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Ministero degli Affari Esteri Dossier Farnesina L’Italia e l’Europa a 50 anni dalla firma dei Trattati di Roma

Italia e Europa 50 anni

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L’Italia e l’Europa a 50 anni dalla firmadei Trattati di Roma

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La rivista èItalia, definita dalla stampa estera “la Bandiera del-l’informazione italiana nel mondo”, nasce nel 1999 per promuo-vere il patrimonio economico, turistico e culturale italiano, permet-tendo alla comunità internazionale di avere costantemente una vi-sione generale del Sistema Italia.

L’apprezzamento del Presidente Emerito Carlo Azeglio Ciampi(con un messaggio appositamente scritto per il primo numero), l’in-teresse mostrato da parte del Ministero degli Affari Esteri, del Mi-nistero del Commercio Internazionale e delle Camere di Commer-

cio Italiane all’Estero, confermano il prezioso ruolo della distribuzione mirata del-la rivista, che raggiunge direttamente nei loro Paesi gli Italiani residenti all’estero, le no-stre Istituzioni e la business community rappresentata primariamente dalle aziende so-cie delle Camere di Commercio Italiane, a cui si offre, attraverso i contenuti generali del-la rivista, un’informazione aggiornata del nostro Sistema Paese.

Caratteristiche e diffusione:Bimestrale a colori, la rivista è diffusa in 200.000 copie in Italia ed all’estero a: Ministeri, Regioni, Province e ai Comuni capoluogo, Associazioni di categoria, CCIAA,Biblioteche, Tour operators e Agenzie di viaggio, Ambasciate e Consolati, Camere di Commercio Italiane all’Estero e loro Soci, uffici ENIT e ICE, Aziende leaders.La rivista, da edizione bilingue (italiano-inglese) si arricchirà progressivamente di sezio-ni in russo, portoghese e tedesco.

In edicola: negli USA èItalia viene diffusa con il quotidiano America Oggi, e inItaliacon il settimanale Panorama Economy.La scelta di Economypermette di am-pliare ancora di più il bacino di utenza garantito da èItalia con un settimanale che perautorevolezza e diffusione raggiunge il mondo delle piccole e medie imprese, oltre aessere riconosciuto come interlocutore serio e affidabile dalle grandi aziende.

Inoltre è on-line all’interno del sito www.italplanet.it

EDIZIONI Via F.lli Bronzetti, 21 - 20129 MILANOTel. 02.70003310 - Fax 02.70003909e-mail [email protected] - www.italplanet.it

Supplemento del N.44 di èItalia marzo-aprile 2007

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EDIZIONI Via F.lli Bronzetti, 21 - 20129 MILANOTel. 02.70003310 - Fax 02.70003909e-mail [email protected] - www.italplanet.it

Supplemento del N.44 di èItalia marzo-aprile 2007

Direzione e redazione:Consigliere di Legazione Marco Villani, Servizio Stampa e Informazione

Realizzazione, Redazione e immagini Agenzia ANSA:Alessandra Spitz, Arrigo Santini

Progetto Grafico:VOICES S.r.l.

Editor:Mauro Aprile

Si ringraziano per la preziosa collaborazione:Ministro Plenipotenziario Carlo Maria Oliva, Direttore Generale per l’Integrazione Europea Ministro Plenipotenziario Luca Giansanti, Vice Direttore Generale per l’Integrazione EuropeaMinistro Plenipotenziario Vincenzo Grassi, Direzione Generale per l’Integrazione EuropeaConsigliere di Ambasciata Sergio Mercuri, Capo Ufficio IV della DGIEConsigliere di Ambasciata Michele Esposito, Capo Ufficio II della DGIEConsigliere di Ambasciata Marco Conticelli, Capo Ufficio V della DGIEConsigliere di Legazione Maurizio Greganti, Capo Ufficio I della DGIEConsigliere di Legazione Andrea Silvestri, Capo Ufficio VI della DGIEConsigliere di Legazione Giorgio Aliberti, Ufficio II della DGIESegretario di Legazione Carlo Jacobucci, Ufficio I della DGIESegretario di Legazione Roberta Di Lecce, Ufficio V della DGIEDott. Gabriele Cosentino, Ufficio I della DGIEDott.ssa Flavia Trupia, Unità tecnica per l’internazionalizzazione, DGIE

I “Dossier Farnesina” sono realizzati periodicamente dal Servizio Stampa e Informazione del Ministero degli Affari Esteri e pubblicati anche on-line sui siti www.esteri.gov.it e www.italplanet.it

L’Italia e l’Europa a 50 anni dalla firma dei Trattati di Roma

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L’ITALIA E L’EUROPA A 50 ANNI

DALLA FIRMA DEI TRATTATI DI ROMAINTRODUZIONE DEL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E

MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MASSIMO D’ALEMA PAG. 1

IL CAMMINO DELL’UNIONE EUROPEADA MESSINA A BERLINO. Le dichiarazioni nel processo di integrazione europea PAG. 2

Il 2007 anno dell’Europa PAG. 5

Il Processo di riforma costituzionale PAG. 6

Le grandi tappe dell’Unione Europea PAG. 11

Il ruolo dell’Italia nella costruzione dell’Europa unita PAG. 12

Il processo di allargamento PAG. 14

I primi quattro allargamenti PAG. 17Le fasi del quinto allargamento PAG. 17

LE SFIDE DELL’UNIONE EUROPEAUn grande mercato PAG. 19Il settore dei servizi PAG. 20I prossimi obiettivi PAG. 22La politica europea dell’energia PAG. 24La politica ambientale PAG. 26L’immigrazione PAG. 27L’Europa dei territori PAG. 29L’azione esterna dell’Unione Europea sulla scena mondiale. Una realtà di successo in costante evoluzione PAG. 34

L’alto Rappresentante per la PESC PAG. 37

IL FUTURO DELL’EUROPA: LA POSIZIONE DELL’ITALIADISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO, IN OCCASIONE DELLA VISITA

AL PARLAMENTO EUROPEO PAG. 39

Intervento del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri Massimo D’Alema PAG. 45

SOMMARIO

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L’ITALIA E L’EUROPA

A 50 ANNI DALLA FIRMA

DEI TRATTATI DI ROMAINTRODUZIONE DEL VICE PRESIDENTE

DEL CONSIGLIO E MINISTRO

DEGLI AFFARI ESTERI, MASSIMO D’ALEMA

A cinquant’anni dalla firma dei Trattati di Roma che istituirono laComunità Economica Europea e l’Euratom, il processo di integrazio-ne europea continua a rappresentare una delle stelle polari della poli-tica estera dell’Italia, e di questo Governo in particolare. Si è trattatoinfatti di un processo di graduale condivisione di sovranità unico nelsuo genere che ha portato pace, stabilità, crescita economica edemocratica ad un numero crescente di paesi dai sei fondatori ai ven-tisette attuali. Le ragioni di soddisfazione sono pertanto numerose elegittime: il nostro continente è ormai riunificato, ha creato un merca-to comune per 488 milioni di persone (con una moneta, l’Euro, giàconsolidata a livello internazionale), dispone di uno spazio giuridicocomune e, grazie alla sua dimensione esterna, gode di grande presti-gio nel mondo.

Ciò non può peraltro nascondere il fatto che da un lato, il proces-so non si è ancora concluso (soprattutto a livello istituzionale l’Europaappare ancora in mezzo al guado), e che dall’altro sono emerse diffi-coltà di percezione da parte delle opinioni pubbliche nazionali – cul-minate nel risultato negativo dei referendum tenuti in Francia e neiPaesi bassi sul Trattato Costituzionale – che discendono anche dainuovi ineludibili problemi, tipici di un mondo ormai globalizzato, coni quali i nostri Paesi sono oggi chiamati a confrontarsi (sicurezza degliapprovvigionamenti energetici, immigrazione, cambiamenti climatici,necessità di rilanciare la competitività e l’occupazione a partire dall’a-genda di Lisbona e dalla liberalizzazione dei servizi, promuovendo unequilibrato sviluppo regionale e sociale).

È dunque necessario rilanciare il processo di integrazione, a parti-re dalla riforma costituzionale, per permettere all’Unione Europea diaffrontare con rinnovato slancio le sfide attuali e future, compresaquella delle nuove fasi del processo di allargamento. La dichiarazionedi Berlino che intende celebrare i cinquant’anni dalla firma dei Trattatidi Roma potrà costituire in tal senso un’importante occasione perfavorire un clima di rinnovata solidarietà tra i partner che permetta diaffrontare con nuova determinazione ed adeguati strumenti ancheistituzionali, i prossimi impegni.

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Introduzione

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IL CAMMINO

DELL’UNIONE EUROPEA

La storia ormai più che cinquantennale della costruzione europeanon è stata scandita solo dai negoziati per l’elaborazione dei Trattati,per la definizione delle linee strategiche ed operative delle politichecomuni e delle relative prospettive finanziarie pluriennali. Accanto atali atti, hanno sovente trovato spazio strumenti di natura diversa, giu-ridicamente non vincolanti, ma talora destinati a produrre importantirisultati politici. Si tratta delle Dichiarazioni nelle quali gli Stati membrihanno spesso indicato impegni, obiettivi, programmi da realizzareattraverso successive iniziative ed azioni.

Il modello più riuscito in tal senso rimane la Dichiarazione diMessina del 1955 – sottoscritta dai Governi di Germania, Francia, Italiae Benelux – al fine di rilanciare il processo di integrazione dopo l’ac-cantonamento della Comunità Europea di Difesa determinato dallamancata ratifica francese. La Dichiarazione fu sostanzialmente all’ori-gine del processo che condusse alla firma, nel marzo 1957, dei TrattatiCEE ed EURATOM. Il merito di questo testo risiede nella sua brevità,semplicità e chiarezza. In sole due pagine vengono indicati obiettivi,strumenti di azione, aree tematiche, metodi e procedure, anticipandodi fatto l’ossatura dei futuri Trattati comunitari che verranno firmatidue anni dopo a Roma. Ad oltre 50 anni di distanza, la modernità dialcune formulazioni – quale quella sulla politica energetica – risultaancora sorprendente.

Anche la Dichiarazione Solenne sull’Unione Europea, adottata aStoccarda nel 1981 a seguito di una iniziativa italo-tedesca dei MinistriGenscher e Colombo, puntava al superamento di una fase di crisi eripiegamento del processo di integrazione europea individuando unaserie di obiettivi sostanziali ed istituzionali: in particolare veniva auspi-cato il progressivo ampliamento delle competenze comunitarie adaree come il ravvicinamento delle legislazioni, la cooperazione cultu-rale e, soprattutto, la politica estera. Coniugandosi con l’azione del

DA MESSINA A BERLINO.

Le “dichiarazioni” nel processo

di integrazione europea

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primo Parlamento Europeo eletto a suffragio universale diretto (cheadottò, nel febbraio 1984, per impulso di Altiero Spinelli, il Progetto diTrattato sull’Unione Europea), la Dichiarazione di Stoccarda contribuìal lancio di quel vasto processo di riforme della costruzione europeadestinato a sfociare nell’Atto Unico e quindi nella successiva trasfor-mazione delle Comunità in Unione attraverso il Trattato di Maastricht.

La Dichiarazione adottata dai Capi di Stato o di Governodell’Unione nella cittadina belga di Laeken nel dicembre 2001 –assai più estesa delle precedenti – si articola in tre sezioni (“L’Europaad un crocevia”; “Le sfide e le riforme in una Unione rinnovata”, “LaConvocazione di una Convenzione sull’avvenire dell’Europa”). Dopoalcune considerazioni di ordine generale relative alle nuove sfidedemocratiche, alle attese dei cittadini degli Stati membri e al ruolodell’Europa in un mondo globalizzato, i firmatari della Dichiarazioneindividuano precise aree di possibile riforma (ripartizione e definizio-ne delle competenze dell’Unione, semplificazione degli strumenti adisposizione dell’Unione stessa, democrazia, trasparenza ed effi-cienza, eventuale elaborazione di un percorso costituzionale) ed unametodologia procedurale (la Convenzione) attraverso la quale prepa-rare la Conferenza Intergovernativa per la revisione dei Trattati. A par-tire dalla dichiarazione di Laeken, si è avviato l’articolato processoche ha condotto alla firma a Roma del Trattato che adotta unaCostituzione per l’Europa in data 29 ottobre 2004, non ancora entra-to in vigore in ragione dei negativi esiti delle consultazioni referenda-rie di ratifica in Francia e nei Paesi Bassi e della sospensione delmedesimo iter in altri 7 Stati membri.

Per celebrare il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, il25 marzo 2007 a Berlino, il Consiglio Europeo del 15/16 giugno 2006ha convenuto di adottare una dichiarazione politica dei leaderdell’Unione che illustri i valori e le ambizioni dell’Europa e confermil’impegno condiviso di produrre risultati. La Dichiarazione dovrebbedescrivere i successi del processo di integrazione dal 1957 ad oggi, icaratteri essenziali dell’unificazione europea, i valori sui quali tale uni-ficazione si fonda, le priorità interne ed esterne dell’Unione e gliimpegni condivisi per il futuro

La Dichiarazione di Berlino rappresenta l’occasione per conferirerinnovato dinamismo agli ideali europeisti. Impresa più complessache in passato, a fronte della maggiore eterogeneità nella composi-zione dell’Unione ed al disorientamento di settori della pubblica opi-nione rispetto ai fenomeni della globalizzazione, delle migrazioni dimassa ed alle difficoltà di sviluppare un accresciuto ruolo dell’Europasulla scena mondiale.

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Il Governo – che ha dato incarico all’ex Ministro degli EsteriAmbasciatore Renato Ruggiero di coordinare il contributo italiano alladefinizione dei contenuti della Dichiarazione a sostegno dellaPresidenza tedesca del Consiglio dell’Unione – ha affrontato questosignificativo passaggio con una chiara visione delle priorità da perse-guire.

A cinquant’anni dalla firma dei Trattati di Roma occorre riconosce-re il cambiamento rivoluzionario nella storia d’Europa determinatodalla costruzione europea con l’ eliminazione della guerra tra gli Statiche ne fanno parte e l’edificazione di una nuova convivenza basatasu istituzioni, obiettivi e politiche comuni. Il cammino percorso in que-sti 50 anni ha comportato non solo grandi progressi economici maanche una nuova dimensione di valori e di comportamenti caratteri-stici dell’integrazione europea, che è divenuta un esempio da imitarein altre parti del mondo. Il metodo comunitario, avviato dai 6 Paesifondatori delle Comunità si è esteso ai 27 Stati Membri dell’attualeUnione Europea realizzando pacificamente la riconciliazione conti-nentale,divenendo un patrimonio culturale dei Governi e dei cittadinidei nostri Paesi.

La rapida evoluzione della situazione mondiale ha ora creatonuove e vitali motivazioni al proseguimento e al completamento dellacostruzione europea. La graduatoria delle potenze economiche mon-diali sta rapidamente cambiando ed il peso relativo di ognuno degliStati europei diminuisce di conseguenza. Le sfide che sono di frontea noi hanno sempre più carattere globale e non possono essereaffrontate da nessun Paese individualmente. Il completamentodell’Unione Europea non rappresenta pertanto un’opzione politica trale altre, ma una necessità vitale per consentire all’Europa non solo didifendere i propri legittimi interessi, ma anche di rappresentare ungrande fattore di equilibrio nel mondo diffondendo i propri valori e lapropria volontà di solidarietà, di pace e di promozione del dialogo. Larealizzazione di questo obiettivo favorirebbe inoltre futuri ampliamen-ti dell’Unione.

Per rispondere a queste sfide globali, dobbiamo impegnarci acompletare quello che abbiamo già iniziato a costruire. L’art. 1 delTrattato di Maastricht definisce non a caso l’Unione Europea “unanuova tappa nel processo di creazione di un’Unione sempre più stret-ta tra i popoli d’Europa”. Il processo di completamento dell’UnioneEuropea dovrà realizzarsi nei suoi aspetti istituzionali, politici, di sicu-rezza interna ed esterna, economici, monetari, sociali e culturali, nelpieno rispetto del principio di sussidiarietà.

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9/10 febbraio – “Conferenza organizzatadalla Fondazione della Camera deiDeputati su Essere europei oggi”12 febbraio – Incontro-dibattito a Milanocon i giovani delle Università milanesi 19 febbraio – Celebrazione a Barletta perla nascita di Altiero Spinelli 17 marzo-20 aprile – Mostra fotograficaorganizzata a Roma presso l’Archivio diStato con filmati Rai e dell’Istituto Luce sueventi e personaggi storici della Ue2 marzo – Celebrazione a Roma inCampidoglio del centenario della nascitadi Altiero Spinelli2-22 marzo – Esposizione in Campidogliodegli originali dei Trattati di Roma15 marzo – Convegno a Genova su“Cinquant’anni di Europa”21 marzo – A Roma Conferenza interna-zionale “Equal opportunities for all inEducation and Employment”21-23 marzo – Giornate di incontri pro-mossi a Firenze e Roma dal Parlamento italiano con i Presidenti dei Parlamentieuropei22-23 marzo – Incontro a Roma delComitato delle Regioni UE22-24 marzo – Convegno a Roma deglistorici europei22 marzo – Mostra multimediale“Europèdia” organizzata dal Centro nazio-nale presso la Galleria Alberto Sordi diRoma (in seguito verrà trasferita anche aTorino e Lecce).23 marzo-13 maggio – Mostra al Palazzodel Quirinale di capolavori prestati daipaesi membri23-24 marzo – Convegno organizzato aRoma dalla Fondazione De Gasperi:“Cinquant’anni d’Europa: Europa anno

zero? “

23-24 marzo – Convegno a Romadell’Unione degli Avvocati Europei23-25 marzo – Congresso a Roma dellaConferenza Episcopale Europea 24-25 marzo – Tenuta a Roma delloEuropean Youth Forum24-25 marzo – Mostra al Museo dellaMoneta di Roma sul cammino storico dallafirma dei Trattati al conio del primo euro24 marzo – Giornata porte aperte alMinistero degli Esteri – Mostra “DaMessina a Roma”24 marzo – “L’Università della Notte –Equinozio dei saperi”. Una ‘notte bianca’dedicata all’Europa (Roma)24 marzo – Giornata speciale al Museodei bambini di Roma25 marzo – “Il Villaggio dell’Europa” aRoma con stand promossi e finanziatidalle Ambasciate dei Paesi UE, dalComune di Roma, dalla Commissioneeuropea e dal Dipartimento delle PoliticheComunitarie.25 marzo – Giornata porte aperte delpatrimonio europeo a Roma: apertura al pubblico delle Ambasciate e degli Istitutidi cultura dei Paesi UE26 marzo – Incontro a Roma degli astro-nauti europei26 marzo-9 maggio – Primavera dell’Eu-ropa, manifestazioni nelle scuole italianeorganizzate dalla Commissione europea edalla European Schoolnet.9 maggio – A Bologna e Rimini FestaErasmus aperta a tutti gli studenti chehanno aderito all’iniziativa nei suoi ventianni di vita.9 maggio – Premiazione al Quirinale delconcorso annuale “Europa alla Lavagna”indetto dalla Commissione europea per lescuole di tutta Italia.

