sestito, Il capitale umano, il Mulino,Bologna 2010.

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manuali di management e di sviluppo personale è una conseguenzadell’affermazione di una tecnologia di potere neoliberale della qualeFoucault analizza i presupposti teorici, in particolare sulla scorta diun libro che rappresenta una delle fonti di Nascita della biopolitica:si tratta dell’ampia sintesi di Henri Lepage, Demain le capitalisme.20 Quest’ultimo ricostruisce la “rivoluzione scientifica e ideologica”dei “nuovi economisti americani” – Buchanan, Becker, Friedman,Rothbard – a partire dalla rivalutazione di una figura che i modellineoclassici, con la loro insistenza sul modello economico “dell’equi-librio generale”, avevano sottovalutato e cancellato: il ruolo centraledell’imprenditore, “cuore della dinamica economica”.21 Giornali-sta ed economista, membro della Mont Pelerin Society e ardentedifensore della proprietà privata, Lepage si era dato il compito diintrodurre in Francia le teorie “scientifiche” neoliberali al fine dimostrare “il legame strutturale che unisce la filosofia liberale ai fon-damenti scientifici del capitalismo”22 e rompere così la tradizionalereticenza degli intellettuali ad abbracciare pienamente la causa delneoliberalismo.23 La pubblicazione di Demain le capitalisme, nel1978, seguito due anni dopo da  Demain le libéralisme, inaugurain Francia la controffensiva neoliberale, congiunta al tentativo di

recuperare i movimenti post-sessantottini nell’alveo di una sortadi anarco-capitalismo anti-statale che vede nell’impresa al tempostesso il nucleo della proprietà e della creatività: “La maggior partedei mali della nostra società, la cui responsabilità siamo abituati adattribuire al capitalismo e all’economia di mercato, non derivano nédal capitalismo, né dalla sedicente logica dell’economia di mercato,quanto dal fatto che abbiamo troppo stato”.24 

Per comprendere quanto Foucault prenda le distanze da questaspecie di vulgata neoliberale, basterebbe rileggere la sua critica al

discorso inflazionista della fobia di stato,25 che interpreta come una20. H. Lepage, Demain le capitalisme, Le Livre de poche, Paris 1978.21. Ivi, p. 44.22. Ivi, p. 13.23. Cfr. su questo punto S. Audier, Néo-libéralisme(s). Une archéologie intellectuelle,

Grasset, Paris 2012, pp. 384-388.24. H. Lepage, Demain le libéralisme, Hachette, Paris 1980, p. 564.25. M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., pp. 73-75.

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crisi della governamentalità liberale, ovvero una crisi della produ-zione di libertà.26 È proprio sul piano della definizione della libertàche, d’altronde, Foucault si oppone radicalmente al discorso neoli-berale nelle sue numerose varianti. Laddove quest’ultimo considerala libertà come una riserva “naturale” di possibilità che definiscein quanto tale la condizione umana (nasciamo liberi, e solo in unsecondo tempo le relazioni di potere, di dominio, di sudditanza,erodono questa libertà originaria), Foucault ritiene che la libertàstessa sia l’oggetto di una produzione, e che il liberalismo si defi-nisca nel suo movimento generale esattamente come il produttoredella libertà della quale ha bisogno e che consuma. La libertà nonè mai “negativa”, non è mai assenza di potere e di governo, proprioperché essa si produce nel rapporto tra governanti e governati. Inquesto senso, Foucault scardina le coppie oppositive libertà indivi-duale/dominazione e società civile/stato sulle quali si reggeva ildiscorso neoliberale: lo stato, come l’individuo imprenditore disé, è solo la concrezione provvisoria della governamentalizzazioneliberale della società, un processo nel quale “la nuova arte di go-verno si presenterà pertanto come l’arte di gestione della libertà[…]. Allo stesso tempo, questo liberalismo non corrisponde tanto

all’imperativo della libertà, ma alla gestione e all’organizzazionedelle condizioni alle quali si può essere liberi”.27

Due termini, in questo passaggio, devono attirare la nostraattenzione: gestione e organizzazione, ovvero le due parole-chiavedel management. Appare evidente, insomma, come il liberalismosia strutturalmente legato, non tanto alla promessa o all’ingiun-zione alla libertà, quanto a un bisogno di organizzazione (dellavoro come della vita), che nel neoliberalismo prende la formadi un intervento ambientale su una serie di variabili locali.28 Ciò

non significa semplicemente che la governamentalità neoliberalefinisce per privare gli individui di quella stessa libertà che sem-brava aver concesso, ma piuttosto che la forma e la produzione di

26. Ivi, pp. 70-72.27. Ivi, pp. 65-66.28. Cfr. F. Taylan,  L’interventionnisme environnemental, une stratégie néolibérale,

“Raisons politiques”, 52, 2013, pp. 77-87.

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questa libertà si presentano come contraddittorie, nella misura incui sono caratterizzate contemporaneamente dal laissez-faire e dalcontrollo. La figura dell’“imprenditore di sé” è intrinsecamenteneoliberale proprio perché definisce un individuo che da una parteè destinato a essere autonomo e responsabile delle sue azioni, edall’altra deve controllare continuamente se stesso, calcolare le sueazioni, gestire le sue emozioni e, in definitiva, la sua intera esistenza.

