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La chiesa di Santa Maria Maddalena in Cremona

La chiesa di Santa Maria Maddalena a Cremona

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NUMERO SPECIALE 16

in copertina:Santa Maria Maddalena, particolare del polittico

di Tommaso Aleni

Santa MariaMaddalena

Cremona - via XI Febbraio

La chiesa è aperta al pubblicograzie ai Volontari per il Patrimonio Culturale del

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La chiesa di Santa Maria Maddalenain Cremona

fotografie di

Roberto Caccialanza

Mariella Morandi

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La pubblicazione di questo volumetto dedicato alla chiesa di S. Maria Maddalena in Cremona, una delle chiesepiù antiche della città, come numero speciale della rassegna CREMONA, intende promuovere Cremona e il terri-torio dal punto di vista culturale e turistico.

Un’iniziativa che rappresenta un nuovo tassello utile a consolidare l’immagine di Cremona quale città d’arte.Ad un ricco patrimonio di monumenti artistici si affiancano infatti tradizioni di alto valore culturale, come lamusica e la liuteria, aspetti tutti fortemente legati a quel concetto di ‘arricchimento emozionale’ che sempre piùviene ad assumere un ruolo determinante nella scelta di una meta turistica.

Tra chiese, piazze, palazzi, musei, il teatro, le suggestioni delle botteghe liutarie e dei luoghi della liuteria e deipercorsi del gusto legati ai nostri prodotti tipici, gli itinerari turistici percorribili possono davvero essere infiniti.

La Camera di Commercio, le istituzioni locali, le forze economiche sono pienamente consapevoli dell’importan-za che il turismo può rivestire quale fattore di sviluppo per il nostro territorio: di qui un impegno costante per favo-rire una sua migliore identificazione come Distretto culturale e Distretto della musica.

Ma questa pubblicazione intende anche sottolineare il valore artistico della chiesa e l’importanza di un interven-to finalizzato ad impedire il preoccupante e progressivo stato di degrado di uno dei gioielli artistici di Cremona.

Sono convinto che una campagna di sensibilizzazione - realizzata anche attraverso questo numero speciale dellarivista della Camera di Commercio, particolarmente attenta a tenere viva l’attenzione sui monumenti cremonesi darestaurare - possa far nascere, in tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio artistico della città, un rinnovato impe-gno per far sì che questa chiesa possa essere riportata al suo splendore.

Ai Volontari per il patrimonio culturale del Touring Club Italiano che, con competenza e passione, consentonol’apertura e le visite a S. Maria Maddalena, facendo così conoscere e apprezzare ai cremonesi e ai turisti unadelle testimonianze di fede più antiche della città, va il mio più vivo apprezzamento.

Un ringraziamento particolare a Mariella Morandi che ha curato i testi, a Roberto Caccialanza per i rilievi foto-grafici e al parroco della chiesa dei SS. Clemente e Imerio don Giuseppe Nevi per la cortese disponibilità.

Gian Domenico AuricchioPresidente Camera di Commercio di Cremona

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LE ORIGINI

La chiesa di S. Maria Maddalena sorge in una zona del-la città che fin dal medioevo era definita la “Mosa”, inquanto si trattava di un’area bassa e acquitrinosa, risultan-te dal progressivo ritiro delle acque del Po in un alveopiù lontano dalla città. Qui i vescovi di Cremona possede-vano vasti appezzamenti di terra, che affittavano come or-ti. La costruzione delle mura medievali, condotta dal 1169al 1187, inglobò nella zona urbana anche quest’area, fi-no ad allora esterna alla città. Iniziò così, fra il 1220 edil 1230, lo sfruttamento dei terreni a fini abitativi, in alcu-ni casi con la vendita di appezzamenti mediante contrat-ti nei quali era presente la clausola “ad aedificandum”, inaltri con la costruzione di case direttamente per volontàdella Mensa vescovile, che provvedeva poi ad affittarle adartigiani, piccoli commercianti e a pescatori che avevanoi propri banchi nella piazzetta posta fra il palazzo ve-scovile ed il transetto meridionale del Duomo, chiamataappunto forum piscarium. La formazione del nuovo quartiere ebbe come conseguen-za la necessità di provvederlo anche di un luogo di culto,la cui costruzione è da far risalire alla seconda metà delXIII secolo e, probabilmente, da ricondurre all’attività edi-lizia promossa da Giovanni Bono de’ Giroldi, che fu ve-scovo di Cremona in modo non continuativo e con alternevicende fra 1248 ed il 1262. La prima probabile atte-stazione dell’esistenza della chiesa risale infatti al 1285,quando Marchesino ed Alberto Musimpenati furono in-vestiti, mediante atto rogato dal notaio Medallia deAsinelli, di una parte di casa sita nella vicinia Gonzaga“appresso il muro della chiesa”. Proprio il fatto di indica-re il quartiere, nell’elenco delle vicinie stilato nel 1283, colnome di una famiglia ivi residente, la Gonzaga, anzichécon quello della chiesa che vi insisteva, come avvenivanella maggior parte dei casi, induce a pensare che lasua presenza non fosse ancora così radicata da connotare

Fianco verso via XI Febbraio5

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Veduta d’assieme dell’interno

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la toponomastica locale, segno che la costruzione non do-veva essere avvenuta da molto. Un secolo dopo, nel 1385,essa figura con cura d’anime nel Liber Synodalium ovveronell’elenco delle chiese che, tramite il curato, erano tenutea pagare al vescovo la tassa annua di una libbra di cera.La chiesa era dedicata a S. Clemente papa, intitolazioneforse voluta dal vescovo stesso per sottolineare, in un’epo-ca di lotte fra guelfi e ghibellini, la sua fedeltà alla SantaSede. Il trasferimento in essa, avvenuto nella seconda metàdel Quattrocento, di un venerato simulacro di santa MariaMaddalena, che fino ad allora era stato custodito in unachiesa situata in borgo Ognissanti, e della relativa devozio-ne, fece sì che la chiesa da quel momento cominciasse adassumere la doppia intitolazione di San Clemente e SantaMaria Maddalena. Il simulacro consisteva in una statua li-gnea che si usava vestire con abiti di stoffa preziosa, comela veste di “cremesino” ricordata negli atti preparatoridella visita pastorale del vescovo Della Torre nel 1480,

quando figurava come uno degli arredi sacri più importan-ti della nuova chiesa che si era da poco costruita.Nella seconda metà del XV secolo la contrada Gonzagaconobbe un nuovo sviluppo urbanistico ed un innalza-mento del ceto sociale che la abitava. Agli originari affit-tuari si sostituirono piccoli proprietari, che fra il 1450ed il 1480 acquistarono casa dalla Mensa Vescovile.Come documenta la visita pastorale del vescovo Sfondratidel 1565 furono loro, riuniti nel Consorzio di S. MariaMaddalena con lo scopo di conservare e diffondere ilculto di questa santa, a sentire l’esigenza di avere unachiesa più grande e più bella dell’esistente e a promuove-re la costruzione dell’edificio sacro attuale.Non si conosce la data d’inizio dei lavori, ma quella del-la fine campeggia a grandi lettere, insieme al nome del-l’architetto progettista, al centro del catino absidale:“M[agister] Lazarus de Poçal fecit hanc ecclesiam 1484die 21 Iuli”. Significativamente i lavori terminarono pro-

prio la vigilia della festa di santaMaria Maddalena, che cadeva il22 luglio e che si usava festeggia-re nel quartiere con solennità. Inogni caso si sa che i lavori eranoiniziati anni prima e che avevanoportato ad un notevole ampliamen-to dell’edificio originario ed allasua decorazione. E’ quanto si evin-ce da un documento notarile roga-to dal notaio Giuliano Allia il 13luglio dello stesso 1484 ovverouna settimana prima della conclu-sione ufficiale dei lavori. Si trattadella vendita all’asta al miglior of-ferente, e con l’autorizzazione delvescovo, di un terreno di proprietàdel Consorzio di S. Maria Madda-lena, per ricavare il denaro neces-sario al pagamento dei lavori ef-

Iscrizione con la firma di Lazzaro Pozzali e la data di conclusione dei lavori quattrocenteschi

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fettuati. In esso, infatti, si di-chiara che il ricavato sarebbestato speso “in constructionemet fabricam ecclesiae praedic-te Gonzaghae quae iam pluri-bus annis elapsis de novo edi-ficari, ampliari e lorigari ma-gno cum ornatu cepta est”. Da quanto è possibile dedurremediante l’analisi delle strut-ture murarie, l’edificio duecen-tesco doveva constare diun’aula con un’unica navatae quattro cappelle per lato,una tipologia edilizia diffusain molti edifici sacri minori del-l’area cremonese d’epoca me-dievale. La pianta però, comesi può constatare anche nel-l’edificio attuale, si presenta-va irregolare, in quanto la fac-ciata non si trovava in assecon la navata ed i lati lunghi non erano paralleli maconvergevano leggermente verso la parte absidale, ilche comportava tutta una serie di dissimmetrie, tra lequali la minore ampiezza della prima cappella di de-stra rispetto alle altre. La quota del pavimento era piùbassa di circa 80 cm rispetto ad oggi (la soglia origina-ria è stata ritrovata sotto quella attuale del portone d’in-gresso), la facciata (forse però modificata in epocasuccessiva) era più alta del tetto e si configurava, quin-di, come una struttura a vento. L’ampliamento, perciò, consistette nell’aggiunta al-l’edificio preesistente di un profondo presbiterio e diun ampio corpo absidato coperto da elegante voltaad ombrello, che andò quasi a raddoppiare la su-perficie dell’edificio. Anche l’altezza venne modifica-ta, con la costruzione di volte sia nella navata sia

nelle cappelle laterali, che diedero slancio verticalealla costruzione. Infine si rimaneggiò la facciata dan-dole forme tardogotiche e decorazioni in cotto. Un in-tervento di questa ampiezza richiese parecchio tem-po e giustifica quanto scritto nel documento primacitato a proposito di una nuova edificazione dellachiesa. I lavori sulle strutture, comunque, dovevano es-sere già finiti nel 1480, visto che un documento rela-tivo ad una ricognizione degli arredi della chiesa,redatto in quell’anno, la descrive come “bene orna-tam et compositam”. Inoltre nello stesso anno si prov-vedeva ad erigere il nuovo altare dell’ImmacolataConcezione nella seconda cappella a sinistra (l’al-tare ora è dedicato a S. Anna), come risulta da un’e-pigrafe trovata durante un vecchio restauro dellamensa.

