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 Il peso della ussione Piccola storia del concetto di innitesimo, e sua rilevanza nella losoa hegeliana RICCARDO PENGO

Il peso della flussione

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Questo lavoro, da me svolto come tesina di maturità scientifica, ripercorre la storia del concetto di infinitesimo, in un intreccio di matematica e filosofia. Partendo dall'antica Grecia, il discorso lambisce la nascita del calcolo con Newton e Leibniz, per poi fermarsi nello specifico su Hegel e sul ruolo fondamentale, ma molto spesso trascurato, che l'infinitesimo ha nella sua filosofia. In conclusione, vi è una breve citazione del lavoro di Robinson e Conway sull'analisi non-standard, e sul ritorno dell'infinitesimo in matematica.

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Il peso della ussionePiccola storia del concetto di innitesimo, e sua rilevanza nella losoa hegeliana

RICCARDO PENGO

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INDICE

Indice1 Introduzione 2 Nascita e maturit` a 2.1 Lantica Grecia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.1 Pitagora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.2 Anassagora, Democrito . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.3 Eudosso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.4 Archimede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Dal Medioevo allet` a dei Lumi . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Kepler, Cavalieri e il metodo degli indivisibili . . . 2.2.2 La Francia di Fermat, Descartes, Roberval e Pascal 2.2.3 Isaac Newton e le quantit` a uenti . . . . . . . . . 2.2.4 Leibniz e il dx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.5 Il XVIII secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Linnitesimo in Hegel 3.1 Vita e opere . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Hegel e lanalisi innitesimale . . . . . . 3.2.1 Hegel e la matematica . . . . . . 3.2.2 Hegel e linnito matematico . . 3.2.3 Hegel e linnitesimo . . . . . . . 3.3 Dallinnitesimo al sistema . . . . . . . 3.3.1 Matematica, realt` a e storia . . . 3.3.2 Finito e innito . . . . . . . . . . 3.3.3 Calcolo, esperienza e conoscenza 4 La morte 5 La rinascita Riferimenti bibliograci 3 4 4 4 5 6 7 9 10 12 14 16 19 19 19 20 20 21 22 25 26 27 28 30 33 36

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IntroduzionePer ogni matematico c` e un senso di innito nel dar la caccia ai numeri gi` a sfuggenti di per s e Angelo Branduardi

Lungo la storia del pensiero matematico e scientico tout court pochi concetti hanno trovato cos` fecondo terreno dibattimentale come quello di innito. Fin dalle origini della sua esistenza, infatti, luomo si ` e trovato di fronte a forze cos` imponenti che, dominando interamente la sua vita, gli parvero incontrollabili, illimitabili e, dunque, illimitate e prive di conni: innite, insomma. Ecco dunque spiegata la predilezione dei greci per il pi` u controllabile e studiabile nito, di volta in volta espresso come ben rotonda sfera in Parmenide o come numero intero in Pitagora. In questo lavoro, per` o, noi ci vogliamo rivolgere al polo opposto della scala: non vogliamo guardare allinnit` a delle sfere celesti, ma alla piccolezza, anzi allinnita piccolezza di un granello di sabbia staccato da un monte. Fuor di metafora, ci preggiamo il compito di tracciare una limitatissima storia di quel singolare concetto che, nato molto dopo quello di innito matematico, gli ha fatto da contrappunto no ai giorni nostri: quello, cio` e, di innitesimo. Il nostro itinerario inizier` a dunque in Grecia, luogo che pi` u di ogni altro ha partorito le branche e i concetti cardine dellindagine matematica. Ivi accenneremo al metodo di esaustione, e alla problematica delle monadi in Pitagora e Zenone. Dopo aver fatto ci` o, ci sposteremo denitivamente sul continente europeo, sorvolando il metodo degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri e i pionieristici metodi delle tangenti di Pierre de Fermat e Isaac Barrow. Da qui esploreremo i fondamentali passi compiuti da quegli autentici giganti sulle spalle di giganti che furono Isaac Newton e Gottfried Leibnitz. Fatte queste necessarie osservazioni, ci concentreremo su un aspetto poco noto nellevoluzione del calcolo innitesimale, che vuole per` o assurgere qui al ruolo di colonna portante del nostro lavoro: lintervento di Georg W. F. Hegel nel dibattito sul ruolo dellinnitesimo in matematica. Vedremo in particolare le sue posizioni sui fondamenti del calcolo innitesimale, e quale ruolo esso rivesta nella sua losoa. Analizzeremo inne il periodo immediatamente successivo ad Hegel, che port` o alla denitiva scomparsa degli innitesimi dal calcolo, ad opera di Karl Weierstrass e della sua moderna denizione di limite. Per concludere, osserveremo come in realt` a il concetto di innitesimo sia ritornato prepotentemente alla ribalta della ricerca matematica novecentesca, con la scoperta dei numeri iperreali da parte di Abraham Robinson e dei numeri surreali da parte di John Conway.

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` NASCITA E MATURITA

22.1

Nascita e maturit` aLantica Grecia

Non vi ` e dubbio, ad oggi, che si possa far risalire la nascita del concetto di innitesimo alla matematica greca, che fu per` o (come la losoa greca) tradizionalmente avversa al concetto di innito. Questa apparente contraddizione si sana immediatamente vedendo come, in realt` a, allinnitesimo non fosse conferito un proprio livello di esistenza, ma esso fosse usato (come del resto nella matematica ottocentesca) come posizione limite a cui lintuito avrebbe potuto appigliarsi per meglio comprendere teoremi dimostrati in altro modo. Aermando ci` o, possiamo senza dubbio ritenere che il pensiero matematico greco sia stato quello che pi` u si avvicin` o alla formalizzazione dellidea di limite quale fu esplicitata solo nel 1859 da Karl T.W. Weierstrass (1815-1897), come vedremo meglio nella terza sezione. 2.1.1 PitagoraIl numero governa le forme e le idee, ed ` e la causa degli dei e dei demoni Pitagora

La prima origine del concetto di innitesimo ` e riscontrabile nellopera di Pitagora da Samo (569-475 a.C. ca). Figura molto controversa di losofo e matematico, emigrato a Crotone e fondatore, ivi, di una delle pi` u celebri scuole matematiche dellantichit` a, Pitagora ` e soprattutto ricordato per la dimostrazione del teorema omonimo sui triangoli rettangoli, e per la conseguente scoperta, da parte della sua scuola, dei numeri irrazionali. E proprio la scoperta dei numeri irrazionali port` o Pitagora ad una revisione radicale delle sue precedenti concezioni di numero e di gura. La matematica e la losoa pitagorica, infatti, erano essenzialmente fondate sui numeri naturali, espressione e legge costitutiva del reale. Nellopposizione pari-dispari, ad esempio, i pitagorici vedevano lorigine di tutte le opposizioni esistenti al mondo (maschio-femmina, luce-tenebre, buono-cattivo, etc.); nellinterpretazione mistica dei numeri trovavano spiegazione ai fatti morali; nella armonia musicale i numeri esprimevano la loro armonia intrinseca. Essendo cos` importanti, per i pitagorici, i numeri naturali trovavano applicazione anche in geometria. Cos` come, infatti, ogni numero naturale proviene dallunit` a o parimpari, allo stesso modo ogni ente geometrico (linea, gura, solido) deve essere costituito di enti indivisibili (chiamati monadi o punti materiali). Ma fu proprio la dimostrazione del teorema di Pitagora, uno dei maggiori risultati della scuola, a mettere in crisi questa visione del mondo. Una volta che Pitagora ebbe, infatti, dimostrato che la somma dei quadrati dei cateti di un triangolo rettangolo d` a il quadrato dellipotenusa del medesimo rettangolo (teorema noto, per triangoli particolari, anche a babilonesi ed egizi), egli riusc` immediatamente a dimostrare, come riportano Aristotele negli Analitici Primi ed Euclide negli Elementi, che la diagonale di un quadrato ed il suo

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Lantica Grecia

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lato sono incommensurabili (oppure, come si usa dire oggi, che 2 ` e un numero irrazionale, cio` e non pu` o essere scritto come rapporto di numeri interi). Questa scoperta, che la leggenda vuole fosse custodita come un geloso segreto dai pitagorici (violato da Ippaso di Metaponto, che per questo mor` in un naufragio), costrinse la scuola di Crotone a rivedere completamente la propria visione del mondo: se, infatti, il lato e la diagonale del quadrato fossero stati composti entrambi di un numero intero di monadi indivisibili, sarebbe dovuta esistere una unit` a di misura comune a tutti e due (cio` e, ssato un numero intero che misuri uno dei due segmenti, sarebbe dovuto esistere il numero intero che avrebbe dovuto misurare laltro). Pertanto, dato che i segmenti non possono essere costituiti da un numero nito di grandezze ultime, essi devono essere fatti di inniti punti. Ecco che Pitagora e la sua scuola furono costretti a teorizzare per primi linnita divisibilit` a del segmento, argomento analizzato in seguito no alle ricerche sul continuo della seconda met` a dellOttocento. 2.1.2 Anassagora, DemocritoDel piccolo infatti non c` e il minimo ma sempre un pi` u piccolo [...] - ma anche del grande c` e sempre un pi` u grande [...] Anassagora

Se per i pitagorici fu molto dicile accettare il concetto di continuo, esso avrebbe trovato piena espressione nella losoa di Anassagora di Clazomene (499-428 a.C.), losofo ionico, cittadino dellAtene periclea e da essa scacciato con laccusa di empiet` a attorno al 450 a.C. Ogni ente ` e infatti, per Anassagora, suddivisibile in innite ed invisibili omeomerie, che determinano, in base alla loro concentrazione, le qualit` a di un oggetto. Risulta evidente gi` a da questo accenno, e dal frammento posto in epigrafe, come Anassagora non ebbe alcuna remora nei confronti dellinnito, come egli lo pose anzi al centro della sua losoa, che contrapponeva ad un cosmo innito in estensione una materia innitamente suddivisibile in profondit` a. Apparentemente contrapposti alle innitamente piccole omeomerie di Anassagora apparirebbero gli atomi di Democrito di Abdera (460-370 a.C. ca), losofo viaggiatore che condusse vita da asceta, trascurando del tutto le condizioni materiali dellesistenza. In realt` a latomismo democriteo, il primo vero sistema scientico dellantichit` a, privo di qualunque misticismo o nalismo, si riferisce essenzialmente e solo al mondo sico: anche Democrito credette infatti, come Anassagora, nella innita suddivisibilit` a delle gure geometriche. Resta per` o da dire che linteresse che Democrito ebbe per latomismo gli imped` di raggiungere risultati importanti come quelli anassagorei nel campo delle ricerche innitesimali. ` comunque tramandato che sia Anassagora che Democrito furono ottimi E geometri: al primo ` e infatti ascritto da Erich Frank il primo utilizzo del cosiddetto metodo di esaustione (di cui parleremo nel prossimo paragrafo) nel tentativo di risolvere il problema della quadratura del cerchio, mentre al secondo ` e attribuita da Archimede nel Metodo sui teoremi meccanici la scoperta del teorema secondo cui il volume di una piramide o di un cono ` e un terzo del volume