IL 2007 ANNO DELL’EUROPA.IL PROGRAMMA

DELLE CELEBRAZIONI IN ITALIA

Il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma e’ celebrato attraverso unasolenne dichiarazione sottoscritta dai Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione edai Presidenti della Commissione e del Parlamento europeo. Per rimarcare questa sto-rica ricorrenza numerosi eventi vengono organizzati anche in Italia, in prossimità del 25marzo e nel resto dell’anno, nel corso del quale vengono celebrati anche il centesimoanniversario della nascita di Altiero Spinelli e il ventesimo anniversario del programmaErasmus, che ha contribuito in modo decisivo alla mobilità di milioni di giovani cittadinieuropei. Ecco un elenco dei maggiori avvenimenti previsti per le celebrazioni:

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Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, e che è statofirmato a Roma il 29 ottobre 2004, rappresenta il punto di arrivo – sep-pure ancora parziale – di un lungo dibattito sulla natura e le finalità delcammino verso l’ integrazione e sui testi fondamentali di tale proces-so. I movimenti federalisti europei e, più in generale, le correnti di pen-siero influenzate dal “Manifesto di Ventotene” e dal magistero di AltieroSpinelli, hanno coerentemente insistito nel corso degli ultimi decennisul carattere specifico della costruzione comunitaria, evidenziandonel’assoluta irriducibilità agli schemi adottati per le organizzazioni inter-nazionali classiche. Per giustificare tale ‘’atipicita’’ sono stati menzio-nati vari fattori, come l’irreversibilità del processo di integrazione; l’e-volutività testimoniata dall’impegno a creare un’Unione sempre piùstretta tra i popoli degli Stati membri; l’esplicita teleologia verso ampiecondivisioni di sovranità esercitate congiuntamente in seno ad alcuneistituzioni (come il Consiglio) oppure conferite ad istanze in posizionedi terzietà come la Corte di Giustizia, il cui ruolo nel differenziare ildiritto comunitario da quello internazionale è risultato fondamentale.

Il Progetto di Trattato istitutivo dell’Ue, votato dal ParlamentoEuropeo nel febbraio 1984 grazie al decisivo impulso di AltieroSpinelli, si configurava come un tentativo di rilanciare il processo diintegrazione su basi costituzionali introducendo politiche e proceduredi tipo federale. Pur evitando di menzionare il termine “Costituzione”, il“Trattato Spinelli” auspicava un deciso salto di qualità in direzione dellasovranazionalità. Saldandosi con l’azione di Kohl e Mitterrand,dell’Italia e del Benelux, nonché con il lungimirante attivismo dellaCommissione Delors, l’iniziativa del Parlamento Europeo fu all’originedi un decennio di grandi slanci del processo di integrazione europea,come la soluzione nel 1984 a Fontainebleau del problema del rimbor-so britannico, l’adesione nel 1986 di Spagna e Portogallo, l’adozionenello stesso anno dell’Atto Unico Europeo, l’ avvio del completamentodel Mercato Unico entro il 1992, la firma (sempre nel 1992) del Trattatodi Maastricht nonche’ la definizione del percorso destinato a condurreall’EURO quale moneta unica della maggioranza dei Paesi membridell’Unione.

La richiesta di una “costituzionalizzazione” del processo di integra-zione europea non è stata pero’ patrimonio esclusivo di quelle forzeche vedevano nel superamento della tradizionale forma del trattato traStati sovrani uno strumento per procedere verso forme sempre piùestese ed articolate di condivisione della sovranità. A partire dallametà degli Anni Ottanta, e poi con sempre maggiore insistenza nelperiodo successivo alla sofferta ratifica del Trattato di Maastricht, si èandata affermando l’idea che andassero inseriti tra le norme-basedell’Unione principi idonei e atti a evitare surrettizi trasferimenti di com-petenze dagli Stati nazionali verso il livello europeo. Il lungo e tuttoraattuale dibattito sulla definizione e il controllo del principio di sussidia-rietà (anch’esso contenuto, sia pure in chiave dinamica e non restritti-

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Il Processo di riforma

costituzionale

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va, nel “Trattato-Spinelli”) ha posto in luce come in taluni Stati membriil passaggio da una base pattizia ad una di tipo costituzionale venisseauspicato per limitare un’eccessiva invasività delle istituzioni europee,in coerenza con una generale tendenza a valorizzare le collettivitàlocali e le istanze più vicine ai cittadini e da essi, in teoria, meglio con-trollabili.

Il difficile iter di ratifica del Trattato di Maastricht, che ha posto lebasi per la creazione della Moneta Unica, la natura limitata di alcunicompromessi realizzati nel quadro dei successivi Trattati diAmsterdam e Nizza, l’enorme pressione politica derivante dall’esigen-za di chiudere i negoziati di ampliamento con i Paesi candidatidell’Europa Centrale ed Orientale, Malta e Cipro, sembravano averdeterminato una progressiva eclissi della prospettiva di “costituziona-lizzare” l’Ue. Ai Paesi, come l’Italia, che hanno costantemente ribaditol’esigenza di conciliare lo storico appuntamento dell’ampliamento conl’altrettanto prioritario compito dell’approfondimento della costruzioneeuropea, va ascritto il merito di aver mantenuto aperta la prospettivadi un rilancio del dibattito costituzionale.

La sequenza degli eventi che hanno condotto alla firma del Trattatocostituzionale può essere analizzata tenendo presente che:

· il succedersi in soli otto anni di tre Conferenze Intergovernativeper la revisione dei Trattati (Maastricht, Amsterdam e Nizza),seguite da procedure di ratifica estremamente sofferte e dall’esi-genza di ricorrere a soluzioni giuridiche assai complesse pertenere conto delle difficoltà di taluni Stati membri , ha reso moltiGoverni europei consapevoli dei rischi connessi al perpetuarsi diuna strategia di modifiche frequenti e parziali, sempre menocomprensibili per le opinioni pubbliche nazionali; al di là delleopzioni di merito, è venuta affermandosi già durante la CIG l’esi-genza di dotare l’Unione ampliata di un testo-base solido, inqualche modo assimilabile per rigore e coerenza agli originaritrattati di Roma;

· a partire dalla firma del Trattato di Nizza, è rapidamente maturatoun crescente scetticismo circa la possibilità di assicurare, attra-verso i meccanismi istituzionali in esso contenuti, un efficace fun-zionamento dell’Unione a 25 membri (ed in prospettiva a 30);

· ha riscosso sempre piu’ crescenti consensi l’idea di privilegiare ilruolo dell’Unione come “comunità di valori, destini e diritti” e nonsolo quale spazio di azione per determinate categorie di agentieconomici.

In tale contesto è partito l’esercizio volto a definire una “Carta deiDiritti Fondamentali dell’Unione”. Cronologicamente precedente alTrattato di Nizza, il percorso elaborativo della “Carta” ha avuto effettimolto rilevanti sullo sviluppo del successivo processo di costituziona-lizzazione e non è affatto casuale che la Parte II del Progetto elabo-

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rato dalla Convenzione riprenda integralmente il testo della “Carta”stessa. Al di là della meritoria iniziativa di redigere un “Bill ofRights”dell’Unione, la vera innovazione è stata rappresentata dalladecisione di affidare l’elaborazione della “Carta” ad un organismo ditipo inedito (denominato “Convenzione”), composto da rappresentantidei Governi degli Stati membri, da parlamentari nazionali ed europeie da membri della Commissione Europea sotto la Presidenza dell’exCapo di Stato tedesco, Roman Herzog, nominato dal ConsiglioEuropeo. Presentata al Consiglio Europeo di Nizza, la “Carta” fuoggetto di una proclamazione politica stante l’opposizione di alcuniStati membri a conferirle forza giuridica vincolante, ma sia sul pianometodologico, sia su quello sostanziale, il seme gettato dallaConvenzione presieduta da Herzog ha dato frutti copiosi.

Nell’Atto Finale della Conferenza intergovernativa di approvazionedel Trattato di Nizza, soprattutto per impulso italiano e tedesco, venneinserita una Dichiarazione sull’avvenire dell’Unione volta a mantenereaperta la possibilità di rilanciare la dinamica europeistica. Gli elemen-ti salienti della “Dichiarazione di Nizza” possono essere indicati neiseguenti:

· l’affermazione che il prodursi dell’ampliamento non sostituisce unesteso dibattito sull’avvenire dell’Europa, cui è necessario asso-ciare Parlamenti nazionali e società civile;

· l’elencazione (non esaustiva) di alcune tematiche sensibili, comela ripartizione di competenze tra Unione e Stati membri, confor-memente al principio di sussidiarietà, la valenza giuridica della“Carta”, la semplificazione dei Trattati (ma senza mutarne lasostanza) e il ruolo dei Parlamenti nazionali nel quadro istituzio-nale europeo

· l’indicazione del 2004 come data per lo svolgimento di una nuovaConferenza Intergovernativa (CIG) finalizzata ad una ulteriorerevisione dei trattati.

A partire da tali basi è stato possibile quindi rilanciare il dibattitocostituzionale all’interno dell’Unione e, per quanto riguarda l’Italia,giova ancora una volta sottolineare come il nostro Paese abbiacoerentemente tenuto una posizione di avanguardia in tale ambito, ecome il suo ruolo si sia tradotto nella Risoluzione – approvata allaquasi unanimità dal Parlamento nazionale nel novembre 2001 – ove siriafferma il “ruolo federatore” dell’Italia nel quadro del processo dicostruzione dell’Europa.

Nel dicembre 2001 poi, i Capi di Stato e di Governo dei paesi euro-pei hanno adottato la cosiddetta “Dichiarazione di Laeken”, che rap-presenta un altro importante passaggio nella strategia “costituente” eche contiene:

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· una chiara affermazione della missione storica dell’Europa sia inrapporto allo sviluppo ed al perfezionamento del suo modello didemocrazia, sia rispetto al suo ruolo propositivo e di regolazionenell’ambito dell’economia e della società globalizzate;

· l’esplicita menzione della questione costituzionale, sia pure sotto-forma di quesito, a partire da un’attività di mera semplificazione erisistemazione delle norme vigenti (“Si pone il quesito se questasemplificazione e questo riordino non debbano condurre a termi-ne all’adozione nell’Unione di un testo costituzionale”)

· l’inequivoca scelta di metodo rappresentata dalla convocazione diuna “Convenzione sull’avvenire dell’Europa”, presieduta dall’exCapo di Stato francese Giscard d’Estaing (assistito dai VicePresidenti Giuliano Amato e JeanLuc Dehaene) e composta da15 rappresentanti dei Capi di Stato e di Governo, da 30 membridei Parlamenti nazionali (2 per Stato membro), 16 membri delParlamento Europeo e 2 rappresentanti della Commissione. Per iPaesi candidati si prevedeva una partecipazione secondo moda-lità analoghe a quelle contemplate per gli Stati membri.

Al termine dei lavori la Convenzione ha approvato un Progetto “costi-tuzionale” che – dopo un’ulteriore fase negoziale nell’ambito dellaConferenza Intergovernativa svoltasi tra l’ottobre 2003 ed il giugno 2004–ha condotto al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, la cuifirma e’ avvenuta a Roma il 29 ottobre 2004, in riconoscimento del ruoloavuto dalla Presidenza italiana nello svolgimento dei lavori.

Dalla lettura del Trattato costituzionale risulta la volontà dei Governifirmatari di operare la trasformazione dell’Unione Europea in sensocostituzionale, realizzando una rottura politica e giuridica di non lievemomento nella storia del processo di integrazione europea. Ma ilTrattato costituzionale contiene anche risposte ad alcuni problemi cheavevano afflitto l’Unione negli anni precedenti, favorendo anche unamigliore comprensione da parte dei cittadini dei meccanismi e delle pro-cedure comunitarie. Senza risolvere i problemi circa la natura “ultima”del processo di integrazione europea, che rimane caratterizzato dallacoesistenza di elementi federali, sovrannazionali, comunitari e intergo-vernativi, il Trattato costituzionale realizza un’ importante semplificazio-ne e razionalizzazione degli elementi stratificatisi dai Trattati di Romaattraverso le revisioni dell’Atto Unico, di Maastricht, di Amsterdam eNizza. Cessano così di coesistere l’Unione e le Comunità Europee, chevengono fuse in un’unica persona giuridica, scompaiono i “pilastri” diMaastricht e viene adottata una nuova gerarchia delle fonti normative).Inoltre il passaggio alla Costituzione non ha valore meramente termino-logico. Esso infatti potrebbe nel medio-lungo periodo favorire ed accom-pagnare la nascita di un “patriottismo costituzionale europeo” e di unaidentità europea che sappia rispondere alla sfida rappresentata dallefosche previsioni di un ineluttabile declino del nostro Continente ed alla

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prospettiva di un’Europa sempre più piccola e marginale in un mondosempre più globalizzato. Infine, l’obiettiva difficoltà di conciliare nellafutura Unione le diverse esigenze di un numero crescente di Statimembri renderà indispensabile il ricorso alle “cooperazioni rafforzate”,la cui adozione è resa più agevole dal Trattato costituzionale. Solo attra-verso questo strumento, il processo di integrazione potrà realizzareobiettivi più ambiziosi in aree decisive quali la Politica Estera, la Difesa,la Cooperazione Giudiziaria e di Polizia.

In tale quadro, l’esito negativo delle consultazioni referendarie diratifica in Francia e nei Paesi Bassi nel maggio-giugno 2005 ha peral-tro comportato la mancata entrata in vigore del Trattato costituzionalealla data auspicata del novembre 2006, conducendo allo stallo costi-tuzionale nel quale l’Unione si è trovata a partire dalla seconda metàdel 2005.

Alla data del 1° gennaio 2007, 18 Paesi hanno sostanzialmenteapprovato il testo firmato il 29 ottobre 2004, due Stati membri hannorespinto tale testo per via referendaria, altri 7 Governi (Regno Unito,Polonia, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca, Portogallo, Irlanda)hanno deciso di attendere, astenendosi dall’avviare la procedura diratifica del Trattato da tutti sottoscritto a Roma.

Gli “eurominimalisti” sostengono ora la tesi di un “mini Trattato”,ovvero di un semplice adattamento delle vigenti disposizioni delTrattato di Nizza, rinviando eventualmente a dopo il 2009 progetti dipiù ampio respiro, mentre i Paesi che hanno ratificato il Trattato costi-tuzionale sostengono – sia pure con accenti diversi – soluzioni chefacciano salve almeno le parti essenziali del Trattato del 29 ottobre2004. È questa la posizione espressa dal Ministro D’Alema nel dis-corso all’Istituto Universitario Europeo del 25 ottobre 2006 ed alla con-ferenza “Rilanciare l’Europa del 12 febbraio 2007, nonché dalPresidente del Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della suavisita al Parlamento europeo il 14 febbraio 2007. Ed è questa la basedi partenza per il Governo italiano nel percorso avviato durante l laPresidenza tedesca al fine di completare il processo costituzionaleprima delle elezioni per il Parlamento Europeo del giugno 2009.

Si tratta dunque di un sentiero stretto ed irto di ostacoli, ma cheandrà percorso se si vuole evitare una regressione del processo di inte-grazione europea che implicherebbe almeno due gravi conseguenze:un ruolo sempre meno influente dell’Europa e dei suoi Stati membri nelgoverno dei fenomeni di globalizzazione con il rischio di un declinodell’Unione come protagonista sulla scena internazionale; l’impossibilitàdi coniugare futuri ulteriori ampliamenti con l’approfondimento del pro-cesso di integrazione e la trasformazione dell’Unione ampliata in un’en-tità diluita ed impotente sia sul piano interno che esterno.

IL CAMMINO DELL’UNIONE EUROPEA

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18 aprile 1951: firmato a Parigi da sei paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia,Lussemburgo e Paesi Bassi) il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone edell’acciaio (CECA); entrato in vigore il 23 luglio 1952, è giunto a scadenza il 23 luglio2002;25 marzo 1957: firmati a Roma il trattato che istituisce la Comunità economica europea(CEE), entrato in vigore il 1º gennaio 1958, ed il trattato che istituisce la Comunità euro-pea dell’energia atomica (Euratom). Si fa pertanto riferimento ai due trattati come ai trat-tati di Roma.8 aprile 1965: firmato a Bruxelles il trattato di fusione; entrato in vigore il 1º luglio 1967,ha istituito una Commissione unica e un Consiglio unico delle allora tre Comunitàeuropee.17 febbraio 1986: firmato a Lussemburgo l’Atto unico europeo (AUE); entrato in vigoreil 1º luglio 1987, ha disposto gli adattamenti richiesti per completare il mercato interno.7 febbraio 1992: firmato a Maastricht il trattato sull’Unione europea; entrato in vigore il 1ºnovembre 1993, il trattato di Maastricht ha cambiato la denominazione della Comunitàeconomica europea in “Comunità europea”, ha inoltre introdotto nuove forme di coopera-zione tra i governi degli Stati membri, ad esempio nel settore della difesa e in quello della“giustizia e affari interni”. Aggiungendo questa cooperazione intergovernativa al sistemagià esistente della “Comunità”, il trattato di Maastricht ha creato una nuova struttura a tre“pilastri”, sia politica che economica: l’Unione europea (UE).2 ottobre 1997: firmato Il trattato di Amsterdam; entrato in vigore il 1º maggio 1999, cheoltre ad introdurre una nuova numerazione dei trattati UE e CE, formalizza e disciplina lecooperazioni rafforzate, incorpora gli accordi di Schengen nel cosiddetto “terzo pilastro”,introduce il settore dell’occupazione e l’“Accordo Sociale” (firmato da 14 paesi) nel“primo pilastro”1 gennaio 1999: entrata in vigore dell’Euro, pur continuando a circolare banconote emonete nazionali.26 febbraio 2001: firmato il trattato di Nizza, entrato in vigore il 1º febbraio 2003, che hasoprattutto affrontato la questione delle riforme istituzionali necessarie per garantire ilbuon funzionamento delle istituzioni in vista dell’allargamento dell’Unione a 27. Il tratta-to di Nizza, il precedente trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce laComunità europea sono stati unificati in una versione consolidata.1 gennaio 2002: entrano in circolazione banconote e monete in EURO che in brevetempo sostituiscono definitivamente quelle nazionali.29 ottobre 2004: firmato a Roma il Trattato che stabilisce una Costituzione per l’Europa.

LE GRANDI TAPPE

DELL’UNIONE EUROPEA

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Il nostro Paese è stato senza dubbio uno dei protagonistinel non sempre facile cammino per costruire un’Europasenza frontiere e barriere doganali. In molti casi, l’Italia haospitato eventi-chiave per la storia del progetto comunita-rio quando, ad esempio, a Roma nel 1957 furono firmati iTrattati Cee ed Euratom. Ma questo ruolo fu svoltodall’Italia ancor prima, quando, già nell’autunno del 1941,Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi – allora confinati nell’iso-la di Ventotene – fissarono i principi in un Manifesto per ilfederalismo europeo.

Ecco una scheda che riassume le principali “tappe italia-ne” della storia comunitaria degli ultimi cinquant’anni.

