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MICHIO MORISHIMA L’ ECONOMIA DELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE ZANICHELLI Titolo originale: The Economics of Industrial Society Copyright © 1984, Cambridge University Press, Cambridge Traduzione: Teresa Tonioli Revisione: Mario Ferretti Copyright © 1989 Nicola Zanichelli Editore S.p.A., Bologna I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi Realizzazione editoriale a cura di Marco Manica International Copyright Lungadige Cangrande, 10 - 37126 Verona Copertina: Duilio Leonardi Prima edizione: ottobre 1989 Ristampe 5 4 3 2 1 1989 1990 1991 1992 1993 In copertina: Edgard Degas, La borsa del cotone a New Orleans, Pau, Musée des Beaux-Arts Realizzato con procedimento "Lasercomp" dall'A.G.E. (Arti Grafiche Emiliane), Via Genova 19/2, Bologna Stampato a Bologna dalla Tipostampa Bolognese, Via Collamarini 5, Bologna per conto della Nicola Zanichelli Editore S.p.A. Via Irnerio, 34 - 40126 Bologna

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MICHIO MORISHIMA

L’ ECONOMIA DELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE

ZANICHELLITitolo originale: The Economics of Industrial Society Copyright © 1984, Cambridge University Press, CambridgeTraduzione: Teresa TonioliRevisione: Mario FerrettiCopyright © 1989 Nicola Zanichelli Editore S.p.A., BolognaI diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesiRealizzazione editoriale a cura di Marco Manica International Copyright Lungadige Cangrande, 10 - 37126 VeronaCopertina: Duilio Leonardi Prima edizione: ottobre 1989Ristampe5 4 3 2 11989 1990 1991 1992 1993In copertina: Edgard Degas, La borsa del cotone a New Orleans, Pau, Musée des Beaux-ArtsRealizzato con procedimento "Lasercomp"dall'A.G.E. (Arti Grafiche Emiliane), Via Genova 19/2, BolognaStampato a Bolognadalla Tipostampa Bolognese, Via Collamarini 5, Bolognaper conto della Nicola Zanichelli Editore S.p.A.Via Irnerio, 34 - 40126 Bologna

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Indice

PremessaPrefazioneIntroduzioneIntroduzione

Quale economia?Lo schema del libro

PARTE PRIMALA FORMAZIONE DEI PREZZI

Capitolo 1 I mercati e il meccanismo dei prezziCome si determinano i prezzi?La struttura delle asteLe formulazioni degli economistiL'esistenza dell'equilibrioLa determinazione dei prezzi di produzioneDue tipi di economie di mercato

Capitolo 2 La funzione dei mercati d'astaLa struttura a molti strati delle economie di mercatoInterazione tra le domande e le offerte di un singolo mercato d'astaLe ripercussioni sui beni sostitutivi delle variazioni di prezzoLe ripercussioni delle variazioni di prezzo in mercati diversiI mercati a termine

Capitolo 3 La determinazione del prezzo dei prodottiAncora sul principio del costo pieno II periodo di produzione e le operazioni di copertura I prezzi di equilibrio alla produzione e i loro movimenti Le teorie tradizionali: la teoria della produttività marginale e la teoria del valore-lavoroCome dovremmo considerare le teorie tradizionali dell'impresa

Capitolo 4 La determinazione dei tassi di cambioII secolo dell'internazionalismoGli effetti delle fluttuazioni dei tassi di cambioCome sono determinati i tassi di cambio (I)Come sono determinati i tassi di cambio (II)Le variazioni dei tassi di cambioII mercato a termine

PARTE SECONDAIL FUNZIONAMENTO DELL'ECONOMIA NAZIONALE

Capitolo 5 La società industriale modernaII modello nelle sue linee generaliLa struttura del modello (I)

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La struttura del modello (II)L'equilibrio sui mercati dei beni reali - il principio della domanda effettivaLa struttura del settore finanziarioL'equilibrio sui mercati finanziari - la determinazione dei tassi d'interesse

Capitolo 6 È possibile la piena occupazione?II mercato del lavoroLe organizzazioni sindacaliLa disoccupazione (I): MarxLa disoccupazione (II): Keynes e la scuola classica I salari e la disoccupazioneII lavoro e le macchine

Capitolo 7 La politica fiscaleII moltiplicatore degli investimentiL'effetto della spesa pubblicaGli effetti di una riduzione del prelievo fiscaleL'effetto moltiplicatore di un bilancio in pareggio

Capitolo 8 La politica monetariaII credito e l'incentivazione dell'attività economicaDeflazione e inflazioneII ruolo della banca centrale e del fondo di stabilizzazione dei cambi II processo cumulativo wickselliano

Note addizionaliEserciziIndice analitico

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Premessa

Questo libro è un'introduzione stimolante e originale all'economia della società industriale. Si rivolge in particolare agli studenti, ma è di interesse anche per tutti coloro che — studenti o insegnanti — cercano nuovi modi per capire i problemi economici dei paesi industrializzati. Fa una critica efficace delle teorie economiche attuali, e sviluppa un modello originale dell'economia (sia essa neoclassica, marxista o keynesiana) della società industriale moderna. In tutto il testo l'analisi è orientata alla soluzione dei problemi del mondo reale, e alla spiegazione del funzionamento delle istituzioni economiche di paesi diversi. Vengono esaminati i singoli mercati, i tassi di cambio, il problema della disoccupazione e le politiche fiscali e monetarie necessarie per affrontare questo problema.

L'approccio di un manuale tipico non tiene conto dei diversi tipi di mercato che esistono. Ad esempio, per i principali prodotti agricoli ed estrattivi ci sono le borse merci, mercati che invece mancano per i prodotti del settore manifatturiero. E il modo con cui i prezzi sono determinati varia considerevolmente a seconda che esista o meno un mercato siffatto. Questo significa che il meccanismo dei prezzi non sarà uniforme per ogni tipo di prodotti.

Il libro prende in esame l'esempio di un paese industriale completamente dipendente dall'estero per le materie prime (prodotti agricoli ed estrattivi). I prezzi di queste materie prime sono stabiliti sui mercati dei beni dei paesi esportatori, ed è solo dopo aver passato il filtro del cambio che essi esercitano un'influenza sui prezzi dei prodotti manufatti. Per questa ragione i tassi di cambio giocano un ruolo significativo nella teoria della produzione.

Inoltre, il libro segue Marx e Keynes nel confutare la legge di Say, che afferma che è impossibile una condizione di sovrapproduzione generale. (In questo senso il libro è antineoclassico). Gli investimenti non sono determinati dal risparmio, da cui sono indipendenti; sono fissati invece in modo autonomo oppure in base a certe funzioni di investimento, e dipendono dal funzionamento dei mercati finanziari. Il libro pertanto cerca di fare un'analisi integrata dell'economia reale e dell'economia monetaria.

In un'economia dove non è valida la legge di Say, è inevitabile che non si abbia automaticamente la piena occupazione. Per questa ragione il libro discute le politiche fiscali e monetarie che possono aiutare a ridurre la disoccupazione. Considera inoltre la stagnazione e il processo cumulativo wickselliano, chiarendone il meccanismo.

In tutto il libro l'analisi matematica è mantenuta a un livello semplice, e, laddove possibile, sono usati dei diagrammi per facilitare l'argomento a chi è nuovo alla materia.

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Prefazione

Questo libro è stato concepito come testo introduttivo di economia per studenti universitari del primo o del secondo anno, ma può essere utile anche a studenti del terzo o del quarto anno, e, come lettura personale complementare, agli studenti dei corsi di perfezionamento. Inoltre spero, a rischio di puntare troppo in alto, che sia di interesse anche per i colleghi economisti.

Il libro riproduce il contenuto delle lezioni che tengo da molti anni alla London School of Economics per gli studenti del primo anno. Molti di questi studenti hanno già studiato economia alle superiori come materia d'esame e, di recente, il numero di quelli dotati di una certa preparazione ha registrato un notevole aumento. Quindi le lezioni che essi frequentano ora dovrebbero essere a un livello più alto che non alle superiori — dove spesso ci si basa su testi come Economia di P. A. Samuelson e Introduzione all'economia positiva di R. G. Lipsey — o almeno non si dovrebbero limitare a ripetere il contenuto di tali testi. Il mio libro rappresenta la mia offerta in risposta a questo tipo di domanda.

L'approccio del libro all'economia si discosta molto da quello dei manuali tradizionali. Oggi, se si desidera studiare economia con serietà occorre prestare grande attenzione alle teorie del consumatore e dell'impresa, teorie che dipendono, rispettivamente, dai concetti di tasso marginale di sostituzione e di produttività marginale. Che gli studenti debbano acquisire «l'abitudine a ragionare in modo rigoroso» con questo tipo di processo di apprendimento, è cosa ottima, ovviamente, ma il rigore sottolineato da queste teorie non va oltre il rigore geometrico (o matematico). L'esattezza storica e l'aderenza ai fatti viene presa alla leggera o ignorata completamente.

Dovremmo essere lieti, naturalmente, che l'economia sia «progredita» sempre di più verso un'esatta formulazione logica, ma è deplorevole che questo abbia portato almeno una delle più importanti branche dell'economia a finire come un'ambiziosa filosofia che cerca di scoprire le implicazioni logiche della ricerca, da parte dell'individuo, della massimizzazione dell'utilità e, da parte dell'impresa, della massimizzazione del profitto — quello che potremmo chiamare una filosofia della libertà.

Nel libro teorie come queste non sono discusse affatto. Il teorema dell'optimum di Pareto in una situazione di equilibrio competitivo è stato del tutto ignorato. Lo stesso dicasi per l'equazione del comportamento del consumatore — l'effetto reddito e l'effetto di sostituzione — e la teoria della produttività marginale; questi argomenti sono stati tralasciati o semplicemente accennati. Il libro cerca invece di analizzare il meccanismo dei prezzi in conformità con la realtà, al tempo stesso introducendo direttamente gli studenti ai problemi fondamentali dell'economia — cioè il funzionamento dell'economia reale e il modo migliore di far cambiare direzione a questo funzionamento. Per analizzare problemi come questi è certamente superflua una teoria del consumatore ad alto livello, come questo libro rende del tutto chiaro. Quello che è più importante è avere una conoscenza dell'esperienza storica, osservare e capire come funzionano le strutture reali.

Come sostengo nell'introduzione, il funzionamento dell'economia dei paesi industriali «di dimensioni medie» come il Regno Unito, il Giappone, la Germania Federale e l'Italia differisce da quello dei paesi industriali «di vaste dimensioni» come gli Stati Uniti. I paesi di «dimensioni medie» dipendono da altri per le materie prime, quindi devono esportare per raccogliere capitale. Di conseguenza, i problemi collegati al cambio occupano un posto molto importante nella teoria della produzione, e possono sorgere frizioni — o conflitti aperti nel peggiore dei casi — tra finanziatori e industriali sul livello dei tassi di cambio, cioè se questi debbano essere alti o bassi. Problemi del genere non sono questione di vita o di morte per i grossi paesi industriali più o meno autosufficienti, o quando le importazioni e le esportazioni sono molto ridotte in rapporto al Prodotto Nazionale Lordo, ma per i paesi industriali di dimensioni medie sono questioni di importanza cruciale. Quindi

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ritengo che, per questi paesi di dimensioni medie, si dovrebbero avere teorie economiche (e manuali) diversi da quelli a cui ricorriamo nel caso degli Stati Uniti. Il libro è il mio primo passo alla ricerca di questo tipo di teoria. Per tale ragione vorrei raccomandarlo non solo agli studenti universitari ma anche a chi, già laureato, si trova ora immerso nell'«economia reale» e coinvolto nel suo funzionamento.

Una parte dell'introduzione può risultare però difficile anche a chi ha terminato studi di economia, In tal caso spero che il lettore non rimanga bloccato, ma vada avanti fino alla fine del libro, tornando in seguito sui punti difficili. È probabile che questi risultino molto più facili a una seconda lettura. Nelle Note addizionali mi sono soffermato su problemi che, trattati nei manuali tradizionali, io ho invece tralasciato o solo accennato nel corso del libro.

Anche se basato sulle mie lezioni alla London School of Economics, il libro è stato pubblicato per la prima volta da Iwanami Shoten per i lettori giapponesi, il che spiega i molti esempi presi dal Giappone. Per la traduzione inglese sono debitore a D. Anthony, J. Clark e J. Hunter, a cui vorrei esprimere la mia gratitudine.Marzo 1984 Michio Morishima

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Introduzione

1 Quale economia?

La varietà delle scuole economicheEsiste, per fortuna o sfortuna, un gran numero di scuole economiche. Ciascuna ha teorie

proprie, la cui diversità è quindi notevole. Si possono classificare, in modo sommario, per esempio in scuola classica, neoclassica, marxista e keynesiana. Queste a loro volta si suddividono in sotto-scuole, neoricardiana, neomarxista, neokeynesiana e anche neoaustrìaca. Bisogna aggiungere poi l'economia istituzionale, la scuola storica e anche la teoria economica basata sul potere.

C'è in effetti una miriade di teorie plausibili, ma tutte mirano ad analizzare e spiegare l'economia capitalistica. E pochi economisti pensano che queste teorie possano essere impiegate per far luce sulle economie socialiste. Per questo occorre una teoria completamente distinta. Analogamente, quando si analizza un'economia capitalistica con un grado di pianificazione relativamente alto, non si può applicare la teoria della concorrenza, usata per il sistema della libera impresa, se non si apportano modifiche sostanziali. È scontato che per analizzare sistemi diversi tra loro devono essere usate teorie diverse.

Questo approccio viene considerato semplice buon senso dagli economisti dei paesi socialisti. È improbabile che qualcuno di loro creda, per esempio, che la teoria usata per analizzare l'Unione Sovietica sia applicabile così com'è alla Polonia, alla Iugoslavia o alla Cina. Invece, tra gli economisti dei paesi capitalistici, non è facile trovarne molti che facciano affermazioni del tipo «la teoria classica è la più valida per il paese A, la teoria marxista per il paese B e la teoria keynesiana per il paese C»; se un economista è marxista, è probabile che dichiari in modo inflessibile che l'economia marxista è la teoria corretta per tutti i paesi capitalistici: Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e così via. E a questo proposito gli economisti neoclassici e keynesiani non sono assolutamente diversi dai loro colleghi di idee marxiste. Rimangono fedeli alla teoria in cui credono e sono convinti che l'economia capitalistica debba operare in pratica in tutto e per tutto nel modo descritto dalla loro teoria (1).

Se esaminate attentamente, le economie dei paesi socialisti variano moltissimo da un paese all'altro e hanno ciascuna una propria individualità. E anche le economie di libero mercato non sono completamente uniformi. L'economia reale non è guidata dall'essere astratto che va sotto il nome di Homo oeconomicus. Certi paesi possono condividere un'economia capitalistica, ma hanno esperienze storiche e tradizioni culturali diverse, e il modo di vivere, i valori e i comportamenti delle loro popolazioni non sono certamente gli stessi. Non solo, ma sono diversissimi anche i metodi e il funzionamento di organizzazioni come aziende, banche e sindacati. Di conseguenza, questi paesi si trovano di fronte a problemi molto diversi. La questione dei differenziali salariali tra grosse e piccole imprese e la pratica di impiegare familiari senza retribuirli, per esempio, sono problemi più o meno risolti nel Regno Unito, mentre presentano tuttora serie difficoltà in Giappone. Inoltre, ciascuno di questi paesi può reagire in modo diverso agli stessi stimoli. Quando le reazioni differiscono soltanto in senso quantitativo, è possibile analizzare queste economie con modelli dello stesso tipo, dando valori numerici diversi ai coefficienti (parametri) di base. Ma se le reazioni sono diverse in senso qualitativo, i sistemi economici devono essere analizzati impiegando modelli completamente distinti. Man mano che le caratteristiche tipiche di un'economia diventano sempre più definite, questi modelli convenzionali prefabbricati — neoclassici o di altro genere — risultano sempre più insoddisfacenti. Diventa allora una questione di primaria importanza per gli economisti

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sviluppare modelli più appropriati.

Paesi industriali di vaste, medie e piccole dimensioniIn questo libro non sono prese in considerazione le differenze di carattere e tradizione

culturale delle varie popolazioni. I sistemi economici sono classificati semplicemente in base alle loro dimensioni, e sono suddivisi in tre gruppi: sistemi di vaste, medie e piccole dimensioni (2). Il primo gruppo include paesi come gli Stati Uniti, ricchi di risorse naturali, più o meno autosufficienti, non dipendenti in pratica da nessun altro paese, e con un'economia in grado di sviluppare ogni settore che si dimostri necessario. I paesi con una superficie limitata, dipendenti quindi da altri per molte materie prime industriali e per combustibili, sono detti «paesi industriali di dimensioni medie». Questi paesi, comunque, non sono affatto piccoli, e hanno un'economia forte abbastanza da poter sviluppare internamente tutti i settori industriali. Il rapporto tra la quantità di materie prime importate e la produzione del settore manifatturiero era pari al 2,5% nel caso degli Usa nel 1977. Le corrispondenti percentuali per il Regno Unito, l'Italia e il Giappone erano, rispettivamente, pari al 12, al 10 e al 9%, nel 1978. Quindi questi tre paesi sono classificati come nazioni industriali di medie dimensioni, nel significato che noi diamo al termine (3). Sempre nel 1978, le corrispondenti percentuali per la Germania Federale e la Francia, erano, rispettivamente, pari al 5,6 e al 6,6%, perciò anche questi paesi dimostrano una tendenza marcata alla «dimensione media» in paragone agli Usa. Inoltre, nei nostri «paesi industriali di medie dimensioni», i settori agricolo ed estrattivo sono limitati, con una produzione che rappresenta solo una piccola percentuale del Prodotto Nazionale Lordo (PNL). Nel 1978, sia per il Regno Unito che per il Giappone, questa percentuale era pari al 4 %, e per la Germania Federale, la Francia e l'Italia era pari, rispettivamente, al 7, 9 e 12%. Pertanto, si può dire che, a questo riguardo, il Regno Unito e il Giappone sono modelli esemplari di paesi industriali «di medie dimensioni». Degli altri tre, invece, la Francia e l'Italia, avendo settori agricoli alquanto ampi, non possono essere considerati, in questo senso, tipici «paesi industriali di medie dimensioni».

I paesi industriali di piccole dimensioni sono incapaci di produrre tutti i beni industriali. Alcuni possono non riuscire a produrre beni capitali, e devono acquistare macchinari all'estero. Altri possono non riuscire a produrre certi beni di consumo, e si trovano costretti a importarli per soddisfare la domanda interna. E se hanno una popolazione poco numerosa, non avranno sufficiente forza lavoro per produrre tutti i tipi di beni industriali. In questo caso è probabile che siano spinti forzatamente nel gruppo dei «paesi industriali di piccole dimensioni». D'altro lato, esistono anche paesi che, pur essendo di notevoli dimensioni in termini di popolazione, non riescono a sviluppare, per esempio a causa di una scarsa alfabetizzazione, i settori dell'industria che richiedono particolari capacità. Per questa ragione alcuni paesi, durante il processo di industrializzazione, rimangono «di piccole dimensioni». Nonostante ciò offrendosene la possibilità, molti possono diventare dopo poco tempo «paesi industriali di dimensioni medie», alcuni fors'anche progredire al punto da diventare di «vaste dimensioni».

Il modello per paesi privi di risorse naturaliIn questo libro cerco di analizzare quelli che abbiamo definito «paesi industriali di medie

dimensioni» e, nello sforzo di chiarire meglio il significato del termine, mi avventurerò a fare astrazioni alquanto audaci sulla seguente falsariga. Prendiamo il caso di un paese che non abbia assolutamente risorse naturali. Ovviamente, questo paese non avrà né un settore agricolo né un settore estrattivo. Nonostante ciò, supponiamo che la sua industria sia capace di produrre abbastanza beni — sia nel settore dei beni di consumo che nel settore dei beni capitali — per soddisfare la domanda interna. Quindi non importerà nessun prodotto industriale finito da nessun

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altro paese.Tuttavia, queste attività industriali hanno bisogno di materie prime e combustibili. Se un

paese ne è privo, sarà costretto a importarli e, per pagare queste importazioni inevitabili, dovrà esportare parte della sua produzione industriale. Ottenere grazie alle esportazioni un certo ammontare di valuta estera, e calcolare quanta ne occorre per pagare le importazioni, cioè il problema delle entrate e delle uscite commerciali, è per il paese una questione importante, letteralmente una questione di vita o di morte. Se dovesse variare il tasso di cambio, varierebbe anche il costo delle importazioni — materie prime e combustibili — influenzando così i costì di produzione dei beni industriali e quindi i loro prezzi. Perciò, nel nostro paese privo di risorse naturali, la produzione industriale (uguale in questo caso alla produzione nazionale totale) è direttamente collegata al tasso di cambio.

Inoltre il nostro paese, non avendo un settore agricolo, dipenderà dall'estero per i generi alimentari. Ma i prodotti agricoli importati non saranno ad immediato uso alimentare. Nondimeno, non ci sarà carenza di generi alimentari dato che, secondo il nostro modello, questi saranno forniti da una sezione del settore dei beni di consumo, da quella cioè che produce beni in scatola e che utilizza come materie prime i prodotti agricoli e ittici importati.

Chiaramente questo tipo di modello è distorto, è un modello che rappresenta in modo del tutto deformato la realtà di un paese industriale di medie dimensioni. Tuttavia, un'astrazione così forzata è assolutamente imperativa se, come obiettivo della nostra analisi, vogliamo scoprire i fondamenti dell'economia. Proprio come i volti distorti dei quadri di Picasso esprimono molto bene l'individualità dei loro soggetti, così nelle scienze si riescono a comprendere meglio i fondamenti della realtà astraendone ed esagerandone un lato e ignorandone completamente gli altri. In questo libro non ci occuperemo di paesi industriali di altre dimensioni, ma se, studiando la teoria dei «paesi industriali di medie dimensioni» terremo a mente il problema di come poter costruire un modello anche per i paesi industriali di vaste e piccole dimensioni, questo svilupperà la nostra capacità di concettualizzare.

2 Lo schema del libro

Parte Prima: la teoria dei prezziII libro è diviso in due parti principali. La prima parte discute la determinazione dei prezzi. I

manuali tradizionali tendono ad asserire innanzitutto che il prezzo si determina al punto d'incontro tra la curva di domanda e la curva di offerta, e poi passano a spiegare queste due curve (esponendo la teoria della domanda di consumo basata sull'utilità o sulle curve d'indifferenza e la teoria dell'impresa basata sul principio della massimizzazione dei profitti, teorie che danno rispettivamente la curva di domanda e la curva di offerta). Ma questo modo di determinare i prezzi si applica solo a un gruppo di beni: i prodotti agricoli, forestali, ittici e alcuni estrattivi. I prezzi di molti beni industriali non sono regolati dal mercato in maniera da rendere uguali la domanda e l'offerta: i prezzi dei prodotti, pronti per la spedizione, sono già stati decisi in fabbrica, e la consistenza della spedizione è regolata in base al volume della domanda. Naturalmente, anche in questo caso in cui il prezzo è stabilito dal fornitore (la fabbrica), c'è spesso una concorrenza sul prezzo tra i vari fornitori, concorrenza in alcuni casi così accanita che sarebbe più appropriato chiamarla «guerra dei prezzi». E non si può certo pensare che si tratti di una concorrenza per ritoccare i prezzi in modo da uguagliare domanda e offerta. Suo scopo è piuttosto quello di eliminare dei concorrenti. L'uguaglianza tra la domanda e l'offerta di questi beni non è raggiunta aggiustando il prezzo ma intervenendo sulla quantità disponibile (cioè sul volume delle consegne).

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Per di più, il tasso di cambio è determinato dagli operatori delle banche secondo formule particolari e i salari non sono determinati dal rapporto domanda-offerta né sono forzati al rialzo o al ribasso nel modo descritto dai manuali. In poche parole, nell'economia reale il prezzo di ogni prodotto viene deciso secondo un certo numero di formule. La prima parte del libro cercherà di spiegare come si determinano i prezzi dei beni che hanno maggior peso nel nostro paese «privo di risorse naturali». La discussione includerà il modo in cui sono determinati sui mercati dei prodotti (esteri) i prezzi dei beni agricoli, forestali, ittici ed estrattivi che costituiscono le materie prime importate dal settore industriale del nostro paese; la natura del principio del costo pieno che fornisce la formula in base alla quale ogni impresa decide il prezzo dei suoi prodotti; e la determinazione del cambio sul mercato interbancario internazionale. La discussione del mercato del lavoro e dei mercati finanziari è riservata alla seconda parte del libro.

Parte Seconda: la legge di Say e il principio della domanda effettivaNella seconda parte del libro discuteremo sia la circolazione delle merci che la circolazione

della moneta. Dato che il nostro paese senza risorse naturali non ha un settore agricolo, sarà tralasciata la classe dei proprietari terrieri. Gli individui si guadagnano da vivere in qualità di operai, imprenditori o capitalisti, o se non riescono a rientrare in uno di questi gruppi saranno considerati disoccupati. Gli imprenditori sono distinti dai capitalisti: i primi sono responsabili della direzione e della gestione di un'azienda, mentre i secondi forniscono il capitale. Naturalmente sono molto frequenti i casi in cui i capitalisti sono al tempo stesso anche imprenditori. Comunque, alla luce del fatto che un gran numero di capitalisti, pur contribuendo ai finanziamenti, non ha nessun ruolo nella pianificazione o nella direzione dell'impresa, e che un gran numero di imprenditori possiede poco o nessun capitale e porta avanti l'attività con prestiti esterni, gli imprenditori e i capitalisti devono essere tenuti separati. Normalmente, le imprese si finanziano emettendo azioni, ma noi supporremo che si finanzino emettendo obbligazioni (titoli a interesse fisso). Quindi i capitalisti che finanziano l'impresa sono anche redditieri.

In economia esistono due approcci fondamentalmente contrapposti. In base al primo è impossibile che ci sia sovrapproduzione se l'economia è presa nella sua globalità, vale a dire, una volta deciso il volume totale di produzione plX1 + p2X2, sarà sempre generata una domanda totale corrispondente a quel livello (4). In base al secondo è la domanda totale a determinare il volume totale della produzione, non viceversa. Il primo approccio è chiamato legge di Say e il secondo principio della domanda effettiva. Ricardo, che dominò l'economia fino alla prima metà del XIX secolo, sostenne la legge di Say, che Keynes chiamò allora il postulato della scuola classica (5). Dato che questo postulato è necessario per poter raggiungere l'equilibrio generale, i teorici che credevano nell'equilibrio generale, incluso Walras, sostennero la legge di Say. Però, dalla metà del XIX secolo in poi, cominciarono ad apparire studiosi, come Marx e i suoi seguaci, che negarono la validità della legge di Say. Le loro idee alla fine diedero frutti nella forma nel principio della domanda effettiva di Keynes (6). Si può dire che, nel secolo che precede la pubblicazione della Teoria generale di Keynes, il tema ricorrente nella storia dell'economia sia il tentativo di capovolgere il mondo della legge di Say (economia ricardiana) e di costruire un sistema non regolato da tale legge (economia keynesiana).

Questo libro è scritto dal punto di vista del principio della domanda effettiva, ma prima di entrare nel vivo di questo principio voglio spiegare brevemente quali sono, secondo me, i punti deboli della legge di Say. Ogni decisione riguardante la produzione implica una decisione sul salario dei lavoratori e sul reddito degli imprenditori ed entrambi questi gruppi di persone consumano una parte del loro reddito e risparmiano il resto (7). Ora, se si riesce a garantire che gli investimenti siano sempre pari ai risparmi, allora la produzione totale sarà sempre uguale alla

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somma del consumo e degli investimenti, cioè alla domanda totale. Quindi sarà valida la legge di Say(8). Non sarà possibile una sovrapproduzione generale: se c'è sovrapproduzione nel settore dei beni di consumo dovrà necessariamente esserci sottoproduzione nel settore dei beni capitali (9). Quindi, perché sia valida la legge di Say, l'entità degli investimenti generati deve essere uguale al risparmio totale, a prescindere dal livello della produzione totale programmata.

Però questo è assolutamente impossibile. La decisione di investire o meno dipende dall'imprenditore, e né i lavoratori né i redditieri hanno voce in capitolo. Se è alto il livello della produzione totale, è di conseguenza alto anche il volume del risparmio totale, quindi i risparmi possono senza nessun problema eccedere gli investimenti. Se invece il livello della produzione totale è basso, il risparmio totale sarà minore degli investimenti totali. Stando così le cose, non si può dire che il risparmio totale uguaglierà gli investimenti a ogni livello di produzione totale. Sarà semplicemente un caso se il risparmio sarà pari agli investimenti a un certo livello della produzione totale. Questo particolare livello di produzione è noto come valore di equilibrio della produzione stessa, e dato che ogni volume di produzione diverso dal valore di equilibrio determina risparmi che sono maggiori o minori degli investimenti, allora è possibilissimo avere sovrapproduzione o sottoproduzione generale (10).

È questo ragionamento che serve a confutare la legge di Say. Il meccanismo in base al quale gli imprenditori decidono i piani di investimento non prevede una possibilità di revisione di questi piani che permetta in ogni momento di investire esattamente allo stesso livello dei risparmi, prescindendo dal volume della produzione. Inoltre, tali decisioni mancano di quella flessibilità che potrebbe facilitare questo tipo di revisione. Nell'economia reale, c'è invece corrispondenza tra il livello della produzione e il livello degli investimenti decisi dagli imprenditori. In questo modo la produzione sarà portata avanti fino a raggiungere il valore di equilibrio, ma una produzione a questo livello non determina necessariamente la piena occupazione dei lavoratori. A volte, se gli imprenditori non sono particolarmente disposti a investire, il valore di equilibrio della produzione sarà basso, e, di conseguenza, sarà inevitabile avere disoccupazione.

In base alla legge di Say, non esiste nessun ostacolo alla piena occupazione. Fintanto che la produzione viene portata avanti al livello necessario per avere piena occupazione, allora gli investimenti si aggiusteranno da soli per eguagliare il corrispondente livello del risparmio, e l'offerta e la domanda saranno in equilibrio al livello di produzione di pieno impiego; non ci sarà né sovrapproduzione né sottoproduzione. Ma in un'economia dove non vale la legge di Say, scarsi investimenti sono un ostacolo alla piena occupazione. E in un'economia dove la propensione all'investimento è insufficiente, deve intervenire lo Stato per creare domanda o per incoraggiare gli istituti finanziari a incentivare gli investimenti. Quindi la politica monetaria e la politica fiscale costituiranno l'argomento principale della seconda parte del libro, che discuterà anche alcuni modi per far fronte agli effetti negativi di queste politiche (come i finanziamenti in disavanzo, l'inflazione e la stagnazione).