Decorazione quattrocentesca delle volte (particolare)

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Insieme alla data, l’iscrizione che compare nel catino ab-sidale rende noto anche il nome dell’artefice dell’opera,Lazzaro Pozzali, uno dei “magistri” e degli “ingegnarii”più attivi a Cremona in epoca sforzesca. Le notizie finoranote che lo riguardano sono tutte relative a lavori suc-cessivi a S. Maria Maddalena, nei quali fu spesso impe-gnato a fianco dei maggiori protagonisti della scena edi-lizia cremonese, primi fra tutti Bernardino e Guglielmode Lera, con i quali si era imparentato sposando una lorocugina. Con loro operò in un contesto architettonico chestava abbandonando lo stile gotico per accogliere quel-lo rinascimentale, in un percorso culturale che conobbe

una lunga fase di transizione, di cui risentì anche la fab-brica di S. Maria Maddalena.La nuova chiesa conservò il canonico orientamento est-ovest della precedente, il che comportò il fatto di pre-sentare verso strada un fianco anziché la facciata.Quest’ultima, invece, prospettava su un sagrato utilizza-to come cimitero, cinto da muri, così che il profilo del-le cortine murarie della via non subiva alcuna interru-zione (la situazione venne radicalmente modificata so-lo nel 1878 con l’apertura della via Realdo Colombo).L’edificio andò ad inserirsi in un contesto urbano e so-ciale caratterizzato dalla prevalente presenza di operai,artigiani e piccoli commercianti, documentata dal-l’originaria tipologia delle case che sorgevano lungo lastrada, sviluppate entro il cosiddetto “lotto gotico”, unapiccola area, lunga e stretta, che si affacciava sullastrada con lo spazio destinato per lo più a bottega eche si prolungava all’interno con un orticello.Anche la composizione del consiglio che guidava laSocietà del SS. Sacramento rispecchiava questa realtà so-ciale, tanto che, ancora nel 1623, aveva come massarimercanti di mercerie e di lane, orafi, calzolai. In qualcheperiodo non era mancato neanche un certo degrado mora-le, se nel 1573 il parroco si lamentava del fatto che inparrocchia c’erano “aliqui usurai, malefici, concubinari,eretici e che agli incontri di dottrina cristiana partecipa-vano solo le “putte“, mentre “ne ci intraviene homo nisunoeccetto uno che siede alla porta”, fatti, questi, che però nonimpedivano che la vita trascorresse “quietamente bene”. A interrompere questa tranquillità era, il 22 luglio di ognianno, giorno dedicato a S. Maria Maddalena, il palioequestre dell’oca, durante il quale l’animale veniva appe-so ad un lungo palo: chi, correndovi incontro a cavallo, fos-se riuscito a strappargli il collo, otteneva in premio il “pal-lio” ovvero due braccia “di panno cremesino”. Ma nel1575 anche questa festa, che poteva essere occasione divarie intemperanze, venne abolita per decreto di CarloBorromeo.

San Giovanni Battista, fine del XV secolo - inizio del XVI secolo

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GLI AFFRESCHI QUATTROCENTESCHI

Terminate le opere murarie, la struttura architettonica ac-colse all’interno la decorazione pittorica, il cui risultato divivace e raffinato cromatismo è immaginabile sulla scor-ta di quanto è stato riportato alla luce sulla volta e sullepareti del presbiterio nonché sulle volte della navata. Altribrani pittorici testimoniano che l’originaria decorazionead affresco della chiesa si doveva estendere anche allecappelle. Non visibile, perché occultata dalla seicente-sca volta della cappella Bonfìo, è la decorazione quattro-centesca di quella che in origine era la cappella di S. Maria Maddalena, la terza del lato destro della chiesa,inoltre l’analisi dei documenti d’archivio testimonia che, fi-no alla riforma complessiva della chiesa operata fra il

1623 e il 1626 dal parroco don Paolo Aliprandi, gli alta-ri laterali erano dotati di immagini dipinte sul muro. Inparticolare all’altare di S. Giovanni Battista, il secondo adestra entrando in chiesa, che esisteva già nel 1480, lapresenza di dipinti murali è attestata la prima volta nel1573 dalla visita Sfondrati, poi l’altare venne via via ab-bandonato, finché, con la riforma della chiesa prima cita-ta, venne rinnovato, intitolato a san Filippo Neri e dotatodi una nuova pala d’altare. La cappella venne quindi im-biancata e gli affreschi furono così nascosti. Di questi an-tichi dipinti è riemerso, ed è ora visibile, un frammento del-la figura di san Giovanni Battista. Vari brani di affresco sitrovano anche nella prima cappella di sinistra, entrandoin chiesa, che vanta un’antica dedicazione a S. Maria,documentata nel 1565. Attorno al 1623 vi venne costrui-

Natività, inizio del XVI secolo

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to un nuovo altare, dedicato alla Natività in virtù delsoggetto che già da almeno un secolo era affrescato sulmuro (anche se la sua esistenza è registrata nei docu-menti solo dal vescovo Campori nel 1623). Si tratta del-l’affresco ancora oggi esistente, che raffigura, appunto, lascena della natività affiancata da figure di santi ed ac-compagnata da altri brani di pittura.

IL POLITTICO CINQUECENTESCO

All’interno del contesto decorativo della chiesa di S. MariaMaddalena, costituito essenzialmente da dipinti murali, neiprimi anni del Cinquecento venne inserito il monumentale po-littico, che campeggia sul fondo del coro e che è dedicatoai santi titolari della chiesa. Nonostante l’apprezzamento che ha sempre accompagna-to l’opera e che filtra anche dagli stringati commenti delleantiche visite pastorali (“honorifica” la definisce il vescovo

Sfondrati nel 1573, “elegans” il vescovo Campori nel1623), il nome del suo autore si perse molto presto. Inepoca moderna la questione attributiva è stata a lungodibattuta fino ad ascrivere con certezza la sua realizzazio-ne a Tommaso Aleni. Documentato è invece il nome dell’intagliatore che rea-lizzò la grande ancona che lo contiene. Il 30 gennaio1503, infatti, il rettore di S. Clemente, don AlessandroRegazzi, insieme ai massari della Fabbriceria ed alConsorzio di S. Maria Maddalena, commissionò aGiovanni Agostino de Marchi, intagliatore, una “anco-nam ligneam de bono lignamine et sicco laboratam ad in-talio ad altare majus dictae ecclesiae, latitudine brachiorumsex et altitudine brachiorum undecim, iuxta disegnum exi-stentem penes dictum magistrum”. Il lavoro doveva essereconsegnato entro il mese di luglio dello stesso anno, ilche costituisce un termine di riferimento anche per la data-zione delle tavole dipinte.

LA RIFORMA SEICENTESCA

Nel corso del Seicento l’interno della chie-sa cambiò radicalmente aspetto. La niti-da volumetria quattrocentesca fatta di sem-plici scansioni geometriche ravvivate so-lo in superficie dalla leggera trama degliaffreschi, lasciò il posto ad un sistema pla-stico più articolato, mosso dal rilievo deglistucchi.Per modificare i rapporti spaziali si inter-venne sulle murature abbassando le cap-pelle, in modo che lo slancio verticale,che le strutture quattrocentesche avevanoereditato dal tardogotico, fosse riportatoentro i canoni degli ordini architettoniciclassici, il che comportò anche un ispessi-mento dei muri divisori delle cappelle.

Sopra: Affresco quattrocentesco della cappella Bonfio (particolare)

A destra: San Genesio, inizio del XVI secolo

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Con lo stesso obbiettivo si rialzò il pavimento della nava-ta, in modo da rendere “ad formam elegantem” la chiesa,ritenuta – come si legge nella visita pastorale del vescovoCampori del 1623 – “nimis depressam et deturpatam”.L’intervento comportò anche il rimodellamento della por-ta principale, il cui profilo originario è ancora parzial-mente visibile in facciata, e della porta minore, che vennedotata di stipiti e frontone marmorei di disegno classico.Si aprirono nuove finestre e si ampliarono le esistenti,trasformando in lunettoni gli oculi originari delle cappelleed in serliane quelli posti sopra le porte. In questo modosi rendeva la chiesa più luminosa, obbedendo alle normedettate dalla Controriforma per l’architettura. In questafase scomparve parte della decorazione pittorica tardo-quattrocentesca, ma venne mantenuta quella delle voltedella navata e del presbiterio, ancora documentata fino al1857, ai tempi della visita pastorale del vescovoNovasconi, e successivamente coperta. Le pareti, dopo questo intervento, accolsero una nuova or-namentazione in stucco, con lesene e capitelli corinzi nel-la navata e figure adagiate sull’arco d’ingresso delle cap-pelle, inoltre il presbiterio venne diviso dalla navata co-struendo una balaustra, secondo le indicazioni borromaiche.Autore dell’intervento architettonico, secondo una noti-zia rinvenuta da Giuseppe Grasselli in un libro di battesi-mi della chiesa, fu Carlo Mariani, che alle competenze diarchitetto univa quelle di studioso di matematica. I lavoriiniziarono poco prima del 1623, quando era rettore del-la chiesa il milanese don Paolo Aliprandi, così che la visi-ta pastorale del vescovo Campori compiuta in quell’annopoté registrare i risultati ottenuti. Si conclusero nel 1626,come testimonia una fonte coeva, l’Historia ecclesiasticadi Giuseppe Bresciani. Gli interventi avrebbero dovuto probabilmente riprenderein seguito per interessare anche il presbiterio, ma l’epide-mia di peste del 1630 e la morte dell’Aliprandi in tale oc-casione ne impedirono la prosecuzione. Anche tutti gli altari furono coinvolti nell’opera di rifor-