1-3 GIUGNO 1955 – A Messina, a poco meno di un annodalla scomparsa di Alcide De Gasperi – che con JeanMonnet, Robert Schumann e Konrad Adenauer è da con-siderare tra i padri fondatori dell’Europa comunitaria – sisvolge una Conferenza che getta le basi del Trattato diRoma. I sei ministri degli Esteri della Comunità europeadel carbone e dell’acciaio – vale a dire Italia, Francia,Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo – decidono ditentare la via dell’integrazione economica come strumen-to per realizzare l’unione politica. I ministri accolgono l’ideadi un Mercato comune e approvano la creazione di unaComunità europea dell’energia atomica.29-30 MAGGIO 1956 – A Venezia un Comitato intergo-vernativo dà vita a una sorta di prima Conferenza intergo-vernativa, presentando nel contempo il Rapporto cheprende il nome da quello del ministro degli Esteri belgaPaul Henri Spaak, che presiede il Comitato. Il RapportoSpaak autorizza la preparazione dei due trattati, uno sullaComunità economica europea e uno sulla Comunità euro-pea dell’energia atomica.25 MARZO 1957 – A Roma, in Campidoglio, nella saladegli Orazi e Curiazi, i rappresentati di Italia, Francia,Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo firmano i duetrattati che istituiscono la Comunità economica europea(Cee), che all’inizio s’identifica nella sigla del Mercatocomune europeo (Mec), e la Comunità europea dell’ener-gia atomica (Euratom). I due trattati entrano in vigore nelgennaio 1958 dopo la ratifica dei rispettivi sei Parlamenti.1 LUGLIO 1970-21 MARZO 1972 – L’italiano FrancoMaria Malfatti è Presidente della Commissione europea.1-2 DICEMBRE 1975 – A Roma il Consiglio europeo, for-mato dai leader dei nove Paesi membri (dopo l’adesionenel 1973 di Regno Unito, Danimarca e Irlanda) decide perla primavera del 1978 l’elezione a suffragio universale delParlamento europeo. Questa elezione slitterà poi di unanno. Decisa anche l’adozione di un passaporto unico.

IL RUOLO DELL’ITALIA

NELLA COSTRUZIONE

DELL’EUROPA UNITA

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25-26 MARZO 1977 – A Roma il Consiglio europeo affida alla Presidenza di turnodelConsiglio ed al Presidente della Commissione europea il compito di rappresentare laComunità ai vertici dei Sette Paesi più industrializzati (G7).12-13 GIUGNO 1980 – A Venezia il Consiglio europeo presieduto dall’Italia approva alcu-ne dichiarazioni politiche ed in particolare quella, più nota come dichiarazione di Veneziasul Medio Oriente, nella quale si riconosce, tra l’altro, ai palestinesi il diritto all’autodeter-minazione, primo segno di una comune valutazione di politica estera dei Paesi membri.Inoltre come conseguenza della seconda crisi energetica che colpisce l’Occidente, i Noveinvitano al dialogo euro-arabo sui problemi energetici.28-29 GIUGNO 1985 – A Milano il Consiglio europeo a dieci, dopo l’ingresso della Grecianel 1981, decide di realizzare, entro la fine del 1992, il mercato unico europeo e, a tal fine,approva la Convocazione di una Conferenza intergovernativa che porterà all’Atto unicoeuropeo (17 febbraio 1986), la prima riforma istituzionale Cee dopo il trattato di Roma.27-28 OTTOBRE 1990 – A Roma il Consiglio europeo a dodici, con l’ingresso di Spagnae Portogallo nel 1986, si conclude con l’approvazione di due documenti, uno sull’Unionepolitica europea (Upe) e l’altro sull’Unione monetaria europea (Ume). Sull’Upe il Consiglioesprime la volontà di trasformare gradualmente la Comunità in Unione. Si decide inoltre lacreazione di una cittadinanza europea da aggiungersi a quelle nazionali. Il Consiglio appro-va la seconda fase dell’Ume, la cui data di inizio è fissata all’1 gennaio 1994, per la crea-zione dell’Istituto monetario europeo.14-15 DICEMBRE 1990 – A Roma il vertice dei capi di Stato e di governo dei Dodici dà ilvia alle due Conferenze intergovernative (Cig) sull’Unione politica e sull’Unione economicae monetaria. Le due Cig porteranno alla firma del Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992)che segna la nascita dell’Unione europea. Tra gli artefici di Maastricht, Guido Carli, all’e-poca ministro del Tesoro.29-30 MARZO 1996 – A Torino un vertice straordinario dei Quindici (nel 1995 aderisconoall’Ue Austria, Finlandia e Svezia) inaugura la Conferenza intergovernativa per la revisionedel Trattato di Maastricht. La presidenza italiana sottopone al vaglio del vertice la formuladella flessibilità: in pratica i Paesi che vorranno andare avanti più in fretta sulla strada del-l’integrazione potranno farlo, ma in un ambito comunitario e con l’impegno di aiutare gli altria raggiungerli.21-22 GIUGNO 1996 – A Firenze il semestre di presidenza italiano si chiude con l’unani-me riconoscimento per la prima tappa dei lavori svolti dalla Cig, lavori che porteranno allafirma del trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997). Il Consiglio europeo raggiunge un accor-do sulla crisi della “mucca pazza” e vara Europol, l’agenzia di polizia europea.16 SETTEMBRE 1999 – 21 NOVEMBRE 2004 – L’italiano Romano Prodi è presidentedella Commissione Europea.29 OTTOBRE 2003 – A Roma si tiene la sessione inaugurale della CIG per la stesura el’adozione della versione definitiva della prima Costituzione Europea.29 OTTOBRE 2004 – A Roma i Capi di Stato e di Governo e i Ministri degli Affari Esteri di25 Paesi membri e di due Paesi in via di adesione partecipano alla cerimonia della firmadel Trattato e dell’Atto finale che stabiliscono una Costituzione per l’Europa.21 GIUGNO 2005 – A Parma viene inaugurata la sede centrale dell’EFSA, Autorità euro-pea per la sicurezza alimentare, in attuazione della Decisione del Consiglio del 12 e 13dicembre 2003. L’Agenzia è un ente completamente indipendente che fornisce consulen-za scientifica, informazione e sostegno alla Commissione, al Parlamento Europeo e agliStati membri in merito ai rischi legati alla sicurezza di alimenti e mangimi

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Nei decisivi passaggi che ci attendono, all’Italia spetterà ancora unavolta un ruolo di impulso per assicurare il successo dell’avventura euro-pea, che ha garantito al nostro Paese ed al nostro Continente oltremezzo secolo di pace, democrazia, progresso civile ed economico.

L’allargamento costituisce uno dei più potenti strumenti politicidell’UE. La forza di attrazione dell’Unione ha contribuito ad ispirareriforme ad ampio spettro nei paesi candidati e potenziali candidati. Èun processo attentamente gestito, che agevola la trasformazione deipaesi coinvolti, espandendo la pace, la stabilità, la prosperità, lademocrazia, i diritti umani e lo stato di diritto a tutta l’Europa. Dai seimembri del 1950 ai 27 del 2007, l’Unione europea può ora ritenere agiusto titolo di rappresentare un intero continente. Dall’Atlantico al MarBaltico essa riunisce per la prima volta la parte occidentale e la parteorientale dell’Europa, separate per cinquant’anni dalla guerra fredda.

Con il processo di allargamento l’Unione europea è aperta alla par-tecipazione di ogni paese europeo, democratico, con un’economia dimercato e in possesso della capacità amministrativa necessaria pergestire i diritti e i doveri inerenti all’adesione. Ciò significa, quindi, chel’allargamento rappresenta, in linea di principio, un processo continuo.

A partire dalla data in cui i sei Stati membri fondatori unirono le loroforze per creare il primo nucleo dell’Unione europea, il cammino per-corso è stato lungo e non privo di difficoltà nell’invitare gli altri popolidell’Europa a “condividerne gli ideali e gli sforzi”. L’UE ha accolto onda-te successive di nuovi membri, creando un mercato unico e unamoneta unica ed estendendo contemporaneamente la sua agendaeconomica e sociale alla politica estera e alla politica per la sicurezza.

Dalla fondazione, nel 1951, della Comunità europea del carbone edell’acciaio e, nel 1957, della Comunità economica europea e dellaComunità europea dell’energia atomica si sono susseguiti, con buonesito, cinque allargamenti: nel 1973 aderirono Danimarca, Irlanda eRegno Unito, nel 1981 la Grecia, nel 1986 Portogallo e Spagna, nel1995 l’Austria, la Finlandia e la Svezia e, nel 2004, 10 paesidell’Europa centrorientale e del Mediterraneo: Cipro, Estonia, Lettonia,Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia eUngheria, a cui si sono aggiunte Romania e Bulgaria dal 1° gennaio2007.

Ogni allargamento va a potenziare un’ampia diversità culturale elinguistica, aspetto distintivo dell’Unione europea. L’ultimo allargamen-to, da 15 a 25 e poi 27 Stati membri, è stato un avvenimento epocalee senza precedenti, che ha consentito la riunificazione dell’Europa,divisa per decenni dalla cortina di ferro.

Le sue origini risalgono alla fine dei regimi comunisti, simboleggia-ta dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989, che offrì l’opportunità ina-

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Il pocesso diallargamento

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spettata di estendere l’Unione includendovi i Paesi dell’Europa cen-trale e orientale.

Rapidamente, l’Unione istituì il programma di assistenza finanzia-ria PHARE per aiutare le giovani democrazie a ricostituirsi economi-camente e per agevolare il processo di riforme politiche.

Il 22 giugno 1993 il Consiglio europeo di Copenaghen diede l’ac-cordo per l’adesione dei paesi associati dell’Europa centrale e orien-tale, fissando i criteri principali cui avrebbero dovuto conformarsi inuovi paesi prima dell’adesione.

Sulla base delle raccomandazioni della Commissione e dei pareridel Parlamento, il Consiglio europeo di Lussemburgo del dicembre1997 e quello di Helsinki del dicembre 1999 aprirono i negoziati con idieci paesi dell’Europa centrale e orientale, con Cipro e Malta, che siconclusero positivamente nel 2004.

Una delle priorità della prima fase di ogni allargamento, è consisti-ta nel migliorare il tenore di vita dei paesi membri che hanno aderitonel 2004, portandolo al livello dell’UE.

L’impatto economico dell’allargamento può essere considerevole,poiché un mercato più ampio e più integrato favorisce la crescita eco-nomica, tanto nei vecchi quanto nei nuovi Stati membri, i quali benefi-ciano degli investimenti delle imprese dell’Europa occidentale, nonchédell’accesso alle risorse finanziarie che l’Unione destina allo svilupporegionale e sociale.

A tre anni dall’adesione, la crescita delle economie dei nuovi Statimembri risulta addirittura maggiore di quella degli altri Stati, e ciò con-sente agli ultimi arrivati di beneficiare di una maggiore prosperità e diridurre le differenze esistenti fra i diversi livelli di vita nell’Unione.

Uno degli aspetti principali legato alle responsabilità dei nuovi Statimembri è quello di garantire la sicurezza delle rispettive frontiere orien-tali che sono ora divenute le nuove frontiere dell’Unione a 27. Si trattadi una condizione indispensabile per poter mantenere aperte le fron-tiere interne dell’UE. Pertanto, l’Unione garantisce un sostegno note-vole ai nuovi Stati membri, tanto in termini finanziari quanto di assi-stenza tecnica e di consulenza, affinché i controlli alle frontiere esternepossano rispondere ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria.

L’esperienza acquisita con gli allargamenti precedenti ha dimostra-to l’efficacia del processo d’integrazione da parte dell’UE. Tuttavia, letrasformazioni profonde sono state spesso anche motivo di preoccu-pazione e l’ultimo allargamento non è stato un’eccezione a tale rego-la. La sua dimensione ha di per sé suscitato infatti vari interrogativi frai cittadini dei vecchi e dei nuovi Stati membri sul possibile impatto diquesto allargamento sulle loro vite e sui loro livelli occupazionali.

Nei 15 vecchi Stati membri si temeva un aumento dell’immigrazio-

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ne ovvero un afflusso di manodopera a basso costo. Da parte loro, icittadini dei nuovi Stati membri si preoccupavano della possibile acqui-sizione da parte straniera di imprese locali, nonché dell’impatto sull’e-conomia locale e sulle imprese nazionali. Per lo più tali timori si sonorivelati infondati.

Ai 25 paesi dell’Unione allargata e ai suoi 454 milioni di cittadini sisono aggiunti, nel 2007, bulgari e rumeni, concludendo il quinto allar-gamento dell’UE e portando la popolazione dell’Unione a circa 488milioni di persone.

Nel frattempo, nell’ottobre del 2005 sono stati avviati i negoziati perl’adesione di due altri paesi candidati: la Turchia e la Croazia. Inoltre,la richiesta di adesione, presentata dall’ex Repubblica jugoslava diMacedonia nel marzo del 2004, è stata accettata formalmente, neldicembre 2005, dai leader dell’UE che, tuttavia, non hanno ancorastabilito una data per l’apertura dei negoziati.

L’Unione europea si è inoltre impegnata ad allargare i suoi confiniagli altri paesi dei Balcani occidentali, cioè a Bosnia-Erzegovina,Serbia, Montenegro e Albania. L’Unione ritiene che tali paesi abbianola vocazione per divenire membri dell’Unione non appena risulterannopronti. In tal senso ha riconosciuto loro, fin dal 2000, lo status di can-didati potenziali all’adesione, che è stato confermato in occasione delVertice UEBalcani di Salonicco nel giugno 2003. Anche il Kossovo,una volta che sarà definito il suo status, potrà beneficiare pienamentedella prospettiva europea riconosciuta alla regione.

I futuri allargamenti procederanno al ritmo dettato dalla capacità diciascun paese di soddisfare standard rigorosi, in modo da agevolarel’integrazione dei nuovi membri. Nel 2006 l’Unione ha in particolareavviato una riflessione sulla propria capacità di integrazione e sullanecessità di una riforma dei propri meccanismi istituzionali (il c.d.“approfondimento”, che ha vissuto un momento di stallo a seguito del-l’esito negativo dei referendum francese e olandese sul Trattato costi-tuzionale), anche in vista dei futuri allargamenti. L’Italia, pur essendofermamente convinta che la difesa dei contenuti essenziali del Trattatofirmato a Roma il 29 ottobre 2004 rappresenti una priorità non differi-bile e la migliore maniera per garantire una governance adeguatadell’Unione ampliata, non ritiene tuttavia che la necessità di tale appro-fondimento debba essere strumentalizzata al fine per rinviare le nuoveadesioni. Da questo punto di vista i prossimi due anni, periodo nelquale non è prevista alcuna nuova adesione, devono rappresentareuna valida finestra di opportunità per procedere alla riforma istituzio-nale dell’UE a partire dal Trattato costituzionale firmato a Roma.

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1973 - Primo allargamento. AderisconoDanimarca, Irlanda e Regno Unito;1981 - Secondo allargamento. La Grecia divieneStato membro;1986 - Terzo allargamento. Divengono membriPortogallo e Spagna;1995 - Quarto allargamento. Fanno il loro ingressol’Austria, la Finlandia e la Svezia;

19 dicembre 1989 - è istituito il programmaPHARE per fornire assistenza finanziaria e tecnicaai paesi dell’Europa centrale e orientale.3 e 16 luglio1990 - si candidano Cipro e Malta.22 giugno 1993 - il Consiglio europeo diCopenaghen stabilisce i criteri di adesione.1994 - si candidano l’Ungheria (31 marzo) e laPolonia (5 aprile).1995 - si candidano la Slovacchia (21 giugno), laRomania (22 giugno), la Lettonia (13 ottobre),l’Estonia (24 novembre), la Lituania (8 dicembre) ela Bulgaria (14 dicembre).1996 - si candidano la Repubblica Ceca (17 gen-naio) e la Slovenia (10 giugno).12/13 dicembre 1997 - il Consiglio europeo diLussemburgo decide di varare il processo di allar-gamento.10/11 dicembre 1999 - il Consiglio europeo diHelsinki conferma l’avvio di negoziati con i dodicipaesi candidati. La Turchia è dichiarata “Stato can-didato destinato ad aderire all’Unione”.13 dicembre 2002 - conclusi gli accordi di adesio-ne con dieci paesi candidati per il 1° maggio 2004.16 aprile 2003 - firma dei dieci trattati di adesionead Atene.1 maggio 2004 - l’Unione europea accoglie i nuovidieci Stati membri.18 giugno 2004 - la Croazia è accettata comepaese candidato.17 dicembre 2004 - decisione di avviare i nego-ziati di adesione con la Turchia.25 aprile 2005 - a Lussemburgo, la Bulgaria e laRomania firmano i trattati di adesione 3 ottobre 2005 - avvio dei negoziati di adesionecon Croazia e Turchia.16 dicembre 2005 - l’ex Repubblica Jugoslava diMacedonia ottiene lo status di Paese candidato dalConsiglio Europeo.1 gennaio 2007 - Bulgaria e Romania fanno il loroingresso nell’Unione Europea.

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I PRIMI QUATTRO ALLARGAMENTI

LE FASI DEL QUINTO ALLARGAMENTO

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LE SFIDE

DELL’UNIONE EUROPEA

Il mercato interno, quale spazio senza frontiere interne in cui è assi-curata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e deicapitali, prevista dai Trattati comunitari, è oggi una delle principali con-quiste dell’UE e l’Italia ha dato storicamente un contributo determinan-te alla sua creazione e al suo funzionamento.

Su impulso dell’allora Presidente della Commissione, JacquesDelors, un grande disegno di completamento del mercato interno èstato avviato con la presentazione di un apposito Libro bianco nel1985. Si trattava di un elenco di circa 300 atti legislativi comunitarinecessari ad eliminare, entro il 31 dicembre 1992, le barriere fisiche,tecniche e fiscali in Europa. Dal 1° gennaio 1993 l’attuazione di questoprogetto alle frontiere ha ridotto i tempi di consegna e i costi per leimprese, facilitando gli scambi intracomunitari. Riguardo agli ostacolicostituiti dalle differenti regolamentazioni tecniche nazionali, il principiodel mutuo riconoscimento - introdotto dalla giurisprudenza comunita-ria nel 1979 - ha consentito in molti casi alle imprese di operare in tuttal’Unione, ottemperando alle norme del loro Stato membro di origine e,laddove tale principio non poteva funzionare, l’armonizzazione tecnicamediante direttive comunitarie è risultata essere il mezzo più adatto perfacilitare gli scambi commerciali.

Negli ultimi dieci anni, il mercato interno è stato esteso a nuovi set-tori essenziali per la competitività dell’economia e che non erano statiinclusi nel Libro bianco, come i trasporti, le telecomunicazioni e l’e-nergia. Inoltre, grazie all’apertura dei mercati nazionali degli appaltipubblici, le imprese possono oggi partecipare alle gare per contratti difornitura di beni e servizi in altri Stati membri. Va da se’ che sono statenotevolmente rafforzate la protezione dell’ambiente e dei consumato-ri e che dal 1999 l’arrivo dell’euro ha moltiplicato i vantaggi del mer-cato interno.

Nonostante i notevoli progressi realizzati, il mercato unico non puòoggi considerarsi completato, quanto piuttosto in fase di rilancio costan-

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te. Molte barriere sorgono e continueranno a sorgere negli anni a veni-re. Dopo l’allargamento del maggio 2004, e quello più recente del gen-naio 2007 che ha visto l’ingresso nell’UE di Romania e Bulgaria, occor-rerà garantire l’effettivo funzionamento di un mercato interno di quasi500 milioni di persone, che offre grandi opportunità ma comporta ancherischi. Rimuovere le barriere esistenti ed impedire che ne sorgano dinuove potrebbe infatti risultare un’impresa più difficile in un’Unione a27 Stati membri. La seconda sfida consiste nel dare concreta attuazio-ne alla Strategia di Lisbona, con la quale la UE persegue l’obiettivo didiventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dina-mica del mondo entro il 2010. Si tratta di un traguardo ambizioso, che sipuò raggiungere, a condizione di realizzare riforme economiche e strut-turali di ampia portata. Senza trascurare gli aspetti sociali e ambientalidell’Agenda di Lisbona, il mercato interno rappresenta il contesto fon-damentale di tali riforme, che serviranno a creare più occupazione e ric-chezza, sia per finanziare pensioni, sanità e assistenza di lunga durata,sia per migliorare lo standard di vita della popolazione.