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del prisma o cilindro circoscritti ad esse. Alcuni studiosi (Erich Frank, Thomas L. Heath, Rodolfo Mondolfo) ritengono che Democrito sia giunto a queste scoperte utilizzando una primordiale versione di quello che poi sar` a il metodo di Archimede e di Bonaventura Cavalieri (considerando cio` e i solidi come composti di una innit` a di lamine innitamente sottili), mentre altri (Federigo Enriques, Enrico Runi) sostengono che Democrito abbia utilizzato una versione sostanzialmente perfetta del metodo di esaustione, che sarebbe stata poi perfezionata ulteriormente da Eudosso. 2.1.3 EudossoSe da una qualsiasi grandezza si sottrae una parte non inferiore alla sua met` a e se dal resto si sottrae ancora non meno della sua met` a e se questo processo di sottrazione viene continuato, niremo con lottenere un resto minore della pi` u piccola fra le due grandezze precedentemente assegnate Euclide

Nato a Cnido nel 408 a.C. e ivi morto nel 355 a.C., Eudosso fu un grande viaggiatore: and` o in Egitto, studi` o a Taranto dallo scolarca pitagorico Archita, ebbe frequenti e procui contatti con lAccademia platonica ad Atene, prima di stabilirsi a Cizico, dove fond` o la sua scuola. Importante in questa sede ` e soprattutto il cosiddetto metodo di esaustione, che Eudosso sicuramente formalizz` o ed applic` o rigorosamente (come detto, non si ` e certi sulla paternit` a del metodo, attribuibile forse ad Anassagora, a Democrito o a Ippocrate di Chio). Questo metodo, in realt` a, ha la sua base nella teoria delle proporzioni, che pose basi cos` solide per il calcolo reale che soltanto verso il 1870 i matematici hanno sentito il bisogno di integrarle con i mezzi forniti dalla tecnica moderna [L .Geymonat - 2008]. I principi fondanti di questa teoria sono poi gli stessi che fondano il metodo di esaustione, e cio` e: lesistenza di somme di grandezze omogenee, e luguaglianza delle somme di grandezze uguali; lesistenza di dierenze di grandezze omogenee diseguali; lesistenza di un multiplo di una grandezza che superi una grandezza diseguale maggiore. Questultimo, chiamato principio di Eudosso-Archimede (poich e, secondo Otto Stolz, esso si trova esposto rigorosamente solamente nelle opere del siracusano), ` e il pi` u importante (nonch e, se vogliamo, il meno ovvio) dei tre. Da esso discende immediatamente, infatti, il lemma esposto nella proposizione I del libro X degli elementi di Euclide, qui citato in epigrafe, che sta alla base del metodo di esaustione. Questo metodo, che per i greci sostitu` il concetto di integrale, si basa infatti sulla costruzione di una serie di grandezze a partire da una incognita, in modo tale che la prima sia maggiore della met` a dellincognita, la seconda maggiore della dierenza fra lincognita e la prima, e cos` via. In questo modo, sottraendo alla incognita la somma della serie otterremo, stando al lemma di cui sopra, una grandezza sempre pi` u piccola allaumentare dei termini della serie, poten-

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Lantica Grecia

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zialmente minore di qualunque altra grandezza considerata. Inne, sfruttando questa serie di grandezze, si dimostra per assurdo che una data grandezza (ad esempio il rapporto fra le aree di due cerchi) non possa essere diversa da unaltra grandezza presa in esame (ad esempio il rapporto fra i quadrati dei raggi dei due cerchi in questione). Cos` Eudosso, ad esempio, dimostr` o che le aree di due cerchi stanno fra loro come i quadrati dei loro raggi; che due piramidi di egual base ed altezza sono equivalenti, e che un cono ` e la terza parte del cilindro in cui ` e inscritto. Questi teoremi, esposti da Euclide nel XII libro degli Elementi, furono corredati da una serie di altri teoremi dimostrati dallo stesso Euclide, quale quello che aerma che due sfere stanno fra loro come i cubi dei loro diametri. Come ha osservato Gino Loria, il rigore di questo metodo ha permesso di bandire lidea di innito, implicata giocoforza nei ragionamenti precedenti. In queste dimostrazioni, infatti, non c` e, come si potrebbe pensare, alcun riferimento a processi inniti, n e a concetti che possano ricalcare quello di limite: il metodo di esaustione aveva nalmente permesso di eliminare linnito (e, dunque, linnitesimo) dalla matematica greca, sostituendoli con dimostrazioni perfettamente rigorose, che implicavano solamente un procedimento (nito) con un numero arbitrariamente grande di passaggi (la serie delle grandezze). 2.1.4 ArchimedeVeramente le cose dette non dimostrano il risultato; danno per` o alla conclusione una certa apparenza di verit` a. Perci` o, vedendo che la conclusione non ` e dimostrata, ma sospettando con ragione che sia vera, ne ricercheremo la dimostrazione geometrica Archimede

Se con Eudosso linnitesimo era sparito dalla matematica greca, un secolo dopo Archimede di Siracusa, il pi` u grande matematico dellantichit` a, ne promosse la reintroduzione a pieno titolo. Nato nel 287 a.C. da una famiglia probabilmente imparentata con il tiranno Gerone II, allievo ad Alessandria di Conone di Samo, con il quale svilupp` o un discreto scambio epistolare, Archimede seppe fondere nella sua gura interessi matematici, sici ed ingegneristici, esponendo le sue scoperte in trattati dallo stile agile e conciso, rivolti agli specialisti della materia e non agli studenti, come era abituale per i matematici dellepoca, che spesso erano anche insegnanti. Impegnatosi a fondo nella difesa di Siracusa, Archimede mor` nel 212 a.C. per mano di un soldato romano che contravvenne allordine di Marcello, che avrebbe voluto Archimede vivo. Sulla sua tomba fu inciso, per suo stesso volere, un cilindro inscritto in una sfera, a ricordo della sua dimostrazione pi` u grande, che aveva scoperto il rapporto fra il volume della sfera e quello del cilindro in essa inscritto. La prima opera in cui Archimede fece riferimento esplicito al concetto di innito fu lArenario, opera nella quale, proponendosi di calcolare i granelli di sabbia necessari a riempire luniverso (o, meglio, la sfera delle stelle sse), egli

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dimostr` o che il loro numero era in realt` a seguito da una serie innita di numeri maggiori. Per fare ci` o, invent` o un nuovo sistema di numerazione, in cui le miriadi di miriadi (108 ) divengono unit` a di partenza di nuovi numeri, raggruppati in dierenti ordini che, riuniti no alle unit` a di ordine miriadico (108 ) formano i numeri del primo periodo, il cui ultimo numero ` e preso come unit` a del secondo periodo, in cui si procede in maniera analoga. Dato che il numero dei granelli in questione appartiene, secondo Archimede, al primo periodo, tutti i numeri di tutti i periodi superiori (inniti numeri ed inniti periodi) sono maggiori di questo numero. Cos` Archimede aveva risposto polemicamente ad Aristarco di Samo, sostenitore dellinnit` a delluniverso. Ma non ` e lArenario lopera pi` u importante di Archimede, n e tantomeno quella pi` u signicativa per noi. Infatti la ricerca di Archimede non si limit` o allinnito, ma scese anche nellinnitesimo. In particolare, di Archimede si ricordano numerose dimostrazioni eseguite ancora con il metodo di esaustione di Eudosso, come il calcolo dellarea del segmento parabolico (necessario ad Archimede per determinarne il baricentro), il calcolo della supercie e del volume della sfera, il calcolo dellarea di un settore di spirale o il calcolo del volume di conoidi e sferoidi. In tutte queste dimostrazioni, per` o, il lettore antico come quello moderno riscontrano notevoli dicolt` a. Innanzitutto, queste dicolt` a sono intrinseche al metodo di esaustione: per quanto grande, infatti, fosse la bravura di Archimede nello scegliere le grandezze ausiliarie che formassero poi la successione necessaria per portare a termine la dimostrazione, le dimostrazioni sembravano sempre celare la vera via tramite la quale Archimede era giunto al valore cercato. Come notano Federigo Enriques e Gino Loria, sembrava che Archimede avesse a sua disposizione altri strumenti rispetto al solo metodo di esaustione, che diventa di molto dicile utilizzo quando ci si allontana da problemi di semplice risoluzione. Questi dubbi rimasero aperti no ai primi anni del Novecento, ed in particolare no al 1906, quando Johann L. Heiberg recuper` o da un palinsesto conservato a Istanbul il testo del Metodo sui teoremi meccanici, una lunga lettera di Archimede ad Eratostene di Cirene in cui il siracusano cercava di spiegare come egli era riuscito a portare a termine le sue gi` a note ricerche sulle quadrature, i volumi, e pi` u in generale tutte le dimostrazioni portate a termine col metodo di ` curioso che questo Metodo ricalchi in tutto e per tutto quello che esaustione. E sar` a poi il metodo utilizzato dagli analisti dal Seicento in avanti: Archimede, infatti, vede le gure piane come composte di tutte le sezioni monodimensionali (di larghezza innitesima, potremmo dire) e i solidi come composti di tutte le loro sezioni bidimensionali (di spessore innitesimo). Archimede svolger` a no in fondo questa interpretazione, servendosene in tal modo per determinare superci e volumi anche molto complicati. Anche se si pu` o pensare, dunque, che questo metodo fosse gi` a stato scoperto (si pensi a quanto detto prima di Democrito), ` e indubbio che Archimede ha saputo individuarne tutte le potenzialit` a, e sfruttare appieno tutti gli artici meccanici necessari ad ogni circostanza, dimostrando cos` ancora una volta come in lui lunione fra spirito teorico-matematico e capacit` a meccanico-ingegneristicche fosse procuamente inscindibile. ` interessante inne notare come Archimede stesso non nutrisse piena E ducia nel suo Metodo, che risultava troppo poco rigoroso ai suoi occhi: ogni dimostrazione svolta con il metodo, infatti, era seguita da una pi` u rigorosa di108

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mostrazione geometrica che formalizzasse quanto gi` a intuitivamente chiarito. In questo Archimede fu pi` u vicino ai matematici dellOttocento, che, come vedremo, ritennero necessaria una fondazione rigorosa e formale dellanalisi, rispetto a quelli del Seicento, che fondarono la moderna analisi riscoprendo il Metodo archimedeo, ma, non avendo avuto la stessa attenzione di Archimede per il rigore puramente geometrico, poterono procedere pi` u spediti verso lelaborazione di nuovi simboli e la creazione di un calcolo autonomo [L .Geymonat - 2008].

