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1 La diarrea cronica in età pediatrica Dott. Gilberto Guindani Indice del corso Introduzione Definizione Epidemiologia Eziologia Fisiopatologia Diarrea osmotica Diarrea secretiva Diarrea da disturbi della motilità intestinale Diarrea di tipo infiammatorio (origine infettiva, non infettiva) Valutazione del bambino con diarrea cronica Valutazione anamnestica Esame obiettivo Esame delle feci e del sangue Ulteriori test Diagnosi differenziale Diarrea cronica aspecifica dell'infanzia o della prima infanzia Diarrea intrattabile dell’infanzia o diarrea protratta postenteritica (PES) Celiachia Sindrome dell’intestino irritabile Malattie infiammatorie croniche intestinali Fibrosi cistica Diarrea infettiva Gastroenterite eosinofila Errori congeniti Deficit immunitari Acrodermatite enteropatica Diarrea fittizia Trattamento Bibliografia

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La diarrea cronica in età pediatrica

Dott. Gilberto Guindani

Indice del corso

Introduzione

Definizione

Epidemiologia

Eziologia

Fisiopatologia Diarrea osmotica

Diarrea secretiva

Diarrea da disturbi della motilità intestinale

Diarrea di tipo infiammatorio (origine infettiva, non infettiva)

Valutazione del bambino con diarrea cronica Valutazione anamnestica

Esame obiettivo

Esame delle feci e del sangue

Ulteriori test

Diagnosi differenziale Diarrea cronica aspecifica dell'infanzia o della prima infanzia

Diarrea intrattabile dell’infanzia o diarrea protratta postenteritica (PES)

Celiachia

Sindrome dell’intestino irritabile

Malattie infiammatorie croniche intestinali

Fibrosi cistica

Diarrea infettiva

Gastroenterite eosinofila

Errori congeniti

Deficit immunitari

Acrodermatite enteropatica

Diarrea fittizia

Trattamento

Bibliografia

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Introduzione

La diarrea cronica è un disturbo che può rappresentare una situazione complessa sia per i pediatri sia per le famiglie. Non è stato ancora definitivamente stabilito quale debba essere la

durata dei sintomi perché la diarrea si possa definire "cronica". La maggior parte degli autori concordano sul fatto che la presenza dei sintomi per 14 giorni soddisfi i criteri, anche se altri

usano come soglia una durata di tre-quattro settimane.

Nonostante i progressi nella comprensione e nella gestione delle patologie diarroiche, esse sono attualmente responsabili di circa 2-4 milioni di decessi in età pediatrica nel mondo. Alcuni studi hanno indicato che la prevalenza di diarrea cronica in età pediatrica nel mondo

oscilla tra il 3 e il 20% e l'incidenza è di circa 3.2 episodi l'anno per ogni bambino.

Nelle nazioni industrializzate le diagnosi più frequenti sono la celiachia, la sindrome dell’intestino irritabile, le malattie infiammatorie croniche intestinali, le infezioni croniche e la diarrea secretoria idiopatica. Nei paesi in via di sviluppo, invece, le infezioni batteriche e

parassitarie rappresentano le eziologie più frequenti (e verso questa diagnosi il pediatra dovrebbe orientarsi di fronte a un bambino rientrato da aree endemiche).

Attraverso la conoscenza delle principali cause di diarrea cronica potremo indirizzarci verso un corretto iter diagnostico e terapeutico. Una attenta anamnesi e un esame obiettivo mirato, se

necessario insieme a ulteriori indagini, ci permetterà di individuare eventuali segni e sintomi d'allarme che si associano alla diarrea cronica.

Per quanto riguarda il trattamento, la diarrea cronica associata a malnutrizione deve essere sempre considerata come una patologia seria, da trattare in base alle diverse eziologie.

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Definizione

La diarrea è definita come una riduzione nella consistenza delle feci (morbide o liquide) e/o un aumento nella frequenza delle evacuazioni (tipicamente ≥3 nelle 24 ore), con o senza

febbre o vomito. L’alterazione qualitativa della consistenza fecale si ritiene più indicativa di diarrea rispetto all’aumento del numero di scariche, in quanto un’aumentata frequenza delle evacuazioni può

essere fisiologica in alcune epoche della vita (come nel lattante dove è importante quindi distinguere le variazioni di frequenza delle evacuazioni e di consistenza delle feci nel bambino

allattato al seno e in quello allattato artificialmente, poiché nel primo le feci tendono a essere più morbide e le evacuazioni più frequenti anche in condizioni normali) e può essere

influenzata dall’alimentazione o dalla presenza di disordini funzionali, come la sindrome del colon irritabile.

La diarrea viene quindi identificata dalle variazioni dell’alvo, intese soprattutto come consistenza delle feci e frequenza delle evacuazioni, anche se qualche autore tende a

utilizzare l’entità dell’output fecale (emissioni di feci) in rapporto al peso corporeo. Quindi sebbene spesso valutiamo la presenza di diarrea considerando la consistenza delle feci e la frequenza delle evacuazioni, più scientificamente la diarrea può essere definita come un

volume di feci >10 gr/Kg/die nei lattanti e nella prima infanzia e > 200 gr/die nei bambini più grandi.

Non è stata ancora definitivamente stabilito quale debba essere la durata dei sintomi perché la diarrea si possa definire "cronica".

Si parla di gastroenterite acuta quando il disturbo ha una durata inferiore a 7 giorni e comunque non superiore a 14 giorni; per diarrea cronica si intende invece una forma che

persiste per oltre 14 giorni. La maggior parte degli autori concordano sul fatto che la presenza dei sintomi per 14 giorni soddisfi i criteri, anche se altri usano come soglia una durata di quattro settimane. La WHO

definisce la diarrea cronica come un episodio di diarrea esordito in maniera acuta e poi prolungatosi oltre 4 settimane.

Tuttavia, non esistono limiti temporali rigidi per separare la diarrea acuta da quella cronica. I disordini diarroici rappresentano un continuum, nel quale la maggior parte dei casi si risolve nella prima o nelle prime due settimane, mentre una bassa percentuale persiste più di due,tre

o quattro settimane, e in tal caso si parla di diarrea cronica o persistente.

Comunque, indipendentemente dal termine specifico o dal numero di giorni in cui si presentano i sintomi, si comprende che questa definizione dovrebbe includere la naturale risoluzione della maggior parte delle cause di diarrea acuta.

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Epidemiologia

Nonostante si siano fatti considerevoli passi avanti nella comprensione e nella gestione delle

patologie diarroiche, si stima che ogni anno le malattie diarroiche siano responsabili di circa 2-4 milioni di decessi in età infantile a livello mondiale.

Nel 2002 l'organizzazione mondiale della sanità ha stimato che il 13.2% di tutti i decessi infantili a livello mondiale sia stato causato da malattie diarroiche, il 50% delle quali era

dovuto a malattie diarroiche croniche.

Studi pubblicati negli ultimi anni indicano che l’incidenza globale in tutto il mondo è di circa 3,2 episodi per bambino per anno, nonostante si sia verificata una riduzione della mortalità.

In accordo con i dati della WHO, la prevalenza di diarrea cronica in età pediatrica in tutto il mondo oscilla tra il 3 e il 20%.

Negli Stati uniti soltanto il 25% circa dei casi richiede assistenza medica, e meno dell'1% dei bambini è ricoverato in ospedale.

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Eziologia

Il principale meccanismo fisiopatologico di tutti i tipi di diarrea è l’incompleto assorbimento di

acqua dal lume intestinale a causa di: - una netta riduzione del riassorbimento (dovuto a un ridotto assorbimento degli

elettroliti o a un aumento della loro secrezione) oppure - una ritenzione osmoticamente mediata di acqua nel lume intestinale.

La semplice riduzione del riassorbimento di meno dell’1% dell’acqua intraluminale è già

sufficiente a causare diarrea; pertanto, anche una modesta compromissione della funzione assorbitiva può determinare feci molli.

Si capisce quindi come svariate condizioni possano essere responsabili di diarrea.

Ci possono essere varie classificazioni eziologiche delle diarree croniche in funzione della patogenesi, delle caratteristiche delle feci, delle condizioni socioeconomiche in cui vivono i bambini e anche in base all'età.

Una prima diagnosi differenziale della diarrea cronica in base alle caratteristiche

delle feci è riportata nella tabella 1.

Diarrea acquosa

Di tipo osmotico: – ingestione di sorbitolo, Mg, lassativi – maldigestione/malassorbimento (carboidrati, lipidi, proteine) – disordini della motilità (diarrea postvagotomia, diarrea postsimpatectomia, ipertiroidismo, sindrome

dell’intestino irritabile, sindrome dell’intestino corto) – infezioni (batteriche, virali, parassitarie) – condizioni infiammatorie non infettive (celiachia, MICI, gastroenterite eosinofila)

Di tipo secretivo:

– abuso di lassativi (non-osmotici) – sindromi congenite – tossine batteriche – malassorbimento ileale degli acidi biliari – vasculiti – droghe e veleni – tumori neuroendocrini

– malattia di Addison – diarrea secretiva idiopatica

Steatorrea

Da malassorbimento: – patologie della mucosa – diarrea postresezione – sindrome dell’intestino corto

Da maldigestione:

– insufficienza pancreatica – fibrosi cistica – pancreatite – deficit di sali biliari

Diarrea infiammatoria (sangue nelle feci)

Di origine infettiva: infezioni batteriche, virali, parassitarie

Di origine non infettiva: – MICI – gastroenterite eosinofila – ipersensibilità alle proteine del latte vaccino – colite linfocitica

Tabella 1. Diagnosi differenziale della diarrea cronica in base alle caratteristiche delle feci. Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num. 1 - Gennaio 2007

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La diarrea acquosa si distingue in osmotica e secretiva, sebbene entrambi i meccanismi possano coesistere in pazienti con gravi enteropatie. La diarrea osmotica è causata dal

mancato assorbimento del soluto luminale, con conseguente secrezione di liquidi e ritenzione netta dell'acqua attraverso un gradiente osmotico. La diarrea è secondaria al danno cellulare

con riduzione della superficie assorbente, ed è riconducibile alla presenza nel lume intestinale di sostanze non riassorbibili e osmoticamente attive, che richiamano liquidi all’interno dell’intestino, con conseguente aumento del volume fecale. La diarrea secretiva è più rara ed

è caratterizzata dall’emissione, sia diurna che notturna, di grossi quantitativi di feci liquide, con scariche molto frequenti. I bambini con diarrea secretiva pura continueranno quindi a

manifestare la diarrea anche durante il digiuno. La diarrea secretiva si verifica quando vi è una netta secrezione di elettroliti e liquidi da parte dell'intestino senza un riassorbimento compensatorio (secrezione nel lume intestinale di acqua ed elettroliti in eccesso rispetto alla

capacità degli enterociti di riassorbirli).

Si definisce steatorrea l’evacuazione di feci untuose, che si verifica in caso di malassorbimento di grassi. Tale condizione è tipica dell’insufficienza pancreatica dovuta all’assenza di lipasi o co-lipasi (come nella fibrosi cistica).

La creatorrea, ovvero la presenza di proteine nelle feci, si verifica nell’insufficienza

pancreatica e nell’enteropatia proteinodisperdente e si associa a segni clinici di malassorbimento.

La presenza di muco e sangue nelle feci si verifica in presenza di infiammazione intestinale: la mucosa viene invasa e distrutta dall’infiltrato cellulare di tipo infiammatorio e vengono

prodotte citochine proinfiammatorie; i processi assorbitivi vengono alterati, i materiali essudati (muco, sangue) vengono eliminati e la motilità intestinale viene alterata di

conseguenza. Lo stato infiammatorio può essere dovuto a reazioni allergiche, infezioni, processi di tipo immunitario, così come avviene nelle malattie infiammatorie intestinali.

La presenza di materiale indigerito nelle feci è frequente in presenza di feci molli. Di solito il bambino cresce e non presenta sintomi clinici. Questa condizione è chiamata diarrea cronica

non-specifica infantile, e spesso segue un episodio di gastroenterite acuta con feci liquide. È considerata un disordine funzionale, in cui si verifica un accelerato transito intestinale probabilmente per un’incapacità di bloccare il complesso motorio migrante dell’intestino dopo

il pasto, che pertanto prosegue in un circolo vizioso.

L’incontinenza fecale è un’altra condizione da considerare. In tal caso i bambini presentano apparentemente feci molli, ma la causa è, in realtà, una costipazione. L' incontinenza fecale (encopresi) è un fenomeno che accompagna la stipsi cronica e consiste

nello sporcare le mutande per perdita di feci. Il bambino sporca la biancheria intima perché la parte liquida delle feci riesce a passare attorno al fecaloma che ingombra il retto. I genitori

spesso interpretano erroneamente il fenomeno e pensano che si tratti di diarrea (gli autori anglosassoni parlano di “soiling”). Il problema si verifica perché i muscoli rettali distesi per lungo tempo dalle feci dure e voluminose diventano flaccidi, le terminazioni nervose

periferiche perdono sensibilità, il bambino non è più capace di espellere le feci o di percepire il bisogno di scaricare e non si accorge della perdita di liquidi attraverso l'ano.

In questa situazione, naturalmente, il trattamento mirerà a risolvere la stipsi cronica. Anche la situazione socioeconomica della popolazione può essere d’aiuto per

individuare le principali cause di diarrea cronica:

nelle nazioni industrializzate, le diagnosi più frequenti in pazienti con diarrea cronica sono la sindrome dell’intestino irritabile, le malattie infiammatorie croniche dell’intestino, le sindromi da malassorbimento, le infezioni croniche la diarrea secretoria

idiopatica.

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nelle nazioni meno sviluppate, infezioni batteriche e parassitarie rappresentano le eziologie più frequenti (e verso questa diagnosi il pediatra dovrebbe orientarsi di fronte

a un bambino rientrato da aree endemiche).

Anche l’età di esordio può aiutarci nella classificazione delle diarrea croniche (vedi tabella 2).