L'approccio adottato dal libroII libro è sia teoretico che analitico, quindi fa spesso ricorso alla matematica. Comunque la

parte matematica non è difficile e una preparazione da scuola superiore dovrebbe essere sufficiente. Personalmente, ritengo che l'economia non sia una scienza pura, bensì un ampio corpo integrato di discipline varie. Quindi, per capire la teoria economica, non è sufficiente avere familiarità con il quadro di riferimento matematico della teoria. Bisogna avere anche una buona conoscenza dei fondamenti sociali, istituzionali e storici della teoria. Un'analisi che tralasci questi fondamenti, ed esamini la teoria economica come se fosse solo un insieme di logica formale e relazioni matematiche, non può assolutamente essere il modo giusto per studiare l'economia.

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Pertanto, in certi punti del libro, ho dedicato alcune pagine alla spiegazione dei sistemi economici, e ho cercato di considerare i problemi dall'angolazione della storia economica. Non mi illudo che queste pagine siano esaurienti, ma con il tipo di approccio adottato spero di persuadere i lettori che l'economia è una scienza integrata. Questo approccio esprime inoltre la mia personale antipatia verso il modo in cui l'economia teoretica si è ridotta a uno scheletro matematico.

Note(1) La famosa definizione di «economia» di Lionel Robbins è probabilmente collegata a

questa convinzione. Secondo Robbins, l'economia è un ramo del sapere che si occupa di come vengono allocate risorse scarse per fini diversi in concorrenza tra loro. È probabile che le persone che definiscono l'economia in questo modo, come studio della gestione di risorse scarse, pensino che il modo più efficiente di amministrarle sia uguale per tutti i paesi. Costoro tendono quindi a considerare la teoria neoclassica la più adatta a insegnare questo tipo di gestione, e ad applicarla a tutti i paesi, a volte anche all'Unione Sovietica. Di qui la convinzione che solo e soltanto la teoria neoclassica sia la vera economia. (Questa è la ragione per cui molti economisti occidentali hanno finito per considerare la teoria della pianificazione della produzione di Kantorovich come parte della teoria neoclassica.) La definizione di economia che io ho implicitamente adottato è diversa: l'economia è un ramo del sapere che spiega come gli elementi della vita materiale della popolazione di un paese si fanno concorrenza, e come essi sono correlati. Pertanto, ogni volta che la gente si trova in difficoltà a gestire la propria vita materiale, gli economisti hanno il dovere di cercare di risolvere queste difficoltà specifiche. Alla luce del fatto che, passando da un sistema a un altro, varia il modo di vivere della gente e il tipo di problemi che sorgono, ci si può aspettare che, di conseguenza, vari anche il contenuto della teoria economica. Esaminando questioni di politica, si trovano spesso casi che obbligano a concludere che non si può superare una difficoltà senza modificare il sistema. È quindi essenziale che gli economisti, di qualunque paese siano, abbiano garantita ampia libertà di critica del sistema. Robbins, L., Saggio sulla natura e l'importanza della scienza economica, UTET, Torino, 1947; Kantorovich, L. V., «Mathematical Methods in thè Orga-nization and Planning of Production» (1939), Management Science, 6, pp. 366-422.

(2) L'etica di un popolo spesso regola il suo destino. Per un'analisi del problema cfr., dell'autore, Cultura e tecnologia nel «successo» giapponese, II Mulino, Bologna, 1984.

(3) Queste percentuali dovrebbero includere, a rigor di logica, i combustibili. Comunque, dato che molti combustibili importati sono usati al di fuori del settore manifatturiero industriale, occorre fare statistiche molto dettagliate per calcolare quale percentuale del prezzo dei prodotti del settore è determinata dalle materie prime importate e quale dai combustibili importati. Supponendo che tutti i combustibili importati siano impiegati nel settore manifatturiero, la percentuale diventa 16% per gli Usa, 26% per il Giappone, 30% per il Regno Unito, 16% per la Germania Federale, 24% per la Francia e 31% per l'Italia, portandoci quasi alla stessa conclusione del testo. (Stime del 1977 per gli Usa, del 1978 per gli altri paesi.)

(4) X1 indica la produzione dei beni di consumo, X2 la produzione dei beni capitali e p1 e p2 i rispettivi prezzi.

(5) Keynes, J. M., Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, trad. di A. Campolongo, UTET, Torino, 1978.

(6) La posizione di Walras è ambigua. Nel suo Elementi di economia pura, trad. di A. Bagiotti. UTET, Torino, 1974, egli contesta chiaramente la legge di Say, mentre la sostiene nel suo modello matematico. Negarla nel modello matematico avrebbe significato riconoscere che una situazione come quella dell'equilibrio generale, lungi dal realizzarsi, in genere non esiste. (M. Morishima, Walras' Economics, Cambridge University Press, 1977, pp. 70-122.) Riguardo Marx,

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cfr. il suo Teorie sul plusvalore, parte II, a cura di L. Perini, Editori Riuniti, Roma, 1973.(7) Si veda la Nota Addizionale a.(8) I2 è il volume della domanda di investimenti, p2I2 l'ammontare dei fondi di investimento.

Se gli investimenti fossero sempre uguali al risparmio, si avrebbeplX1 + p2X2 = pl (Dw1 + De1 + Dr1 + E1 + G1) + p2 (I2 + E2 + G2) (*)

secondo la formula (✝)❩ esposta nella Nota Addizionale a. Cioè, la produzione totale è pari alla domanda totale.

(9) La formula (*) della nota (8) può, in alternativa, essere riscritta cosi (**)

pl [X1-(Dw1 + De1 + Dr1 + E1 + G1)] +p2 [X2-(I2 + E2 + G2)]=0 (**)Se la parte nella prima parentesi quadra ha valore positivo (cioè si ha un surplus nella

produzione dei beni di consumo), allora la parte nella seconda parentesi quadra ha valore negativo (cioè si ha sottoproduzione dei beni capitali).

(10) Se S>I la parte a sinistra della formula (**) della nota (9) ha valore positivo, quindi è probabile che le sezioni all'interno di entrambe le parentesi quadre assumano valore positivo, determinando così una sovrapproduzione generale e contraddicendo la legge di Say.

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Parte prima

La formazione dei prezzi

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Capitolo 1 I mercati e il meccanismo dei prezzi

1 Come si determinano i prezzi?

Le opinioni degli studiosiConsideriamo innanzitutto le opinioni di due studiosi rappresentativi, Marx e Walras. Il

primo, Marx, ritiene che il prezzo delle merci sia determinato «dalla concorrenza tra compratori e venditori, dal rapporto tra la domanda e la disponibilità, tra la richiesta e l'offerta» (1). Egli afferma che

La stessa mercé è offerta da diversi venditori. Colui che vende merci della stessa qualità più a buon mercato è sicuro di eliminare gli altri venditori e di assicurarsi lo smercio maggiore. I venditori si disputano dunque reciprocamente le possibilità di vendita, il mercato. Ognuno di essi vuoi vendere, vendere il più possibile e possibilmente vendere da solo, escludendo tutti gli altri venditori. L'uno, quindi, vende più a buon mercato dell'altro. Esiste perciò una concorrenza fra i venditori, che ribassa i prezzi delle merci che essi offrono. Esiste, infine, una concorrenza fra i compratori e i venditori; gli uni vogliono comprare il più che sia possibile a buon mercato, gli altri vogliono vendere il più caro possibile. Il risultato di questa concorrenza tra compratori e venditori dipenderà dal modo come si comportano gli altri due aspetti della concorrenza che abbiamo indicato, cioè dal fatto che la concorrenza sia più forte nel campo dei compratori o in quello dei venditori (2).

Naturalmente, dato che nel mondo reale esistono frizioni, i prezzi reali non coincidono necessariamente con i prezzi di equilibrio. Comunque, secondo Marx, «lo studio di tali frizioni, anche se importante per ogni indagine particolare sui salari, può esser considerato secondario e irrilevante in un'analisi generale della produzione capitalistica» (3). Cioè Marx, di regola, intende i prezzi come prezzi di equilibrio. Gli economisti ortodossi sono completamente d'accordo con Marx su questo punto. Walras, per esempio, scrive

Come acquirenti, gli scambisti domandano al rincaro, come venditori offrono al ribasso, e la loro gara porta così a un certo valore di scambio delle merci ora ascendente, ora discendente e ora stazionario. A seconda che questa concorrenza funzioni più o meno bene, il valore di scambio si produce in maniera più o meno rigorosa. I mercati meglio organizzati rispetto alla concorrenza sono quelli in cui vendita e acquisti si fanno all'asta, con l'intermediazione di agenti come gli agenti di cambio, i mediatori di commercio, i banditori che li centralizzano, in modo che ogni scambio non avvenga senza che le condizioni siano annunciate e conosciute e senza che i venditori possano ribassare e i compratori offrire di più. Cosi funzionano le borse dei fondi pubblici, le borse commerciali, i mercati dei grani, del pesce, ecc. Accanto a questi mercati, ve ne sono altri in cui la concorrenza, benché regolata meno bene, funziona tuttavia in maniera abbastanza conveniente e soddisfacente: questi sono i mercati della frutta e verdura e del pollame. Le strade di una città in cui si trovano negozi e botteghe di panettieri, di macellai, di droghieri, di sarti, di stivalai, sono mercati con una organizzazione un po' più difettosa rispetto alla concorrenza, ma in cui tuttavia essa si fa sufficientemente sentire. È ancora la concorrenza che presiede incontestabilmente alla fissazione del valore dei consulti dei medici e degli avvocati, delle sedute dei musicisti e dei cantanti, ecc. Infine, il mondo può essere considerato come un vasto mercato generale composto di diversi mercati speciali in cui la ricchezza sociale si vende e si acquista, e si tratta per noi di riconoscere le leggi secondo cui queste vendite e questi acquisti tendono a realizzarsi da soli. Per questo, supporremo sempre un mercato perfettamente organizzato rispetto alla concorrenza come in meccanica pura si suppone dapprima che le macchine non abbiano attrito (4).

Il mercatoAllora, che cos'è un mercato? In economia un mercato è sia il luogo dove si effettuano

transazioni (scambi), e si definiscono gli accordi relativi, sia l'organizzazione attraverso cui avviene la compravendita. Come sottolinea Walras, se ci possono essere organizzazioni informali, ci possono essere anche istituzioni complesse regolate per legge e completamente sistemizzate (come i vari tipi di borse, ecc). Sul mercato, dato che si scambiano beni con beni (o con denaro), sarà fissato un rapporto di scambio, cioè un prezzo. Per esempio, se 20 yarde (una yarda è pari a 0,9144 m.) di

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tela di lino vengono scambiate con 2 cappotti, il prezzo di un cappotto espresso mediante tela di lino sarà il rapporto di scambio, cioè un cappotto: 10 yarde di lino. Nell'economia di tutti i giorni normalmente non si scambiano beni con altri beni, bensì con denaro, quindi il prezzo dei beni sarà il loro rapporto di scambio con il denaro. Così il prezzo espresso in sterline sarà 1 cappotto in cambio di un certo numero di sterline.

In termini generali, si possono distinguere tre mercati: il mercato dei prodotti, il mercato dei fattori di produzione e il mercato dei titoli. Il mercato dei prodotti può esser ulteriormente suddiviso in mercato dei beni di consumo e mercato dei beni strumentali (macchine, fabbricati, materie prime, ecc), mentre il mercato dei fattori di produzione può esser suddiviso in mercato del lavoro e mercato della terra. Il mercato dei titoli comprende il mercato azionario, il mercato obbligazionario e così via. Il mercato dei fattori di produzione deve esser trattato con particolare cautela a causa dell'importante ruolo giocato da elementi umani, sociali e storici, pertanto sarà analizzato separatamente più avanti; ora continuiamo con la nostra spiegazione occupandoci del mercato dei prodotti e del mercato dei titoli.

2 La struttura delle aste

Scambi direttiCi sono tre tipi di transazione: gli scambi diretti o transazioni negoziate, gli scambi su offerta

all'asta e gli scambi concorrenziali. Nel caso di scambi diretti la transazione avviene fintanto che il venditore (che offre) e l'acquirente (che domanda) sono d'accordo sul prezzo. Supponiamo che il negozio di abbigliamento A voglia vendere un cappotto a £16, che il cliente B sia disposto a comprarlo a quel prezzo, mentre il cliente C vorrebbe acquistarlo a £14 e il terzo cliente D solo a £12. Dato che, con un sistema di scambi diretti, A raggiungerà subito un accordo con B sul prezzo, un cappotto sarà presto venduto da A a B. Con il cappotto successivo è più probabile un accordo con C che non con D, quindi A prenderà prima contatti con C. Anche in questo caso però, se A o C o entrambi non sono disposti a scendere a un compromesso, non si arriverà a nessun accordo; ma se A è davvero deciso a vendere e C a comprare, si avrà probabilmente un secondo scambio tra A e C al prezzo di £15. Così, con un sistema di scambi diretti, si possono vendere nella stessa giornata cappotti simili a prezzi diversi.

Tuttavia, a questo punto, B può reclamare. Avendo appena acquistato da A il cappotto al prezzo di £16, se viene a sapere che A ha poi venduto lo stesso tipo di cappotto a C per £15, probabilmente tornerà nel negozio A e insisterà che il prezzo venga abbassato a £15 anche per lui. Per evitare questi problemi non solo si deve raggiungere un accordo sul prezzo tra i singoli venditori e compratori che effettuano scambi diretti, ma tra tutti i venditori e tutti i compratori. Le aste e gli scambi concorrenziali sono sistemi che permettono di raggiungere alti livelli di accordo e di fissare un prezzo singolo per ciascun bene. Viene applicata cioè la legge di indifferenza del prezzo.

Scambi su offerta all'astaCon il sistema degli scambi su offerta all'asta, ci sono offerenti sia per comprare che per

vendere le merci, ed è in quest'ultimo caso in particolare che si parla di aste, che sono bandite periodicamente in luoghi specifici. Alcuni esempi del primo caso sono i seguenti. 1) Quando lo Stato e gli enti pubblici regionali indicono gare di appalto nel settore edilizio rendendo pubblici i dettagli del lavoro da svolgere. Dopo che le società edilizie hanno fatto una stima dei costi per realizzare il lavoro, l'amministrazione pubblica di regola affida il progetto all'impresa che ha

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presentato la stima di costi più bassa. 2) Anche nel settore delle costruzioni navali i contratti seguono la stessa formula. E, 3) dove esistono molti modi diversi di fare lo stesso prodotto, sarà impiegata la «formula della gara» per determinare quale metodo di produzione è da accettare o da scartare.

Spesso si bandiscono aste per vendere oggetti di antiquariato e residenze di lusso. In questo caso però non c'è un unico modo di procedere, esistono invece vari tipi di asta, come quella inglese e quella olandese. Nel tipo inglese, l'acquirente aumenta gradualmente l'offerta, passando da un prezzo basso a uno via via più alto, mentre nel tipo olandese procede in senso opposto

Immaginiamo adesso di voler vendere all'asta due cappotti. Sia A il venditore e siano B, C e D i tre acquirenti. Come nell'esempio precedente, supponiamo che B sia disposto a comprare fino al prezzo di £16 e C e D rispettivamente fino a £14 e £12. Con il modo di procedere inglese, il banditore proporrà innanzitutto un prezzo basso, ad esempio £11. A questo prezzo B, C e D indicheranno tutti l'intenzione di comprare, allora, con una domanda di 3 ma un'offerta di 2, il prezzo sarà aumentato. Quando il banditore, alzando via via il prezzo di £0,10 avrà raggiunto £12,10, D rinuncerà, la domanda sarà 2, quindi pari all'offerta. Cioè, nel tipo inglese di asta, £12,10 è il prezzo di equilibrio. B e C, avendo entrambi comprato allo stesso prezzo, non dovrebbero avere ragione di reclamare, e nemmeno D, dato che si è ritirato. B, che era disposto ad acquistare fino al prezzo di £16, si congratulerà con se stesso per aver acquistato a meno; e anche C, che avrebbe acquistato fino a £14, penserà di non aver fatto un cattivo affare. (L'ammontare totale che i compratori hanno «risparmiato» è chiamato rendita del consumatore, in questo caso (£16 —£12,10) 4-(£14 — £12,10) = £5,80.)

Il tipo olandese di asta si svolge nel modo seguente. Il banditore suggerisce un prezzo alto, per esempio £17. Nessuno si offre e il prezzo viene diminuito. A £16 affiorerà una domanda, ma ci sarà ancora un eccesso di offerta, e il prezzo sarà abbassato ulteriormente. Quando finalmente si raggiungerà £14, la domanda sarà 2, esattamente come l'offerta. Il prezzo di equilibrio nel sistema olandese è £ 14 e la rendita del consumatore £2.

Così, anche con le aste, quando i metodi sono diversi, il valore di equilibrio che si ottiene non è necessariamente lo stesso. Comunque, il sistema delle aste si differenzia dagli scambi diretti in quanto, in un'asta, tutti i compratori sono trattati allo stesso modo e tutte le transazioni tra B e A e tra C e A avvengono allo stesso prezzo. Le aste sono transazioni a un prezzo di contratto unificato e seguono la regola «un prezzo-un bene».

A questo punto alcuni lettori potrebbero pensare che, siccome in un'asta il venditore A offre 2 cappotti indipendentemente dal prezzo proposto, le preferenze di A non abbiano nessuna importanza. Ma non è così, A non venderà i cappotti a un prezzo qualsiasi semplicemente perché così vorrebbero i compratori. Per esempio, se il prezzo è superiore a £15, A vorrà certamente vendere, ma sotto questo prezzo può non essere disposto a farlo; e al prezzo esatto di £15 può esser indifferente a vendere o meno.

Ma per far risultare questa preferenza del venditore A, dobbiamo modificare leggermente il modo di procedere descritto sopra. Cioè, A affida la vendita dei 2 cappotti al banditore e, all'apertura dell'asta, prende posto tra i compratori. Se il prezzo non è quello a cui desidera vendere, dovrebbe avere il permesso di indicare l'intenzione di riprendere indietro i 2 cappotti. Pertanto, quando il prezzo è inferiore a £ 12, la domanda totale sarà data dai 3 cappotti che B, C e D vogliono comprare più i 2 cappotti che A cerca di assicurarsi, cioè 5 in tutto. Con questa domanda, il prezzo offerto andrà su. Quando il prezzo è £12,10 —£ 14 la domanda totale sarà di 4 cappotti, quando è £14,10 —£14,90 la domanda sarà di 3 cappotti, scendendo a 1 cappotto a £15,10 —£16. Dato che l'offerta è di 2 cappotti il prezzo offerto aumenterà fino a £15. A £15 il primo cappotto sarà venduto a B e il secondo rimarrà invenduto. Questo significa che, se il prezzo scende a £ 14,90, A acquisterà

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l'offerta totale a quel prezzo e così la domanda di B sarà una domanda in eccesso. Pertanto il prezzo offerto aumenterà. Il prezzo di £15 è quindi il prezzo di equilibrio e a questo livello di equilibrio un cappotto rimane invenduto. Ma, siccome A è indifferente a vendere o meno a quel prezzo, sarà ben disposto a ritirarsi.

Le borseGli scambi concorrenziali che hanno luogo nelle borse merci e nelle borse valori hanno

diffuso e rafforzato il sistema dell'asta rendendo possibile a molti offerenti e compratori di parteciparvi contemporaneamente. Le borse non sono spazi pubblici nel senso che chiunque può effettuarvi direttamente delle transazioni. Una transazione deve avvenire tramite un agente di cambio riconosciuto dalla borsa; ma, dopo aver affidato il compito a un agente di cambio, chiunque può fare delle transazioni, quindi si tratta di un sistema semi-pubblico. Così, anche se solo un numero limitato di agenti ha accesso alla borsa, si può trattare un volume illimitato di affari.

Ci sono vari tipi di scambi concorrenziali. Per esempio, al Tokyo Rice Commodity Exchange (mercato del riso) nel periodo precedente l'ultimo conflitto, i prezzi erano determinati come nell'esempio seguente. Nella tabella 1, A-H sono otto agenti di borsa con l'ordine di vendere o comprare come indicato nella tabella. Qui ordine in bianco significa senza indicazione del prezzo; ad esempio, l'ordine di vendere 300 stai di riso standard (o di acquistarne 400) al prezzo di mercato, qualunque sia, è un ordine in bianco. L'esatto opposto è un ordine con limite di prezzo, cioè l'ordine di vendere o comprare a un dato prezzo. Per esempio, B ha l'ordine di vendere 300 stai se il prezzo è £10 o più, e F ha l'ordine di comprare 100 stai se il prezzo è £13 o meno.

Tabella 1. Piano di ordini sul mercato del risoTabella 1. Piano di ordini sul mercato del risoTabella 1. Piano di ordini sul mercato del risoTabella 1. Piano di ordini sul mercato del risoTabella 1. Piano di ordini sul mercato del risoTabella 1. Piano di ordini sul mercato del riso

Venditore Prezzo Quantità Compratore Prezzo QuantitàA Ordine in bianco 300 stai E Ordine in bianco 400 staiB £10 300 stai F £13 100 staiC £11 200 stai G £12 300 staiD £12 100 stai H £10 300 stai

In un mercato concorrenziale, nel corso degli scambi, il prezzo cambia, ma dato che è impossibile modificarlo continuamente di unità distinte infinitamente piccole, supponiamo che vari di unità minime costanti di £1 (una sterlina). Se sono necessari aggiustamenti di minore entità, si possono considerare unità di 10 o 50 pence. L'unità minima è decisa in base ai regolamenti della borsa.

Simulazione di scambi concorrenzialiTrattiamo ora la domanda e l'offerta della tabella 1 secondo il modo di procedere del Tokyo

Rice Exchange. All'inizio si svolgono le transazioni relative agli ordini in bianco. Nel nostro esempio, l'ordine di comprare in bianco è di 100 stai in eccedenza sull'offerta dei venditori, ed è consuetudine che questi 100 stai siano venduti al prezzo più basso (a £10, 100 stai saranno forniti dai 300 che offre B). Se c'è un eccesso di offerta relativamente agli ordini in bianco, questo eccesso viene venduto al prezzo più alto che la domanda è disposta a pagare. I compratori e i venditori che hanno concluso l'affare si percuotono a vicenda il palmo della mano per segnalare il fatto, e il computista della borsa registra chi ha venduto e chi ha comprato, e in che quantità. Non registra però il prezzo a cui si sono conclusi gli affari.

Comunque, B vuole ancora vendere sul mercato a £10 i 200 stai rimastigli. Se guardiamo la colonna della domanda, F, G e H vogliono ancora comprare, rispettivamente 100, 300 e 300 stai,

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quindi la domanda totale è di 700 stai. Ma se il prezzo supera £10 H ritirerà la sua domanda e altrettanto farà G se il prezzo supera £12; invece F rimarrà sul mercato finché non trova un venditore e finché non viene raggiunto il suo prezzo di £13.

L'andamento successivo degli scambi varierà a seconda che B tratti con F, con G o con H. Un mercato concorrenziale consiste di scambi effettuati a un singolo prezzo concordato, e le transazioni sono concluse tutte al prezzo finale (prezzo di equilibrio). Cioè, anche se B scegliesse di trattare con H al prezzo di £10, e il prezzo arrivasse poi a superare £10, H dovrebbe comunque pagare a B la cifra più alta. Cioè H, pur essendo intenzionato a comprare riso solo a £10 allo staio, finirebbe per comprarlo a un prezzo superiore. Per ovviare a una situazione del genere, H deve poter rivendere (senza costi) il riso comprato da B.

Quindi, se B sceglie di trattare con H e il prezzo oltrepassa poi £10, H rivenderà immediatamente. Ma se B tratta con G o F, questi non rivenderanno il riso comprato finché il prezzo non sarà salito, rispettivamente, a £12 e £13. L'andamento successivo delle contrattazioni dipenderà, come abbiamo già detto, da con chi B effettua ora gli scambi, dato che varieranno gli ordini di rivendita.

Supponiamo che B concluda l'affare con H. Questi, dopo aver comprato da B a cui erano rimasti solo 200 stai, continuerà ad alzare la mano dichiarando «compro 100 stai a £10». Dato che l'offerta totale a £10 è già stata venduta, non ci sarà nessuna offerta per soddisfare le domande di H, F e G rimasti in sala. Tuttavia, se il prezzo sale a £11, C sarà disposto a vendere 200 stai.

Però a £ 11 la domanda di H (100 stai) scomparirebbe; comunque, siccome F e G vogliono ancora comprare, è possibile che uno di loro concluda l'affare con C. La domanda totale è di 400 stai e la nuova offerta è solo di 200 (C), c'è però da considerare anche la rivendita di H. In altre parole, H ha già comprato 200 stai a £10, ma dato che non ha nessuna intenzione di comprare a £11, non appena il prezzo arriva a £11, deve annullare l'ordine fatto in precedenza, rivendendo i 200 stai comprati. L'offerta totale è ora di 400 stai, inclusa l'offerta derivata dalla rivendita di H. Questa offerta è pari alla domanda totale e l'affare sarà concluso tra C, H e F, G al prezzo di £11. Questo sarà registrato dal computista della borsa.

In sala, D alza la mano dichiarando «vendo 100 stai a £12», e H «ne compro 300 a £10», ma non ci sarà più nessuno che compra a £12 o vende a £10. Questo perché B, che voleva vendere a £10, e F e G, che volevano comprare il primo a £13 e il secondo a £12, hanno già completato le transazioni al prezzo vantaggioso di £11. E a questo prezzo D e H non possono lamentarsi per non aver venduto o comprato. Quindi £11 è il prezzo (prezzo di equilibrio) a cui nessuno degli operatori presenti ha da obiettare. Il banditore, quando ritiene che sia stato raggiunto il prezzo di equilibrio, batte il martelletto e dichiara che la seduta è terminata. Il prezzo di equilibrio regola tutte le transazioni e stabilisce il principio «un prezzo-un bene».

Divieto di fare offerte sregolateL'esempio descritto di scambi concorrenziali al Tokyo Rice Exchange è stato fatto sulla

falsariga dei regolamenti e delle procedure della borsa. Cioè, finché ci sono ordini insoddisfatti di comprare a un dato prezzo, è proibito presentare offerte di vendita a un prezzo inferiore. Analogamente, se gli ordini di vendere a un dato prezzo non sono completamente esauriti, non è permesso presentare offerte di acquisto a un prezzo maggiore. Permettere queste pratiche significherebbe tollerare una condotta nociva a un funzionamento ordinato del mercato. Quando ci sono ancora sul mercato ordini di acquisto a un dato prezzo p, e i venditori erano in ogni caso disposti a vendere a un prezzo minore di p, è semplicemente buon senso per loro vendere a p. Non farlo, e cercare di vendere a un prezzo minore di p, avrebbe effetti di disturbo. In modo simile, quando ci sono ancora ordini insoddisfatti di vendita a un dato prezzo p, e i compratori erano in

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ogni caso disposti ad acquistare a un prezzo superiore a p, è buon senso comprare a p. Non farlo, e cercare di comprare a un prezzo superiore a p creerebbe altrettanti effetti di disturbo. Le offerte che trasgrediscono queste convenzioni normalmente accettate sulle transazioni sono considerate «offerte sregolate» e sono proibite.

Quindi, le uniche offerte che possono essere presentate quando ci sono ancora sul mercato offerte insoddisfatte d'acquisto (eccesso di domanda) sono le offerte di vendita a un prezzo più alto. In modo analogo, le uniche offerte permesse quando ci sono ancora sul mercato offerte insoddisfatte di vendita (eccesso di offerta), sono le offerte di acquisto a un prezzo più basso. E l'esistenza di questi regolamenti è la ragione per cui, nell'esempio descritto, il prezzo è salito da £10 a £11. Cioè, sono state prese in considerazione le offerte di vendita a £11 perché c'erano ancora offerte insoddisfatte di acquisto a £10. In altre parole, secondo questi regolamenti, se c'è un eccesso di domanda (offerta), il prezzo aumenta (diminuisce). Il meccanismo del mercato concorrenziale è semplicemente una specie di «computer sociale» che alla fine individua i prezzi di equilibrio aggiustando i prezzi secondo questa formula.

3 Le formulazioni degli economisti

Le curve di domanda e di offertaCome analizzano gli economisti i prezzi di equilibrio? Gli economisti sostengono che i prezzi

sono determinati al punto in cui si intersecano la curva di domanda e la curva di offerta. Come possiamo allora illustrare la curva di domanda e la curva di offerta del nostro esempio?

Cominciamo con la curva di offerta. Poiché l'unica offerta è quella delle vendite in bianco quando il prezzo è inferiore a £10, l'offerta totale è di 300 stai. Al prezzo di £10, B cercherà di vendere 300 stai, il che, assieme alle vendite in bianco, porterà l'offerta totale a 600. A £11 B vorrà naturalmente continuare a offrire, e se includiamo i 200 stai di C, che si è ora unito ai venditori, l'offerta totale sarà di 800. A £12 e oltre, l'offerta sarà di 900 stai. Questo è indicato graficamente dalla serie di cerchietti neri della figura 1, dove il prezzo è indicato sull'asse verticale e la quantità sull'asse orizzontale. Poiché i prezzi variano di unità regolari pari a £1, anche se congiungiamo i cerchietti neri con una linea, questo non avrà nessun significato per gli spazi tra un cerchietto e l'altro. Nel nostro caso la curva di offerta è formata dalla serie di cerchietti neri sporadici, ma in economia di solito si ritiene che i prezzi cambino in modo continuo e si indica la curva di offerta con una curva continua.Dalla tabella 1, con un procedimento simile, si può derivare anche la curva di domanda. A prezzi più alti di £13 c'è solo la domanda in bianco, quindi la domanda totale sarà di 400 stai; ma al prezzo di £ 13,00 si aggiungono i 100 stai della domanda di F {domanda totale di 500 stai). A £12 ci sarà anche la domanda di G (domanda totale di 800 stai). A £11, dato che non c'è una nuova domanda, la domanda totale sarà di 800 come prima, ma a £ 10 si aggiungeranno i 300 stai di H e la domanda totale sarà di 1100. In seguito non si avrà nessuna variazione della domanda totale anche se il prezzo dovesse calare ulteriormente. La serie di cerchietti bianchi rappresenta la curva di domanda. Come risulta dalla figura 1, poiché un cerchietto nero e uno bianco si sovrappongono al prezzo di £11, questo è il prezzo a cui la domanda e l'offerta coincidono, cioè il prezzo di equilibrio. Per arrivare a tale prezzo gli scambi cominciano a £10, ma c'è un eccesso di domanda a questo prezzo. Per poter soddisfare questo eccesso di domanda si deve mobilitare un'offerta aggiuntiva, indagando quanta offerta è disponibile a prezzi superiori a £10. Nel nostro esempio, dove si sono concluse contrattazioni a un prezzo superiore di un'unità secondo le «convenzioni di mercato», c'è stato un

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aumento dell'offerta di 200 stai (di C), e l'eliminazione della domanda di 300 stai (di H). Così 500 stai di eccesso di domanda sono stati eliminati dal mercato.