ma, resa necessaria non solo dal loro stato, ma anche dal-l’incremento della devozione verso i santi promossa dalConcilio di Trento e sostenuta, in ambito locale, special-mente dai vescovi Speciano e Campori. Mediante diver-se fasi di intervento, iniziate un po’ prima del 1620 econcluse nel 1630, quelli antichi lasciarono il posto ad al-tri di nuova costruzione, molti furono dotati di nuoveimmagini sacre ed altri furono costruiti nelle cappellefino ad allora rimaste vuote. In questa occasione, fral’altro, venne eretto l’altare di S. Francesco, che fu orna-to con la tela raffigurante il santo mentre riceve le stim-mate, ora posto nel presbiterio; inoltre fu costruito un al-tare dedicato a san Filippo Neri, dotato fra il 1623 edil 1630 di una tela, ora conservata presso la casa par-rocchiale, col santo genuflesso davanti alla Madonna. L’ultimo intervento seicentesco sugli altari interessò quelloposto nella prima cappella a destra e fu portato a compi-mento solo nel 1653, anche se i preparativi per attuarlorisalgono a quasi trent’anni prima. Infatti fin dal 1626 il te-stamento di Giovanni Scaglia aveva istituito erede uni-versale la Compagnia del SS. Sacramento della chiesa diS. Clemente, con l’obbligo di far erigere nella chiesastessa un altare dedicato a san Giovanni Damasceno e diornarlo con una bella pala raffigurante il santo. Pressoquesto altare, provveduto anche dei necessari paramentisacri, si sarebbero dovute celebrare messe in suffragiodella famiglia Scaglia. Le ultime volontà del testatore nonebbero però immediata esecuzione. Nel 1629 AureliaSandrini, vedova di Giovanni Scaglia, fece a sua volta te-stamento, lasciando 8000 lire di moneta lunga perchévenissero celebrate delle messe all’altare di S. GiovanniDamasceno. Nella visita pastorale del 1647 l’altareera però ancora registrato con l’antica intitolazione aCristo, pur con la specifica che “cuius loco SocietasSS. Sacramenti tenetur apponere iconam Divi JohannisDamasceni ex obligatione relicta a quondam DominoJohanne Scalea”. Quindi il dipinto non era ancora sta-to collocato sull’altare, ma doveva essere già stato com-

Tommaso Aleni, Natività, inizio del XVI secolo14

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missionato dai confratelli del SS. Sacramento, vistoche il Genovesino (che in quegli anni era priore dellastessa confraternita) lo avrebbe firmato e datato 1648.I lavori però andarono ancora per le lunghe e giunseroa termine solo cinque anni dopo, nel 1653: era infattiquesta la data che compariva nell’iscrizione posta sul-la sommità dell’ancona, che recitava “Johannis Scalee

legato instituto altare Societas S.mi Sacramenti exor-navit anno 1653”.Il dipinto, uno dei più belli del Genovesino, dopo lasoppressione della parrocchia e la riapertura dellachiesa come sussidiaria di S. Imerio nel 1808, venneprivato dell’altare e fu collocato nel presbiterio, dove sitrova tuttora.

DALL’OTTOCENTO AD OGGI

Un’altra forte cesura nella storia della chiesa di S. MariaMaddalena, dopo quella rappresentata dal rinnovamen-to seicentesco, si verificò all’inizio dell’Ottocento. Infatti nel1805 anch’essa, come le altre chiese della città, venne in-teressata dalla riorganizzazione delle parrocchie cittadi-ne voluta dal governo napoleonico e la sua cura d’anime,insieme a quella di S. Geroldo, passò alla chiesa di S. Imerio diventata parrocchiale dopo la soppressionedell’annesso monastero di Carmelitani scalzi. Dopo unatemporanea chiusura, venne riaperta nel 1808 come sus-sidiaria di S. Imerio grazie alla mediazione del vescovoOffredi, che in quella data vi fece anche solennemente tra-sportare la veneratissima reliquia del corpo di S. Geroldoproveniente dalla chiesa omonima. In virtù di questa tra-slazione la chiesa assunse il titolo di S. Maria Maddalenae S. Geroldo, mentre l’antica dedicazione a S. Clementevenne associata a quella di S. Imerio per indicare l’interaparrocchia. La chiesa che riaprì al culto era però molto diversa dallaprecedente: nel presbiterio l’altar maggiore era stato già so-stituito nel 1743 (come si legge nella piccola epigrafe col-locata sul retro) con quello tuttora presente, il cambiamen-to di intitolazione degli altari e lo spostamento di dedicazio-ni dall’ uno all’altro avevano poi portato ad un profondocambiamento del loro apparato decorativo. Diverse opere,infatti, scomparvero, mentre altre, provenienti da chieseche erano state soppresse, vennero qui concentrate. Il rinnovamento della chiesa venne completato nel corsodell’Ottocento intervenendo sulla decorazione delle strut-

Tommaso Aleni, San Clemente,inizio del XVI secolo

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ture murarie. Già nel 1820 Giuseppe Picenardi, osservan-do che i lavori seicenteschi non avevano interessato voltee presbiterio, che mantenevano ancora forme proto-rina-scimentali e la decorazione a racemi e fiori di ibisco,aveva commentato: “sembra che il restauratore di questachiesa abbia voluto farci toccare con mano, che anchecon parti ottime si perviene talvolta a comporre un tuttopessimo, come quivi è avvenuto”.Gli interventi successivi però non mirarono a dare allachiesa quell’uniformità di stile che Picenardi avrebbeauspicato, bensì esprimono una sostanziale incompren-sione della stratificazione storica dell’edificio. Nel 1836, infatti, alcuni parrocchiani, constatando chegli stucchi seicenteschi erano assai ammalorati, si offriro-no di farli restaurare e per mezzo di Pietro Franzosi,loro portavoce, si rivolsero all’architetto Luigi Vogheraperché assumesse il lavoro. Il 7 febbraio di quell’annovenne quindi inoltrata la richiesta di permesso alComune di Cremona, che, dopo aver constatato il “mas-simo deperimento degli ornati” rispose approvando ilprogetto e raccomandando al Voghera “il più possibilerisparmio”. L’intervento che ebbe luogo non fu però quello auspica-to e gli stucchi, anziché essere restaurati, vennero ingran parte scalpellati via. Lo testimonia la relazione delparroco Eugenio Provasi del 12 settembre 1857 cheaccompagna la visita pastorale Novasconi, la quale ri-corda, con una lieve discordanza cronologica, che l’in-terno “anticamente era adorno di buoni stucchi, e difianco agli archivolti vedevasi delle belle vittoriette ad usodegli antichi. Ma il tempo avendo guastati tutti questiornamenti, nell’anno 1834 fu ridotto allo stato attuale”. In quell’occasione furono probabilmente ridipinte le cap-pelle, che la visita Novasconi ricorda “dipinte a chiaroe scuro senza nessun altro ornamento”. Similmente la de-cisione di dipingere il presbiterio, che insieme alla voltadella navata presentava ancora la decorazione a in-trecci floreali della fine del Quattrocento, con una digusto neogotico, realizzata nel 1875, esprimeva un at-

teggiamento più sensibile alla moda del momento (si pen-si alle coeve decorazioni neogotiche realizzate in moltiedifici della città) che alla rivalutazione del passato. Loprova il modo stesso in cui si svolsero i fatti che portaronoa questo lavoro. Nel 1863 il vicario don Carlo Telò, facendosi portavocedella “pietà religiosa di un offerente e venuto nel divisa-

Pittore malossesco, San Francesco sorretto da un angelo riceve le stimmate, 1623 circa

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mento di far dipingere il coro e l’abside”, presentò alComune di Cremona la richiesta di autorizzazione per ini-ziare i lavori, accompagnandola con il disegno degli or-nati da effettuare, che – sottolinea nella richiesta – avreb-bero armonizzato “con lo stile della chiesa” e avrebberogiovato “sempre più al decoro della sovrana bellezzadel dipinto che siede nel mezzo del coro” ossia del polit-tico cinquecentesco.L’apposita commissione comunale, nella seduta del 14giugno alla quale parteciparono anche i due pittori LuigiBenini e Davide Bergamaschi, diede parere favorevole,perché trovava il disegno “conforme allo stile di tutto l’e-dificio” e suggeriva che il dipinto fosse tutto “a chiaro eoscuro, col fondo possibilmente in oro”. A rendersi conto dell’anacronismo dell’intervento che siaveva in animo di realizzare fu Carlo Visioli, che anche inquesta, come in altre occasioni in cui veniva minacciatal’integrità di un edificio antico, fece sentire la propria vo-ce con un’accorata lettera indirizzata il 6 ottobre dellostesso 1863 alla Giunta Municipale, quale responsabiledella custodia degli edifici storici cittadini. La lettera del Visioli iniziava con un’analisi stilistica del mo-numento in cui riconosceva “palese il carattere dell’ar-chitettura italiana dei secoli di mezzo detto anche lombar-do o di transizione” e continuava osservando “il mador-nale anacronismo” dovuto al fatto che da poco era inizia-ta la decorazione della volta absidale con “dipinto achiaroscuro e trafori alla maniera gottica tedesca e quin-di affatto in opposizione al carattere originale della chie-sa”. Chiedeva perciò un intervento da parte del Comuneper porre fine a tale operazione. Come in altre occasioni – si pensi solo alla vicenda dellademolizione della chiesa di S. Domenico – l’ appello del

Visioli servì solo a procrastinare i lavori, ma restò sostan-zialmente inascoltato nonostante il ritrovamento, sotto l’in-tonaco che aveva ricoperto le pareti, delle due figure disan Bartolomeo e di san Matteo affrescate in una veladel catino absidale. Un recupero leggibile delle diverse fasi storiche dell’edifi-cio fu invece il principio cui si ispirò l’azione dellaSovrintendenza ai monumenti di Verona quando, coi lavo-ri effettuati nel 1964-68, superando comprensibili perples-sità e posizioni critiche, decise di riportare due dellecappelle alla situazione architettonica quattrocentesca,demolendo le strutture del XVII secolo.L’intervento rientrò nella più ampia opera di consolida-mento dell’intera chiesa, che si era resa necessaria inquanto la facciata ed i pinnacoli soprastanti presenta-vano notevoli problemi statici. Il lavoro fu lungo e com-plesso: fra l’altro si provvide a stabilizzare le fondazionicon pali in calcestruzzo, si smontarono i pinnacoli chepoi, rinforzati nelle strutture ed alleggeriti di peso, furonosuccessivamente ricollocati al loro posto, si inserì unasorta di capriata in calcestruzzo armato per legare supe-riormente la facciata, si rinsaldò ad essa la struttura del-la prima campata che presentava un distacco dal muro disupporto frontale. Contemporaneamente agli interventi statici si intrapresero an-che i lavori all’interno della chiesa, dove, dopo aver effettua-to una serie di sondaggi, si procedette allo scrostamentodell’abside per riportare alla luce gli affreschi originari, re-staurandoli. Infine si ripristinò il rosone centrale della faccia-ta, eliminando la serliana seicentesca, e si riportarono all’al-tezza originaria le prime due cappelle.Successivamente i lavori furono interrotti, senza prosegui-re nel recupero completo delle forme quattrocentesche.