L’affermazione su scala pressoché globale della “governamen-talità” neoliberale e del modello dell’“imprenditore di sé” trovanoun preciso riscontro sul piano delle tecnologie manageriali digoverno degli individui, e più generalmente nei cambiamenti cheavvengono all’interno dell’organizzazione del lavoro. Si tratta delben noto passaggio dal paradigma produttivo taylorfordista, che haegemonizzato buona parte del Novecento, ai modelli organizzativicosiddetti postfordisti e di provenienza giapponese. A prescinderedal complesso dibattito storico-sociologico che riguarda la presenzao meno di un’effettiva rottura fra i due modelli – spesso la disconti-nuità si riscontra più a livello delle concettualizzazioni teoriche chedelle pratiche di direzione e di comando del lavoro subordinato –bisogna focalizzare l’attenzione su un’istanza organizzativa che ben

caratterizza il postfordismo e che entra in risonanza con il ritornelloneoliberale dell’autoimprenditorialità, oltre a rappresentare unasignificativa problematizzazione del nodo paradossale fra libertà econtrollo. In altre parole, la questione che si pone con forza all’in-terno dell’organizzazione aziendale postfordista potrebbe esseresintetizzata attraverso questa formula, appunto, paradossale: comeesercitare il controllo attraverso la libertà? Oppure: come governareper il tramite della produzione di libertà?

La questione non è nuova, in effetti, e basta ripercorrere la

storia delle teorie e delle pratiche organizzative per renderseneconto. Raymond Miles, in un celebre articolo pubblicato nel 1965sulla “Harvard Business Review” e significativamente intitolatoHuman Relations or Human Resources?,29  poneva il problema

29. R. Miles, Human Relations or Human Resources?, “Harvard Business Review”, 4,1965, pp. 148-157.

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in maniera esplicita: il modo migliore per aumentare il controllosugli obiettivi aziendali consiste nel favorire comportamenti re-sponsabili, autodiretti, autocontrollati. A differenza del vecchio ecelebre modello delle relazioni umane,30 il nuovo paradigma dellerisorse umane non prescrive di aumentare la partecipazione permigliorare il clima aziendale e ottenere, in cambio, obbedienzae complicità. Si tratta piuttosto di incentivare l’agire autonomo,libero e creativo degli individui per controllare meglio i processiorganizzativi e quindi migliorare il clima, innescando un circolovirtuoso di miglioramento dei processi.

Sebbene tale istanza sia rimasta per anni un principio formaleperlopiù privo di contenuto, essa diverrà una questione decisivaper il management postfordista alle prese con i princìpi dellaproduzione  just in time  e on demand , così come della QualitàTotale. Per averne una misura, è sufficiente scorrere la letteraturadedicata alla formazione manageriale e verificare quanto il campodella gestione delle risorse umane – per fare solo un esempio – sistrutturi e si organizzi attorno a questo problema. Oppure si puòconsiderare l’insistenza della formazione professionale, a tutti ilivelli, su “competenze trasversali” come l’indipendenza, l’auto-

responsabilizzazione (self-accountability), la capacità autonomadi gestione del tempo, dello stress, dei carichi di lavoro, nonchéla valorizzazione di queste competenze nell’ambito delle tecnichedi selezione e reclutamento. Si può ancora ricordare la ricorrentecritica “umanista” che stigmatizza l’eccesso di controllo – nonc’è mai abbastanza libertà! – come se potesse esistere una libertàal di fuori di quelle pratiche di governo. Tutto sommato, ognivolta che si parla delle trasformazioni che “de-materializzano” illavoro esaltandone le dimensioni cognitive e relazionali all’inter-

no dell’“economia della conoscenza”, non si può non incontrarequesto tema – sempre rilanciato – dell’autonomia, della libertà,dell’empowerment.

Ma questa trasformazione proviene, come probabilmente

30. Cfr. E. Mayo, I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale (1933), trad.di A. Comba, UTET, Torino 1968.

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sempre accade nella storia del lavoro, dalle fucine del lavoromateriale. La rivoluzione produttiva giapponese che parte daglistabilimenti Toyota per poi venire impiantata in Occidente statutta nella “libertà” di cui ha bisogno per funzionare: la libertà diciascuno di interrompere il flusso produttivo per aggiustarlo, percorreggerlo, per intervenire sugli eventuali punti di inefficienzao di caduta della performance;31 altrimenti niente qualità, nienteflessibilità, niente produzione calibrata sui desideri del cliente.Persino l’operaio in linea di montaggio può tirare una corda (“lacorda Andon”, nel linguaggio Toyota) e fermare la produzione,cosa che nel taylorfordismo corrispondeva al più innominabile deitabù. “Se sospetto che c’è un problema, tiro la corda Andon e l’in-tera linea di produzione si blocca all’istante. Si riattiva solo quandoil problema è risolto”, diceva Bridie Tucker, team member  nellacatena di montaggio di uno stabilimento britannico della Toyota,in una campagna pubblicitaria di qualche anno fa. E sorrideva.

La posta in gioco politica del management postfordista, in fon-do, è già interamente contenuta in questo sorriso: bisogna fare inmodo che Bridie non smetta mai di sorridere – anche se magari,domani, il suo contratto scadrà – e soprattutto tiri liberamente la

corda Andon solo ed esclusivamente in caso di difetti di qualitàdel prodotto. Niente la può né la deve costringere. Non solo,questa figura di adesione e coincidenza dell’individuo con l’istanzadell’impresa, questa implicazione nello spirito imprenditoriale cheè la cifra del postfordismo,32 devono essere generalizzate comefigure dell’autogoverno degli individui per superare il conflitto esoprattutto la possibilità del sabotaggio, proprio quando la fragilee nevrotica organizzazione postfordista più si espone a esso: aprescindere dalla posizione professionale, dobbiamo essere tutti in

grado di specchiarci nel volto sorridente di Bridie Tucker. È qui cheil governo dell’impresa postfordista e la governamentalità neolibe-rale imperniata sul divenire imprenditori di se stessi si annodano,

31. Cfr. T. Ohno, Lo spirito Toyota (1988), trad. di G. Polo, Einaudi, Torino 2004.32. Cfr. C. Marazzi, Il posto dei calzini. La svolta linguistica dell’economia e i suoi effetti

sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1999, e M. Revelli, “Introduzione”, in T. Ohno, Lo spirito Toyota, cit.