La funzione di aggiustamento del prezzoGli economisti spiegano nel modo seguente il meccanismo di determinazione dei prezzi in un

sistema concorrenziale. Sia D la domanda totale, O l'offerta totale e p il prezzo. Poiché D e O dipendono da p, si ha D=F(p) e O=G(p). Le variazioni di D in risposta alle variazioni di p formano la curva di domanda, e le variazioni di O la curva di offerta. Il prezzo di equilibrio p0 sarà determinato dall'intersezione delle due curve. Cioè

F(p0) = G(p0) (1)

Quando il prezzo è p, se c'è un eccesso di domanda (F(p)>G(p)) il prezzo aumenterà ( !p>0); e se c'è un eccesso di offerta (F(p)<G(p)) il prezzo diminuirà ( !p <0). Qui !p indica la variazione del prezzo p in un momento dato nel corso degli scambi. (Per mostrare questo in modo più dettagliato, se assumiamo t come parametro che indica il procedere degli scambi nel tempo, p mostra il tasso di variazione di p rispetto a t, dp/dt.) Se la domanda e l'offerta sono uguali (F(p)=G(p)), il prezzo cessa di variare ( !p =0). Sull'esempio di Samuelson, gli economisti indicano nel modo seguente il rapporto tra il grado di variazione del prezzo (se positivo o negativo) e il volume di eccesso di domanda

!p = H(E(p)) dove E(p)=F(p)-G(p) e H(0)=0 (2)

Questa è detta funzione di aggiustamento del prezzo ed è la «consuetudine di mercato» che sostiene questo meccanismo di aggiustamento.

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4 L'esistenza dell'equilibrio

La sospensione degli scambiNella nostra simulazione il venditore D non ha partecipato a nessuna fase degli scambi. Di

conseguenza alcuni lettori potrebbero pensare che D non abbia nessun rapporto con l'equilibrio raggiunto; in realtà D è tra chi permette l'esistenza di questo equilibrio. Lo si può dimostrare nel modo seguente.

Nel nostro esempio abbiamo assunto che D volesse vendere 100 stai di riso a £12. Supponiamo ora che cambi idea e cerchi di venderli a £11. In base a questa ipotesi, gli scambi avranno il seguente andamento.

Innanzitutto ci sarà la compravendita in bianco e A venderà 300 stai a E. La rimanente domanda di E di 100 stai sarà soddisfatta concordando una vendita con B a £10. Gli altri 200 stai che B offre saranno venduti per soddisfare la domanda al prezzo di £10 (di H, per esempio). A £10 ci sarà un eccesso di domanda perché si aggiungerà la domanda di F (100), di G (300) e di H (100). Secondo le consuetudini di mercato, si cercherà di realizzare la vendita a £11. (Fino a questo punto la situazione è esattamente la stessa dell'esempio precedente.) A £11, non solo C e D offriranno 200 e 100 stai rispettivamente, ma ci sarà anche un'offerta addizionale di 200 stai perché H annullerà il precedente acquisto di 200 stai e li rivenderà. Quindi l'offerta totale sarà 500. D'altro lato, a £11 la domanda ammonterà a 400 stai con F che ne richiede 100 e G 300. Supponiamo che i 200 stai offerti da C e i 200 rivenduti da H siano venduti ora a F e a G, e che l'offerta di D rimanga invenduta. Secondo le «consuetudini di mercato» il prezzo sarà forzato al ribasso fino a £10.

A questo prezzo l'offerta di D scomparirà dal mercato perché D non vuole vendere a meno di £11. Mentre C, che non vuole vendere a £10, si è già liberato della sua offerta quando il prezzo era £11 e quindi, adesso che il prezzo è sceso ancora a £10, deve ricomprare i 200 stai che ha venduto.

Inoltre, tra i compratori, H ha comprato una volta, ma poi ha rivenduto l'acquisto, quindi è come se non avesse comprato affatto. Di conseguenza H figurerà come compratore di 300 stai. In sala ci sarà allora una grande alzata di mano per una domanda totale di 500 stai. D'altro lato, l'offerta sarà zero. Il prezzo sarà ancora una volta forzato al rialzo fino a £11.

Così, se D vende 100 stai a £11 il prezzo oscillerà continuamente tra £10 e £11 e non si riuscirà a raggiungere un prezzo di equilibrio. Il banditore del mercato dichiarerà «Scambi sospesi» e tutte le contrattazioni avviate fino a quel momento saranno cancellate. Da questo discorso risulta chiaro che la ragione per cui era £11 il prezzo di equilibrio nell'esempio precedente, era che D non vendeva a £11, bensì cercava di vendere a £12. Quindi D, in base al piano di offerta ipotizzato, non ha preso parte agli scambi, ed è stata proprio questa sua inattività che ha permesso l'equilibrio. Vale a dire, l'equilibrio è il prodotto delle operazioni globali di tutti i compratori e di tutti i venditori che si sono riuniti, a prescindere che siano attivi o meno sul mercato.

Equilibri multipliQuindi D gioca un ruolo importante in quanto permette l'esistenza di un equilibrio. Inoltre,

a seconda della sua offerta, sono possibili non un solo equilibrio, ma diversi (diciamo due). Per capire questo punto, supponiamo che nella tabella 1 D offra 100 stai solo quando il prezzo è £13 e non £12. In tal caso il cerchietto nero corrispondente al prezzo di £12 si sposterà a sinistra di

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100 stai e coinciderà col cerchietto bianco a quell'altezza. Cioè sia £11 che £12 sono prezzi di equilibrio con la nuova offerta di D, e quale dei due prevarrà dipenderà dal prezzo iniziale a cui sono cominciate le operazioni.

Il nuovo prezzo di equilibrio sarà £12 se le contrattazioni si svolgono nel modo seguente. Prima di tutto hanno luogo gli scambi in bianco e, secondo le procedure del Tokyo Exchange, l'eccesso di domanda di 100 è soddisfatto con l'offerta di B al prezzo più basso (£10). Immaginiamo ora che le procedure siano modificate in modo che la domanda rimasta debba esser soddisfatta con l'offerta fatta al prezzo più alto, £13. A questo prezzo B, C e D sono tutti pronti a offrire (offerta totale di 600 stai), e la domanda in bianco di 100, assieme alla domanda di F (100) a £13, sarà soddisfatta attingendo all'offerta di B, C o D (diciamo C e D, per esempio). Dato che rimarranno invenduti 400 stai dell'offerta, il prezzo sarà abbassato di un'unità secondo «le consuetudini di mercato», e a £12 si presenterà una domanda. G richiederà 300 stai a £12 e D, per annullare la transazione in cui ha venduto quando il prezzo era £13, cercherà di ricomprare 100 stai. Per questa ragione la domanda totale è di 400 stai, e l'offerta consiste dei 300 stai di B e dei 100 di C, per un totale di 400 (C ha già venduto 100 stai quando il prezzo era £13). Quindi, a £12 la domanda e l'offerta sono uguali, ed entrambe sono smaltite dal mercato. Cioè, è stato raggiunto l'equilibrio.

Quindi, quando esistono diversi prezzi di equilibrio, le contrattazioni convergeranno su un prezzo di equilibrio basso se sono cominciate a un prezzo basso, e su un prezzo di equilibrio alto se sono invece cominciate a un prezzo alto. In certi casi il prezzo di apertura delle operazioni è determinato dai regolamenti e dalle convenzioni di mercato; ma ci sono anche dei mercati che lasciano alla discrezione del banditore il prezzo di apertura. In entrambi i casi, i mercati sono il tipo più potente di struttura per individuare e diffondere prezzi di equilibrio. Tuttavia possono esistere situazioni in cui, anche con una tale struttura, gli scambi devono essere abbandonati all'annuncio «prezzo di equilibrio non raggiunto», a causa del livello della domanda o dell'offerta; può anche essere inevitabile che, per via dei regolamenti del mercato, si determinino sempre prezzi di equilibrio bassi (o alti). Comunque, nonostante questo, i mercati danno luogo, in circostanze normali, ad accordi che soddisfano tutti coloro che si sono presentati con ordini di comprare e di vendere, a prescindere dal fatto che non tutti riescano di fatto a comprare o vendere sul mercato. In questo senso il mercato deve esser visto come un meccanismo estremamente importante che contribuisce notevolmente alla gestione democratica dell'economia.

5 La determinazione dei prezzi di produzione Beni senza un mercato organizzato

È comunque impossibile avere questo tipo di mercato per ogni tipo di bene. A parte i titoli pubblici e privati, le borse sono ristrette ad alcuni prodotti agricoli e forestali e ai loro derivati (come cereali, fagioli, patate, cotone, caffè, cacao, lana, uova, carne, gomma, zucchero, legname, compensato, ecc). Esistono anche per i prodotti tessili (cotone, seta, rayon, ecc.) e minerali (oro, platino, argento, rame, stagno, ecc). Non esistono borse per la maggior parte dei prodotti manufatti (automobili, articoli elettrici, mobilio, ecc.) o per i servizi (ferrovie, alberghi, film, ecc). Nemmeno nel caso di beni per cui esiste la borsa, gli scambi avvengono necessariamente su base concorrenziale, infatti per alcuni si svolgono solo scambi diretti anche in borsa. Il commercio concorrenziale, dove molti fornitori competono l'uno contro l'altro, non può aver luogo a meno che tutti non forniscano beni di qualità molto simile. Dove è difficile standardizzare la qualità (nel caso ad esempio di beni come bozzoli di seta e lana), ciascun lotto

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deve essere classificato individualmente e avere un prezzo specifico. Altrimenti si avranno solo offerte d'asta, e non scambi su base concorrenziale.

Inoltre, anche nel caso di beni per cui esiste una borsa, non tutte le transazioni avvengono in borsa. A parte gli scambi diretti nei negozi, i grossisti formano delle associazioni e si riuniscono periodicamente in luoghi prestabiliti per vendere all'asta. Questo tipo di mercato può esser chiamato «quasi-borsa». In una borsa vera e propria una vendita o un acquisto può esser fatto solo tramite operatori riconosciuti; ma in una «quasi-borsa» non ci sono restrizioni per gli acquirenti, siano essi commercianti organizzati o individui che rappresentano solo se stessi e vanno e vengono liberamente. Questo nonostante il fatto che i fornitori sono limitati invece ai grossisti che hanno organizzato la «quasi-borsa». In ogni caso le operazioni di compravendita concorrenziale strettamente regolate riguardano solo una parte della domanda di un numero estremamente limitato di beni, quindi l'efficacia del meccanismo dei prezzi è, di conseguenza, parziale e locale.

Naturalmente, quando si crea una borsa per un bene particolare, le transazioni esterne alla borsa saranno effettuate raramente a prezzi molto diversi dal prezzo di equilibrio determinato in borsa. Il prezzo fissato in borsa inciderà in varia misura sulle transazioni esterne. Quando la domanda e l'offerta in borsa rispecchiano obiettivamente la domanda e l'offerta di quel bene nel paese in generale, non si possono sollevare obiezioni se il prezzo di equilibrio stabilito in borsa viene considerato vicino al prezzo di equilibrio del paese nel suo complesso. Comunque, per i beni senza una borsa, non si può ricorrere a questo metodo di approssimazione. Per capire come sono decisi i prezzi dei beni senza una borsa sarebbe avventato, superficiale e pericoloso ritenere — per analogia con le transazioni in borsa e senza esaminare quanto succede nella realtà — che i prezzi di quei beni si determinino in modo da soddisfare tutte le parti coinvolte nelle transazioni.

Il principio del costo pieno (5)Come si determinano i prezzi nel caso dei manufatti? Supponiamo per semplicità che le

fabbriche facciano solo un tipo di prodotto. La fabbrica calcola un prezzo standard aggiungendo ai costi di produzione un profitto ragionevole, in base a un rapporto fisso. I costi di produzione per unità di prodotto sono dati da 1) costi delle materie prime, 2) costi del combustibile, 3) costi per l'energia elettrica, 4) costi dei prodotti chimici, 5) costi delle attrezzature, 6) tariffe dell'acqua, 7) salari, 8) ammortamento, 9) costi di gestione, 10) costi vari e così via. Se il volume della produzione è molto ridotto, i costi per unità di prodotto saranno alti; se il volume della produzione è estremamente grande, e la fabbrica deve sostenere una produzione di massa oltre le sue capacità, anche in questo caso i costi per unità saranno relativamente alti.

Quindi i costi di produzione c per unità di prodotto sono funzione della produzione x della fabbrica; se x è piccola e c è grande, aumentando x, c diminuisce per poi aumentare (quando eccede la capacità della fabbrica). Cioè, c descriverà una curva a forma di U (che chiameremo curva del costo medio) se x aumenta. I costi c, maggiorati di un tasso fisso, saranno il prezzo del bene (questo tasso fisso m è chiamato tasso di mark-up netto), e l'ammontare aggiunto darà il profitto per unità di prodotto. La determinazione del prezzo con questo metodo va sotto il nome di principio del costo pieno (6).

Quindi, per determinare il prezzo p, si deve determinare c, e per determinare c, si deve determinare x. Dato che occorre un certo periodo di tempo per fare un prodotto, l'impresa ha due scelte, o produrre solo la quantità ordinata o produrre una certa quantità in previsione di un certo volume di domanda calcolato con ricerche di mercato. Se la produzione è piccola, l'impresa produrrà su ordine (per esempio, nel caso di navi e macchinari speciali); se invece si tratta di una produzione di massa, è impossibile prendere gli ordini individualmente, e l'impresa deve produrre in base a stime.

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Calcolando la produzione in questo modo, la quantità di fatto venduta (xa) non sarà necessariamente pari alle vendite attese (xe) (7). Nel caso lo sia, la fabbrica realizzerà i profitti attesi; ma se una parte della produzione rimane invenduta (cioè, xe>xa), i profitti saranno minori del previsto, nel peggiore dei casi anche negativi. Vale a dire, l'impresa subirà una perdita. Se l'impresa è sull'orlo del fallimento potrebbe bandire un'asta per svendere i suoi prodotti, come nell'esempio dei cappotti all'inizio del libro.

Supponiamo che sia stata prevista una domanda di 200 cappotti e che il prezzo di un cappotto sia £16 (costo + mark-up). Dato che la domanda dipende dal prezzo, sarebbe necessario rivedere la stima iniziale se £16 fosse un prezzo troppo alto. Comunque, supponiamo che l'impresa sia convinta di poter vendere 200 cappotti a £16, e che ne abbia fatti 200. In seguito però si ritrova solo con 150 ordini a quel prezzo e 50 cappotti rimangono invenduti. L'impresa ha ora due alternative. O abbassa il prezzo e svende gli altri 50 cappotti, o lascia inalterato il prezzo cercando di disfarsi in futuro delle rimanenze. Se prende la prima strada, si troverà di fronte ai reclami dei clienti che hanno già comprato i cappotti a £16 — o forse questi clienti non diranno nulla ma perderanno fiducia nell'impresa. Così, anche se la prima alternativa è vantaggiosa per l'impresa nel breve periodo, non sarà adottata se non in casi d'emergenza come quando «si chiude bottega». È probabile allora che l'impresa scelga la seconda strada, cioè mantenga il prezzo inalterato, aggiungendo i capi invenduti all'offerta futura e al tempo stesso riducendo la produzione futura.

Anche nella situazione opposta, cioè se la domanda supera la produzione, il prezzo può non esser aumentato, come lo sarebbe invece nel caso di scambi concorrenziali. L'impresa venderà ancora i 200 cappotti a £16 ai clienti che fanno ressa per comprarli ma, dopo averne venduti circa 150, si accorgerà che 200 non sono sufficienti per soddisfare la domanda totale. Tuttavia, anche in questo caso, può non cercare di scoraggiare la domanda alzando il prezzo. Può invece utilizzare parte dello stock in magazzino oppure, se non ne ha, dichiarare semplicemente «tutto esaurito» e scusarsi con i clienti. È chiaro che sarebbe vantaggioso per l'impresa alzare il prezzo e far scendere la domanda complessiva a 200 cappotti piuttosto che rinunciare del tutto alla domanda, ma nella vita reale i manager e i commercianti non si comportano nel modo «razionale» descritto nei manuali di economia. Sono più ripetitivi e burocrati di quanto non si creda. Inoltre, insistendo sul prezzo fissato all'inizio, sono dell'idea che stanno mantenendo la parola data ai clienti.

Cosi, nel mercato dei manufatti prodotti in massa, la domanda e l'offerta sono regolate dal volume della produzione immessa sul mercato piuttosto che dal prezzo. Se la produzione eccede la domanda, si aumenta il volume delle scorte, e le scorte accumulatesi vengono poi riversate sul mercato quando c'è un eccesso di domanda. Così, aggiustando le scorte, di solito si riesce a soddisfare la domanda, a parte quando c'è un'eccezionale scarsità di beni. Nonostante il fatto che la maggior parte dei manufatti siano venduti con scambi diretti piuttosto che concorrenziali, vale per loro il principio «un prezzo-un bene», perché ogni fornitore continuerà a venderli, finché riesce, allo stesso prezzo, intervenendo sulle scorte dei suoi prodotti.

La concorrenza sul prezzo in base al principio del costo pienoSe c'è un eccesso di domanda (offerta) il prezzo aumenta (diminuisce), quindi i compratori

che non possono permettersi prezzi alti sono eliminati (lo stesso dicasi per i fornitori che non possono accettare prezzi bassi). Questa forma di concorrenza è la formula concettuale di base degli economisti, largamente diffusa ed ormai accettata come un fatto di dominio pubblico. D'altro lato, in base al principio del costo pieno, un eccesso di domanda (offerta) viene eliminato aggiustando la quantità offerta e non esercita nessuna pressione sul prezzo. Possiamo quindi chiederci ora in che modo, in base al principio del costo pieno, gli acquirenti e i venditori si fanno concorrenza e come possono venire eliminati dal mercato.

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Tanto per cominciare, i costi di produzione delle imprese non sono gli stessi. E anche appartenendo a una stessa impresa, le singole fabbriche sono situate ciascuna in zone diverse, usano diversi macchinari, e i loro operai hanno diverse specializzazioni. Di conseguenza, dato il tasso di mark-up, differenze di costi determineranno differenze di prezzi. Se i prodotti dell'impresa sono della stessa qualità, i compratori cercheranno appena possibile di acquistare i prodotti ai prezzi più bassi. Quindi i prodotti molto cari possono sopravvivere solo nel breve intervallo che passa prima che tra i compratori si sparga la voce che il prezzo di quei prodotti è alto. Anche in base al principio del costo pieno la concorrenza vuole che ci sia un solo prezzo per ogni dato bene. Quindi le fabbriche e le imprese con alti costi devono accontentarsi di un tasso di mark-up netto più basso, e i tassi varieranno in modo da riflettere le differenze dei costi.

Indicando con π il profitto per unità di produzione, con c i costi di produzione e con p i prezzi, in base alla formula del principio del costo pieno

p=c+π=(1+π/c)c=(l+m)c (3)

risulterà che le imprese e le fabbriche con c alto avranno un tasso di mark-up m netto basso (cioè il profitto realizzato per unità di costo π/c sarà basso). Oppure subiranno delle perdite come risultato della concorrenza sui prezzi. Inoltre, anche se potranno permettersi di tollerare per un certo periodo di tempo un tasso di mark-up basso, si troveranno comunque ben presto in difficoltà finanziarie perché non utilizzano i fondi nel modo più efficiente possibile; ovviamente nessun finanziatore si interesserà di imprese con un basso tasso di mark-up. Di conseguenza queste imprese dovranno ridurre la produzione e saranno intrappolate in un circolo vizioso, perdendo i vantaggi della produzione di massa e avendo costi di produzione sempre più alti. Alla fine le fabbriche e le imprese poco efficienti saranno chiuse e la loro produzione sarà eliminata dal mercato.

Quindi, nella seconda fase della concorrenza, ci sarà un unico costo di produzione uniforme per ciascun bene. Con un solo prezzo e un solo costo di produzione per prodotto, si avrà anche un solo tasso di mark-up per prodotto. Inoltre, se questo tasso è diverso secondo i beni, è improbabile che i fondi siano canalizzati in direzione dei prodotti con un tasso di mark-up basso. Così le fabbriche che fanno questi prodotti avranno difficoltà finanziarie. Quindi alla fine il tasso di mark-up deve essere uguale per tutti i beni. In tal modo, il principio «un tasso di mark-up-un bene» e la tendenza all'uniformità dei tassi di mark-up di tutti i beni, sono sia conseguenza del fluire dei fondi verso le imprese efficienti sia risultato di calcoli del proprio interesse economico.

La concorrenza in base al principio del costo pieno non si ferma qui. I compratori non acquistano necessariamente le merci direttamente dai produttori, dato che possono trovare tutta una serie di negozi tra se stessi e la fabbrica. Ci sono i negozietti all'angolo, i grandi magazzini, i supermercati e le cooperative di consumo, e a loro volta i piccoli negozi si riforniranno dai piccoli grossisti regionali e questi ultimi dai grandi distributori nazionali. Più stadi ci sono nel processo distributivo, più alti saranno i prezzi finali al dettaglio, dato che si sommano via via i costi operativi e i profitti di ciascun negozio grande o piccolo che sia, e la capacità di esser competitivi si indebolisce sempre di più. L'imperativo della competitivita può ben arrivare a eliminare un processo distributivo eccessivamente complicato e tortuoso(8).

Paragoniamo ora tre dei più semplici itinerari che si possono seguire per far pervenire i beni di consumo agli acquirenti: (i) dalla fabbrica direttamente al consumatore, (ii) dalla fabbrica al consumatore tramite piccoli negozi al dettaglio, (iii) dalla fabbrica al consumatore tramite supermercati, catene o cooperative di consumo. Dato che i costi di vendita fanno parte dei costi totali di produzione e dipendono più dalla quantità acquistata in un certo periodo che dal volume della produzione, i costi di vendita reali che si sostengono e si scaricano poi vendendo a grossi

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acquirenti saranno molto più bassi dei costi medi di vendita stimati e inclusi nel prezzo secondo la formula del costo pieno. Quindi le imprese vendono di solito a grossi acquirenti come super-mercati, catene, cooperative di consumo ecc. a prezzi molto più bassi di quelli fatti ai clienti individuali e ai piccoli negozi al dettaglio. Cosi i supermercati e i loro simili, se comprano in grosse quantità e risparmiano sui costi d'acquisto delle merci, saranno in grado di vendere a un prezzo molto più basso del negozietto all'angolo. In alcuni casi possono anche vendere a prezzi al dettaglio molto inferiori a quelli raccomandati dalla fabbrica.

Avendo come arma principale l'acquisto per blocchi e metodi di vendita razionalizzati e semplificati, i supermercati e i loro simili hanno cominciato a far fronte alla sfida dei dettaglianti di minuscole dimensioni con una guerra dei prezzi, e sono già usciti vincitori in molti casi. La maggior parte delle persone che lavorano in piccoli negozi sono i proprietari stessi o i componenti della famiglia, e la proporzione di persone esterne assunte regolarmente è estremamente piccola. Di conseguenza, i costi di vendita di questi negozietti dipendono molto da come il proprietario valuta il costo della manodopera sua e della famiglia, quindi sono fino a un certo punto arbitrari e flessibili. I piccoli negozianti e le loro famiglie hanno a loro volta reagito all'attacco accontentandosi di redditi molto bassi, ma queste tattiche hanno un limite. La maggior parte di loro alla fine non ce la farà. Vale a dire, ci sono guerre dei prezzi anche in base al principio del costo pieno, di conseguenza solo i canali distributivi più economici sopravviveranno, e gli altri falliranno. Tuttavia, si deve tener presente che la riduzione dei prezzi che ha messo in crisi i piccoli negozi non è stata determinata da un eccesso di offerta dei prodotti interessati. E anche se le linee offerte da questi negozietti andassero ancora forte, i supermercati ideerebbero lo stesso qualche stratagemma di vendita che permetterebbe loro di vendere a meno della concorrenza e di aumentare la propria quota delle vendite totali(9).

6 Due tipi di economie di mercato

Gli economisti neoclassici e KeynesCosì quasi tutti i prezzi dei prodotti industriali sono fissati in base al principio del costo pieno,

mentre i principali prodotti agricoli, forestali, ittici e alcuni estrattivi hanno dei mercati dove gli scambi avvengono su base concorrenziale. Il principio del costo pieno e il mercato concorrenziale sono meccanismi di determinazione dei prezzi molto diversi, e il carattere, la fisiologia e la dinamica dell'intera economia nazionale variano a seconda del meccanismo che predomina.

L'economia neoclassica (detta anche walrasiana), dato che presuppone che tutti i beni sono scambiati su base competitiva, sarà uno strumento efficace per analizzare i sistemi economici dove predomina il meccanismo del mercato concorrenziale. Dall'altro lato, la teoria economica keynesiana, nella forma sviluppata da Kalecki(10), può esser considerata una teoria in cui i prezzi sono determinati in base al principio del costo pieno. Quindi è uno strumento adeguato per analizzare le economie dove predomina l'industria manifatturiera. Nei paragrafi seguenti chiameremo il primo modello puro, dove i prezzi di tutti i beni sono decisi su base concorrenziale, economie flexprice o di tipo neoclassico. E chiameremo il secondo modello puro, dove i prezzi di tutti i beni sono decisi in base al principio del costo pieno, economie fìxprice o di tipo keynesiano (in senso stretto, economie alla Kalecki-Keynes), dato che i prezzi sono fissati a prescindere da un eventuale eccesso di domanda, una volta determinati i costi. I sistemi economici reali si trovano tra questi due estremi, essendo un misto di economie flexprice e fìxprice.

Possiamo calcolare fino a che punto le economie del mondo reale sono miste misurando il rapporto tra la produzione del settore flexprice e quella del settore fìxprice o il rapporto tra quella

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del settore agricolo, forestale, ittico ed estrattivo e quella del settore manifatturiero. Se calcoliamo questo rapporto per il 1960 e il 1973 per i sei paesi della tabella 2, vediamo che la Gran Bretagna e la Germania Federale sono economie fìxprice molto vicine al tipo puro. Il Giappone e l'Italia nel 1960 avevano ancora settori flexprice alquanto ampi, ma hanno raggiunto rapidamente il tipo di economia fìxprice tra il 1960 e il 1970.

Chiaramente la Gran Bretagna è diventata un'economia fìxprice molto tempo addietro (forse intorno al 1890. Cfr. tab. 3). A quel tempo gli altri paesi (non solo il Giappone e l'Italia, ma anche gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, ecc.) avevano ancora un settore flexprice relativamente ampio. Se teniamo presente questo fatto, non è stato certamente un caso che la «rivoluzione

keynesiana» della teoria economica sia avvenuta in Gran Bretagna. Proprio come fu per prima la Gran Bretagna a far fiorire l'economia, essendo il primo paese al mondo a sviluppare una moderna

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economia capitalistica, così fu ancora la Gran Bretagna la prima a diventare un'economia fixprice e a far nascere una scienza economica adeguata — l'economia keynesiana. Considerato in questo modo, l'andamento storico della teoria accademica, dall'economia neoclassica a quella keynesiana, non fu dovuto semplicemente agli sviluppi autonomi della teoria pura, bensì anche ai cambiamenti sostanziali intervenuti nello stesso sistema economico.

Retroterra storico della formazione delle economie fìxpriceTutti i paesi, anche quelli che si trovano ora a un avanzato livello industriale, erano un tempo

paesi produttori di beni primari, soprattutto agricoli, forestali e ittici. La Rivoluzione industriale ebbe luogo in Gran Bretagna tra il 1760 e il 1830, e in Giappone circa tra il 1890 e il 1910. Ma anche dopo una rivoluzione industriale a casa loro, moltissimi paesi industriali impiegavano ancora gran parte della popolazione totale nel settore primario. Dai dati della tabella 4 — che indicano che nella maggior parte dei paesi industriali fino a pochissimo tempo fa, il rapporto tra la popolazione impiegata nel settore primario (agricoltura, foreste, pesca) e quella impiegata nel settore secondario (definito in termini ampi per includere, oltre al settore manifatturiero, anche quello estrattivo ed edilizio) superava il 50 % — si può dedurre che questi paesi continuarono ad avere a lungo un settore primario alquanto ampio anche dopo aver attraversato la rivoluzione industriale. Solo la Gran Bretagna fu un'eccezione. Qui agli inizi del 1880 la popolazione impiegata nel settore agricolo, forestale e ittico era circa un quarto di quella impiegata nel settore secondario, e ha continuato a diminuire tanto che ora è meno di un decimo della seconda. La Gran Bretagna ha relegato il settore primario allo stato di appendice dell'economia, e negli altri paesi industriali si sta verificando lo stesso fenomeno, anche se ha impiegato un certo tempo ad avviarsi. In America e in Giappone, rispettivamente all'inizio e alla fine degli anni Cinquanta, il settore primario era già contratto come l'equivalente settore inglese del 1880-90. Lo stesso fenomeno di esodo dall'agricoltura si è riscontrato negli anni Settanta in Giappone, in Francia e in Italia. Se chiamiamo questo fenomeno «seconda rivoluzione industriale», una rivoluzione cioè che elimina quasi completamente il settore primario e pone quello secondario a puntello dell'economia, possiamo dire che la seconda rivoluzione industriale ebbe luogo in Gran Bretagna tra il 1876 e il 1895, e in America e in Germania tra il 1950 e il 1965. In Giappone si può ritenere sia avvenuta dopo il 1965.

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Perché la Gran Bretagna ha sperimentato la sua seconda rivoluzione industriale molto prima degli altri paesi? La Gran Bretagna, che aveva assunto una posizione di leader a livello mondiale con la prima rivoluzione industriale, con il suo dominio economico e con la sua potenza militare, aveva un impero, nel 1850, che andava da un capo all'altro della terra e controllava i sette mari. Non occorre sottolineare che, tra le colonie e la madrepatria, quest'ultima era in posizione relativamente avvantaggiata (cioè aveva un vantaggio comparato) a livello industriale, mentre le colonie erano in buona posizione comparata nella produzione dei beni agricoli. A partire dal 1820 circa, in Gran Bretagna ci si cominciò a rendere conto che sarebbe stato difficile mantenere la lealtà delle colonie con la politica mercantilistica e imperialistica di sfruttamento seguita fino a quel momento. Fu allora che divenne popolare il pensiero politico liberale e la teoria del libero scambio (11). La Gran Bretagna, quando applicò al suo impero i principi del vantaggio comparato della scuola del libero scambio, concentrò se stessa ovviamente sull'industria, trasferendo l'agricoltura alle colonie (12). La madrepatria si riforniva di materie prime (prodotti agricoli) dalle colonie, e le colonie acquistavano dalla madrepatria beni di consumo e beni capitali (manufatti finiti). Fu senz'altro questo tipo di mutua prosperità basata sul libero scambio tra madrepatria e colonie a fornire la base materiale per avere così a lungo la lealtà delle colonie.