Per essere competitivo il mercato interno deve inoltre adeguarsi alcontesto globale. Le norme, i criteri e le migliori prassi in numerosi set-tori del mercato interno sono sempre più definiti a livello internaziona-le, ad esempio in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale,standard tecnici, regole di aggiudicazione degli appalti, norme di con-tabilità, esigenze di capitale per banche e organismi d’investimento emercati dei valori mobiliari. Per tale ragione, le normative europee sonoelaborate prendendo sempre più in considerazione anche le regola-mentazioni vigenti al di fuori dell’UE. Parallelamente, l’UE è ora ingrado di esercitare una notevole influenza sia nei fori intergovernatividestinati all’elaborazione delle regole sia nelle istanze internazionaliprivate competenti in materia di definizione di norme tecniche.

Nel settore dei servizi, che rappresenta il 70% del PIL europeo, ilfunzionamento del mercato interno è tuttora molto imperfetto. Dopouna maratona negoziale durata circa tre anni, lo scorso dicembre èstata adottata la direttiva sul mercato interno dei servizi, volta ad age-volare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché lalibera circolazione dei servizi all’interno dell’UE. La direttiva è tra le ini-ziative più significative nel quadro dell’attuazione della Strategia diLisbona. Come auspicato dal Parlamento Europeo, il controverso prin-cipio del paese di origine, previsto nella proposta iniziale dellaCommissione del 2004, è stato sostituito con il principio della “liberaprestazione dei servizi”. L’obiettivo del Parlamento, condiviso in segui-to dalla Commissione e dal Consiglio, era infatti quello di riequilibrarel’impianto della direttiva verso una maggiore tutela sociale, attenuandoi temuti rischi di “dumping sociale” da parte delle imprese dei nuoviStati membri. In positivo, nonostante il suo campo di applicazione siastato ampiamente ridotto rispetto alla proposta originaria, la direttiva

LE SFIDE DELL’UNIONE EUROPEA

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Il settore dei servizi

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servizi coprirà una serie di servizi importanti per le imprese e/o per iconsumatori, come ad esempio la consulenza manageriale, la pubbli-cità, la consulenza giuridica e fiscale, le costruzioni e le attività immo-biliari, le guide turistiche e i centri sportivi. Nel corso del negoziatol’Italia ha sostenuto attivamente la ricerca di un compromesso chefacesse salve le esigenze di liberalizzazione del settore, senza pregiu-dicare la stabilità sociale, la diversità culturale e la qualità dei servizipubblici. Entro la fine del 2009, gli Stati membri dovranno trasporre ladirettiva nel diritto interno.

Strettamente collegata alla direttiva servizi, nel 2005 era stata adot-tata quella sul riconoscimento delle qualifiche professionali, che siapplica a tutte le professioni regolamentate, siano esse esercitatecome lavoro autonomo o dipendente (escluse le attività rientranti nel-l’esercizio di poteri pubblici). La direttiva, che dovrà essere recepitanegli Stati membri entro ottobre 2007, consentirà al beneficiario diaccedere nello Stato membro di accoglienza alla professione per cui èqualificato e di esercitarla con gli stessi diritti dei cittadini nazionali.Essa favorirà la libera circolazione dei lavoratori, nonché una maggio-re flessibilità dei mercati del lavoro e dei servizi.

Negli ultimi dieci anni progressi importanti sono stati realizzati inEuropa nella liberalizzazione di alcuni servizi pubblici “in rete”, come lafornitura di gas e energia elettrica, i trasporti, in particolare quelloaereo, e le telecomunicazioni (aperto alla concorrenza dal 1-1-1998),che hanno determinato un abbassamento dei prezzi per i cittadini e leimprese. Permangono tuttavia strozzature nelle infrastrutture delle retitranseuropee, che limitano l’interconnessione tra Stati membri ed unulteriore abbassamento delle tariffe.

Anche nei servizi finanziari si stanno materializzando dei vantaggiper i cittadini, che derivano dalla progressiva attuazione del Piano d’a-zione sui servizi finanziari, adottato nel 1999. Il Piano si prefigge di isti-tuire un mercato unico dei servizi finanziari all’ingrosso, rendere acces-sibili e sicuri i mercati al dettaglio e rafforzare le norme di vigilanzaprudenziale. In tale ambito, a partire dal 1° novembre 2007, entrerà invigore negli Stati membri la normativa europea MIFID sui mercati deglistrumenti finanziari, che faciliterà la prestazione transfrontaliera deiservizi d’investimento e avrà un forte impatto sulla struttura organizza-tiva delle istituzioni finanziarie.

Il commercio elettronico ha la possibilità di trasformare radicalmen-te il mercato interno sia dei beni che dei servizi nel lungo termine. Intale ambito, al fine di assicurare un contesto di fiducia e certezza giuri-dica agli utenti, è stato già adottato un quadro regolamentare comuni-tario, in particolare la direttiva sul commercio elettronico (2000), ladirettiva sulle firme elettroniche (1999) e la direttiva sui diritti di pro-prietà intellettuale (2001).

Tra i più importanti successi relativi alla libera circolazione dellemerci e alla tutela del consumatore e dell’ambiente, lo scorso dicembre

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è stato adottato il Regolamento REACH sulla registrazione, valutazio-ne, autorizzazione delle sostanze chimiche. Il Regolamento consentiràdi porre fine, a partire dalla sua entrata in vigore il 1° giugno 2007, allecarenze della legislazione comunitaria attuale, permettendo la valuta-zione scientifica sulla sicurezza di circa 30.000 sostanze chimiche giàcommercializzate all’interno dell’Unione.

Il Consiglio europeo di primavera (Bruxelles, 8-9 marzo 2007), dedi-cato tradizionalmente ai temi economici, ha valutato positivamente ilprimo anno della rinnovata Strategia di Lisbona e ha approvato le rac-comandazioni agli Stati membri contenute nel rapporto annuale dellaCommissione sui progressi realizzati nell’ambito della Strategia per laCrescita e l’Occupazione. Il rapporto. compie una valutazione appro-fondita dei risultati nelle quattro aree prioritarie identificate dal ConsiglioEuropeo di primavera del 2006:

· conoscenza ed innovazione

· contesto di azione per le imprese, in particolare PMI

· adattabilità dei mercati del lavoro

· energia e cambiamenti climatici.

Nel “Country Chapter” dedicato all’Italia, la Commissione ha valuta-to, nel complesso positivamente, il rapporto di avanzamento del PianoNazionale italiano di attuazione della Strategia di Lisbona, aggiornato epresentato a metà ottobre dal nuovo Governo. Positivo, in particolare, ilgiudizio della Commissione sulla disseminazione delle Tecnologie diInformazione e Comunicazione (ICT) e sulle misure di liberalizzazionedel mercato interno nei settori delle libere professioni e dei servizi, qualiil settore bancario ed assicurativo, i taxi ed il commercio al dettaglio.

Nel quadro della Strategia di Lisbona, gli Stati membri e le Istituzionidell’Unione Europea sono impegnati ad imprimere una decisa accele-razione al completamento del mercato unico, senza tuttavia trascuraresia gli aspetti connessi alla tutela dell’ambiente e al dibattito sulla “fles-sicurezza”, sia quelli relativi alla dimensione esterna della competitivitàindustriale dell’UE e alla sua capacità di penetrare efficacemente imercati dei Paesi terzi. In vista del Consiglio europeo di primavera2008, un Rapporto sul “Mercato Unico nel XXI secolo”, contenenteun’analisi dei successi conseguiti finora e proposte di riforma peraffrontare le sfide future, dovrebbe essere presentato dallaCommissione nella seconda metà del 2007.

Nel primo semestre del 2007 la Presidenza ha puntato innanzituttoall’adozione di ulteriori misure di liberalizzazione ed integrazione deimercati strategici tuttora segmentati. Si prevede di adottare una seriedi misure proposte dalla Commissione per il completamento del mer-cato interno dell’elettricità e del gas entro il primo luglio 2007. LaPresidenza intende inoltre far approvare la nuova direttiva sui servizipostali, finalizzata alla liberalizzazione completa del settore entro il

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I prossimiobiettivi

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2009. Parimenti, nel settore delle tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione, la Presidenza intende concentrarsi sulla revisione del-l’attuale quadro normativo per le reti e i servizi di comunicazione elet-tronica ed, in particolare, sull’approvazione del regolamento sul “roa-ming” dei telefoni cellulari.

Nell’ambito più tradizionale della libera circolazione delle merci, laPresidenza si e’ concentrata sul miglioramento dell’operatività del prin-cipio del “mutuo riconoscimento” e sulla revisione delle direttive inmateria di normalizzazione e standardizzazione, nonché sull’ammo-dernamento del codice doganale comunitario. Dovrebbe inoltre essererilanciata una politica industriale attiva e mirata alle esigenze specifichedi alcuni settori del manifatturiero europeo individuati dallaCommissione: automobile, tessile e abbigliamento, meccanica stru-mentale, ceramica e biotecnologie. Parimenti, le politiche a favore dellePMI, incluse le imprese artigianali, e il turismo sono oggetto di iniziati-ve specifiche.

Sempre nel quadro della Strategia di Lisbona la Presidenza ha dedi-cato ampio spazio alle iniziative volte a stimolare l’innovazione nell’UE,ossia per creare un mercato di prodotti e servizi innovativi. Al ConsiglioEuropeo di dicembre 2006, i Capi di Stato o di Governo hanno adotta-to una Strategia dell’UE per l’innovazione, centrata su le seguenti noveazioni prioritarie:

· migliorare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale

· adeguare l’attuale sistema europeo di normalizzazione alle esi-genze di mercati in rapida evoluzione, soprattutto nel settore deiservizi e dei prodotti di alta tecnologia

· rendere gli appalti pubblici propizi all’innovazione

· avviare le Iniziative Tecnologiche Congiunte (JTI)

· sviluppare una strategia per facilitare l’emergere di “lead markets”favorevoli all’innovazione

· rafforzare una stretta cooperazione tra istruzione superiore, ricer-ca e imprese

· favorire l’innovazione nelle regioni

· sviluppare un’impostazione politica per l’innovazione nei servizi eper l’innovazione non tecnologica

· migliorare l’accesso ai mercati dei capitali di rischio.

In particolare, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione adefinire, nel 2007, una strategia globale per la tutela dei diritti di pro-prietà intellettuale e lo sviluppo del sistema dei brevetti in Europa, adavviare rapidamente le Iniziative Tecnologiche Congiunte (JTI) sotto laguida dell’industria (aperte anche alle PMI) e a intraprendere azioni peril miglioramento degli enti europei di normalizzazione. Il Consiglio ed ilParlamento europeo sono stati inoltre invitati ad agire rapidamente peradottare, nel 2007, una decisione sull’istituzione dell’Istituto europeo ditecnologia.

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Il terzo ambito prioritario per il completamento del mercato unico nelquadro della Strategia di Lisbona è costituito dal riesame strategicodell’iniziativa “migliore regolamentazione”, proposto dalla Commissionenel novembre 2006. Esso dovrebbe condurre ad una maggiore sempli-ficazione, codificazione e modernizzazione della legislazione esistentee al miglioramento della valutazione d’impatto della normativa futura,sia a livello comunitario che nazionale. Al Consiglio Europeo di prima-vera 2007 è stato presentato un Piano d’azione per la riduzione deglioneri amministrativi per le imprese, finalizzato a ridurre progressiva-mente il peso della burocrazia a carico delle imprese e dei cittadini,liberando risorse per gli investimenti. E’ stato inoltre definito l’obiettivodi ridurre del 25% entro il 2012 l’onere amministrativo derivante dallalegislazione comunitaria. Gli Stati membri si sono inoltre impegnati afissare obiettivi di “ambizione comparabile” nei loro ambiti di compe-tenza entro il 2008.

Sin dalle sue origini (trattati CECA ed Euratom), il processo di inte-grazione europea ha riconosciuto un ruolo centrale alle tematiche ener-getiche in quanto motore dello sviluppo industriale ed economico equindi volano da condividere. Non è un caso se il primo embrione dellemoderne istituzioni europee sia stato rappresentato dalla ComunitàEconomica del Carbone e dell’Acciaio che ha iniziato la propria attivitànel 1952 e se il 25 marzo 1957 a Roma, accanto al Trattato che istitui-va la Comunità Economica Europea, sia stato firmato anche quello chedava vita alla Comunità Europea per l’Energia Atomica (c.d. Euratom).

Le politiche energetiche sono state successivamente ampliate edapprofondite con la creazione del mercato interno nel 1993 che hareso necessaria l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in mate-ria di standard tecnici, sicurezza, fiscalità e accesso ai mercati pub-blici. In seguito il Trattato di Maastricht ha, a sua volta, posto le basiper l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti di distribuzionedell’energia su tutto il territorio dell’UE tramite le reti Trans-Europee dienergia (reti TEN).

Sulla base dei trattati vigenti, gli Stati membri mantengono tuttaviaintatte le loro competenze in materia di scelta delle politiche energeti-che (policy mix). I recenti contenziosi sulla fornitura di gas naturale traRussia e Ucraina nel gennaio 2006 e tra Russia e Belarus nel gennaiodel 2007 hanno accresciuto la consapevolezza della crescente vulne-rabilità dell’Europa nel settore dell’energia, rendendo particolarmenteurgente e prioritario lo sviluppo di una politica comune che garantiscala sicurezza dell’approvvigionamento ad un prezzo abbordabile per iconsumatori nel rispetto dell’ambiente e della promozione di un mer-cato europeo concorrenziale.

Sulla scia del rinnovato impulso per la definizione di una politicaenergetica comunitaria, il Consiglio Europeo del 23-24 marzo 2006,riprendendo a grandi linee le proposte avanzate dalla Commissione nel

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La politica europea

dell’energia

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Libro Verde pubblicato pochi giorni prima, ha posto le fondamenta diuna politica comune articolata su tre obiettivi principali:

· aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico

· assicurare la competitività delle economie europee e la sostenibi-lità dell’ approvvigionamento energetico

· promuovere la sostenibilità ambientale.

Nel successivo Consiglio Europeo di giugno 2006 sono state inoltreposte le basi di una politica estera comune in materia di energia, voltaa consentire all’Unione di esprimersi con una voce unica sul pianointernazionale e nel suo dialogo con i Paesi produttori, di transito e con-sumatori.

Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese ha sostenuto attivamen-te l’avvio di iniziative concrete volte a definire una strategia complessi-va per l’energia a livello europeo ritenendo che al centro dell’azionecomunitaria debbano esserci cittadini e imprese, la cui sicurezzaandrebbe garantita migliorando le interconnessioni, il sistema di stoc-caggi condivisi, approntando piani di emergenza comune e sviluppan-do una politica ad hoc per le imprese ad elevata intensità energetica. Ilnostro Paese si è fatto promotore, inoltre, della definizione di un qua-dro normativo armonizzato, basato sul completamento del mercatointerno dell’energia che superi le attuali asimmetrie nell’apertura deimercati nazionali.

Altro punto fondamentale è costituito dalla promozione del risparmioenergetico, dell’efficienza energetica nella produzione e nei consumi,dell’uso delle fonti rinnovabili in maniera da contribuire alla promozionedell’ambiente e alla salvaguardia della competitività dell’Unione. Sulpiano esterno, l’Italia sostiene un’Europa che parli con una sola voce esviluppi un dialogo con i paesi fornitori di materie di materie prime qualiRussia, Paesi del Mar Caspio e Paesi della sponda sud delMediterraneo, riconoscendo a quest’ultimi un ruolo prioritario. L’Italiaritiene inoltre che al centro delle preoccupazioni dell’Unione debbaporsi la definizione, in partenariato con i principali Paesi partner, inclu-si quelli emergenti (Cina, India, Brasile), di uno scenario post Protocollodi Kyoto, che consenta di ripartire in maniera equa gli oneri derivantidalla riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra.

Il Consiglio Europeo di primavera (8-9 marzo 2007) ha adottato unPiano d’Azione triennale per una “Politica Energetica per l’Europa”,sulla base di un complesso di proposte presentate dalla Commissionein gennaio, nel quadro della “Strategic Energy Review”. Nel ribadire l’o-biettivo di contenimento dell’aumento della temperatura globale mediaal massimo a 2° C rispetto ai livelli pre-industriali, i Capi di Stato e diGoverno hanno sottolineato la necessità di sviluppare un approcciointegrato in materia di cambiamenti climatici ed energia mirante adassicurare la sicurezza degli approvvigionamenti, la competitività e laprotezione dell’ambiente. Emerge la volontà dell’UE di svolgere un

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ruolo guida nella protezione internazionale del clima e, in particolare,l’Unione si assume l’impegno unilaterale di ridurre entro il 2020 di alme-no il 20% le emissioni di gas ad effetto serra rispetto al 1990, espri-mendo disponibilità a innalzare l’obiettivo al 30% qualora gli altri Paesisviluppati e i PVS più avanzati economicamente facciano la loro parte.

Il Piano prevede una serie di azioni prioritarie per: mercato internodel gas e dell’elettricità; sicurezza degli approvvigionamenti; politicaenergetica internazionale; efficienza energetica ed energie rinnovabili;tecnologie energetiche. Da sottolineare in particolare l’impegno a rag-giungere entro il 2020 una quota del 20% di energie rinnovabili sul tota-le dell’energia consumata nell’UE, nonché ad assicurare un risparmiodel 20% sul consumo, rispetto alle stime per il 2020. Per quanto riguar-da gli aspetti di politica esterna, il documento, riprendendo il documen-to congiunto della Commissione e dell’Alto Rappresentante Solana“Una politica esterna al servizio degli interessi energetici dell’Europa”del giugno 2006, ribadisce la necessità dell’Unione di esprimersi convoce unica sul piano internazionale e nel dialogo con i Paesi produtto-ri, di transito e consumatori.

Le prime azioni dell’Unione Europea nel settore ambientale risalgo-no al Vertice Europeo di Parigi del 1972, che ha dato il via al primoProgramma d’azione a favore dell’ambiente e alle prime direttive relati-ve alle sostanze chimiche, alla qualità dell’acqua ed all’inquinamentodell’aria. Occorrerà tuttavia attendere l’entrata in vigore, nel 1987,dell’Atto Unico europeo, affinché venga definita una chiara base giuri-dica per un intervento comunitario nel settore. A seguito dei successivitrattati di Maastricht (1993) e di Amsterdam (1999), le basi giuridicheper la politica comunitaria dell’ambiente sono oggi rappresentate dagliarticoli 174-176 (titolo XIX) del trattato CE. Il Trattato di Amsterdam hain particolare rafforzato il principio dello sviluppo sostenibile e posto trale priorità assolute della Comunità il raggiungimento di un livello eleva-to di protezione dell’ambiente.

La politica ambientale della Comunità si fonda sui principi della pre-cauzione (per cui occorre adoperarsi per evitare danni per l’ambiente ela salute nei casi in cui vi sia un’incertezza scientifica e le analisi preli-minari indichino la possibilità di effetti negativi, anche senza dimostra-zione di rischio) e dell’azione preventiva, sul principio della correzionein via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, e sul principio“chi inquina paga”. Al fine di garantire uno sviluppo sostenibile e di con-tribuire ad un sensibile e misurabile miglioramento dell’ambiente inEuropa, nel 1993 è stata inoltre istituita una Agenzia europea dell’am-biente, con sede a Copenaghen, con il compito di fornire informazioniattendibili e comparabili sull’ambiente ai responsabili e al pubblico.