Nel lattante:

- sindrome postgastroenteritica - intolleranza alle proteine del latte o della soia - fibrosi cistica

Nel bambino: - diarrea cronica aspecifica - celiachia

- giardiasi - sindrome postgastroenteritica

- fibrosi cistica

Nell’adolescente: - sindrome dell’intestino irritabile

- malattie infiammatorie dell’intestino (MICI) - giardiasi - intolleranza al lattosio

Tabella 2. Cause di diarrea cronica suddivise per età. Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num. 1 - Gennaio 2007

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Fisiopatologia

Le numerose cause alla base della diarrea cronica possono essere suddivise in quattro

principali meccanismi fisiopatologici:

1. meccanismo osmotico,

2. secretivo,

3. associato a dismotilità,

4. infiammatorio.

Spesso un singolo disturbo può comportare la sovrapposizione di meccanismi multipli.

Indipendentemente dalla causa, all'interno del lume intestinale l'acqua non viene completamente assorbita sia perché l'assorbimento netto dell'acqua è ridotto sia perché

l'acqua viene trattenuto nel lume da un gradiente osmotico. Una riduzione netta dell'assorbimento dell'acqua anche solo nell'1% può essere sufficiente a causare diarrea.

Acqua ed elettroliti sono indispensabili alla sopravvivenza di ogni individuo. Ogni giorno circa

8-9 litri di liquidi entrano nell’intestino tenue adulto, dei quali solo 1- 2 litri è costituito da acqua ingerita con gli alimenti, mentre tutto il resto deriva da fonti endogene come le secrezioni salivari, gastriche, pancreatiche, biliari e intestinali.

La maggior parte di questi liquidi viene assorbita nell’intestino tenue per cui solo 1.5 litri raggiungono il colon, che ne riassorbe la maggior parte: il contenuto idrico delle feci

ammonta invece a circa 100-200 ml al giorno. La quantità di liquidi accolta dal tratto gastrointestinale dei bambini è circa pari a 285

ml/kg/24 ore (liquidi introdotti più secrezioni intestinali) con un volume di feci pari a 5-10 g/kg/24 ore. I meccanismi responsabili di questa capacità di assorbimento sono sostenuti da

diverse proteine di trasporto effettuate sull'orletto a spazzola delle cellule del piccolo e grande intestino. Il volume di feci emesso dai neonati e dei bambini contiene per litro circa: 20-25 mEq di sodio, 50-70 mEq di potassio e 20-25 mEq di cloruri.

Il villo, unità funzionale del piccolo intestino, amplifica enormemente la superficie della

mucosa intestinale deputata alla digestione e all’assorbimento. La punta del villo è la sede delle cellule altamente differenziate dotata della capacità di assorbimento mentre l'epitelio delle cripte rappresenta le cellule secretorie indifferenziate. Le cellule epiteliali della punta del

villo vengono sostituite ogni quattro-cinque giorni dalle cellule indifferenziate della cripta. Gli enzimi digestivi e le proteine di trasporto responsabili del passaggio degli elettroliti attraverso

la mucosa intestinale sono situati sull'orletto a spazzola delle cellule dei villi. Gli epiteli gastrointestinali sono epiteli permeabili in grado di modulare la quantità di liquidi presenti nell'intestino.

Il trasporto degli elettroliti attraverso l'epitelio intestinale avviene grazie ai diversi

meccanismi tra cui la proteina di cotrasporto del glucosio-sodio. Questa proteina di trasporto necessita della presenza di un gradiente del sodio sull'orletto a spazzola che viene mantenuto dalla pompa adenosin-trifosfato del sodio e del potassio posta sulla membrana basolaterale

dell’enterocita. Un secondo meccanismo responsabile del trasporto degli elettroliti attraverso l'epitelio intestinale è la via elettricamente neutra accoppiata del sodio-cloruro che utilizza il

doppio meccanismo di scambio sodio-idrogeno e cloruro-bicarbonato. La diarrea è l’inversione del normale stato di regolazione del trasporto di acqua ed elettroliti

nell’intestino, con passaggio da un assorbimento netto alla secrezione di elettroliti ed acqua nel lume intestinale.

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Diarrea osmotica La diarrea osmotica è causata dal mancato assorbimento del soluto luminale, con conseguente secrezione di liquidi e ritenzione netta dell'acqua attraverso un gradiente

osmotico. La diarrea è secondaria al danno cellulare con riduzione della superficie assorbente, ed è riconducibile alla presenza nel lume intestinale di sostanze non riassorbibili e

osmoticamente attive, che richiamano liquidi all’interno dell’intestino, con conseguente aumento del volume fecale.

Il danno può essere causato sia dalla penetrazione del microrganismo

nella mucosa sia dall’azione di citotossine elaborate dal microrganismo stesso. Ne deriva un’alterazione delle funzioni di digestione e

assorbimento dell’enterocita. La presenza di soluti non assorbiti nel lume intestinale esercita una forza osmotica che richiama acqua nel lume con conseguente diarrea.

Tra le condizioni caratterizzate da diarrea di tipo osmotico si possono citare l’intolleranza al lattosio e le forme da malassorbimento di

carboidrati, ma anche le diarree infettive in cui i microrganismi inducono lisi cellulare tramite penetrazione diretta o produzione di tossine, come nel caso dell’infezione da Rotavirus.

L'ingestione di grandi quantità di exitoli, come il sorbitolo e il mannitolo, usati come sostituti

dello zucchero, provoca una diarrea osmotica a causa del loro lento assorbimento e dall'accelerazione della peristalsi intestinale. Questa forma di diarrea, causata di frequente dall’abuso di succhi di frutta ipertonici, è facilmente correggibile modificando le abitudini

alimentari del bambino. I deficit di disaccaridasi, come il deficit di lattasi, raramente sono congeniti, ma più spesso

sono il risultato di lesioni della mucosa intestinale secondari a un processo che si verifica tardivamente durante l'infanzia, come un'enterite.

Nella diarrea osmotica il volume fecale è proporzionato all’assunzione del substrato non riassorbibile e di solito risulta inferiore ai 200 ml/die. Le feci sono acquose e caratterizzate da

pH acido e osmolarità aumentata, perché influenzata, in questo caso, non solo dagli elettroliti ma anche dalla presenza del soluto nel lume intestinale e dei suoi prodotti di degradazione.

La diarrea osmotica pura dovrebbe interrompersi quando le sostanze alimentari nocive sono state rimosse.

Diarrea secretiva La diarrea secretiva è più rara ed è caratterizzata dall’emissione, sia diurna che notturna, di

grossi quantitativi di feci liquide, con scariche molto frequenti. I bambini con diarrea secretiva pura continueranno quindi a manifestare la diarrea anche durante il digiuno.

La diarrea secretiva si verifica quando vi è una netta secrezione di elettroliti e liquidi da parte dell'intestino senza un riassorbimento compensatorio (secrezione nel lume intestinale di acqua ed elettroliti in eccesso rispetto alla capacità degli enterociti di riassorbirli).

Alcune sostanze endogene, spesso chiamate "secretagoghi", inducono la secrezione di

elettroliti e di liquidi nel lume anche in assenza di un gradiente osmotico. In generale, i secretagoghi influenzano il trasporto di ioni nel grande e nel piccolo intestino

sia attraverso l'inibizione dell'assorbimento di sodio e cloro sia

stimolando la secrezione di cloro mediante l'attivazione del regolatore transmembrana della fibrosi cistica.

Alcuni esempi di sostanze secretagoghe includono le enterotossine batteriche di Escherichia coli enterotossigeno, la tossina del Vibrio Cholerae, i virus enteropatogeni, gli acidi biliari, i grassi alimentari non

Vibrio Cholerae

Micrografia elettronica di rotavirus

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assorbiti, alcuni farmaci come quelli prostaglandino-simili e gli ormoni peptidici, come il peptide intestinale vasoattivo (VIP) prodotto dai tumori neuroendocrini.

L’azione della tossina del Vibrio Cholerae esemplifica il meccanismo della diarrea secretoria, in quanto il legame della tossina a recettori epiteliali causa l’aumento di mediatori

intracellulari come AMP-ciclico, GMP-ciclico e calcio, con conseguente aumento della secrezione di cloro da parte delle cripte e diminuito riassorbimento di sodio e cloro dai villi intestinali.

Anche agenti infettivi classificati come cause di diarrea osmotica (cioè perdite di fluidi ed elettroliti dovute al malassorbimento di contenuto intestinale) possono aumentare la

secrezione degli enterociti. Il Rotavirus, per esempio, danneggia l’orletto a spazzola dei villi provocando diarrea osmotica, ma produce anche una enterotossina che provoca una diarrea secretiva Ca++-mediata.

Nella diarrea secretiva, le feci sono tipicamente voluminose (>200 ml/die) con pH>6 e

osmolarità nella norma. I segni distintivi della diarrea secretiva includono una elevata frequenza di evacuazioni, la mancata risposta al digiuno e un normale gap ionico fecale (cioè 100 mOsm/kg o meno),

indicando così che l’assorbimento dei nutrienti è intatto.

Diarrea da disturbi della motilità

La diarrea cronica associata a disturbi della motilità intestinale si verifica in genere in presenza di una normale capacità di assorbimento. Il tempo di transito intestinale è ridotto, il tempo concesso per l'assorbimento è ridotto al minimo e il liquido viene trattenuto all'interno

del lume. Un elemento chiave nei disturbi della motilità intestinale è rappresentato dalla maggiore ampiezza delle contrazioni che si propagano e si è osservato che tali disturbi sono

più frequenti nei pazienti con sindrome del colon irritabile con diarrea predominante.

Diarrea di tipo infiammatorio

La diarrea di tipo infiammatorio può includere tutti i meccanismi fisiopatologici e può essere acuta o cronica. Mentre le forme acute di diarrea infiammatoria sono riconducibili all’azione di patogeni

enteroinvasivi, come Salmonella, Shigella, Amoeba, Yersinia enterocolitica e E. coli enteroinvasivo (il processo infiammatorio in questi casi è la risposta all’invasione diretta da

parte del patogeno), le forme croniche sono riconducibili alle malattie infiammatorie croniche intestinali (in particolare il morbo di Crohn e la colite ulcerosa). L'infiammazione con conseguente lesione dell'intestino può portare a un malassorbimento di macro nutriente

alimentari che, a sua volta crea un gradiente osmotico luminale.

Dal punto di vista clinico, nella diarrea infiammatoria le feci si presentano miste a sangue, muco e leucociti, con sintomi di accompagnamento quali tenesmo.

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Valutazione del bambino con diarrea cronica

Valutazione anamnestica e esame obiettivo L’approccio al bambino con diarrea cronica consiste in un’accurata raccolta dell’anamnesi associata a un’attenta valutazione clinica.

Anamnesi

Dati anamnestici importanti (vedi tabella 3) sono quelli perinatali (costipazione, fibrosi cistica), quelli relativi a precedenti interventi chirurgici (sindrome dell’intestino corto) e la

storia familiare (celiachia, MICI). È importante valutare la severità della diarrea, il tipo di feci e la presenza di sintomi associati.

È importante effettuare un’adeguata valutazione nutrizionale, identificando un eventuale calo ponderale o una ridotta crescita, ed esaminare un campione di feci.

Un'anamnesi accurata delle caratteristiche della diarrea è importante per valutare la gravità della malattia e per formulare una diagnosi differenziale. Può essere utile un diario di tre giorni che registri le caratteristiche dell'evacuazione, l'assunzione di cibo con la dieta e i

sintomi associati.

Epoca di inizio, durata ed entità della diarrea e del vomito; volume e aspetto delle feci; presenza di muco e sangue evidente nelle feci;

diuresi; tipo e quantità di liquidi somministrati;

tipo di alimentazione; pesi precedenti disponibili;

comportamento ed aspetto generale del bambino;

presenza di febbre; condizioni correlabili ad altre possibili cause di diarrea e vomito (otalgia, sintomatologia

catarrale, modificazioni delle caratteristiche delle urine, assunzione di antibiotici e

dolori addominali) ed altre patologie croniche preesistenti; eventuali contatti con persone affette (casi precedenti in famiglia e a scuola);

viaggi in zone a rischio;

intolleranze alimentari.

Tabella 3. Aspetti fondamentali da valutare nell’anamnesi

Una diarrea esordita in periodo neonatale suggerisce, una volta escluse possibili infezioni,

un’enterocolite da allergia alle proteine del latte vaccino, una fibrosi cistica, una linfangectasia o difetti congeniti del trasporto di elettroliti (come la cloridorrea congenita). Una diarrea sanguinolenta suggerisce un’enterocolite necrotizzante nel periodo neonatale,

una malattia infiammatoria dell’intestino nel bambino più grande. Nel range di età compresa tra sei mesi e due anni le condizioni da considerare sono la diarrea cronica aspecifica del

lattante, una sindrome postenteritica, la celiachia. Infezioni respiratorie associate devono suggerire una fibrosi cistica o un’immunodeficienza congenita. In paesi in cui vi è un’alta prevalenza di HIV, l’infezione deve essere esclusa precocemente.

Esame obiettivo

L’esame obiettivo permette di valutare attentamente la crescita e lo sviluppo, ricercando i segni di carenza nutrizionale.

Gli elementi essenziali nella valutazione clinica del bambino con diarrea cronica sono:

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- curva di crescita,

- segni vitali, - masse muscolari,

- tessuto adiposo sottocutaneo, - stadio puberale, - sviluppo psicomotorio,

- cute (perianale), - addome (visceromegalia, sofficità),

- esame rettale, - campione di feci (colore, consistenza, sangue macroscopico).

Le indagini successive devono quindi essere basate su tale valutazione, sull’età del bambino e sulla durata della diarrea. Sulla base della storia e della valutazione clinica si potrà avere un

primo orientamento verso un disturbo funzionale oppure organico, per distinguere un malassorbimento da forme di infiammazione e per identificare la necessità di successive indagini (vedi tabella 4).

DATI

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Step 1. Storia clinica

- Frequenza defecatoria e pattern: notturna, modificata dal digiuno, ecc.