Inoltre, fu promossa e diffusa anche la filosofia della libera concorrenza. Come risultato del secondo movimento di recinzione delle terre, che raggiunse il culmine tra il 1800 e il 1820, i proprietari terrieri monopolizzarono vaste superfici, sottraendo la terra a molti contadini. L'agricoltura inglese sopravvisse nella forma di agricoltura capitalistica su vasta scala, dove i capitalisti prendevano in affitto grandi appez-zamenti di terreno dai grossi proprietari terrieri e impiegavano mano-dopera per la lavorazione. Dall'altro lato, i contadini che avevano perso la terra e gli abitanti più poveri delle città su cui si erano abbattuti tempi duri emigrarono nelle colonie alla ricerca di un nuovo mondo. Dal 1830 in poi, ogni anno centinaia di migliaia di persone emigrarono in Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa. Anche se l'agricoltura inglese si razionalizzò e cercò di sopravvivere, la produzione agricola aumentò a malapena in termini monetari nei 60 anni tra il 1841 e il 1901, mentre la produzione industriale aumentò 4, 5 volte in quel periodo. Di conseguenza, il rapporto tra la produzione agricola e la produzione industriale passò dal 65% al 15%, e il rapporto tra la popolazione agricola e quella industriale era già sceso al 26% nel 1881. Possiamo concludere che l'agricoltura estremamente ridotta della Gran Bretagna del tempo fu il risultato della più completa applicazione del principio dei costi comparati, oltre che della politica coloniale inglese del periodo.

Quindi non dovrebbe sorprendere se altri paesi industriali, non avendo il retroterra storico-economico della Gran Bretagna, riuscirono solo dopo molto tempo a ridurre le dimensioni del settore agricolo. Il Giappone, per esempio, costruì il suo impero in Manciuria (1932-1945) sul modello inglese per liberarsi del surplus di popolazione agricola; ma attuò una politica per nulla liberale, trattandosi invece di uno sfruttamento coloniale imperialistico vecchio stile. Per lo sviluppo del libero commercio e di una reciproca prosperità tra Giappone e Manciuria, niente sarebbe stato più importante che evitare di trascinare in guerra il giovane impero. Ma le autorità giapponesi militari e politiche del tempo mancavano di tale acume e fecero guerre su guerre. L'ambizioso sogno giapponese di un «Commonwealth giapponese» in Asia orientale — la Sfera di Mutua Prosperità della Grande Asia Orientale — andò in frantumi senza portare alcun frutto.

Se i paesi industriali, a parte la Gran Bretagna, riuscirono ad avere la seconda rivoluzione industriale dopo la seconda guerra mondiale, fu grazie al periodo di pace successivo, che permise all'economia internazionale di riprendere a funzionare in modo ordinato, e di attuare così una suddivisione internazionale del lavoro basata sul principio del vantaggio comparato senza legami politici tra madrepatria e colonie. Nel XIX secolo, perché si potesse sviluppare il commercio

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secondo il principio del vantaggio comparato, può darsi sia stato necessario non solo che esistessero queste politiche, ma anche che molta gente emigrasse dalla madrepatria, creando le condizioni per un commercio tra «parenti» (tra chi era rimasto in patria e i cugini delle colonie)(13). A quel tempo solo la Gran Bretagna godeva di queste condizioni e gli altri paesi dovettero aspettare che venisse il loro turno.

Note(') Marx, K., Lavoro salariato e capitale in K. Marx e F. Engels, Opere scelte, a cura di L.

Gruppi, Editori Riuniti, Roma, aprile 1966, p. 335. (2) Ibid. p. 335.(3) Marx, K., Il Capitale (vol. III), a cura di M. Boggeri, Editori Riuniti, Roma, 1970. (4) Walras, L., Elementi di economia pura, trad. di A. Bagiotti, UTET, Torino, 1974, pp.

164-5.(5) Sul problema del principio del costo pieno cfr. per esempio: Wilson, T. e Andrews, P. W.

S., Oxford Studies in thè Price Mechanism (The Clarendon Press, Oxford, 1951), che include inter alia, Hall, R. L. e Hitch, C. J., «Price Theory and Business Behaviour». Risalendo più indietro nel tempo, Kalecki, M,. Saggi sulla teoria delle fluttuazioni economiche (trad. di V. Denicolò e M. Matteuzzi, Rosenberg & Selliers, Torino, 1985) può esser considerato uno studio pionieristico del principio del costo pieno. Cfr. anche Wiles, P. J. D., Price, Cost and Output (Frederick A. Praeger, New York, 1963).

(6) Tra le dieci voci di costo della produzione, la somma dei costi (l)-(7) costituisce i cosiddetti costi diretti c', e la somma dei costi (8)-(10) forma i costi indiretti c". Poiché è difficile determinare c", esso viene in genere preso come percentuale dei costi diretti c' a un dato tasso m", cioè, c"=m"c'. Così c=c'+c"=(1+m")c'. Poiché il prezzo è determinato in base a p=(1+m)c, possiamo scrivere p=(1+m)(1+m")c'=(1+m')c', dove m’ di solito viene chiamato tasso di mark-up. Ovviamente c'è una relazione tra questo e il tasso netto di mark-up m: 1+m=(1+m')/(l+m").

(7) Discuteremo nel Capitolo 2 come viene calcolata la produzione attesa xe. Qui supponiamo che sia già stata calcolata.

(8) Sulla rivoluzione della distribuzione determinata dall'avvento dei supermercati, cfr. per esempio Zimmermann, M., The Super Market: A Revolution in Distribution, McGraw-Hill, 1955.

(9) Ci sono anche beni i cui prezzi non sono determinati né dal principio del costo pieno né in un mercato concorrenziale. Per esempio, in Giappone, alla fine degli anni Venti, c'erano taxi e risciò. Poiché il prezzo era deciso dopo vari mercanteggiamenti tra conducente e cliente, si trattava di una transazione diretta, e il prezzo dipendeva in buona parte da chi tra i due era più in gamba a tirare la corda dalla sua parte. Pertanto il principio «un prezzo-un bene» qui non era valido. Comunque, in casi del genere, se il conducente propone un prezzo alto, il cliente chiamerà un altro taxi, e se il cliente insiste nel pagare troppo poco la corsa, il tassista cercherà un altro cliente. Dove c'è un eccesso di offerta, cioè molti taxi vuoti, la posizione dei clienti si rafforza e il prezzo calerà; ma dove c'è un eccesso di domanda, cioè una lunga fila di clienti in attesa di un taxi, i tassisti saranno ben decisi a spingere in alto il prezzo della corsa.

(10) Cfr. per esempio il lavoro già citato di Kalecki e anche, dello stesso autore, Teoria della dinamica economica. Saggio sulle variazioni cicliche e di lungo periodo nell'economia capitalistica (Einaudi, Torino, 1957). Nei paragrafi seguenti interpreteremo la teoria di Keynes secondo le linee di Kalecki nonostante il fatto che la teoria dell'impresa e la teoria dei prezzi dello stesso Keynes siano entrambe neoclassiche.

(11) Gli Stati Uniti raggiunsero l'indipendenza nel 1776, il Canada si ribellò nel 1837 e l'Australia nel 1854. Per evitare il fallimento subito in America, era necessario avviare negoziati per

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la liberalizzazione del commercio con le colonie, in particolare con i domini bianchi. Fu appoggiata all'unanimità una politica di libero scambio con le colonie. Ma in seguito il libero scambio non soddisfò più, poiché si trovò che ostacolava lo sviluppo dell'industria nelle colonie, e si passò allora a domandare una politica protezionistica.

(12) Vedi la Nota Addizionale b.(13) Anche nel periodo in cui sosteneva una politica economica liberista (laissez-faire), la

Gran Bretagna portò avanti una rigorosa polìtica discriminatoria contro la popolazione non bianca dell'India.

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Capitolo 2 La funzione dei mercati d'asta

1 La struttura a molti strati delle economie di mercato

Il caso dei paesi con il solo settore manifatturieroDa un lato ci sono beni i cui prezzi sono decisi in base a scambi concorrenziali (prodotti

agricoli, estrattivi, ecc), dall'altro ci sono beni i cui prezzi sono determinati in base al criterio del costo pieno (soprattutto prodotti industriali). Quindi i prodotti possono esser suddivisi in due categorie distinte a seconda del criterio che prevale nella determinazione dei loro prezzi. Però, se il meccanismo dei prezzi dell'economia nazionale si fonda su due criteri diversi, ciò non significa che questo duplice meccanismo corre semplicemente su due binari paralleli, da una parte i settori dove opera il criterio del costo pieno e dall'altra quelli che seguono la formula del mercato concorrenziale. Si tratta invece di una struttura a molti strati, uno sull'altro, come vedremo.

Una simile struttura non si sgretolerà tanto facilmente, nemmeno nel caso di un paese interamente industriale in cui, essendo scomparsi i settori agricolo ed estrattivo, i prezzi di tutti i prodotti sono decisi in base al criterio del costo pieno. Infatti, perché questo paese possa produrre, deve importare materie prime (prodotti agricoli ed estrattivi), i cui prezzi, sui mercati da cui sono spedite, sono decisi in base a scambi concorrenziali. Per stabilire i costi dei suoi prodotti industriali, il paese deve innanzitutto convertire i prezzi delle materie prime importate nella propria valuta al tasso di cambio corrente poi, al costo delle materie prime così calcolato, deve aggiungere salari, costi di lavorazione e di altro genere. Cioè, il criterio del costo pieno viene applicato andandosi ad aggiungere alla teoria del mercato concorrenziale, che prevale nelle aree produttrici di materie prime, e alla teoria del tasso di cambio, che controlla l'economia internazionale. E, per l'analisi finale dei costi, dobbiamo tornare a chiarire la struttura degli scambi concorrenziali delle aree produttrici di materie prime.

Il caso dei paesi produttori di materie primeAnalogamente, il meccanismo della fissazione dei prezzi di un paese produttore di materie

prime non dipende solo dal mercato concorrenziale, bensì anche dal criterio del costo pieno delle aree che importano le materie prime. E i prezzi delle materie prime fissati sul mercato concorrenziale dipendono dalla domanda (e dall'offerta) di materie prime, ma questa domanda dipende a sua volta dalla domanda dei prodotti industriali per cui occorrono quelle materie prime, quindi dal prezzo dei prodotti industriali. Se il prezzo delle materie prime aumenta, aumenteranno conseguentemente i costi, e quindi i prezzi, dei prodotti industriali e, come risultato, diminuirà la domanda dei prodotti industriali. Anche la domanda di materie prime diminuirà ma, siccome l'anello che collega i prezzi delle materie prime con la loro domanda è il criterio del costo pieno, il meccanismo concorrenziale dei paesi produttori solo di materie prime si baserà anche sul criterio del costo pieno dei paesi oltreoceano. Di conseguenza, esso poggia sulla determinazione dei cambi e sul criterio del costo pieno.

2 Interazione tra le domande e le offerte di un singolo mercato d'asta

Scambi concorrenziali paralleliDa queste considerazioni vedremo che è molto importante l'analisi del meccanismo del

mercato concorrenziale per l'economia — non solo dei paesi agricoli, e dei grossi paesi capitalistici

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con un settore agricolo proprio per il rifornimento delle materie prime, ma anche dei paesi «di medie dimensioni» che, essendo privi di risorse naturali e potendo quindi avere solo l'industria manifatturiera, sono ridotti interamente a economie fixprice. Un'adeguata analisi dei mercati è ancora indispensabile in questa fase delle economie fixprice, proprio come lo era quando tutti i settori dell'economia erano del tipo flE1price (1). Nonostante i cambiamenti intervenuti nelle economie nazionali, rimane importante a tutt'oggi sia analizzare come variano i prezzi passando da un bene all'altro del mercato, sia analizzare ulteriormente come le variazioni di prezzo si ripercuotono di mercato iti mercato influenzandosi reciprocamente. In questo senso l'essenza dell'analisi della teoria neoclassica del prezzo non è certamente antiquata.

Nei mercati (borse) organizzati in modo che vi si svolgano compravendite concorrenziali, di solito vengono scambiati solo i beni che appartengono più o meno alla stessa categoria. Non è possibile trattare cotone o azioni sul mercato dello zucchero. Comunque, lo zucchero è classificato secondo il tipo (in base a una caratteristica rappresentativa — per esempio il colore), in raffinato, grezzo, scuro, ecc. e il prezzo di ogni tipo è fissato su un suo mercato. Naturalmente, un particolare mercato (il mercato dello zucchero) è influenzato da eventi esterni al mercato e da altri mercati (il mercato del cotone e il mercato azionario). Tuttavia, nei paragrafi seguenti, separeremo un particolare mercato da tutti gli altri e lo considereremo isolatamente. Un'astrazione del genere distorce la realtà ma è la semplificazione più efficace per chiarire come opera il meccanismo dei prezzi all'interno di un particolare mercato.

Supponiamo che venga scambiato solo zucchero raffinato e grezzo sul mercato dello zucchero, che D1 e D2 siano le rispettive domande, O1 e O2 le offerte e p1 e p2 i prezzi (monetari). Diversamente dall'esempio del Capitolo 1 di compravendita di un solo tipo di riso sul mercato del riso, supponiamo ora che se ne scambino due tipi. La domanda di zucchero raffinato e quella di zucchero grezzo sono in concorrenza tra loro, e se quest'ultima aumenta, la prima può diminuire. Dato che la domanda di zucchero grezzo dipende dal suo prezzo, la domanda di zucchero raffinato dipenderà non solo dal proprio prezzo, ma anche da quello dello zucchero grezzo. Quando si analizza il processo di formazione dei prezzi sui mercati dove hanno luogo scambi competitivi di due (o più) tipi paralleli di prodotti, si devono spiegare le loro domande e le loro offerte, e per fare questo occorre sapere come sono correlate le domande (o le offerte) di questi prodotti.

Comunque, sui mercati reali, gli scambi concorrenziali di zucchero raffinato e di zucchero grezzo non avvengono per forza parallelamente. Un modo di procedere ampiamente diffuso nella maggior parte dei mercati è quello sequenziale, cioè un bene è scambiato dopo che sono completate le transazioni dell'altro (2). Ma, com'è naturale, in presenza di molti tipi di merci da scambiare non c'è abbastanza tempo per accettare in successione tutte le offerte, quindi i beni sono suddivisi in vari gruppi (gruppo 1, gruppo 2, ecc.) e scambiati su base competitiva all'interno dello stesso gruppo in una successione fissa, mentre le sedute di ciascun gruppo avvengono contemporaneamente e parallelamente. Abbiamo già esaminato nel capitolo precedente il caso di un mercato concorrenziale in cui è offerto un solo prodotto. Analizziamo ora il caso in cui sono offerti contemporaneamente due prodotti (zucchero raffinato e zucchero grezzo).

Beni sostitutivi e beni complementariBeni correlati tra loro sono classificati in beni sostitutivi e beni complementari. Come lo

zucchero raffinato e lo zucchero grezzo, i beni sostitutivi hanno quasi lo stesso uso, e il termine denota infatti prodotti che si possono sostituire l'uno con l'altro. I beni complementari, come il caffè e lo zucchero, sono quelli per cui, se ne viene usato o comprato uno, deve venire usato o comprato anche l'altro. Invece, i beni indipendenti sono quelli che non rientrano in nessuno di questi due gruppi, cioè i beni le cui domande non hanno nessuna influenza l'una sull'altra (3).

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Poiché su un mercato viene scambiato di solito più o meno lo stesso tipo di beni, ci sono solo rapporti sostitutivi all'interno dello stesso mercato e se ci fossero anche rapporti complementari sarebbe un fenomeno del tutto anormale. Infatti, rapporti complementari si stabiliscono tra mercati diversi (ad esempio tra il mercato dello zucchero e il mercato del caffè) (4). Siccome poi le informazioni tra i diversi mercati non fluiscono tanto rapidamente e accuratamente come invece al loro interno, la domanda e l'offerta nell'ambito di uno stesso mercato ignora spesso eventi accaduti in altri mercati o reagisce solo lentamente. In casi estremi dove sono interrotti i collegamenti telefonici e ogni mercato diventa così un compartimento isolato, in termini di mercato il caffè e lo zucchero diventeranno beni indipendenti anche se sono complementari nel loro impiego. (Analogamente, un bene che è un sostituto di un altro sulla base dell'uso — per esempio, lo zucchero scuro — diventerà un bene indipendente se è scambiato su mercati separati e, in particolare, se sono interrotte le comunicazioni tra i mercati. Così la sostituibilità e la complementarità sulla base dell'uso sono condizioni necessarie ma non sufficienti per la sostituibilità e la complementarità sul mercato. Infatti, perché coincidano sia le qualità d'uso che le qualità di mercato, deve essere soddisfatta anche la condizione che ci sia un «flusso scorrevole e rapido delle informazioni».) Come si collega allora la domanda dei due tipi di zucchero, grezzo e raffinato? Tanto per cominciare, (i) se il prezzo dello zucchero raffinato p1 aumenta, la sua domanda D1 diminuirà, e la domanda di zucchero grezzo D2 aumenterà. (Cioè, ci sarà una sostituzione di zucchero raffinato con zucchero grezzo.) (ii) Se, al contrario, è il prezzo dello zucchero grezzo p2 ad aumentare, si avrà una sostituzione a favore dello zucchero raffinato, D2 diminuirà e D1 aumenterà. Ma non è tutto. Se p1 e p2 aumentano in eguale proporzione, i prezzi relativi non varieranno, e dal momento che nessuno dei due tipi di zucchero risulterà in paragone più costoso dell'altro, non ci sarà nessuna sostituzione. Nondimeno, poiché lo zucchero raffinato risulterà più costoso in paragone a prodotti diversi dallo zucchero grezzo, la gente probabilmente risparmierà sullo zucchero raffinato, la cui domanda pertanto diminuirà. Cioè, (iii) un aumento proporzionale dei prezzi p1 e p2 farà diminuire D1 Analogamente, determinerà una contrazione di D2.

L'offerta diminuirà in questo modo. I rifornitori di zucchero offriranno parte delle quantità X1

e X2 disponibili, e tratterranno le rimanenti X1 e X2 per transazioni future o uso familiare. Il volume che immagazzinano per l'offerta futura e il volume che offrono ora sarà influenzato dalle variazioni attese del prezzo dello zucchero e dalla produzione programmata per il futuro. Qui supporremo però che non siano attese variazioni di prezzo (o che non ce ne siano perlomeno mentre hanno luogo gli scambi). In tal caso è probabile che l'offerta vari come segue. (Nota che Oi = Xi - Xi, i = 1, 2.)

(i') Se aumenta il prezzo p1 dello zucchero raffinato, aumenterà anche la propensione a vendere subito piuttosto che in futuro. I rifornitori si precipiteranno a vendere anche la quantità immagazzinata per vendite future, quindi O1 aumenterà. Di conseguenza, ritrovandosi con un certo ammontare in meno della quantità Xl di zucchero raffinato, cercheranno di rifarsi aumentando di questo ammontare la quantità X2 di zucchero grezzo che trattengono. Quindi la quantità offerta O2 di zucchero grezzo diminuirà dello stesso ammontare. Analogamente, (ii') se aumenta il prezzo p2 dello zucchero grezzo, O2 aumenterà e O1 diminuirà. Inoltre, (iii') se p1 e p2 aumentano in eguail misura, O1 sarà indirettamente influenzata da p2 e O2 da p1, ma questi effetti indiretti saranno troppo deboli per annullare gli effetti diretti della variazione dei rispettivi prezzi, p1 e p2 rispettivamente, quindi un aumento proporzionale dei prezzi farà aumentare O1 e O2.

Se chiamiamo E l'eccesso di domanda che si ottiene sottraendo la quantità offerta dalla quantità domandata, allora E1=D1 — O1, ed E2=D2 — O2. Da (i)-(iii) e (i')-(iii') possiamo dedurre che il volume dell'eccesso di domanda fluttuerà nel modo seguente. (a) Se p1 aumenta, D1 decrescerà e O1 aumenterà, quindi E1 si abbasserà. E2 d'altro lato aumenterà poiché D2 aumenterà e

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O2 si contrarrà. Analogamente, (b) se p2 cresce, E2 si abbasserà ed E1 crescerà. (c) Se p1 e p2 aumentano in proporzione, D1 e D2 diminuiranno e O1 e O2 aumenteranno, pertanto E1 ed E2 si contrarranno entrambe. Le relazioni (a)-(c) sono mostrate nella tabella 5. ! è un parametro che indica i cambiamenti proporzionali di p1 e p2. Cioè, se ! aumenta, aumenteranno entrambi i prezzi in proporzione, e se diminuisce, diminuiranno entrambi in proporzione.

3 Le ripercussioni sui beni sostitutivi delle variazioni di prezzo

L'equilibrio generale all'interno di un mercato

Tabella 5.Tabella 5.Tabella 5.Tabella 5.

Aumento diEffetto su

p1 p2 !

E1 - + -

E2 + - -

A che prezzo di equilibrio si stabilizzano gli scambi concorrenziali quando l'eccesso di domanda di due beni varia come nella tabella 5? E come variano i prezzi di equilibrio se si aggiungono domande fresche (diciamo ordini in bianco) col procedere degli scambi? Questi problemi saranno trattati nei paragrafi seguenti, e poiché non hanno significato se non esiste un prezzo di equilibrio, data una tabella di eccessi di domanda, noi supporremo che i prezzi, e gli eccessi di domanda, varino in modo regolare durante gli scambi per garantire l'esistenza di prezzi di equilibrio. Come abbiamo visto nel Capitolo 1, in un mercato concorrenziale reale, i prezzi, come gli eccessi di domanda, variano in modo discontinuo di frazioni di unità diverse. Quindi è possibile che a un dato prezzo si manifesti un eccesso di domanda, e al valore successivo più alto del prezzo si abbia invece un eccesso di offerta. Se il prezzo sale in seguito a un eccesso di domanda, si avrà un eccesso di offerta, e quando il prezzo sarà diminuito, si avrà un eccesso di domanda e il prezzo salirà di nuovo. Si verificherà la cosiddetta condizione di prezzo «non-quotabile», dove il prezzo oscilla in basso e in alto senza mai raggiungere un equilibrio. Per evitare questa situazione determinata da variazioni di prezzo discontinue, assumiamo che i prezzi cambino in modo continuo e che entrambe le funzioni di eccesso di domanda E1 = E1(p1, p2) ed E2 = E2(p1, p2) siano funzioni continue dei prezzi.

Innanzitutto, per poter confermare l'esistenza dell'equilibrio, tracciamo due assi che rappresentino i prezzi p1 e p2, e troviamo i punti dove la domanda e l'offerta coincidono (cioè dove l'eccesso di domanda è pari a 0). Tuttavia, anche se sono uguali la domanda e l'offerta di zucchero raffinato, non lo sono necessariamente la domanda e l'offerta di zucchero grezzo. Quindi i punti dove E1(p1, p2)=0 sono solo equilibri parziali (dove cioè si è raggiunto l'equilibrio per lo zucchero raffinato), non rappresentano necessariamente il punto di equilibrio della domanda e dell'offerta di entrambi i tipi di zucchero. Va da sé che l'equilibrio generale si trova dove «la serie dei punti di equilibrio parziale dello zucchero raffinato» e «la serie dei punti di equilibrio parziale dello zucchero grezzo» coincidono, cioè al punto che appartiene a entrambe le serie. Come vedremo, dato che possiamo esprimere graficamente queste due serie con due curve di equilibrio parziale, una relativa allo zucchero raffinato e una relativa allo zucchero grezzo, l'intersezione di queste due curve di equilibrio parziale darà il punto di equilibrio generale (5).

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Curve di equilibrio parzialeQueste curve possono essere derivate nel modo seguente. Per cominciare, se fissiamo il

prezzo dello zucchero grezzo a un valore fisso arbitrario (per esempio p*2 ), l'eccesso di domanda di zucchero raffinato E1 (p1, p*2) dipenderà solo dal suo prezzo p1. Se p1 è uguale a 0, cioè lo zucchero raffinato è gratis, ci sarà un eccesso di domanda (cioè E1 sarà positivo). Tuttavia, dato che El diminuirà all'aumentare di p1 quando p1 assume un valore alto, ad esempio se raggiunge p*1, E1 può eguagliare 0 e, se p1 aumenta ancor di più, diventerà negativo. Ora, a p'l, sia E1 negativo: E1(p’1, p*2) < 0. Fissare p1 a p’1 e aggiustare p2, così che E1 sia ancora pari a 0, significa dover aumentare p2. La ragione è che, come indica la tabella 5, se p2 aumenta, E1 aumenterà. Così E1 comincia ad aumentare partendo da un valore negativo, e a p'2 sarà ancora pari a 0: El(p'1,p'2) = 0.

Chiaramente il punto a' = (p'1, p'2) sarà sopra e alla destra del punto a* = (p*1, p*2). Dato che a entrambi i punti a* e a', E1 è 0, questi punti sono entrambi punti di equilibrio parziale dello zucchero raffinato. La curva E1=0 della figura 2 è il luogo di tali punti. Come mostra la figura, si tratta di una curva ascendente verso destra, e alla sua sinistra l'eccesso di domanda dello zucchero raffinata è positivo e alla sua destra è negativo.

La curva di equilibrio parziale è quella che si ottiene congiungendo i punti di equilibrio parziale. Congiungiamo ora un punto p sulla curva con l'origine degli assi, ottenendo così la retta dei prezzi, che chiameremo p0. La sua pendenza indica il rapporto tra il prezzo dello zucchero grezzo e quello dello zucchero raffinato (cioè, il prezzo relativo). La curva di equilibrio parziale dello zucchero raffinato è ascendente verso destra. E si possono avere due casi. Nel primo (fig. 3a), la curva interseca la retta dei prezzi dall'alto, nel secondo (fig. 3b), dal basso. Tuttavia, il primo caso non può verificarsi perché abbiamo supposto che un aumento proporzionale di entrambi i prezzi faccia ridurre l'eccesso di domanda di zucchero raffinato. Quindi la curva di equilibrio parziale prenderà necessariamente la forma rappresentata nella figura 3b.

Questo può essere dimostrato facilmente. Nella figura 3a, se estendiamo la retta dei prezzi p0 per esempio fino a p"0, avremo

al punto p, E1 (p1, p2) = 0 (1)al punto p", El (p’’1, p’’2) >0 (2)

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Si ottiene l'espressione (2) perché nella figura 3a, il punto p" è alla sinistra della curva E1 = 0 dove E1 è sempre positivo. Tuttavia, la (2) contraddice la tabella 5. Dato che l'ultima colonna della tabella indica che E1 deve diminuire se i prezzi aumentano in proporzione, quando il prezzo passa da p a p", E1 diminuirà, scendendo da 0 a un valore negativo, e al punto p" dovremmo avere

E1 (p’’1, p’’2) <0 (3)

Chiaramente la (3) contraddice la (2) o figura 3a, quindi la figura 3b è il grafico corretto.

Esistenza e stabilità dell'equilibrio generaleSi può tracciare nello stesso modo la curva di equilibrio parziale dello zucchero grezzo. Tale

curva ha lo stesso andamento verso destra e verso l'alto, e interseca la retta del prezzo dal basso se vista dall'asse p2 (vista dall'asse p1, interseca la retta del prezzo dall'alto). Possiamo ottenere la figura 4 tracciando sullo stesso piano le curve di equilibrio parziale dello zucchero raffinato e dello zucchero grezzo. Al punto dove le due curve si intersecano, p°, si ha l'equilibrio generale perché qui sia E1 che E2 sono contemporaneamente pari a 0.

Queste due curve dividono il piano in quattro aree. Per ciascuna curva, sul lato più vicino all'origine l'eccesso di domanda del bene corrispondente è positivo, e sul lato più lontano dall'origine è negativo. Quindi, nella figura 4, E1>0, E2<0 nell'area (a), E1>0, E2>0 nell'area (b), E1< 0, E2>0 nell'area (e) ed E1< 0, E2<0 nell'area (d).

In mercati ben organizzati i prezzi si aggiustano in base al rapporto tra la domanda e l'offerta. Cioè, gli scambi su un mercato concorrenziale seguono là regola che il prezzo di un prodòtto aumenta se la domanda eccede l'offerta (eccesso di domanda positivo), e cala nel caso opposto. Di conseguenza, p1 aumenterà e p2 diminuirà in (a). Quindi, in quest'area la freccetta che indica la direzione della variazione del prezzo sarà rivolta in basso verso destra; punterà in alto verso destra nell'area (b), in alto verso sinistra in (e), e in basso verso sinistra in (d). Al limite tra (a) e (b) p2

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rimarrà invariato, mentre p1 aumenterà, quindi le freccette saranno in posizione orizzontale rivolte verso destra. Per la stessa ragione, saranno in posizione orizzontale rivolte a sinistra al limite tra (c) e (d), punteranno dritto verso l'alto al limite tra (b) e (e), e dritto verso il basso al limite tra (a) e (d). In questo modo otteniamo la disposizione grafica delle freccette della figura 5(6). Possiamo paragonare questa figura con una carta nautica che mostri il flusso delle correnti oceaniche. In qualunque punto dell'oceano galleggino dei detriti, alla fine andranno verso il punto di equilibrio generale p°, ammesso che esistano nell'oceano correnti del genere. Cioè, gli scambi del mercato concorrenziale raggiungeranno p° poi cesseranno.

Le leggi dei prezzi di HicksVediamo infine come viene influenzato il punto di equilibrio generale quando si aggiungono

altri ordini in bianco di un dato bene, per esempio zucchero raffinato. Dato che sarà acquistata una certa quantità di zucchero raffinato - per esempio 100 unità - qualunque sia il prezzo, i punti originali dove E1= -100 diventeranno i nuovi punti di equilibrio parziale (cioè i punti dove E1+100=0). Dato che la curva del nuovo equilibrio parziale dello zucchero raffinato deve essere all'interno delle aree (c) e (d) dove l'eccesso di domanda era originariamente negativo, la curva di equilibrio parziale si sposterà verso destra come nella figura 6. ΔE1 in questa figura indica la quantità addizionale di ordini in bianco di zucchero raffinato.

Nella figura 6, p° è il vecchio punto di equilibrio generale e p' quello nuovo. Paragonando i due punti di equilibrio, possiamo ottenere le tre leggi seguenti: (i) il prezzo dello zucchero raffinato aumenterà (cioè p1

1 > p10 ); (ii) anche il prezzo dello zucchero grezzo aumenterà (cioè p2

1 > p20 ); e

(iii) il tasso d'aumento del prezzo dello zucchero grezzo sarà minore di quello dello zucchero

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raffinato (cioè p11 / p1

0 > p21 / p2

0 ) Le leggi (i ) e (ii) si spiegano da sole nella figura 6, ma per ottenere (iii) dovremo congiungere p° e p' rispettivamente all'origine O e paragonare le due rette dei prezzi. Le pendenze di queste rette mostrano rispettivamente p2

0 / p10

e p21 / p1

1 , e la figura indica che p20 / p1

0 > p21 / p1

1 . Quindi, come la (iii) afferma, si deve avere p11 / p1

0 > p21 / p2

0 .