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Dopo il ponderoso lavoro di Archimede, potremmo dire che le ricerche di carattere innitesimale (e, quindi, lo sviluppo del concetto di innitesimo) restarono in qualche modo sopite no al XVI secolo, con pochi o nulli contributi ad esse. Le matematiche, infatti, coltivate per lo pi` u in India e nel mondo arabo (latamente considerato, dal Nord Africa a Timbuktu a Baghdad) si concentrarono per lo pi` u sulla teoria dei numeri, sullalgebra e sulla trigonometria, non avendo lampiezza di respiro e la profondit` a delle ricerche greche, ma comunque determinando progressi signicativi. Ci` o che fece cambiare il passo, in Europa, fu un rinnovato interesse per lalgebra, che si nutriva delle opere arabe di sintesi della matematica greca ed indiana, e che porter` a alla scoperta nel XV secolo, da parte di alcuni illustri matematici italiani (come Niccol` o Tartaglia e Gerolamo Cardano) della soluzione alle equazioni di terzo grado. Questa scoperta aument` o di molto linteresse per la matematica negli uomini di cultura europei, convinti che ci fosse ancora molto da scoprire. A ci` o va unito il frutto della temperie culturale che stava attraversando il Vecchio Continente proprio in quegli anni: un rinnovato interesse per le antichit` a classiche, volto a riscoprire le versioni originali dei testi letterari e scientici del passato, in modo da poterne dare uninterpretazione scevra da qualunque fuorviante interpretazione allegorica della cristianit` a. Questi nuovi interessi portarono molti uomini di cultura europei, spesso esterni al mondo accademico tradizionale, ad interessarsi di matematica, leggendo nalmente in versione originale greca (e non in traduzione) i classici della matematica, a partire da Euclide. Fu dunque in questo clima di prosperit` a culturale che, nei secoli XV e XVI, una nuova matematica inizi` o a prendere forma, una matematica destinata ad abbandonare il rigore metodologico e logico degli antichi greci, per guadagnarne in agilit` a espositiva e ampiezza dei risultati. Una matematica che non avr` a mai remore a confrontarsi con quellinnito che pareva tanto imperfetto ai greci. Una matematica che, dunque, si inoltrer` a anche negli abissi dellinnitamente piccolo, che trover` a conferma dei suoi risultati non nelle proprie basi ma nei propri continui successi. Una matematica che trov` o i suoi precursori in Bonaventura Cavalieri in Italia e in Johannes Kepler in Germania.

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Kepler, Cavalieri e il metodo degli indivisibiliTutto quello che si dimostra con le giuste regole degli indivisibili si dimostrer` a anche nel modo e col rigore degli antichi [...] cos` i due metodi non dieriscono fra loro che nella forma espressiva Blaise Pascal

Fino allepoca di Kepler e Cavalieri lEuropa era stata dominata da una accanita disputa (non priva di qualche punta di acuto acrimonio) fra i seguaci stretti di Archimede (si intenda, il rigidissimo e rigorosissimo Archimede utilizzatore del metodo di esaustione, capace di ingegnosit` a sempre diverse nelle sue dimostrazioni complicatissime), che non credevano possibile altro metodo se non quello di esaustione, e gli innovatori, che volevano rompere con la tradizione e tentare strade impervie e sconosciute. Fra i primi vanno citati Luca Valerio (1552-1618), a cui si deve lesposizione generale del metodo per trovare larea sottesa da una curva (cio` e, in termini b moderni, per calcolare numericamente lintegrale denito a f (x) dx) e Paul Guldin (1577-1643), autore dei due teoremi che vanno sotto il nome di PappoGuldino, relativi al calcolo delle superci e dei volumi dei solidi di rotazione. Se fossero esistiti solo i primi, per` o, la matematica sarebbe rimasta a livello di Vindiciae Archimedis (titolo di unopera di Alexander Anderson, matematico scozzese seguace di Archimede), cos` come la sica sarebbe rimasta a livello di ipse dixit aristotelico se non ci fosse stata lopera di Galileo Galilei. Molte idee nuove, per` o, si andavano diondendo fra i matematici dellepoca, e venivano in special modo recepite da Kepler e Cavalieri. Il primo, nato a Weil der Stadt in Svevia, ` e principalmente ricordato oggi per i suoi grandi lavori astronomici, elaborati grazie alla vasta mole di dati accumulata dal suo maestro Tycho Brahe (1546-1601). Professore a Graz, Praga e Linz, dove tenne anche la cattedra di astronomo della corte imperiale, Kepler visse una vita molto religiosa alle dipendenze dellimperatore prima e del duca Albrecht von Wallenstein dopo il 1626. Mor` dopo una breve malattia a Regensburg, nel 1630. Ci` o che a noi interessa, per` o, ` e il suo lavoro Nova Stereometria Doliorum (1615), nel quale egli per primo svolse molte considerazioni che rassomigliano a quelle archimedee del Metodo o a quelle, successive, di Cavalieri. Egli infatti considera il cerchio come formato (o potremmo dire esaurito, dando nuovo signicato e forza a quanto intuito da Eudosso) da tutti i triangoli aventi un vertice sul centro e un lato su una corda piccolissima (o, per meglio dire, innitesima, che sia cos` piccola da approssimare esattamente larco che sottende); la sfera come composta di innite piramidi aventi vertice nel centro della sfera e base determinante un segmento sferico ad una base piccolissimo; il toro (solido ottenuto facendo ruotare un cerchio attorno ad una retta esterna ad esso) come composto da tanti innitesimi cilindri retti aventi per basi sezioni meridiane del toro. Sembrerebbe pertanto da quanto detto che Kepler possa essere considerato come liniziatore della nuova matematica. In realt` a, come nota sempre Geymo-

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nat, Kepler non arriv` o mai ad una trattazione organica di questi procedimenti, ma si limit` o ad applicarli a problemi particolari, come quelli gi` a citati o quello di scoprire come mai i viticoltori austriaci utilizzassero botti dalla forma cos` stravagante, che d` a il titolo al libro. Kepler, dunque, nonostante fosse un abilissimo geometra che avrebbe avuto poi grandissima inuenza sulla matematica del tempo, non riusc` a derivare dalle sue disseminate ricerche un metodo come quello che, solo qualche anno dopo, avrebbe inventato Bonaventura Cavalieri. Nato a Milano nel 1598, Cavalieri entr` o nellordine dei Gesuati n da molto giovane (e ci` o acuir` a lacrimonio delle sue dispute con il gesuita Guldin). Trasferitosi nel monastero di Pisa nel 1616, fu portato ad incontrare Galileo (che ivi insegnava dal 1610) per tramite del cardinale Federigo Borromeo, che aveva visto in lui un astro nascente della matematica. Dopo essersi dedicato ad impegni pi` u religiosi, Cavalieri divenne professore a Bologna nel 1629, per intercessione del suo maestro Benedetto Castelli. Mor` , sempre a Bologna, nel 1647. Ad egli, e alla sua scuola (il cui maggior allievo fu Evangelista Torricelli (1608-1647), sico e matematico che non riusc` a pubblicare il suo capolavoro matematico che andava preparando prima della sua morte prematura) va riconosciuta non tanto linvenzione del nuovo metodo degli indivisibili (gi` a accennato da Kepler, e che, comunque, era nellaria come viole a primavera, per citare Bolyai), e nemmeno il merito di grandissimi risultati applicativi (sar` a Pierre de Fermat (1601-1665) a farlo in Francia), ma quello di essere stato il teorico della nuova matematica, colui che ` e riuscito prima di ogni altro a sistemarla in un corpo unico di dimostrazioni sucientemente rigorose (Paul Tannery, citato in [L .Geymonat - 2008, pag. 79]). Ed ` e proprio per questo che egli ` e cos` interessante per la nostra esposizione, di carattere teorico pi` u che applicativo. Nel suo capolavoro Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635), a cui fece seguito, in risposta alle numerose polemiche, Exercitationes geometricae sex (1647), Cavalieri espose quello che egli riteneva un metodo radicalmente nuovo ed opposto a quello archimedeo, quando in realt` a non faceva altro che ricalcare, come gi` a detto, lArchimede del Metodo sui teoremi meccanici. Come Archimede, infatti, Cavalieri consider` o le aree di gure piane come composte da indivisibili di supercie, e i solidi come composti da indivisibili di volume, dove il termine indivisibile va inteso, da un lato, nel senso letterale, come ci` o oltre al quale non ` e possibile procedere, ma dallaltro, essendo inniti, essi dovranno avere spessore innitesimo, minimale, non potendo avere spessore nullo (in tal caso, infatti, ogni area o volume sarebbero nulli). Tant` e vero che molto spesso, come per Archimede e per Kepler, si suole dire che per Cavalieri le gure sarebbero sono composte da corde di sezione tutte parallele, e i solidi da sezioni piane tutte parallele. Cos` facendo, Cavalieri accolse nalmente nella matematica lidea di innitesimo, vista non pi` u come qualcosa di contraddittorio o poco soddisfacente, ma anzi assurta a ruolo di fondamento per unintera nuova teoria. Gli indivisibili non erano, per Cavalieri, n e logicamente insucienti (come lo furono per Archimede), n e posizioni-limite di un procedimento (come saranno, poi, nellOttocento): per Cavalieri gli indivisibili esistevano, avevano realt` a loro propria e potevano essere trattati come qualsiasi altro ente matematico (posizione che sar` a, come vedremo, fatta propria da Leibniz e, in tempi molto pi` u recenti, da Robinson). Nella maggior parte delle sue dimostrazioni, per` o, pi` u che usare gli indivi-

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sibili nella loro piena potenzialit` a, Cavalieri si limita a ricondurre superci e volumi sconosciuti ad altri noti trovando due indivisibili in rapporto costante fra loro, uno scorrente lungo tutta la supercie o il volume ignoto e laltro lungo una supercie o volume noto, ed applicando poi ad essi il cosiddetto principio di Cavalieri, per il quale le due superci/volumi stanno fra loro come gli indivisibili. In questo modo, ad esempio, Cavalieri calcol` o ci` o che, in simboli a a 2 a2 a3 moderni, sarebbe 0 x dx = 2 , e anche 0 x dx = 3 , con una dimostrazione facilmente adattabile per calcolare il valore pi` u generalea

xn dx =0

an+1 . n+1

Questo metodo, nonostante i suoi successi, sembrava per` o portare ad alcune apparenti contraddizioni, che volevano larea del segmento parabolico uguale a 2 larea del rettangolo ad esso circoscritto, o che volevano uguali le aree di due 2 triangoli aventi stessa altezza ma basi una multipla dellaltra. In entrambi i casi, per` o, Cavalieri rispose ai suoi detrattori ritenendo scorretto il loro utilizzo del metodo di esaustione (nel primo caso), oppure con considerazioni di carattere tessile (paragonando i triangoli a dei telai) che rinviavano a considerazioni spiccatamente innitesimali. Queste ricerche furono ulteriormente arricchite dal contributo inestimabile di Torricelli, che oltre ad essere riuscito a determinare (con metodi archimedei) il valore dellintegraleb a

x

p q

b1 q a1 q dx = 1 p q

p

p

ebbe anche il merito di aver introdotto il concetto di indivisibile curvilineo (come le circonferenze concentriche che esauriscono un cerchio) e, come sostiene Ettore Bortolotti, di aver addirittura intuito il principio di inversione 1 (quello per cui, in termini moderni, g (f (x)) = f 1 (x) = g (x)) e il (x) essendo f carattere intimamente correlato dei problemi di quadratura e di determinazione delle tangenti. Sta di fatto, per` o, che allepoca il terreno era stato preparato per ricerche innitesimali molto pi` u ardite: ormai linnito e linnitesimo sembravano aver segnato il passaggio di unepoca, aver determinato moltissimi progressi nella nuova matematica e aver impregnato di s e le migliori menti dItalia, Francia, Inghilterra, Germania. Ormai la nuova matematica era aare europeo, e non attendeva altro che nuovi, sorprendenti risultati. Linnitamente piccolo, che poteva apparire cos` insignicante, si mostrava allora in tutta la sua grandezza. 2.2.2 La Francia di Fermat, Descartes, Roberval e PascalId comparo [...] tamquam esset aequalia, lict revera aequalia non sint, et hujusmodi comparatione vocavi adequalitatem Pierre de Fermat

Se la nuova matematica aveva avuto la sua genesi in Italia, furono le fervide menti di Pierre de Fermat (1601 - 1665), Ren e Descartes (1596 - 1650), Gilles