- Aspetto delle feci: acquose, schiumose, untuose, mucose, sanguinolente,

con cibo indigerito

- Sintomi associati: crampi addominali, flatulenza, febbre, sintomi

extraintestinali

- Storia dietetica

- Diarrea secretoria/ osmotica /infiammatoria

- Difetti congeniti dell'assorbimento, steatorrea,

infiammazione, diarrea cronica aspecifica

- Malassorbimento di carboidrati, MICI

Step 2. Valutazione clinica

- Crescita normale

- Scarsa crescita

- Afte orali

- Addome disteso

- Masse addominali

- Anomalie rettali

- Sintomi extraintestinali: polmonari, articolari, oculari, cutanei

- Funzionale, dietetica

- Malassorbimento

- Impatto fecale, infiammazione

- MICI, tumori, impatto fecale

- MICI

- Fibrosi cistica, MICI, celiachia

Step 3. Test di laboratorio

- Incremento indici di flogosi

- Alterazioni elettrolitiche

- Anemia

- Riduzione vitamine liposolubili

- Incremento enzimi pancreatici

- Riduzione albumina

- Riduzione colesterolo, trigliceridi

- Aumento anti-tTG o EMA

- Coprocoltura

- MICI

- Condizioni ipersecretive

- Celiachia, MICI

- Steatorrea: fibrosi cistica, alfabeta

lipoproteinemia, celiachia, MICI

- MICI

- Enteropatia proteino-disperdente, MICI, Alfabeta

lipoproteinemia

- Celiachia

- Infezioni batteriche o parassitarie

Tabella 4.Valutazione iniziale della diarrea cronica. Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num. 1 - Gennaio 2007

Va posta inoltre attenzione alla ricerca di segni di allarme che indirizzano verso una

possibile forma organica di malattia:

- Sangue nelle feci

- Muco nelle feci

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- Escoriazioni perianali

- Diarrea continua severa e notturna

- Perdita di peso o scarsa crescita

- Febbre

- Rash

- Artriti.

Altri sintomi di allarme vanno considerati, anche se raramente alcuni di essi sono riscontrabili

in corso di gastroenterite:

1. Dolore e tensione dell’addome, con o senza resistenza (cause chirurgiche: appendicite,

invaginazione, occlusione intestinale) 2. Pallore, ittero, oligo-anuria, diarrea ematica (sindrome uremico-emolitica)

3. Compromissione dello stato generale, sproporzionato al livello di disidratazione (sepsi, cause chirurgiche)

4. Shock (cause chirurgiche, sindrome uremico-emolitica, sepsi).

Esame delle feci e del sangue

Esame delle feci

Gli esami di laboratorio devono iniziare con studi microbiologici per la ricerca di batteri e di parassiti nelle feci. Le infezioni causate da batteri come Yersinia, Escherichia Coli e Salmonella possano

trasformarsi in malattie croniche e possono essere rilevate da una coprocultura di routine. Inoltre dovrebbe essere eseguito l'esame per la ricerca della tossina del Clostridium difficile,

soprattutto in caso di un recente uso di antibiotici. La ricerca degli antigeni per la Giardia e il Cryptosporidium è il più sensibile e specifico degli esami microscopici di routine basati sulla ricerca di uova e parassiti.

Esame delle feci con la valutazione del contenuto elettrolitico e dell'osmolarità può essere

utile per differenziare una diarrea osmotica da una diarrea secretiva: in presenza di una differenza maggiore di 50mOsm tra l'osmolarità delle feci e due

volte la somma delle concentrazioni di sodio e potassio nelle feci, la diarrea è di natura

osmotica; se questo gap osmotico è inferiore a 50mOsm, si presume che la diarrea sia secretiva.

Per poter differenziare una diarrea osmotica, nella quale si ha la risoluzione della diarrea con il digiuno, può essere richiesto un digiuno di 24 ore con idratazione per via endovenosa. La persistenza della diarrea durante il digiuno suggerisce una fisiopatologia di tipo secretivo.

L’ispezione delle feci per la presenza di leucociti può indicare l'infiammazione delle mucose.

Il test per la presenza di sostanze riducenti può rilevare un malassorbimento dei carboidrati.

Il dosaggio dell'attività di elastasi nelle feci fornisce un'indicazione della funzione pancreatica endocrina, in quanto un basso livello di elastasi fecale suggerisce un'insufficienza pancreatica.

Se si sospetta una steatorrea, un dosaggio più preciso dei lipidi fecali richiede la raccolta delle

feci per 72 ore. Durante la raccolta delle feci i pazienti devono consumare adeguate quota di grassi (superiore a 30 g/die nei lattanti e superiore a 50 g/die nei bambini in età scolare) e un coefficiente di malassorbimento dei grassi superiore al 5% è considerato anomalo dopo

l'infanzia. Durante l'infanzia una percentuale normale di grassi può raggiungere il 15%.

Esami del sangue

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Gli esami del sangue di routine dovrebbero includere la conta delle cellule ematiche per valutare l'eventuale presenza di anemia e trombocitosi, che rispettivamente suggeriscono una

perdita ematica o un'infiammazione. Nella malnutrizione, la valutazione delle caratteristiche dei globuli rossi può suggerire un

deficit di vitamina B12 o di folati. Per i disturbi del sistema immunitario si dovrebbe richiedere la conta leucocitaria con formula e lo screening delle immunoglobuline.

La velocità di eritrosedimentazione e i livelli di proteina C reattiva indicano la presenza di un'infiammazione, ma, come sappiamo, non sono esami specifici.

Un elevato titolo anticorpale di immunoglobuline A antitransglutaminasi tissutale è un indicatore sensibile e specifico per la malattia celiaca. Se si sospetta un malassorbimento dei grassi si possono misurare i livelli di vitamine

liposolubili: vitamina A, vitamina D 25-OH, vitamina E, vitamina K.

Ulteriori test Il valore degli esami radiologici nel caso della diarrea cronica è limitato. Le radiografie

addominali possono dimostrare la stipsi o la dilatazione delle anse del piccolo intestino. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica possono essere utili nelle malattie infiammatorie intestinali per mostrare un ispessimento della parete intestinale, un

reperto che suggerisce l'infiammazione delle mucose.

Può essere utilizzata l'analisi dell'idrogeno nel respiro o "Breath test", per esaminare il malassorbimento dei carboidrati. Se non vengono assorbiti, il lattosio, il saccarosio o il

lattulosio somministrati all'inizio del test raggiungono i batteri del colon producendo idrogeno, che viene misurato nel respiro.

L'endoscopia può essere utile per rilevare l'appiattimento dei villi duodenali e i linfociti intraepiteliali nella malattia celiaca o segni di infiammazione ileale o del colon nella colite

infettiva o nelle malattie infiammatorie intestinali. La biopsia dell'intestino tenue durante l'endoscopia può anche rivelare la presenza di duodenite nelle infezioni parassitarie. Tuttavia l'esame delle feci per la presenza di parassiti e molto meno invasivo ed è più sensibile e

specifico dell’endoscopia.

Uno schema riassuntivo delle indagini spesso richieste per la diagnosi differenziale e per confermare i sospetti diagnostici sono riportate nella tabella 5.

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NON-INVASIVI

Parametri di laboratorio

- Infiammazione (VES, PCR, calprotectina fecale)

- Allergia (IgE, RAST)

- Nutrizione (emocromo, azotemia, elettroliti, PT, vitamine A,E,D,B12, calcio, ferritina,

colesterolo)

- Immunità (IgA, EMA, tTG)

- Tossicologia

- Funzionalità tiroidea

Feci

- Quantità: numero defecazioni + peso feci nelle 24 ore (raccogliere per 24 ore i pannolini

feci e sottrarre la tara)

- Colture per patogeni intestinali, parassiti e loro cisti (Giardia lamblia)

- Ricerca di sangue occulto (almeno su 2-3 feci)

- Ricerca di leucociti fecali su striscio (specie del muco) colorato con Wrigth (indicano

infiammazione acuta o cronica)

- Calprotectina fecale (infiammazioni)

- Steatocrito e grassi fecali

- Elastasi e alfa-1 antitripsina

- Se le feci sono prevalentemente liquide:

- pH fecale: se <5,6 e/o potere riducente (Clinitest) --> malassorbimento di carboidrati

- Gap osmotico [290 - 2(sodio fecale + potassio fecale) ]: se >125 mOsm/kg --> diarrea

osmotica; se <50 mOsm/kg --> diarrea secretoria

Breath test per valutare l'assorbimento

- Breath test al lattosio

Test del sudore

Rx addome standard

INVASIVI

EGDS con biopsie del piccolo intestino

Ileocolonscopia

Tabella 5. Indagini per la diagnosi eziologica di diarrea cronica. Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num. 1 - Gennaio 2007

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Diagnosi differenziale

Esistono varie e molteplici possibili classificazioni delle diarree croniche, che tengono conto della patogenesi, dell'età, della frequenza o dei sintomi. Vediamole insieme.

Le possibili cause di diarrea cronica sono elencate nella tabella 6. Diarrea infantile protratta con atrofia dei villi

- postinfettiva - da allergia alimentare - da malnutrizione

Disordini immunitari

- primari e secondari - enteropatia autoimmune

Malattie infettive

- infezioni batteriche - infezioni virali - infezioni parassitarie

Malattie infiammatorie dell’intestino

- malattia di Crohn - rettocolite ulcerosa

Errori congeniti del metabolismo

- cloridorrea congenita - abetalipoproteinemia - galattosemia - tirosinemia - acrodermatite enteropatica - malassorbimento di acido folico, vitamina B12

Impatto con incontinenza fecale

- malattia di Hirschprung

- disfunzioni anorettali - stipsi funzionale

Malassorbimento di carboidrati

- congenito (deficit lattasi, malassorbimento glucosio-

galattosio, deficit sucrasi-isomaltasi, intolleranza al fruttosio)

- acquisito (deficit lattasi, deficit acquisito di disaccaridasi)

Forme di origine alimentare

- alimentazione eccessiva - assunzione di carboidrati non digeribili - diarrea cronica aspecifica - diarrea factitia

- sindrome di Munchausen

Patologie specifiche del sistema gastrointestinale

- dell’intestino (celiachia, sindrome dell’intestino

irritabile, sprue tropicale, linfangectasia, gastroenteropatia eosinofila, sindrome dell’intestino corto, sindrome da sovracrescita batterica)

- del pancreas (fibrosi cistica, condizioni di insufficienza pancreatica)

- del fegato (condizioni di colestasi e deficit sali biliari)

Forme non gastrointestinali

- ipertiroidismo - tumori (VIPoma, APUDoma)

Tabella 6. Cause di diarrea cronica. Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num. 1 - Gennaio 2007

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Nel vasto numero di diagnosi differenziale possibili per la diarrea cronica in età pediatrica, può essere utile differenziare le malattie che provocano scarso accrescimento

ponderale da quelli in cui il peso è generalmente mantenuto (vedi tabella 7).

Senza ritardo di crescita

- Diarrea cronica aspecifica dell’infanzia

- Diarrea infettiva

- Malassorbimento di lattosio

- Sindrome del colon irritabile

Con ritardo di crescita

- Diarrea intrattabile dell’infanzia (o diarrea

postenteritica – PES-)

- Gastroenterite eosinofila

- Malattia celiaca

- Malattie infiammatorie croniche intestinali

- Deficit immunitari

- Diarrea secretiva congenita (clororrea e

sodiorrea)

- Enteropatia autoimmune

- Tumori neuroendocrini

- Morbo di Hirschprung

- Fibrosi cistica

Tabella 7. Cause di diarrea cronica senza o con ritardo ci crescita. Fonte: Garrett C. Zella and Esther J. Israel. Chronic Diarrhea in Children, Pediatrics in Review Vol.33 No.5 May 2012: 206-218

Un'altra classificazione delle diarree croniche tiene conto del tipo di lesione e della patogenesi (vedi tabella 8).

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PATOGENESI SINDROME CLINICA ESSENZIALE FREQUENZA

Alterazione dei villi

malattia celiaca infezioni (rotavirus, giardia) PES IPLV linfangiectasia intestinale enteropatia autoimmune immunodeficienza congenita o

acquisita

steatorrea, arresto della crescita possibile proteino-dispersione possibile deficit IgA

Discreta

Diarrea secretiva

infezioni (colera,

Campylobacter, Yersinia) diarrea da ormoni vasoattivi

secreti in corso di tumori Cloridorrea congenita diarrea da antibiotici diarrea da acidi biliari

scariche particolarmente

acquose, con possibilità di disidratazione

presenza di elevata quantità di sodio e potassio nelle feci

Rara

Interessamento prevalente del colon

MICI malattia di Hirschsprung enterocolite allergica enterocolite autoimmune colite pseudomembranosa colite di Bechet colite amebica enterocolite emorragica

dolore addominale sangue e pus nelle feci indici di flogosi aumentati

Rara

Difetti enzimatici congeniti

malassorbimento congenito di

glucosio-galattosio deficit di saccarasi-isomaltasi deficit congenito di lattasi

diarrea osmotica, acquosa, acida

Rarissima

Insufficienza pancreatica

fibrosi cistica sindrome di Shwachmann pancreatite cronica deficit di lipasi

steatorrea evidente associazione con sintomi

respiratori e deficit della crescita nella fibrosi cistica

Rara

Alterazioni anatomiche

sindrome dell’ansa cieca malrotazione con volvolo

intermittente sindrome dell'intestino corto assenza valvola ileocecale

(resezioni chirurgiche)

presenza di anamnesi chirurgica

Rara

Forme funzionali

diarrea cronica aspecifica (Toddler diarrhea)

assenza di malassorbimento e

di malnutrizione parametri di crescita normali presenza di stipsi alternata a

diarrea

Frequentissima

Varie

acrodermatite enteropatica abetalipoproteinemia gastroenterite eosinofila ostruzioni biliari

presenti in genere segni e sintomi extraintestinali

Rara

Tabella 8. Classificazioni e caratteristiche cliniche essenziali delle diarree croniche sulla base del danno intestinale. Fonte: Lo Giudice M, Bottaro G, Santucci A, Montanari G. Manuale di Gastroenterologia Pediatrica, Springer Editore 2007

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Diarrea cronica aspecifica dell'infanzia o della prima infanzia Questa condizione, descritta nel 1966 come sinonimo di colon irritabile del bambino, rappresenta un frequente problema di pratica ambulatoriale pediatrica ed è la più frequente causa di diarrea cronica nel bambino nei paesi ricchi. E’ inoltre la forma più comune di

diarrea persistente nei primi tre anni di vita.

L'età di insorgenza può variare da uno a tre anni e può persistere dalla prima infanzia sino all'età di cinque anni. In questi pazienti, di solito, l'emissione di feci differisce sia per consistenza sia per

frequenza da quella degli altri bambini. I bambini affetti possono avere da 4 a 10 emissione di feci diarroiche al giorno, senza sangue o muco.