Questo discorso si basa sulla premessa che ci siano due tipi di beni, ma questa premessa non è indispensabile per arrivare a tali conclusioni. Cioè, se un mercato è suddiviso in molti settori che trattano un bene ciascuno, quindi nel mercato complessivo sono scambiati contemporaneamente e parallelamente molti beni, si può arrivare alle stesse conclusioni a prescindere dal numero dei beni, purché l'eccesso di domanda dipenda dai prezzi, come indicato nella tabella 5(7). Innanzitutto, l'equilibrio generale è per forza stabile (cioè, le variazioni dei prezzi dovute all'eccesso di domanda alla fine porteranno il mercato a uno stato di equilibrio generale). In secondo luogo, se aumenta l'eccesso di domanda di un bene (i) il prezzo di quel bene aumenterà, (ii) anche i prezzi di tutti gli altri beni aumenteranno, ma (iii) il loro tasso di aumento non sarà alto come quello del prezzo del bene la cui domanda è aumentata. Queste tre leggi sulle variazioni dei prezzi sono dette leggi di Hicks, dal nome di chi le ha formulate, e sono le leggi fondamentali che regolano il meccanismo dei prezzi sui mercati concorrenziali.

Da una seduta all'altraSupponiamo che, nel nostro mercato, dopo la conclusione della seduta di compravendita dello

zucchero raffinato e dello zucchero grezzo siano scambiati lo zucchero cristallino e lo zucchero scuro. Consideriamo lo zucchero cristallino il terzo bene e quello scuro il quarto, e siano le domande, le offerte e i prezzi rispettivi D3, O3, p3 e D4, O4, p4. Poiché si tratta di prodotti sostitutivi,

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vale il discorso fatto per lo zucchero raffinato e lo zucchero grezzo.Un equilibrio che eguagli la domanda e l'offerta di entrambi i tipi di zucchero è possibile, e si

tratterà di un equilibrio stabile. Cioè, a qualunque prezzo comincino le trattative, si arriverà prima o poi a un prezzo di equilibrio generale, e gli scambi si concluderanno a quel punto. Questo se il banditore aggiusterà i prezzi secondo le regole (cioè seguendo la formula in base alla quale si alzano i prezzi se c'è un eccesso di domanda di quel prodotto, e si abbassano se c'è invece un eccesso di offerta). Rimangono valide anche le leggi di Hicks. Cioè, se aumenta la domanda o di zucchero cristallino o di zucchero scuro, non solo aumenteranno i prezzi di entrambi, ma il tasso d'aumento del tipo di zucchero la cui domanda è aumentata (diciamo lo zucchero cristallino) sarà maggiore del tasso d'aumento dell'altro tipo (lo zucchero scuro).

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che, oltre à questo, si avranno anche le seguenti ripercussioni di prezzo. L'aumento della domanda di zucchero raffinato (o grezzo) influenzerà i prezzi dello zucchero cristallino e dello zucchero scuro. Questi ultimi non solo sono reciprocamente sostituibili nella seduta in corso, ma possono anche sostituire i primi due tipi di zucchero (raffinato e grezzo), la cui seduta è già terminata. Se aumenta la domanda di zucchero raffinato, aumenteranno i prezzi sia dello zucchero raffinato che di quello grezzo (secondo le leggi di Hicks). Quindi, a causa della sostituibilità di questi due tipi di zucchero con lo zucchero cristallino o con lo zucchero scuro, la domanda si sposterà dai tipi raffinato e grezzo a quelli cristallino e scuro, e la domanda di questi ultimi due aumenterà. Di conseguenza, aumenteranno anche i loro prezzi. (Nella figura 7, E3 ed E4 sono le curve di equilibrio parziale dello zucchero cristallino e dello zucchero scuro se la domanda di zucchero raffinato non è in aumento, se invece lo è, le loro curve di equilibrio parziale saranno E'3 ed E’4. Il nuovo punto di equilibrio generale è situato in alto a destra di quello vecchio, quindi aumenteranno entrambi i prezzi dello zucchero cristallino e scuro). Così, gli effetti di un aumento della domanda di zucchero raffinato continueranno a farsi sentire sul mercato anche dopo che sono terminate le contrattazioni dello zucchero raffinato. Cioè, un aumento della domanda di un bene forzerà al rialzo non solo il prezzo di quel bene e di tutti gli altri scambiati in sedute simultanee, ma anche i prezzi di tutti i beni scambiati in sedute successive su quel mercato.

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Qual è allora il rapporto tra il tasso d'aumento del prezzo dello zucchero cristallino o dello zucchero scuro e quello del prezzo dello zucchero raffinato, epicentro di queste variazioni di prezzo? Supponiamo, per poter paragonare i tassi d'aumento dei prezzi, che gli eccessi di domanda di zucchero cristallino e di zucchero scuro varino come nella tabella 5'. In questa tabella β è il parametro che mostra variazioni non solo di p3, p4, ma anche di p1 e p2. Vale a dire, se β aumenta, p1, p2, p3, p4 aumenteranno tutti in modo proporzionale, e se β diminuisce, diminuiranno tutti in modo proporzionale. Se questi quattro prezzi variano in proporzione, non si avrà nessuna sostituzione tra i quattro tipi di zucchero perché il prezzo di ciascuno non sarà in paragone più basso o più alto degli altri. Ma poiché questi tipi di zucchero saranno più o meno cari in paragone ad altri beni, ne risentirà probabilmente l'eccesso di domanda di zucchero cristallino e di zucchero scuro. Questo è indicato dall'ultima colonna della tabella 5': se i quattro prezzi aumentano in proporzione, sia lo zucchero cristallino che quello scuro saranno più costosi in paragone a beni diversi dai quattro tipi di zucchero, di conseguenza diminuirà il loro eccesso di domanda E3, E4.

Tabella 5ʼ.Tabella 5ʼ.Tabella 5ʼ.Tabella 5ʼ.

Aumento diEffetto su

p1 p2 β

E1 - + -

E2 + - -

Date queste interrelazioni tra gli eccessi di domanda, si può dimostrare la validità della terza legge di Hicks per lo zucchero cristallino e per lo zucchero scuro. Un aumento della domanda di zucchero raffinato determina un aumento del prezzo sia dello zucchero cristallino che di quello scuro a tassi inferiori del tasso d'aumento del prezzo dello zucchero raffinato. (Comunque, qui non ci interessa la prova di questa asserzione, che lasciamo al lettore.) Si può anche dimostrare che, se le contrattazioni dello zucchero cristallino e scuro hanno luogo dopo la chiusura della seduta per i tipi raffinato e grezzo, un aumento della domanda di zucchero raffinato farà salire il prezzo sia dello zucchero cristallino che di quello scuro di meno di quanto non lo farebbe salire se i quattro tipi fossero scambiati contemporaneamente.

4 Le ripercussioni delle variazioni di prezzo in mercati diversi

Arbitraggio e livellamento dei prezziCome abbiamo visto, un aumento della domanda di zucchero raffinato determina un aumento

non solo del prezzo dello zucchero grezzo che è scambiato contemporaneamente, ma anche, dopo la conclusione della compravendita di zucchero raffinato, dei prezzi degli altri tipi di zucchero scambiati su quel mercato (cristallino, scuro, ecc). Così, tra beni scambiati sullo stesso mercato, tende a prevalere una relazione «co-variazionale» tra i prezzi. Vale a dire, tutti i prezzi che si determinano su un singolo mercato tendono a fluttuare nella stessa direzione, aumentando o diminuendo tutti insieme.

Quali sono allora le ripercussioni delle variazioni di prezzo in mercati diversi? Nell'economia reale ci sono molti mercati (zucchero, caffè, cacao, seta, cotone, lana, ecc.) e, per ciascun prodotto, in ogni economia, ci può essere più di un mercato (come il Tokyo Sugar Exchange, l'Osaka Sugar

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Exchange, ecc). Nell'analisi appena esposta sugli effetti di prezzo all'interno di uno stesso mercato, avevamo implicitamente supposto che il mercato fosse isolato dal mondo esterno e si trasformasse in una camera segreta; non esisteva cioè nessun flusso di informazioni tra i vari mercati e ogni mercato non veniva a conoscenza degli eventi passati e presenti di un altro. Ma nella realtà le comunicazioni tra i mercati sono molto frequenti. Gli operatori sono continuamente bombardati per telefono da informazioni provenienti da ogni direzione, quindi le ripercussioni di prezzo non rimangono confinate a un singolo mercato. Se la trasmissione delle informazioni è immediata, è improbabile che ci siano discrepanze negli scambi che avvengono contemporaneamente, siano o no all'interno di uno stesso mercato. Supponendo allora che la trasmissione delle informazioni sia perfetta (cioè rapida, accurata e senza costi), esaminiamo che tipi di ripercussioni di prezzo si avranno tra beni che vengono scambiati nello stesso momento su mercati diversi.

Consideriamo innanzitutto il caso in cui siano scambiati contemporaneamente gli stessi prodotti, anche se di tipo diverso (ad esempio zucchero raffinato e zucchero grezzo sui mercati di Tokyo e Osaka). Come abbiamo già visto, se la domanda di zucchero raffinato aumenta al Tokyo Exchange, aumenteranno a Tokyo i prezzi sia dello zucchero raffinato che dello zucchero grezzo. Ma i prezzi rimarranno immutati a Osaka se l'informazione non viene trasmessa in questa città. Tuttavia, se la trasmissione delle informazioni tra i due mercati è perfetta e i prezzi di Tokyo sono comunicati minuto per minuto a Osaka e viceversa, si avrà un ampio flusso di domande e offerte tra le due città.

Cioè, se si viene a sapere che il prezzo dello zucchero raffinato è più alto a Tokyo che a Osaka, i fornitori di Osaka non venderanno a Osaka bensì cercheranno di vendere a Tokyo, e i compratori di Tokyo probabilmente smetteranno di acquistare a Tokyo e si riverseranno su Osaka. (Supponiamo che si possano ignorare i costi di trasporto dello zucchero tra una città e l'altra.) Questo non è tutto però. Ci saranno operazioni di arbitraggio — cioè transazioni il cui profitto deriva dal margine tra un acquisto a basso prezzo a Osaka e una rivendita ad alto prezzo a Tokyo (8). Così, quando l'offerta di Osaka si riversa su Tokyo e la domanda di Tokyo su Osaka, ci sarà un eccesso di offerta a Tokyo e un eccesso di domanda a Osaka, il prezzo diminuirà a Tokyo e aumenterà a Osaka.

Se, come risultato di queste fluttuazioni, il prezzo dello zucchero raffinato diventa più alto a Osaka che a Tokyo, il flusso dell'offerta e della domanda cambierà direzione. L'offerta aumenterà a Osaka e la domanda a Tokyo; il prezzo calerà a Osaka e aumenterà a Tokyo. Queste fluttuazioni continueranno finché i prezzi di Osaka p Tokyo non saranno livellati. Cioè, se a Osaka si possono ottenere, senza costi, informazioni da Tokyo (o viceversa) e se i costi di trasporto dello zucchero tra le due città sono nulli, i prezzi nelle due città saranno esattamente gli stessi. Si determineranno così prezzi unificati a livello nazionale, e tali prezzi prevarranno, fino a un certo punto, anche fuori mercato. È senza dubbio vero che il flusso delle informazioni tra un mercato e l'esterno non è così frequente e rapido come tra un mercato e l'altro. Comunque, chi effettua transazioni in quantità notevoli, anche se si trova all'esterno del mercato dovrà tenere in considerazione i prezzi di mercato. Così, se i prezzi di mercato sono più bassi che al suo esterno, gli acquirenti all'esterno invece di comprare qui lo zucchero, cercheranno di comprarlo sul mercato. E se i prezzi di mercato sono più alti, i fornitori all'esterno cercheranno di vendere sul mercato. Quindi, il prezzo determinato sul mercato non solo sarà vincolante per gli scambi al suo interno, ma regolerà anche gli scambi su vasta scala al suo esterno.

Se questi prezzi hanno un potere di controllo così vasto, è il risultato del fatto che oggigiorno costa meno trasportare merci e raccogliere informazioni. Prima del XIX secolo, lo scambio delle informazioni era limitato e i mezzi di trasporto su vasta scala erano poco sviluppati. I mercati situati in aree diverse non si interessavano molto l'uno dell'altro perché erano troppo alti i costi di raccolta

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delle informazioni. Anche se i commercianti avessero pagato moltissimo per avere informazioni e fossero venuti a conoscenza delle differenze tra i prezzi, i costi di trasporto erano comunque troppo alti per permettere loro di realizzare un profitto da questi prezzi differenziati. I mercati regionali erano dunque isolati. Tuttavia, nel XX secolo, particolarmente dopo la Seconda guerra mondiale, la tecnologia ha fatto notevoli progressi nel campo delle comunicazioni e dei trasporti. Si è sviluppato e diffuso l'uso del telegramma, del telefono, della radio, della televisione e del computer e si è reso possibile l'accesso all'informazione a bassi costi. Sono state costruite autostrade, è stato migliorato enormemente il trasporto su strada e si è diffuso l'impiego dei camion. L'area di circolazione delle merci si è allargata a livello nazionale e mondiale. Di conseguenza, i prezzi sono uniformati non solo su scala nazionale ma anche internazionale.

Effetti su mercati di beni sostitutiviVediamo adesso che effetti ha un aumento della domanda sul mercato di un certo bene (per

esempio il caffè), su un altro mercato dove si smerciano suoi prodotti sostitutivi (per esempio il cacao). Se il flusso delle informazioni tra i due mercati è rapido e accurato come al loro interno, anche se il mercato del caffè e quello del cacao sono organizzazioni indipendenti, entrambi i beni saranno scambiati come se ci fosse un unico, ipotetico «mercato del caffè e del cacao» composito (9). Tutti i tipi di caffè e di cacao saranno scambiati su questo «mercato composito» e saranno reciprocamente sostituibili. Quindi l'analisi del paragrafo 3 del capitolo si applica anche a questo mercato composito. Cioè, se la domanda di caffè brasiliano aumenta, aumenterà il suo prezzo (prima legge di Hicks). Al tempo stesso aumenteranno anche i prezzi degli altri tipi di caffè, come pure il prezzo del cacao (seconda legge). Inoltre, il tasso d'aumento di questi prezzi non sarà grande come quello del prezzo del caffè brasiliano (terza legge).

Effetti su mercati di beni complementariSe il flusso delle informazioni tra due mercati di beni complementari (per esempio, caffè e

zucchero), è perfettamente scorrevole, i mercati possono essere considerati due settori di uno stesso mercato composito, come nel caso dei prodotti sostitutivi, caffè e cacao. Anche se questi due mercati sono indipendenti dal punto di vista organizzativo, sono però integrati dal punto di vista funzionale. Normalmente, in uno stesso mercato sono smerciati beni simili, quindi tutti i beni sono sostituti l'uno dell'altro. Esistono però anche dei mercati in cui sono scambiati beni complementari, come il New York Coffee and Sugar Exchange. Quindi, se continuiamo la nostra analisi di un immaginario mercato composito di caffè e zucchero, non dovrebbe esserci mossa l'accusa che ci scostiamo del tutto dalla realtà.

Sia adesso il caffè il bene 1 e lo zucchero il bene 2, i loro eccessi di domanda E1, E2 e i loro prezzi p1 p2 rispettivamente. Se p1 aumenta, la domanda di caffè diminuirà (l'offerta aumenterà) e poiché la domanda di zucchero, suo complementare, probabilmente diminuirà come conseguenza, si può assumere che l'aumento di p1 determinerà una riduzione di E1 e E2. Con p1 sull'asse orizzontale e p2 sull'asse verticale, possiamo tracciare le curve di equilibrio parziale del caffè e dello zucchero.

Queste curve avranno un andamento decrescente verso destra come nella figura 8. Se ci spostiamo orizzontalmente verso destra dal punto a sulla curva di equilibrio parziale del

caffè, raggiungendo per esempio il punto b, il valore dell'eccesso di domanda del caffè sarà negativo perché il prezzo del caffè è in aumento. Per farlo tornare a zero dobbiamo spostarci perpendicolarmente verso il basso dal punto b al punto c, per esempio. Questo perché l'eccesso di domanda di caffè aumenterà se diminuisce il prezzo dello zucchero. (In base allo stesso ragionamento anche la curva di equilibrio parziale dello zucchero sarà decrescente verso destra.)

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Se tracciamo le due curve di equilibrio parziale nella stessa figura, otteniamo la figura 9, ma

la curva di equilibrio parziale del caffè non è necessariamente la più ripida, come nella figura, lo può essere invece quella dello zucchero, come nella figura 10. Ciascuna curva di equilibrio parziale divide la superficie in due. Sul lato più vicino all'origine l'eccesso di domanda è positivo, mentre sul lato più lontano è negativo. In base alle leggi di mercato, se l'eccesso di domanda di un bene è positivo, il suo prezzo aumenta, se è negativo il suo prezzo cala. Quindi possiamo tracciare delle freccette che indicano la direzione delle fluttuazioni dei prezzi, date le curve di equilibrio parziale. Se congiungiamo queste freccette possiamo ottenere un flussoschema delle variazioni dei prezzi.

Come è facile vedere, se la pendenza della curva di equilibrio parziale del caffè (bene 1) è più ripida di quella della curva di equilibrio parziale dello zucchero (bene 2) (fig. 11), il flusso sarà diretto verso l'intersezione delle curve (con il prezzo di equilibrio generale a p°) e p° sarà stabile.

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Però, se le pendenze delle curve sono nella relazione inversa (fig. 12), i prezzi saranno spinti in definitiva lontano da p°, a meno che non oscillino lungo una delle due correnti speciali (a o a'). Vale a dire, p° è instabile (più precisamente, è un punto di sella). Se l'equilibrio generale è instabile, non sarà possibile stabilire prezzi di equilibrio generale sul mercato concorrenziale a meno che, per un caso molto fortuito, i prezzi non siano stati fissati all'inizio su un punto lungo a o a'. I prezzi non

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raggiungeranno mai il punto di equilibrio generale e continueranno a fluttuare senza sosta, e alla fine si dovrà dichiarare la sospensione degli scambi e quindi della seduta. Perciò, anche se, nei paragrafi seguenti, supporremo che l'equilibrio sia sempre stabile, dovremo tenere a mente che, come nella figura 12, i beni complementari possono essere causa di instabilità.

Se la domanda di caffè aumenta, la sua curva di equilibrio parziale si sposterà verso destra. Dato che assumiamo che l'equilibrio sia stabile, la pendenza della curva di equilibrio parziale del caffè sarà più ripida di quella dello zucchero. Quindi, come mostra la figura 13, il nuovo prezzo di equilibrio generale p', dopò un aumento della domanda, si troverà sotto e a destra di p° che era il prezzo prima dell'aumento. Vale a dire, l'aumento della domanda di caffè farà aumentare il prezzo del caffè e spingerà al ribasso il prezzo del suo complementare, lo zucchero.

Beni sostitutivi di beni complementari sono complementariSi avranno questi risultati quanti siano i tipi di beni scambiati sui due mercati. Per esempio, se

si offrono sul mercato del caffè le qualità Arabica e Robusta, e sul mercato dello zucchero i tipi raffinato, grezzo e scuro, un aumento della domanda del caffé Arabica forzerà al rialzo i prezzi di entrambe le qualità Arabica e Robusta, e forzerà al ribasso i prezzi dello zucchero raffinato, grezzo e scuro (ammesso che l'equilibrio generale del caffè e dello zucchero sia stabile).

Questo caso può essere ampliato per includere più di due mercati. Supponiamo che ci siano quattro mercati, del caffè, del cacao, dello zucchero e del miele, e che la circolazione delle informazioni tra di loro sia rapida e accurata. Con un tale sistema di perfetta trasmissione delle informazioni non c'è bisogno di considerare i mercati come organizzazioni funzionalmente indipendenti, e possiamo continuare la nostra analisi come se si trattasse di un mercato composito del caffè e del cacao e di un mercato composito dello zucchero e del miele. Solo beni sostitutivi sono scambiati sui rispettivi mercati compositi, e il rapporto tra i due mercati è di complementarità. Cioè, la relazione tra un bene del mercato integrato del caffè e del cacao (come la qualità di caffè

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Arabica) e un bene del mercato integrato dello zucchero e del miele (come lo zucchero raffinato) è di tipo complementare; ma è complementare anche la relazione tra lo zucchero raffinato e qualunque altro bene del mercato del caffè e del cacao che sia un sostituto del caffè Arabica (come il cacao). Vale a dire, un sostituto del caffè Arabica è complementare dello zucchero raffinato che è complementare del caffè Arabica. Analogamente, un prodotto complementare (caffè Arabica) dello zucchero raffinato che è un sostituto del miele, è un prodotto complementare anche del miele.

La rete di transazioni che collega il mercato composito del caffè e del cacao con il mercato composito dello zucchero e del miele soddisfa in questo modo la legge che sostiene che sostituti di beni complementari sono complementari, e beni complementari di sostituti sono complementari (10). Finché queste relazioni sono soddisfatte, i rapporti tra i due mercati integrati non si differenziano dai rapporti tra il mercato singolo del caffè e il mercato singolo dello zucchero. Cioè, un aumento della domanda della varietà di caffè Arabica forza al rialzo i prezzi di tutti i tipi di caffè e cacao, e al ribasso i prezzi dello zucchero e del miele. La legge in base alla quale i prezzi di beni sostitutivi si muovono nella stessa direzione e i prezzi di beni complementari in direzioni opposte, è valida non solo nell'ambito di uno stesso mercato, ma anche nei rapporti tra un mercato e l'altro, se c'è una perfetta circolazione delle informazioni e stabilità dell'equilibrio generale dei prodotti in considerazione, in questo caso caffè, cacao, zucchero e miele.

5 I mercati a termine

Acquisti fittizi e speculazioneAbbiamo finora implicitamente supposto che le transazioni riguardino beni effettivi, cioè che,

entre breve tempo dopo la conclusione delle contrattazioni, per esempio cinque giorni, le transazioni siano effettivamente eseguite. Cioè, il venditore dovrà essere veramente in possesso delle merci e il compratore avere sufficiente denaro per pagarle. Oppure il venditore dovrà affrettarsi a fare i passi necessari per consegnare le merci, e il compratore per trovare il denaro. Altrimenti la transazione andrà a monte per inadempienza e l'inadempiente sarà obbligato a sostenere sanzioni onerose.

Tuttavia, nei mercati reali, avvengono transazioni a termine oltre che a pronti, e, sul totale, le prime sono le più numerose. Le transazioni a termine sono quelle per cui non è necessario consegnare le merci immediatamente alla conclusione degli accordi (o dopo pochi giorni). Possono invece esser consegnate un giorno fissato, in cui vengono anche saldati i conti, dopo un buon margine di tempo (alla fine del mese corrente o di quello successivo, o sei mesi dopo). Il limite di tempo entro cui le merci a termine devono esser consegnate viene chiamato «mese terminale» o «mese di consegna». Normalmente, sul mercato si effettuano parallelamente transazioni a termine con mesi terminali di diversa distanza nel tempo. Ci sono però dei limiti alla durata del periodo concesso per le transazioni a termine (i limiti variano secondo il paese, il mercato e il prodotto, i periodi brevi di solito sono di tre mési e quelli lunghi di 24). Il numero di sedute giornaliere per le transazioni a termine viene determinato in base alla durata del termine.

Per semplificare la spiegazione degli scambi a termine supponiamo che il mese terminale più lontano sia tra tre mesi. Se le consegne devono esser effettuate alla fine del mese corrente, chiameremo i contratti «(opzioni per) consegne nel mese corrente» o «consegne a fine mese», se devono esser effettuate alla fine del mese successivo e del mese dopo, le chiameremo rispettivamente «consegne intermedie» e «consegne future». Quindi, sul mercato, avranno luogo tre tipi di transazioni relative a un prodotto (per esempio il grano). Dato che intercorre un lasso di tempo tra la stipulazione del contratto e la consegna delle merci, il venditore non ha bisogno di

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avere le merci alla mano, e il compratore non deve necessariamente avere subito il contante per comprarle. Se le transazioni a termine hanno un mese terminale molto lontano (per esempio tra 12 mesi), molto probabilmente nessun venditore avrà le merci disponibili sul momento. Quindi nelle transazioni a termine si fanno molti scambi fittizi, senza che le merci siano a disposizione immediata (11).

Supponiamo che un individuo A venda in questo modo il bene M sul mercato a consegna intermedia, ma che non abbia concretamente le merci (i beni effettivi o fisici) da consegnare all'acquirente alla fine del mese successivo. Per evitare di essere inadempiente, quindi, nel periodo che va dal giorno del contratto alla fine del mese successivo, A deve riacquistare M, almeno in quantità pari a quella venduta fittiziamente, o subito sul mercato a consegna intermedia o il mese successivo sul mercato a consegna mese corrente. Tuttavia, un compratore come A non acquista il bene M con l'intenzione di usarlo o consumarlo, bensì di rivenderlo entro il mese terminale. (In effetti, in questo esempio, l'ha rivenduto ancora prima di averlo acquistato.)

Questo è il modo in cui avvengono gli scambi «fittizi» sui mercati a termine, ma dato che le transazioni «fittizie» saranno annullate da un riacquisto equivalente o dalla rivendita il giorno di saldo dei conti, quello che rimane dopo queste operazioni di annullamento è lo scambio a pronti dei beni effettivi (fisici), la cui consegna avrà perciò luogo senza ostacoli o impedimenti. Le persone che trattano sul mercato a termine non avranno da pagare l'intero prezzo dell'acquisto, bensì solo la differenza tra il prezzo d'acquisto e quello di rivendita. Vale a dire, le transazioni a termine operano su margini o differenze. Chi compra per molto e vende per poco subirà una perdita o, nel caso opposto, le transazioni «fittizie» possono consentire di fare dei profitti. Di conseguenza, chi è in gamba e capace di prevedere le variazioni dei prezzi futuri, è sicuro di realizzare un profitto sul mercato a termine, finché i prezzi continuano a fluttuare. Inoltre non occorre quasi nessun capitale per realizzare un tale profitto. Quindi gli individui convinti di poter prevedere i movimenti dei prezzi futuri si riuniscono sul mercato dei beni a termine, che è la sede delle loro attività speculative. E sul mercato, non tengono d'occhio tanto le merci quanto i prezzi. Tuttavia, per poter formulare previsioni corrette, occorre conoscere la situazione relativa alla produzione, al consumo, all'ambiente (al clima e ai cambiamenti della politica nazionale e internazionale, ecc), alle attività dei grossi speculatori e così via. Quindi, sul mercato a termine vengono raccolti tutti i tipi di informazioni possibili. Il mercato diventa così una specie di centro d'informazioni. Chi riesce a fare previsioni corrette basandosi su queste informazioni realizzerà dei profitti, chi invece le sbaglia subirà delle perdite.

La coperturaA seconda del mercato e del prodotto, le attività giornaliere di compravendita fittizia a

termine riguardano quantità di merci molto superiori, a volte di parecchie centinaia di volte, alle quantità realmente consegnate. Tuttavia, chi attiva i mercati a termine non sono solo gli speculatori pronti ad assumersi i rischi e bramosi di far quattrini d'un colpo. Oltre a questi fanno la loro comparsa sul mercato anche produttori, grossisti, importatori, ecc. in qualità di venditori o acquirenti che effettuano operazioni di «copertura», allo scopo di ridurre i rischi — anche se è impossibile evitarli completamente.

Prendiamo l'esempio del grano. Il grano (invernale) viene seminato nel tardo autunno o all'inizio dell'inverno e raccolto all'inizio dell'estate successiva. Non occorre spiegare che il volume del raccolto dipenderà dalle condizioni atmosferiche. Il raccolto sarà abbondante se il tempo è stato buono, altrimenti sarà scarso. Nel primo caso, il prezzo del grano sarà meno alto che non nel secondo. Gli agricoltori saranno quindi perseguitati da brusche fluttuazioni dei ricavi a seconda della loro buona o cattiva stella, ma, fino a un certo punto, possono stabilizzare i loro introiti

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ricorrendo al mercato a termine. Per esempio, se vendono circa metà del raccolto annuale medio sul mercato a termine alcuni mesi prima del raccolto, per questa parte già venduta non devono temere un crollo dei prezzi al disotto dell'attuale prezzo di vendita. Se il raccolto è abbondante dovranno vendere a buon mercato solo la parte rimasta. Cioè, gli agricoltori utilizzando il mercato a termine riusciranno a dimezzare i danni della crisi causata da un raccolto abbondante. Analogamente, se gli importatori di grano vendono parte o tutto quello che importano sul mercato a termine potranno evitare in parte o del tutto i danni di un crollo dei prezzi che potrebbe derivare da un eccesso di offerta quando i beni importati arrivano di fatto sul mercato.

Per contro, se i prezzi salgono, i ricavi degli agricoltori saranno minori perché essi non potranno avvantaggiarsi dei benefici dell'aumento dei prezzi per la parte di raccolto già venduta. Così, se vendono sul mercato a termine perdono la possibilità di un grosso ricavo, ma in cambio riducono il rischio di doversi accontentare di un ricavo molto basso. Vale a dire, i mercati a termine servono a stabilizzare i ricavi degli agricoltori.

Il ruolo dei mercati a termineI mercati, per ciascun prodotto scambiato, comprendono di regola un mercato a pronti e

mercati a termine con diversi mesi terminali. Siccome il grano di oggi è sostituibile con il grano alla fine del mese corrente, del mese prossimo o di quello successivo, c'è un rapporto tra il prezzo a pronti e i prezzi a termine, e questi ultimi non possono scostarsi troppo dal primo. Così, se il prezzo a pronti aumenta perché è aumentata la domanda dei prodotti a pronti, probabilmente aumenteranno anche i prezzi a termine.

Inoltre, è improbabile che i prezzi a termine siano spinti lontano dall'equilibrio. Sia p1 il prezzo per la consegna nel mese corrente di un certo prodotto nel periodo t e p2 il prezzo di consegna intermedia. Nel periodo t' un po' più avanti nello stesso mese, siano questi stessi prezzi rispettivamente p’1 e p'2. Se si prevede che il prezzo di consegna intermedia in termini del prezzo per la consegna nel mese corrente sia in t maggiore del corrispondente prezzo in t', cioè se si prevede che la diseguaglianza

sia destinata a prevalere, la gente venderà o2 per consegna intermedia ad alto prezzo e comprerà d1 per consegna a buon mercato nel mese corrente; poi, in seguito, quando sarà fissato un prezzo relativo più basso, riacquisterà o2 della consegna intermedia (d'2 = o2) e rivenderà dl della consegna nel mese corrente (o’1 = d1). È ovvio che da tali transazioni si avrà un surplus di

Se diamo a d1 e o2 un valore tale che p1d1 = p2o2, allora

p2p1

> p '2p '1

m = p '1 o1 '! p1d1[ ]+ p2o2 ! p '2 d '2[ ]

m = p '1 o '1! p '2 d '2 =p '1p1p1o '1!

p '2p2

p2d '2

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Ma dato che d1 = o’1, e o2 = d'2, avremo p1o'1 =p2d'2 così che

Quindi, se vale la disuguaglianza dei prezzi relativi sopra descritta, il surplus m sarà positivo. Cioè, le compravendite sui mercati per consegna corrente e intermedia, più le rivendite e i riacquisti che, fatti in data successiva, le cancellano, produrranno un profitto. Questa combinazione di transazioni è detta arbitraggio. p2 diminuirà, perché i beni a consegna intermedia saranno venduti in seguito ad arbitraggio, e p1 aumenterà perché i beni a consegna nel mese corrente saranno acquistati in seguito ad arbitraggio. Come risultato, i rapporti tra i prezzi relativi dei beni scambiati a termine si eguaglieranno rapidamente, e presto si avranno prezzi relativi adeguati.