Attualmente, il punto di riferimento dell’azione ambientale comunita-ria è il Sesto Programma d’azione adottato nel luglio 2002 e valido finoal 2010.

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La politicaambientale

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Per la sua attuazione sono previsti dei finanziamenti nel quadro delprogramma LIFE, attualmente in fase di ridefinizione (il programmaLIFE+ dovrebbe disporre di una dotazione finanziaria di circa 1,8 miliar-di di euro per il periodo 2007-2013).

I settori di azione prioritaria del programma sono quattro:Protezione della natura e della biodiversità. L’obiettivo consiste

nel proteggere e ripristinare la struttura e il funzionamento dei sisteminaturali, arrestando l’impoverimento della biodiversità sia nell’UnioneEuropea che su scala mondiale.

Ambiente e salute. In questo settore si vuole pervenire ad una qua-lità ambientale priva di rischi significativi per la salute umana.

Gestione delle risorse naturali e dei rifiuti. In questo campo siintende garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabi-li non superi la capacità di carico dell’ambiente e dissociare dalla cre-scita economica l’uso delle risorse, migliorando l’efficienza di questeultime e diminuendo la produzione di rifiuti.

Cambiamento climatico. L’obiettivo consiste nella riduzione delleemissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello che non pro-vochi cambiamenti artificiali del clima del pianeta. Nel quadro della stra-tegia perseguita per combattere il cambiamento climatico nell’ambitodel protocollo di Kyoto, l’UE ha introdotto il primo sistema mondiale discambi di quote di emissione. I governi dell’UE assegnano quote diemissione a singole imprese industriali ed energetiche per limitare leloro emissioni di biossido di carbonio, il principale gas responsabile del-l’effetto serra. Le imprese che non utilizzano l’intera quota a loro dispo-sizione possono venderne la parte mancante ad altre che invece, oltre-passando la loro soglia, rischiano pesanti ammende per mancatorispetto della quota di emissione. Dato il successo dell’iniziativa, è incorso una riflessione sull’estensione dell’ambito di applicazione delladirettiva (ad esempio, ai trasporti aerei), oggi limitata ad alcuni settoriquali l’energia, la produzione e la trasformazione dei materiali ferrosi,l’industria minerale e della fabbricazione della carta e del cartone.

Il Consiglio Europeo di primavera (8-9 marzo 2007) ha impresso ulte-riore slancio alla politica europea di lotta ai cambiamenti climatici, sotto-lineando la stretta interdipendenza con la politica energetica e ribaden-do la determinazione dell’Unione Europea ad assumere un ruolo dileadership globale nella protezione del clima, anche in vista della defi-nizione del sistema che succederà al protocollo di Kyoto nel 2012.

La gestione delle migrazioni rappresenta ormai un tema di prioritariointeresse per l’Unione Europea, anche a causa della dimensione rag-giunta dai flussi illegali che attraversano il Mediterraneo. Per rispondereadeguatamente a tale sfida, l’UE ha lanciato nel dicembre 2005 il cosid-detto”approccio globale alla gestione delle migrazioni”, basato sui prin-cipi del dialogo con i paesi di origine e di transito, dell’interazione tra poli-

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tiche di contrasto e politiche di sviluppo e della solidarietà europea intermini di mezzi e risorse finanziarie. Esso costituisce un passo fonda-mentale verso una strategia europea non solo in grado di fronteggiarele crisi connesse agli afflussi massicci ed improvvisi di clandestini nelMediterraneo, ma anche di proporre una gestione ordinata delle migra-zioni in un’ottica di cooperazione con i Paesi di origine e di transito.

In questo quadro si collocano le iniziative varate dal Consiglio euro-peo del 14-15 dicembre 2006. Sotto il profilo della cooperazione e deldialogo con i Paesi terzi sono previste, in particolare

· un rafforzamento del partenariato con i Paesi dell’Africa e delMediterraneo

· una maggiore integrazione tra politiche migratorie e sviluppo,anche per assicurare coerenza tra i vari strumenti dell’Unione

· un rilancio dei negoziati sugli accordi di riammissione tra la UE ei paesi terzi, studiando anche possibili forme di affiancamento daparte degli Stati Membri

· la promozione dell’immigrazione legale nel quadro delle relazioniesterne dell’Unione

· l’applicazione dell’approccio globale anche alle regioni orientali esud-orientali dell’UE.

Sulla lotta all’immigrazione illegale, il Consiglio Europeo ha previstoazioni tendenti al rafforzamento istituzionale ed operativo di Frontex(l’Agenzia per le Frontiere Esterne dell’UE) e all’intensificazione delcontrasto dell’economia sommersa sia a livello europeo sia nazionale.Sulla migrazione legale e sull’integrazione, il Consiglio Europeo si èimpegnato:

· a sviluppare politiche che consentano di soddisfare le esigenzedel mercato del lavoro e che contribuiscano allo sviluppo sosteni-bile di tutti i Paesi

· a realizzare entro il 2010 un sistema comune di asilo europeo,sulla base di una valutazione della prima fase di tale sistema dacondurre nel 2007

· a rafforzare le politiche di integrazione stabilendo obiettivi e prin-cipi comuni.

Tale programma sembra rispondere adeguatamente all’esigenzadi innalzare il profilo europeo nel settore delle migrazioni ed in quantotale è stato attivamente sostenuto da parte italiana, anche d’intesa congli altri Paesi UE rivieraschi del Mediterraneo. L’esigenza di approfon-dire il dialogo e la cooperazione con i Paesi di origine e transito rap-presenta il volano della politica italiana, quale indispensabile premes-sa per promuovere un’efficace ed equilibrata politica migratoriaeuropea. In prospettiva, quindi, l’obiettivo dovrebbe essere quello diinnescare una dinamica collaborativa di lungo periodo nei confronti dei

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paesi di origine e transito, a cominciare da quelli dell’Africa e delMediterraneo, per recuperare in chiave di sviluppo l’enorme potenziali-tà positiva dei processi migratori.

Infrastrutture, trasporti, attività culturali, formazione: sono questisolo alcuni dei settori nei quali la politica regionale europea ha ottenu-to negli anni risultati tangibili. Una politica che tende essenzialmente adaffermare i principi di solidarietà, secondo cui tutti i cittadini europeidevono avere le stesse possibilità, indipendentemente dal contesto ter-ritoriale in cui vivono, e di sviluppo sostenibile. La politica regionalevalorizza l’importanza della dimensione locale, prendendo in conside-razione le peculiarità dei territori, con le loro difficoltà, le loro esigenzee le loro potenzialità espresse e inespresse. Ciò in considerazione delfatto che, malgrado il territorio dell’Unione sia tra i più ricchi del mondo,le diverse zone di cui si compone non godono di pari condizioni eco-nomiche e sociali. Il progetto europeo unisce aree a forte vocazioneinnovativa e aree attraversate da crisi profonde; centri nevralgici e peri-ferie isolate; regioni con un avanzato sistema di protezione sociale erealtà di disoccupazione ed emarginazione.

Già nel Preambolo del Trattato di Roma del 1957 veniva fatto espli-cito riferimento alla necessità di «ridurre il divario fra le diverse regionie il ritardo di quelle più svantaggiate», con l’obiettivo di rafforzare lacoesione europea. Per dare concretezza alla solidarietà comunitaria e’stata progressivamente creata una serie di strumenti finanziari con-venzionalmente denominati “Fondi Strutturali” che non hanno mai rap-presentato un mero strumento di trasferimento di risorse dagli Stati ric-chi a quelli poveri, ma sono stati concepiti per dare una spintasignificativa alla competitività dei territori che compongono l’Unione nelsuo insieme. Essi sono:

· il Fondo Sociale Europeo (FSE), previsto sin dal 1957 dallo stes-so Trattato di Roma, per prevenire e combattere la disoccupazio-ne e sviluppare le risorse umane e l’integrazione sociale nel mer-cato del lavoro

· il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA),istituito nel 1962 e oggi sostituito dal Fondo europeo agricolo digaranzia (FEAGA) e dal Fondo europeo agricolo per lo svilupporurale (FEASR) per finanziare la Politica Agricola Comune(www.dps.tesoro.it/qcs/schede_qcs/scheda_obiettivo1.asp”) edefinire il quadro del contributo comunitario allo sviluppo ruralesostenibile

· lo Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca (SFOP),istituito nel 1999 e oggi divenuto Fondo Europeo per la Pesca,che contribuisce all’equilibrio tra conservazione, gestione e sfrut-tamento razionale delle risorse ittiche e dell’acquacoltura e la tra-sformazione e commercializzazione dei relativi prodotti.

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· il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) istituito nel 1975e mirante a promuovere la coesione economica e sociale attraver-so la correzione dei principali squilibri regionali esistentinell’Unione Europea. Attraverso questo strumento, nel periodo2000-2006 sono stati inoltre finanziati i cosiddetti “programmi di ini-ziativa comunitaria” quali Interreg, Equal ed Urban, che hannovisto un attivo coinvolgimento delle Regioni.

· il Fondo Europeo di Coesione, istituito nel 1994 e destinato agliStati membri con un PIL pro capite inferiore al 90% della media UE.Un aspetto caratterizzante degli aiuti concessi attraverso tali fondiè che essi non sostituiscono quelli nazionali ma vi si aggiungono.

Nella programmazione 2000-2006 dei Fondi strutturali, il recuperosocio-economico delle regioni più svantaggiate, caratterizzate dall’avereun Prodotto Interno Lordo inferiore al 75% della media europea, rappre-sentava il cosiddetto “obiettivo 1” dei Fondi Strutturali. Nell’obiettivo 1rientravano le seguenti Regioni del nostro Mezzogiorno: Basilicata,Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia. In tale quadro, i territo-ri svantaggiati dell’Unione hanno usufruito di una dotazione complessivadi circa 257 miliardi di euro, pari al 37% del bilancio comunitario. Nelcaso dell’Italia, le Regioni “obiettivo 1” hanno beneficiato di 21,9 miliardidi euro (prezzi 1999) per investimenti di sviluppo. Il cosiddetto “obiettivo2” riguardava invece la riconversione economica e sociale delle zone condifficoltà strutturali. Nel caso dell’Italia, le Regioni “obiettivo 2” (situateprevalentemente nel centro-nord) hanno beneficiato di 2,145 miliardi diEuro (prezzi 1999). Infine, l’obiettivo 3 - che mirava all’adattamento eall’ammodernamento delle politiche e dei sistemi educativi, di formazio-ne e di impiego nelle regioni non obiettivo 1 - prevedeva una dotazionefinanziaria per l’Italia di 3,744 miliardi di Euro (prezzi 1999).

Per il periodo di programmazione 2007-2013 la Politica di Coesionedisporrà di uno stanziamento di 308 miliardi (prezzi costanti 2004), dicui 25,7 destinati all’Italia (20,1 alle Regioni meridionali). La nuova pro-grammazione, la cui logica di fondo consiste nel considerare coesionee competitività come due facce della stessa medaglia, presenta unanuova architettura fondata su tre Obiettivi:

· “Convergenza”, per il sostegno alla crescita e alla creazione dimaggiori posti di lavoro nelle regioni in “ritardo di sviluppo” (chesuccede all’Obiettivo 1)

· “Competitività regionale e occupazione”, per anticipare e promuo-vere il cambiamento in tutte le altre regioni (che succede agliObiettivi 2 e 3)

· “Cooperazione territoriale”, per promuovere lo sviluppo armoniosoed equilibrato del territorio europeo attraverso la cooperazionetransnazionale, transfrontaliera e interregionale (che succede aInterreg).

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La nuova programmazione si caratterizza inoltre per l’adozione diun approccio più strategico e per la semplificazione delle proceduregestionali. Alla politica di coesione va attribuito il merito di coinvolgereattivamente le amministrazioni regionali nella individuazione e nellaelaborazione dei progetti da realizzare come leva per dare nuovo dina-mismo alle realtà locali. Ogni Regione beneficiaria dei fondi europei,infatti, ha avuto il compito di elaborare un proprio programma(Programmi Operativi Regionali - POR) alla cui realizzazione hannopartecipato le parti economiche e sociali, garantendo la rappresentati-vità delle esigenze dei territori. Le aree di intervento non si limitano aisoli aspetti economici, ma sono multidisciplinari e toccano temi e pro-blemi stringenti che vanno –ad esempio - dalla formazione all’occupa-zione, dalla ricerca all’ambiente, dall’informazione alle pari opportuni-tà, dall’internazionalizzazione alle infrastrutture.

Nella fase operativa, spesso le amministrazioni regionali localihanno dovuto affrontare notevoli difficoltà nell’orientarsi tra le diversefonti di finanziamento europee e nella loro armonizzazione con glistrumenti nazionali e locali. Ulteriori difficoltà sono nate nel contempe-ramento delle diverse esigenze degli attori del territorio. A questo pro-posito è significativa l’esperienza di Italia Internazionale, il progetto diinternazionalizzazione delle regioni del Sud d’Italia finanziato anch’es-so con i Fondi Strutturali e gestito dalla Direzione Generale perl’Integrazione Europea del Ministero degli Affari Esteri, nell’ambito delProgramma Operativo di assistenza tecnica e per le azioni di sistema.Nella consapevolezza di queste difficoltà, Italia Internazionale hamesso a disposizione delle amministrazioni regionali dell’Obiettivo 1una serie di strumenti di programmazione volti a sostenere il collega-mento dei processi di sviluppo locale con le dinamiche internazionali,come ad esempio il Programma Regionale per l’Internazionalizzazione(PRINT) i progetti-Paese.

· il print è un modello per la definizione delle strategie di aperturadelle Regioni verso il mondo, che tiene conto delle esigenzeespresse dai diversi soggetti operanti nel territorio: pubblicheamministrazioni, imprese, sindacati, istituzioni bancarie, universi-tà e centri di ricerca, organizzazioni non governative. Si trattaquindi di uno strumento unitario di programmazione, che orientatutte le fonti finanziare a disposizione delle amministrazioni localisui temi rilevanti per l’internazionalizzazione, con una particolareattenzione all’attrazione di flussi di beni, idee e capitali dall’este-ro. Attualmente il PRINT è stato adottato da Basilicata,Campania, Puglia e Sicilia ed è in fase di attuazione in Calabriae Sardegna. Tale modello è in grado, inoltre, di rispondere alleesigenze di internazionalizzazione di tutte le Regioni italiane edha suscitato interesse in molte di esse.

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· il progetto-Paese è uno strumento teso a consentire alle ammi-nistrazioni regionali di programmare e rendere più efficaci le pro-prie attività all’estero. L’obiettivo è la creazione di partenariati per-manenti con Paesi selezionati, che favoriscano lo svilupposocio-economico dei territori coinvolti. Questo strumento nascedalla constatazione che esiste nelle regioni italiane una crescen-te propensione all’avvio di relazioni internazionali, manifestata daidiversi soggetti locali, pubblici e privati, le cui iniziative, però, sonospesso poco coerenti tra loro, sia funzionalmente che temporal-mente. Il risultato è uno scarso impatto delle azioni e un inutile dis-pendio di risorse umane e finanziarie in Italia e nei Paesi con iquali si è avviata la collaborazione. Il progetto-Paese, invece, con-tribuisce a costruire un’immagine forte e qualificata delle Regioniitaliane nei contesti internazionali, che consente loro di interagirein modo efficace e coordinato con Stati e territori esteri e con irelativi attori istituzionali, sociali ed economici. Così come ilPRINT, il progetto-Paese permette di integrare varie fonti finan-ziarie pubbliche e private di diversa origine: regionale, nazionale,comunitaria. I progetti-Paese avviati, fino ad oggi, sono tre: Puglia-Egitto, Sicilia-Tunisia e Sicilia-Romania.

Nella definizione dei print e dei progetti-Paese, le Regioni potrannotenere conto delle nuove opportunità che l’Unione Europea offre inmateria di cooperazione territoriale. Nel periodo di programmazione2007-2013, questa forma di cooperazione ha avuto infatti un importan-te riconoscimento, diventando uno degli obiettivi specifici della politicadi coesione. Essa consentirà la realizzazione di programmi transfron-talieri, transnazionali e interregionali che coinvolgeranno le Regioni ita-liane. Con i fondi destinati alla cooperazione territoriale, inoltre, verran-no co-finanziati i programmi analoghi previsti dai nuovi strumentifinanziari per le relazioni esterne adottati dalla Comunità europea.

Tra questi nuovi strumenti vi è, in primo luogo, l’ENPI (EuropeanNeighbourhood and Partnership Instrument), adottato per dare attua-zione alla Politica Europea di Vicinato. Esso riguarda i Paesi delMediterraneo meridionale e orientale (Algeria, Egitto, Israele,Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Cisgiordania e Striscia diGaza), l’Ucraina, la Moldova, la Bielorussia e i Paesi del Caucaso meri-dionale (Georgia, Armenia e Azerbaijan), nonché il partenariato strate-gico con la Russia. L’ENPI, che ha una dotazione finanziaria di 12miliardi di euro per il periodo 2007-2013, ha, tra i suoi obiettivi, lo svi-luppo economico e sociale dei Paesi vicini, la sicurezza e la stabilitàdelle frontiere (affrontando sfide comuni nel campo della sanità pubbli-ca, dell’ambiente, del nucleare, dell’immigrazione clandestina e del cri-mine organizzato transnazionale) e la progressiva liberalizzazionedegli scambi commerciali sulla base di regole armonizzate. Una com-ponente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella

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cooperazione transfrontaliera, che riguarda le Regioni degli Stati mem-bri e Paesi che condividono una frontiera marittima o terrestre comune.Nel quadro dell’ENPI è finanziato un Programma multilaterale sulBacino del Mediterraneo, che coinvolge i Paesi membri dell’Unione, laTurchia e i Paesi beneficiari nella Politica Europea di Vicinato che siaffacciano sulle sponde del Mediterraneo. La Regione Sardegna èstata nominata Autorità di Gestione Congiunta del programma, il cuibudget previsto è di 173 milioni di euro.

Altro strumento messo a disposizione dall’Unione Europea per laprogrammazione 2007-2013 è l’IPA (Instrument of Pre-Accession), tesoa promuovere il progressivo avvicinamento istituzionale, economico esociale dei Paesi candidati effettivi o potenziali all’adesione all’UnioneEuropea (Turchia, Croazia, Macedonia, Serbia – incluso il Kossovo –Montenegro, Bosnia Erzegovina ed Albania). Anche l’IPA, il cui budget èdi circa 11,5 miliardi di euro, rappresenta un’opportunità per l’Italia e peril suo sistema regionale, prevedendo il ricorso alla cooperazione territo-riale. Nell’ambito dell’IPA è finanziato un Programma sul Bacinodell’Adriatico, che coinvolge le sette Regioni italiane che vi si affacciano(Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo,Molise e Puglia), nonché le regioni frontaliere di Croazia, BosniaErzegovina, Serbia, Montenegro, Albania e Slovenia.