Il quadro specifico di tale malattia è rappresentato dal fatto che in questi pazienti l’emissione di feci avviene solo durante le ore di veglia e inizia con l'emissione di un gran volume di feci formate o semiformate dopo il risveglio. Nel corso della giornata, le feci diventano più

acquose e il volume si riduce. Il tempo di transito del contenuto enterale può essere particolarmente breve, e i genitori descrivono spesso la presenza di residui di cibo non

digerito nelle feci. La diagnosi è abitualmente clinica e si basa quindi sull’anamnesi e sull’esame clinico del

paziente. La situazione è di solito abbastanza stereotipata: il paziente è un bambino di 1-5 anni in ottime condizioni generali che da almeno 3 settimane ha una diarrea con feci

maleodoranti, talora acquose, spesso con muco e residui vegetali indigeriti a testimonianza di un accelerato transito intestinale. Per definizione i bambini con diarrea aspecifica dell'infanzia hanno peso e altezza normale.

Benché alcuni tra questi bambini lamentino leggeri disturbi addominali, più frequentemente essi appaiono sani e mantengono un appetito normale e un adeguato livello di attività.

Il dolore addominale è raro e abitualmente il paziente presenta uno stato nutrizionale conservato, anche se la presenza di un’alterazione dello stato di nutrizione è tuttavia possibile

e di solito riconducibile a una prescrizione iatrogena di regimi dietetici ipocalorici di solito associati a diete di eliminazione.

I possibile meccanismi fisiopatologici alla base della diarrea cronica aspecifica includono: un aumento della motilità intestinale e

l'effetto osmotico dei soluti intraluminali (per esempio i carboidrati). Il ruolo dell'assunzione dei carboidrati è stato sottolineato alla luce della tipica predilezione dei bambini per i succhi di frutta. Un consumo eccessivo di succhi di frutta, in particolare

quelli contenenti sorbitolo o fruttosio (per esempio succhi di frutta alla mela, pera, ciliegia, prugna) può contribuire al carico osmotico fecale causando diarrea o peggiorandola.

Numerosi fattori giocano un ruolo nel determinismo del caratteristico aspetto delle feci:

l’ampia variabilità di frequenza e consistenza delle feci che esiste nel bambino “sano”, per cui in un bambino tra 1 e 5 anni potrebbe essere ancora normale osservare fino a

tre emissioni giornaliere di feci molli o talora francamente liquide con residui alimentari visibili: il 52% dei bambini sani a 2 anni ha residui alimentari visibili nelle feci.

Le caratteristiche fisiologiche del transito colico. L’aspetto delle feci è determinato in

particolar modo dal transito colico ed è soprattutto funzione di due elementi: l’assorbimento colico di acqua e il tempo di transito nel grosso intestino.

L’assorbimento di acqua da parte dei colociti è meno efficace nel bambino rispetto all’adulto. Inoltre la modesta differenza percentuale tra il contenuto acquoso di feci formate (circa il 70-75%) e quello delle feci liquide (90%) fa sì che piccole variazioni

percentuali della quota di riassorbimento di acqua comportino grandi variazioni della consistenza e dell’aspetto fecale.

Alcuni fattori nutrizionali che si modificano abitualmente dopo un episodio di diarrea acuta quali:

- una riduzione dell’apporto di lipidi e fibre della dieta;

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- un aumento dell’apporto idrico; - la somministrazione di bevande ad elevata osmolarità quali i succhi di frutta

(mele) a elevato contenuto di fruttosio e sorbitolo.

La rassicurazione dei genitori rappresenta la pietra angolare della terapia. I genitori devono essere rassicurati sul fatto che il loro bambino sta crescendo bene ed è sano. Anche se non è stato stabilito un trattamento preciso, potrebbe essere prudente intervenire sulla dieta.

L'assunzione di succo di frutta deve essere ridotta al minimo o modificata, preferendo alcuni tipi di succo contenenti basse quantità di saccarosio e fruttosio. Al di là della restrizione per i

succhi di frutta, cambiamenti che potrebbero essere utili consistono nel liberalizzare l'assunzione di grassi per incoraggiare una normale apporto calorico e rallentare il tempo di transito intestinale, nel non limitare il consumo di fibre e nell'assicurare un'idratazione

adeguata ma non eccessiva. Il trattamento della diarrea cronica aspecifica si basa quindi sul “counselling”, sulla

rassicurazione della famiglia e sulla normalizzazione dell’alimentazione del bambino sia sul piano dell’apporto calorico quantitativo che della distribuzione dei nutrienti. In particolare andrà prestata particolare cura alle cosiddette “4 F”: Fat, Fibre, Fluid, Fruit

juices:

Fat: l’apporto lipidico nella dieta dovrà essere aumentato; Fibre: l’apporto in fibre, di solito ridotto, andrà normalizzato;

Fluid: dovrà essere scoraggiato l’eccessivo apporto di liquidi sotto qualsiasi forma; In particolare quello derivante dai succhi di frutta (Fruit juice).

Diarrea intrattabile dell’infanzia o diarrea protratta postenteritica (PES) La diarrea che persiste dopo un episodio acuto di presunta diarrea infettiva è definita in vari modi: diarrea intrattabile dell'infanzia (intractable diarrhea of infancy = IDI), diarrea protratta postenteritica (PES) o postgastroenteritica o come enteropatia postenteritica o

"slick gut". Si tratta di una condizione descritta alla fine degli anni Settanta, con molte caratteristiche

comuni alla diarrea cronica aspecifica, che si sviluppa quindi abitualmente come conseguenza di una diarrea infettiva con feci molli non maleodoranti, contenenti spesso muco, in cui tuttavia è presente un rallentamento della crescita tanto più importante quanto maggiore è la

durata dei sintomi. La diarrea intrattabile dell’infanzia si verifica in seguito a un’infezione intestinale che

determina una variabile riduzione delle capacità digestive e assorbitive del lattante. La diarrea protratta postenterica (PES) può causare diarrea cronica su base organica, nella quale a un episodio in genere infettivo a localizzazione intestinale, segue un periodo di

disturbi diarroici, con scadimento delle condizioni cliniche che portano a malassorbimento e malnutrizione.

La diarrea intrattabile dell'infanzia rimane una causa importante di morbilità e mortalità nei paesi in via di sviluppo, dove i bambini possono essere a rischio di malnutrizione. I bambini particolarmente a rischio sono quelli più piccoli, quelli che soffrono di malnutrizione o che

hanno alterazioni del sistema immunitario. È comune una diarrea osmotiche con maggiore richieste di liquidi secondario al malassorbimento dei carboidrati. L’intolleranza transitoria al

lattosio ne rappresenta la forma più lieve. Nella variante più severa (diarrea intrattabile),è talvolta necessario ricorrere prontamente alla nutrizione parenterale.

La presenza di diarrea intrattabile dell'infanzia deve essere sospettata in ogni lattante con diarrea persistente dopo una gastroenterite acuta. Le altre possibili cause di diarrea cronica

vanno ricercate, ma solo dopo avere prontamente provveduto a fornire il supporto nutrizionale. Episodi ricorrenti di diarrea e scarsa crescita nel primo semestre di vita suggeriscono tale diagnosi, spesso in seguito a un episodio di gastroenterite acuta.

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Nella PES non sembra esserci un unico evento patogenetico, ma si intrecciano vari

meccanismi, amplificandosi a vicenda, a rendere ragione di una patologia cronica che non allarma solo i genitori, ma anche i medici. Questi meccanismi sono:

la malnutrizione,

la persistenza dell'infezione,

la nuova colonizzazione batterica,

la sensibilizzazione a proteine alimentari,

l'intolleranza a carboidrati.

In molti casi può essere presente un'enteropatia, documentabile alla biopsia (riduzione

dell'altezza dei villi, ipertrofia decrepite, aumentato numero dei linfociti della lamina propria). La malnutrizione rappresenta una condizione importante non tanto nell’iniziare la malattia, ma nella perpetuazione della stessa, agendo con varie modalità peggiorative, in particolar

modo ostacolando i processi riparativi dell’intestino offeso con aumento dell'attività peristaltica intestinale. Quindi appare importante garantire un buon apporto nutritivo al

paziente con PES, non modificando in alcun modo la sua normale alimentazione È ormai noto che i germi che possono essere causa di PES sono molti: salmonella, Shigella, Campylobacter, Yersinia, rotavirus, Escherichia coli.

Una condizione favorevole all'instaurarsi della PES è il deficit è di IgA, anche transitorio, il quale agevola la persistenza di un'infezione batterica dell'intestino.

I batteri esplicano la loro azione anche mediante la deconiugazione dei sali biliari con aumento della presenza di acidi biliari liberi. Questi sono causa di diarrea cronica attraverso vari meccanismi, di cui il più importante sembra essere quello legato a una stimolazione

dell’AMP ciclico intracellulare, con conseguente iperproduzione di acqua ed elettroliti nel digiuno e nel colon.

L'allergia alimentare è un altro dei meccanismi patogenetici della PES, ma essa gioca un ruolo meno importante di quanto si considerasse in passato, anche se il passaggio di

macromolecola per aumentata permeabilità intestinale è stato dimostrato dopo gastroenteriti infettive. Un altro meccanismo patogenetico della PES è l'intolleranza ai carboidrati, causa di diarrea

liquida ricca di sostanze riducenti. Il malassorbimento di lattosio è di gran lunga il tipo più comune di intolleranza ai disaccaridi. L’età di esordio varia tra le popolazioni, ed un quinto dei

bambini americani di etnia ispanica, asiatica e africana diventa intolleranti al lattosio prima dei cinque anni di età. I bambini bianchi perdono l'attività della lattasi solo dopo i cinque anni di età, e spesso molto più tardi, nell'adolescenza avanzata e oltre. La carenza di lattasi

secondaria (il deficit congenito di lattasi è estremamente raro) deriva da una lesione della mucosa del piccolo intestino che comporta la perdita dell'enzima lattasi dall'estremità di villi.

Le cause comprendono l'infezione da rotavirus, le infezioni parassitarie, la celiachia, il morbo di Crohn e altre enteropatia. I sintomi di intolleranza al lattosio sono indipendenti dalla causa. Il lattosio non completamente digerito raggiunge la densa popolazione microbica del colon,

che fermenta lo zucchero in idrogeno e altri gas, provocando meteorismo e flatulenza. Il lattosio non assorbito agisce come un agente osmotico, producendo una diarrea osmotica. La

diagnosi può essere fata sulla base della risposta positiva a una dieta priva di lattosio per due settimane o dal breath-H2 (test dell'idrogeno del respiro). Il trattamento prevede di ridurre al minimo l'assunzione di lattosio perché i sintomi sono dose dipendenti e potrebbero non

richiedere di eliminare completamente il lattosio dalla dieta.

La diagnosi è clinica, si basa sull’esclusione di altre possibili cause e sulla risposta esclusiva alla terapia nutrizionale (entrale o parenterale). Altri elementi caratteristici di questi pazienti sono la durata della diarrea, particolarmente

protratta, specie per quei pazienti di età >12 mesi, e il frequente riscontro di prescrizioni dietetiche domiciliari ipocaloriche e/o di esclusione.

Gli esami bioumorali non sono descritti come particolarmente significativi al di là di una modesta anemia ipocromica e di un lieve e isolato aumento delle aspartatoamino-transferasi. Gli esami batteriologici delle feci non sono abitualmente contributivi.

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L’elemento caratterizzante questo gruppo di pazienti sembrerebbe tuttavia la presenza di alterazioni istologiche, di solito moderate, alla biopsia intestinale riscontrate fino ad almeno

un terzo dei pazienti sottoposti a questa indagine. Le alterazioni riscontrate non sono caratteristiche e comportano abitualmente una riduzione dell’altezza dei villi e la presenza di

un infiltrato infiammatorio linfo-plasmacellulare nella lamina propria. Durante la fase di sorveglianza alcuni pazienti normalizzano l’alvo e il ritardo di crescita, mentre in altri questi problemi persistono.

Rimangono difficili comunque da spiegare le alterazioni istopatologiche, relativamente frequenti, della mucosa intestinale, che potrebbero trovare ragionevole giustificazione, sia, ad

esempio, nella persistenza nelle feci dell’agente infettivo responsabile dell’episodio acuto che in un’eccessiva contaminazione batterica dell’intestino tenue.

Per prevenire la diarrea intrattabile dell'infanzia fondamentale è seguite le indicazione delle

linee guida per la gestione della gastroenterite acuta. La terapia della diarrea acuta si basa principalmente su una reidratazione e correzione degli squilibri elettrolitici e dell’acidosi e una alimentazione (rialimentazione) precoce del soggetto.

Il primo approccio terapeutico al bambino con la diarrea acuta è rappresentato dalla reidratazione per via orale (ORT = oral rehydration therapy) attraverso l’assunzione di

soluzioni reidratanti orali (ORS = oral rehydration solution) che stimolano il riassorbimento di Na+ e ripristinano il normale equilibrio elettrolitico intestinale.

Negli ultimi anni l’utilizzo di ORS a ridotta osmolarità (225-250 mmol/l) con più basse concentrazioni di Glu e di Na è stato raccomandato da ESPGHAN, WHO e UNICEF per la sua

maggiore capacità di assorbimento dei soluti. La composizione ideale è risultata pertanto:

Glu: 70-110 mmol/l,

Na+: 60 mEq/l, K: 20 mEq/l,

Cl: 25-60 mEq/l, Osmolarità: 200-250 mOsm.

L’uso di bevande “domestiche” (ad es., acqua o tè zuccherati), succhi di frutta, coca cola,

preparati liquidi per atleti non è raccomandato a causa della inadeguata concentrazione di sodio e della loro elevata osmolarità (correlata alla concentrazione dei carboidrati),

quest’ultima responsabile di eventuale peggioramento della diarrea. Un altro problema da tenere in considerazione è che le soluzioni reidratanti orali sono ipocaloriche e non contengono proteine o altri nutrienti, per i quali è dunque necessaria la supplementazione al

fine di assicurare un adeguato intake nutrizionale (vedi tabella 9).