Vincenzo Borroni (attr.), Maddalena penitente, seconda metà del XVIII secolo

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LA CHIESA

La chiesa di S. Maria Maddalena, dal punto di vista ar-chitettonico, rappresenta un esempio della cultura ditransizione fra tardogotico e rinascimento. In particola-re le reminiscenze gotiche sono evidenti nella facciata enei fianchi. La muratura compatta della facciata è alleg-gerita solo dalle tre aperture circolari e dal portoned’ingresso (le dimensioni attuali si devono all’interven-to seicentesco, ma nella muratura è ancora visibile par-te dell’ originario profilo quattrocentesco). L’andamentomonocuspidato è sottolineato da un fregio di archetti tri-lobati sostenuto da mensoline, che segue gli spioventi eche continua nel fianco segnando l’originario culminedella parete. Nel solco della tradizione si collocano,inoltre, sia la scelta di lasciare in vista il cotto, secon-do la consuetudine costruttiva romanica e gotica anco-ra ben radicata in città alla fine del Quattrocento, sial’uso dei rilevati contrafforti pentagonali coronati dasvettanti cuspidi, che sono posti in stretto dialogo con leslanciate torrette collocate in sommità. Esse danno allafacciata uno spiccato verticalismo, attualmente mortifica-to dall’innalzamento del sagrato di circa un metro (nel-la trincea a ridosso della facciata su può vedere qualeera il livello originario).Il cotto trionfa anche nell’apparato decorativo, concepi-to nella particolare accezione che divenne prevalentenella seconda metà del Quattrocento, ovvero come ele-mento sovrapposto alla struttura architettonica e nonpiù come complemento subordinato ad essa come erastato nel periodo precedente. In esso motivi gotici sialternano ad altri di gusto umanistico. Nonostante si sia intervenuti più volte, nel corso dei se-coli, su questa decorazione, integrando le lacune cheman mano si verificavano, l’effetto d’insieme è anco-ra ben leggibile nelle forme originarie. Le slanciate tor-rette ottagonali offrono le loro sfaccettate superfici alle

Vela del catino absidale con due apostoli, fine del XV secolo

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esili colonnine a tortiglione che, con gli archetti trilobati, vidisegnano le sagome di tante monofore quanti sono i lati.Esse si impostano su un basamento che, in quella centrale,acquista un forte aggetto dalla sovrapposizione di fasce or-nate da formelle con testine barbute, motivi vegetali stilizza-ti e festoni. In alto corre un altro giro di formelle, ornate con

rombi coronati da cordoni sagomati a punta di lancia, ac-costate in modo da formare archetti pensili trilobati e da rac-chiudere al centro fiori stilizzati a quattro petali. Esse sosten-gono una complessa cornice a fasce aggettanti, ornate damotivi naturalistici ed archetti intrecciati, conservatesi ora so-lo parzialmente. Concludono le torrette i coni lavorati apigna, che dialogano a distanza con le tipiche cuspidi deicampanili gotici cremonesi.Motivi ad archetti, diversi fra loro per composizione maaccomunati dallo stesso gusto pittorico, sono utilizzati nellatorre campanaria, altri ornano i contrafforti, altri corrono lun-go il fianco verso la strada, fortemente scandito dal ritmodelle lesene. La parete esterna rivolta verso nord presentainvece una decorazione ottenuta disponendo in aggettocorsi di mattoncini posti di testa e di costa, in modo daformare una cornice a dentelli, ed altri posti di spigolo,secondo una pratica muratoria che lega la tradizione me-dioevale a quella rinascimentale.Anche all’interno le persistenze tardo-gotiche si intreccianocon novità timidamente rinascimentali. La pianta, infatti, sidilata in larghezza negli sfondati delle cappelle, tendendoad equilibrare in tal modo l’altezza delle volte che, in origi-ne, era più accentuata di quanto appaia oggi (l’altezzaoriginaria è stata ripristinata nelle prime due, ma si deve ri-cordare che anche il pavimento è stato rialzato all’inizio deiSeicento).Il corpo absidale con l’elegante volta ad ombrello è unastruttura tipica del primo rinascimento lombardo ancoracarico di nostalgie goticheggianti, che fu ampiamente utiliz-zata a Cremona sul finire del Quattrocento, come dimo-strano gli esemplari conservati negli edifici monastici delCorpus Domini, di S. Chiara e di S. Monica.La concezione dell’architettura nel suo insieme è sostan-zialmente pittorica, e fondamentale in tal senso è il rappor-to con la decorazione, che accompagna e sottolinea lastruttura in un connubio inscindibile, creando sulla super-ficie quella vibrazione chiaroscurale che in facciata è ot-tenuta mediante il rilievo delle formelle in cotto lungo i pro-fili della costruzione. Tale è l’effetto prodotto dalla decora-Particolare della decorazione in cotto

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zione a fiori e foglie stilizzate che accompagna le nerva-ture delle volte, convergendo al centro nel monogrammadi Cristo inscritto in un gran sole con raggi serpentinati dacui occhieggiano testine di cherubini (nella navata sonostate riportate in luce solo quelle delle prime due campa-te verso il presbiterio).

LE CAPPELLE DI DESTRA

Si può iniziare la visita delle cappelle dalla prima a de-stra dell’ingresso, dove è conservata una seicentescastatua lignea di S. Rocco, entrata a far parte del patrimo-nio della chiesa ai primi dell’Ottocento. La statua appar-tiene al tipo, piuttosto diffuso, di rappresentazione inchiave devozionale di questo santo, uno dei più venera-ti e dei più raffigurati, in quanto considerato protettoredalle epidemie di peste. Egli pertanto indossa gli abiti ti-pici del pellegrino, a ricordo del fatto che aveva viaggia-to attraverso tutta l’Europa per curare gli appestati, ossiauna corta veste alla quale è sovrapposto un mantello col“sanrocchino” di tela cerata con appuntata la conchi-glia. Completano l’abbigliamento i calzari di foggia po-polare, sui quali ricadono le calze, arrotolate per mette-re in evidenza il bubbone sulla coscia. Se i colori attuali rispettano la cromia originaria, è eviden-te che, pur nella loro semplicità, le vesti non rinunciano aqualche preziosismo. Infatti una bordura dorata profilaorli e polsini, orna il tascapane portato a tracolla ed ilbordone dal pomolo lavorato con una certa ricercatezza.A completare la classica iconografia manca solo il cagno-lino, unico compagno di san Rocco nel periodo in cui fucolpito dalla peste, che è stato asportato con la rottura delbasamento sul quale la statua appoggia.La figura si presenta solida e compatta, anche se il gestodi sollevare la veste per mostrare il bubbone determi-na un leggero sbilanciamento del corpo. Altrettanto con-trollata, quasi ieratica, è la compostezza emotiva delvolto che si offre sereno, senza tradire né dolore néturbamento, in modo da infondere fiducia nel fedele San Rocco, inizio del XVII secolo

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sofferente. È, questa, una linea compositiva chericorre frequentemente nell’iconografia di sanRocco, ma che trova, in questo caso, riscontro sti-listico diretto nelle semplificazioni formali operate,nei primi decenni del Seicento, dai seguaci delMalosso. Esse davano origine a forme compostee al tempo stesso popolari con le quali veniva datarisposta semplice e piana all’esigenza di conforto esicurezza sentita da coloro che cercavano rifugionella fede. La nicchia è inserita all’interno di un’inquadratura ar-chitettonica ottocentesca, completata sul fianco del-la cappella da decori fitomorfi della stessa epoca.

La cappella successiva, che presenta decorazioni amonocromo del primo Ottocento, conserva un gran-de Crocifisso ligneo, scolpito nel 1714 per la chie-sa di S. Leonardo, come testimoniano una memoriadel parroco di questa chiesa e una nota appostada quello di S. Imerio in calce alla descrizione diS. Maria Maddalena redatta nel 1827, in occasio-ne della visita pastorale del vescovo Offredi.Nel Crocifisso Cristo è raffigurato morto. Pertanto ilcorpo pende inerte dalla croce, l’estrema sofferen-za stira i muscoli e scava profondi solchi nel volto.Le forme sono allungate, una sottile vibrazione delmodellato percorre torace e addome. Nel viso ilnaso è affilato, la bocca piccola, la fronte anco-ra percorsa da uno spasimo. Il patetismo baroccodunque si stempera in un sentimento intimo e me-ditativo. Tutto ciò pone l’opera fuori dagli schemidel “genere” per accostarla ad una verità inten-samente ritrattistica. A sinistra del Crocifisso un frammento di affre-sco mostra parte della figura di San GiovanniBattista, che è riferibile all’originaria decorazio-

Crocifisso ligneo, 1714

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ne della cappella, il cui altare, già esistente nel1480, era appunto dedicato al precursore diCristo. La figura presenta i lineamenti del visodominati dai grandi occhi, mentre forti ombreg-giature definiscono l’anatomia del collo e delleclavicole, in una ricerca di volume che suggeriscedi collocare cronologicamente l’opera all’iniziodel XVI secolo.