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Personne de Roberval e Blaise Pascal (1623 - 1662) ad accrescere enormemente la mole di risultati ottenuti con essa. Il merito maggiore di questa generazione di matematici francesi fu innanzitutto quello, attribuibile a Descartes e Fermat, di aver trovato nalmente il modo di fondere algebra e geometria in una geometria analitica che permettesse di descrivere enti geometrici tramite espressioni algebriche, e che tanta parte avr` a nelle successive ricerche innitesimali. Sorvoleremo solamente, ora, i problemi di carattere applicativo che questepoca port` o con se e, come detto, le molte scoperte che furono allora conseguite. Fermat, con lo spirito del tecnico, non si pose infatti le remore tipiche di Descartes, assolutamente contrario a procedimenti che non avessero il carattere della piena limpidezza. Per questo, riusc` in breve tempo a fare ci` o che anche Cavalieri aveva fatto, cio` e calcolarea

xn dx, n Z {1}0

Il caso di n = 1, infatti, presentava ancora qualche problema, anche se era gi` a stato intuito che potesse essere correlato con i logaritmi. Moltissime ricerche allepoca verterono inoltre sulla determinazione di aree sempre pi` u complesse (come quelle della cicloide, della concoide, della foglia di Cartesio etc.) e sulla retticazione delle curve (problema non molto trattato nei secoli precedenti, se si escludono il celeberrimo caso della circonferenza e quello della spirale archimedea). Fermat e Pascal, inoltre, giunsero a determinare un caso particolare dellintegrazione per parti, senza essere per` o riusciti ad estendere questa conquista alla regola generale. Mancava infatti a loro, come a tutti i matematici precedenti, unidea chiara del concetto di dierenziazione. Ci` o` e comprensibile se si pensa che il problema delle tangenti ad una curva (problema che, come noto, ` e intimamente correlato al concetto di dierenziazione) non era stato mai trattato con la diusione e con linteresse con cui erano stati esaminati i problemi di quadratura: gli antichi, infatti, giunsero al pi` ua trovare alcuni procedimenti per determinare la tangente al cerchio, alle coniche e alla spirale di Archimede. Questo principalmente perch e essi potevano ricorrere solamente ad alcuni arteci geometrici, senza avere a disposizione il grande strumento della geometria analitica. Sia Descartes che Fermat, invece, giunsero, forti dei nuovi strumenti, a trovare, indipendentemente luno dallaltro, un metodo generale per determinare la tangente ad una curva F (x, y ) = 0 in un punto qualsiasi. Per il primo, ci` o verteva sulla costruzione di un cerchio che secasse la curva in due punti coincidenti (ovvero, la tangesse). Questo metodo fu per` o quasi subito semplicato da Frans van Schooten, che convert` il cerchio in una retta secante, e Johann van Waveren Hudde, che trov` o addirittura il modo di trovare successivamente la derivata (espressa in termini moderni) di una qualunque funzione polinomiale. Per Fermat, invece, fu innanzitutto importante trovare un metodo per determinare i punti di massimo e minimo di una curva, a cui fa seguito un metodo delle tangenti molto approssimativo e dimostrato solamente nel caso della parabola, e supposto vero per tutti gli altri casi. Questo ed il primo metodo sono importanti sia perch e contengono la prima trattazione moderna del problema fondamentale del calcolo dierenziale sia perch e esprimono gi` a tendenze che

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saranno poi proprie delle dimostrazioni successive. Il metodo di Fermat per trovare i massimi e i minimi, in particolare, consisteva nel trovare quei punti che, in termini moderni, soddisfacevano la seguente equazione:E 0

lim

f (x + E ) f (x) = 0. E

Fermat, per` o, che non possedeva n e una denizione precisa n e una nozione di limite, dovette ricorrere ad un articio che segna un punto di svolta per la nostra indagine. Egli pone, infatti, f (x) f (x + E ), intendendo per quanto scritto in epigrafe: egli non pone le due quantit` a esattamente uguali, ma molto prossime. Utilizzando la terminologia che sar` a poi propria di Leibniz, possiamo dire che egli renda f (x + E ) f (x) innitesimo. Un ulteriore problema gli venne poi dal fatto che, per risolvere questa adeguaglianza egli dovette prima operare tutte le semplicazioni possibili e soltanto dopo pot e procedere ponendo E = 0. Se lo avesse fatto prima, infatti, avrebbe irrimediabilmente ottenuto unidentit` a, inutilizzabile per lo scopo cercato. Siamo qui in presenza di uno dei primi problemi che lanalisi incontrer` a sul suo cammino: problemi che non derivano tanto da errori applicativi, ma da un difetto di fondo: la mancanza, per quella analisi, del solido fondamento del limite. Per il momento, per` o, forti degli ottimi risultati ottenuti, i matematici continueranno a riporre le loro speranze in questo metodo: no a quando la sua nebbiosit` a diventer` a cos` elevata da non poter essere pi` u tollerabile per un futuro procuo sviluppo. 2.2.3 Isaac Newton e le quantit` a uentiLinae describuntur [...] non per appositiones partium sed per motum continuum punctuorum. [...] Hae Geneses in rerum natura locum vere habent et in motu corporum quotidie cernuntur Isaac Newton

Importantissimo, per la nostra indagine, fu il contributo di Isaac Newton (1643-1727) e, prima di lui, del suo maestro Isaac Barrow (1630-1677). Egli, infatti, nonostante fosse di idee conservatrici (ammirando molto gli antichi e detestando lalgebra), pubblico sotto consiglio di un amico (che si seppe, pi` u tardi, essere Newton) il suo metodo di determinazione delle tangenti, che ricalca quello di Fermat ma compie due sostanziali passi avanti nella considerazione del triangolo caratteristico (il triangolo, cio` e, formato da due punti della curva innitamente vicini e dalla intersezione fra la parallela allasse delle ascisse passante per il primo e la parallela allasse delle ordinate passante per il secondo): egli consider` o, infatti, non un sono incremento ma due incrementi x e y , svolgendo ci` o che in termini moderni si scrive:x0 y 0

lim

y . x

Ci` o ovviamente permetteva di considerare le tangenti ad ogni curva in cui le due variabili x e y fossero legate da una qualche equazione algebrica, non

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necessariamente esprimibile come f (x) o f (y ). Ma fece di pi` u: nel risolvere questo limite, infatti, considerando f (x + a, y + e), essendo a ed e gli incrementi delle due variabili, arriv` o a trascurare tutti i termini in a ed e superiori al primo grado. Egli aveva gi` a intuito, infatti, che la piccolezza di a e di e fosse tale da rendere qualsiasi loro potenza trascurabile, a meno della prima. Fu con Newton, per` o, che la nuova matematica ricevette limpulso pi` u grande. Nato a Woolsthorpe nel 1643, Newton fu prima studente alla scuola di Grentham, per poi frequentare il Trinity College, dove avrebbe sviluppato il suo talento sotto la diretta inuenza di Barrow. Diventato professore nel 1669 (ricoprendo la cattedra che prima era stata del suo maestro), Newton fu impegnato nei pi` u svariati campi della ricerca, dalla meccanica allottica, dalla chimica alla matematica. Divenne membro della Accademia delle Scienze di Parigi e della Royal Society di Londra (di cui divenne, poi, presidente), fu nominato baronetto e seppellito, nel 1727, nellabbazia di Westminster, con tutti gli onori degni della fama da lui conquistata. Nel campo della matematica, importantissime furono le sue ricerche sulle serie numeriche, che lo portarono alla ben nota formula del binomio di Newton, che permette di calcolare lo sviluppo di (a + b)q per ogni q Q. Questo lavoro di Newton riveste un ruolo fondamentale per la nostra storia, data la predilezione che Newton avr` a, trattando di analisi, per gli sviluppi in serie. Ci` o che riveste per noi maggiore importanza, per` o, ` e il concetto che sta a fondamento dellanalisi newtoniana, vale a dire quello di ussione. Dierentemente da quanto si potrebbe pensare, questo concetto non fu aatto usato da Newton nella maggioranza dei suoi lavori, e specialmente nel suo capolavoro, i Philosophiae Naturalis Principia Matematica, in cui egli volle riconvertire tutte le dimostrazioni analitiche in dimostrazioni geometriche, per paura che la poca chiarezza potesse inciare i risultati sici raggiunti. Lidea newtoniana di ussione, comunque, parte da una considerazione di carattere sico, che ha a fondamento il concetto di tempo. Il tempo, infatti, scorre per Newton uniformemente ed in modo continuo (e scorrer` a cos` ancora per qualche secolo), e da questa uniformit` a prende origine il concetto newtoniano di quantit` a, vista come generated by continous motion, with denite (constant or variable) velocity [W.R. Smith - 1912, pag. 19]. Come la quantit` a, poi, cos` ` e generata la linea per moto continuo di punti, cos` le superci, i volumi, gli angoli etc. Se, per` o, il tempo scorre linearmente e con velocit` a costante, cos` non fanno la maggior parte delle grandezze che, come il tempo, uiscono continuamente. Diviene perci` o importante studiare le ussioni delle quantit` a uenti, in modo di riuscire a capire quale velocit` a queste quantit` a abbiano rispetto al tempo, lunica uente senza ussione (proprio perch e tutte le altre ussioni sono rapportate ad essa). Da qui prende piede la teoria newtoniana dellanalisi: data una qualunque espressione in due variabili, infatti, Newton cerca una nuova relazione che leghi la velocit` a di accrescimento delle due variabili. Quindi, ad esempio, data una y = f (x), Newton cerca quella funzione y = g (x ), che metta in relazione x ey , ovvero le ussioni delle due quantit` a. Con termini pi` u moderni, potremmo dire che Newton cerca la funzione derivata della funzione di partenza. Con ci` o, Newton aveva fondato il suo calcolo. Egli infatti ` e perfettamente a conoscenza di molte delle regole di derivazione che ci sono oggi note. Inoltre, egli evidenzia subito come di una quantit` a possano esistere successive ussioni,

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e come si possa cercare di risalire da una quantit` a x alla quantit` a x, di cui essa ` e ussione, creando la successione||| || | ... . . . , x, x, x, x, x, x , x, . . .