Tabella 9. Caratteristiche delle bevande “domestiche” utilizzate per la reidratazione orale. Fonte: AAP. Practice Parameter: the Management of Acute Gastroenteritis in Young Children. Provisional

Committee on Quality Improvement; Subcommittee on Acute Gastroenteritis. Pediatrics 1996;97;424-435)

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Dopo aver quantificato l’eventuale stato di disidratazione e iniziato le misure adatte a ripristinare i liquidi persi, è importante individuare il momento opportuno per reintrodurre

l’alimentazione enterale. Il Working Group dell’ESPGHAN e numerosi lavori (vedi tabella 10) hanno dimostrato che la

ripresa della normale alimentazione dopo 4-6 ore di adeguata reidratazione orale è ben tollerata e determina un più veloce recupero ponderale con miglioramento immediato dello stato nutrizionale.

Una rapida rialimentazione dopo reidratazione orale si accompagnava infatti a un ripristino delle normali funzioni di permeabilità intestinale.

Per prevenire la malnutrizione post-enteritica è quindi opportuno riprendere l’alimentazione adeguata per l’età, concluse le 4-6 ore di terapia reidratante orale (ORT). Nei lattanti sopra i 6 mesi verranno reintrodotti gli alimenti solidi che il bambino riceveva precedentemente con

alimentazione adeguata per l’età. I bambini di età superiore a 12 mesi verranno rialimentati con gli alimenti solidi che ricevevano normalmente incluso il latte vaccino.

È opportuno cercare di assicurare il più possibile l’adeguato apporto calorico durante l’episodio di diarrea acuta offrendo pasti piccoli e frequenti e aumentando l’apporto calorico nei giorni successivi. La dieta deve essere libera e può contenere carboidrati, carne, latticini,

frutta e verdura; gli unici cibi da evitare sono quelli ad alto contenuto di zuccheri semplici (dolci, bevande gassate, succhi di frutta ecc.), perché la loro carica osmotica può peggiorare

la diarrea; possono determinare inoltre iponatriemia. Il lattante che prende il latte materno, non deve mai sospenderlo, né durante la ORT né nel

periodo successivo, perché è dimostrato che in questo modo si reidrata più velocemente il bambino e si riducono il volume e la frequenza delle scariche diarroiche. I bambini allattati artificialmente possono continuare ad assumere il loro latte di formula nelle

quantità usuali e adeguate alle loro necessità nutrizionali; riducendo le razioni e aumentando la frequenza dei pasti si può avere beneficio sul numero e la quantità di scariche diarroiche.

Di regola non sono necessarie formule prive di lattosio, né è utile somministrare formule diluite, anzi è stato dimostrato che questa pratica è associata a prolungamento dei sintomi e a un ritardo del recupero del deficit nutrizionale.

Le formule prive di lattosio vanno riservate a quei pazienti con intolleranza dimostrata al lattosio (persistenza della diarrea oltre i 10 giorni, recidiva diarroica dopo reintroduzione di

una formula normale e presenza nelle feci di sostanze riducenti superiori a 0.5% e pH acido nelle feci). Un’intolleranza secondaria al lattosio è possibile solo nel 3% dei casi.

La terapia della PES è nutrizionale, ma spesso in fase acuta è necessaria la completa messa a riposo dell’intestino. Nel trattamento della diarrea intrattabile dell'infanzia può essere

richiesta idratazione per via endovenosa. La tolleranza dell'alimentazione enterale e la risoluzione della diarrea si verificano in genere entro due o tre settimane.

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Rees, Lancet 1979

Nessun vantaggio della rialimentazione graduale (6-12 m) rispetto

alla rialimentazione precoce

Isolauri, JPGN 1985, 1986

Nessun vantaggio della rialimentazione graduale

Brown, J Pediatr 1988

Più veloce recupero di peso (3 m-3 a) con la rialimentazione precoce

Isolauri, JPGN 1989

Più pronta normalizzazione della permeabilità intestinale

Knudsen/Levine Gastroenterology

1968/1974

Più pronta correzione delle disaccaridasi

ESPGAN

1994

La rialimentazione dopo 4 ore abbrevia la durata della diarrea e

accelera il recupero del peso

Metanalisi Pediatrics 1994

La rialimentazione precoce ha effetti positivi sulla durata della diarrea, sulla ripresa ponderale, sulla durata del ricovero. (N.B. mai

sospendere il latte materno)

Nanulescu, Acta pediat

1995

Rialimentazione precoce, intesa in 48-72 ore, con formula normale, in Romania

Metanalisi Pediatrics 1999

Anche il latte formulato per la rialimentazione precoce

Arch Dis Child

1999

Latte meglio della “dieta in bianco” per la rialimentazione

Arch Dis Child EBM 2003

Nessun vantaggio della rialimentazione tardiva

Gregorio GV et al. Early

versus Delayed Refeeding for Children with Acute Diarrhoea. Cochrane Database Syst Rev

2011;(6):CD007296.

La rialimentazione precoce non comporta un maggior rischio di complicanze rispetto al digiuno prolungato

Tabella 10. Lavori sperimentali, teorici e pratici (sperimentazioni controllate) che dimostrano i vantaggi della rialimentazione precoce nella diarrea acuta.

La celiachia Definizione

La celiachia o malattia celiaca (MC) è un’intolleranza alimentare autoimmune permanente, scatenata in soggetti geneticamente predisposti, dall’ingestione del glutine. Nelle linee guida dell’ESPGHAN del 2011 la MC viene quindi ridefinita come una malattia

sistemica immuno-mediata, scatenata dal glutine e dalle prolamine correlate, in individui geneticamente predisposti e caratterizzata dalla presenza di una variabile combinazione di:

1) sintomi glutine-dipendenti,

2) anticorpi specifici: gli anticorpi antiendomisio (EMA), antitransglutaminasi tipo-2 (TG2) e antigliadina deaminata (DGP), 3) aplotipi HLA-DQ2 o DQ8 e

4) enteropatia.

Si sottolineano la natura autoimmune della MC e – prima novità – la variabile presenza di quattro elementi cardine, tra i quali l’enteropatia che appare oggi sullo stesso piano degli altri (può esserci, ma anche no).

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Per ripasso ricordiamo che il glutine è la frazione proteica alcol solubile del grano. La principale proteina del glutine è la gliadina, di cui si distinguono quattro isoforme in base alla

mobilità elettroforetica (α, β,γ, ed ω). Sebbene il termine glutine indichi propriamente solo il complesso proteico alcool solubile estratto dal grano, questo termine viene comunemente

esteso alle corrispondenti proteine della segale e dell’orzo, in considerazione della loro omologia di sequenze aminoacidiche e dell’effetto tossico che scatena nei celiaci. Le principali proteine del glutine estratte dall’orzo e dalla segale si chiamano rispettivamente ordeina e

secalina.

La predisposizione genetica La predisposizione genetica della celiachia consiste nella presenza nel corredo genetico degli

alleli DQ2 e/o DQ8 del sistema di istocompatibilità di seconda classe (HLA). La presenza di almeno una delle molecole codificate da questi alleli, sulla superficie delle cellule presentanti

l’antigene, è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per sviluppare la MC. Infatti, solo il 30% della popolazione mondiale che presenta tali alleli sviluppa, prima o poi, la MC ed è ormai accertato che altri fattori ambientali sono necessari affinché la celiachia si manifesti

clinicamente. Tra i fattori concomitanti, nella patogenesi della MC, è stato ipotizzato che possano avere un

ruolo le infezioni intestinali, l’epoca di introduzione del glutine durante il divezzamento e lo sviluppo di particolari ceppi nella flora batterica intestinale. Tutte queste condizioni da una

parte aumentano la permeabilità intestinale, permettendo l’ingresso dei peptidi della gliadina nella mucosa intestinale, dall’altra attivano uno stato infiammatorio della mucosa stessa che viene poi potenziato nei soggetti DQ2/DQ8 positivi.

Negli ultimi anni vari studi hanno analizzato i tempi di introduzione del glutine nella dieta nei bambini.

Vriezinga SL et altri hanno pubblicato nel 2014 uno studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha valutato se l'introduzione di glutine tra 4 e 6 mesi di età in bambini ad alto rischio (neonati con eterodimero HLA-DQ2, HLA-DQ8, o HLA-

DQB1*02 e almeno un famigliare di primo grado con la malattia celiaca, confermata mediante biopsia del piccolo intestino) può ridurre il rischio di malattia celiaca. Le conclusioni dello

studio sono state che né l’ introduzione di glutine a partire da 4 mesi, né l’allattamento al seno hanno modificato il rischio di celiachia nei bambini ad alto rischio. In questo gruppo il ritardo nell’introduzione di glutine era associato solo ad una ritardata comparsa di celiachia.

Un genotipo HLA ad alto rischio era un importante predittore di celiachia. Lionetti et altri hanno pubblicato sempre nel 2014 uno studio prospettico multicentrico con

l’obiettivo di valutare l’effetto protettivo dell’introduzione del glutine a dodici mesi rispetto a sei mesi di età misurando la prevalenza di malattia celiaca a 5 anni di età in una popolazione di neonati con almeno un parente di primo grado affetto dalla malattia e positivi per HLA -

DQ2 o HLA-DQ8. Le conclusioni sono state che nei bambini a rischio di malattia celiaca né l’allattamento materno né l’introduzione tardiva del glutine modificano il rischio di sviluppare

la malattia, malgrado l’introduzione tardiva del glutine determini un’insorgenza più tardiva della malattia. La presenza di un genotipo HLA ad alto rischio è un importante fattore predittivo di malattia.

La predisposizione genetica è uno degli eventi chiave nella patogenesi della MC, infatti, solo le

molecole HLA codificate dagli alleli DQ2/DQ8 sono in grado di alloggiare nella propria tasca i peptidi della gliadina e quindi presentarli ai linfociti T, che sono le cellule effettrici della risposta immunitaria. La tasca del DQ2/DQ8 è carica positivamente, così come lo sono i

peptidi della gliadina. Per molto tempo il meccanismo di interazione tra queste due molecole, entrambe con la stessa carica elettrica, è rimasto sconosciuto. L’incognita è stata chiarita

dalla scoperta che i residui dell’amminoacido glutamina, presenti in posizione chiave nella sequenza degli epitopi della gliadina, vengono deamidati in acido glutammico dall’enzima transglutaminasi 2 (TG2) a livello della mucosa intestinale. Tale reazione introduce la carica

elettrica negativa che permette l’alloggiamento dei peptidi all’interno del DQ2. Nel momento in cui la TG2 si lega ai peptidi del glutine, si forma un complesso molecolare che il sistema

immune mucosale riconosce come estraneo (non self) e contro il quale vengono prodotti i

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seguenti auto-anticorpi, specifici della celiachia, e che hanno un ruolo fondamentale nella diagnosi:

1. anti – gliadina nativa e deamidata;

2. anti – endomisio (EMA); 3. anti – TG2.

L’attivazione dei linfociti T si conclude con la produzione di elevati livelli di citochine proinfiammatorie, in particolare l’interferon γ, responsabili del quadro istologico distruttivo

della mucosa duodenale e patognomonico della celiachia. Infatti, all’analisi istologica, la mucosa di un celiaco non trattato presenta atrofia dei villi, iperplasia delle cripte ed infiltrazione linfocitaria.

È ormai consolidato che, accanto alla cascata di eventi fin qui descritti e propri della risposta immune adattiva, alcuni peptidi della gliadina attivano in maniera selettiva e specifica la

risposta immune innata. Questo tipo di immunità, che non richiede la presentazione dell’antigene, dispone di meccanismi di risposta “pronti all’uso”, si attiva entro pochi minuti dal contatto con l’antigene e comporta:

la produzione di interleuchina infiammatoria IL-15; la fosforilazione ed attivazione di messaggeri intracellulari quali ERK, MAP38 chinasi,

COX2; l’apoptosi delle cellule epiteliali intestinali.

L’attivazione della risposta innata è necessaria per scatenare la risposta adattiva; ciò rende complicata l’identificazione di una terapia efficace in alternativa alla dieta senza glutine (DSG).

È ormai noto che circa il 90% dei pazienti con celiachia è portatore dell’eterodimero DQ2 e

che buona parte dei rimanenti è DQ8-positiva anche se, in Italia, questi valori appaiono un po’ inferiori rispetto al Nord Europa. La negatività per DQ2 e DQ8 rende, comunque, assai improbabile lo sviluppo della malattia, pur se con alcune differenze di rischio all’interno di

questo gruppo. Il 30% circa della popolazione generale è DQ2/DQ8-positivo.

Epidemiologia La maggiore consapevolezza e conoscenza della celiachia da parte dei medici e l’introduzione,

nella pratica clinica routinaria, del dosaggio degli EMA e degli anticorpi anti-TG2, hanno aumentato il numero di diagnosi anche in soggetti celiaci pauci/asintomatici.

Accanto all’aumento del numero di diagnosi si è ottenuto anche un aumento dei casi di MC nel tempo, come confermano gli studi retrospettivi che hanno dosato, a distanza di tempo, gli auto-anticorpi specifici della MC in campioni di sangue raccolti in passato e poi conservati per

diversi scopi (per esempio, tra i donatori di sangue e/o i militari negli Stati Uniti). Sono diversi i motivi che si ipotizzano per spiegare l’aumentato numero dei casi di MC. Tra i

più accreditati troviamo il maggiore consumo di prodotti alimentari a base di cereali, il più elevato contenuto di glutine nei cereali utilizzati attualmente per produrre pane e pasta, l’industrializzazione dei processi di panificazione e pastificazione e per finire la maggior

diffusione di infezioni intestinali. La MC è la più frequente intolleranza alimentare a livello globale, con una prevalenza media di

circa 1%. In realtà, gli studi di popolazione hanno riportato una rilevante variabilità nella prevalenza di MC tra le diverse popolazioni, differenze che non sempre trovano una spiegazione nella distribuzione del DQ2/DQ8 e nel consumo di glutine nelle stesse

popolazioni. A tal proposito, è significativo il caso della Svezia, che presenta una prevalenza di celiachia

sei volte superiore alla vicina Danimarca. In passato queste differenze nei diversi Paesi sono state imputate ai diversi disegni degli studi sperimentali, alle diverse modalità di arruolamento degli individui, alle differenti modalità di diagnosi ma anche alla diversa

consapevolezza, da parte degli operatori sanitari, della malattia e delle sue molteplici forme cliniche. In realtà, una recente indagine multi-centrica svolta in alcuni Paesi Europei con

uniformità di criteri diagnostici e soprattutto di centralizzazione del dosaggio degli auto-

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anticorpi, ha confermato la forte variabilità all’interno dei Paesi Europei della prevalenza della celiachia nella popolazione generale.