Banco di prova della nuova politica europea di coesione, e in parti-colare dei programmi di cooperazione territoriale, sarà il grado di par-tecipazione delle autorità e degli attori locali. Solo attraverso un loropieno coinvolgimento sarà possibile ottenere effetti tangibili e perma-nenti di sviluppo, di apertura e di integrazione delle aree geograficheinteressate. Gli stessi fondi messi a disposizione dalla programmazio-ne europea devono peraltro essere considerati una leva per l’attivazio-ne di investimenti privati, altrimenti il loro effetto sarà minimo o trascu-rabile. Un esempio concreto di collaborazione transfrontaliera, che havisto la partecipazione di soggetti pubblici e privati, è “Credito a chi ciha dato credito”, iniziativa realizzata in chiusura della scorsa pro-grammazione. Si tratta di un accordo tra una banca tunisina (BanqueInternationale Arabe de Tunisie), Banca Nuova e la Regione Sicilia.

Anche la definizione di tale accordo è stata sostenuta nel quadro delprogetto “Italia Internazionale”. Obiettivo dell’iniziativa è la creazione diservizi finanziari studiati per rispondere alle esigenze degli immigratitunisini che hanno scelto di vivere in Sicilia e che contribuiscono allaricchezza della regione con il proprio lavoro. “Credito a chi ci ha datocredito” permette ai tunisini residenti in Sicilia di inviare i propri rispar-mi ai familiari in Tunisia, usufruendo di condizioni di trasferimento van-taggiose. Esso permette loro, inoltre, il finanziamento di progettiimprenditoriali nel proprio Paese di origine. Un’iniziativa che rappre-senta un passo significativo verso la creazione di un partenariato tra laSicilia e la Tunisia, ponendo le basi di un dialogo che prenda in consi-derazione soprattutto gli interessi dei cittadini.

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L’azione esternadell’Unione

Europea sulla scena mondiale.

Una realtà di successo in

costanteevoluzione

I ventisette Paesi, di cui l’Unione dallo scorso gennaio si compone,dispongono, per affermarsi sulla scena mondiale, di una dimensioneaggiuntiva oltre a quella nazionale e alla loro eventuale appartenenzaad organizzazioni internazionali o alleanze militari. La Politica Esterae di Sicurezza Comune – PESC secondo un acronimo che nei cittadi-ni europei ha avuto minor fortuna della politica che è stato chiamato adefinire – è ormai una realtà consolidata ed in crescente espansione.

Nonostante l’esito negativo dei referendum in Francia e nei PaesiBassi sul Trattato costituzionale firmato a Roma nell’ottobre 2004, taledimensione – tradizionalmente definita come il secondo dei pilastridell’Unione Europea - si è vieppiù ampliata ed approfondita. La PESCè dunque una giovane storia europea di successo, anche in assenzadi quelle modifiche “costituzionali” che renderebbero più efficace il suosviluppo nel quadro dell’Unione, a cominciare dall’istituzione di unMinistro degli Esteri europeo.

I primi passi nella ricerca di quella che è stata invocata prima comel’attesa voce unitaria dell’Unione Europea nel mondo e poi anchecome l’indispensabile identità comune di sicurezza, risalgono a quasitrent’anni fa. Le resistenze e lo scetticismo di chi invocava l’irrinuncia-bile natura sovrana, e quindi necessariamente nazionale, dell’azionepolitica esterna degli Stati membri, appaiono oggi in larga parte supe-rate.

La PESC è una realtà con cui la politica estera di tutti gli Stati mem-bri convive. Essa è innanzitutto costituita dall’opera costante di con-tatto diretto dei vertici dell’Unione con i vari interlocutori internaziona-li, ma è fatta anche di molteplici ed articolate dichiarazioni, azioni,iniziative operative e di atti giuridici vincolanti (Strategie comuni,Posizioni comuni, Azioni comuni secondo i termini adoperati dal TitoloV del Trattato UE, firmato a Maastricht e ampliato ad Amsterdam ed aNizza).

L’esigenza di una coerenza complessiva dell’azione europea sullascena internazionale è stata sancita in un documento di natura stra-tegica predisposto nel 2003, la European Security Strategy, elaboratoin risposta alle nuove sfide, quali quelle del terrorismo e della prolife-razione degli armamenti. Organicità e coerenza della PESC ovvia-mente vanno intese non con riguardo alle posizioni tenute dai singoliStati membri, ma anche con riferimento alle iniziative dellaCommissione nell’ambito delle sue competenze.

L’attuazione di tale politica è soprattutto il frutto di un lavoro conti-nuo della Presidenza e degli Stati membri, chiamati quotidianamentea coordinarsi e a definire posizioni concordate nel quadro di quasi cin-quanta fra Gruppi e Comitati a Bruxelles, a cominciare dal ComitatoPolitico e di Sicurezza (COPS), e delle strutture del SegretariatoGenerale del Consiglio con al suo vertice il Segretario Generale/AltoRappresentante per la PESC, Javier Solana.

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La crescita progressiva della PESC ha condotto allo sviluppo di piùstrumenti il cui uso deve essere attentamente e quotidianamente gra-duato a seconda delle circostanze, dei contesti e degli obiettivi. Vi èinfatti innanzitutto un potere europeo di monito, di richiamo dei principie, ove opportuno, di incoraggiamento nei confronti dei tanti partnerdell’Unione o di Paesi in situazioni di conflitto. Si tratta di quello che, conuna felice espressione anglosassone, è stato definito il soft power euro-peo, per distinguerlo all’uso della forza derivante dalla dissuasione disicurezza o dalla vera e propria deterrenza militare.

Non passa giorno senza che il Consiglio, l’Alto RappresentanteSolana, la Presidenza di turno e la Commissione – ognuno nell’ambitodelle sue prerogative – intervengano presentando una posizione pron-tamente identificata come la voce dell’Unione su questioni all’attenzio-ne delle controparti e dell’opinione pubblica internazionale.

Di conseguenza viene sempre più riconosciuta l’autorevolezza delmessaggio che proviene da un attore, come l’Unione Europea, cheprima ancora che in politica estera tanti Paesi avevano imparato aconoscere per il ruolo centrale svolto sulla scena internazionale grazie,tra l’altro, alla politica commerciale, alle attività di cooperazione allo svi-luppo e di assistenza tecnica, agli avanzati programmi nel settore dellacultura e della ricerca, e a cui, in alcuni casi, essi guardano nella pro-spettiva di una propria futura adesione.

Accanto a iniziative di sostegno, monitoraggio, incentivazione o divero e proprio finanziamento debbono essere talvolta adoperate nelquadro della PESC anche misure sanzionatorie (embargo sulle armi,restrizioni a importazioni/esportazioni o finanziarie, divieto di visto o diviaggio, etc.) che l’Unione decide di adottare autonomamente ovveroper dare attuazione alle pertinenti Risoluzioni del Consiglio diSicurezza delle Nazioni Unite in particolare a sostegno della sua politi-ca a favore del rispetto dei diritti umani e contro il terrorismo e la proli-ferazione degli armamenti.

Ma nessuna politica, né tanto meno una politica estera, è credibilesenza un reale potere d’intervento, dotato di una capacità di incidereconcretamente su situazioni internazionali di crisi o, ancor prima, di dis-suadere tempestivamente dei potenziali belligeranti. In tal sensol’Unione ha saputo gradatamente strutturare la propria Politica diSicurezza e Difesa (PESD), partorita dalla PESC stessa ed oggi suoindispensabile complemento. La PESD è stata delineata dal ConsiglioEuropeo di Colonia nel giugno 1999, che, basandosi sul Trattato diAmsterdam, stabilì che “l’UE deve avere una capacità di condurre azio-ni in modo autonomo, potendo contare su forze militari credibili, suimezzi per decidere di farle intervenire e sulla disponibilità a farlo, al finedi rispondere alle crisi internazionali lasciando impregiudicate le azionidella NATO (…); lo sviluppo di una capacità di gestione militare delle

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crisi deve essere considerata un’attività nel contesto della PESC ed unelemento della graduale definizione di una politica comune di difesa”.

La PESD ha preso spunto dalla eredità dell’Unione dell’EuropaOccidentale (UEO) e codificata nei cosiddetti compiti di Petersbergincentrati sul mantenimento della pace e sulle missioni umanitarie.Rinviata, almeno allo stadio attuale, l’ambizione di un esercito europeo,si è scelta la strada della messa in comune di risorse nazionali, tantomilitari che di polizia, per far fronte alle esigenze legate alla gestionedelle crisi che di volta in volta si profilano. Questo metodo, le cui moda-lità applicative vengono decise a seconda delle circostanze, per quan-to complesso e di faticosa attuazione (vedi le procedure di generazio-ne delle forze, la struttura di comando delle Missioni, la disponibilità deltrasporto tattico e strategico, la scelta dei criteri di suddivisione deicosti, etc.) ha consentito comunque alla UE di dispiegare in contem-poranea (inizio 2007) ben tredici diverse Missioni nel mondo.

In pochi anni (in pratica dal 2003) la PESD si è arricchita di molte-plici esempi di azioni condotte vuoi in teatri di tradizionale impegnodell’Unione, come i Balcani, vuoi anche in regioni più distanti come ilMedio Oriente, l’Africa, l’Asia o il Caucaso meridionale. In concreto,l’UE ha mostrato capacità d’intervento per il mantenimento della pacemediante le Missioni militari in Bosnia (EUFOR Althea) e da ultimo inRepubblica Democratica del Congo (EUFOR RDC) per accompagna-re la recente fase elettorale.

Va al tempo stesso sottolineato che la PESD si é fin dall’inizio carat-terizzata per la consapevolezza che l’impiego delle risorse militari nonsia né l’unico né il più frequente degli strumenti cui fare ricorso. LaPESD “civile” è infatti lo strumento più frequentemente ed efficace-mente utilizzato dalla UE nella gestione delle crisi, con attività che spa-ziano in vari settori (polizia, stato di diritto, giustizia, monitoraggio,amministrazione civile) che rappresentano già oggi aree di eccellenzadell’azione esterna dell’Unione.

E’ il caso della Missione conclusasi nel 2006 ad Aceh in Indonesia(AMM) per il monitoraggio degli accordi di pace e dell’attività di forma-zione e addestramento a favore della magistratura e dei quadri di poli-zia e degli apparati penitenziari iracheni (EUJUSTLEX Irak). Per quan-to riguarda l’assistenza nel settore della polizia, sono tuttora in corso lemissioni in Bosnia (EUPM), nella Repubblica Democratica del Congo(EUPOL Kinshasa) e nei Territori palestinesi (EUPOL COPPS). La UEè inoltre presente sul terreno per la gestione del valico di frontiera aRafah fra Egitto e Gaza (EUBAM Rafah) affidata ad un contingente inlarga parte italiano.

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In parallelo alle realizzazioni sul terreno, si sviluppa l’attività desti-nata a censire e predefinire di quali mezzi e capacità militari e civili laPESD avrà bisogno nel medio termine (il catalogo delle forze di cui alcosiddetto Headline Goal) e l’iniziativa destinata a sostenere sia gliStati membri che la stessa PESD nello sforzo di migliorare le capacitàeuropea di difesa e le attività di ricerca tecnologica nel settore degliarmamenti, tramite l’Agenzia Europea per la Difesa istituita nel 2004.

Nel porre in atto ciascun intervento, l’Unione acquisisce l’accordodelle autorità del Paese nel cui territorio è chiamata ad operare, ma siraccorda anche con gli altri attori internazionali presenti in quel teatro.E’ il caso del’ONU e delle sue maggiori Agenzie, della NATO,dell’OSCE, del Consiglio d’Europa, etc. Nel dialogo con ciascuno diessi e nella conseguente “divisione internazionale del lavoro” fra istitu-zioni multilaterali, si sta affermando la statura dell’Unione. Lo testimo-nia l’appello crescente che le organizzazioni internazionali e i principa-li partner, a cominciare dagli Stati Uniti, rivolgono all’UE per sollecitareuna sua sempre maggiore presenza politica e sul terreno.

Per quanto in particolare riguarda le Nazioni Unite, il biennio 2007 -2008 vede l’Italia, Paese fondatore dell’Unione Europea e da semprepromotore della sua dimensione esterna, presente anche nel Consigliodi Sicurezza a New York. Si tratta di una sfida e di un’opportunità danon perdere per un ulteriore progresso dell’azione dell’UE e dei suoimembri, chiamati ad esprimersi a New York con una voce il più possi-bile coerente ed autorevole.

L’Alto Rappresentante per la PESC

Nel corso del 2006 l’Alto Rappresentante per la PESC JavierSolana ha visitato ben 40 diversi paesi esterni all’UE, compiendo 51visite all’interno dell’Unione Europea, per un totale di 370.000 chilo-metri percorsi. All’esterno dell’Unione l’attività è stata così distribuita:Medio Oriente 23 visite e 126 incontri con Capi di Stato, Capi diGoverno, Ministri degli Esteri e rappresentanti delle maggioriOrganizzazioni Internazionali e Regionali; Balcani 53 incontri e 3 visi-te; Europa Orientale e l’Asia Centrale 53 incontri e 4 visite; Africa, 43incontri e 2 visite; Asia, 30 incontri e 4 visite ed infine 10 incontri perl’America Latina.

Inoltre sono state impiegate circa 9.000 persone in 12 missioniPESD, 7.500 delle quali in operazioni militari e 900 in operazioni civi-li di diversa natura.

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DELL’ITALIA

Signor Presidente,la ringrazio vivamente per le cortesi e amichevoli espressioni

che mi ha rivolto e che ha rivolto all’Italia e che rispecchiano ilnostro comune sentire e operare nel periodo della più strettacollaborazione tra noi. Collaborammo, nei rispettivi ruoli,soprattutto per far nascere quel Trattato costituzionale a cui leiora rinnova un convinto sostegno. Le ricambio sentimenti di sin-cera stima e di fervido augurio all’inizio del suo importantemandato.

Signor Presidente Pöttering,Signor Vice-Presidente della Commissione,Signor Rappresentante del Consiglio,Signore e Signori deputati,ritorno in questo emiciclo con lo stesso sentimento di appar-

tenenza che mi ha animato negli anni del mio impegno inParlamento europeo. Appartenenza all’istituzione parlamentaree appartenenza all’Europa. Sono stato per più decenni membrodel Parlamento nazionale del mio paese, ma mi sono subito sen-tito a mio agio nell’assolvere il mandato di eletto in questaassemblea quando sono stato chiamato a farne parte. Nessundisagio, perché il Parlamento europeo, almeno dal 1979, ha lastessa dignità, autorità e legittimità democratica di qualsiasiParlamento liberamente eletto. Nessuna contraddizione, perchého sempre creduto e credo che tra Parlamenti nazionali eParlamento europeo non debba esservi incomprensione e anta-gonismo, ma solo rispetto reciproco e feconda cooperazione.

E, soprattutto, sono sempre stato convinto che si possanoben rappresentare le ragioni e gli interessi del proprio paese nelParlamento europeo come nel Parlamento nazionale : qui, nelleaule di Strasburgo e di Bruxelles, secondo una visione più ampiadi problemi e di scelte che anche nell’interesse delle nostre

Discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,

in occasione della visita al Parlamento Europeo.

Strasburgo, 14 febbraio 2007

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comunità nazionali debbono concepirsi in una dimensione europea.Quel che unisce noi tutti è appunto il senso dell’appartenenzaall’Europa come patrimonio comune di valori e di idee, di tradizioni edi speranze, e come progetto di costruzione di un nuovo soggettopolitico e istituzionale che possa far fronte alle sfide dell’epoca in cuiviviamo e del prevedibile futuro.

Così si spiega il dato peculiare dell’esperienza che si compie nelParlamento europeo : dove agiscono rappresentanze politiche chenon obbediscono a logiche nazionali ristrette e divergenti, e che pos-sono certo dividersi su questioni anche importanti, in votazioni certa-mente significative, ma convergono in assai larga misura nella visio-ne dei fondamentali obbiettivi da perseguire al fine di rafforzare lacostruzione dell’Europa unita.

Quando - com’è accaduto tante volte nel corso dei decenni - si ètrattato di scegliere tra l’andare più avanti, il rendere più ampia e fortel’unità europea, o il segnare il passo e addirittura il tornare indietro, ilParlamento europeo ha sempre svolto un ruolo propulsivo, si è pro-nunciato nettamente, con maggioranze larghissime, per far progredi-re la costruzione comune, per allargarne l’orizzonte e le ambizioni.

In effetti, già a partire dal grande fatto nuovo dell’elezione, nel1979, del Parlamento europeo a suffragio universale, la strada dellaparlamentarizzazione e della costituzionalizzazione dell’Unione eraapparsa una prospettiva obbligata, al fine di rafforzare le basi demo-cratiche del processo d’integrazione, di garantire i diritti e le possibi-lità di partecipazione dei cittadini. In quel senso si mosse ilParlamento europeo approvando il 14 febbraio 1984 - precisamente23 anni fa - il Progetto di Trattato che istituiva l’Unione europea. QuelProgetto elaborato e discusso per impulso di Altiero Spinelli purtrop-po non divenne Trattato ; e nonostante il lungo e non infecondo cam-mino successivo, spesso ispirato alle proposte dello stesso progettoSpinelli, rimasero aperte molte questioni, e ne sorsero di nuove.

Così, quando al momento della firma del deludente Trattato diNizza, i governi convennero sulla necessità di affrontare i grandi temidell’avvenire dell’Europa e di aprire un vero e proprio processo costi-tuente, il Parlamento si impegnò fino in fondo a dare il suo contribu-to, collaborando alla ricerca di soluzioni soddisfacenti di fronte agliinterrogativi indicati nella Dichiarazione di Laeken del dicembre 2001.

Il Parlamento europeo può essere fiero del ruolo propulsivo svoltopiù che mai in quella fase e in special modo nella Convenzione diBruxelles, nei suoi gruppi di lavoro, nelle sue sedute plenarie e nelsuo Presidium.

Signori Deputati, 2001,2002,2003 : in quegli anni non ci fu pausa,ci fu sul serio riflessione, autentica e profonda riflessione. E quel chequindi si consegnò alla Conferenza Intergovernativa per le decisionifinali fu un materiale molto ricco di analisi, un testo lungamente medi-tato e discusso. Il risultato fu certamente un compromesso, ma non

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di basso livello : si trovò un terreno d’incontro tra punti di vista diver-si, ciascuna parte - anche il Parlamento europeo - sacrificò in qual-che misura le sue richieste e proposte, pur di giungere a un’intesache facesse comunque avanzare la causa dell’unità e dell’integrazio-ne europea.

Ebbene, Signori Deputati, si può forse oggi dichiarare con legge-rezza che quel Trattato - non a caso chiamato “costituzionale” - èmorto? Che quello straordinario e prolungato sforzo politico e cultu-rale è destinato a finire nel nulla? Che le firme di 27 Capi di Stato odi governo in calce a quel testo non hanno più valore?

Naturalmente, sappiamo benissimo quale trauma abbia rappre-sentato il voto contrario alla ratifica del Trattato costituzionale nei refe-rendum indetti in due dei sei paesi fondatori della Comunità europea.E sappiamo egualmente quali questioni ci ponga il diffondersi, anchein altri paesi, di dubbi e scetticismi sulla strada da seguire in Europa,sullo stato attuale e sulle prospettive dell’Unione europea.

In realtà, si stanno pagando le conseguenze di uno scarso sforzoper associare i cittadini alle grandi scelte dell’integrazione e unifica-zione europea, per diffondere nelle opinioni pubbliche di tutti i paesila consapevolezza degli straordinari risultati e progressi conseguiti incinquant’anni e delle nuove, sempre più pressanti esigenze di raffor-zamento dell’Unione europea, della sua coesione e della sua capaci-tà d’azione.