in cui, come nota lo stesso Newton, ogni termine rappresenta larea di una gura curvilinea di cui la quantit` a seguente a quella considerata ` e lordinata in un sistema di assi ortogonali ([L .Geymonat - 2008, pag. 131]). Con il principio di inversione, perci` o, il calcolo newtoniano pu` o dirsi completo. Nonostante la chiarezza di questi ragionamenti, Newton non volle utilizzarli, per la loro novit` a, allinterno dei Principia. Egli fu per` o comunque costretto a fare considerazioni di carattere innitesimale, data la mal celabile origine di tutti i suoi risultati. Ed ` e ivi che si dimostra tutta la grandezza di Newton. Nello spiegare il metodo utilizzato per giungere ai suoi risultati, da lui chiamato metodo dei primi e ultimi rapporti, Newton risponde infatti ad alcuni dubbi che gi` a allora erano evidenti, e che sono al centro del nostro lavoro. Gi` a al tempo, infatti, ci si chiedeva come potessero due quantit` a avere un ultimo rapporto: infatti, prima che esse svaniscano il loro rapporto non ` e lultimo, e allorch e sono svanite non ne hanno pi` u alcuno ([L .Geymonat - 2008, pag. 132]). Ma allora Newton aerma che l ultimo rapporto fra due quantit` a debba essere trovato non prima e non dopo, ma nellistante stesso in cui svaniscono ([L .Geymonat - 2008, pag. 133]). Potremmo allora pensare al triangolo caratteristico, e al rapporto fra i suoi due lati: e potremmo dire che questo rapporto vada trovato esattamente nellistante precedente a quando i tre vertici del triangolo collassano tutti in un unico punto. Tutti vedono i problemi di questo ragionamento: ` e molto dicile, infatti, visualizzare questo momento, e si potrebbe essere portati a pensare che se ` e dato lultimo rapporto di due quantit` a evanescenti, saranno anche date le ultime grandezze di tali quantit` a ([L .Geymonat - 2008, pag. 132]), ritenendo che esista un triangolo caratteristico innitesimo, in cui i lati abbiano grandezza innitesima. Ma se esistessero, queste sarebbero le ultime grandezze, ovvero le grandezze indivisibili di cui ogni quantit` a` e costituita. Poich e per` o, nonostante quanto aermato da Kepler e Cavalieri, ci` o` e impossibile (come ci hanno dimostrato Pitagora ed Euclide), Newton conclude che [gli ultimi rapporti] sono i limiti a cui si avvicinano i rapporti delle quantit` a innitamente ` evidente, come vedremo, decrescenti ([L .Geymonat - 2008, pag. 132]). E che qui Newton anticipa di secoli quello che sar` a lo sviluppo pi` u rigoroso dellanalisi innitesimale, quello che la priver` a di ogni contraddizione o stortura: il passaggio al limite, operato da Weierstrass nel XIX secolo. 2.2.4 Leibniz e il dx

Nato a Lipsia il 21 giugno 1646, Gottfried Wilhelm von Leibniz fu il losofo e lo scienziato che fece risollevare la cultura tedesca dopo la miseria in cui era precipitata a causa della Guerra dei Trentanni. Morto suo padre, Leibniz intraprese molto presto e di propria iniziativa il proprio corso di studi, attingendo profondamente dalla vasta biblioteca paterna, e mostrando n da subito lolistica vastit` a di interessi che lo accompagner` a per tutta la vita. Avendo studiato losoa e giurisprudenza a Lipsia, ed essendosi laureato ad Altdorf nel 1666, intraprese la carriera di diplomatico presso lelettorato di

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Magonza. E fu proprio per una missione diplomatica che si rec` o a Parigi nel 1672: ivi conobbe Christiaan Huygens (1629 - 1695), celebre sico e matematico del tempo, che lo introdusse alla nuova matematica in tempi incredibilmente brevi. Egli stesso studi` o per suo diletto Descartes, Pascal, Fermat e tutti i maggiori matematici che si erano occupati di questioni innitesimali. Dopo svariati viaggi fra la Francia, lOlanda e lInghilterra, in cui cercava sempre di ottenere maggiori notizie sui lavori di Newton, Leibniz si stabil` nel 1676 al suo nuovo posto di bibliotecario presso Johann Friedrich, duca di Brunswick, ad Hannover. Da questo posto privilegiato, Leibniz continu` o ad occuparsi di losoa e di scienza, contribuendo a dar vita a moltissime accademie e riviste scientiche. Nel 1684, a seguito di una pubblicazione di Ehrenfried W. von Tschirnhaus (1651 - 1708) sulla quadratura delle curve, pubblic` o egli stesso sugli Acta eruditorum da lui fondati una memoria che aveva intenzione di rendere nota gi` a dal 1677: la celebre Nova methodus pro maximis et minimis, itemque tangentibus, quae nec fractas nec irrationales quantitates moratur, et singulare pro illis calculi genus, in cui egli non fece nessun accenno ai lavori analoghi di Newton, mentre linglese aveva accennato alle ricerche di Leibniz ` da qui che inizi` in uno scolio ai suoi Principia. E o la lunghissima contesa fra Newton e Leibniz, che dura tuttora e non riesce, come non riusc` allora, a trovare un padre al calcolo innitesimale. Fatto sta che Leibniz mor` stanco e amareggiato nel 1716, dopo essere stato ripudiato dalla Societ` a reale di Londra (che aveva conferito la paternit` a del nuovo calcolo a Newton) dalla Societ` a delle scienze di Berlino (per la quale aveva redatto il primo statuto) e dalla casata Brunswick. Per quanto attiene al nostro lavoro, per` o, non ci interessano tanto limmensa vastit` a di interessi e di progetti a cui Leibniz fu sottoposto e collabor` o, oppure gli ignobili sviluppi della gi` a citata contesa sulla paternit` a del calcolo, o ancora le sottigliezze della sua losoa, quanto piuttosto le idee di Leibniz sui fondamenti del calcolo innitesimale. Per capire queste idee, per` o, ` e utile sottolineare quale fosse il ruolo conferito da Leibniz ai simboli, a cui si aggiunge il peculiare interesse, proprio della sua losoa e della sua persona, per le piccole dierenze. Cos` come in psicologia, infatti, ci` o che segna la dierenza fra due caratteri sono i piccoli elementi di distanza, cos` la matematica del suo tempo era insuciente perch e era incapace di trattare con le quantit` a innitesime, con i momenti di piccola dierenza nellevoluzione delle quantit` a. Lalgebra di Descartes, infatti, non era stata pensata per trattare con queste quantit` a, ed ` e perci` o criticata da Leibniz come calcolo delle grandezze nite: per questo essa non era in grado di assurgere a quel ruolo universale, di teoria ultima per il quale Descartes laveva concepita. Serviva pertanto una nuova teoria capace di divenire caratteristica universale, unalgebra innitesimale (come la chiama Bloch) che possa nalmente confrontarsi con ogni problema di carattere innitesimale. E questa algebra dovr` a essere, soprattutto, un nuovo sistema di simboli. I simboli erano infatti per Leibniz il fulcro di una nuova teoria, che avrebbe dovuto permettere (nella sua espressione pi` u elevata) una quasi meccanica operazione di ragionamento, fatta di scomposizione dei problemi complessi in problemi pi` u semplici, che avrebbero potuto essere risolti anche automaticamente se fosse stato escogitato per loro un sintetico ed appropriato sistema di simboli caratteristici. Limportanza della ricerca innitesimale di Leibniz, dunque, fu soprattutto questa, di aver posto le basi simboliche del nuovo calcolo, che lo distanziavano

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denitivamente dallaritmetica e dallalgebra precedenti. Sono di Leibniz, ad esempio, il termine funzione (1694), il simbolo e, soprattutto, il fortunato dy simbolo dx, con la ane simbologia dx per indicare la derivata di una funzione. Innanzitutto Leibniz invent` o il simbolo come una versione pi` u stilizzata ed allungata della S che normalmente a quel tempo era utilizzata per indicare una sommatoria al posto dellodierno . Quando introdusse questo simbolo, per` o, Leibniz si muoveva ancora sostanzialmente allinterno dellorizzonte della scuola galileiana, ritenendo, come Cavalieri, che tutte le grandezze fossero composte di indivisibili. Fu poi con la successiva lettura di matematici pi` u moderni e con lo studio e la riscoperta per proprio conto dellimportanza del triangolo caratteristico che Leibniz arriv` o ad una pi` u matura simbologia e, con essa, ad una propria teoria degli innitesimi. Con lo studio di questo triangolo, che egli ritiene lelemento peculiare di una curva, Leibniz si confront` o non pi` u solamente con la somma ma anche con il rapporto fra quantit` a piccolissime, notando n da subito lo stretto legame sussistente fra queste due operazioni, e fra il calcolo delle tangenti e delle aree. Cercando quindi di trovare una simbologia adatta ad indicare loperazione inversa rispetto a quella di integrazione, Leibniz arriva, attraverso una serie di passaggi, a denire il simbolo dx come dierentia inter duas x proximas, e a dy . Questo nuovo scrivere loperazione inversa rispetto a l dx = y come l = dx sistema di simboli permise a Leibniz di introdurre una pi` u intuitiva visione del mondo matematico: le aree non erano pi` u composte da corde ma da piccole aree (cos` , infatti, Leibniz giusticava il passaggio di dimensione che avveniva con lintegrazione), i volumi da piccoli volumi e cos` via. Con questa nuova simbologia, inne, Leibniz fu capace di arontare non solo molti problemi di carattere applicativo, ma anche di trovare facilmente le formule di derivazione del prodotto, delle funzioni composte e della funzione inversa. La grande versatilit` a e ampiezza di risultati del nuovo metodo port` o dunque Leibniz a proseguire sempre pi` u nelle sue ricerche. Fermiamoci per` o con lanalisi dei risultati del nuovo calcolo per analizzare meglio, invece, i suoi fondamenti. Lattenzione che Leibniz ebbe per le piccole dierenze, la sua simbologia e il suo linguaggio portarono infatti i matematici a lui successivi ad intendere il dx come eettivamente esistente, ad intendere insomma ci` o che Newton si era caldamente raccomandato di non indendere. In realt` a lo stesso Leibniz, con un linguaggio simile a quello di Newton, den` gli innitesimi come nzioni ben fondate della realt` a, che permettono di abbreviare ragionamenti che, altrimenti, sarebbero troppo lunghi da fare. Ci` o che importava, secondo Leibniz, non era tanto la stranezza di questo concetto di innitesimo, quanto piuttosto le capacit` a applicative del nuovo calcolo fondato su di esso. Ecco che quindi Leibniz segna una tappa fondamentale nel nostro lavoro, sia come colui che ha introdotto la simbologia che utilizziamo ancora oggi per denire un innitesimo, sia perch e egli ha dato proprio a questa idea, quella di innitesimo, unimportanza campale, pur non denendola mai compiutamente. Questa concezione di matematica e di innitesimi rest` o invariata per circa 150 anni, dando origine a moltissimi risultati ma, allo stesso tempo, segnando anche molti problemi.

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2.2.5

Il XVIII secoloAndate avanti e la fede vi verr` a Jean Le Rond dAlembert

Per tutto il Settecento, la ricerca matematica si pu` o dire fondata su questo motto, che fu di Jean Le Rond dAlembert (1717-1783) ma, si pu` o dire, avrebbe potuto essere attribuito a qualsiasi matematico del tempo. In questepoca, infatti, nessuno o quasi dubitava della consistenza della analisi innitesimale, nessuno metteva in dubbio una cos` procua branca della matematica. Ogni matematico di quel periodo, infatti, aveva una fede completa e incrollabile nellonnipotenza e nella generalit` a [dellanalisi innitesimale] [L .Geymonat - 2008, pag. 157]. Questa fede nellanalisi (o, meglio, nei risultati che essa consentiva di ottenere) aveva come retroterra una pi` u generale ducia nella scienza e nelle capacit` a umane tutte, tipica della temperie culturale illuminista che caratterizz` o gran parte del secolo. Una serie di opere scritte a cavallo fra i secoli lun contro laltro armati costituisce il riassunto pi` u ecace della matematica dellepoca: opere come la M ecanique Analitique di Lagrange, radicalmente diverse dalle opere poco posteriori di Augustin Louis Cauchy (1789 - 1857), che furono gi` a espressione delle nuove esigenze di rigore della matematica successiva: una matematica irrimediabilmente glia della rivoluzione francese, che vedr` a un orire di scuole superiori in ogni nazione europea, veri centri di sviluppo di una scienza che andava sempre pi` u specializzandosi. Fra queste due concezioni della matematica, per` o, a cavallo fra questi secoli cos` diversi fra loro visse un uomo, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, che fu il ponte ideale fra queste due dierenti concezioni della matematica e del calcolo, che tent` o di fornire una terza via allannosa questione dellinnitesimo.