La prevalenza in Europa nella popolazione adulta, diagnosticata come positività agli anticorpi anti-TG2, è risultata intorno all’1% ma con un range di variabilità che va dallo 0.3% della

Germania, al 2.4% della Finlandia, passando per lo 0.7% dell’Italia. Sempre in Italia, nei soggetti in età pediatrica, la prevalenza è risultata leggermente maggiore, con un valore di 1.25%.

In Africa, esiste la popolazione con la più alta prevalenza di celiachia, i Sarahawi (5%). Questo dato scaturisce da una frequenza del DQ2 superiore al 40% e dall’aumentato

consumo di glutine nella dieta. Nei Paesi dell’Africa settentrionale, programmi di screening effettuati nella popolazione generale, con gli appropriati metodi sierologici, hanno evidenziato una prevalenza di celiachia tra lo 0.5%, in Egitto, e l’1%, in Libia. All’estremo opposto,

nell’Africa subsahariana, il riscontro di casi di MC è sporadico. Negli USA, dove la consapevolezza della MC si è radicata nella pratica clinica durante gli anni

’80, la prevalenza è andata ad aumentare man mano che si sono effettuati studi di screening sulla popolazione generale, fino a stabilizzarsi in un recente studio allo 0.7%. Di questi ultimi casi, la maggior parte era non diagnosticato o misdiagnosticato. Dallo stesso studio, è inoltre

risultato che la MC è più frequente tra i soggetti bianchi non ispanici e più rara tra le minoranze etniche.

La celiachia è ancora descritta come malattia rara tra la popolazione generale nell’estremo Oriente, anche se in Cina la sua prevalenza è risultata del 12% in seguito a programmi di

case-finding tra bambini affetti da diarrea. Nel vicino Oriente, lo studio epidemiologico della celiachia è seguito con particolare interesse in quanto in questa zona è nata l’agricoltura e la locale diffusione della MC potrebbe dare indizi importanti sul motivo dell’alta prevalenza

nell’uomo. In realtà, in Turchia la MC ha la stessa prevalenza dei Paesi dell’Europa Occidentale, mettendo così in dubbio la teoria secondo la quale la MC si sarebbe diffusa come

mancato adattamento dell’uomo all’introduzione dei cereali nella dieta. In India, la celiachia è stata diagnosticata sia nei bambini che negli adulti, ogni qualvolta la si è cercata con gli strumenti sierologici adatti e la sua prevalenza è risultata sovrapponibile a

quella europea.

Clinica Gli studi recenti che hanno affrontato la distribuzione e la frequenza della celiachia nella

popolazione dimostrano che l’epidemiologia in questi ultimi anni è cambiata, passando da una predominanza di forme cliniche, caratterizzate da sintomi e segni gastro-intestinali tipici

(diarrea, vomito, addome globoso, scarso accrescimento, pallore, ipotonia) alle cosiddette forme “atipiche” extraintestinali, contraddistinte da anemia, epatopatie e/o malattie autoimmuni.

Il quadro clinico è quindi estremamente polimorfo (e i sintomi gastroenterici possono mancare):

scarsa crescita distensione addominale dolore addominale ricorrente

stipsi deficit marziale

ipertransaminasemia osteomalacia/fratture pubertà ritardata

anasarca/ipoalbuminemia invaginazioni ricorrenti

alopecia areata dermatite erpetiforme astenia

depressione calcificazioni endocraniche

bassa statura

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stomatite aftosa difetti dello smalto dentario

rachitismo.

La celiachia può essere quindi: 1. sintomatica, con segni e sintomi tipici e atipici; 2. silente, con anticorpi presenti, HLA e biopsia intestinale compatibili con celiachia,

nessun segno e sintomo tipico; l'esistenza della forma silente si evidenzia in particolare grazie agli screening effettuati su familiari di primo grado di pazienti celiaci.

3. potenziale, identifica quel sottogruppo di celiaci in cui è presente una positività per i marcatori sierologici, HLA compatibile ma la mucosa intestinale è normale o presenta solo un incremento dei linfociti intraepiteliali con villi intestinali assolutamente normali.

Alla luce di nuove acquisizioni nel settore della diagnosi della celiachia, il Comitato Scientifico AIC (Associazione Italiana Celiachia) ha ritenuto opportuno proporre una serie di modifiche ed

integrazioni. Una prima modifica proposta riguarda la definizione delle varie forme di celiachia al fine di uniformarne la terminologia utilizzata in base alla classificazione di Oslo:

1. la forma classica, si presenta più frequentemente dopo lo svezzamento (ma può

esordire anche in età adulta e geriatrica) e si manifesta con diarrea cronica, vomito, addome globoso, inappetenza, arresto della crescita, calo ponderale ed irritabilità;

2. la forma non classica, può esordire in qualsiasi età della vita senza diarrea e malassorbimento, ma con altri sintomi gastrointestinali, quali stipsi, alvo alterno,

meteorismo, dispepsia e manifestazioni extraintestinali; 3. la forma subclinica, riscontrata occasionalmente in individui con sintomi al di sotto della

soglia di sospetto per celiachia o del tutto asintomatici;

4. la forma potenziale caratterizzata da architettura mucosale normale o minimamente alterata con sierologia e genetica positive.

Necessitano di essere sottoposti ad accertamenti quei bambini che rientrino in uno di questi gruppi:

1) soggetti con sintomi classici e con sintomi cosiddetti “atipici” o extra-gastrointestinali,

2) soggetti appartenenti a gruppi a rischio:

parenti di 1° grado di celiaca o

storia personale di malattie associate, quali: Diabete mellito insulino-dipendente

Tiroidite di Hashimoto S. di Siogren S. di Down

S. di Turner S. di Williams

Nefropatia IgA, Difetto di IgA Sclerosi multipla Cirrosi biliare primitiva

Epatite auto-immune.

Diagnosi La principale novità del 2011 sono le nuove linee guida della European Society of Pediatric

Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN) per la diagnosi in età pediatrica di celiachia, che hanno sostituito le precedenti, risalenti ormai al 1990 e che sono entrate nella

pratica clinica europea. Secondo le precedenti linee guida, la diagnosi di celiachia era certa solo in seguito al riscontro istologico delle caratteristiche lesioni a livello della mucosa duodenale (vedi figure 1 e 2);

questo rendeva obbligatoria la duodenoscopia, esame invasivo, costoso e di forte impatto sul paziente che spesso richiede la sedazione.

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Dal 1990 a oggi, le incalzanti conoscenze fisiopatologiche sulla MC e la disponibilità di test sierologici di grande affidabilità hanno sempre più insidiato il primato dell’istologia come gold

standard diagnostico. Si è andata consolidando invece la convinzione che clinica, sierologia e assetto HLA fossero talora sufficienti per concludere la diagnosi di MC, senza ricorrere alla

biopsia. Gli anticorpi antitransglutaminasi tipo-2 (TG2) di classe IgA restano il test sierologico di primo

impiego. Livelli di TG2 più elevati di 10 volte il valore superiore di normalità si associano con elevata probabilità a un’atrofia della mucosa intestinale.

Gli anticorpi antiendomisio (EMA) hanno valore di conferma , sono più specifici degli anti-transglutaminasi IgA, sono tuttavia operatore-dipendente e sono più costosi; per tali ragioni non vanno usati nello screening iniziale ma solo in seconda battuta, a supporto diagnostico,

nei casi già sospetti (quelli con anti-transglutaminasi positivi). Gli anticorpi anti-peptide deamidato della gliadina di classe IgG (anti-DGP IgG) hanno

performance un po’ inferiori a TG2 ed EMA, ma sono utili nei difetti di IgA e, forse, nei bambini di età inferiore ai 2-3 anni. Grande attenzione va posta alla standardizzazione delle metodiche, ai controlli di qualità in

laboratorio e alla definizione di cut-off specifici per i diversi kit commerciali in uso. Un risultato positivo nei test rapidi deve essere confermato con una sierologia classica, e le

metodiche su saliva o feci non sono affidabili.

Gli HLA DQ2/DQ8 confermano la loro bassa (54%) specificità (basso potere predittivo positivo) così come la loro elevata sensibilità (96%: elevato potere predittivo negativo) per MC. In altri termini, l’assenza di DQ2/DQ8 rende improbabile che ci si trovi di fronte a una MC

e il loro ruolo principale è proprio di escludere (o quasi) questa possibilità. Come utilizzare gli HLA? Le raccomandazioni dell’ESPGHAN assegnano un ruolo importante

agli HLA sia in fase diagnostica che di gestione dei contesti famigliari a rischio. Nei bambini con segni e sintomi suggestivi di celiachia e anticorpi transglutaminasi (TGA) fortemente positivi (oltre dieci volte la norma), la presenza di HLA predisponenti consente di concludere

la diagnosi senza ricorrere alla biopsia. Al contrario, l’assenza di HLA mette in forte crisi (anche se non esclude in assoluto) l’ipotesi diagnostica. Gli HLA hanno un loro spazio anche

nelle situazioni dubbie, nelle quali gli elementi clinici, sierologici e istologici sono discordanti o quando l’iter diagnostico è stato anomalo o complicato. Certamente non vanno indagati tutti i sospetti di malattia, ma per esempio quelli con

sierologia negativa e istologia dubbia o gli individui asintomatici appartenenti ai gruppi a rischio per selezionare chi sottoporre a ulteriori indagini sierologiche. Importante novità è il

loro utilizzo per rafforzare la diagnosi quando ci si trovi di fronte a un forte sospetto clinico e a una marcata positività sierologica e si sia deciso di fare a meno della biopsia.

Le nuove raccomandazioni hanno formalizzato la possibilità di porre diagnosi di celiachia in età pediatrica senza avvalersi dell’accertamento istologico in corso di duodenoscopia,

prevedendo la possibilità di evitare l’esecuzione di questo esame endoscopico nel protocollo diagnostico della celiachia. Sarà possibile diagnosticare la celiachia già in presenza dei seguenti criteri:

sintomi e segni clinici suggestivi di malattia; alto titolo (dieci volte il limite superiore della norma) degli auto-anticorpi serici specifici

per la celiachia (anti-transglutaminasi); predisposizione genetica; remissione dei sintomi e/o dei segni clinici e degli autoanticorpi dopo alcuni mesi di

dieta senza glutine. In particolare, le raccomandazioni consigliano di eseguire come primo test nei soggetti a

rischio, ossia con segni o sintomi suggestivi di MC, il dosaggio degli anticorpi anti-TG2 di classe IgA, congiuntamente al dosaggio delle IgA totali per escludere il deficit di IgA o, eventualmente, degli anticorpi anti peptidi deamidati della gliadina. Se il dosaggio degli

anticorpi anti TG2 e delle IgA totali è nella norma, la celiachia può essere esclusa nella maggior parte dei casi. Le linee guida ESPGHAN mantengono, comunque, la necessità

dell’esecuzione della duodenoscopia e della valutazione istologica della mucosa duodenale in

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tutti i casi sospetti in cui i risultati degli esami ematici e/o la sintomatologia non siano dirimenti.

Per i pazienti il cui dosaggio degli anticorpi anti-TG2 va oltre 10 volte il limite superiore della norma, con l’ulteriore positività agli EMA e dell’aplotipo DQ2/DQ8, si può porre diagnosi di MC

evitando la duodenoscopia. La conferma della diagnosi verrà dalla normalizzazione dei valori degli anticorpi anti-TG2 e dalla remissione dei segni e dei sintomi a sei mesi dall’inizio della dieta senza glutine.

La presenza di sintomi particolarmente severi, l’assenza o valori dubbi degli autoanticorpi (inferiori a 10 volte il limite superiore alla norma), la negatività del test per il DQ2/DQ8, la

persistenza dei sintomi oltre i sei mesi di DSG, sono indicazioni all’esecuzione della duodenoscopia con biopsie multiple.

Figura 1. Villi architetturalmente nei limiti. Fonte: Linee guida celiachia valutazione morfologica. Vincenzo Villanacci, Associazione Italiana Celiachia

Figura 2. Atrofia totale dei villi ed incremento patologico dei linfociti intraepiteliali. Fonte: Linee guida celiachia valutazione morfologica. Vincenzo Villanacci, Associazione Italiana Celiachia

Terapia

Allo stato attuale, l’unica terapia disponibile è l’esclusione permanente e totale degli alimenti

contenenti glutine dalla dieta. È necessaria una rigida compliance alla dieta senza glutine per

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ottenere anche la remissione dei sintomi e segni clinici associati alla malattia celiaca e soprattutto per evitare complicanze come digiuno-ileite ulcerativa e alcune forme di tumori

quali linfoma intestinale, adenocarcinoma duodenale, linfoma non Hodgkin, carcinoma esofageo. Questo fa sì che la dieta senza glutine limiti la qualità di vita dei soggetti celiaci,

soprattutto nella socialità. Pertanto sono allo studio terapie alternative che possano permettere di assumere il glutine, anche saltuariamente La sindrome dell’intestino irritabile I disturbi gastrointestinali funzionali (DGIF) La Sindrome dell’intestino irritabile fa parte di un capitolo più ampio di patologie: i disturbi

gastrointestinali funzionali (DGIF). Tali disturbi sono definiti come una variabile combinazione di sintomi gastrointestinali cronici o ricorrenti non spiegati da anomalie strutturali o

biochimiche, alcuni dei quali dipendenti dall’età. I sintomi funzionali originano da tessuti con normale anatomia e fisiologia, senza evidenza di alcuna patologia organica. Pur essendo di frequente riscontro in età pediatrica, fino a poco tempo fa la diagnosi di DFGI era

esclusivamente posta in negativo, cioè dopo aver escluso una patologia organica e quindi dopo aver sottoposto i pazienti ad un numero notevole di indagini ematochimiche e

strumentali, spesso non necessarie. La mancanza, quindi, di un marker anatomico, biochimico o radiologico di malattia rende non semplice la diagnosi di ciascun disordine. Si è sentita, quindi, ancora di più la necessità di avere a disposizione dei mezzi per giungere

ad una diagnosi in positivo, privilegiando l’approccio clinico su quello strumentale di esclusione.