Tutto questo peraltro non può condurre a una sottovalutazionedelle ragioni del Trattato costituzionale sottoscritto a Roma nell’otto-bre 2004, e nemmeno delle soluzioni in esso contenute. Questehanno già costituito delle concrete anche se parziali risposte - chebisogna far meglio conoscere e apprezzare - alle sollecitazioni dei cit-tadini, compresa quella per una maggiore trasparenza e democrazianell’Unione.

Se nel complesso il Trattato costituzionale ha costituito un felicepunto d’incontro, va ricordato che in un buon compromesso si tengo-no insieme sia l’accoglimento di certi punti di vista sia la rinuncia adaltri. Non lo si dimentichi nel momento in cui si parla di rimettere lemani sul testo del 2004 : nessuno può pensare di spostare a vantag-gio delle proprie tesi l’equilibrio del compromesso raggiunto. Aprireun nuovo negoziato può significare aprire un vaso di Pandora, corre-re il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e daitempi imprevedibili.

Diciotto dei ventisette Stati membri hanno ratificato il Trattato, inrappresentanza di 275 milioni di cittadini europei : essi meritano rispet-to per aver mantenuto l’impegno sottoscritto a Roma. E’ ben chiaro,s’intende, che vanno considerate con rispetto anche le maggioranzeespressesi in senso contrario nei referendum francese e olandese, eche vanno perciò perseguiti tutti i chiarimenti possibili in ordine allepreoccupazioni da cui sono scaturiti quei pronunciamenti contrari.

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Ma è tempo per l’Europa di uscire dall’impasse. E non si può seria-mente sostenere che l’Unione non abbia bisogno - dopo il grandeallargamento - di una ridefinizione del quadro d’insieme dei suoi valo-ri e dei suoi obbiettivi e di una riforma dei suoi assetti istituzionali.Lavorare a un progetto di Costituzione per l’Europa non ha rappre-sentato un esercizio formalistico, non ha rappresentato un capriccioo un lusso : ha corrisposto a una profonda necessità dell’Europa nel-l’attuale momento storico.

Né si può proporre oggi come visione e strategia alternativa quel-la dell’Europa dei progetti o dei risultati. Certo, è ben vero che negliultimi due anni l’Unione non è rimasta ferma. Essa ha dato la mag-gior prova di quel che potrebbe rappresentare sulla scena internazio-nale quando è riuscita a esprimersi con una sola voce sulla guerra inLibano, promuovendo una nuova e impegnativa missione per la pacein quella regione e in tutto il Medio Oriente. Accanto a questa rinno-vata iniziativa politica, si può iscrivere all’attivo del bilancio di questoperiodo la definizione, con il sostanziale contributo dato dalParlamento europeo grazie ai poteri della procedura di codecisione,di alcune importanti direttive e dell’accordo per un sia pur limitato raf-forzamento delle magre prospettive finanziarie 2007-2013.

Ma sulla strada dei risultati, Signori Deputati, con l’attuale quadroistituzionale non si può andare molto lontano. E’ certamente impor-tante elaborare e prospettare le linee di nuove politiche comuni :come ha di recente fatto la Commissione per i problemi dell’ambien-te e dell’energia, esplosi ormai in tutta la loro acutezza col cambia-mento climatico e con le tensioni per l’approvvigionamento di petrolioe di gas. Sappiamo tuttavia per lunga esperienza che documenti,comunicazioni e anche proposte legislative della Commissione pos-sono sfociare in scarsi risultati o in solo lentissimi progressi : ce lodice ad esempio il così stentato cammino di molti anni verso una poli-tica europea dell’immigrazione.

Sappiamo egualmente come alla nascita della moneta unica nonsia seguita la governance economica che sarebbe stata necessariaanche per assicurare l’effettivo conseguimento degli obbiettivi formu-lati nel grande progetto della strategia di Lisbona.

E allora, che cosa è decisivo per rendere vitali i progetti e per farcrescere sul serio un’Europa dei risultati? E’ decisiva la forza delleistituzioni e dell’impegno politico. E’ decisivo per l’Unione dotarsi diistituzioni più forti delle resistenze opposte da quegli Stati membriche restano più chiusi nella difesa di anacronistiche prerogative e divelleitarie presunzioni nazionali.

Il Trattato costituzionale ha sgombrato il campo da ogni timore osospetto di svolta verso un superStato centralizzato : ha sancito piùnettamente la ripartizione delle competenze e garantito il rispetto delprincipio di sussidiarietà. Si può piuttosto sostenere che abbia inno-vato troppo poco per adeguare regole di funzionamento e procedure

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di decisione alla sfida dell’Unione allargata, e troppo poco per avvia-re le nuove politiche comuni di cui c’è bisogno.

Con il Trattato costituzionale, i più decisi passi avanti si sono com-piuti in direzione di una politica estera e di sicurezza comune, di uneffettivo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, di una coope-razione strutturata nel campo della difesa e di una cooperazione raf-forzata in altri campi. Ma se si aprisse un nuovo negoziato e da qual-che parte si rimettessero in questione tali innovazioni, a cominciaredall’istituzione di un ministro degli affari esteri europeo e di un servi-zio europeo per l’azione esterna, si può esser certi che da altre partiverrebbe richiesto piuttosto il completamento o l’integrazione delTrattato del 2004 con nuove, più coraggiose e coerenti scelte per losviluppo del processo di integrazione. Verrebbe ad esempio com-prensibilmente riproposta l’esigenza di una maggiore estensione del-l’area delle decisioni a maggioranza in seno al Consiglio : anche per-ché il superamento della regola dell’unanimità e del diritto di veto nonesclude, e anzi favorisce la ricerca di larghe intese, il raggiungimen-to in tempi rapidi di accordi accettabili.

Ed egualmente sarebbe di nuovo avanzata - riaprendosi il nego-ziato - la proposta di superamento del vincolo dell’unanimità per lefuture riforme dei Trattati e per la loro entrata in vigore.

Occorre dunque grande realismo da tutte le parti. Realismo einsieme determinazione per non far prevalere la tendenza, che anco-ra una volta si manifesta, a indebolire e annacquare la scelta che piùdi cinquant’anni orsono venne compiuta. Si scelse allora la prospetti-va di un’Europa capace di integrarsi, una e plurale, ricca nelle suediversità, consapevole del suo comune retaggio di civiltà, forte nelcombinare la cooperazione tra governi nazionali con una nuovadimensione sovranazionale.

Stiamo per celebrare il cinquantenario dei Trattati di Roma, ed èimportante cogliere l’occasione per confermare quella prospettiva equella scelta, rendendone chiare le nuove ragioni e le nuove ambi-zioni.

Ma è a Parigi che già nel 1950 nacque “l’invenzione comunitaria”,con la quale si giunse a delineare l’orizzonte più lontano dellaFederazione europea, degli Stati Uniti d’Europa. Ed è da Parigi cheoggi attendiamo con fiducia un responsabile apporto al superamentodella crisi che si è aperta con la mancata ratifica del Trattato del 2004.L’amica Francia ha un senso così alto del suo ruolo nell’Europa e nelmondo, che non ci farà mancare questo suo ormai decisivo apporto.

Signor Presidente, Signori deputati, ho richiamato la vostra atten-zione su alcuni elementi essenziali del quadro in cui si collocano ledecisioni da prendere nel prossimo futuro, senza entrare nel meritodelle molteplici ipotesi che si sono di recente affacciate sul piano giu-ridico, tecnico e politico, nella ricerca di una via d’uscita dall’impasseistituzionale. L’Italia guarda con piena fiducia all’impegno della

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Presidenza tedesca, per i principi e i valori cui il Cancelliere, SignoraMerkel, si è richiamata nel suo discorso in quest’aula e per la riaffer-mazione dell’obbiettivo di giungere all’adozione del Trattato costitu-zionale.

Comunque possa definirsi la roadmap di cui oggi si parla, è impor-tante che già si convenga sulla necessità che alle elezioni del 2009si possa presentare ai cittadini il Trattato costituzionale entrato invigore, con il suo messaggio e il suo programma.

Il mio vuol essere, partendo da ciò, un appello al senso di respon-sabilità e alla volontà politica di tutti coloro che hanno ruoli di guidanei nostri paesi. Nessuno ignora la portata delle nuove minacce, sfidee opportunità che sono dinanzi a noi. L’Europa potrà incidere sullerelazioni internazionali e sullo sviluppo globale, potrà ritrovare slancioe dinamismo e potrà contare nel mondo, solo se rafforzerà la propriacoesione e unità, dotandosi rapidamente - come Unione - delle istitu-zioni e delle risorse necessarie. L’alternativa - dovremmo saperlo - èun drammatico declino del ruolo di tutti i nostri paesi, del ruolo stori-co del nostro continente. Lasciatemi ripetere le parole con cui JeanMonnet concluse le sue memorie nel 1976 : “Non possiamo fermarciquando attorno a noi il mondo intero è in movimento”. Trent’annidopo, quelle parole sono ancora più vere, suonano come un assillo acui non si può più sfuggire.

Si mostrino dunque all’altezza di questa consapevolezza e di que-sta responsabilità le forze che guidano tutti i nostri paesi, sappianosprigionare una nuova volontà politica europea.

E si levi più che mai alta la voce del Parlamento europeo, la suasollecitazione, come nel passato, alla coerenza e al coraggio.

L’Italia farà la sua parte, Signor Presidente Pöttering, darà comeha dato fin dall’inizio del processo di integrazione il suo contributo. Uncontributo che è simboleggiato dalle figure di uno statista lungimiran-te, Alcide De Gasperi, e di un appassionato profeta e combattentedell’idea europea, Altiero Spinelli, di cui celebriamo quest’anno il cen-tenario della nascita. E nel richiamarmi al loro esempio, nel ribadirel’impegno europeo dell’Italia, so di poter rappresentare il mio paesenell’insieme delle sue forze politiche e nel sentire profondo dei suoicittadini.

Nello stesso tempo, ho inteso rivolgermi a voi, signori deputati,con accenti più strettamente personali, dettati dall’emozione di chi,sedendo in questi banchi, operando in questo Parlamento, ha sem-pre meglio imparato che la causa dei nostri popoli, delle nostre nazio-ni, del nostro comune futuro si serve solo lavorando per un’Europaunita.

IL FUTURO DELL’EUROPA: LA POSIZIONE DELL’ITALIA

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La tesi che intendo sostenere è che l’Europa abbia ancora di fronte a sé unaopportunità.

Chiamiamola una seconda occasione, dopo la battuta d’arresto, la vera e propriacrisi generata dallo stallo del processo costituzionale. Ho constatato di persona ilmalessere francese sull’Europa quando, come deputato europeo, sono stato invitatoa prendere parte ad alcuni eventi della campagna referendaria in Francia. Ne ho ripor-tato un’impressione vivissima e assai dolorosa della frattura tra l’Europa e l’opinionepubblica di un grande Paese fondatore. Su un’Europa tutto sommato incolpevole, sisommava l’insieme di paure di una opinione pubblica alla ricerca di protezione con-tro le sfide della globalizzazione. Il problema e’ che l’Europa non veniva vista come larisposta a queste sfide, ma anzi come un fattore di ulteriore aggravamento. Credo chesolo se sapremo presentare l’integrazione europea come la forza che ci consente digestire la globalizzazione, recupereremo un rapporto di fiducia.

Certo, le previsioni pessimistiche sono incoraggiate da una tendenza al declinonegli andamenti demografici, negli indicatori di competitività di economie esposteall’emergere di nuove potenze globali, e dalle tendenze alla ri-nazionalizzazione dellepolitiche.

Ma è vero anche che la crisi del 2003-2005 - la crisi interna sul Trattato costitu-zionale, la grande crisi esterna delle divisioni sull’Iraq - si è lasciata alle spalle delleimportanti lezioni: è ormai chiaro che, dividendosi all’esterno e all’interno, gli Statimembri nazionali, che siano piccoli o grandi, pagano prezzi notevoli e rischiano l’irri-levanza. Nell’Europa divisa non c’e’ salvezza per nessuno di fronte alle grandi sfide.

Nel dramma iracheno hanno contato poco quelli che si sono accodati alla coali-tion of the willing; ma anche quelli che vi si sono opposti, facendo anche leva su uncerto anti-americanismo, non sono stati in grado di influire sul corso degli avveni-menti.

La crisi nel rapporto fra cittadini ed Europa, drammatizzata dai no al Trattato costi-tuzionale, non è irreversibile. Se guardiamo ai dati degli ultimi sondaggi diEurobarometro, risulta abbastanza chiaro che i segni di ripresa economica hannoanche determinato un primo recupero di fiducia nelle istituzioni europee. Il che con-ferma quello che già sapevamo - i cittadini vogliono un’Europa dei risultati rispettoalle loro preoccupazioni dominanti: l’occupazione e la sicurezza. E un’Europa in gradodi produrre risultati e’ un’Europa in grado di recuperare popolarita’.

Va detto, infine, che è aumentata la pressione “esterna” all’integrazione: ladomanda di Europa che viene in genere da un sistema internazionale post-bipolare,ma ancora alla ricerca di un assetto successivo. Un’Europa unita, in grado di incide-re sugli assetti internazionali, e’ una delle condizioni di un multilateralismo efficacenella gestione di crisi e sfide globali.

L’Europa ha ancora un’occasione di fronte a sé. Ammesso che colga il cambia-mento strategico in atto.

La pressione viene ormai dall’ esternoSe guardiamo all’evoluzione dell’integrazione europea negli ultimi 50 anni, vedia-

mo che è stata rivolta prevalentemente all’interno: la riconciliazione intra-europeadopo il secondo conflitto mondiale, l’abolizione delle barriere economiche e il merca-to comune, la moneta sono stati fattore di sviluppo e di stabilita’. Si è trattato dellaconseguenza di un disegno politico, ma anche di un riflesso della guerra fredda e del-l’equilibrio bipolare: l’Europa divisa non poteva che essere un “teatro strategico” piùche un attore strategico.

In tutta la prima fase di vita della Comunità, di conseguenza, gli Stati membrihanno mantenuto integralmente le loro prerogative esterne, eccetto che nel campo

Intervento delVice Presidentedel Consiglio

e Ministro degliAffari EsteriMassimoD’Alemaall’Istituto

UniversitarioEuropeo.

“La seconda occasione

dell’Europa”

Firenze, 25 ottobre 2006

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del commercio. E’ una impostazione messa in crisi dalla rottura storica del 1989 e chenon regge alla caratteristica dominante del mondo di oggi: la distinzione fra ciò che èinterno ed esterno è largamente sfumata. Ciò che eravamo abituati a considerare“interno”(per esempio il controllo dell’emigrazione) tende a diventare un problemacomune; ciò che consideravamo esterno (la minaccia, le nuove minacce) si spostaanche sul piano interno.

Io credo che l’Europa abbia dimostrato una grande capacita’ di affrontare la novi-ta’ stategica generata dalla caduta del Muro di Berlino. Sotto la guida della Germania,h promosso la riunificazione del Continente, attraverso l’allargamento. Eguale capa-cita’ di risposta non vi e’ stata rispetto all’altra data periodizzante: l’attacco terroristi-co dell’11 settembre, cui l’Europa non e’ stata in grado di rispondere con una strate-gia comune.

In sintesi: l’Europa dei primi ‘50 è stata rivolta all’interno; l’Europa dei prossimi 50anni esisterà se esisterà all’esterno. Se farà della sicurezza internazionale, in aree esettori vitali per le nostre economie e società, la sua priorità. I cittadini europei sem-brano esserne più consci delle élites. Chiedono all’Europa di diventare un attore glo-bale (anche se vorrebbero che ciò avvenisse a costo zero, se guardiamo ai bilanci); lemaggiori resistenze continuano a venire da elite nazionali che vedono sempre nellapolitica estera un “domaine réservé”.

E’ evidente che tutto ciò include la gestione delle sfide economiche legate alla glo-balizzazione. Per fare solo due esempi. La politica commerciale comune non potrà inogni caso più prescindere da una visione strategica e da politiche di sicurezza comu-ni (come trattare il problema della Cina, ad esempio).

Maggiori successi nelle politiche di sviluppo, nella riduzione della povertà, sonola condizione per una risposta più efficace alle nuove dimensioni della sicurezza, acominciare dall’emigrazione.

L’Europa è direttamente esposta a un vastissimo arco di crisi - un arco che va dallaBielorussia ai Balcani occidentali, al Caucaso, al Medio Oriente e al Nord Africa. Senzacontribuire a stabilizzare queste aree di crisi, i paesi europei non potranno aspirare agestire né i problemi migratori né le questioni di sicurezza energetica. Al tempo stes-so, la questione mediorientale è ormai diventata, nel contesto del dopo- 11 settem-bre, una componente dei conflitti interni alle nostre stesse società.

E’ proprio su questo difficile versante - sul versante della proiezione strategica -che si offre all’Europa una seconda occasione per ripartire. Leggerei come primosegno di risveglio la risposta europea alla crisi libanese. Accettando di fornire il con-tributo prevalente di truppe internazionali nell’ambito della missione ONU, l’Europa hagiocato un ruolo politico di primo piano. Non piu’ un semplice “payer” ma un “pla-yer” strategico, ossia un attore politico e militare in una regione per noi prioritaria. Lavicenda libanese ha messo anche a nudo i limiti della capacità di funzionamento delleistituzioni europee nel loro assetto attuale: si è trattato ancora di una “coalition of thewilling” dei paesi europei, tuttavia sulla base di un mandato europeo, un passo inavanti importante anche sul piano istituzionale. In fondo non ci sarebbe stato bisognodi alcuna decisione comune europea (CAGRE del 25 agosto) per l’invio delle forze deisingoli Paesi.

Altrettanto importante è una seconda sfida esterna, quella del rapporto con laRussia e del tema, strettamente collegato, della sicurezza energetica. E’ interessecomune dei paesi europei stabilizzare il “vicinato comune” dall’Ucraina al Caucaso: ilche impone forme di cooperazione, ma anche inevitabili tensioni con Mosca, appa-rentemente decisa a mantenere il controllo sul proprio vicino estero. Nel settore ener-getico abbiano interessi in teoria complementari: l’Europa chiede sicurezza negli

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approvvigionamenti dalla Russia, la Russia chiede sicurezza nella domanda. Masiamo ancora lontani da regole certe di cooperazione, soprattutto quando la Russiaambisce ad entrare nel settore di distribuzione europeo.

Anche in questo caso, si può parlare di seconda occasione. Così come, nel seco-lo scorso, l’integrazione del carbone e dell’acciaio è servita a fondare l’Europa, in que-sto nuovo secolo una politica energetica comune verso l’esterno può servire a raf-forzarla. Il nazionalismo energetico ci condannerebbe a una insicurezza permanente.

Cinque banchi di provaPossiamo individuare alcune prove su cui si misurera’ la nostra capacita’ di fare

crescere un ruolo internazionale dell’Europa.Prima e piu’ immediata: salvare il negoziato multilaterale in sede WTO. Ne ho par-

lato ieri con il Direttore Generale dell’Organizzazione, Pascal Lamy. Sono convinto chesarebbe un grave errore sottovalutare la portata politica di questo negoziato, il rischioche si risolva in un insuccesso. L’Europa deve sostenere con forza e con il coraggiodi un ‘ultimo miglio’, che comporta anche qualche sacrificio, un accordo globale chee’ un passaggio importante verso un assetto multilaterale in grado di regolare i rap-porti commerciali internazionali.