La cappella seguente si distingue da tutte le altre siaper le forme architettoniche, sia per la ricca deco-razione settecentesca. Si tratta della cappella co-struita nel 1608, per la nobile famiglia Bonfìo, il cuistemma campeggia ancora sopra l’ingresso. Perrealizzarla venne sfruttata l’area della cappella de-dicata in origine a S. Maria Maddalena. Quiera stata sistemata l’antica statua provenientedall’oratorio di porta Ognissanti, oggetto di spic-cata devozione popolare, cui la collocazioneproprio di fronte alla porta d’ingresso laterale –la più usata per entrare in chiesa – conferiva unparticolare risalto, a conferma dell’ importanzache veniva attribuita a questo culto. Scarsissimesono le notizie sulla sistemazione originaria dellacappella, che probabilmente comprendeva solol’altare e la statua vestita della santa, ma che pote-va contare su una ricca ornamentazione pittorica,parzialmente ancora conservata nell’intercapedi-ne tra la volta quattrocentesca, più alta, e la voltadella cappella seicentesca. Si trattava di un com-plesso decorativo raffinato, sia nel disegno, sianella scelta cromatica, i cui resti costituiscono unesempio, oggi raro a Cremona, di pittura orna-mentale parietale tardo quattrocentesca.La cappella di S. Maria Maddalena nel corso delCinquecento subì un lento processo di decadenza.

Volta della cappella Bonfio, fine del XVIII secolo

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Fu forse per questo che nel 1608 l’area fu ceduta alla fa-miglia Bonfìo e l’altare di S. Maria Maddalena fu tra-sportato nella cappella successiva. Una volta realizzata la nuova cappella, il prestigio del ca-sato Bonfìo si espresse anche nell’apparato decorativodella stessa, che fu più volte rinnovato. Oggi si presentacon la decorazione allestita nella seconda metà delSettecento: un altare in marmi policromi, del tipo ad urna,con la corrispondente ancona, le cui linee garbatamenteaddolcite sono amplificate dalla decorazione pittorica,che finge colonne tortili reggenti un fastigio mistilineo,grazie alle quali l’altare si lega all’ambiente circostante.Sulle pareti e sulla volta la decorazione mira a dilatare lo

spazio, mediante finte architetture che delineano ambien-ti al di là delle pareti esistenti. Le fonti tacciono il nomedell’autore di queste pitture, ma i caratteri formali con-sentono di avvicinarle alla produzione di GiovanniManfredini. La decorazione infatti dimostra di muovere dalgusto rococò, nella modalità di creare vani spaziali illuso-ri mediante colonne e balconate sulle quali sono collo-cati vasi colmi di fiori, ma il concetto di spazio che vi sivede applicato non è più quello del rococò di ascenden-za bibienesca, con elementi architettonici che si sormon-tano fra loro suggerendo fughe prospettiche multidirezio-nali. Vi subentra, infatti, un’intenzione normalizzatrice,di sapore ormai neoclassico. Perciò sulle pareti laterali, aldi là delle finte balaustre, si aprono spazi scanditi simme-tricamente; l’espansione è contenuta all’interno di un’areasemicircolare, come se al di là delle pareti laterali siaprissero delle esedre e solo un leggero scarto dall’assedi simmetria mantiene loro un residuo di dinamismo.Neoclassici sono anche gli elementi decorativi minori,come le cornici a festoni degli ovali collocati all’impostadella cupola e sopra la porta, dove inquadrano ariosipaesaggi.Nonostante questo, l’ambiente ha un’atmosfera leggia-dra, legata al gusto del rococò: a crearla contribuisce laluminosità diffusa, i morbidi toni pastello delle architettu-re e gli inserti naturalistici, che, sotto l’apparenza pura-mente esornativa, nascondono allusioni simboliche che ri-mandano al culto mariano. I fiori raccolti nei vasi sonoinfatti le rose e i gigli cari alla tradizione mariana edallusivi alla presenza della Vergine, che per la sua natu-ra immacolata viene chiamata “rosa senza spine”; anco-ra di rose, nella varietà rampicante, sono i tralci che siavvitano intorno alle colonne tortili che inquadrano l’an-cona dell’altare e che ricordano la pratica mariana del-la recita del rosario. I quattro alberi chiusi entro ovalialla base della finta cupola, il melo, la palma, il cedrodel Libano ed il cipresso, sono invece metafore tratte dalCantico dei Cantici ed entrate anche nell’uso popolare,

Particolare della decorazione della cappella Bonfio,fine del XVIII secolo

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perché inserite nelle litanie della Madonna, ed alludono aMaria stessa. Ambivalente è invece il significato della figu-ra allegorica femminile presentata come se fosse una sta-tua inserita nella finta architettura della parete destra. Lospecchio ed il serpente che tiene fra le mani la identifica-no, infatti, per la virtù della Prudenza, che può senza dub-bio essere ancora riferita alla “Virgo prudentissima” dellelitanie mariane. Poiché le immagini delle Virtù sono spes-so connesse con i monumenti sepolcrali, la sua presenzapuò però anche essere collegata al fatto che questa era lacappella funebre della famiglia Bonfìo, dei cui membri sivuole così richiamare il comportamento saggio ed oculato.

Segue la cappella dedicata a S. Geroldo dove, il 9 otto-bre 1808, vennero traslate le reliquie del santo fino ad al-lora venerate nella chiesa di S. Vitale, che era stata da po-co sconsacrata. Geroldo nacque a Colonia nel 1201 dafamiglia nobile. Partito come pellegrino per visitare Roma,

arrivò a Cremona e qui, il 7 ottobre 1241 trovò la morte.Infatti fuori porta Mosa, lungo la riva del Po, vide dueuomini che litigavano e si fermò per dividerli, ma i due,credendolo ricco, lo derubarono e lo uccisero, poi na-scosero il corpo. A questo punto, sul nucleo verosimiledel racconto, si innestano elementi fantastici, ricorrentiin molte agiografie di santi. Si narra, infatti, che alla mor-te di Geroldo le campane si misero a suonare da sole,che un insolito bagliore attraversò il cielo buio e che unasoave fragranza si diffuse tutto intorno. Dei pescatori tro-varono il corpo avvolto in un alone di luce e lo portaronoin città, dove il vescovo decise di dargli degna sepoltura.Durante i solenni funerali si verificarono miracolose gua-rigioni ed altri prodigi: il corpo, fattosi pesante, si lasciòsollevare soltanto dai pescatori, che, dopo vani tentativi diseppellirlo nelle chiese incontrate lungo il tragitto, riusciro-no finalmente a deporlo nella chiesa di S. Vitale.La scena del ritrovamento del corpo di san Geroldo è

Vincenzo Pesenti, Ritrovamento del corpo di san Geroldo, 1568

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raffigurata nella tavola posta sull’altare, realizzata nel1568 da Vincenzo Pesenti. Il racconto è costruito su unatrama di interessanti connotazioni ambientali, che indi-cano esattamente il luogo dove Geroldo, disteso al centrodella scena, è stato ucciso. Il pittore infatti descrive le rivedel Po subito fuori dalle mura della città, con le boschine,i casolari rustici, i pescatori che trovano il corpo del san-to, i quali, come in una sequenza narrativa, approdanocon la barca poi, ancora con gli strumenti della pesca inmano, corrono a dare l’avviso in città. Intanto una folla dipersone di ogni condizione sociale sta uscendo dallaporta che si apre nelle mura (porta Mosa) per accorreresul luogo del ritrovamento. Ad eccezione di alcuni ele-menti fantastici, come il castello su un’altura, per il resto ladescrizione della città, di cui si riconoscono il Torrazzo, ilBattistero, le torri campanarie, e delle rive del Po, è reali-stica ed il dipinto costituisce anche un interessante docu-mento per la storia urbanistica cremonese.La tavola, con la soprastante urna contenente le reliquie,è inserita in un’ancona lignea barocca. La circonda unadecorazione a pitture monocrome di gusto neoclassico,risalente ai primi dell’Ottocento.

IL PRESBITERIO

Si entra nel presbiterio varcando la bella balaustra seicen-tesca di marmo e ci si trova in un ambiente di gusto squi-sitamente cortese: il corpo absidale è articolato in formapoligonale sottolineata da esili colonnine sormontate dapiccoli capitelli ed è coperto da un’elegante volta ad om-brello. Anche qui, come nella navata, le nervature policro-me delle volte sono accompagnate da un fregio fito-morfo, composto da foglie verdi con fiori rossi e gialli si-mili all’ibisco, contornato da un profilo nero tracciato apennello libero, che dà alla volta ad ombrello l’aspetto diun aereo pergolato retto da esili e coloratissime colonni-

ne, che salgono lungo le pareti per ricongiungersi allenervature della volta. Le lunette d’imposta, invece, hannoil bordo accompagnato da un motivo ad archetti intrec-ciati. Il tono è quello tipico dello spirito cortese, di cuiancora era intrisa, sul finire del Quattrocento, la culturalombarda, ma il grande sole raggiato con le teste di che-rubini simboleggiante lo Spirito Santo, verso cui convergo-no i tralci fioriti del pergolato, riporta l’insieme ad unsenso di raffinata sacralità consona all’edificio. L’aereo eluminoso padiglione teso sopra il presbiterio era desti-nato ad accogliere e a proteggere una piccola corte cele-ste, i cui protagonisti ancora conservati sono i dodiciapostoli ed i profeti, che assistono alla scena del-l’Annunciazione. La loro presenza condensa in pochebattute la storia della Salvazione. Infatti l’Angelo e laVergine posti nelle prime due unghie all’ingresso del pre-sbiterio ricordano il mistero dell’Incarnazione, come attoprimo e fondamentale che diede il via a tutto il processosalvifico. Lo spiegano chiaramente i Profeti collocati nellelunette sottostanti entro encarpi con nastri rossi svolaz-zanti, che tengono in mano cartigli con versetti biblici in-neggianti alla profezia messianica del parto virgineo diMaria (Isaia, 7,14) e della discendenza di Cristo dalla stir-pe di Jesse (Isaia, 11,1). Davanti a loro, in coppie, sonodisposti i dodici Apostoli, ciascuno individuato dal proprioattributo e dal nome scritto in caratteri gotici. Al centro, inposizione preminente ma oggi poco visibile perché nonancora del tutto liberato dallo scialbo e seminascosto dal-l’ancona, è dipinto Cristo, indicato secondo la consuetatachigrafia greca con l’iscrizione “Yhs Xps”. Al suo fiancoè parzialmente visibile un santo coronato da triregno, in cuiè probabilmente da riconoscere San Clemente papa, alquale la chiesa era intitolata in origine. L’insieme corale diqueste figure è l’unica testimonianza, che si conosca rima-sta in sito a Cremona, di una tipologia decorativa che do-veva essere presente in altre chiese alla fine del