Nel 1989 un gruppo di ricercatori si è incontrato a Roma per definire dei criteri che consentissero la diagnosi dei DFGI negli adulti in positivo. Tali criteri sono stati definiti “Criteri di Roma”.

Nel 1997, a Roma si riuniva il primo gruppo di lavoro pediatrico per standardizzare i criteri diagnostici dei vari DFGI nei bambini. I primi criteri di Roma per i DFGI in età pediatrica,

quindi, furono pubblicati nel 1999, come “Criteri di Roma II”. Invece di classificare i disordini sulla base degli organi bersaglio, come nella popolazione dell’adulto, il gruppo di lavoro

pediatrico divise i disordini sulla base dei principali sintomi riportati dai bambini o dai loro genitori. Le diagnosi erano divise in 4 categorie sulla base dei seguenti sintomi: vomito, dolore addominale, diarrea e disordini della defecazione.

Gli obiettivi dei criteri di Roma erano: 1) sviluppare un sistema di classificazione basato sui sintomi;

2) stabilire dei criteri diagnostici utili alla ricerca e alla gestione clinica del paziente; 3) fornire una sistematica e rigorosa revisione della letteratura relativa ai DFGI; 4) validare e/o modificare i criteri diagnostici attraverso un processo basato sull’evidenza.

Partendo da questi obiettivi, i Criteri di Roma II non sono stati un semplice punto di arrivo, ma hanno rappresentato un vero e proprio punto di partenza per una serie di studi volti a

screenare popolazioni sempre più ampie e a determinare l’accuratezza di tali criteri nel distinguere bambini affetti da un disordine funzionale da bambini affetti da patologia organica.

Negli ultimi anni sono stati eseguiti studi di prevalenza relativi ai DFGI secondo Roma II. Gli autori concludevano che i Criteri di Roma II consentono un diagnosi in positivo dei DFGI in

età pediatrica evitando l’esecuzione di una serie di indagini di esclusione; tuttavia, lo studio mettevano in evidenza anche la necessità di utilizzare questionari validati per la diagnosi e la necessità di revisionare i Criteri di Roma II, al fine di migliorarne l’applicabilità. In realtà,

dopo la pubblicazione dei criteri di Roma II, è stato avanzato il dubbio se veramente questi criteri aiutassero il medico nella pratica clinica e, in particolare, a porre la diagnosi.

Sulla base, quindi, delle nuove esigenze emerse dagli studi effettuati dopo Roma II, nel 2005 sono stati pubblicati i primi questionari validati per tali criteri. L’esigenza di tali questionari emergeva anche dal fatto che la diagnosi di DFGI è per lo più basata sull’anamnesi e

sull’esame obiettivo ed è per lo più ambulatoriale, pertanto si rendeva indispensabile un

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metodo universale ed agevole per permettere che la diagnosi venisse fatta anche da pediatri non gastroenterologi.

I questionari validati dal gruppo di Caplan erano progettati per registrare sia le notizie riportate dai genitori sia quelle riportate dai bambini. Si concludeva che il questionario

somministrato ai genitori risultava essere una misura valida dei disordini presentati dai bambini tra i 4 e i 9 anni, mentre per i bambini tra i 10 e i 18 anni, il questionario somministrato direttamente ai bambini risultava più affidabile.

Le critiche derivate da varie pubblicazioni sull’accuratezza dei criteri di Roma II hanno offerto elementi accurati per una revisione dei criteri in uso basata sull’evidenza, per cui il gruppo di

esperti per i DFGI pediatrici si è riunito per la seconda volta a Roma nel 2004 definendo i Criteri di Roma III” pubblicati nel 2006 e suddividendo i disordini in due gruppi:

1) Lattante/Bambino dei primi anni (da 0 a 3 anni),

2) Bambini/Adolescenti (da 4 a 18 anni), (vedi Tabella 11).

G. Neonato e bambino prescolare (Da voce bibliografica 2)

G1. Rigurgito del lattante G2. Sindrome della ruminazione del lattante

G3. Sindrome del vomito ciclico G4. Coliche del lattante G5. Diarrea funzionale

G6. Dischezia del lattante G7. Stipsi funzionale

H. Bambino e adolescente (Da voce bibliografica 1)

H1. Vomito e aerofagia H1a. Sindrome della ruminazione nell’adolescente

H1b. Sindrome del vomito ciclico H1c. Aerofagia

H2. DGIF con dolore addominale H2a. Dispepsia funzionale

H2b. Sindrome dell’intestino irritabile H2c. Emicrania addominale H2d. Dolore addominale funzionale

H2d1. Sindrome del dolore addominale funzionale

H3. Stipsi e incontinenza H3a. Stipsi funzionale H3b. Incontinenza fecale non ritentiva

Tabella 11. Criteri di Roma III: disturbi gastrointestinali funzionali. Fonti: Giuseppe Primavera, Giuseppe Magazzù. Il pediatra e i disturbi gastrointestinali funzionali, con riferimento

ai criteri di Roma III, Medico e Bambino 5/2011: 289-295. 1. Rasquin A, Di Lorenzo C, Forbes D, et al. Childhood functional gastrointestinal disorders: child/adolescent. Gastroenterology 2006;130:1527-37.

2. Hyman PE, Milla PJ, Benninga MA, Davidson GP, Fleisher DF, Taminiau J. Childhood functional gastrointestinal

disorders: neonate/ toddler. Gastroenterology 2006;130:1519-26.

Nell’ambito, in particolare, dei DFGI del bambino e dell’adolescente, è stata aggiunta una nuova entità, la sindrome del dolore addominale funzionale, e si è ritenuto opportuno ridurre

la durata di tutti i disordini funzionali da tre a due mesi, tranne per la sindrome del vomito ciclico e l’emicrania addominale (per i quali sono stati ritenuti sufficienti due episodi e non tre

per porre diagnosi). Tale decisione era basata sull’assunzione che due mesi potessero essere sufficienti per escludere una patologia acuta e per stabilire un criterio di cronicità; inoltre, tale periodo permetteva di includere un maggior numero di bambini e rifletteva meglio

l’esperienza clinica dei pazienti pediatrici rispetto a quelli adulti.

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Nonostante i notevoli sforzi fatti negli ultimi anni, le informazioni circa la reale prevalenza dei DFGI sul territorio italiano sono ancora limitate perché spesso risultano essere ancora

“sottovalutati” dal pediatra non gastroenterologo. È interessante, però, vedere come venga riportato in letteratura che la prevalenza di alcune

delle più comuni condizioni, come il dolore addominale funzionale, la dispepsia funzionale e la stipsi funzionale, sembrino rimanere costanti nei differenti paesi caratterizzati da diverse abitudini dietetiche e socio-economiche; Di Lorenzo et al., infatti, hanno riportato una

prevalenza negli USA del 20% per il rigurgito dell’infanzia, del 5-19% per le coliche dell’infanzia, del 5-20% dei bambini in età scolare per la dispepsia funzionale, del 14% degli

adolescenti e del 5-30% dei bambini per la stipsi funzionale. I Criteri di Roma III, quindi, rappresentano un’evoluzione dei criteri già in uso e risultano essere utili sia ai fini diagnostico-terapeutici sia ai fini di ricerca, forniscono una classificazione

basata sui sintomi, riferiti dal bambino o dai suoi genitori, piuttosto che sull’organo interessato, e sono stati redatti come strumento diagnostico per arrivare a una diagnosi in

positivo e non più di esclusione. L’approccio diagnostico, basato su un’attenta storia clinica, sulla ricerca di sintomi d’allarme, in assenza dei quali la patologia organica è poco probabile, e su pochi e mirati esami di laboratorio potrebbe quindi permettere la gestione della maggior

parte dei DGIF nell’ambito delle cure primarie. Come accaduto in precedenza, la revisione di tali criteri porterà ad una più attenta osservazione di tali disordini e ad una più facile gestione

da parte dei pediatri.

Sindrome dell’intestino irritabile

Nel vasto capitolo dei disturbi gastrointestinali funzionali (DGIF) rientra la sindrome

dell’intestino irritabile, una condizione molto diffusa nella popolazione pediatrica e

nell’adulto.

La sindrome dell'intestino irritabile è un disturbo funzionale dell'intestino dovuto a un'attività disordinata della muscolatura intestinale. E’ caratterizzata da una serie di disordini funzionali

persistenti (dolore addominale ricorrente e da un'alterazione delle abitudini intestinali) senza una chiara causa organica. Sebbene i sintomi siano chiari e facilmente identificabili non è spesso facile fare una diagnosi certa per l'assenza di marker fisiopatologici specifici. Poiché

non è stata identificata una specifica causa fisiopatologica, tale malattia è considerata un disturbo funzionale ed è definita da alcuni criteri diagnostici di Roma III (vedi tabella 12).

Quando il dolore addominale è alleviato dalla defecazione di feci non formate (più di 3 volte al giorno), con presenza di muco (senza sangue) e “alimenti non digeriti” (patognomonici e non dovuti a malassorbimento), che duri da oltre 4 settimane, e il bambino presenta crescita

normale (se viene consentita una dieta senza alcuna restrizione, badando solo a evitare un eccesso di zuccheri presenti in succhi di frutta) spesso è l'anamnesi a suggerire la diagnosi.

Probabilmente, vista la frequenza della celiachia nella popolazione generale e nella sindrome dell’intestino irritabile nelle età successive, se il disturbo persiste, la determinazione di anticorpi anti-transglutaminasi potrebbe essere ragionevole.

La prevalenza è variabile in base alla popolazione studiata e all'età presa in considerazione.

Nei paesi occidentali l'incidenza viene riferita compresa tra l'8% e il 23% con un intervallo medio variabile dal 10% al 15%; anche nei paesi orientali viene riportata una prevalenza

intorno al 13%. Si ritiene che il 10-20% delle visite gastroenterologiche specialistiche siano dovute a tale quadro clinico. La prevalenza dell’intestino irritabile nelle cure primarie, valutata da due studi italiani è risultata dello 0,2% e dello 0,12%; del 22-45% tra i bambini di 4-18

anni seguiti da centri di terzo livello nordamericani. La grande variabilità delle percentuali di frequenza è legata al fatto che, in molte casistiche, la

sindrome dell'intestino irritabile e i dolori addominali ricorrenti vengono considerati insieme e non separatamente. Infatti non è facile tenere separati i due disturbi, perché spesso rappresentano due facce dello stesso problema e molti bambini entrano e escono da uno

all'altro con grande frequenza.

I meccanismi fisiopatologici che stanno alla base della sindrome dell'intestino irritabile non sono stati ancora chiariti del tutto, nonostante molti siano stati gli studi morfofunzionali

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condotti nel corso degli ultimi anni. In un primo tempo la causa della diarrea e del dolore addominale funzionale sembrava essere legata a piccole anomalie del sistema nervoso

enterico, che rappresenta una ricca e complessa rete nervosa sviluppata per tutta la lunghezza dell'intestino, o a un'alterata sensazione viscerale e percezione della motilità

intestinale. Il disturbo motorio più rilevante sembrava essere una prevalente attività mioelettrica di base di tipo lento di 3 cicli/minuto (rispetto a quella rapida di 6/9 cicli/minuto), attività lenta che favorisce la comparsa di risposte motorie anomale dopo stimolazione.

Tuttavia molti studi non hanno dimostrato queste teorie. Nei bambini con intestino irritabile la causa potrebbe essere una ipersensibilità viscerale, una

anormale reattività intestinale, a volte associata a disturbi della motilità, secondaria a pregressi processi infettivi, infiammatori o allergici, nel contesto di una predisposizione genetica o di eventi stressanti precoci e di inefficaci capacità a fronteggiarli.

La sintomatologia può iniziare già nei primi mesi di vita e differisce da bambino a bambino.

Nel piccolo lattante sono in genere presenti stitichezza e coliche, con le caratteristiche crisi di pianto, accompagnate a flessioni degli arti inferiori, irrequietezza, distensione addominale e meteorismo. Le crisi dolorose si attivano durante la poppata e soprattutto dopo che il piccolo

emette le feci. Nel bambino più grandicello spesso compare diarrea, che può esordire gradualmente o in modo acuto, a volte dopo un episodio infettivo. Vi è comunque alternanza

di diarrea e stipsi. Se nella maggioranza dei casi la sintomatologia tende a risolversi spontaneamente tra i tre e i quattro anni di età, in circa il 10-15% dei casi persiste come

dolore addominale di tipo colico, in regione periombelicale, durante il giorno, raramente notturno. Nonostante questi disturbi l'accrescimento staturo-ponderale è sempre normale. Ruolo fondamentale, come abbiamo già visto, per la diagnosi e l'inquadramento clinico di

questo problema, è stato il congresso internazionale svoltosi a Roma e i cui risultati sono stati delle precise definizioni di questi disturbi (Criteri di Roma), validate anche nel bambino,

che, se non soddisfatte, devono escludere il disturbo funzionale. L'inquadramento clinico tipico della sindrome dell'intestino irritabile secondo i Criteri di Roma è quella di un bambino che presenta più di tre evacuazioni al giorno; anche l'aspetto delle feci

è estremamente variabile, da dure come noccioline, a molli, fino a liquide. Le feci vengono emesse con sforzo, spesso con urgenza, ma sempre con la sensazione di incompleta

evacuazioni, è spesso presente muco e distensione o sensazione di distensione addominale. Tutto questo avviene in un bambino apparentemente normale (vedi tabella 12).

Discomfort (una sensazione spiacevole non descritta come dolore) o dolore addominale ricorrente almeno 1 giorno/settimana nei 2 mesi precedenti la diagnosi, associato con 2 o più delle seguenti caratteristiche:

Migliora con la defecazione Insorgenza associata con un cambiamento nella frequenza evacuatoria

Insorgenza associata con un cambiamento nella forma delle feci

Assenza di un processo infiammatorio, anatomico, metabolico o neoplastico che

spieghi i sintomi del soggetto.

Tabella 12. Criteri diagnostici della sindrome dell'intestino irritabile (Roma III): devono essere

presenti almeno una volta alla settimana da almeno 2 mesi

La diagnosi della sindrome dell'intestino irritabile è essenzialmente clinica. In primo luogo una accurata anamnesi è essenziale per inquadrare con precisione i sintomi e

per evidenziare una familiarità spesso presente. Per porre diagnosi bisogna che siano appieno soddisfatti i Criteri di Roma III.