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dando luogo a un ulteriore episodio di articolazione fra politicaed economia entro il quadro di una tecnologia di potere. Il modomigliore per mobilitare le energie di una forza-lavoro sempre piùprecarizzata, impoverita, e al tempo stesso iper-specializzata e po-tenzialmente indipendente rispetto all’organizzazione – e dunquepericolosa –, consiste nell’individualizzarla come capitale umanoe far sì che ciascuno ritrovi la “forma” dell’impresa come codicesegreto della propria verità interiore.

Tra volontà e verità: genealogia dell’imprenditoredi sé come soggetto confessionale

Si vede bene come le osservazioni foucaultiane sul neoliberalismoe sul soggetto imprenditore di sé abbiano potuto ispirare una seriedi ricerche sulla razionalità manageriale nell’organizzazione dellavoro.33 A tutt’oggi si può affermare che, almeno nel campo dellacritica del management, la lezione foucaultiana è stata ascoltataanche se non sempre facilmente digerita – non a caso un grandenumero di studi che fanno riferimento a Foucault ricadono inevi-tabilmente nell’alternativa dominazione/libertà. D’altro canto, tuttauna serie di studi di gestione più recenti si concentrano sull’ultima

fase della riflessione foucaultiana, cercandovi dei suggerimenti perinterpretare certe situazioni di management o più semplicementeper ridonare lustro al blasone dell’etica aziendale.34 Se il primogruppo di studi conduce perlopiù alla denuncia autocompiaciutadella dominazione, l’uso del Foucault “etico” nella situazione ma-nageriale è più ambiguo: non si capisce dove finisce la critica, dove

33. Si ricordi, tra la panoplia di saggi su Foucault e l’organizzazione aziendale, le raccoltedi A. Hatchuel, E. Pezet, K. Starkey, O. Lenay (a cura di), Gouvernement, organisation,

gestion: l’héritage de Michel Foucault, cit.; A. McKinlay, K. Starkey (a cura di), Foucault, Management and Organization Theory. From Panopticon to Technologies of the Self , Sage,London 1998; E. Pezet (a cura di),  Management et conduite de soi. Enquête sur les ascèsesde la performance, Vuibert, Paris 2007.

34. Cfr. per esempio A. Chan, J. Garrick, Organization Theory in Turbolent Times: TheTraces of Foucault’s Ethics, “Organization”, 4, 2002, pp. 683-701; E. Barratt, The LaterFoucault in Management and Organization Studies, “Human Relations”, 4, 2008, pp. 515- 537; A. Crane, D. Knights, K. Starkey,The Condition of Our Freedom: Foucault, Organizationand Ethics, “Business Ethics Quarterly”, 3, 2008, pp. 299-320; G. Deslandes, Essai sur lesdonnées philosophiques du management, PUF, Paris 2013, pp. 49-81.

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inizia il miglioramento del “benessere” al lavoro, o quanto questomiglioramento coincida con la neutralizzazione della conflittualitànella relazione lavorativa. In tal senso quest’ultima serie di saggicade nell’illusione troppo frequente, e generalizzata negli studifoucaultiani, di cercare nelle “pratiche del sé” degli antichi o nella parrhesia dei cinici, l’alternativa eroica al dilemma moderno domi-nazione/libertà.35

Come abbiamo indicato altrove,36 ci sembra che qui il frainten-dimento riguardi precisamente l’uso della ricostruzione storica: lagenealogia foucaultiana non cerca nel passato le soluzioni alla tristemodernità disciplinare poiché “non si può trovare la soluzione diun problema nella soluzione di un altro problema sollevato in un’al-tra epoca da altri”,37 ma indaga sulle origini disperse, frammentariee spesso contraddittorie del nostro presente al fine di mostrarnela fragilità congiunturale e intimamente storica. Per questo, “l’e-sperienza tramite la quale noi giungiamo a individuare in modointellegibile certi meccanismi […] e al tempo stesso, percependoliin forma totalmente diversa, riusciamo a distaccarcene, deve essereuna sola”:38 la genealogia si arresta sulla soglia dell’esperienza dellastoria, non dà lezioni sul buon comportamento etico-politico, ma

apre la possibilità “a un iper-militantismo pessimista”.39 In altritermini si tratta di trovare nel presente, e solo nel presente dellamilitanza politica e intellettuale, l’alternativa al coefficiente diminaccia rappresentato dal neoliberalismo.

Da questo punto di vista, la pubblicazione del corso del 1980, Del governo dei viventi , è particolarmente preziosa proprio per-ché, allontanandoci dall’attualità neoliberale presa in esame nel

35. Per una disanima in questo senso, cfr. R. Kirchmayr, Parresia, giochi di verità e vita

 filosofica nell’ultimo Foucault, “aut aut”, 356, 2012, pp. 100-121.36. L. Paltrinieri, L’expérience du concept. Michel Foucault entre épistémologie et histoire,Publications de la Sorbonne, Paris 2012.