In una seconda sfida ci sentiamo particolarmente impegnati. Dal 1 gennaio 2007l’Italia siedera’ nel Consiglio di Sicurezza. Vorremmo contribuire alla piena applicazio-ne dell’art.19 (coordinamento delle posizioni europee), spesso disatteso nella pratica.E’ un esercizio complesso, ma ci sforzeremo di sollecitare a Bruxelles un esame pre-ventivo delle questioni di maggior rilievo all’ordine del giorno dell’agenda di New Yorkin modo che i Paesi UE membri del CdS (5 su 15) possano farsi portatori di posizionicondivise. Se riuscissimo in un esercizio del genere, l’Europa conterebbe molto di piu’.Ciascuno dei Paesi conterebbe di piu’. Perfino il loro voto conterebbe di piu’.

Va in una direzione simile una proposta non nuova ma da rilanciare: in tempi noninfiniti, sarebbe auspicabile arrivare a una rappresentanza comune del’UE nel FondoMonetario Internazionale e nella Banca Mondiale.

Quarta proposta: utilizzare Forza di Reazione Rapida Europea nella logica di unastanding force delle Nazioni Unite, stabilendo anche nuove forme di cooperazione traUE, NATO, ONU.

Quinta sfida, infine: sviluppare una vera e propria politica europea dell’energia,definendo un approccio comune dei Paesi europei consumatori nei confronti deimaggiori produttori.

I vincoli interniSe quanto ho detto fin qui è vero, ne deriva che avremmo bisogno di più Europa

dove ne abbiamo meno (nella proiezione esterna) e forse ne avremmo bisogno dimeno dove invece c’è ne troppa (nella regolamentazione interna).

L’esistenza di questo gap - fra domanda e offerta di Europa - nasce da difficoltàoggettive e dal peso della storia; ma nasce anche dal fatto che non viene gestito ade-guatamente dalle leadership nazionali. Al contrario, viene spesso utilizzato da unaparte di loro per scaricare su Bruxelles responsabilita’ dei governi nazionali.

Lo dico per sottolineare un punto che mi sembra sostanziale: il governo a cuiappartengo è un governo europeista anzitutto perché non intende scaricare suBruxelles le proprie responsabilità. Non intende farlo il governo Prodi. E come sap-piamo non ha nessuna intenzione di farlo il governo tedesco, che assumerà laPresidenza dell’Unione in una fase cruciale. E qui - in questo cambiamento di atteg-giamento da parte di due dei paesi chiave del Vecchio Continente - c’è una chanceimportante da sfruttare: soprattutto perché l’Europa è prima di tutto una questione diresponsabilità nazionale.

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Se guardiamo all’economia, la logica dell’Euro - la “sovranità condivisa” - nondeve finire per deresponsabilizzare gli Stati nazionali, da cui continua a dipendere lavolontà e la capacità di attuare riforme strutturali. D’altra parte, il valore aggiuntodell’Unione europea sarebbe più netto con una migliore governance dell’area dell’eu-ro, che dovrebbe fare leva su un rafforzamento dell’euro-gruppo, cui l’Italia è favore-vole. Sarebbero ugualmente necessari una revisione del bilancio comunitario (insenso funzionale agli obiettivi di crescita e innovazione delle economie europee e conuna riduzione del peso del bilancio agricolo) e un aumento delle risorse comuni. Sonoobiettivi che l’Italia intende promuovere insieme a quella parte del mondo industrialeche non crede nel protezionismo ma nelle regole; e che crede nel vantaggio compa-rato di un mercato interno che dobbiamo completare.

Perché le istituzioni contanoPerché i progetti diventino risultati, l’Europa ha bisogno di una chiarezza di visio-

ne, fondata fra l’altro su una struttura istituzionale certa. Le istituzioni non sono unfine in sé; sono lo strumento per realizzare progetti comuni.

Non c’è contraddizione fra il primo e il secondo requisito. Secondo alcune tesi, cisiamo preoccupati troppo di istituzioni negli ultimi anni e troppo poco di risultati poli-tici. E’ un falso dibattito: mi sembra evidente che abbiamo bisogno di entrambi, dipolitiche comuni funzionanti e di istituzioni, ossia della capacità di decidere, di tra-sparenza, di un piu’ forte e diretto rapporto democratico con i cittadini.

E se guardiamo alla chiarezza di visione, l’Europa ha il problema di definire siaconfini interni - a cominciare dalla divisione delle responsabilità fra i vari livelli digoverno - che confini esterni.

Cosa significa, in realtà, fissare confini interni? Significa definire per l’UnioneEuropea un quadro di riferimento condiviso, generalmente riconosciuto e accettato,che orienti le decisioni collettive. Da questo punto di vista, decisivo ai fini del con-senso, l’essenza del Trattato costituzionale firmato a Roma nel 2004 resta indispen-sabile. Sappiamo tutti che nessuna decisione vera in materia costituzionale verràpresa prima del 2008, dopo l’esaurimento del ciclo elettorale in Francia e in Olanda,nei due paesi del “no”. Ma dobbiamo riprendere il processo già dalla Presidenza tede-sca del 2007 e averne chiaro l’obiettivo. Ci sara’ in effetti un periodo cruciale nellaprossima primavera, tra le elezioni francesi, il cambio annunciato nella leadership bri-tannica e il Consiglio Europeo sotto Presidenza tedesca. Per noi l’obiettivo e’ chiaro:l’essenza del Trattato di Roma va salvata. Va salvata perché l’assetto costituzionaleprevisto da quel Trattato è l’unica garanzia perché l’Unione allargata possa funziona-re e possa quindi produrre dei risultati. Non solo: il Trattato segna un punto fermo,nella traiettoria in perenne movimento dell’Unione europea. E in realtà non possiamopretendere consenso su un attore politico di cui restino incerte le regole di funziona-mento interno. Io penso che di un punto di arrivo - perlomeno di un punto di arrivovalido per questa fase storica - abbiamo vitale bisogno.

L’obiettivo che dobbiamo porci è definire - con una serie di tappe successive, fracui una nuova Conferenza intergovernativa - un assetto istituzionale certo per la sca-denza delle elezioni europee del 2009.

Realismo politico e buon senso impongono di tenere conto degli esiti negativi deireferendum in Olanda e in Francia e delle esitazioni di altri Stati membri che hannosospeso la procedura di ratifica del Trattato del 29 ottobre 2004. Lo stesso realismoimpone però di tenere conto anche del numero di paesi che hanno ratificato il Trattato(sedici, fra cui l’Italia) e che rappresentanodi gran lunga la maggioranza della popo-lazione dell’Unione. Qualunque altro testo ha un senso solo se in grado di conqui-starsi un consenso superiore.

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Non è affatto semplice individuare un punto di equilibrio che permetta di preser-vare i contenuti principali del Trattato costituzionale e insieme permetta di superare leresistenze emerse durante la fase di ratifica. E non vorrei adesso entrare nei dettaglidi quella che sarà una strategia negoziale dell’Italia in materia. Vorrei solo anticiparequello che mi sembra possibile e quelli che mi sembrano invece i limiti da non var-care. Come ha detto in varie occasioni uno dei vostri colleghi e professori, GiulianoAmato, l’Italia non avrebbe particolare motivo di opporsi né a variazioni terminologi-che (vogliamo un “Trattato fondamentale dell’Unione europea”, che si chiamiCostituzione o meno) né a mirate semplificazioni della Parte Terza che potrebberorendere più leggibile il testo ma mantenendone comunque le significative innovazio-ni in alcune politiche, come la PESC e la cooperazione giudiziaria e di polizia. Il limi-te da non varcare, per l’Italia, è altrettanto chiaro: vogliamo conservare alcune rifor-me essenziali per il funzionamento dell’Europa allargata e su cui gli Stati membriavevano già raggiunto un difficile accordo. Per mettere la cosa in termini ancora piùchiari: per l’Italia si tratta comunque di partire dal testo costituzionale approvato aRoma nel 2004 e non dal testo di Nizza, per proporne dei semplici rimaneggiamenti(“Nizza plus”). Ci dovranno essere degli aggiustamenti: potranno persino esserci dellecose in piu’ (un Protocollo sociale, come sostenuto da molti). Non mi piace l’espres-sione ‘mini-trattato’ che rimandi a dopo scelte impegnative. Anche se dietro il titolo‘minitrattato’ potrebbero esserci contenuti interessanti. Parlerei piuttosto di ‘CoreTreaty’.

Quali sono le riforme per noi irrinunciabili? La creazione di un Ministro degli Affariesteri, che presieda il Consiglio e faccia parte della Commissione; la designazione diun Presidente stabile del Consiglio europeo; l’estensione del voto a maggioranza qua-lificata sulla base del principio della doppia maggioranza; l’introduzione di meccani-smi di democrazia diretta e di un più chiaro sistema della ripartizione di competenzee delle fonti legislative; il conferimento di forza giuridica vincolante alla Carta dei dirit-ti. (forse l’innovazione piu’ carica di significato e fascino).

Sono questi gli indicatori-chiave, per l’Italia, della capacità del futuro testo fonda-mentale dell’Unione di rispondere a esigenze prioritarie di democrazia e efficacia. Suquesti aspetti non accetteremmo negoziati al ribasso.

I confini e l’identitàSe guardiamo ai confini esterni, la mia posizione è che il processo di allargamen-

to debba essere completato. Non lo è ancora. Lo sarà solo quando avremo inclusonell’Europa democratica non solo Romania e Bulgaria (nel gennaio 2007) ma anche iBalcani occidentali e, in uno scenario temporale successivo, più lungo, la Turchia. Nelprimo caso si tratta di una vera e propria missione nazionale: l’Italia ha il dovere e l’in-teresse di spingere l’Europa in questo senso. Ce lo dicono non solo le responsabilitàdella storia o la nostra posizione geopolitica, ma gli interessi specifici che abbiamoalla creazione di un’area di stabilità ai confini sud-orientali del Continente. Non pos-siamo permettere che si crei nei Balcani una specie di “enclave”, una zona di esclu-sione da cui derivino flussi migratori e criminalità. Se la prospettiva della piena ade-sione fosse tolta dal tavolo negoziale, la capacità dell’Europa di evitare tutto ciòdiminuirebbe drasticamente: leadership politiche responsabili non devono usare stru-mentalmente il disagio diffuso nella Vecchia Europa per l’allargamento ma devonoinvece spiegare alle nostre opinioni pubbliche che i costi del non-allargamento aiBalcani sarebbero molto forti e in ogni caso superiori ai vantaggi. L’Europa deve quin-di tenere aperta la possibilità di adesioni, sulla base di progressi specifici per quel cheriguarda la lotta alla criminalità, la lotta alla corruzione, la costruzione di istituzioniaffidabili.

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Insisto su quest’ultimo punto perché gli esiti dell’allargamento all’Europa centro-orientale contengono una lezione importante: è più facile raggiungere risultati econo-mici che risultati politici solidi. In particolare, i segnali di populismo in una parte deinuovi Paesi membri - populismo fatto anche di euro-scetticismo - ci dice che dob-biamo prestare molta maggiore attenzione alla gestione politica dell’allargamento enon soltanto all’acquis comunitario in materia economica.

Ciò vale anche, e tanto di più, nel caso della Turchia. Qui si tratta di incoraggiareil consolidamento democratico di un paese musulmano che è anche un attore geo-politico essenziale nell’area mediorientale.

Ci vogliono tutte le condizioni necessarie (a cominciare dal superamento del nododi Cipro); e ci vorrà più tempo.

Ma dobbiamo avere chiaro, come Italia e come Europa, che la porta deve restareaperta, perché è nei nostri interessi strategici. Si tratta anche di una decisione essen-ziale in termini identitari. Il rischio di una esclusione a priori della Turchia avrebbe unsignificato molto chiaro: la tentazione di definire l’identità dell’Europa non su valoricondivisi propri ma “contro” qualcosa, per differenza, in questo caso per differenzadal mondo islamico.

Definire l’identità del progetto europeo “contro” l’altro, un potenziale nemicoesterno, invece che partendo da sé, è naturalmente un facile fattore di unità. L’Europadegli anni ‘50 era definita anche contro l’ex spazio sovietico. L’Europa post-1989 epost-2001 tende ad essere definita da alcuni “contro” gli Stati Uniti e da altri “contro”l’Islam. Si tratta comunque di scelte miopi e sbagliate. L’Unione europea continua adavere bisogno, anche per restare unita, di un rapporto solido con gli Stati Uniti. D’altraparte, se tentasse di definirsi “contro l’Islam”, l’Europa aumenterebbe drammatica-mente sia le proprie tensioni interne che le tensioni esterne in quella vasta regione -il Mediterraneo allargato - in cui dobbiamo invece assumerci nuove responsabilità.

In sostanza: l’identità europea si definisce su valori positivi democratici, fra cui lacapacità di integrazione e il rispetto delle diversità; non su scelte negative di esclu-sione. Se scegliesse questa seconda strada, l’Europa diventerebbe in realtà un epi-centro dello scontro di civiltà. Non abbiamo nessun interesse a favorire un esito delgenere.

Ciò non toglie che per avere coesione interna e per darsi solidità come attoreinternazionale, l’Europa ha bisogno di confini certi, di frontiere esterne. Come ho cer-cato di dimostrare, esse devono includere i Balcani occidentali; e rientra nei nostriinteressi che includano in futuro anche la Turchia- a condizione naturalmente che laTurchia continui ad evolvere verso il rispetto dei criteri di adesione. A quel punto l’al-largamento dovrebbe fermarsi - questa è la mia tesi - dovrebbe fermarsi almeno perun futuro prevedibile. L’Europa dovrebbe invece sviluppare politiche di vicinato piùcredibili, anzitutto verso la Russia, l’Ucraina e lo spazio ex-sovietico, il Mediterraneomeridionale.

Allargata a Sud est e includendo un attore-chiave dell’area medio-orientale,l’Europa avrebbe proiettato stabilità in due direzioni essenziali. Da questo punto divista - la proiezione di stabilità - completare l’allargamento - resta una finalità essen-ziale dell’Unione europea, come ha molte volte sostenuto Joschka Fischer. Compitodelle classi politiche europee è di trovare un accordo su questo punto, dimostrandoai cittadini europei che l’allargamento - temuto quale minaccia - è in realtà una dellecondizioni per soddisfare proprio quelle esigenze di sicurezza che i cittadini avverto-no e per cui chiedono protezione all’Unione europea.

Più membri ma anche più flessibilitàSe la chiarezza del progetto europeo implica confini esterni certi, realizzarlo com-

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porta una condizione ulteriore: una maggiore flessibilità interna all’Unione. E’ chiaro,infatti, che con l’aumento dei membri dell’Unione, e quindi con l’aumento delle diver-sità interne, devono potere esistere velocità differenziate di integrazione. Il problemache abbiamo è il seguente: come mantenere un quadro istituzionale unitario inun’Europa a più velocità. Anche da questo punto di vista, non bisogna disperdere iprogressi previsti, con le norme sulle cooperazioni rafforzate, dal Trattato costituzio-nale.

L’Italia ha tutto l’interesse a partecipare ad accordi specifici di maggiore integra-zione o cooperazione fra alcuni paesi dell’Unione. La condizione è che restino accor-di aperti, inclusivi. Nella nostra visione, sarebbe cruciale un rafforzamento dell’areadell’euro e sarebbero indispensabili accordi ulteriori in materia di sicurezza interna, dipolitica estera e difesa.

Con l’allargamento dell’Unione, è pensabile che la politica estera comune possastrutturarsi secondo criteri di responsabilità geografica e la creazione di “gruppi dicontatto”. E’ anche inevitabile che non tutti i membri dell’Unione avranno lo stessopeso in politica estera. Solo un accordo fra i maggiori garantirà una capacità di lea-dership; come ha dimostrato negativamente il caso dell’Iraq. E certamente una seriafrattura fra le maggiori potenze europee è la garanzia di un’irrilevanza complessivadell’Unione. Resta che la creazione di direttori permanenti - il rischio posto invece dalnegoziato sull’Iran -verrebbe vissuta come un’esclusione dal resto dei membridell’Europa, riducendone così i mezzi a disposizione dell’Unione nel suo insieme.Anche in questo caso, quindi - che sarà tanto più rilevante per le sorti della Difesacomune - resta il problema di riuscire a conciliare capacità decisionale e coesione, ecioé il collegamento con le istituzioni.

Cooperazione rafforzata si’, quindi: in modo aperto e inclusivo. Direttori no: per-che’ dividono e rendono piu’ difficili le decisioni comuni.

Gli stessi principi - leadership e coesione - valgono per gli sviluppi della sicurez-za interna, all’incrocio fra gestione delle politiche migratorie, cooperazione giudiziariae sharing dell’intelligence. I progressi compiuti dal 2001 in poi su questo piano sonomolto più incoraggianti di quanto in genere si pensi: consolidarli ulteriormente appa-re una delle priorità evidenti dei prossimi anni, fra l’altro richiesta in modo esplicitoda larga parte dell’opinione pubblica europea. In questo caso, utilizzando una “pas-serella” del Trattato di Nizza, si potrebbe arrivare a decidere a maggioranza qualifica-ta. Cooperazione intergovernativa e metodo comunitario non vanno messi in contra-sto. Sono modi diversi di integrazione europea: ciò che davvero conterà sarà lacapacità decisionale.

Lo scenario ideale, ai fini dello sviluppo politico dell’Unione, è che un nucleo trai-nante e coerente di paesi faccia parte di tutte le forme di integrazione o cooperazioneulteriore.

E’ d’altra probabile che i percorsi alla Schengen tenderanno a moltiplicarsi. Ilpunto è che questo aumento di forme funzionali di cooperazione abbia alle spalle unquadro istituzionale unitario. Questa resta la vera frontiera: quella che passa fra unaUnione politica più flessibile e il rischio di una disgregazione.

ConclusioneLo stallo del Trattato costituzionale ha generato una crisi evidente. Ma ha anche

aumentato la consapevolezza della posta in gioco: l’Europa deve pensarsi come atto-re strategico. Come ho cercato di dire, che si colga questa occasione dipenderà daleadership nazionali e dal ritrovato consenso di cittadini europei che si sentono tali -europei - ma che hanno bisogno di certezze. Certezze sull’assetto interno dell’Unione,e quindi sulla sua capacità di decidere; certezze sui confini esterni, e quindi sulla iden-

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tità dell’Europa. Da questo punto di vista, resta giusta la vecchia regola aurea: appro-fondimento e allargamento devono combinarsi.

Sarebbe però sbagliato trarre dalla crisi costituzionale la conclusione che vadabloccato qualunque nuovo allargamento. Il vincolo deve funzionare all’opposto: i van-taggi strategici dei nuovi allargamenti costituiscono una motivazione ulteriore perrompere lo stallo costituzionale.

E’ indubbio, d’altra parte, che l’Europa ha bisogno in entrambi i campi - l’appro-fondimento e l’allargamento - di punti di arrivo, perlomeno per una fase transitoria.Un Trattato fondamentale e confini esterni darebbero chiarezza e certezza alla strut-tura generale dell’Europa allargata; lasciando ulteriori progressi ad un aumento dellaflessibilità. A forme di cooperazione rafforzata, all’interno; a forme di partnership raf-forzata, all’esterno.

In una visione euro-idealista aggiornata, avremo un’Europa delle regole comuni edel mercato interno, che coinciderà con lo spazio allargato; e insieme avremo, in alcu-ne politiche di integrazione ulteriore, gruppi europei più ristretti, come del resto giàavviene con l’Euro. Gestire l’insieme di questo disegno non sarà facile; ma resta l’u-nico modo perché gli europei possano sperare di competere con successo nel mondodel XXI secolo.

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