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Ada Piselli Psicologa, Psicoterapeuta Io e noi - Abitare i luoghi e le memorie

Io e Noi - Abitare i Luoghi e Le Memorie

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Intervento della psicologa Ada Piselli sul tema dell'abitare i luoghi e le memorie per il laboratorio di Sintesi Finale della Scuola del Design del Politecnico di Milano 'Avanzi'

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Page 1: Io e Noi - Abitare i Luoghi e Le Memorie

Ada PiselliPsicologa, Psicoterapeuta

Io e noi - Abitare i luoghi e le memorie

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Io e noi - Abitare i luoghi e le memorieAda Piselli – Psicologa Psicoterapeuta

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Noi siamo carne e geografia(Franco La Cecla, 2000)

Noi abitiamo i luoghi, li usiamo. E i nostri modi di stare negli spazi

dipendono da noi, dalla nostra storia e dalle nostre disposizioni e

necessità momentanee, ma anche dalla struttura dei luoghi stessi,

come sono fatti, come sono stati pensati ed immaginati, come sono

diventati nel tempo e con il passaggio di altri prima di noi.

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I luoghi ci accolgono, ci respingono, ci raccontano delle storie, ci

costringono a movimenti che non ci sono familiari o al contrario ci

rendono le cose facili, ci invadono con suoni, rumori, odori, ci

ignorano, ci fanno sentire smarriti, a volte, o piccoli, o padroni

dell'universo, ci permettono di incontrare gli altri o di mantenere le

distanze, ci consentono di riposare o ci mettono fretta. E noi

rispondiamo a queste sollecitazioni innanzitutto come esseri biologici

(i rumori oltre una certa soglia danno fastidio praticamente a tutti, ad

esempio), ma anche come individui con proprie identità, motivazioni

e bisogni, e come membri di comunità che condividono spazi e

storie.

Dei luoghi, come di noi stessi, noi ci costruiamo mappe, che servono

innanzitutto ad orientarci nello spazio (dove sono la farmacia, il

lattaio, il distributore di sigarette, la scuola...) e che poi diventano

rappresentazioni di un altro livello, attorno alle quali si coagulano

affetti, desideri, timori, ricordi, matrici di significati che ci permettono

non solo di muoverci nei luoghi, ma anche di dare un senso alla

nostra esperienza dei posti e di noi.

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Le mappe mentali hanno anche una dimensione collettiva, sociale. Ci

sono luoghi che hanno significati per intere comunità, che veicolano,

restituiscono agli abitanti e ai frequentatori dei luoghi pezzi di storia,

frammenti di qualcosa che dà senso all'oggi e diventa pertanto

identitario. Sono spesso luoghi che hanno a che vedere con eventi

storici significativi, altre volte luoghi di uso quotidiano, come le piazze

dei mercati, gli ospedali, i giardini pubblici, che rivestono un ruolo

specifico, pratico e simbolico al tempo stesso, nella vita della

comunità.

L’uso, la conservazione e la gestione di questi luoghi sono faccende

delicate, che pongono questioni non solo di tipo tecnico o estetico,

ma anche relative a memoria, identità e futuro.

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Page 8: Io e Noi - Abitare i Luoghi e Le Memorie

Nella primavera del 2009 la East Side Gallery, la galleria a cielo

aperto che ospita blocchi di muro dipinti da artisti famosi nei mesi

successivi alla caduta, ha subito un’importante restauro.

I graffiti, segnati dal tempo e dal passaggio di molti che hanno voluto

lasciarvi un segno, sono stati ripuliti, il muro stesso è stato stuccato

ed intonacato. Nei mesi successivi gli artisti sono tornati a Berlino e

hanno riprodotto le opere originali.

L’immagine del muro “aggiustato” è in qualche misura disturbante per

chi ricorda con chiarezza ed emozione i giorni successivi al 9

novembre 1989 ed i berlinesi all’opera per buttare giù con tutti i

mezzi il simbolo di tanta sofferenza, separazione, morte.

Quale dunque il senso di questo restauro? Quale identità racconta?

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Ci sono forze che influenzano e talvolta determinano i nostri

comportamenti in un dato contesto, dall'alto, che noi non possiamo

influenzare o modificare nell'immediato: le leggi dello stato, gli aspetti

contestuali come la struttura del luogo in cui ci troviamo, la presenza

di nostri consimili, eccetera.

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Ma ci sono anche forze “dal basso”.

Quello che qui vorrei suggerire è che abitare, vivere, utilizzare un

luogo, costruire quelle rappresentazioni e quelle mappe è un

processo attivo ed originale che non ricalca né fotografa l'ambiente

così come è. Non lo può ignorare, certo, ma lo può immaginare.

Se uno vede una panchina dove non c'è pensiamo che abbia dei

problemi con il contatto con la realtà. Ma se uno vede nel gradino di

cemento che delimita le aree verdi una possibilità di seduta allora

vediamo un pensiero creativo, una lettura e una mappatura

personale dello spazio, un appropriarsi dei luoghi. Che è una delle

possibilità che abbiamo. Quasi sempre.