Inoltre, è probabile che saranno adeguate, mantenendosi entro certi limiti, anche le variazioni dei prezzi a termine p1 e p2. Come abbiamo già detto, ci sono molti speculatori attivi sul mercato a termine. Se essi prevedono che in futuro p1 o p2 saliranno bruscamente, acquisteranno prima che pl e p2 comincino di fatto ad aumentare. Allora, dato che rivenderanno quello che hanno già acquistato per ricavare un profitto dalla differenza di prezzo, quando il prezzo inizierà davvero ad aumentare bruscamente, di fatto non aumenterà tanto come previsto. In modo analogo, se è previsto un brusco crollo dei prezzi, gli speculatori cominceranno presto a vendere. Ma, poiché ricompreranno le merci per avvantaggiarsi del margine di prezzo quando il prezzo alla fine inizia a diminuire drasticamente, la sua caduta sarà frenata dal sostegno dei loro acquisti. Con beni come i prodotti agricoli, la cui offerta fluttua stagionalmente, i prezzi scenderanno nel periodo del raccolto e aumenteranno fuori stagione. Quando però esiste un mercato a termine, entrerà in gioco la funzione di livellamento dei prezzi delle operazioni di speculazione e copertura, riducendo moltissimo l'entità dell'aumento o della caduta dei prezzi. I mercati a termine hanno la capacità intrinseca di stabilizzare automaticamente i prezzi in questo modo, e fissano inoltre un limite massimo e minimo alle fluttuazioni di p1 e di p2, prevenendo così un eccessivo surriscaldamento o raffreddamento dei mercati (12).

Infine, i mercati a termine hanno la capacità di mettere in circolazione un volume maggiore di beni reali dei mercati a pronti. Supponiamo che le curve di domanda e di offerta dei beni reali siano rappresentate da DD' e OO' rispettivamente, come nella figura 14. Se non sono permesse operazioni di speculazione e copertura, e se la domanda e l'offerta dei prodotti reali si equilibrano l'un l'altra direttamente sul mercato, il prezzo assumerà un valore (per esempio p°) tra i due punti estremi delle curve O e D, e sia la domanda che l'offerta saranno pari a O come indica la figura. Invece, nel mercato a termine dove si può avere speculazione e copertura, la domanda di beni reali qa e l'offerta degli speculatori, possono corrispondere al prezzo pa. Se ciò accade gli speculatori dovranno poi ricomprare quello che hanno venduto fittiziamente e pertanto faranno ancora una volta la loro comparsa sul mercato a termine alla ricerca di venditori. Più tardi ancora appariranno sulla scena nuovi venditori allo scopo di riacquistare. Riacquisteranno la quantità qb al prezzo pb da alcuni fornitori di beni effettivi e la rimanente qa — qb al prezzo pc da altri fornitori di beni effettivi. Alla fine del mese terminale, sarà concretamente consegnata la quantità qa di beni effettivi dai fornitori in possesso di beni reali ai compratori di beni reali. I due speculatori che sono intervenuti nel corso di questo processo ricompreranno tutto quello che avevano venduto a termine e dovranno pagare la differenza. Vale a dire, attraverso l'intervento degli speculatori e con la loro perdita, è entrata in

m = p '1p1

! p '2p2

"

#$

%

&' p2d '2

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circolazione la quantità qa di grano effettivo. Cioè, sul mercato a termine la domanda può facilmente venire incontro all'offerta grazie all'intervento degli speculatori, intervento che porta alla circolazione di un grande volume di beni effettivi (13).

Note(') Quello che si intende nel libro con «economia fixprice» non è necessariamente

un'economia dove tutti i prezzi sono tenuti costanti. Si intende semplicemente che i prezzi dei beni sono determinati in base al criterio del costo pieno, quindi non sono aggiustati in modo flessibile secondo l'eccesso di domanda (o di offerta) di quei beni.

(2) Nella teoria walrasiana dei tàtonnements, si assume che i prezzi dei beni siano adattati secondo un ordine fisso (Walras, ibid., pp. 169-72). Arrow e Hahn pensano invece che Walras non intendesse alla lettera che i prezzi si adeguano secondo un ordine fisso, e che supponesse un meccanismo di aggiustamento dei prezzi con un sistema sequenziale solo per praticità e a scopo esplicativo. Cfr. Arrow, K. J. e Hahn, F. H., General Competitive Analysis, Oliver & Boyd, Edimburgo, 1971, p. 5. Comunque, è un dato di fatto che nella realtà gli scambi concorrenziali avvengono seguendo una successione fissa. Però, essendo chiaro che Walras non considerava la sua «teoria dei tàtonnements» come semplicemente una teoria della determinazione dei prezzi in un singolo mercato, dovremmo concludere che la formulasse come basata forse sul modello puro di un singolo mercato, ma supponendo che questo non differisse molto dall'economia globale.

(3) Esistono definizioni varie di prodotti sostitutivi e complementari. La definizione sopra esposta è tra le più semplici e indiscusse; si avvicina a quello che Mosak chiama «gross substitutes». Cfr. Mosak, J. L., General Equilibrium Theory in International Trade, The Principia Press Inc., Bloomington, Indiana, 1944, pp. 42-51.

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(4) Tra questi rientrano quelli che, come il New York Coffee and Sugar E1change, sono mercati compositi che trattano due gruppi di beni, all'interno di ciascuno dei quali prevale la sostituibilità, mentre tra un gruppo e l'altro si ha un rapporto di complementarità.

(5) L'analisi seguente è basata sull'opera di Hicks, Valore e capitale, UTET, Torino, 1968.(6) Si veda la Nota Addizionale c.(7) Se ci sono per esempio tre beni, la tabella 5 può essere modificata nel modo seguente,

dove α è il parametro che mostra le variazioni proporzionali di p1, p2, p3:

Aumento diEffetto su p1 p2 p3 α

E1 - + + -

E2 + - + -

E3 + + - -

(8) Tra le prime opere sul problema dell'arbitraggio si veda Cournot, A., Ricerche intorno ai principi matematici della teoria delle ricchezze (in Biblioteca dell'economista, voi. II), UTET, Torino, 1878.

(9) Un preminente esempio concreto di mercato composito è il New York Commodity Exchange Center. Esso incorpora il New York Mercantile Exchange, il New York Coffee and Sugar Exchange, il New York- Cotton E1change e il COME1 (Commodity Exchange Inc.).

(10) Questo tipo di sistema soddisfa anche le seguenti relazioni: (i) «sostituti di sostituti sono sostituti», (ii) «prodotti complementari di prodotti complementari sono sostituti». Per esempio, il cacao, che è un sostituto del caffè Robusta il cui sostituto è il caffè Arabica, è esso stesso un sostituto del caffè Arabica; e il miele, che è un complementare del cacao il cui complementare è lo zucchero raffinato, è un sostituto dello zucchero raffinato. Sulla stabilità di un sistema del genere e sulle leggi di fluttuazione dei prezzi implicate cfr., per esempio, Morishima, M. «On the Laws of Change of thè Price-Systèm in an Economy which Contains Complementary commodities», in Osaka Economie Papers, vol. 1, 1952, e Morishima, M., «A Generalization of the Gross Substitute System», in The Review of Economie Studies, vol. XXXVII (2), aprile 1970.

(11) Si veda la Nota Addizionale d.(12) Nei mercati a termine non è permesso fissare i prezzi nei giorni in cui è oltrepassato il

limite superiore o inferiore.(13) In questo caso gli speculatori subiscono una perdita, ma in altri casi possono realizzare

un profitto. Sebbene non abbiano luogo scambi in un'economia di beni effettivi dove si confrontino acquirenti e venditori che non siano disposti né gli uni né gli altri a subire perdite, la circolazione delle merci avrà inizio se ci sono tra di loro speculatori disposti ad avere a volte perdite a volte profitti.

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Capitolo 3 La determinazione del prezzo dei prodotti

1 Ancora sul principio del costo pieno

La curva del costo medioCome abbiamo già detto, i prezzi di quasi tutti i prodotti industriali non sono fissati sul

mercato (in borsa) in modo che l'offerta e la domanda si eguaglino, bensì dall'impresa stessa. Per ricavare un profitto l'impresa maggiora i costi medi di produzione per ottenere il prezzo del prodotto per unità, ma il mark-up percentuale deve essere ragionevole. Vedremo più avanti che cosa si intende per ragionevole; per il momento supponiamo che l'impresa lo abbia già stabilito. Così il problema della determinazione del prezzo dipende interamente da come si stimano i costi medi.

I costi sono classificati in costi fissi, che non aumentano anche se aumenta il volume della produzione, e costi variabili che aumentano e diminuiscono con il volume della produzione. I costi variabili possono essere ulteriormente suddivisi in costi proporzionali, che variano in modo proporzionale con il volume della produzione, e costi non-proporzionali che invece variano in modo non proporzionale. Questi ultimi sono di due tipi: quelli che variano meno che proporzionalmente e quelli che variano più che proporzionalmente al variare della produzione.

I costi fissi sono gli interessi passivi, l'ammortamento sul capitale fisso, l'affitto e le retribuzioni del personale non impiegato direttamente nella produzione - direttori, funzionari, tecnici, sorveglianti, facchini, ecc. Tuttavia, la maggior parte dei costi delle materie prime e dei salari sono costi proporzionali. I costi dell'energia elettrica, del combustibile, di manutenzione degli stabili, dei macchinari, delle attrezzature, ecc. sono tutti costi non-proporzionali, e variano meno che proporzionalmente se il volume della produzione è basso; ma se la produzione raggiunge un livello così alto che i macchinari sono inevitabilmente sfruttati al limite della capacità, allora è probabile che tali costi varino in modo più che proporzionale con la produzione. Costi operativi di diverso genere come i costi di vendita e di acquisto rimarranno invariati quando il volume della produzione è basso, e varieranno meno che proporzionalmente quando è alto. Le imposte, i brevetti, i copyright e simili dipenderanno dal sistema fiscale e dai contratti di trasferimento dei diritti, saranno invariabili in alcuni casi e variabili in altri. In circostanze normali, i salari, anch'essi costi proporzionali, possono dover essere incrementati se, per ottenere quel livello di produzione, è occorso lavoro straordinario. Così, quando aumenta la percentuale di produzione prodotta con lo straordinario, i salari aumentano più che proporzionalmente con la produzione.

In ogni caso, è chiaro che i costi fissi per unità di prodotto diminuiranno all'aumentare della produzione, e che i costi proporzionali per unità di prodotto non varieranno. Per contro, i costi non-proporzionali per unità di prodotto tenderanno a calare quando il volume della produzione è basso, ma cominceranno ad aumentare per unità se il volume della produzione è alto ed eccede la capacità della fabbrica. Pertanto, sommando tutti questi diversi tipi di costi, troveremo che i costi medi diminuiranno inizialmente con l'aumento della produzione, ma poi aumenteranno. Anche dopo che i costi medi hanno cominciato a crescere, solo una parte dei costi non-proporzionali aumenterà in modo più che proporzionale inizialmente, ma in seguito la maggior parte di questi costi comincerà gradualmente ad aumentare in modo più che proporzionale. Se indichiamo la produzione sull'asse orizzontale e i costi medi sull'asse verticale, otterremo una curva a forma di U.

I costi fissi per unità di prodotto diminuiranno rapidamente se il volume della produzione è basso ma in aumento; se invece il volume della produzione è notevole, diminuiranno gradualmente in misura minore. Quindi, nel caso di merci prodotte in grosse quantità e di costi fissi non alti in paragone ai costi proporzionali, le variazioni dei costi fissi per unità di prodotto, dovute alle variazioni della produzione, possono praticamente essere ignorate. D'altro lato, i costi medi

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cominceranno ad aumentare notevolmente quando la produzione è spinta oltre la capacità della fabbrica; comunque, se la produzione non viene portata a un livello così eccezionalmente alto, i costi medi rimarranno più o meno invariati al variare della produzione. Per esempio, se i costi fissi totali ammontano a £8000 e i costi proporzionali per unità di prodotto a £3,90, i costi medi saranno pari a £4 con una produzione di 80000 unità. Se, nel nostro esempio, la produzione fosse invece pari a 40000, i costi medi sarebbero pari a £4,10, e se fosse di 160000 unità, i costi medi sarebbero pari a £3,95, rimanendo così praticamente invariati. Vale a dire, la curva dei costi medi di questa fabbrica sarà a forma di U con il tratto più in basso quasi orizzontale per l'ampia fascia di produzione da 40000 a 160000 unità. Se il volume della produzione rimane entro questa fascia, i costi medi di produzione potranno esser determinati facilmente, come pure il prezzo del prodotto maggiorato del mark-up. E rimarranno praticamente invariati per un'ampia fascia comunque vari il volume della produzione.

La curva di domanda attesaChe cosa succede quando si prevede un volume di produzione estremamente piccolo?

Supponiamo che l'esempio aritmetico fatto si riferisca alla nroduzione di libri. I costi della carta e i costi di rilesatura sono proporzionali, i costi editoriali e di composizione sono fissi. I costi di stampa sono costi non-proporzionali che aumentano meno che proporzionalmente, ma, nel nostro esempio, li trascureremo assieme ad altri costi come quelli di pubblicità e di vendita. Ora, se il libro è di interesse generale e le vendite attese superano le 40000 copie, il costo medio sarà di circa £4 e può essere applicato un mark-up del 25% a un prezzo al dettaglio di £5. Ma se il libro è per i soli addetti ai lavori e le vendite attese sono limitate a 1000 copie, i costi medi saranno pari a £8000/1000+ £3,90 = £11,90 e il prezzo al dettaglio £14,88.

Quindi il prezzo dipenderà innanzitutto dal fatto che il libro sia di interesse generale con una domanda attesa molto sostenuta, o sia invece specialistico con una domanda attesa piuttosto limitata. Nel primo caso, anche se la domanda attesa varia, non ci sarà quasi nessuna differenza di prezzo, ma nel secondo caso ci sarà un ampio margine di differenza di prezzo a seconda della domanda. Per esempio, se la domanda attesa è solo di 500 copie, i costi medi saranno pari a £19,90 e il prezzo al dettaglio £24,88 (dato un mark-up del 25 % in ogni caso). Vale a dire, il prezzo di un bene con una bassa produzione, che non raggiunge il lungo tratto piatto in basso della curva a U del costo medio, dipenderà in gran parte dalla consistenza della domanda attesa.

Esiste un'altra situazione dove il volume della domanda attesa influenza notevolmente il prezzo: quando i costi fissi sono molto alti in paragone ai costi proporzionali. Nell'esempio precedente, i costi fissi erano pari a £8000 in totale, e i costi fissi per unità di prodotto pari a £0,04 se la fabbrica produceva al limite della capacità, che era di 200000 unità. Questa cifra è estremamente piccola in paragone al costo proporzionale di £3,90 per unità di prodotto, con il risultato di avere costi di produzione virtualmente invariati per l'ampia fascia di produzione da 40000 a 200000 unità. Tuttavia, se nell'esempio i costi fissi fossero pari a £800000 (ammesso che la capacità produttiva della fabbrica fosse ancora di 200000 unità), il costo fisso per unità di prodotto sarebbe pari a £4 al livello di produzione di piena capacità, cioè relativamente alto in paragone ai costi proporzionali di £3,90. Così non potremmo più ignorare le variazioni dei costi fissi per unità di prodotto che accompagnano le variazioni del volume della produzione, e potremmo considerare fissi i costi medi solo per il volume di produzione compreso nella fascia che va da 185000 a 200000 unità. Cioè, se i costi fissi sono alti in paragone ai costi proporzionali, la parte piatta in basso della curva a U del costo medio sarà più corta. Perciò, c'è una forte probabilità che la domanda attesa non rientri in questa fascia, nel qual caso il costo medio e quindi il prezzo saranno elastici rispetto alla domanda attesa.

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Come vengono fissati allora i prezzi in casi del genere, cioè, se un prodotto ha il tratto orizzontale della curva del costo medio molto breve? Oppure, come nel caso di un libro universitario specialistico, se questo tratto è lungo ma la domanda è estremamente limitata? In questi casi l'impresa calcolerà la domanda, poi ricaverà il costo medio della curva del costo corrispondente al livello di produzione che eguaglia la domanda attesa, quindi aggiungerà un mark-up percentuale. Sarà così fissato il prezzo del prodotto. Ma la domanda dipende dal prezzo, perciò il prezzo che viene fissato ora sulla base della domanda deve concordare con il prezzo precedente che l'impresa aveva in mente quando ha fatto una stima della domanda probabile.

Possiamo facilmente vedere se i due prezzi concordano o meno tracciando la curva della domanda attesa sul diagramma della curva del costo medio (1). La figura 15 mostra un tratto della curva a U che include il mark-up m sui costi medi c(x) (cioè (1+m) c(x)), e la curva di domanda attesa DD' decrescente verso destra. Se il prezzo è p1 l'impresa può aspettarsi una domanda di x1 e se produce solo x1 può vendere il prodotto al prezzo p2. Ma se il prezzo è p2, l'impresa può aspettarsi una domanda di x2, e può vendere la produzione x2 a un prezzo inferiore di p2. A entrambi i punti x1 e x2 il prezzo che l'impresa aveva in mente quando ha calcolato la domanda del suo prodotto, e il prezzo che fissa ora sulla base di tale domanda non sono uguali. Quindi i prezzi che l'impresa fissa a questi punti non sono coerenti. Solo al punto dove la curva della domanda attesa interseca la curva del prezzo di offerta (1+m)c(x) — i punti x e x , della figura — i prezzi fissati dall'impresa saranno coerenti.

Come mostra la figura, normalmente esistono due prezzi coerenti, ma se la curva di domanda attesa è contorta ne possono esistere più di tre, e, all'estremo limite, persino un numero illimitato. In questi casi, quale prezzo verrà scelto dipenderà interamente dalla politica che l'impresa segue. Un criterio probabile di scelta è la consistenza dei profitti anticipati. Poiché si può dimostrare che più grande è il volume della produzione più grande sarà il profitto (2), e se i punti x , x , , x ,, ecc. sono punti dove si possono fissare prezzi coerenti, allora il profitto sarà massimo in corrispondenza della maggiore di queste quantità. Nel caso della figura 15, il profitto a x è maggiore che a x , . L'impresa fisserà prezzo p per il suo prodotto e anticiperà una domanda di x (3).

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2 II periodo di produzione e le operazioni di copertura

Revisione dei costi di produzioneDividiamo i beni in tre gruppi. Il primo consiste di beni i cui prezzi sono fissati secondo il

criterio del costo pieno, il secondo consiste di beni i cui prezzi sono fissati sul mercato concorrenziale e il terzo comprende terra e lavoro. La determinazione dei prezzi dei beni del gruppo II è stata esaminata in dettaglio nei Capitoli 1 e 2. Riguardo i beni del gruppo III, spiegheremo più avanti come sono fissati i salari, mentre non ci occuperemo in questo libro dei problemi della terra e della rendita. Nei paragrafi seguenti entreremo più in dettaglio su come vengono determinati i prezzi dei beni del gruppo I, assumendo che siano dati quelli dei beni dei gruppi II e III.

I prezzi dei beni del gruppo I sono fissati secondo i rispettivi costi medi di produzione. Questi beni però sono spesso usati a loro volta per la produzione di altri beni del gruppo I, per esempio vernici, cavi, ecc. Di conseguenza, una parte della produzione dei beni del gruppo I dipenderà dai prezzi di altri beni dello stesso gruppo. Cioè, le imprese prendono come dati i prezzi correnti di certi beni del gruppo I, valutano i rispettivi costi medi, che maggiorano poi di un mark-up percentuale, arrivando così ai prezzi dei vari beni del gruppo I. Tuttavia, i prezzi calcolati in questo modo non sono necessariamente uguali ai prezzi dei beni del gruppo I da cui l'impresa è partita per calcolare i costi medi. Quindi, la valutazione dei costi medi deve essere corretta usando i nuovi prezzi. E, in seguito a questa nuova valutazione, le aziende dovranno rivedere i loro prezzi alla produzione. La revisione dei prezzi determina un'ulteriore rivalutazione dei costi, e quest'ultima, a sua volta, un'altra revisione dei prezzi.

Una tale «iterazione» può continuare finché i prezzi calcolati dai costi medi maggiorati del mark-up non sono uguali ai prezzi usati per la valutazione dei costi medi — cioè, finché non si ottiene un sistema di prezzi coerenti. Una volta ottenuto tale sistema, l’«iterazione» cesserà; non si avranno successive revisioni dei prezzi, quindi i prezzi alla produzione coerenti a cui si è pervenuti saranno i prezzi alla produzione di equilibrio.

La rapidità con cui sono stabiliti i prezzi di equilibrio dipende dal grado di reattività dell'impresa. Se l'impresa è razionale valuterà sempre i costi in base ai prezzi correnti, e dovrà continuamente rivedere i prezzi alla produzione in risposta alle variazioni dei prezzi correnti. Ma dato che occorre uno sforzo straordinario per fare costantemente queste «operazioni di calcolo iterativo», le imprese tendono spesso a essere negligenti o trascurate nel farlo (4).

Così i prezzi alla produzione correnti non sono necessariamente «prezzi coerenti». Saranno semplicemente «prezzi ad interim» che si sono fermati improvvisamente a metà strada lungo il tragitto della catena infinita di calcoli iterativi necessari per raggiungere i prezzi di equilibrio. Tuttavia, se supponiamo che le imprese siano abbastanza entusiaste nel rivalutare i loro costi, allora dovremmo avere prezzi correnti molto vicini ai prezzi alla produzione di equilibrio, anche se si tratta solo di prezzi «ad interim».

La valutazione dei costi e l'ipotesi dei prezzi correntiLa spiegazione data poggia implicitamente sulla premessa che ciascuna voce di costo sia

determinata in base al suo prezzo prevalente al momento in cui l'impresa fissa i prezzi dei prodotti. Ora, dato che nella realtà occorre tempo per fare qualunque cosa, l'input dei beni indiretti nel processo produttivo avviene ovviamente prima che i prodotti siano completati e messi in vendita. Quindi i prezzi pagati effettivamente per i beni indiretti non sono uguali a quelli che prevalgono nel momento in cui si determinano i prezzi dei prodotti. Di conseguenza, i costi che vengono calcolati

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in base ai prezzi correnti differiranno dai costi di fatto sostenuti in passato per la produzione dei beni in questione.

Questo modo di calcolare i costi potrebbe sembrare irrazionale a prima vista, ma può esser giustificato nel modo seguente. Le imprese hanno scorte di beni indiretti, e prelevano da esse nel periodo t0 questi beni per immetterli nel processo produttivo. Tuttavia, finché il prodotto finale non è completato, si possono considerare questi beni indiretti ancora giacenti in fabbrica, anche se hanno cambiato forma. Solo nel periodo tt quando il prodotto finito è completato e venduto questi beni lasceranno la fabbrica. A questo punto, solo la parte di scorte che esce dalla fabbrica deve esser ricostituita. Quindi, possiamo considerare il prezzo unitario p(t1) dei beni indiretti necessari per ricostituire le scorte come il prezzo unitario dei beni indiretti che lasciano la fabbrica. Vale a dire, i beni indiretti impiegati per produrre i beni finali, venduti nel periodo t1, sono valutati ai prezzi correnti p(t1) prevalenti nel periodo t1.

Anche su queste premesse, rimane però il fatto che il costo medio c(p(t1)), calcolato in base ai costi correnti, non sarà uguale al costo medio c(p(t0)), che era stato valutato al costo storico, cioè in base ai prezzi p(t0) pagati in passato per acquistare i beni indiretti usati nella produzione del prodotto finito. Se p(t1) è maggiore di p(t0), la valutazione in base al prezzo corrente sopravvaluta i costi, e nel caso opposto li sottovaluta. Tuttavia, queste stime in eccesso o in difetto possono essere evitate entro certi limiti, come spiegheremo in seguito, se i beni indiretti sono coperti (venduti per copertura) sul mercato a termine nel periodo in cui sono acquistati.

Supponiamo che occorrano a unità del bene indiretto 1 per produrre una unità del prodotto finito. Con una valutazione in base ai prezzi correnti, i costi medi saranno

e, con una valutazione in base al costo storico, saranno

Qui p1(t) è il prezzo dei beni indiretti 1 nel periodo t, e c 1( ) e c 0( ) sono i costi medi, valutati

in base ai prezzi correnti e al costo storico, delle altre voci di costo diverse dall'input del bene indiretto 1. Se, contemporaneamente all'inserimento di a nel processo produttivo nel periodo t0, l'impresa vende al prezzo q1(t0) la quantità a del bene indiretto 1 sul mercato a termine con t1 come data di scadenza, e riacquista a nel periodo tl l'impresa ricaverà da questa copertura precisamente

I costi medi determinati in base al costo storico sono i costi effettivi quando non si ha questa copertura; ma se i beni indiretti sono venduti con copertura sul mercato a termine, i costi effettivi si ottengono sottraendo il ricavato della copertura dai costi medi determinati con il costo storico. Cioè

Quindi, se assumiamo che p1(t0), che è il prezzo del bene 1 nel periodo t0, sia uguale a q1(t0),

c p t1( )( ) = p1 t1( )a + c 1( )

c p t0( )( ) = p1 t0( )a + c 0( )

q1 t0( )a ! p1 t1( )a

p t0( )a + c 0( )! q1 t0( )a ! p1 t1( )a"# $% 1( )

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che è il prezzo a termine, allora i costi effettivi saranno p1(t1)a+c 0( ) . Cioè, per il bene indiretto 1,

che è stato coperto, è in base al prezzo corrente che si ottiene il costo effettivo. Pertanto il costo medio c(p(t1)) determinato secondo il metodo del prezzo corrente è il costo medio effettivo quando si sono coperti tutti i beni indiretti.

Copertura ed eliminazione del rischioLa ragione per cui un'impresa vende per copertura sul mercato a termine i suoi beni indiretti

nello stesso momento in cui li acquista, è per tutelarsi contro il pericolo di fluttuazioni (cadute) dei prezzi futuri. Supponiamo che ci siano due imprese, A e B, che fanno lo stesso prodotto, e che solo B abbia venduto per copertura il bene indiretto 1 simultaneamente al suo acquisto. E supponiamo che, dopo l'acquisto del bene indiretto 1, il suo prezzo cominci a diminuire, cosicché, quando il prodotto è finito, sia più basso di quanto non era al momento dell'acquisto, cioè p1(t1)<p1(t0). Allora, poiché l'impresa B ha venduto per copertura il bene indiretto, ne deriverà un guadagno con cui potrà bilanciare l'incremento dei costi determinato dall'averlo comprato a un prezzo alto nel periodo t0. Quindi B avrà costi più bassi calcolandoli in base al prezzo corrente. Invece A, che non ha venduto per copertura, deve dichiarare gli alti costi storici, quindi sarà in posizione di svantaggio competitivo di fronte a B.

Nel caso opposto, cioè se il prezzo del bene indiretto 1, che B ha venduto per copertura, aumenta tra il periodo t0 e tl, B subirà una perdita a causa della copertura. Sarà allora B a trovarsi in posizione di svantaggio competitivo di fronte ad A, e dovrà calcolare i costi in modo da coprire questa perdita. Tuttavia, non se ne starà con le mani in mano a veder aumentare il prezzo del bene indiretto 1 tra il periodo t0 e t1, e riacquisterà il bene indiretto 1 che ha venduto per copertura. Se lo riacquista nel periodo iniziale di aumento del prezzo, la perdita determinata dalla copertura non sarà grossa, quindi il suo svantaggio di fronte ad A non sarà molto grande.

Un'impresa che vende per copertura i suoi beni indiretti nello stesso momento in cui li acquista, si troverà chiaramente in vantaggio se i loro prezzi calano e non in grosso svantaggio se i prezzi aumentano. Così è probabile che un'impresa razionale e dotata di buon senso venda per copertura sul mercato a termine i beni indiretti che ha disponibili. Quindi, se i prezzi dei beni indiretti calano, le imprese non calcoleranno i costi in base ai loro alti costi storici, bensì in base ai loro più bassi prezzi correnti. Se i prezzi aumentano, le imprese probabilmente riacquisteranno ad un certo momento (per esempio t') prima di tl, i beni indiretti che hanno venduto per copertura. Allora i costi effettivi (1) che includono la perdita derivata dalla copertura saranno

e i costi non risulteranno aumentati di tanto quanto lo sarebbero in base al criterio puro del valore corrente (5). Cioè, i costi effettivi saranno elastici se i prezzi calano, ma non lo saranno molto se i prezzi aumentano. Nonostante questa asimmetria, se il prezzo corrente p1(t1) è maggiore di p1(t0), anche p1(t’) sarà maggiore di p1(t0); così p1(t’) si muoverà probabilmente nella stessa direzione di p1

(t1). In questo senso possiamo affermare che i costi saranno in definitiva regolati dai prezzi correnti anche nel caso che i prezzi dei beni indiretti aumentino.

Se non esistono mercati a termineTuttavia, molti beni indiretti non hanno mercati a termine. Per calcolare in base al valore

corrente i costi di questi beni indiretti, l'impresa deve organizzare un settore che registri le perdite e i profitti conseguenti alle cadute e agli aumenti dei prezzi dei beni indiretti. Questo settore deve

p t0( )a + c 0( )! q1 t0( )a ! p1 t '( )a"# $% = p1 t '( )a + c 0( ) 1'( )

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essere considerato separato dal settore produzione. Chiamiamo questo settore «settore vendite di copertura (o settore copertura)», e supponiamo che, se non esiste un mercato a termine, i beni indiretti 1 siano venduti al «settore copertura» dell'azienda. Se questo settore compra i beni indiretti 1, comprati dal settore produzione, al prezzo d'acquisto p1(t0), e li rivende al settore produzione al valore corrente p1(t1), i costi del settore produzione, tenendo in considerazione il profitto (o la perdita) tra questo e il «settore copertura» saranno

E il ricavo del «settore copertura» sarà

Se il settore produzione vende per copertura i beni indiretti al «settore copertura», i costi di questi beni indiretti verranno a essere calcolati interamente in base al valore corrente. Come il lettore si renderà presto conto, questo perché la (1") è uguale a p1(t1)a+c 0( ) .