37. M. Foucault, “Sulla genealogia dell’etica: compendio di un work in progress”, in H.L.Dreyfus, P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente (1983), La Casa Usher, Firenze 2010, p. 304.

38. D. Trombadori, Colloqui con Foucault. Pensieri, opere, omissioni dell’ultimo maître-à-penser , Castelvecchi, Roma 2005, p. 36.

39. M. Foucault, “Sulla genealogia dell’etica: compendio di un work in progress”, cit.,p. 304 (trad. modificata).

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corso precedente, permette di cogliere per così dire dall’esterno lastrutturazione etica del soggetto “imprenditore di sé” come pure laforma paradossale della sua libertà. In questo senso, lo spostamen-to dell’intero cantiere foucaultiano nell’antichità cristiana non èaffatto sorprendente, e non solo perché Foucault l’aveva in qualchemodo annunciato nel 1976.40 Esso corrisponde perfettamente albisogno archeologico di risalire verso le molteplici radici del nostropresente così come all’invito genealogico a introdurre in questostesso presente un’esperienza di comprensione e distanziamentoda noi stessi. Non a caso tale spostamento è simmetrico e specularea un altro spostamento compiuto due anni prima, nel corso Sicu-rezza, territorio, popolazione, dove “passare al di fuori dello stato”per esaminare le relazioni di governo che l’hanno reso possibilesignificava risalire genealogicamente alla pastorale cristiana.41 Anche nel caso dell’individuo moderno, e più specificamente inquello della strutturazione etico-politica dell’imprenditore di sé,la razionalità governamentale soggiacente è un mosaico di formedi governo di sé e degli altri che non solo risalgono a epoche di-verse, ma soprattutto pongono la questione della sopravvivenza distrumenti e razionalità di governo antichi che si presentano sotto

forma di recenti invenzioni governamentali.Ma, soprattutto, tale spostamento permette di cogliere da un

altro punto di vista il dilemma che ossessiona la teoria modernadell’organizzazione, ovvero la presunta antitesi tra libertà e dominio,riportandola alla permanenza di una forma specifica di direzione disé e degli altri che risale al cristianesimo. L’idea che attraversa tuttoil corso del 1980 è che l’arte di governare e di governarsi inauguratadal cristianesimo non implica soltanto l’obbedienza, ma anche l’ob-bligo della “manifestazione della verità di sé”, la quale però non è

da intendersi nel senso della produzione di un’utilità strumentalebensì come una modalità di teatralizzazione e di espressione dellaverità nella forma della soggettività, che finisce per avere una serie

40. Id., La volontà di sapere. Storia della sessualità 1 (1976), trad. di P. Pasquino e G.Procacci, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 54-58.

41. Id., Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France, 1977-1978 (2004),trad. di P. Napoli, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 93-96.

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di effetti sulla soggettività stessa. L’aleturgia, o più precisamentel’auto-aleturgia, neologismi con i quali Foucault caratterizza que-sta produzione di verità, eccede infatti le finalità immediatamenteutilitarie della conoscenza.42 La formulazione di una verità di sénon è neppure connessa in modo ideologico all’esercizio del po-tere, diciamo piuttosto che è la forma stessa di questo esercizio.Infatti, “l’atto di verità” della confessione, nel quale il soggetto èal tempo stesso operatore, spettatore e oggetto43 non è “libero” nelsenso più banale del termine: soltanto la modernità ha fatto dellemolteplici varianti della confessione uno strumento di espressionedi sé, identificandola dunque con una presunta libertà individualeda opporre all’istituzione o comunque all’istanza dominante. Nona caso Foucault lega l’auto-aleturgia a quel “particolare regime diobblighi e costrizioni che è il regime di verità”.44

La nozione di “regime di verità”, che Foucault aveva abbondan-temente utilizzato nel corso precedente, prende qui la forma di “unregime definito dall’obbligo in cui si trovano gli individui di sta-bilire un rapporto di conoscenza permanente con se stessi, l’ob-bligo di scoprire in fondo a se stessi i segreti che sfuggono loro,l’obbligo di manifestare infine queste verità segrete e individuali

attraverso degli atti che hanno determinati effetti, effetti specificiche vanno ben al di là degli effetti di conoscenza, effetti libe-ratori”.45 Ecco perché l’atto attraverso il quale l’individuo si fa agen-te della manifestazione della verità descrive certo “l’esercizio di sésu di sé, l’elaborazione di sé da parte di sé, la trasformazione di séda parte di sé”,46 ma non “libera” l’individuo né rappresenta un’es-pressione della sua libertà “selvaggia”: il punto è che tale atto puòavvenire solo all’interno di un certo rapporto con la verità descrittoda un regime specifico, ovvero un sistema di obblighi che confe-

riscono alla verità una certa “forza”, un certo potere sugli indi-

42. Cfr. Id., Del governo dei viventi. Corso al Collège de France, 1979-1980 (2012), trad.di D. Borca e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 2014, p. 82.

43. Ivi, pp. 88-89.44. Ivi, p. 108.45. Ivi, p. 91.46. Ivi, p. 122.

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vidui stessi. Lungi dall’essere un sistema di costrizioni esterne chesi impongono al soggetto, il regime di verità designa insomma altempo stesso l’attività per la quale un soggetto si lega alla manife-stazione della verità e stabilisce una relazione con se stesso nellaforma della conoscenza vera di sé.