Madonna col Bambino in trono tra i santi Francesco e Genesio, inizio del XVI secolo

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Quattrocento, come testimoniano gli affreschi strappatidalla sagrestia della scomparsa chiesa di S. Silvestroconservati ora in Museo civico. Come in S. MariaMaddalena, essi raffigurano santi disposti in coppie esanti collocati entro encarpi con nastri. L’anonimo pittoreche ha lavorato in S. Maria Maddalena dimostra un’a-scendenza bembesca nelle fisionomie minute degli aposto-li e dei profeti e nel profilo falcato dei mantelli, che risultaperò ormai superata dal modo più moderno di far caderei panneggi in pieghe dense e pesanti e dalla varietà di ge-sti ed espressioni.Altro esempio del momento di passaggio dalla ormai

esaurita tradizione bembesca verso forme rinascimentalisono le due figure che compongono l’Annunciazione.Soprattutto l’Angelo, costruito mediante piani inclinati,con le grandi ali spiegate ed il mantello svolazzante, pa-re anticipare, seppure in maniera più corsiva, quello chedi lì a poco avrebbe dipinto Pampurino in una delle anted’organo di S. Michele. Secondo Mario Marubbi que-sto pittore, a tutt’oggi anonimo, potrebbe forse essereidentificato con Paolo Antonio Scazoli.Altri affreschi sono presenti sulla parete sinistra del presbite-rio. Per essi non è stato possibile recuperare nessuna notiziadocumentaria. Entrambi raffigurano la Madonna col

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Bambino e santi, in entrambi i casiuno di essi è san Genesio, riconosci-bile per lo strumento musicale che re-ca in mano. Si tratta di una presenzapiuttosto particolare di cui oggi cisfugge l’esatta valenza, visto che ilsanto, protettore di musici ed attori,non ricorre frequentemente nell’ico-nografia cremonese. La Madonnacol Bambino in trono tra i santiGenesio, Sebastiano, Rocco e unsanto domenicano (forse san Pietromartire) è il più antico ed ha i trattidel dipinto votivo, cui la presenzadei due santi taumaturghi Rocco eSebastiano dà il valore di invoca-zione a protezione da qualche pe-stilenza. I tratti della composizionesono arcaici, infatti le figure sonoaffiancate l’una all’altra come in unpolittico medievale e l’insieme è rac-chiuso entro fasce d’appoggio otticocolorate che hanno la funzione dicornice. Il dipinto è databile versola fine del Quattrocento.L’altro affresco, la Madonna colBambino in trono tra san Francesco esan Genesio, è più tardo rispetto alprecedente, cui comunque non si di-scosta cronologicamente di molto, co-me dimostra la figura di san Genesio

A sinistra: Madonna col Bambino in trono tra i santi Genesio, Sebastiano,Rocco e un santo domenicano, fine del XV secolo

A destra: Madonna col Bambinoin mandorla sorretta da angeli,inizio del XVI secolo

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abbigliata in entrambi i casi con giornea e calzebrache difoggia quattrocentesca, e mostra i segni di un’avvenutaevoluzione culturale. Il pittore che l’ha eseguita ha infattiassimilato la cultura classicheggiante d’ispirazione mantegne-sca, come dimostra la testa fortemente volumetrica di sanFrancesco e l’inserimento della scena all’interno di una cor-nice architettonica, che definisce in profondità lo spazio incui è contenuta. Anche la struttura della composizione ha su-bito un’evoluzione e le figure, anziché essere giustappostecome nel dipinto precedente, sono disposte a piramide,con la Vergine innalzata su un alto trono, secondo lo sche-ma diffusosi nell’ultimo quarto del Quattrocento a partiredall’area veneta. Secondo l’opinione di Marubbi il dipin-to può essere assegnato al secondo decennio delCinquecento e potrebbe collocarsi dal punto di vista sti-listico “in parte a Lorenzo de’ Beci, il cui san Sebastianodi Binanuova dal volto ossuto sembra essere un riferi-mento per le teste dei santi laterali, e in parte adAltobello Melone, cui rimanda l’espressione intensa delvolto della Vergine”. Anche in questo caso, comunque, ildipinto ha un’ origine votiva, testimoniata dalla presenza,ai piedi del trono della Vergine, di un brano di paesag-gio, che allo stato attuale è di difficile lettura, ma in cuisembra di poter individuare la presenza di una chiesa in-nalzata sopra un rilievo, verso la quale si dirigono perso-ne in processione. Altre tracce di decorazione, ma scar-samente leggibili, sono inoltre individuabili sulla paretedestra del presbiterio.

Al centro dell’area presbiterale campeggia l’altar mag-giore, costruito nel 1743 per volontà della Società delSS. Sacramento (si veda l’iscrizione commemorativasul retro della struttura) su progetto di Giovanni BattistaZaist. Realizzato con marmi preziosi ed eleganti for-

me rococò, ha un impianto “alla romana” con un am-pio dossale a due gradini destinati ad accogliere l’espo-sizione di candelabri e reliquiari. Alle sue spalle, infondo al presbiterio, campeggia il grande polittico diTommaso Aleni dedicato ai santi titolari della chiesa, in-serito nella monumentale ancona lignea con raffinatiintagli commissionata al cremasco Giovanni Agostinode’ Marchi nel 1503. La tavola principale, che occupain altezza i primi due ordini del polittico, raffigura laNatività con angeli musici. La affiancano i SantiClemente e Maria Maddalena, nel registro inferiore,e gli Apostoli Pietro e Paolo nelle due tavole quadratedel secondo registro. Nella cimasa sono le figure diCristo risorto ed i santi protettori della Chiesa cremone-se, i Santi Imerio e Omobono. Nella predella sono nar-rati quattro episodi della Vita di santa MariaMaddalena.

Affiancano il grande polittico sei tele, in gran partegiunte qui nel corso dell’Ottocento da chiese che eranostate soppresse. Fa eccezione il primo dipinto da de-stra, San Francesco sorretto da un angelo riceve le stim-mate, che era stato eseguito per l’altare dedicato a que-sto santo in S. Maria Maddalena, dove risultava giàcollocato nel 1623. Il soggetto, all’interno dell’icono-grafia relativa alle scene della vita di san Francesco,fu molto frequente nel corso del Seicento per la sua for-za pietistica e devozionale, tanto che se ne conosco-no diversi esemplari anche in altre chiese delCremonese. Qui viene declinato con modi che ricorda-no lo stile degli epigoni del Malosso, da un disegnodel quale, oggi conservato a Venezia presso le Galleriedell’Accademia, è desunto il gruppo con l’angelo che sor-regge san Francesco.

Tommaso Aleni, Polittico,inizio del XVI secolo

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Il dipinto con San Pantaleone resusci-ta un bambino proviene dalla chiesadi S. Geroldo, alla quale era giunto al-la fine del Settecento dalla chiesa diS. Pantaleone soppressa nel 1774.L’Aglio, che fornisce la notizia di questotrasferimento, la definisce “opera benespressa” e la attribuisce al Malosso. Inrealtà pare più opportuno ascrivere ildipinto, che vanta una buona imposta-zione sia nello scorcio del santo sia nelrapporto spaziale fra il primo piano ela bella apertura sul giardino di fondo,a qualche collaboratore del Malosso,che potrebbe aver usato un disegno pre-paratorio del maestro. Questo modo diagire costituiva una prassi consolidatanella bottega del pittore, che assumevamolti incarichi e che si faceva affianca-re da una nutrita schiera di aiuti pereseguirli, limitandosi a volte a fornire ildisegno preparatorio, il che spiega cer-ti cedimenti di stile come, in questo di-pinto, nella figura del bambino e inquella dell’angioletto. Se, come pare dipoter affermare, il dipinto si può colloca-re in stretto rapporto col lavoro delMalosso, deve essere stato eseguito do-po il 1600, quando venne realizzatol’altare su cui si trovava nella chiesa diSan Pantaleone, ma entro il 1619, annodella morte del pittore. Il soggetto raffi-gura uno dei miracoli di san Pantaleonedi Nicomedia, venerato come patrono

Pittore malossesco, San Pantaleone resuscita un bambino, inizio del XVII secolo

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dei medici per le sue capacità tauma-turgiche, che resuscita un bambino mor-so da una vipera nel giardino dell’im-peratore romano Massimiano Galerio.

Segue l’Assunta con sant’Orsola esant’Anna di Vincenzo Campi, firmata edatata 1577, che proviene dalla sop-pressa chiesa di S. Vitale. In questo di-pinto il pittore, aderendo alle richiestedella Controriforma in fatto di immaginisacre, adotta una composizione sempli-ficata e un ridotto numero di personaggi. Al raffinato abbigliamento regale disant’Orsola si contrappone il realismodella figura di sant’Anna, cui l’artistaha dato abiti contemporanei e le fat-tezze di sant’Angela Merici, fondatricenel 1535 a Brescia della primaCompagnia di S. Orsola per vergini evedove, in quanto l’altare su cui il dipin-to si trovava in San Vitale era di perti-nenza dell’ emanazione cremonese diquesta Compagnia. La calda luce dora-ta, d’ascendenza bresciano-veneta, si ri-versa dal cielo sopra ogni personaggioe intride ogni colore armonizzando lacomposizione.