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L'identità ha a che vedere con le nostre appartenenze, familiari,

geografiche, culturali. Si confronta con, ed assimila (ma non

necessariamente obbedisce) regole esplicite ed implicite, emozioni,

ricordi, memorie, tradizioni, credenze. Le nostre appartenenze ci

aiutano a definirci, a capire chi siamo o chi non vogliamo essere.

Abbiamo bisogno di riconoscerci, ma anche di essere riconosciuti.

E abbiamo bisogno di non sentirci soli. Di poter condividere, in alcuni

passaggi delle nostre vite, con altri le premesse ed i valori che

orientano le nostre scelte. ”.

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L'identità ci permette di dire “io”, ma anche di poter dire “noi”, e di

distinguere, quando è necessario, “io” da “noi”. Perché le

appartenenze ci vincolano in qualche modo a perpetuare tradizioni

ed abitudini, e trovare un bilanciamento, un equilibrio, tra esigenze di

condivisione e bisogno di individualità non è una faccenda che si

risolve una volta per tutte, ma è una questione che si ripropone ad

ogni bivio, ad ogni svincolo.

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“We,” meaning you and I, or all of us, is a simple word but a very difficult notion, often slow to mature.”

Ernest Hartmann

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No matter how we think of the content of our minds — whether we

think in everyday terms of thoughts, feelings, memories; in cognitive

psychology terms of perceptual processes, semantic processes,

memory processes (or “modules”); or in psychoanalytic terms of ego,

id, superego, defenses, etc. — we are speaking of parts, regions,

processes, which in some sense can be considered separate from

one another, and yet which are obviously connected. The boundaries

between them are not absolute separations. The boundaries can be

relatively thick or solid on the one hand, and relatively thin or

permeable on the other hand.

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No matter what our style of boundaries, it is a serious effort to

balance a tenuous “we” with an established and sometimes

overwhelming “I” and “You.”

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The idea of a more-or-less equal “we,” consisting of multiple

interactions and interconnections is usually not easy for us. It is

especially difficult in traditional societies, and at times of threat or

danger. It appears to be more difficult for men than for women. When

there is less threat, the ideal “we” can slowly grow and develop. This

applies to individuals, to groups and to nations, as we will see later.

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When one feels one’s own group is threatened, almost everyone

tends to shift towards thicker group boundaries. These boundaries

are especially susceptible to the Amoeba Principle. This shift occurs

even in those who have relatively thin boundaries in most areas. The

more enemies surround us, the more we think in terms of “my group”

or “my tribe.” Such thick-boundary group solidarity can be useful at

times of great external danger, but it can also become a danger itself.

The recent history of Yugoslavia and of the Middle East illustrates

this dramatically.

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The broad categories such as “Europeans” or “citizens of the world”

sound beautiful but they have not yet attained the gut-level solidity of

“my tribe” or “my people.” We still think much of the time in the old

thick boundary ways, and perhaps we need to do so, insofar as the

world is still a dangerous place.

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We are part of a group, or of many groups. We are also part of a

family, maybe of an extended family grouping, part of an ethnic group

or a race, or part of several. We are citizens of a town, a state or

region, a nation, a group of nations. We also have jobs, careers, and

a variety of roles in our society. Which of these defines us, which of

the groupings tells us “who we really are”?”

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L'identità è dunque una mappa complessa e dinamica che deve

bilanciare esigenze di stabilità e istanze di cambiamento.

Il cambiamento è un dato biologico ed esperienziale. Ed è inevitabile.

Quando si parla di identità si parla di memoria, ma anche, sempre, di

futuro.

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Ai cambiamenti si può reagire con eccessiva rigidità, bloccando delle

possibilità evolutive in nome di una presunta coerenza con se stessi,

facendo scelte di tipo conservativo e rinunciando a opportunità.

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Oppure con una eccessiva flessibilità delle mappe, che comporta

una fatica estrema, una costante ricerca di organizzazione che non

consente di appoggiarsi a nulla, vissuti di fragilità e di vulnerabilità

che conducono le persone alla ricerca di mappe “esterne”, di

relazioni o contesti che contengano, diano senso e prescrivano cosa

è consentito e cosa no.

Identità senza memoria, e quindi senza futuro.

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Tornando al muro di Berlino, le immagini del novembre del 1989

raccontano libertà, ma anche fratellanza e accoglienza.

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Le braccia tese a sollevare estranei, gli abbracci in equilibrio sul

muro, l’accoglienza festosa e incurante del dopo degli “altri” sono la

costituente spontanea e “dal basso” di un'identità collettiva,

probabilmente la vera Germania unita.

Un’identità in cui è bello riconoscersi e che oggi ha senso ricordare e

rinnovare...

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Bibliografia

Auster P. (1996) Trilogia di New York. Città di vetro Fantasmi La Stanza chiusa. Einaudi, TorinoBateson G. (1972) Verso un’ecologia della mente. Adelphi, MilanoBoscolo L. et al (2004) Clinica Sistemica. Bollati Boringhieri, TorinoHartmann E. (2011) Boundaries: a new way to look at the world. CIRCC EverPressLa Cecla F. (2000) Perdersi, L’uomo senza ambiente. Editori Laterza, Roma-BariPiselli A. (a cura di) (2015) Alteridentità. Durango Edizioni

Filmografia

L’uomo senza sonno (2004) regia di Brad AndersonGood bye, Lenin! (2003) regia di Wolfang Becker

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