In altri termini, la nozione stessa di “regime di verità” designaun modo di manifestazione della verità di sé che coincide con unlavoro su di sé e va quindi al di là dell’opposizione libertà/do-minazione. Essa corrisponde piuttosto alla forma particolare diobbedienza propria della direzione delle anime cristiana, nellaquale il soggetto non rinuncia alla propria volontà alienandola algovernante, come avviene nel modello giuridico hobbesiano dellasovranità, ma al contrario vuole cercare la propria verità nei recessipiù nascosti del sé. Nella direzione di coscienza, il direttore nonfa che guidare la volontà del soggetto diretto, il quale continua a“volere punto per punto e in ogni istante ciò che l’altro vuole cheio voglia. […] In senso stretto, è quindi una subordinazione dellavolontà all’altro, in cui le due volontà restano intere, dove unavuole sempre ciò che vuole l’altra”.47

Insomma, secondo Foucault non si dà veridizione e governo de-

gli individui per il tramite della verità, senza che siano gli individuistessi a dire la verità, senza un soggetto governato che, attraversouna serie di esercizi, di procedure, di metodi, di pratiche, di calcoli,di peripezie, si autorizza a dire la verità.48 Il rapporto fra governoe verità funziona solo se quest’ultima non proviene da un “testo”da interiorizzare attraverso l’insegnamento o un catechismo, maè qualcosa che va scoperto, vagliato e misurato all’interno di sestessi, essendo proprio questa operazione di ripiegamento su disé e di autoriflessione l’operazione che costituisce ciò che co-

munemente definiamo soggettività. La tecnica della confessionecristiana – della confessione continua e in presenza di un direttoredi coscienza – costituisce il modello e lo sfondo culturale degliesercizi, del tipo di ascesi, del tipo di autodisciplina a cui ogni

47. Ivi, p. 233.48. Ivi, lezione del 23 gennaio 1980, pp. 56-76.

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individuo, in Occidente, si sottopone per diventare un soggetto.Dire chi si è, non nascondere nulla, verificare la bontà e la veritàdei propri pensieri attraverso l’esame di sé e la sua verbalizzazionenella confessione, attraverso la “perpetua messa in discorso di sestessi” sotto lo sguardo valutativo di un altro che tuttavia non an-nulla la volontà, ma la esalta, la rafforza e la spinge ad andare piùlontano nella ricerca di sé: sarebbe questa, secondo Foucault, laforma del rapporto fra soggetto, verità e potere tipico della civiltàoccidentale.49

Questo modello di subordinazione senza alienazione dellavolontà non è solo il punto più affascinante della relazione tragovernante e governato descritta nel Governo dei viventi , è ancheil segreto della “governabilità” dell’imprenditore di sé. Come ab-biamo visto, il governo del soggetto al lavoro nell’organizzazionecontemporanea implica infatti che il soggetto non rinunci a ungrammo della propria volontà, semmai metta integralmente la suavolontà al servizio di un autoperfezionamento infinito che deveinfine coincidere con il vantaggio dell’impresa. Ma si può dire cheil modello di veridizione incentrato sull’imprenditore di sé implicaanche una ricerca meticolosa della propria verità? Si può affermare

che esiste qualcosa come una scena confessionale di veridizionedi sé, vale a dire una scena in cui un individuo si autentifica comesoggetto in base al discorso di verità che è in grado di fare su di sé,e “si lega a questa verità, si colloca in un rapporto di dipendenzanei confronti di altri, e modifica allo stesso tempo il rapporto cheha con se stesso”? 50 Ben sapendo che si tratta di una pista di ricercaprovvisoria e tutta da approfondire, crediamo che sia possibilecercare le tracce di un tale regime di verità, in grado di spiegarequalcosa della strutturazione etica del soggetto “imprenditore di

sé”, all’interno del management delle risorse umane e in particolarenell’ambito delle pratiche di valutazione della performance e delpotenziale delle persone.

49. Ivi, lezione del 26 marzo 1980, pp. 290-314. 50. M. Foucault,  Mal fare, dir vero. Funzione della confessione in giustizia. Corso di

 Lovanio, 1981 (2012), trad. di V. Zini, Einaudi, Torino 2013, p. 9.

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Valutare e confessareOggi la valutazione è considerata l’atto manageriale per anto-nomasia, il core business di manager e imprenditori, il gesto cheda un lato consente la valorizzazione delle persone – nel doppiosenso di attribuzione ed estrazione di valore –, dall’altro permettela gestione della performance e dei comportamenti, tagliando ditraverso tutte le funzioni tipiche della gestione delle risorse umane,dalla selezione e l’inserimento, al monitoraggio delle prestazioni,fino alle pratiche di outplacement. 51 Valutare significa migliorarela performance, identificare le potenzialità inespresse delle per-sone, aumentare il valore del capitale umano, raccogliere i fruttidi questo aumento di valore. Non solo: una cultura della valuta-zione può aiutare a gestire le situazioni di incertezza, flessibilità,rischio e pericolo che caratterizzano il lavoro postfordista, mentreun regime meritocratico di valutazione consente di migliorarel’“autoefficacia” e la motivazione, di sollecitare l’innovazione, divalorizzare non solo la razionalità delle persone ma altrettanto laloro sfera emotiva, intensificando il loro coinvolgimento, il loroimpegno, vale a dire il loro commitment.