Alla sinistra del polittico di Tommaso Alenisi trova la sola altra tela di questa serierealizzata appositamente per la chiesa diS. Maria Maddalena. Fu commissionataper l’altare di S. Giovanni Damasceno a

Vincenzo Campi, Assunta con sant’Orsola

e sant’Anna, 1577

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Luigi Miradori detto il Genovesino, chela eseguì nel 1648. Il soggetto rac-conta il Miracolo della Madonna cheriattacca la mano a san GiovanniDamasceno, cui era stata tagliata perordine dell’imperatore, durante il pe-riodo iconoclasta, perché dipingevaimmagini sacre, come quella checompare alle spalle della Madonna. Il soggetto ebbe grande fortuna du-rante la Controriforma, perché allu-de per analogia all’iconoclastia pro-testante che stava dilagando inEuropa. Le reminiscenze caravag-gesche, che fanno del Genovesino ilrinnovatore della pittura cremonesedopo la stagione degli epigoni delmanierismo campesco, emergonoprepotentemente in questo quadronella figura realistica del vecchiosanto, che domina la scena con isuoi tratti popolari, i piedi callosi,il pesante mantello di lana che loveste, e nella costruzione. della sce-na ottenuta mediante l’alternarsi diquinte di luce e di ombra. La dol-cissima Madonna dimostra, però,che il pittore guardava anche a ciòche era avvenuto in pittura coniu-gando Caravaggio col classicismotoscano: la figura infatti ha un pre-cedente illustre nella Madonna colBambino e santa Francesca roma-na di Orazio Gentileschi, di cui ri-prende puntualmente la levigata ele-ganza messa in risalto dalla luce ra-dente ed il gesto di tendere ilBambino verso il santo.

Luigi Miradori detto il Genovesino, Miracolo della Madonna che riattacca la mano a San Giovanni Damasceno, 1648

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Segue la Madonna di Loreto con i san-ti Luigi di Tolosa e Francesco, di cui siignora la provenienza, ma che è arriva-to in chiesa, come gli altri, nella primametà dell’Ottocento. Alcuni anni fa era stato attribuito aVincenzo Campi per l’alta qualità di al-cuni particolari, quali la raffinata esecu-zione della veste di san Luigi che richia-ma quella della sant’Orsola del qua-dro di Vincenzo che gli sta accanto,ma la pesantezza di altri dettagli, qua-li i volti dei personaggi sacri, fannoescludere questa attribuzione. Piuttosto il dipinto può essere ricon-dotto all’attività di AlessandroMaganza (1556?-1632), pittore vi-centino molto attivo soprattutto inVeneto, che si esprimeva con un lin-guaggio sobrio, chiaro, rispettosodei precetti della poetica artistica po-stridentina. Significativa, in tal sen-so, è la somiglianza di questo dipin-to con la sua Madonna e i quattroEvangelisti del santuario di MonteBerico (Vicenza): identica è l’impo-stazione della scena, con la Madonnaal centro e le altre figure disposte ordi-natamente intorno a lei, identica è latipologia stessa della Madonna equella dei santi cremonesi, che rical-cano anche nelle pose, oltre che nellefisionomie, gli evangelisti vicentini. Alessandro Maganza lavorò moltoper confraternite e ordini religiosi, for-se la provenienza del dipinto va ri-cercata a Cremona presso una di que-ste istituzioni.

Alessandro Maganza, Madonna di Loreto con i santi Luigi di Tolosa eFrancesco, fine del XVI secolo - inizio del XVII

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L’ultima tela raffigura la scena in cui S. Vincenzo Ferrerifa riconoscere al padre il figlio legittimo. Proviene dal-la chiesa di S. Domenico e, a detta di Giuseppe Aglio,che la vide ancora in loco, sarebbe una copia tratta daun dipinto bolognese di Francesco Monti, l’artista chenel 1743 affrescò la cappella di S. Vincenzo Ferreri inS. Domenico.

LE CAPPELLE DI SINISTRA

Il primo altare fuori dal presbiterio sul lato sinistro del-la chiesa, entro una cappella con decori ottocenteschi,è dedicato a S. Maria Maddalena. Il quadro che fungeda pala, e che è documentato in chiesa per la primavolta nel 1827, rappresenta la santa in penitenza. In es-so la stesura un po’ greve è riscattata dal realismo concui sono descritti alcuni particolari - quali le paginesgualcite del grande libro aperto a terra e la fitta tramadella stuoia di vimini su cui la santa siede - e dallagrazia settecentesca con cui sono atteggiati gli angelie la stessa Maddalena, assorta in meditazione in unaposa languida sottolineata dalla delicatezza dei colo-ri pastello. L’opera può essere avvicinata alla produzio-ne pittorica di Vincenzo Borroni (notizie dal 1747 al1782).

Segue l’altare dedicato a S. Anna col gruppo ligneoraffigurante la santa con Maria Bambina. Qui all’ini-zio dell’Ottocento erano state poste le statue vestite diS. Anna con Maria Bambina provenienti dalla sop-pressa chiesa di S. Salvatore, che restarono sull’altarealmeno fino al 1907, quando le descrisse il De Vecchi,per essere poi sostituite dal gruppo attuale. È un’ope-ra semplice, probabilmente prodotta da una botte-ga specializzata in questo genere di soggetti religio-si, che pure, nell’allungamento delle esili figure, nellaloro garbata caratterizzazione, nel gesto solenne edinsieme autorevole di Maria, presenta un’impronta

Sopra: Anonimo, San Vincenzo Ferreri fa riconoscere al padre il figlio legittimo, XVIII secolo

A destra: Gervasio Gatti, Incontro di san Domenico con san Francesco (particolare), 1611

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di piacevole preraffaellismo. Di fianco all’ancona checontiene la statua sono visibili ampi brani di una decora-zione settecentesca composta da architetture, che sfonda-no illusivamente la parete, e da tralci di fiori.

Nell’ultima cappella, che è stata riportata all’altezza ori-ginaria quattrocentesca come quella che la fronteggia,e che si presenta come un palinsesto di decorazioni, so-no venuti alla luce affreschi che costituivano la primiti-va decorazione della chiesa. Nella zona alta gli oculiconservano una parte della decorazione a tralcio vege-tale, con foglie e fiori di ibisco, che costituisce il motivoricorrente di tutta la chiesa; a destra la cappella è chiu-sa da una parasta con formelle dipinte a monocromocontenente motivi fantastici. Al centro campeggia un grande affresco con la scena del-la Natività, racchiuso all’interno di una cornice architetto-nica chiusa in alto e in basso dal motivo classico degliovoli. Al centro trova posto la scena prin-cipale con Maria e Giuseppe in adora-zione del Bambino, posto direttamentea terra in una mangiatoia. Dal suo corponudo, segno del suo essere vero uomo, siirraggia una mandorla di luce dorata,che ne sottolinea la natura divina.Davanti a Lui, in primo piano, sono di-sposti il pane e la coppa del vino, i sim-boli eucaristici che prefigurano laPassione, cui allude anche il triste racco-glimento della Madonna. In secondo pia-no trova posto un pastore col suo greg-ge, mentre sullo sfondo si distende unampio paesaggio. In alto corre un carti-glio con un’iscrizione, probabilmente ret-to da un angelo di cui si intravvede, allostato attuale del dipinto, un frammentodi panneggio rosato. La cromia origina-ria, di cui sono conservate delle tracce, è

molto preziosa: il mantello della Vergine in origine eraazzurro, con stelle e bordure dorate, ed anche il cieloera ornato da stelle dorate. San Giuseppe indossa unaveste gialla ed un mantello rosa con l’interno verde, unaccostamento cromatico che ricorre frequentemente nelleopere cremonesi dei primi due decenni del XVI secolo,ad esempio in quelle di Boccaccio Boccaccino. La scenadella natività è affiancata, a destra, dai santi Rocco eSebastiano, a sinistra da un santo francescano e dai san-ti Cosma e Damiano realizzati in un momento successi-vo rispetto alla scena centrale. Le condizioni conservativeattuali rendono problematica l'individuazione dell'autoredell'affresco, comunque Mario Marubbi vi vede un collega-mento con la tradizione bembesca, in particolare con unadelle personalità attive nella cappella della rocca diMonticelli d’Ongina, in un momento un po’ più maturo, equindi più tardo rispetto a quella, che è collocabile nelsesto decennio del Quattrocento.

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Oltre a questo affresco, che costituisce una delle testi-monianze più estese della decorazione antica dellachiesa, la cappella conserva anche traccia di interven-ti successivi. Nella parte bassa sono conservati fram-menti di una decorazione a finto mosaico a quadratinigialli e marroni, che può essere fatta risalire al XVIIsecolo, quando la cappella venne dedicata a sanFrancesco e di conseguenza vi fu spostata la grandeancona lignea col dipinto su tela ora esposto nel presbi-terio, che si trovava in precedenza sull’altare dedicatoal santo in un’altra cappella.La stessa decorazione amosaico è presente, sempre in tracce frammentarie,anche in altre cappelle della chiesa. Infine al centrodella parete di fondo è conservata l’inquadratura condue colonne in stile corinzio, che venne dipinta nel1808, quando in essa venne collocata la Decollazionedel Battista di Luca Cattapane.Sulla parete sinistra della stessa cappella è dipinta unaMadonna col Bambino in mandorla sorretta dagli ange-li e un San Francesco. La delicata fisionomia dellaMadonna, le impalpabili ombreggiature del suo viso edil biondo Bambino ricciuto consentono di avvicinarequesta immagine a quella che si trova affrescata inuna saletta dell’ammezzato del corpo settentrionaledel palazzo Comunale di Cremona.

Anche la facciata interna della chiesa è utilizzata peresporre dei dipinti. A destra della porta è appesa unagrande tela raffigurante l’Incontro di san Domenico consan Francesco, evento che, secondo la tradizione, sa-rebbe avvenuto a Cremona. Il dipinto è stato riconosciu-to opera di Gervasio Gatti da Alfredo Puerari, che lopone cronologicamente nel 1611, anche se una ridu-zione della tela ha fatto sparire sia firma che data.L’impronta accademica della composizione, consona algusto della Controriforma, è animata da dettagli realisti-

ci, come l’uomo appoggiato alla colonna ed il fraticelloche avanza nell’ombra.

Appartiene alla dotazione della chiesa anche laDecollazione di san Giovanni Battista eseguita da LucaCattapane nel 1597 per la chiesa di S. Donato e quigiunta insieme alla cornice originaria dopo la soppressio-ne di quella. La sua ambientazione “in tempo di notte” èstato l’elemento che ha favorito la fortuna critica del di-pinto, annoverato da Roberto Longhi fra i precedenti ca-ravaggeschi. Per la sua ambientazione nel carcere appe-na rischiarato dalla luce delle torce, che crea suggestivigorghi di ombra, e per l’acuto realismo dei dettagli, es-so costituisce uno degli esiti delle ricerche del naturalismolombardo maturato, come sarebbe avvenuto nello stessogiro di anni per Caravaggio, sulla scia delle ricerchedi Antonio e Vincenzo Campi.