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Linnitesimo in Hegel

Uno dei pi` u grandi ed inuenti loso mai vissuti, Georg W.F. Hegel non lasci` o che alcun campo del sapere cadesse al di fuori della sfera delle sue conoscenze, e la matematica non fece eccezione.

3.1

Vita e opere

Nato a Stuttgart nel 1770, Hegel studi` o teologia a Tubinga, dove strinse unamicizia con Friedrich H olderlin (17701843) e principalmente con Friedrich von Schelling (17751854) che costitu` una tappa fondamentale della sua formazione. Dopo un periodo in cui fu precettore a Berna e Francoforte e fu interessato soprattutto da tematiche sociali e religiose, a cavallo del secolo Hegel fu attratto dalla losoa critica di Immanuel Kant (1724-1804) e da quella del suo allievo Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), e per approfondire queste tematiche si trasfer` nel 1801 alluniversit` a di Jena, luogo centrale per la cultura idealistica e romantica. Dopo aver pubblicato poco pi` u che dei pamphlet (come la Dierenza fra il sistema losoco di Fichte e quello di Schelling del 1801), giunse nel 1807 a da-

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LINFINITESIMO IN HEGEL

re alle stampe Fenomenologia dello spirito, la sua prima grande opera. Chiusa luniversit` a di Jena per larrivo delle truppe di Napoleone, Hegel fu costretto a lasciare la citt` a e a trasferirsi a Norimberga, dove divenne insegnante di ginnasio no al 1815. Nel 1816 fu chiamato come professore di losoa alluniversit` a di Heidelberg, mentre nel 1818 ottenne la cattedra pi` u prestigiosa dellintera Germania, quella di losoa alluniversit` a di Berlino. Questo dopo aver pubblicato la Scienza della logica (Norimberga, 1812-16) e il suo capolavoro, lEnciclopedia delle scienze losoche in compendio (Heidelberg, 1817). Hegel manterr` a la cattedra di Berlino no alla sua morte, circondato di alunni e colleghi da cui era generalmente molto apprezzato. Pubblic` o a Berlino lultima sua grande opera, gli Elementi di losoa del diritto (1821), basati essenzialmente su un corso di studi tenuto ad Heidelberg. Mor` improvvisamente di colera nel 1831, cedendo la sua cattedra a quello che era stato lamico e rivale di una vita: Friedrich von Schelling.

3.2

Hegel e lanalisi innitesimale

Solitamente poco considerato rispetto alla losoa di Hegel (che contiene riferimenti ed accenni ad ogni disciplina nota al suo tempo) ` e il ruolo di primo piano rivestito in essa dalla matematica e in special modo dallanalisi innitesimale. Mi sono qui proposto, pertanto, di fare soltanto alcuni accenni a questo ruolo, concentrandomi in modo particolare sulla concezione hegeliana di innitesimo, che deve essere vista come il punto centrale di questo lavoro. In seguito, seguendo nello schema lopera di Remo Bodei ([R. Bodei - 1975]), a cui rimando per ogni approfondimento, noter` o il ruolo chiave della analisi innitesimale come fondamento di tutta la teoria hegeliana della esperienza. 3.2.1 Hegel e la matematicaLei sa che mi sono occupato moltissimo [...] anche di matematica, e recentemente di analisi superiore, del calcolo dierenziale [...] Hegel

Mi sembra doveroso, per` o, premettere a tutto il ragionamento alcune considerazioni di carattere pi` u specico circa il rapporto di Hegel con la matematica. Come si nota dalla epigrafe, tratta da una lettera di Hegel a Paulus del 1814, Hegel fu dedito anche allo studio della matematica, ed in particolare di quella nuova matematica di cui abbiamo parlato nelle sezioni precedenti: il calcolo innitesimale. Probabilmente, egli apprese questa nuova matematica sia dai testi pi` u antichi (Cavalieri, Newton, Leibniz) sia dalle sistematizzazioni settecentesche pi` u vicine a lui. ` un fatto poco noto, invece, che Hegel abbia insegnato aritmetica e geomeE tria alluniversit` a di Jena negli stessi anni in cui componeva la Fenomenologia dello spirito, tanto che anche Karl Popper ritenne che la sua presunta conoscenza matematica fosse solo frutto di millanteria (vedi [R. Bodei - 1975, pag. 227, nota 1]). I suoi corsi furono tenuti, come era tradizione in quegli anni, ex libro, cio` e utilizzando come testo di riferimento un manuale particolarmente

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chiaro ed aermato (tali erano, ad esempio, il manuale di Stahl per laritmetica ` curioso, in particolare, notare come e quello di Lorenz per la geometria). E Hegel ritenesse, non distante dalla maggior parte dei suoi contemporanei, che aritmetica e geometria fossero scienze chiare di per s` e perch e fondate su verit` a ovvie e conclamate. Quando, anzi, egli pens` o di scrivere un libro di aritmetica e geometria per linsegnamento nei licei, volle assolutamente lasciare fuori ogni riferimento alla losoa: questa scienza, senza mescolarvi la losoa, che non centra, pu` o essere trattata in modo pi` u intelligente e sistematico del solito, scriver` a in una lettera del 1812. Oltre a questi impegni pi` u tecnici, per` o, Hegel tratter` a diusamente allinterno delle sue opere della matematica in quanto tale e, specialmente, del rapporto fra matematica e losoa. Particolarmente signicativi a questo riguardo sono la Scienza della logica e la sezione Logica della Enciclopedia delle scienze ` un fatto, purtroppo, che queste trattazioni hegelialosoche in compendio. E ne furono particolarmente avversate da certi loso americani, come Popper o Bertrand Russell, le cui visioni sono oggi unanimemente considerate di eccessiva durezza e partigianeria (per una esposizione completa di queste problematiche vedi [T. Pinkard]). 3.2.2 Hegel e linnito matematico

Caposaldo fondamentale della sua losoa e concetto cardine dellepoca romantica, linnito fu sicuramente un ente, metasico prima che matematico, con cui Hegel era particolarmente familiare. La sua losoa, infatti, in quanto vero idealismo, partiva dal principio fondamentale della dissoluzione del nito nellinnito, dellidealit` a del primo che, in un continuo procedere dialettico attraverso la storia, avrebbe dovuto necessariamente annullarsi in quello che alcuni hanno denito il mare piatto della tranquillit` a: la totalit` a della realt` a, il solo ente a poter esistere di per s e, senza legami o relazioni con altri enti. Guardando alla matematica, invece, Hegel sostiene che i matematici posseggano il concetto di vero innito (cio` e quellinnito che ` e capace di conservare in s e tutte le dierenze dei niti, eliminandone le opposizioni) ma non lo esplicitano, non lo utilizzano in tutte le sue potenzialit` a, contentandosi solo di una sua versione sbrigativa, che sia in grado di portare tangibili risultati, senza preoccuparsi di quanto questo innito sia vero oppure no. Egli disprezza in particolare tutti i ragionamenti per serie numeriche, perch e essi non dimostrano il vero innito, ma lo nitizzano, mostrando solamente un numero nito di termini della serie (e non potrebbe essere altrimenti), e intuendo linnito o come progressione allinnito, potenziale ma mai raggiunta, oppure come unentit` a attuale che per` o, in quanto tale, sta al di l` a del nito. [T. Pinkard, pagg. 461-462]. Questultimo innito, per` o, ` e del tutto slegato dal nito (cosa inconcepibile nella losoa hegeliana), mentre la prima denizione non d` a conto di un innito esistente in atto, ma solamente in potenza, alla ne della serie (concezione pressoch e identica a quella Aristotelica di innito matematico). Quello hegeliano, invece, deve sia esistere che essere in rapporto con il nito, e deve pertanto contenere entrambe le denizioni, quella potenziale (che risiede nella serie stessa piuttosto che nella sua somma) e quella aermativa (che risiede cio` e nella somma della serie, e sta al di l` a dellinnito). Ed egli dimostra infatti come i due tipi di innito sostanzialmente si equivalgano, in quanto quello aermativo non fa altro che rappresentare idealmente ci` o che accade alla ne di quello che ` e

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solamente un movimento, ovvero la serie numerica, evidenziata come tale dalla concezione potenziale dellinnito. ` di particolare rilievo, inne, notare come Hegel prenda in seria consideE razione la denizione spinoziana di innito. Baruch de Spinoza (1632-1677), losofo ebreo olandese, ebbe infatti il merito, secondo Hegel, di aver trovato una denizione di innito capace di rendere la sua natura di determinazione assoluta o concetto assoluto [V. Verra - 2007, pag. 43]. Questa denizione si basava sullimmagine di due cerchi non concentrici, di cui uno fosse interamente contenuto nellaltro: le innite disuguaglianze possibili fra le distanze delle due circonferenze rendono bene, secondo Spinoza, lidea di innito in atto. Anche secondo Hegel, infatti, questa costruzione, assolutamente indipendente dalle dimensioni delle due circonferenze o da qualsiasi altra variabile, ` e cos` intimamente connaturata alla natura della cosa da poter essere utilizzata come costruzione che ben esponga alla intuizione la natura dellinnito actu, svincolata da qualsiasi riferimento numerico (vedi [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 275]). 3.2.3 Hegel e linnitesimo

` un fatto, per` E o, come fa presente [T. Pinkard], che la maggior parte della nota hegeliana La determinatezza concettuale dellinnito matematico (inclusa nella Scienza della logica ) sia dedicata al trattamento di una delle questioni pi` u scottanti dellepoca: il concetto di innitesimo, appunto. Hegel innanzitutto nota come lintroduzione dellinnito e dellinnitesimo nel ragionamento matematico abbiano sicuramente abbreviato moltissimi procedimenti (si pensi, ad esempio, alla lunghezza del metodo di esaustione) e come siano addirittura risultati indispensabili per trovare alcuni risultati non raggiungibili tramite procedimenti tradizionali. Ma, come scrive Hegel, questa maniera di calcolo dellinnito si mostra ` cio` travagliata dallapparenza dellinesattezza. E e innegabile che, nei procedimenti innitesimali, si consideri che linnitesimo o dierenziale dx sia come se fosse = 0 (si ricordi, ad esempio, il metodo delle tangenti di Fermat) sia come b se fosse = 0 (altrimenti, ad esempio, qualsiasi integrale denito a f (x) dx non avrebbe signicato, perch e sarebbe la somma di innite quantit` a tutte nulle). Hegel ha dunque riscontrato i dubbi tradizionali sul concetto di innitesimo quale era stato presentato soprattutto da Leibniz: un numero pi` u piccolo di ogni altro numero ma non nullo. Numeri di questo tipo non se ne erano mai visti, ed era anche dicile congurarseli. Per questo, scrive Hegel, i matematici avrebbero cercato, nel corso del tempo, una analogia o una ratio che rendesse pi` u chiaro il procedere o lo guidasse segretamente. Cos` ad esempio Hegel critica il divisibile evanescente newtoniano perch e non ` e ben chiaro il momento in cui debba essere considerato il rapporto. In questo, per` o, Hegel dimostra di non tenere in giusta considerazione le frasi successive che anticipano, come detto, lidea moderna di limite, e per questo sar` a duramente criticato da [W.R. Smith - 1912]. Allo stesso modo, Hegel critica le posizioni di Guillaume F. A. Marquis de LH opital (1661-1704) e di Christian Wol (1679-1754). Questultimo in particolare si serviva di immagini geologiche ed astronomiche per permettere al suo lettore di comprendere lidea di dierenziale. Esso, infatti, era minuto e trascurabile come un granello di sabbia portato via dalla cima di un monte, che non ne altera minimamente la forma, o come laltezza delle case o delle torri nel calcolo delle eclissi