In questo senso, la valutazione manageriale emerge come spe-

cifica tecnologia di governo neoliberale, 52 e l’attuale proliferazionedei sistemi di valutazione oggettiva, comparativa e meritocraticadella performance e dei processi di lavoro negli ambiti più diversicome la scuola, l’università, la pubblica amministrazione, le azien-de, le istituzioni di governo nazionali e sovranazionali 53 costituisceun altro esempio di “tecnologia ambientale di governo” 54 che guidaindirettamente le condotte degli individui regolando le variabili

 51. Cfr. L. Borgogni (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelleorganizzazioni , Franco Angeli, Milano 2008. 52. Cfr. V. Pinto, Valutare e punire, Cronopio, Napoli 2012. 53. Si possono citare, su questo tema, oltre a V. Pinto, Valutare e punire, cit., anche

I. Bruno, E. Didier, Benchmarking. L’État sous pression statistique, La Découverte, Paris2013; A. Abelhauser, R. Gori, M.-J. Sauret,  La folie évaluation. Les nouvelles fabriquesde la servitude, Mille et une nuits, Paris 2011; A. Del Rey,  La tyrannie de l’évaluation, LaDécouverte, Paris 2013; G. Neave, The Evaluative State. Institutional Autonomy and Re-engineering Higher Education in Western Europe, Palgrave Macmillan, London 2012.

 54. M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., p. 242.

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dell’ambiente in cui vivono. 55  Se il governo – dello stato comedell’impresa – è strutturazione del campo delle possibili condotteindividuali, allora i sistemi burocratici di valutazione possono bencostituire una delle condizioni di possibilità della produzione dilibertà del neoliberalismo. 56

Tuttavia, come abbiamo visto, la figura dell’imprenditore di sée il suo radicamento in una tecnologia cristiana della confessioneimplicano che il soggetto, senza rinunciare alla propria volontà,diventi in qualche modo protagonista della sua valutazione: anco-ra più che la valutazione è l’autovalutazione del proprio capitaleumano a costituire il cuore del moderno management. Infatti, inuna situazione in cui le organizzazioni devono sforzarsi di snellirele gerarchie, promuovere il lavoro di squadra, trasformare i modellidi leadership in senso carismatico, favorire l’auto-responsabiliz-zazione dei singoli, tradurre il controllo individuale in “sviluppoindividuale”, le tecniche di valutazione vengono presentate comestrumenti di autosviluppo in grado di ottimizzare globalmente irisultati degli individui, ben oltre la sfera professionale. Occorreallora gettare uno sguardo sugli strumenti valutativi che, come dicela letteratura manageriale, servono a scandagliare le “dimensioni

più profonde o nascoste della persona”, a identificare il “potenzialetrasformazionale”, 57 a “verificare la congruenza tra la personalitàdell’individuo e la cultura dell’azienda”, a “costruire un’immagineil più possibile veritiera ed esaustiva della risorsa” umana. 58 Attra-verso determinate tecniche confessionali e valutative, gli individuisono così condotti a scoprire il capitale umano come codice segretodella propria anima, a rinvenire la forma-impresa come la formavera della propria interiorità.

 55. Cfr. P. Miller, N. Rose, Governing Economic Life, “Economy and Society”, 1, 1990,pp. 1-31; F. Taylan, L’interventionnisme environnemental, une stratégie néolibérale, cit.

 56. Cfr. B. Hibou,  La bureaucratisation du monde à l’ère néoliberale, La Découverte,Paris 2012.

 57. L. Borgogni (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organiz-zazioni , cit., passim.

 58. D. Boldizzoni (a cura di),  Management delle risorse umane. Dalla gestione dellavoratore dipendente alla valorizzazione del capitale umano, Il Sole 24 ore, Milano 2007,pp. 77-81.

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Caso esemplificativo è il cosiddetto “feedback a 360 gradi”,un’etichetta che si riferisce a tutti quei processi in cui un indivi-duo (definito focus) diviene oggetto e soggetto di una valutazionemultidimensionale a opera di una pluralità di agenti valutatori(definiti raters), incluso se stesso. 59 Si tratta di un complesso sistemadi specchi in grado di rimandare all’individuo un’immagine di séstrutturata, solidificata e verificata da un contesto oggettivo e daun’operatività scientifica. Lo strumento intende interferire conl’esperienza che l’individuo ha di se stesso, allo scopo di aumen-tarne l’autoconsapevolezza, l’autoefficacia, la motivazione al cam-biamento e tutte le “competenze emotive” necessarie al successosuo e dell’azienda, sincronizzando inoltre il registro dell’esperienzasoggettiva con quello della vita dell’organizzazione: “Il 360° puòinfatti essere una soluzione sistematica di monitoraggio del ritmoe della natura delle trasformazioni dell’individuo e dell’organizza-zione, può essere una soluzione per leggere e registrare i mutamentiindividuali in linea con le direttrici organizzative e non soltantouna tecnica di valutazione”.60

Possiamo individuare nel feedback a 360 gradi un modello diesplorazione dell’interiorità all’interno di una relazione di potere che

decide le linee, le modalità, le poste in gioco di questa esplorazione:stimolando una riflessione sull’esperienza di sé, si tratta di fornireal valutato un’immagine autentica di se stesso a cui altrimenti nonpotrebbe avere accesso. Così, i tratti della personalità che vannoesplorati e verificati attraverso la visione totale della valutazionecoincidono con le parole-chiave del divenire impresa della sogget-tività: autoimprenditorialità, capacità di iniziativa, gestione dellostress, capacità di leadership, di team working, di comunicazione,di coaching – come insegnano le griglie di valutazione.61

 59. Cfr. L. Handy, M. Devine, L. Heath, 360° Feedback. Unguided Missile or PowerfulWeapon?, Ashridge Management College, Berkhamsted 1996 e T. Melkonian,  Le 360° feedback: Historique, typologies d’utilisation et contributions, Cahiers de Recherche, Écolede Management, Lyon 2005.