D'altro lato, però, il «settore copertura» dovrà accumulare perdite e profitti. Se i prezzi calano (quando p1(t1)< p1(t0)), la (2) sarà negativa e il «settore copertura» incorrerà in una perdita. Viceversa, se i prezzi aumentano, la (2) sarà positiva e il «settore copertura» realizzerà un profitto. Quindi, se i prezzi aumentano o calano, le perdite di questo settore in un certo periodo saranno bilanciate dai suoi profitti in un altro periodo, così il «settore copertura» non dovrebbe accumulare grosse perdite. Naturalmente, il saldo profitti-perdite tra i due settori rappresenterà un profitto o una perdita per l'intera impresa. Comunque, tenendo separati i due settori e bilanciando le entrate e le uscite del «settore copertura» nel lungo periodo, l'azienda avrà un settore produzione in grado di continuare a registrare ogni volta i costi in base al valore corrente.

3 I prezzi di equilibrio alla produzione e i loro movimenti

Aggiustamento del volume di produzione stimatoCome abbiamo già detto, le imprese che calcolano i costi medi in base al valore corrente,

devono fare «calcoli iterativi» per poter ottenere un sistema di prezzi alla produzione coerenti, dove tutte le aziende usano i prodotti l'una dell'altra come beni indiretti. Inoltre, dato che i costi medi dipendono anche da come le aziende calcolano il volume della produzione, e dato che questa stima dipende dalla domanda e quindi dal prezzo dei prodotti, non solo il prezzo ma anche la stima del volume della produzione subirà un aggiustamento nel processo di «calcolo iterativo».

Immaginiamo che i costi medi aumentino da c(x) a !c (x) a causa di un aumento dei salari o del prezzo dei beni indiretti. La curva dei costi medi più il mark-up percentuale si sposta verso l'alto come nella figura 16. Finché il volume di produzione stimato rimane a x , il prezzo fissato in base al criterio del costo pieno deve essere p*. Tuttavia, questo prezzo molto probabilmente non sarà coerente con il volume di produzione x . A p* che è maggiore di p , non si può più anticipare una domanda di x , e l'impresa deve preventivare una domanda, e quindi una produzione, minore. Finché la produzione non eccede la capacità dell'impresa (cioè la produzione corrispondente alla parte decrescente della curva a U del costo medio), la contrazione del volume di produzione

p1 t0( )a + c 0( )! p1 t0( )a ! p1 t1( )a"# $% 1''( )

p1 t1( )a ! p1 t0( )a 2( )

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determinerà un aumento dei costi medi e un ulteriore aumento del prezzo del prodotto. L'aumento da p a p* nella figura indica l'aumento del prezzo del prodotto dovuto agli aumenti dei prezzi dei beni indiretti, e l'ulteriore aumento da p* a p' mostra l'effetto ottenuto aggiustando la produzione. Così, un aumento dei prezzi dei beni indiretti determinerà un aumento del prezzo del prodotto, e al tempo stesso una riduzione della produzione. Di conseguenza, l'impresa fisserà un prezzo più alto per i suoi prodotti, essendo aumentato il peso dei costi fissi per unità di prodotto.

Redditività della produzioneMa se questi prodotti sono impiegati da altre imprese come beni indiretti (input), le variazioni

di prezzo non saranno limitate a quelle descritte. Siccome il prezzo di questi prodotti è aumentato, aumenterà la curva del costo medio di altre imprese, come pure il prezzo dei loro prodotti, mentre si contrarrà il volume della loro produzione. Come risultato del trasmettersi delle fluttuazioni dei prezzi da un'impresa a un'altra, il prezzo dei beni indiretti richiesti dalla prima impresa aumenterà ancora, e i prezzi possono superare di molto p', con una produzione a meno di x'. Tali variazioni addizionali dei prezzi incideranno anche su altre imprese. Si avrà così un movimento a spirale verso l'alto dei prezzi dei prodotti e uno a spirale verso il basso della produzione. Comunque, un circolo così vizioso dovrà pur cessare a un certo punto. Questo stato di cose rappresenta in realtà una situazione come quella descritta in precedenza, in cui si determina un «sistema di prezzi alla produzione coerenti», ovvero di equilibrio.

Le ripercussioni delle fluttuazioni dei prezzi possono essere analizzate esattamente nello stesso modo in cui si analizzano le ripercussioni dei prezzi in un mercato concorrenziale. Per semplicità considereremo una situazione dove le variazioni del volume della produzione non hanno praticamente nessun effetto sui prezzi dei prodotti, cioè il caso in cui la produzione sia sul tratto orizzontale in basso della curva a U del costo medio. Per semplificare ulteriormente, supporremo che ci siano solo due tipi di imprese, che fanno i prodotti 1 e 2, e che imprese dello stesso tipo abbiano tutte identiche funzioni del costo medio. Supporremo inoltre che questi prodotti siano

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impiegati da tutte le imprese come beni indiretti.Siano le funzioni del costo medio delle imprese che fanno il prodotto 1 e 2, rispettivamente,

dove V1 e V2 indicano i costi fissi e i costi salariali, ecc. per unità di prodotto. I coefficienti aij sono i coefficienti di produzione, cosicché a21, per esempio, indica la quantità del prodotto 2 necessaria per fare una unità del prodotto 1. E a12 è la quantità del prodotto 1 necessaria per fare una unità del prodotto 2. Le equazioni dei prezzi di equilibrio alla produzione possono essere così formulate

Se risolviamo queste equazioni algebricamente per p1 e p2, supponendo che V1 e V2 abbiano

valori positivi, che i coefficienti aij siano positivi o nulli e che m sia positivo, otterremo i prezzi di equilibrio alla produzione. Tuttavia, le soluzioni così ottenute non avranno necessariamente valori positivi, come devono invece avere i prezzi di equilibrio. Per poter ottenere valori positivi, i coefficienti aij ed m in queste equazioni non devono semplicemente essere positivi o pari a 0, devono anche soddisfare condizioni più specifiche che saranno descritte in seguito. Se tali condizioni vengono soddisfatte, si può dire che i coefficienti di produzione aij sono «redditizi» al tasso di mark-up m. Vale a dire, si tratta del caso in cui esiste una speciale combinazione di prezzi positivi (p1*, p2*) che determina le disuguaglianze

Questa è la definizione di redditività dei coefficienti aij a m. Se esiste questo p* = (p1*, p2*) e se p1* e p2* fossero resi proporzionalmente alti abbastanza, la differenza tra il membro a destra e quello a sinistra delle disuguaglianze aumenterebbe, quindi, per p1** e p2** sufficientemente alti, si avrebbero le seguenti disuguaglianze:

Qui p1** = kp1*, p2** = kp2*, e k è un fattore di proporzionalità sufficientemente grande. Se si fissano i prezzi p**, le aziende che fanno i prodotti 1 e 2 sono tutte in grado di sostenere i loro costi e inoltre potranno considerare un mark-up percentuale maggiore di m. Quindi le aziende saranno «redditizie» a m.

Esistenza dei prezzi di equilibrioNella figura 17, p1 è sull'asse orizzontale e p2 su quello verticale. La (3) si determinerà al

punto p*, e la (4) al punto p**. Se fissiamo p2** nella prima equazione della (4), e diminuiamo p**,

p1a11 + p2a21 +V1; p1a12 + p2a22 +V2

p1 = 1+m( ) p1a11 + p2a21 +V1[ ]p2 = 1+m( ) p1a12 + p2a22 +V2[ ]

p*1 > 1+m( ) p*

1a11 + p*2a21!" #$

p*2 > 1+m( ) p*

1a12 + p*2a22!" #$ 3( )

p**1 > 1+m( ) p**

1a11 + p**2a21 +V1!" #$

p**2 > 1+m( ) p**

1a12 + p**2a +V2!" #$ 4( )

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si determinerà a p1’. p1’ è il prezzo di equilibrio parziale del prodotto 1 quando p2 = p2**. Questo è maggiore del prezzo di equilibrio parziale p1’’ con p2 = 0(6), cioè

Siano questi punti dove si hanno i prezzi di equilibrio parziale a = (p1’, p2**) e b = (p1’’, 0). Come mostrato nella figura 17, b deve trovarsi sotto e a sinistra di a. Nello stesso modo possiamo ottenere anche per il prodotto 2 i punti di equilibrio parziale c = (p1**, p2’) se p1= p1**, e d = (0, p2’’) se p1= 0. Dato che si può dimostrare che p2’ > p2’’ > 0, d si troverà sotto e a sinistra di c.

Dato che la curva del prezzo di equilibrio parziale del prodotto 1 congiunge a con b, e quella del prodotto 2 congiunge c con d, entrambe le curve devono intersecarsi entro il quadrante positivo, e la loro intersezione sarà al punto p° che è il punto di equilibrio generale dei prezzi alla produzione. Così, se i coefficienti aij e m soddisfano le condizioni di redditività, esisteranno prezzi positivi di equilibrio alla produzione, e per contro, qualunque prezzo sia considerato, se non si verifica la (3), allora non si avranno prezzi di equilibrio. I coefficienti di produzione dipendono dal livello della tecnologia, ma il mark-up percentuale è fissato in base a considerazioni di carattere economico. Se le imprese esigono tassi molto alti, saranno «non redditizie» qualunque siano i prezzi, quindi non si determineranno mai prezzi di equilibrio alla produzione che siano «coerenti». Questo fatto pone un limite superiore al valore che m può assumere.

p '1 = 1+m( ) p '1 a11 + p

**2a21 +V1!" #$ (5)

p ''1 > 1+m( ) p ''

1a11 +V1!" #$ 6( )

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Le ripercussioni delle fluttuazioni dei prezzi alla produzioneSe applicano seriamente il metodo del valore corrente per stimare i costi, le imprese devono

calcolare e ricalcolare i costi ai prezzi più recenti e rivedere i prezzi dei prodotti. Come risultato di questi «calcoli iterativi» i prezzi che le imprese fissano per i prodotti si avvicineranno ai prezzi di equilibrio dei prodotti. Naturalmente, non ci sarà una convergenza perfetta, pertanto i prezzi effettivi differiranno in qualche misura dai loro valori di equilibrio. Comunque, analizzando come variano i prezzi di equilibrio, si dovrebbe riuscire a individuare le direzioni fondamentali in cui fluttuano i prezzi correnti.

Ora, se varia V1 come possono variare i prezzi di equilibrio p1°, p2°? Vl include, oltre ai costi fissi, i costi da sostenere per acquistare beni del gruppo II (beni indiretti i cui prezzi sono determinati da scambi concorrenziali) e del gruppo III (fattori primari di produzione come lavoro, ecc). Per esempio, se aumentano i prezzi dei beni del gruppo III, necessari per la produzione del prodotto 1, ma non impiegati per la produzione del prodotto 2, o se aumentano solo i salari pagati dalle imprese che fanno il prodotto 1, aumenterà soltanto V1, mentre V2 rimarrà invariato. Dato che un tale incremento di V1 farà aumentare il valore delle soluzioni p1’ e p2' della (5) e della (6), i punti a e b della figura 18 si sposteranno verso destra nelle posizioni a' e b'. Di conseguenza, la nuova curva di equilibrio parziale del prodotto 1 sarà data dalla retta tratteggiata che attraversa a', b'. Il nuovo punto di equilibrio si troverà all'intersezione p' di questa retta con la curva di equilibrio parziale cd del prodotto 2. Se indichiamo con ∆p la differenza p'-p° tra il nuovo punto di equilibrio e quello vecchio, possiamo derivare immediatamente dalla figura 18 la validità delle tre leggi di Hicks:

(i) II prezzo del prodotto 1, il cui costo V1 è cresciuto, aumenterà. ∆p1>0.(ii) II prezzo del prodotto 2, il cui costo non cresce direttamente, aumenterà anch'esso. ∆p2>0.(iii) II tasso di crescita del prezzo del prodotto 1 sarà maggiore di quello del prezzo degli altri

prodotti. ∆p1/p1 > ∆p2/p2.

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Quest'analisi si basa sul fatto che i beni del gruppo I, i cui prezzi sono fissati in base al criterio del costo pieno, sono di due tipi soltanto. Ma si può fare un'analisi simile per quanti siano i tipi di prodotti, e dimostrare che la (ii) e la (iii) sono valide anche per tutti gli altri tipi di beni, non importa quanti ne esistono. Hicks spiegò che le fluttuazioni dei prezzi si ripercuotono, secondo questre tre leggi, sui beni del gruppo II, ma, come dimostrano la (i), la (ii) e la (iii), valgono leggi analoghe sulle variazioni dei prezzi anche per i beni del gruppo I.

4 Le teorie tradizionali: la teorìa della produttività marginale e la teoria del valore-lavoro

Le due teorie ortodosseIn economia la teoria che i prezzi alla produzione sono determinati in base al criterio del costo

pieno non rappresenta però la corrente dominante del pensiero contemporaneo. La situazione si presenta invece così: una parte del mondo economico considera ortodosse le teorie marginaliste della scuola neoclassica, mentre l'altra parte considera ortodosse le teorie degli economisti classici (Ricardo, Marx o Sraffa) basate sulla teoria del valore-lavoro. Come si differenzia allora da queste teorie il criterio del costo pieno?

Come vedremo più chiaramente in seguito, la nostra teoria si colloca tra queste due contrapposte teorie ortodosse. Sotto un aspetto si avvicina alla scuola neoclassica e sotto un altro a quella classica. A causa della sua posizione intermedia tra le due, la nostra teoria potrà forse soffrire il destino di essere aborrita da tutti coloro che si ritengono ortodossi, proprio come si odiano talvolta parenti molto stretti. Tuttavia, è di estrema importanza quel particolare connotato che ci differenzia dai nostri parenti. Ignorare questo significherebbe tornare ai nostri antenati neoclassici o classici, e persistere negli errori fatti da loro.

Il marginalismo neoclassicoCominciamo con gli economisti neoclassici. La loro concezione base è la stessa del criterio

del costo pieno, che include una «curva del costo medio a forma di U» e una «curva di domanda» x(p). Quest'ultima descrive come varia la domanda del prodotto dell'azienda al variare del prezzo. Ma la teoria neoclassica dell'impresa impiega di solito una curva inversa di domanda p(x), con la domanda attesa come variabile indipendente e il prezzo come variabile dipendente, invertendo così la relazione. Questo prezzo mostra a quanto occorre vendere se ci si vuole disfare di tutta la produzione x. Dato che si deve abbassare il prezzo se si vogliono vendere più prodotti, il coefficiente differenziale di p(x), p'= dp/dx, sarà negativo.

Il ricavo totale delle vendite R è dato da p(x)x, il costo totale C da c(x)x, e il profitto ∏ da R-C.

Calcolando il differenziale rispetto a x, avremo

(i) ! = R "C, (ii) R = p(x)x, (iii) C = c(x)x

(i') ! ' = R '"C ', (ii') R ' = p 'x + p, (iii') C = c '(x)+ c

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ma se il profìtto marginale ∏' (cioè, il profitto addizionale ottenuto con una unità di prodotto addizionale x) è positivo, i profitti sono in aumento; se è pari a 0, i profitti rimangono invariati e se è negativo i profitti sono in diminuzione.

Nel caso in cui i profitti siano stati inizialmente in aumento, poi siano rimasti temporaneamente stazionari, e siano infine diminuiti, i profitti più alti saranno quelli al punto in cui sono rimasti stazionari. Pertanto avremo ∏' = 0 come condizione per avere il massimo profitto, cioè R'=C’. Più precisamente, al punto di massimo profitto il ricavo marginale (cioè il ricavo addizionale ottenuto con una unità di prodotto addizionale) sarà pari al costo marginale (cioè all'aumento del costo totale per ottenere una unità di prodotto addizionale).

Poiché p'<0, il ricavo marginale R' della (ii') sarà minore del ricavo medio p. Cioè, la curva del ricavo marginale che mostra come varia R'(x) al variare di x, si troverà sotto p(x), la curva del ricavo medio (o curva inversa di domanda). In modo analogo, la curva del costo marginale si troverà sotto la curva del costo medio quando i costi medi sono decrescenti (c'<0), dalla (iii'), e sopra quando i costi medi sono in aumento (c'>0). Così, al punto di svolta dove la curva del costo medio comincia a essere crescente e i costi medi sono al minimo (c'=0), la curva del costo marginale e la curva del costo medio si intersecheranno (C'=c).

Rappresentando graficamente questo discorso, otteniamo la figura 19. Come abbiamo già detto, il volume di produzione x0 corrispondente al punto di intersezione a tra la curva del ricavo marginale e la curva del costo marginale è quello che permette di massimizzare i profitti. Secondo la scuola neoclassica, l'impresa produrrà x0 - quando il costo medio di produzione sarà c0 = c(x0) - e venderà x0 al prezzo p0 = p(x0) per realizzare il profitto p0-c0 per unità di prodotto. Se indichiamo con k0 il rapporto tra profitti e costi medi, allora

VariantiQuanto descritto sopra rappresenta la base della teoria neoclassica dell'impresa. Ne esistono

però due importanti varianti, quando cioè la curva del ricavo marginale è orizzontale e quando è ad angolo. Nel caso neoclassico di concorrenza perfetta, la produzione di ogni impresa corrisponde solo a una parte estremamente piccola della domanda globale della società e, se il prezzo è fisso, l'azienda può prevedere una domanda infinitamente grande. Di conseguenza, per quanto riguarda l'impresa, è come se non ci fosse nessuna restrizione alla domanda dei suoi prodotti, a parte quella di dover vendere ogni unità di prodotto allo stesso prezzo fisso. Soddisfatta questa condizione, il ricavo marginale è una costante, quindi la curva del ricavo marginale è orizzontale e invece del diagramma della figura 19 avremo quello della figura 20. L'impresa massimizzerà i profitti al punto in cui il costo marginale e il prezzo fisso p0 sono uguali.

Imprese estremamente pessimistiche avranno una curva del ricavo marginale ad angolo. Nella figura 19 abbiamo rappresentato una funzione della domanda decrescente basandoci sull'ipotesi che la domanda, che probabilmente si perderà aumentando il prezzo di una unità oltre p0, sia pari alla domanda extra che si avrà abbassando il prezzo di una unità sotto p0. Però un'impresa più pessimistica penserà di perdere un'enorme parte della domanda se alza il prezzo e di vederla aumentare solo di una minuscola frazione se abbassa il prezzo.

La curva del ricavo marginale, in casi del genere, sarà piegata ad angolo al punto in cui si raggiunge la produzione x0, come nella figura 21. Va da sé che i profitti saranno massimizzati all'intersezione di questa curva ad angolo del ricavo marginale con la curva del costo marginale (7).

p° = (1+ k° )c°

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Tutto quello che la teoria neoclassica sopra esposta si limita a spiegare è come viene determinato il volume di output e il prezzo, quando l'impresa elabora il piano di produzione per massimizzare i profitti. Sulla concorrenza tra le imprese, la teoria non riesce a dire nulla, nemmeno nel caso di concorrenza perfetta. Pertanto, possiamo considerare questa teoria più o meno corretta solo in caso di monopolio, quando non esiste nessuna impresa concorrente, o se l'impresa produce per un mercato perfettamente organizzato - il che significa che accetta i prezzi fissati dal mercato e non pensa di certo di cimentarsi in una vera concorrenza sul prezzo. E in effetti, il prototipo della teoria neoclassica della figura 19, presentato per la prima volta da Cournot come teoria del

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monopolio, non conteneva nessun elemento di concorrenza sui prezzi (8). D'altro lato, anche nel caso della figura 20, la curva orizzontale del ricavo marginale, che è presentata come «Teoria della concorrenza pura», non ha nemmeno essa elementi di concorrenza sui prezzi. Ogni impresa accetta il prezzo stabilito sul mercato e si limita a reagire a esso.

Così la teoria neoclassica è una teoria senza guerra dei prezzi. Ma quando esistono dei concorrenti, anche se ogni azienda mira a massimizzare i profitti e così il volume della produzione è determinato secondo la formula neoclassica, non passerà molto tempo prima che scoppi una «guerra dei prezzi» tra le imprese. Gli eventi prenderanno allora il corso spiegato nei paragrafi seguenti.

La guerra dei prezziPer ogni impresa esiste un limite minimo al disotto del quale non può far scendere il mark-up

se vuole continuare a esistere. Sia m questo limite. Quindi il mark-up dell'impresa deve essere almeno pari a m o maggiore. Se è inferiore, e si prevede che non aumenti per un lungo periodo, l'impresa può essere costretta a chiudere. Rimandiamo all'ultima parte del Capitolo 5 la spiegazione sulla determinazione del valore di m. Qui ci limiteremo a esaminare che tipo di situazione viene a crearsi se a m viene dato un valore diverso da k0 , il tasso di mark-up al punto di massimizzazione dei profitti secondo la teoria neoclassica.

Innanzitutto, k0 può non essere pari a m. Ci sono casi in cui k0 è minore o maggiore di m. Per cominciare, se k0 <m, anche se l'impresa produce il volume di output x0 che massimizza i profitti, non riuscirà a realizzarne abbastanza per sopravvivere e probabilmente sarà posta in liquidazione e venduta. Così, l'impresa non produrrà in effetti nulla (x=0). Cioè, se k0 < m, x=0 anche se x0 >0.

In secondo luogo, che situazione può svilupparsi se k0 >m? Supponiamo che due imprese A e B dello stesso tipo - cioè con la stessa curva di costo e la stessa curva di domanda - operino seguendo i principi neoclassici. Produrranno una quantità x0 che massimizza i profitti, e la venderanno al prezzo p0 =p(x0), applicando un mark-up k0 tale che p0 =(1+ k0)c0, dove c0 =c(x0).

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Tuttavia, le due imprese saranno capaci di operare secondo i principi neoclassici di massimizzazione dei profitti solo fino a questo punto, oltre il quale scoppierà subito inevitabilmente la guerra dei prezzi. Cioè, quello che permette ad A e a B di vendere x0 a p0 è il fatto che entrambe applicano lo stesso prezzo. Se i prodotti di A fossero meno cari di quelli di B, i clienti di quest'ultima si riverserebbero tutti su A, e A riuscirebbe a vendere almeno 2x0 dei suoi prodotti. Cioè, fissando k0 > kA>m, supponiamo che A venda il suo prodotto x0 al prezzo

Così facendo i profitti derivati dalla vendita di x0 diminuiranno momentaneamente. Tuttavia, dato che i clienti di B faranno ressa da A perché vende a prezzi meno alti, se A espande la produzione da x0 a 2x0, riuscirà a realizzare profitti maggiori grazie al maggiore volume di vendita e al minore margine di profitto.

Tuttavia, l'aumento della produzione da x0 a 2x0 può far salire notevolmente i costi medi di produzione. Allora non sarà certamente una buona politica aumentare la produzione fino a 2x0. A dovrebbe limitare l'aumento in modo da non dover sopportare un incremento significativo dei costi medi. Cioè dovrebbe produrre un output nx0 tale che c(x0)-c(nx0) non abbia un valore negativo troppo grande (dove 1<n≤2). In questo caso, purché i prodotti siano venduti al prezzo pA i profitti saranno

cioè maggiori di ∏ = k0c0 x0, il profitto realizzato quando era prodotta e venduta solo la quantità x0 prima della riduzione dei prezzi. Infatti, se consideriamo la (7), la differenza tra i due livelli di profitto sarà

Dato che l'espressione entro la seconda coppia di parentesi quadre di questa equazione assumerà solo un valore negativo che si potrà ignorare, dipenderà dal valore positivo o meno della prima coppia di quadre se ∏n sarà maggiore di ∏0. Se kA ha un valore sufficientemente vicino a k0, questo valore sarà necessariamente positivo, quindi avremo ∏n>∏0 (9). Cioè, se l'impresa A è soddisfatta del margine di profitto kA, più basso di k0, sottrarrà clienti a B e aumenterà le sue vendite fino a nx0, potendo così realizzare un profitto ∏n molto maggiore del profitto massimo ∏0 che avrebbe realizzato se non ci fosse stata nessuna guerra dei prezzi. Quindi per A vale la pena di dichiarare guerra.

Di fronte alla sfida di A, l'impresa B è costretta a entrare in guerra e, finché continua a vendere a p0, perderà la domanda (n-l)x0 a tutto vantaggio di A e vedrà i suoi profitti ridursi a k0c0

(2-n)x0(10). Per mantenere la domanda al suo precedente livello B deve seguire l'esempio di A e abbassare il prezzo pB dei suoi prodotti al punto di pA. In tal caso, i profitti di A saranno kAc0x0, perché i clienti che avevano abbandonato B torneranno sui loro passi. Allora A, per attirare una seconda volta questi clienti di B, può ancora abbassare il suo mark-up da kA a k'A. Solo così facendo riuscirà a raggiungere un livello di profitti superiore a kAc0x0.

B a sua volta risponderà al nuovo attacco rendendo k'B=k'A. Così, una volta provocata una

pA = (1+ kA )c° (7)

! = pAnx0 " c nx0( )nx0

!n "!0 = nkA " k0#$ %&c

0x0 + c0 " c nx0( )#$ %&nx0 (8)

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guerra dei prezzi per cercare di realizzare grosse vendite tramite bassi margini di profitto, le imprese continueranno ad abbassare il mark-up finché kA e kB sono maggiori di m. Quando alla fine il loro valore si avvicinerà a m, la guerra dei prezzi sarà gradualmente portata a termine perché una ulteriore riduzione del mark-up renderebbe impossibile alle imprese sopravvivere. Va da sé che, per entrambe le imprese, la situazione successiva alla guerra sarà chiaramente peggiore che non prima delle ostilità quando i profitti erano massimizzati (11). Tuttavia, una guerra dei prezzi sarà inevitabile finché le imprese sono indipendenti e competitive, e non sarà loro possibile evitarla se non formando un cartello e sostenendo assieme i prezzi (12).

Se l'industria è competitiva, il mark-up percentuale delle imprese concorrenti dovrebbe essere pari al tasso m che rende possibile la loro esistenza. Se consideriamo k il mark-up effettivo di un'impresa, si avrà k>m solo se l'impresa è un monopolio oppure se forma un efficiente cartello con altre imprese dello stesso settore. Possiamo riuscire a calcolare il grado di monopolio esercitato da un'impresa con il rapporto (k-m)/(k0 — m). In base a questo indice, quando k=k0, cioè quando il mark-up percentuale attuale è uguale a quello che permette il massimo profitto, il grado di monopolio è 1; e quando k=m, cioè quando l’impresa deve accontentarsi di un mark-up che le permette semplicemente di sopravvivere, il grado di monopolio è 0. La maggior parte delle imprese che detengono un monopolio o che fanno parte di un cartello, nonostante la loro posizione devono accontentarsi di un mark-up percentuale molto inferiore al k0 della scuola neoclassica, a causa della pressione dei consumatori, dei mass-media e delle restrizioni legali.

RicardoEconomisti classici come Smith, Ricardo e Marx ritenevano che i prezzi eguagliassero i «costi

di produzione», vale a dire i costi di produzione maggiorati dei profitti medi, cioè i prezzi alla produzione. Il criterio del costo medio può esser considerato una versione risuscitata della teoria classica dei costi di produzione.

Consideriamo un'economia formata da un settore agricolo, un settore di beni di consumo e uno di beni capitali. Indichiamo questi settori con i numeri 1, 2, 3. Il settore dei beni capitali (3) produce macchine che servono per ogni uso, come trattori nel settore agricolo, come filatoi nel settore dei beni di consumo, e come robot montamacchine nello stesso settore dei beni capitali. Siano a1i, a2i, a3i, li i coefficienti di produzione dell'i-esima industria; a1i, a2i rappresentano la quantità di prodotti agricoli e di beni di consumo necessari per produrre una unità dell'i-esimo prodotto; e a3i e li rappresentano il numero di macchinari e di lavoratori necessari anch'essi per produrre una unità dell'i-esimo prodotto. Se sono prodotte 1000 unità dell'i-esimo prodotto da una sola macchina, il numero di macchine per unità di prodotto a31 sarà 1 macchina/1000 unità.

Possiamo scrivere le equazioni dei costi di produzione (equazioni del costo pieno) per i tre settori, rispettivamente, così:

Per gli economisti classici, il compito della loro teoria del prezzo è di spiegare da che cosa sono determinati i rapporti di scambio tra prodotti di diversi settori (cioè i prezzi relativi — per esempio p1/p2, ecc), e a che livello si fissano questi rapporti. Dato il tasso di mark-up (o il «tasso di profitto» degli economisti classici) m e il tasso di salario w, possiamo risolvere queste equazioni rispetto ai prezzi p1, p2, p3 e dividerli l'uno per l'altro per trovare il rapporto di scambio p1/p2.

p1 = 1+m( ) p1a11 + p2a21 + p3a31 +wl1[ ]p2 = 1+m( ) p1a12 + p2a22 + p3a33 +wl3[ ] (9)

p3 = 1+m( ) p1a13 + p2a23 + p3a33 +wl3[ ]

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Tuttavia, gli economisti classici non erano soddisfatti di queste soluzioni matematiche. Ricardo dice

Il valore di scambio delle merci prodotte è in ragione del lavoro impiegato nella loro produzione; non soltanto nella loro produzione diretta, ma anche nella produzione di tutti gli attrezzi e di tutte le macchine di cui v'ha bisogno per rendere efficiente il lavoro (13).

Cioè, se indichiamo con λt la quantità di lavoro richiesta per produrre un'unità del bene i, il prezzo relativo pi/pj sarà uguale alla relativa quantità di lavoro richiesta λ1/λ2 che è la teoria del valore-lavoro di Ricardo.

Di che consistenza è allora la quantità di lavoro λl, λ2, λ3 necessaria per produrre una unità di ciascun bene? Cominciamo la nostra spiegazione da λl. Per avere una unità di prodotto agricolo netto, non solo dovremo produrre beni di consumo e macchine, ma dovremo anche produrre più di una unità di prodotto agricolo (per l'effetto del moltiplicatore). La ragione di questo è che abbiamo bisogno di prodotti agricoli, beni di consumo e macchine per avere prodotti agricoli, pertanto dobbiamo produrre anche questi beni di consumo e queste macchine. Per essere in grado di farlo, ci occorreranno prodotti agricoli, beni di consumo e macchine addizionali. Così l'incremento di una unità di prodotto nel settore agricolo avrà ripercussioni sui settori che producono beni di consumo e macchinari, e queste ripercussioni a loro volta si faranno risentire ulteriormente sull'agricoltura. Sia X1, X2, e X3 il prodotto di ciascun settore necessario per produrre una unità di prodotto agricolo netto. Il volume di produzione agricola necessaria per avere questi prodotti sarà allXl, a12X2 e a13X3, e così la produzione del settore agricolo X1 deve coprire queste necessità e inoltre creare una unità extra (il prodotto netto). Nel caso dei beni di consumo, non c'è bisogno di produrre un prodotto netto, e sarà sufficiente che X2 copra semplicemente il volume dei beni di consumo a2lX1, a22X2, a23X3, necessario per produrre X1, X2, X3. Lo stesso dicasi per il settore che produce macchinari. Quindi

Inoltre, dato che le quantità di lavoro l1Xl, 12X2, 13X3 sono necessarie per produrre X1, X2, X3 rispettivamente, la quantità di lavoro λl richiesta per fare una unità di prodotto agricolo netto sarà data da

Per ottenere la quantità di lavoro necessaria per produrre una unità dei beni di consumo, sostituiamo 1 con 0 nella prima equazione della (10) e 0 con 1 nella seconda, mantenendo 0 nella terza; poi risolviamo la nuova serie di equazioni rispetto alle Xi e sostituiamo i valori ottenuti nella (11) per avere λ2. Il valore-lavoro delle macchine può essere calcolato in modo simile.