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Hegel e lanalisi innitesimale

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lunari [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 286]. In ci` o Hegel vede un malaccorto tentativo di Wol di rendere comprensibile il concetto di innitesimo, secondo la sua maniera di render popolari le cose, facendo cio` e perdere al concetto la sua purezza, e mettendo in luogo suo inesatte rappresentazioni sensibili. [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 285]. Nel periodo immediatamente vicino ad Hegel, invece, furono scritti testi fondamentali sui fondamenti del calcolo innitesimale, che rappresentavano linizio di un fecondo movimento di convergenza tra metasica e calcolo innitesimale [R. Bodei - 1975, pagg. 230-231]. Esponenti di spicco di questo movimento furono DAlembert, Lagrange e Lazare N. M. Carnot (1753-1823) In particolare si pensa che Hegel fosse a conoscenza delle voci Limite e Di erentiel scritte proprio da dAlembert per la celebre Encyclop edie. Nella seconda, in particolare, dAlembert d` a sostanzialmente conto delle posizioni prese sullinnitesimo no a lui, dandone una piuttosto scarna denizione: On appelle dans la haute G eom etrie, quantit e di erentielle ou simplement di erentielle, une quantit e inniment petite, ou moindre que toute grandeur assignable. [dAlembert & Diderot, Dierentiel]. DAlembert aveva scritto sullargomento anche il trattato Sur les Principes m etaphysiques du calcul innit esimal (in M elanges de litt erature et de philosophie, 1768), che era per` o ignoto ad Hegel. A dimostrazione della vivacit` a con cui si sviluppava il dibattito in quegli anni, basti ricordare che Lagrange, come presidente dellAccademia delle Scienze di Berlino, indisse un concorso che richiedeva di trovare une th eorie claire et pr ecise de ce quon appelle Inni en Math ematique [R. Bodei - 1975, pag. 233], con particolare riferimento, ovviamente, al problema dellinnitesimo. A questo concorso parteciparono molti matematici di punta dellepoca, fra cui spicca il nome di Carnot, che present` o le sue R eexions sur la m etaphysique du calcul innit esimal. Il premio, per` o, fu vinto da Simon LHuilier (1750 - 1840), con il suo Exposition el ementaire des principes des calculs sup erieurs. Lo stesso Lagrange, inoltre, avrebbe anche lui cercato, in seguito, di trovare nuove fondazioni allanalisi. La sua voleva essere unanalisi d esgags de toute consid eration dinniment petits, come Lagrange stesso scrive nel sottotitolo alla sua Th eorie des fonctions analytiques (1797). Il suo intento, pertanto, era di recuperare lapproccio seriale, che era stato del primo Newton, per sottrarsi alle dicolt` a che accompagnano la rappresentazione dellinnitamente piccolo [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 296]. Con questo nuovo metodo ottenne anche importanti risultati (come la dimostrazione del teorema di Taylor e del resto della serie di Taylor), ma si discost` o nettamente da quello che sarebbe stato poi lo sviluppo della analisi innitesimale, in cui il concetto di limite avrebbe ripreso vigore. Hegel pensa che i matematici francesi abbiano s` toccato il punto pi` u alto della matematica contemporanea [R. Bodei - 1975, pag. 234], ma rigetta il loro modo di vedere. Egli utilizza, contro questa concezione, due categorie di argomenti: da un lato egli ritiene la serie utilizzata superua, in quanto poich e non ` e dessa che nel fatto vien cercata, si porta dietro un troppo [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 336], mentre dallaltro il suo riuto ` e legato alla sua losoca avversione per il cattivo innito, ovvero per linnito potenziale, per quellinnito ideale rappresentato da una quantit` a innitamente crescente ma che non ` e compiutamente innita.

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Il primo motivo considerato, in particolare, ` e spiegato dal secondo: infatti qualora noi pervenissimo (come Hegel fa) ad una concezione matematicolosoca di innito (e, quindi, di innitesimo), pienamente soddisfacente, ecco allora che la serie diverrebbe un di pi` u, un accessorio assolutamente inutile, che rende solamente pi` u pesanti le dimostrazioni. In pi` u lo strumento della serie, come gi` a detto, ` e rigettato perch e addirittura dannoso, in quanto predispone a quellidea di cattivo innito che Hegel cerc` o cos` radicalmente di eliminare nella sua losoa, criticando aspramente chi, come Fichte, aveva, a suo dire, costruito un sistema losoco proprio su unidea erronea, ideale, cattiva, nita di innito. Secondo Hegel, infatti, ` e pur vero che una frazione qualunque (ad esempio, 2 ) pu` o essere espressa dal suo sviluppo decimale (nel caso specico, 0.285714), 7 1 o che speciche funzioni (come ad esempio 1 x considerata nellintervallo [0, 1]) possono essere approssimate da speciche serie polinomiali (come, ad esempio, 1 + x + x2 + x3 + + xn + . . . ), ma queste serie esplicitano il quanto (vale a dire lente matematico, sia esso una funzione o un numero razionale) come moltitudine di tali che si aggiungono luno allaltro, ossia come un numero di volte [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 271]. Ogni entit` a matematica, dice Hegel, pu` o essere espressa sotto forma di serie, cio` e di somme innite: se, ad esempio, consideriamo una frazione che ha espressione decimale nita (come, ad esempio, 1 10 = 0.110 ), essa potrebbe non averla in un sistema diverso (come, ad esempio, 1 quello ternario, in cui 10 = 0.00223 ). E tutti i numeri che non hanno espansione frazionale nita sono potenzialmente delle serie: essi, infatti, sono la somma di ogni cifra della loro espansione frazionale, moltiplicata per lesponente cor0 1 rispondente (ad esempio, 2 + 8 102 + . . . ). Ritroviamo 7 = 0 10 + 2 10 qui in Hegel quellattenzione per i simboli e per le notazioni che avevamo visto essere propria di Leibniz, quella elevata considerazione dei simboli che li rende parte integrante dellessenza dellente indicato. Qual` e, dunque, la scrittura preferibile? Il rapporto o la serie? La risposta dovrebbe essere ovvia, data lavversione hegeliana per ogni tipo di cattivo innito. Inutile dire, infatti, che per Hegel con la serie sparisce anche il lato secondo cui il frutto [cio` e lente matematico], come gi` a fu mostrato, aveva linnit` a in lui [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 272], e che linnit` a della serie sia la cattiva innit` a del progresso. Hegel, infatti, riconosce pure che linnit` a` e entrata qui [nella serie] in unaltra maniera: vale a dire che la serie stessa ` e innita: nella sua totalit` a, infatti, nellinnit` a dei suoi passaggi, la serie equivale al rapporto, esprime realmente lo stesso ente matematico. Ma mentre il rapporto lo esprime immediatamente e compiutamente, contenendo in s e linnito aermativo, al numero di volte, che ` e espresso in serie, manca sempre qualcosa, cosicch e per raggiungere la determinatezza richiesta si deve oltrepassare quello che ` e stato posto. ` E da questo discorso, dunque, che prende le mosse la teoria hegeliana degli innitesimi. Anche nellinnitamente piccolo, infatti, il vero innito ` e conte, e non negli innitesimi separati dx e dy : le nuto solamente nel rapporto dx dy forme che di esse [le grandezze variabili] si presentano, dx e dy , debbono dx assolutamente prendersi solo come momenti di dx dy , e lo stesso dy si deve riguar` dare come un unico segno indivisibile [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 297]. E quindi il rapporto, e solo esso, che ha lincredibile capacit` a di trasformare la quantit` a in qualit` a, di togliere il quantum e di superarlo, per poi farlo ritorna-

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re in s e dalla sua dierenza, oltrepassando i limiti e le barriere quantitative [R. Bodei - 1975, pag. 236]. Nelloriginale concezione hegeliana, dunque, una cosa non svanisce nellassolutamente piccolo, come non va oltre di s e nellassolutamente grande [R. Bodei - 1975, pag. 236]. Per Hegel, infatti, la grandezza scompare del tutto nellinnitamente piccolo, non rimane nulla di essa se non la sua qualit` a, un sistema di rapporti. Infatti, poich e la grandezza ` e essenzialmente questo: non ` e una determinatezza della cosa stessa, essa non ha realt` a sua propria, ma ` e necessariamente un derivato da qualcosa di pi` u fondamentale. Questo qualcosa ` e appunto il sistema di momenti in cui si viene a generare tutto linsieme dopo la scomparsa della quantit` a e la sua trasformazione in rapporto [R. Bodei - 1975, pag. 237]. In questo sistema di momenti ritroviamo tutte le caratteristiche della dialettica hegeliana: esso, infatti, ` e ununit` a di opposti che non sono nulla al di fuori di questa opposizione, al di fuori di questo rapporto [R. Bodei - 1975, pag. 237], ` e una sintesi perfettamente hegeliana di tutti i momenti, di tutte le quantit` a innitesime. In questo sistema, il dx non esiste pi` u di per s e, in quanto nito, ideale, slegato da tutto il resto del sistema: il dx equivale dunque agli indivisibili di Cavalieri, ` e la presunta ultima grandezza possibile che, per` o, non esiste in quanto tale, ma ` e posta solamente come tesi. Negando se stesso nellinnit` a di tutto il sistema, nella totalit` a di tutti i momenti, linnitesimo entra nella sintesi di tutto linsieme, scomparendo nella sua nitezza e conservandosi come rapporti: la quantit` a evanescente [` e] contemporaneamente conservata e soppressa (proprio aufgehoben, come gli opposti dialettici), utilizzata e ripudiata, [` e] = 0 e non lo [` e] [R. Bodei - 1975, pag. 229]. Gli innitesimi, come scrive lo stesso Hegel, si tolgono nellatto stesso in cui vengono rappresentati nella loro opposizione al sistema come unit` a [R. Bodei - 1975, pag. 237]. Come in ogni sintesi dialettica, duqnue, ci` o che ha valore non sono pi` u le cose isolate, gli enti presi di per s e, ma solo le loro relazioni e, soprattutto, le loro opposizioni, come prima e pi` u importante forma di relazione: come momento esso [linnito o linnitesimo] ` e in unit` a essenziale col suo altro, solo come determinato mediante questo altro, vale a dire ha un signicato solo in relazione a qualcosa che sta con lui in rapporto [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 269]. Questa concezione hegeliana dellinnitesimo non ebbe, purtroppo, molta fortuna in matematica: si pu` o solo ravvisare in essa, e nella eliminazione del dx in quanto tale, unanticipazione di quanto verr` a dopo, un preludio al nuovo concetto di limite portato da Weierstrass, e gi` a anticipato, come abbiamo visto, da Newton. La sua scarsa risonanza nellambiente matematico, per` o, non giustica il modo in cui linnitesimo hegeliano ` e stato dimenticato: esso rappresenta, infatti, uno dei primi tentativi di giusticare losocamente i fondamenti della matematica, una delle prime visioni losoche delluniverso matematico. In questo Hegel, abilissimo nellincludere nel suo sistema qualunque branca del sapere, ` e riuscito perfettamente nel suo intento, lasciandoci una teoria compiuta e fondata su un solidissimo retroterra losoco, incastonata perfettamente nella armoniosa organicit` a della losoa hegeliana.