60. L. Borgogni (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organiz-zazioni , cit., p. 370.

61. Cfr. L. Handy, M. Devine, L. Heath, 360° Feedback, cit. e T. Melkonian,  Le 360° feedback, cit.

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Chi volesse analizzare questo strumento mettendolo a confron-to con il modello del panopticon troverà certo pane per i suoi denti:non solo è possibile valutare a partire da qualsiasi punto intorno alvalutato, ma l’onnipresenza dello sguardo valutante sussiste anchesenza la presenza fisica e formalizzata di un valutatore, veicolandol’autosorveglianza delle proprie azioni. È in gioco l’impresa diportare tutto a visibilità, di illuminare il buio delle stanze interioried esercitare il massimo di maîtrise su se stessi per ottimizzare lapropria performatività.

Tuttavia, oltre a questa scena di esposizione del sé e delle pro-prie autentiche qualità, che sola permette di rivelare degli aspettidella personalità che vanno trasformati, ritroviamo qualcosa cheassomiglia molto a quella “perpetua messa in discorso di se stessi”,tipica delle strutture della confessione, all’interno del colloquio divalutazione della prestazione, in cui vengono restituiti alla risorsaumana i feedback delle valutazioni, e attraverso il quale – come diceil guru della consulenza aziendale Edgar Schein – si trasferisconola mission, la cultura, i valori dell’azienda.62 Infatti, il capo, il mana-ger, o meglio, il coach, oppure il consulente esterno che gestisce larelazione, deve “farsi carico delle emozioni e degli affetti” presenti

nella relazione e disporsi alla sorpresa in un clima disteso e rilassatoper aumentare la fiducia, l’autocritica costruttiva, la motivazione almiglioramento da parte del valutato, per incoraggiare l’espressionedel suo “pensiero autentico”.63 Si delinea una psicologizzazionedel ruolo del manager-valutatore, il quale deve saper leggere lecomponenti implicite, non dette, della personalità del valutato, edessere in grado di gestire l’aspetto paterno (o paternalistico) dellarelazione, come la frustrazione narcisistica che può derivare dalladelusione di un collaboratore-figlio che non produce performance

all’altezza delle aspettative.64 

62. E.H. Schein,  Lezioni di consulenza. L’attualità della consulenza di processo comerisposta necessaria alle sfide dello sviluppo organizzativo (1987), trad. a cura di Studio PerolaMilano, Raffaello Cortina, Milano 1992.

63. L. Borgogni (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organiz-zazioni , cit., p. 381.

64. Ivi, pp. 386-387.

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Dopo il manager-leader, maieuta e pedagogo, in grado di com-binare nel suo stile di leadership la postura del tecnico esperto dicontenuti professionali specifici, la postura del profeta in gradodi intuire il destino aziendale in mercati attraversati da continueinstabilità e turbolenze, quella del saggio che fonda la propriaautorevolezza sul piano della Weltanschauung e della propria virtùesemplare, nonché quella del coraggioso “parresiasta” in gradodi impedire che il pensiero manageriale si incisti in visioni delbusiness obsolete e conservatrici,65 ecco infine il manager comecaricatura di un padre, di un pastore di anime e di un confessore;ecco profilarsi, nel complesso, una possibile storia della figuramanageriale come maître de vérité .66

Non solo. La relazione fra valutatore e valutato all’interno delcolloquio è fonte di informazioni utili e conoscenze vere solo se ladimensione “emozionale” della relazione è gestita in quanto tale:fondamentale perciò sarà “un’interrogazione attiva e sistematicasu di sé”67 – effettuata sia dal valutatore che dal valutato – e sullarelazione fra i due. Sembra di assistere a una specie di “ermeneuticadel soggetto” in salsa aziendale che non a caso include la possibilitàche il valutato metta in atto delle tattiche di resistenza.68 Tentativi

che il valutatore, da parte sua, dovrà essere in grado di superareattraverso apposite contromisure: si parla di tattiche di evasioneper cui il valutato tenta di sviare il colloquio e impedire che essoarrivi a toccare i contenuti che interessano al valutatore; tattichedi seduzione per cui il valutato tenta di controllare l’immagine disé per sedurre il valutatore, ingannandolo; tattiche di aggressione

65. Cfr. M. Nicoli, Regimi di verità nell’impresa postfordista, “Esercizi filosofici. Rivistaon line del Dipartimento di studi umanistici dell’Università degli studi di Trieste”, 1, 2010,

e Id., L’organizzazione e l’anima, in B. Bonato (a cura di), Come la vita si mette al lavoro.Forme di dominio nella società neoliberale, Mimesis, Milano-Udine 2010.66. Cfr. L. Paltrinieri,  Anarchéologie du management, in D. Lorenzini, A. Revel, A.

Sforzini (a cura di), Michel Foucault: éthique et vérité 1980-1984, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 2013.

67. L. Borgogni (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organiz-zazioni , cit., p. 386.

68. Su questa analogia e i suoi limiti, si veda F. Gros, Le “souci de soi” antique chez MichelFoucault: tentative de comparaison avec le coaching contemporain, in É. Pezet (a cura di), Management et conduite de soi , cit., pp. 99-108.