LA SAGRESTIA

In sagrestia è conservato un grande Crocifisso ligneo as-segnabile al XIV secolo, che probabilmente costituiscel’unico arredo della chiesa precedente l’ampliamento del1484. Marcata è la caratterizzazione espressiva del vol-to dolente di Cristo, dai tratti fortemente plasmati. La ricer-ca anatomica costruisce il corpo con una padronanzatecnica senza cedimenti, individua il morbido modella-to del ventre, la tensione dei muscoli sul costato e sullegambe contratte per consentire l’incrocio dei piedi. Latipologia è quella del crocifisso destinato in origine ad es-sere sospeso ad una trave in corrispondenza dell’altaremaggiore, come esplicito richiamo alla redenzione. Successivamente, con l’introduzione della norma liturgicarelativa alla custodia del SS. Sacramento nel tabernaco-lo della mensa principale, questi crocifissi vennero perlo più spostati ad altari laterali.

Luca Cattapane, Decollazione di san Giovanni Battista, 1597

(foto Michele Bernardi)40

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Nel caso del Crocifisso di S. Maria Maddalena, la pri-ma menzione documentaria che lo riguarda è relativaalla sua collocazione proprio su uno di questi altarilaterali. Infatti nel 1599 il vescovo Speciano, in visitapastorale, lo vide esposto nella prima cappella a sini-stra dell’ingresso, che già dal suo predecessore, nel1583, era stata ricordata con un’ antica intitolazione aCristo. Venne poi trasportato nella prima cappella a destra, dove nel 1623 è ricordato dal vescovoCampori, che lo definisce “crucifixum magnum in crucem et devotum”, facendo così pensare alla presen-za di immagini dipinte sulla parete ai lati della croce,una sistemazione attestata in epoca barocca ancheper altri crocifissi di questo genere presenti nelle chie-se cremonesi. Successivamente, la costruzione, in questa cappella,dell’altare di S. Giovanni Damasceno comportò unnuovo spostamento del Crocifisso, probabilmente insagrestia, dove si trova oggi. Una prescrizione del ve-scovo Campori, che nel 1630 ordinava che esso fosserinnovato, certifica la vetustà dell’oggetto e, di conse-guenza la sua probabile appartenenza al primitivocorredo liturgico della chiesa.

A sinistra: Tronetto, fine XVII secolo - inizio XVIII secolo

A destra: Giovan Battista Zaist, Altare maggiore, 1743

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Per stendere questo scritto sulla chiesa di S. MariaMaddalena e le sue opere d’arte si sono consultati docu-menti conservati presso l’Archivio di Stato di Cremona epresso l’Archivio Storico Diocesano di Cremona, analiz-zando in particolare i verbali redatti in occasione delle vi-site pastorali che i vescovi, o i loro delegati, hanno compiu-to alla chiesa con una certa regolarità. In particolare, pres-so l’Archivio di Stato di Cremona si sono rivelati utili i se-guenti documenti:Notarile, notaio Giuliano Allia, f. 65, doc. in data 13luglio 1484

Notarile, notaio Bartolomeo Malossi, f. 111, doc. datato 25gennaio 1480Notarile, notaio Gio Pietro Sfondrati, f. 403, doc. datato 1novembre 1498Notarile, notaio Pietro Martire Stanga, f. 370, doc. indata 30 gennaio 1502Istituto elemosiniere, corpi soppressi, b.834, f. 3, doc.in data 1626; f. 7, doc. in data 2 agosto 1630Comune di Cremona, Congregazione municipale, b.394,f. 1/1Comune di Cremona, Giunta municipale, b. 194, f.18

Presso l’ Archivio Storico Diocesano diCremona si sono consultati i verbali delle se-guenti visite pastorali:Visita Sfondrati del 1565, vol. 6Visita Sfondrati del 1573, vol. 14Visita Speciano del 1599, vol.41Visita Campori del 1623 e del 1630, vol.62Visita Visconti del 1647, vol. 70Visita Litta del 1723, vol. 145Visita Offredi del 1827Visita Novasconi del 1857

Per quanto riguarda i testi a stampa si è fatto ri-ferimento in primo luogo al volume:Santa Maria Maddalena. Chiesa in Cremona, acura del Gruppo Fotografico Beltrami - Vacchelli,Cremona 2003 (che contiene saggi di Michelede Crecchio, Andrea Foglia, Annarosa Dordoni,Mariella Morandi, Luciano Roncai, MarioMarubbi, Mario Amedeo Lazzari, Sonia Tassini,Anna Maccabelli, Luciana Manara, Enrico Perni)al quale si rimanda per ogni ulteriore approfon-dimento bibliografico.

Crocifisso ligneo, XIV secolo (particolare e assieme)

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Per i lettori del presente volume che volesseroapprofondire o verificare le notiziequi riferite, si riportanodi seguito alcune al-tre essenziali indica-zioni bibliografiche:G. AGLIO, Le pitturee le sculture della città diCremona, Cremona 1794L. BELLINGERI, La scultura, in “Il Trecento. Chiesae Cultura (VIII-XIV secolo)”, a cura di G. Andennae G. Chittolini, Azzano San Paolo 2007M. BERNARDI, M. A. LAZZARI, P. MARIANI, C. MERLO,M. MORANDI, G. TONINELLI, Il restauro di un dipinto restaurato: ricerche, indagini e solu-zioni a confronto, in” Lo Stato dell’Arte 7”,Napoli 2009G. B. BIFFI, Memorie per servire alla storia de-gli artisti cremonesi, ms. sec. XVIII, edizionecritica a cura di M. L. Bandera Gregori,Cremona 1989A. CARENA, D. COLTURATO, A.FONTANINI, M.A. LAZZARI, C. MERLO, M. MORANDI, E.MOSCONI, M. PEDRINI, Mettere in sicurezza. Rilievi,indagini, studi ed interventi prima del restauro,in” Lo Stato dell’Arte 7”, Napoli 2009N. CONCESA, Restauri a Santa Maria Maddalenain San Clemente, in “Strenna dell’Adafa perl’anno 1975”, Cremona 1974B. DE KLERCK, I fratelli Campi. Immagini e devo-zione, Cinisello Balsamo 2003G. DE VECCHI, Brevi cenni storici sulle chiese diCremona, Cremona 1907P. FAVOLE, Cremona – SS. Maria Maddalena eGeroldo. Analisi per un restauro, in “Provincianuova”, nn. 1-2, Cremona 1983A. FOGLIA, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa

dagli inizi del XV secolo al 1523, in “Storia diCremona. Il Quattrocento. Cremona nel Ducato di

Milano (1395-1535)”, acura di G. Chittolini,Bergamo 2008G. GRASSELLI, Abecedariobiografico dei pittori,

scultori ed architetti cremonesi,Cremona 1827Historia ecclesiastica di Cremona, ms. sec. XVII con-servato presso la Biblioteca Statale di Cremona

(ms. Bresciani 4), parte IIF. LAZZARI, Venezia esalta Cremona, in “MondoPadano”, 14-3-1983Le chiese delle Mose, Cremona 1983R. LONGHI, Quesiti caravaggeschi II. I preceden-ti, in “Pinacotheca”, n. 5-6, 1929, ed. cons. in “Opere complete”, Sansoni, Firenze, 1968P. MARIANI, M. MORANDI, Aperto per restauro.

La fruizione dei beni culturali da parte del pubblico dalla movimentazione al restauro, in

”Lo Stato dell’Arte 7”, Napoli 2009F. PALIAGA, Vincenzo Campi, Soncino 1997G. PERBELLINI, I restauri di Santa Maria Maddalena, in “La Provincia”, 25 giugno 1968G. PICENARDI, Guida storico sacra della Regia città esobborghi di Cremona, Cremona 1818A. PUERARI, Mostra di antiche pitture del XIV al XIX seco-lo, Cremona 1948M. TANZI, Rinascimento dell’Aleni: verifiche in marginead una mostra, in “Bollettino d’Arte”, 37-38, 1986

M. TANZI, scheda in Omobono. La figura del santo nel-l’iconografia – secoli XIII-XIX, Cremona 1999T. A. VAIRANI, Iscriptiones cremonenses universae, I,Cremona 1796, p. 804F. VOLTINI, Cremona. Chiesa di S. Maria Maddalena, in“Itinerari d’arte in provincia di Cremona”, Cremona 1975

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Il rilievo è stato eseguito dalla R.T.C. di Colturato Daniele

e Pedrini Moreno s.n.c. di Cremona

1) Cappella di S. Rocco2) Cappella del Crocifisso3) Cappella Bonfio4) Cappella di S. Geroldo5) San Francesco sorretto da un angelo

riceve le stimmate6) San Pantaleone resuscita un bambino7) Assunta con sant’Orsola e sant’Anna8) Polittico9) Miracolo della Madonna che riattacca la mano

a San Giovanni Damasceno10) Madonna di Loreto con i santi Luigi di Tolosa

e Francesco11) San Vincenzo Ferreri fa riconoscere al padre

il figlio legittimo12) Cappella di S. Maria Maddalena13) Cappella di S. Anna14) Cappella della Natività15) Incontro di san Domenico e san Francesco16) Decollazione di san Giovanni Battista17) Sagrestia

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Nessun testo o immagine di questo volume potrà essere riprodotto e utilizzato,

in qualsiasi forma e/o con qualsiasi mezzo,senza autorizzazione scritta dell’editore e degli autori

Finito di stampare nel mese di marzo 2010Industria Grafica Editoriale Pizzorni (Cremona)

INDICE

Le vicende storicheLe origini 5Gli affreschi quattrocenteschi 11Il polittico cinquecentesco 12 La riforma seicentesca 12Dall’Ottocento ad oggi 16

La visita alla chiesaLa chiesa 21Le cappelle di destra 23Il presbiterio 29Le cappelle di sinistra 38La sagrestia 40

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La chiesa di Santa Maria Maddalenain Cremona

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NUMERO SPECIALE 16

in copertina:Santa Maria Maddalena, particolare del polittico

di Tommaso Aleni

Santa MariaMaddalena

Cremona - via XI Febbraio

La chiesa è aperta al pubblicograzie ai Volontari per il Patrimonio Culturale del