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La teoria hegeliana dei quanti inniti riserva ancora molti spunti interessanti. Facendo essa infatti parte del complesso sistema hegeliano, che ` e esso stesso

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frutto di una armonica sintesi dialettica fra tutte le suddivisioni parziali della totalit` a del sapere, la sua importanza sta proprio nella sua relazione con tutto il sistema, nella sua capacit` a di essere, da sola, immagine della totalit` a della losoa hegeliana. Essa pu` o essere, come ogni altra partizione del sistema, il punto di partenza per esporre, con la sua terminologia, tutta la losoa hegeliana. 3.3.1 Matematica, realt` a e storia

` innanzitutto importante vedere come questa concezione innitesimale sia traE sposta nella polemica hegeliana contro Schelling, come cio` e essa possa essere trasferita dalla realt` a matematica alla realt` a tout court. Alla visione schellighiana della realt` a, fatta di momenti quantitativamente dierenti in progressione ascendente (simile alla serie di potenze a, a2 , a3 , . . . , an , . . . ), Hegel sostituisce infatti una visione qualitativa della realt` a, in cui tutti i quanta niti divengono rapporto, relazione sussistente entro tutta la realt` a, no alla relazione innitesima dx . Hegel ci d` a dunque unimmagine della realt` a come regolata dalla qualit` a dy piuttosto che dalla quantit` a, e mentre in Schelling lAssoluto era un insieme di dierenze meramente quantitative [R. Bodei - 1975, pagg. 237-238], la totalit` a della realt` a diviene qui sistema di momenti qualitativi, che non annullano le dierenze fra le varie nit` a, ma eliminano la loro stessa nitezza, il loro essere separate le une dalle altre. Allo stesso modo, la visione matematica pu` o essere trasferita allepoca che Hegel vive, a quella et` a di gestazione e di trapasso a una nuova et` a (come egli la denisce nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito ) in cui lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato no ad oggi. Il vecchio mondo, infatti, non si distrugge radicalmente: si dissolve, si sbocconcella, ma non cade nel nulla [R. Bodei - 1975, pag. 238]. Piuttosto che disintegrarsi o modicare lentamente la sua natura quantitativa, infatti, il vecchio mondo si frammenta, si divide in una totalit` a di dx quasi impercettibili, che non si risolve in lente modicazioni, ma in rivoluzioni . Per cambiare assetto, la realt` a si riorganizza, riordina il suo insieme di rapporti, raggiungendo, secondo Hegel, la sua compiutezza, il momento in cui la quantit` a, lidealit` a, la nitezza sarebbero state denitivamente sostituite dalla qualit` a, dalla concretezza, dallinnit` a: lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova gura e dissolve brano a brano ledicio del suo mondo precedente [R. Bodei - 1975, pag. 238]. Da questa particolare concezione di mutamento deriva anche la critica di Hegel al ciceroniano historia magistra vitae e alle utopie come inversioni positive del presente: poich e ogni nuova gura dello svolgimento dialettico del reale, ogni nuovo mondo ` e qualitativamente diverso, irripetibile, allora lo studio parziale di qualsiasi mondo nito, di qualsiasi momento storicamente determinato, di qualsiasi gura, di qualsiasi sistema di rapporti slegato da quelli passati e da quelli futuri, non pu` o portare a delle considerazioni generali sullo sviluppo della storia e su ci` o che accadr` a. Infatti se ` e pur vero che il passaggio da un momento allaltro ha il carattere della necessariet` a, che lo sviluppo storico dei sistemi di rapporti ` e destinato ad evolversi progressivamente, ` e pur vero che linterpretazione corretta di questo sviluppo pu` o essere solo data a posteriori, riguardando allo sviluppo della realt` a come fa la nottola di Minerva che si risveglia solamente a sera, quando il giorno ` e ormai concluso. Hegel vede perci` o come anche la storia debba risolversi in un sistema di rapporti, come non solo la

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Dallinnitesimo al sistema

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retta dei numeri, non solo la totalit` a della realt` a ma anche linsieme di tutte le realt` a storicamente determinate sia, in verit` a, un sistema organico di rapporti, in cui ogni momento determinato si annulla e si conserva come il dx nella totalit` a dei numeri. Il concetto di mutamento pu` o essere dunque derivato da questa concezione del calcolo innitesimale. Data la determinazione qualitativa della realt` a sul modello della determinazione innitesimale dei numeri, infatti, risulta chiaro come il movimento del reale ha i caratteri di una lenta rivoluzione, simile a quella del sole nella volta celeste. Il passaggio da unepoca ad unaltra non avviene dunque, come gi` a accennato, ex abrupto, ma ` e frutto di una lunghissima serie di piccolissimi mutamenti, che ` e compito della losoa identicare come segnali di unepoca di rivoluzione. Simile allaruspice del mondo antico, che interpretava le viscere degli animali, il volo degli uccelli e i sorprendenti fenomeni naturali, luomo hegeliano interpreta le minute vibrazioni del reale alla ricerca di una tendenza globale. Se non facesse cos` , ritornerebbe a considerare le piccolezze nite del reale, i dx slegati dalle loro relazioni con tutto linsieme, i granelli del Monte Bianco, cio` e linnitamente piccolo ed insignicante del senso di Wol [R. Bodei - 1975, pag. 240]. 3.3.2 Finito e innito

Linterpretazione hegeliana dellanalisi innitesimale riesce bene a spiegare anche il rapporto fra nito ed innito, uno dei capisaldi della losoa hegeliana. Nel corso degli anni si sono succedute molteplici interpretazioni di questo rapporto: negli anni fra il 1948 ed il 1962, in particolare, la losoa italiana vicina a Galvano Della Volpe (1895-1968), Lucio Colletti (1924-2001) e Nicolao Merker (1931), in contrasto con la tradizione idealistica di cui era stato espressione Giovanni Gentile (1875-1944) ha interpretato questo rapporto come una distruzione del nito, come un totale rigetto del sensibile e del nito che sarebbe nato sul terreno della mistica o del ritorno a Platone [R. Bodei - 1975, pag. 240]. In realt` a, come spiega giustamente [R. Bodei - 1975], facendo nascere questo rapporto sulla base del calcolo innitesimale e della sua metasica, esso risulta molto pi` u chiaro da esporre e da comprendere. Il nito, infatti, non ` e in Hegel distrutto totalmente, ma vive nel suo stesso annullarsi, nellintegrale dellintero [R. Bodei - 1975, pagg. 242-243]. Il punto centrale ` e, infatti, il grande interesse che Hegel ha per il continuo mutamento del reale piuttosto che per la sua statica. Dato questo interesse, Hegel vuole concentrarsi sul presente, sul momento eternamente stante davanti ai nostri occhi e sempre diverso, in cui proprio i mutamenti accadono. Egli vuole superare loperato astratto di Kant, che guarda solo sopra di s e e dentro di s e, non vuole negare il nito come i romantici o Fichte, che portano ad un progresso innito per raggiungere linnit` a e, dunque, alla mestizia del nito che, conscio di non esistere di per s e, guarda allinnito come ad un punto ideale. La losoa di Hegel, invece, ` e una losoa che vuole assistere alla negazione del nito, per arontarla e superare la devastazione causata da essa: il pensiero della nit` a delle cose porta con s e questa mestizia poich e una tal nit` a` e la negazione qualitativa spinta al suo estremo [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 129]. Nonostante ci` o, nonostante questo travaglio del negativo a cui luomo hegeliano deve prestare attenzione, il nito non ` e completamente distrutto, ma

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solamente riorganizzato in un nuovo sistema di rapporti. Esso, infatti, non avrebbe potuto n e morire del tutto, senza una controparte, facendo precipitare la realt` a nel nulla, n e annullarsi nellinnito. Questutlimo ha infatti non meno idealit` a del nito, tanto ` e vero che chi pensava che Hegel avesse distrutto lidea di un Dio trascendente identicava questo Dio con linnito matematico, arrivando ad appellare Hegel come distruttore dellinnito. Ci` o che interessa veramente a Hegel ` e perci` o, come abbiamo gi` a sottolineato, il movimento, il cambiamento, la dinamicit` a del reale, e in particolare labilit` a di nito ed innito di tornare ciascuno a s e per mezzo della propria negazione, di trasformarsi luno nellaltro e di completarsi. Il nito sarebbe dunque ideale senza linnito, mentre una negazione troppo drastica del nito avrebbe un risultato simile a quello chtiano, di mestizia e devastazione. La negazione del nito deve dunque ricalcare quella del dx, deve negare solamente la sua realt` a astratta, al di fuori del rapporto con ogni altro nito, cos` come il dx era stato negato solo come preso al di fuori del rapporto e della relazione dx dy e non in quanto tale. Cos` come il quantum matematico non ` e morto del tutto ma ritorna b nellintegrale a y dx, operazione inversa del rapporto dx/dy , cos` il nito torna come soggetto di relazioni allinterno di una totalit` a pi` u vasta: linnito e il nito stan cost` solo come momenti di un tutto, e [...] si presentano ciascuno solo per mezzo del suo opposto, ma insieme [...] per mezzo del togliere del suo opposto. Proprio per questo, dunque, ` e errato pensare, come la concezione comune fa, che Hegel identichi il nito ed il sensibile come vuota apparenza, come accessorio. In realt` a, sia il nito che linnito esprimono quella stessa totalit` a, espressa dallo spirito come conuenza del tutto [R. Bodei - 1975, pag. 244]. Per questo anche il mondo sensibile, se riguardato in rapporto con il vero e proprio idealista, cio` e con lo Spirito, pu` o essere un utile oggetto di studio, che vada elaborato come il lavoro umano elabora le materie prime, idealizzandole e plasmandole ad uno scopo ben preciso. Luomo hegeliano, perci` o, non deve guardare con sdegno n e al quantum n e al nito, perch e entrambi sono stati conservati prima di essere tolti nel processo dialettico, cos` come non deve guardare con disprezzo al sensibile, perch e espressione della stessa totalit` a di cui ` e espressione lo spirito. Questo ` e, in fondo, il vero spirito di Hegel, una volont` a di conservazione di ogni aspetto del reale, per incastonarlo in una teoria che lo comprenda tutto, ogni suo aspetto, branca e meandro, come un gioiello ornato di tutte le gemme esistenti. 3.3.3 Calcolo, esperienza e conoscenza

Lultimo ambito in cui il calcolo si rivela illuminante ` e la teoria hegeliana del` proprio il passaggio fra queste due, infatti, lesperienza e della conoscenza. E lambito in cui si riscontra il maggiore parallelismo con la teoria hegeliana degli innitesimi. Mettendo infatti in rilievo la legge della continuit` a, cio` e quella legge che permette il conservarsi del rapporto per mezzo del dileguare dei quanti, [R. Bodei - 1975, pag. 245] e consente di mettere in rilievo il puro rapporto e di far dileguare la determinazione irrelativa [G.W.F. Hegel - 1968, pag. 284] (cio` e quella che d` a realt` a al quanto anche quando ` e fuori da un rapporto), Hegel paragona il suo ruolo, ed il procedimento operato nel passaggio dal dileguare dei quanti al sistema di r