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per cui il valutato si difende dall’esposizione di sé attaccando ilvalutatore attraverso l’ironia, il sarcasmo, lo scherno.69

Conclusione: dal manager confessore alla ricercainfinita della verità di sé

Non è solo la solidificazione della soggettività in una forma iden-titaria l’effetto che si produce all’interno di tali pratiche: nonbisogna sottovalutare l’accento posto sulle capacità individualidi trasformazione di sé (il “potenziale trasformazionale”), ovverola valorizzazione di quelle competenze trasversali che mettonoogni individuo in condizione di abbandonare i rigidi o conflittualimodelli di comportamento del passato per rispondere in manieraflessibile e malleabile all’evoluzione costante dei contesti lavorativi.“Cambiamento” è un’altra delle parole-ritornello che si incontranoincessantemente nel discorso manageriale contemporaneo: il cam-biamento è tanto un tratto che caratterizza la globalizzazione dellavoro quanto il nome di una competenza-chiave – la “motivazione alcambiamento” – che deve distinguere ciascun lavoratore. La forma-impresa, a maggior ragione allorché diviene forma di vita, rifuggela rigidità e persegue la flessibilità, e dunque accoglie e promuove

al suo interno la possibilità, anzi, la necessità della trasformazione,quando non della “conversione” rispetto a modelli di gestione dellavoro e della vita divenuti anacronistici e perciò penalizzanti.

L’identificazione con l’impresa, o il modello dell’imprenditoredi sé, perciò, non è solo adeguazione mimetica a un modello cristal-lizzato, ma è anche assunzione soggettiva di una procedura, di unatecnica “ascetica” di costruzione del sé che contempla un gioco diidentificazioni con ciò che deve ancora venire e di disidentificazionicon ciò che è già sprofondato nel passato. Tale processo include

persino il principio di conversione, l’“imperativo metanoico” cheda secoli dice agli uomini: “Devi cambiare la tua vita”.70 Il feedbacka 360 gradi, per esempio, costituisce una scena in cui la verifica

69. L. Borgogni (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organiz-zazioni , cit., pp. 389-392.

70. Cfr. P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, cit.

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dell’interiorità attraverso la sua verbalizzazione nel colloquio èpreceduta dall’esposizione completa dell’individuo a una valu-tazione che mostra all’individuo stesso l’immagine di sé – quellareale – che egli può e deve trasformare, abbandonare, rifiutare perintraprendere un percorso di perfezionamento sempre a rischio diricaduta: perciò la valutazione, come la formazione, deve esserecontinua. La volontà che il soggetto non aliena mai nelle mani delconfessore-manager, ma che piuttosto lo spinge alla ricerca infinitadella verità di sé, non è un’istanza “forte” che lo costituisce nellasua identità e stabilità permanenti, ma precisamente ciò che loconsegna all’infinita oscillazione tra la definizione di un’immaginedi sé e la disidentificazione che ne segue invariabilmente.

Lungi dall’essere “sicuro di sé”, come appare nei depliantpubblicitari delle scuole di management o nei manuali di quick management, l’imprenditore di sé è in preda a un processo ditrasformazione/adattamento continui che coincide con la ricercainfinita di una verità di sé che dovrebbe essere la chiave della suarealizzazione come della sua felicità, in ogni caso del suo inseri-mento “nel mondo”, ovvero nella “realtà” del mercato. Per questo,il rafforzamento indefinito della volontà nella ricerca di sé e della

propria verità è funzionale alla governabilità del soggetto impren-ditore e diventa il cardine del management neoliberale. Proprioperché interpreta la sua volontà di verità come l’espressione princi-pale della sua libertà, proprio perché fa di questa autorivelazione ilperno della ricerca e della realizzazione di sé, il soggetto neoliberaleè eminentemente governabile attraverso dei dispositivi che hannonella valutazione riflessiva il loro principio generale.

Sembra insomma che anche nella clinica del soggetto attivatadalle pratiche manageriali di valutazione si possano riconoscere le

tracce del funzionamento di una “tecnologia del sé”, occidentale ecristiana, che costituisce le condizioni di possibilità della soggetti-vità degli individui attraverso pratiche disciplinate di esposizione edi racconto “vero” di sé, in una tensione costante fra conversionee identificazione, e che trova sia la sua provenienza storica sia lasua operatività attuale nelle strutture di obbedienza e di governoinaugurate dal cristianesimo.

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Così, se la tecnologia di governo neoliberale si presenta nellaforma della contraddizione – contraddizione tra volontà e ob-bedienza, tecniche di sé e disciplina, empowerment  e controllo– è probabilmente perché essa stessa è il risultato di un percorsosinuoso che affonda la sue radici ben prima della modernità perdarsi solo recentemente uno scopo alquanto più ambizioso dellaproduzione dei soggetti, delle tecniche o delle tecnologie di potere:si tratta ormai di produrre la libertà stessa.

In questo senso si può affermare che l’imprenditore di sé neo-liberale non è riducibile all’alternativa tra il soggetto cristiano e ilsoggetto moderno, ma è una figura ibrida che da una parte mette incrisi la storia lineare della soggettività, dall’altra fa saltare lo schemadell’opposizione tra la libertà intesa come espressione di sé e la do-minazione intesa come mortificazione e alienazione della propriavolontà. Come abbiamo cercato di mostrare, se questo nodo diparadossi caratterizza la figura dell’imprenditore di sé, esso abitaancor più profondamente il management contemporaneo di sé edegli altri. Ecco perché, a nostro avviso, sono proprio le tecnologiemanageriali, dalle pratiche di valutazione a quelle di direzione disé, che, abbordate dal punto di vista di una genealogia ampia e ri-

spettosa delle trasformazioni storiche secolari delle arti di governo,rappresentano il test più interessante per comprendere il regimedi verità nel quale si forma una delle principali figure della nostraobbedienza e della nostra governabilità: l’imprenditore di sé.