Si può dimostrare che i valori-lavoro λ1, λ2, λ3, ottenuti in questo modo sono uguali alle soluzioni delle seguenti equazioni (14):

X1 = a11X1 + a12X1 + a13X1 +1X2 = a21X2 + a22X2 + a23X2 + 0 (10)X3 = a31X3 + a31X3 + a33X3 + 0

!1 = l1X1 + l2X2 + l3X3 (11)

!1 = !1a11 + !2a21 + !3a31 + l1!2 = !1a12 + !2a22 + !3a32 + l1 (12)!3 = !1a13 + !2a23 + !3a33 + l1

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Se scriviamo in questa forma le equazioni per determinare il valore-lavoro, quello che Ricardo sostiene diventa chiaro. Egli sostiene che i rapporti tra i prezzi ottenuti risolvendo le (9) siano uguali ai corrispondenti valori ottenuti risolvendo le (12), ma è chiaro che in certi casi questo è vero, in altri no (15). Ricardo stesso ne era pienamente consapevole, ma, per lo più, nei suoi Principi presuppone che «tutte le intense variazioni che si determinano nel valore relativo delle merci siano originate dalle variazioni in più o in meno, che, da un'epoca all'altra, si determinano nella quantità di lavoro che occorre per produrle» (16). Egli si limitò a sottolineare esempi dove però le sue teorie non sarebbero più valide.

Marx

Fu Marx a elaborare le ipotesi alle quali sarebbe valida la teoria del valore-lavoro di Ricardo. A parte le economie capitalistiche, Marx considerò società che erano ancora nella fase in cui i lavoratori e i capitalisti non formavano gruppi separati, e le chiamò società a produzione semplice di beni. In tali società i profitti e i salari non sono differenziati, e il surplus va completamente ai produttori (cioè ai lavoratori). Se in tali società dovessero sorgere differenze nei tassi di reddito guadagnati per unità di lavoro nei diversi settori, i produttori probabilmente si sposterebbero dai settori con un basso tasso di reddito a quelli con un alto tasso di reddito, fermandosi solo quando questo tasso fosse diventato uguale in tutti i settori. Cioè, le equazioni ottenute ponendo m = 0 nelle (9) costituirebbero le equazioni dei prezzi di una società statica, basata sulla produzione semplice. (Si noti che in tali equazioni w non rappresenta più il saggio del salario ma il tasso di reddito ottenuto per unità di lavoro dei produttori.) Paragonando queste equazioni dei prezzi con le equazioni di determinazione del valore (12), ci renderemmo subito conto che pi/w=λ1, quindi che pi/pj= λi/λj. Cioè, la teoria del valore-lavoro di Ricardo è del tutto corretta nel caso di una società statica, basata sulla produzione semplice.

Ma una società di questo tipo non è capitalistica. In una società capitalistica m sarebbe positivo, e perché la teoria del valore-lavoro sia valida quando m>0, i coefficienti di produzione aij devono soddisfare una condizione particolare. Marx chiamò il rapporto tra il lavoro indiretto incluso nel prodotto i e il lavoro diretto, cioè (λ1a1i+λ2a2i+λ3a3i)/li, composizione organica del capitale di quel prodotto, e dimostrò che la teoria del valore-lavoro era corretta nel caso e solo nel caso in cui le composizioni organiche del capitale di tutti i prodotti fossero uguali tra loro (17). Dato che questa condizione è molto rigida, la teoria del valore-lavoro sarà valida in una società capitalistica solo in casi eccezionali. Contrapponendosi a Ricardo, che pensava che la teoria del valore-lavoro fosse sempre valida tranne in casi eccezionali, Marx riteneva invece che normalmente non fosse valida.

Cosi Marx abbandonò la teoria del valore-lavoro di Ricardo, mantenendo però il concetto di valore λi. In base a questo concetto spiegò come, in una società capitalistica, i lavoratori sono sfruttati dai capitalisti, indicando così che «lo sfruttamento è l'unica fonte di profitto». Ho chiamato questo concetto il teorema marxiano fondamentale, ma non mi addentrerò in questo libro nelle sue dimostrazioni matematiche (18).

Marx ha così utilizzato il concetto di valore-lavoro per dimostrare che si crea profitto quando e solo quando c'è sfruttamento. Per Marx, la teoria del valore-lavoro non è più, come era per Ricardo, una teoria dei prezzi. È indispensabile per la teoria dello sfruttamento, sulla cui base Marx fonda rigorosamente la sua teoria del profitto. Inoltre, egli riconosce ovviamente che i prezzi relativi si discostano in genere dai valori relativi. In questo senso si può dire che Marx è chiaramente superiore a Ricardo, ma sotto altri aspetti la sua teoria ha gli stessi punti deboli di quella di Ricardo. Entrambi ritenevano che i prezzi fossero determinati dai costi di produzione -

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cioè in base al criterio del costo pieno. Tuttavia, nell'economia reale, i prezzi di un gruppo di prodotti sono stabiliti in base a scambi concorrenziali per cui esistono dei mercati. L'economia reale è un'economia mista e dagli aspetti molteplici, fondata sia sul criterio del costo pieno che sul mercato concorrenziale. Ricardo e Marx, puristi nelle loro teorie, ignorarono entrambi questo fatto, e costruirono un modello «unitario» restando costantemente aderenti a un principio unico (19).

5 Come dovremmo considerare le teorie tradizionali dell'impresa?

Monopolisti, aziende in concorrenza perfetta e piccoli proprietariVorrei aggiungere alcune considerazioni personali sulle teorie dell'impresa formulate in

passato. Divido i prodotti in due gruppi: il primo consiste soprattutto di prodotti del settore manifatturiero che non hanno nessun mercato (borsa) perfettamente organizzato, e il secondo consiste di prodotti (agricoli, forestali, ittici ed estrattivi) che hanno simili mercati. Con i prodotti del gruppo I l'attività produttiva, se monopolizzata da una singola impresa, può esser spiegata dalla teoria classica del monopolio. Ma se il mark-up (la differenza tra il prezzo di monopolio e il costo medio divisa per il costo medio) deciso dall'impresa è estremamente alto, l'azienda, pur detenendo un monopolio, non potrà accumulare profitti tanto facilmente. A causa della pressione morale o politica da parte del governo e dell'opinione pubblica, il mark-up percentuale non può eccedere un certo tetto; date le funzioni del costo e della domanda, l'impresa è soggetta a queste restrizioni quando elabora il suo piano di produzione per massimizzare i profitti.

La teoria del criterio del costo pieno si applica anche a tutte le altre aziende che producono i beni del gruppo I. A questo riguardo, nemmeno il numero dei concorrenti rappresenta un problema. Ma, naturalmente, se ci sono pochi concorrenti sarà loro più facile agire di concerto. Così, se le imprese formano un cartello in modo più o meno esplicito, si comporteranno da monopolista nella maggior parte dei casi, ma finché rimangono concorrenti, si faranno una concorrenza spietata (anche se sono solo in due). La guerra dei'prezzi che scoppierà può standardizzare i loro mark-up percentuali al valore minimo.

I prezzi dei beni del gruppo II invece non saranno stabiliti dalleimprese singole ma dai mercati. Questi prezzi saranno poi dichiarati equi per quel periodo e

prevarranno anche fuori mercato. Che le imprese vendano o meno sui mercati, aggiusteranno comunque la quantità che producono per massimizzare i profitti con il prezzo ufficiale stabilito sul mercato come un dato. In conformità con le condizioni di equilibrio della «concorrenza perfetta» neoclassica, dove il costo marginale è uguale al prezzo, le imprese aumenteranno (diminuiranno) le loro quantità prodotte se il prezzo del prodotto aumenta (diminuisce). Quindi l'offerta dei beni del gruppo II sarà funzione crescente dei loro prezzi.

Inoltre, bisogna considerare che nella società moderna esiste la figura del piccolo proprietario. Pur possedendo la terra, le attrezzature e le macchine necessarie per la produzione, è egli stesso un lavoratore. Per costui il reddito da capitale non si differenzia dal reddito da lavoro. Il suo reddito consiste di quanto rimane sottraendo dal prezzo del prodotto i costi sostenuti nella produzione. Quindi la sua equazione del reddito sarà

(dove w indica il tasso combinato indifferenziato di reddito per un'unità di lavoro dei piccoli proprietari). Se riformulata, questa equazione corrisponde a quella del valore (9) di Marx, relativa a una società basata sulla produzione semplice. Se questi piccoli proprietari producono insieme tra di

wli = pi ! p1a1i ! p2a2i ! p3a3i

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loro le merci che essi stessi consumano nel processo produttivo e formano una società autosufficiente basata sulla produzione semplice, la teoria del valore-lavoro sarà applicabile a questa società. Però, nelle economie reali, i piccoli proprietari effettuano tutti transazioni con aziende capitalistiche (che fanno i prodotti del gruppo I o II), quindi non formano una società chiusa. Pertanto la teoria del valore-lavoro come teoria dei prezzi non sarà valida per loro.

II settore flex price, o di aggiustamento del prezzo, e il settore fìxprice, o di aggiustamento della quantità

Se tralasciamo i piccoli proprietari, possiamo vedere senza difficoltà che i meccanismi di determinazione dei prezzi del gruppo I e del gruppo II sono alquanto diversi. Nel caso dei beni del gruppo II, i prezzi dei prodotti sono stabiliti sul mercato concorrenziale. Se la domanda che si accumula sul mercato è d e l'offerta è o, allora !p = F(d(p) - o(p)) .

Dato che le imprese produrranno in modo che il costo marginale sia uguale al prezzo di mercato p0 così determinato, possiamo sommare le quantità prodotte di tutte le imprese, ottenendo così la produzione totale X(p0) di quel bene. Ora, se tralasciamo per semplicità il periodo di gestazione della produzione, è probabile che tutti i beni siano offerti al prezzo p0. D'altro lato, la domanda totale della società sarà D(p0). Se assumiamo che sul mercato ci sia un campione rappresentativo della domanda e dell'offerta totale della società, allora d(p°)=nD(p0), o(p0)=nX(p0), dove n è una frazione stabile. Quando viene raggiunto l'equilibrio di mercato, si deve avere d(p°) = o(p°), quindi D(p°)=X(p0)

Nel caso dei beni del gruppo I, la produzione è stimata quando sono fissati i prezzi, ma questa produzione è pur sempre solo una stima. Nella realtà, queste stime sono spesso errate, e la domanda effettiva sarà talvolta superiore talvolta inferiore. Se la produzione risulta insufficiente, la si aumenterà rapidamente, se è eccessiva, la si dovrà vendere col tempo. Tuttavia, nemmeno in questi casi l'impresa calcolerà nuovamente i costi medi di produzione in base a quanto produce di fatto, per ritoccare il prezzo. Continuando allora a vendere al prezzo già fissato, se aumenta la produzione l'impresa realizzerà un profitto molto maggiore di quello anticipato, perché la stima del costo fisso per unità di prodotto risulterà sopravvalutata rispetto al costo fisso per unità di prodotto realmente sostenuto. Nel caso opposto in cui le vendite reali non raggiungano il volume anticipato, il profitto si rivelerà ben presto inferiore a quello atteso e l'impresa incorrerà spesso in grosse perdite, avendo sottovalutato il costo fisso per unità di prodotto.

Le imprese che producono i beni del gruppo I devono stoccare le rimanenze se c'è un eccesso di offerta (D<X). Possono comunque limitare la produzione per evitare un gonfiamento delle scorte. Cioè !X <0. Se c'è invece un eccesso di domanda (D>X) le scorte diminuiranno e le imprese aumenteranno allora la produzione ( !X >0). Qui !X indica la produzione totale del bene, e questa produzione mostrerà una tendenza ad aumentare o a diminuire secondo che !X sia positivo o negativo. Quindi possiamo avere la funzione di aggiustamento della produzione dei beni del gruppo I(20):

Finché non si presenta nessun intoppo in questo processo di aggiustamento, i prezzi non saranno ritoccati. I prezzi verranno aggiustati se i costi sono aumentati a causa di un aumento dei salari o del costo delle materie prime. Ma, di solito, i prezzi non vengono ritoccati se l'offerta è scarsa o in eccesso. E nemmeno in altri casi, dove può sembrare che abbassare i prezzi migliori la

!X = F D ! X( )

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situazione operativa, l'impresa rivedrà i prezzi a meno che non sia messa alle corde. Questo in parte è dovuto al fatto che le perdite in cui un'impresa incorre sono compensate dagli alti profitti realizzati quando la domanda è esuberante; in parte è dovuto anche al fatto che abbassare i prezzi vorrebbe dire spargere ai quattro venti che l'impresa è alle strette, il che è molto negativo dal punto di vista dei suoi amministratori (21).

Così, dato che l'eccesso di domanda dei beni del gruppo I non sarà regolato alterando i prezzi bensì aggiustando il volume della produzione, si può dire che le imprese che producono questi beni costituiscono il settore fixprice o di aggiustamento della quantità. Per contro, quelle che producono i beni del gruppo II, formano il settore flexprice o di aggiustamento del prezzo.

Come abbiamo già detto, alla fine del XIX secolo i paesi industrializzati, con la sola eccezione della Gran Bretagna, avevano ancora un grosso settore flexprice. Al giorno d'oggi, invece, le dimensioni del settore fixprice della maggior parte dei paesi industriali sono molto più grandi di allora, e il settore flexprice sta gradualmente assumendo lo stato di settore accessorio (22).

Note(1) La domanda attesa XA dell'impresa A dipenderà non solo dal prezzo p del prodotto, ma

anche dalla domanda attesa XB dell'azienda concorrente B. Cioè, XA=fA(p, XB). In modo analogo, XB=fB(p, XA), e la curva di domanda attesa o stimata della figura 15 è ottenuta da queste due. Così,

Non solo fA è una stima soggettiva fatta da A, ma anche fB è una stima soggettiva fatta da A su quello che B probabilmente calcolerà. Al tempo stesso anche B può derivare p=hB(XB) dalle sue curve soggettivamente stimate. Si ha una situazione simile quando ci sono più di due concorrenti.

(2) I profitti saranno mc(x)x quando il volume della produzione è x. Dato che i costi totali c(x)x aumenteranno all'aumento di x, maggiore è x, maggiori saranno i profitti.

(3) Se il volume effettivo delle vendite non corrisponde a quello atteso, un'impresa può fare a meno di ritoccare i prezzi dei prodotti o ignorando il surplus di domanda o riservando al futuro l'eccesso di offerta. Comunque, un'impresa deve fare tutto il possibile per evitare questo tipo di situazioni e fissare quindi prezzi che siano il più possibile coerenti. Inoltre, come sostiene la scuola classica, anche se un'impresa fissa il suo margine in modo da massimizzare i profitti, se altre imprese vendono i loro prodotti a un margine inferiore, non rimarrà altra scelta a quell'impresa se non di ritoccare il prezzo applicando un mark-up minore. In questo modo il mark-up è forzato al ribasso fino al punto in cui i prezzi sono al minimo. Si veda l'analisi fatta più avanti (paragrafo 4 di questo capitolo) sulla concorrenza sui prezzi.

(4) La revisione dei prezzi tende a essere lenta in particolare nei paesi socialisti, dove esiste una serie di lunghe procedure formali e una mentalità burocratica per cui rivedere i prezzi, per una qualunque ragione, significherebbe ammettere che le autorità hanno sbagliato. I burocrati incaricati della pianificazione rappresentano cosi un ostacolo al raggiungimento dei prezzi di equilibrio (cioè alla fissazione di prezzi adeguati e giusti).

(5) Nota che nella (1'), per semplificare, assumiamo che p1(t0)=q1(t0).(6) Dato che p1*, p2* > 0, possiamo ottenere dalla (3)

XA = gA p( ) ovvero p = hA XA( )

p1* > 1+m( ) p*1a11 + p

*2a21!" #$ > 1+m( ) p*1a11

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e quindi 1>(1+m)a11. Se risolviamo la (5) e la (6) rispetto a p’1, p’’2, e consideriamo la condizione appena ottenuta, possiamo immediatamente dimostrare che p’1>p’’2> 0.

(7) Nel caso di concorrenza perfetta visto in precedenza, abbiamo supposto che le imprese perdano tutti i clienti se aumentano il prezzo ma anche che ne attirino un numero illimitato se lo abbassano. In altre parole, possiamo adesso considerare il problema in questi termini: in un sistema di concorrenza perfetta, le imprese sono molto pessimiste riguardo un aumento dei prezzi e troppo ottimiste circa una loro diminuzione. Un'impresa pessimista anche circa una riduzione del prezzo non dichiarerà mai una guerra dei prezzi, come vedremo più avanti.

(8) Cournot, A., Ricerche intorno ai prìncipi matematici della teoria delle ricchezze, UTET, Torino, 1878, Capitolo 5.

(9) Prendiamo pA in modo che abbia un valore maggiore del costo marginale a x0, ma sia minore di p0. Πn è funzione crescente di n a n=1. Questo può essere dimostrato nel modo seguente. Differenziando Πn rispetto a n, otteniamo

La parte del membro di destra in parentesi graffe indica il costo marginale a x0. Dato che a pA è stato dato un valore maggiore di questo, d Πn/dn è positivo a n-1; quindi Πn>Π0 poiché n>1 se pA è sufficientemente vicino a p0.

(10) Dato che 1<n<2, questo profitto sarà chiaramente minore del profitto massimo kc0x0.(11) Ogni volta che A ha ridotto kA, l'ha fatto perché anticipava un incremento dei profitti in

seguito a maggiori vendite con un margine di profitto minore. Ma poiché B reagisce rendendo pan per focaccia, tutte le mosse di A saranno annullate, e la situazione di A in definitiva sarà peggiore che non all'inizio. Se A fosse stata consapevole di questo probabilmente non avrebbe dichiarato guerra. Lo stesso dicasi per B. Se nessuna delle due aziende apre le ostilità, non ci sarà nessuna guerra dei prezzi, nel qual caso A e B saranno considerate parte di un tacito cartello.

(12) Si veda la Nota Addizionale e.(13) Ricardo, D., Principi dell'economia politica e delle imposte, trad. di R. Fubini e A.

Campolongo, UTET, Torino, 1948, pag. 16.(14) Risolvendo la (10) e sostituendola nella (11), si ha λl=L(I-A)-1e1, dove L è il vettore riga

(l1, l2, l2), A la matrice (aij) ed e1 il vettore colonna la cui prima componente è 1, e le altre sono pari a 0. Analogamente, il valore-lavoro dei beni di consumo e delle macchine può essere calcolato con la formula λ2=L(I-A)-1e2 e λ3=L(I-A)-1e3 rispettivamente. Queste tre formule possono essere trascritte insieme nella forma

dove A è il vettore riga (λ1, λ2, λ3). Alla luce del fatto che (e1, e2, e3) è la matrice identica 3x3, otteniamo dalla equazione sopra esposta

che è l'equazione (12).(15) Questa proposizione è valida se tutti i coefficienti di produzione aij sono pari a 0.

Comunque, se nel settore agricolo a11, a21, a31 sono tutti 0 e in quello dei beni di consumo e dei beni

d!n / dn = pA " c ' nx0( )nx0 + c nx0( )}{#$

%& x

0

! = L I " A( )"1 e1,e2,e3( )

! = !A + L

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capitali anche solo uno di a1i, a2i, a3i è positivo, la teoria del valore-lavoro non sarà valida. Cioè, p1/pi≠λ1/λi (i=2, 3).

(16) Ricardo, op. cit., pag. 25.(17) Per ulteriori dettagli, si veda: Morishima, M., Marx's Economic, Cambridge University

Press, 1973, pp. 82-3.(18) Ibid., pp. 63-8.(19) A questo punto un lettore potrebbe concludere che nell'economia classica e marxiana i

prezzi sono determinati dalla concorrenza, e quindi non sono fissati da nessun particolare individuo o istituzione, e che nella teoria del principio del costo pieno, invece, sono fissati dai produttori indipendentemente dalla concorrenza. Questa sarebbe un'interpretazione sbagliata di quanto ho detto nel testo, cioè che per i prodotti agricoli la concorrenza avviene soprattutto nei mercati, mentre per i prodotti manufatti avviene, in termini di percentuali di mark-up, nella cornice di riferimento del principio del costo pieno. Così i nostri prezzi sono anche prezzi competitivi.

(20) Più in dettaglio, le imprese di produzione non si trovano di fronte direttamente all'acquirente finale. Quello a cui si trovano di fronte è la domanda dei grossisti, dei supermercati, delle associazioni dei consumatori e delle società commerciali. Supponendo che questa domanda sia D', e che la domanda dell'acquirente finale sia D, possiamo esprimere il meccanismo di aggiustamento del processo distributivo dei beni del gruppo II con !X = F(D '! X), D ' = G(D ! D ') .

(21) Le imprese che producono i beni del gruppo I, anche quando sono monopoliste, se trovano che la quantità di domanda che di fatto attirano non concorda con la stima della produzione, possono lasciare i prezzi inalterati e modificare la quantità.

(22) Anche se questo è vero, dato che l'America, la Francia e l'Italia hanno ancora un vasto settore flE1price, possiamo dire che l'economia di questi paesi è un'economia mista composta di settori flexprice e fixprice. Per un modello matematico di queste economie miste si veda: Morishima, M., Walras' Economics, Cambridge University Press, 1977, Capitolo 7.

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Note addizionali

(a) La funzione aggregata del risparmio

Se il risparmio di ogni gruppo di individui è espresso con i simboli della tabella delle interrelazioni economiche (la tabella 6) del Capitolo 5, si ottiene

(i) Lavoratori: W-p1Dw1-twW (ii) Imprenditori: α∏-p1De1-teα∏(iii) Capitalisti (redditieri): Ar + rB*

r ! p1Dr1 ! tr (A

r+rB*r )

Ci sono inoltre i risparmi di:

(iv) Imprese: 1!!( )"+ H + Bi

(v) Settore estero: rp5*F + B f ! p1E1 ! p2E2 ! rB*

r

(vi) Settore pubblico:T + Bg !wNg ! p1G1 ! p2G2

(vii) Banca centrale e banche commerciali:Ab + Ac !wNb

Alla luce del fatto che Ar + Bi + B f + Ab + Ac = 0 (per una spiegazione di questa eguaglianza cfr. il Capitolo 5, sezione 4), il risparmio totale (cioè la somma di tutte le voci dalla (i) alla (vii)) è

La prima espressione entro parentesi tonde indica le retribuzioni pagate nel settore dei beni di consumo e in quello dei beni capitali, la seconda indica le imposte indirette versate da questi settori. Quindi la prima espressione tra parentesi quadre è pari al valore della produzione totale di questi settori. (Per una spiegazione più dettagliata cfr. il Capitolo 5.) Per questa ragione il risparmio totale è espresso nel modo seguente:

In base a questa formula il consumo dei lavoratori p1Dw1 e il consumo degli imprenditori p1De1 sono entrambi funzioni dei salari pagati per assicurare la produzione p1Xl + p2X2 e dei conseguenti profitti, quindi, in ultima analisi, sono dipendenti da X1 e X2. Il consumo dei redditieri p1Dr1 è invece funzione del loro reddito, cioè degli interessi che essi realizzano sui risparmi passati, ed è costante nel periodo corrente. Anche le esportazioni E1, E2 e la spesa pubblica G1, G2 possono essere considerate costanti, quindi il risparmio totale S è funzione della produzione totale dei settori X1 e X2. Vale a dire, S = f(X1, X2).

W !wNg !wNb( )+"+ H + T ! twW ! te!"! tr Ar + rB*r}{( )+ rp5*F#

$%& !

! p1D1w + p1D1

e + p1D1r + p1E1 + p1G1 + p2E2 + p2G2#$ %&

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(b) La teoria della divisione internazionale del lavoro secondo il vantaggio comparato

Sia a un paese con una produzione agricola e industriale per lavoratore di 100 e 50 unità rispettivamente e sia b un paese con corrispondenti produzioni di 120 e 160 unità. (Allora, nel paese b, se sono trasferiti all'industria i lavoratori che producono 100 unità di prodotti agricoli, essi produrranno 133 unità di beni industriali, mentre nel paese a i lavoratori che producono 100 unità di beni agricoli possono produrre solo 50 unità di beni industriali. Quindi il paese b ha un vantaggio comparato nell'industria rispetto al paese a. Però i lavoratori di b che producono 100 unità di beni industriali possono produrre solo 75 unità di beni agricoli, mentre quelli del paese a ne produrranno 200; quindi, nel settore agricolo, a ha un vantaggio comparato su b.)

Per il paese a trasferire un lavoratore dall'industria all'agricoltura significherà rinunciare a 50 unità di prodotti industriali per ottenere 100 unità di prodotti agricoli. Per il paese b trasferire un lavoratore dall'agricoltura all'industria significherà rinunciare a 120 unità di prodotti agricoli per ottenere 160 unità di prodotti industriali. Così, se il paese a espande l'agricoltura, produrrà 100 unità di beni agricoli per ogni 50 unità di beni industriali a cui rinuncia e potrà scambiare i beni agricoli addizionali con beni industriali. Se le 100 unità di prodotti agricoli sono scambiate con più di 50 unità di prodotti industriali (per esempio 80), a sarà ben felice di espandere l'agricoltura. In effetti, potrà ottenere in questo modo più unità di beni industriali (80) delle 50 a cui ha rinunciato. Analogamente, se il paese b espande l'industria, otterrà 160 unità di beni industriali per ogni 120 unità di prodotti agricoli che perde. Tuttavia, se queste 160 unità di beni industriali sono scambiate con più di 120 unità di beni agricoli (per esempio 200), b sarà ben felice di espandere l'industria. Così una ragione di scambio di 100:80 tra prodotti agricoli e prodotti industriali è vantaggiosa per entrambi i paesi e rende proficua la specializzazione. Cioè, la divisione internazionale del lavoro aumenta la prosperità di tutti e due i paesi.

(e) Rivendite, riacquisti e la funzione di eccesso di domanda

All'inizio, quando gli scambi concorrenziali cominciano, l'eccesso di domanda è dato semplicemente dalla differenza tra il volume della domanda e quello dell'offerta, ma dato che, successivamente, hanno luogo rivendite e riacquisti per annullare scambi precedenti, bisogna far attenzione ad includere nella definizione di eccesso di domanda anche la domanda di riacquisti e l'offerta di rivendite. Supponiamo ora che sul mercato dello zucchero raffinato siano già avvenute transazioni per un volume pari a T e che, essendoci stato un eccesso di domanda, il prezzo sia aumentato. Alcuni compratori, dato che il prezzo è aumentato, non saranno più disposti a continuare a comprare, quindi, probabilmente, rivenderanno T. Siccome dell'offerta complessiva O1(p1, p2) è già venduta la quantità T, la nuova offerta sarà O1(p1, p2)-T, a cui bisogna aggiungere la rivendita di T'. Le vendite totali saranno quindi O1(p1, p2)-T+T.

Dal lato della domanda i compratori, che hanno in precedenza acquistato la quantità T e che, di questa, rivendono ora T’, avranno adesso a loro disposizione T-T’. Poiché la quantità che vogliono ai prezzi pl, p2 è D1(pl, p2), cercheranno di acquistare la differenza tra Dl e T-T'. Di conseguenza, la differenza tra gli acquisti totali e le vendite totali sul mercato è [Dl(pl, p2)-(T-T’)]-[(O1(pl, p2)-T)+T’]=D1(pl, p2)-O1(pl, p2), cioè la semplice differenza tra la domanda e l'offerta, ovvero l'eccesso di domanda. Cioè, l'eccesso di domanda complessivo (la parte a sinistra dell'equazione), che appare sul mercato quando, essendo già stato effettuato un certo volume di transazioni, questo volume, tutto o in parte, viene adesso rivenduto, è pari al semplice eccesso di domanda che non include le rivendite (la parte a destra). Se p1 cala, saranno effettuate operazioni di

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riacquisto, ma questo caso è identico al precedente.Per tale ragione, il grafico delle freccette (figura 5) che mostra la direzione delle fluttuazioni

dei prezzi e che è stato tracciato in base ai semplici eccessi di domanda E1, E2, illustra anche le fluttuazioni dei prezzi che avvengono sul mercato nel corso degli scambi concorrenziali effettivi in cui si effettuano anche rivendite e riacquisti.

(d) Scambi fittizi

Se si vende senza avere i beni reali («fisici» o «effettivi»), si parla di vendita fittizia, e se si acquista senza intenzione di trattare in merci reali e si annulla di conseguenza l'acquisto con una successiva rivendita, si parla di acquisto fittizio. Nel caso di transazioni fittizie è sufficiente che i beni reali («fisici») siano disponibili il giorno di consegna convenuto. Quindi è molto difficile, se non impossibile, distinguere tra fornitori che vendono fittiziamente e fornitori che hanno le merci a disposizione per la vendita. I primi, una volta portate a termine le vendite, devono annullarle procedendo in un secondo momento a riacquistare, come descriveremo tra breve. Di conseguenza, lucreranno o ci rimetteranno la differenza. Chi è disposto a rischiare vendendo e comprando fittiziamente con l'intenzione di realizzare dei profitti dalla differenza — gli speculatori — gioca sul mercato un ruolo che è molto importante, se non quello principale.

Scambi fittizi di questo tipo sono una caratteristica essenziale dei mercati a termine. Debreu assume però che non lo siano e include le transazioni a termine nell'analisi dell'equilibrio generale. Come risultato, i suoi mercati a termine non si differenziano molto da quelli a pronti. E, naturalmente, egli si è dovuto limitare a un'analisi molto statica. Debreu, G., Theory of Value, John Wiley & Sons Inc., New York, 1959.

(e) La guerra dei prezzi

Le guerre dei prezzi sono state discusse per la prima volta da Bertrand, J., «Review of Cournot, "Recherches"», Journal des Savants, 1883, p. 503. Edgeworth sosteneva che i prezzi, nel duopolio, aumentano dopo una guerra a colpi di loro riduzioni, e che fluttuano così ripetutamente. Invece Chamberlin era dell'opinione che esiste un limite inferiore alle riduzioni dei prezzi e che, anche se i concorrenti sono solo due, la concorrenza nell'abbassare i prezzi termina una volta raggiunto questo limite. Cfr. Edgeworth, F. Y., «La teoria pura del monopolio», Giornale degli Economisti, 1897; Chamberlin, E. H., The Theory of Monopolistic Competition, Harvard University Press, 1933, Capitolo 3 [trad. it.: Teoria della concorrenza monopolistica, Firenze, La Nuova Italia, 1961]. Anche se le basi della mia discussione sono senz'altro diverse, le mie conclusioni si avvicinano più a Chamberlin che a Edgeworth.

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