Una volta soddisfatti i criteri, la diagnosi finale è essenzialmente una diagnosi di esclusione che si basa sull'assenza di alcuni importanti segni di allarme:

- perdita di peso o rallentamento della crescita;

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- sanguinamento gastrointestinale; - vomito persistente;

- diarrea cronica severa / diarrea notturna; - dolore persistente al quadrante superiore o inferiore destro;

- familiarità per ulcera peptica o malattie infiammatorie croniche dell'intestino; - dolore notturno con risveglio; - irradiazione del dolore alla spalla o al dorso;

- febbre inspiegabile; - artralgie;

- rash; - ritardo puberale;

- disfagia;

- lesioni perianali; - esame obiettivo patologico.

Possono anche essere eseguiti alcuni semplici esame di primo livello, tesi a escludere le più

comuni patologie organiche quali: celiachia, malattie infiammatorie croniche intestinali, deficit di lattasi, stipsi organica. Tutte le procedure diagnostiche per escludere la presenza di una

patologia organica vanno personalizzate e adeguate all'età del bambino e ai sintomi presentati, per evitare lunghi e complessi iter diagnostici pieni di inutili esami e visite specialistiche che spesso non fanno altro che aumentare lo stress familiare.

L'assenza di un test diagnostico specifico e di un preciso iter ha sempre determinato lunghi intervalli diagnostici, grande consumo di farmaci inutili e dannosi.

È importante inquadrare con precisione il bambino con la sua famiglia, utilizzare i Criteri di Roma, rilevare la presenza di segni di allarme.

Dato che la sindrome dell'intestino irritabile, in assenza di patologie organiche, è un disturbo funzionale, che spesso si risolve con l'età o comunque può avere lunghi periodi di remissione,

la terapia è soltanto sintomatica e di sostegno per le eventuali situazioni carenziali che si possono instaurare. Questo perché, a fronte della natura benigna, questo disturbo è gravato da un alto assenteismo scolastico, frequenti visite mediche, ansia e depressione dei genitori,

fino al disagio famigliare. Gli interventi dietetici sono quelli che hanno da sempre impegnato i medici, soprattutto

perché spesso richiesti dai genitori. È esperienza comune che un bambino con diarrea cronica venga periodicamente messo a dieta (priva di latte, priva di glutine, priva di grassi): questo spesso conduce a deficit carenziali e a pericolose perdite di peso, che spesso fanno entrare il

bambino in un lungo percorso diagnostico. Nessuna dieta si è dimostrata efficace, a meno che non esistono delle dimostrate allergie e/o intolleranze.

Le malattie infiammatorie croniche intestinali Definizione

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) rappresentano un disordine cronico ad

eziologia non del tutto definita, che si sviluppano in soggetti geneticamente predisposti. Vengono distinte in:

malattia di Crohn (MC), colite ulcerosa (CU) e colite indeterminata (CI).

La diagnosi è generalmente basata su un insieme di evidenze cliniche, di laboratorio, radiologiche, endoscopiche ed istologiche. Una precisa diagnosi non sempre può essere

stabilita con gli strumenti diagnostici disponibili, per questo, per un sottogruppo di pazienti con incerta diagnosi, si è coniato il termine di Colite Indeterminata (CI): si tratta di pazienti con reperti chirurgici nei quali la differenza fra MC e CU non poteva essere stabilita a causa di

alcuni aspetti anatomo-patologici comuni ad entrambe. Il termine di CI viene dunque

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utilizzato per indicare quei pazienti che hanno evidenza diagnostica di MICI, ma non tale da consentire una diagnosi definitiva di MC o di RCU.

Epidemiologia

I dati sull’incidenza delle MICI provengono prevalentemente da casistiche del Nord America e del Nord Europa e risentono di alcune difformità nei limiti di età considerati e nei criteri

diagnostici adottati. Almeno un quarto (ma in alcune casistiche anche il 40-50%) di tutti i casi di MICI esordisce nel bambino e nell’adolescente.

L’incidenza della MC mostra un incremento temporale e attualmente si attesta su 4-4,5/100.000 casi/anno, mentre l’incidenza della CU si mantiene stabile su 2,1-2,2/100.000 casi/anno.

In Italia i dati raccolti dal 1996 al 2003 dai Centri di gastroenterologia pediatrica dimostrano come il numero di nuove diagnosi di Rettocolite Ulcerosa sia superiore a quello della Malattia

di Crohn (52% vs 40%), in contrasto con le osservazioni riportate nella letteratura anglosassone ma in accordo con i precedenti studi italiani sulla popolazione adulta.

Esistono differenze etniche, genetiche e geografiche nell’epidemiologia delle MICI. L’incidenza sembra aumentare nei Paesi in via d’industrializzazione e questo suggerisce che i fattori

ambientali siano cruciali nel determinare lo sviluppo della malattia.

I picchi di incidenza della Malattia di Crohn si hanno nella tarda adolescenza o nei giovani adulti (fino a 25 anni) mentre per la Rettocolite Ulcerosa il più elevato picco di incidenza si osserva tra i 10 ed i 18 anni. Per entrambe le forme, esiste poi un secondo picco di incidenza

nella sesta decade. Nel bambino circa il 6% di tutte le MICI esordisce prima dei due anni di vita e, mentre la MC

mostra un importante aumento della frequenza dai 6 ai 12 anni, la CU e la CI restano costanti dopo i 3 anni di età. I dati italiani relativi ai pazienti pediatrici dimostrano che la frequenza delle MICI è maggiore in pazienti di età compresa tra i 6 ed i 12 anni (57%), il 20% della

popolazione affetta presenta i primi sintomi prima dei 6 anni di età, nell’1.8% dei casi la diagnosi viene effettuata entro il primo anno di età.

L’età media di presentazione per la CU è 7,5 anni, per la CI 9,5 anni, sensibilmente inferiore rispetto a quella della MC (12,4 anni). Interessanti anche gli altri rilievi estrapolati dal registro nazionale, come l’intervallo fra la

comparsa dei sintomi e la diagnosi: 10.1 mesi per la Malattia di Crohn, 9 per la Colite Indeterminata e 5.8 per la Rettocolite Ulcerosa. L’intervallo medio di latenza risulta, dunque,

maggiore per pazienti affetti da Malattia di Crohn e Colite Indeterminata rispetto a quelli con Rettocolite Ulcerosa, il che riflette la diversa difficoltà diagnostica per le differenti forme di MICI in parte dovuta, tra gli altri fattori, alle diverse patologie che in età pediatrica devono

essere poste in diagnosi differenziale. L’intervallo di tempo tra l’esordio dei sintomi e la corretta diagnosi di MC è maggiore se la malattia interessa l’intestino prossimale e se, tra i

sintomi di esordio, manca la diarrea. L’intervallo medio di latenza è inoltre più di due volte maggiore per la fascia di età inferiore ai 6 anni (latenza media di 22 mesi) rispetto alle fasce di età pediatrica superiori.

Contrariamente alla MC, prevalente nel sesso maschile, la CU interessa maschi e femmine

con la stessa frequenza. Patogenesi

Alla patogenesi delle MICI contribuiscono, in misura variabile e nota solo in piccola parte,

elementi di predisposizione genetica e di disregolazione del sistema immunitario in associazione con stimoli antigenici che agirebbero a livello gastrointestinale inducendo lo sviluppo dell’infiammazione cronica.

La malattia di Crohn

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La Malattia di Crohn (MC) è una patologia infiammatoria cronica intestinale caratterizzata dal carattere cronico-recidivante e da notevole variabilità anatomo-clinica. Nella MC le lesioni

infiammatorie possono localizzarsi in qualsiasi segmento intestinale dalla cavità orale all’ano, ma più frequentemente interessano in modo discontinuo e segmentario tratti intestinali

compresi tra il digiuno e la regione retto-anale, coinvolgendo la parete intestinale a tutto spessore e sovente anche i tessuti iuxtaintestinali. Nella Malattia di Crohn l’interessamento flogistico della parete intestinale è tipicamente “transmurale” o a tutto spessore. Il versante

endoluminale interno del fronte flogistico, caratterizzato dall’interessamento mucoso-sottomucoso più o meno severo, rappresenta solo una componente della flogosi. La malattia

infatti interessa anche gli altri strati parietali progressivamente più esterni, sino a raggiungere e superare la sierosa, coinvolgendo generalmente il tessuto adiposo periviscerale e potenzialmente qualsiasi struttura contigua all’ansa primitivamente affetta dalla malattia, in

particolare altre anse intestinali, strutture muscolari, vie urinarie. La malattia limitata all’intestino tenue si riscontra nel 38% dei casi, combinata con la

localizzazione colica in un altro 38%, mentre la forma isolata colica si ha solo nel 20% dei casi. Va segnalata l’elevata frequenza (30-80%) delle localizzazioni prossimali (alte vie digestive) della malattia. La recente riclassificazione delle MICI pediatriche (Parigi, 2009) ha

posto una maggiore attenzione proprio al criterio di localizzazione della MC con particolare riguardo alle forme a interessamento prossimale all’ileo. La classificazione di Parigi stratifica i

pazienti in relazione all’età di esordio, alla localizzazione della malattia, all’evoluzione clinica e all’impatto della MC sulla crescita del bambino.

Attività di malattia

L’attività di malattia è una variabile per la cui definizione non esistono gold-standard. L’aspetto endoscopico della mucosa del tratto gastro-intestinale, per quanto importante da

esaminare e di immediata valutazione, non offre possibilità di definire opportunamente l’attività di malattia: questo perché l’intensità della flogosi è soggetta ad interpretazione soggettiva ed, inoltre, la guarigione clinica non sempre correla con la guarigione mucosale.

L’attività di malattia si misura utilizzando degli indici che incorporano sintomatologia clinica, parametri di laboratorio ed aspetto endoscopico. Il risultato finale - l’indice clinico - viene

confrontato con degli score di cut-off corrispondenti a stati clinici di malattia quali remissione, attività lieve, moderata e severa. Si definisce, inoltre, come risposta una differenza minima di score che sia tale da definire una significativa riduzione dell’attività di malattia. Ogni indice

utilizzato deve essere valido, riproducibile, accurato e funzionale. Il grado di attività della malattia di Crohn all’esordio e nelle fasi successive di remissione e

riacutizzazione viene valutato calcolando l’indice PCDAI (Pediatric Crohn Disease Activity Index, che include sintomatologia clinica, complicanze MICI correlate, reperti obiettivi, indagini di laboratorio, peso e altezza corporea) i cui score sono compresi nel range 0-100. Un

PCDAI < 10 distingue la remissione clinica dalla malattia attiva, mentre un punteggio > 30 identifica una MC moderata-severa; la risposta clinica è definita come una riduzione minima

pari a 12.5 punti. L’uso sistematico del PCDAI è importante nel guidare le scelte terapeutiche nelle diverse fasi della malattia.

Clinica

Rispetto all’esordio della CU, i sintomi della MC sono più variegati. Nell’80% dei casi la malattia esordisce con dolore addominale, diarrea, riduzione dell’appetito e perdita di peso.

Il dolore addominale è il sintomo isolato più comune, spesso periombelicale ma anche in fossa iliaca destra o ai quadranti addominali inferiori.

La diarrea può non essere presente, soprattutto quando la malattia è limitata al piccolo intestino, ma può diventare ematica se è coinvolto il colon discendente. Fistole perianali, ragadi, ascessi perianali ricorrenti possono essere segni isolati o associati ai sintomi

gastrointestinali classici. L’arresto della crescita e un concomitante ritardo puberale possono precedere lo sviluppo di

sintomi intestinali o dominare l’esordio della malattia. Un arresto della crescita è presente

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addirittura nel 40% dei pazienti con MICI e, alla diagnosi, oltre la metà dei pazienti con MC riporta una perdita di peso. L’elevata concentrazione di citochine proinfiammatorie

contribuisce all’anoressia e determina una resistenza all’ormone della crescita inibendo la produzione dell’IGF-1.

L’infiammazione del piccolo intestino, soprattutto nelle forme a prevalente localizzazione ileale, è responsabile della riduzione della superficie di assorbimento con deplezione del pool dei sali biliari, malassorbimento dei grassi e, talora, protido-dispersione. Tutto questo si

associa a un incremento della spesa energetica basale secondaria all’infiammazione alla febbre e agli episodi di sepsi. Microsanguinamenti intestinali sono causa di anemia

sideropenica. Artrite e artralgie costituiscono circa il 15% delle manifestazioni extraintestinali e spesso

precedono la comparsa di sintomi gastrointestinali. L’eritema nodoso (8-15%) e il pioderma gangrenoso (1-2%) sono le manifestazioni cutanee

più frequenti. Il primo è correlato all’attività della malattia intestinale anche se non necessariamente ne riflette la gravità, mentre il secondo tende ad avere un’evoluzione indipendente e richiede trattamento specifico. Il coinvolgimento oculare è meno frequente nel

bambino che nell’adulto, ma può comunque determinare episclerite acuta, uveite e, raramente, miosite dei muscoli orbitali.

La colangite sclerosante primitiva è associata più spesso alla CU, ma c’è anche nelle forme di MC a localizzazione colica.

Le stenosi del lume intestinale (il 30% dei pazienti con MC) sono la conseguenza dei processi di riparazione delle lesioni infiammatorie, con evoluzione fibrotica cicatriziale. In circa un

terzo dei pazienti con MC si sviluppano ascessi o fistole perianali. Se tra le lesioni perianali consideriamo anche le fissurazioni e le ragadi, la prevalenza di malattia perianale nei pazienti

pediatrici si attesta tra il 14% e il 60% in centri di terzo livello. Fissurazioni e ragadi possono anche essere asintomatiche, ma la presenza di lesioni profonde e infiammate, di fistole o ascessi contribuisce significativamente alla morbilità della MC peggiorandone la prognosi.

Alle MICI è spesso associato un difetto di mineralizzazione dell’osso con rischio di osteopenia/osteoporosi. Una ridotta densità ossea è presente nel 10-14% dei giovani adulti e

in oltre un quarto degli adulti con MICI. Le principali cause sono la persistenza dello stato infiammatorio, il ridotto assorbimento intestinale di vitamina D e l’impiego protratto di corticosteroidi. Il monitoraggio della situazione ossea con la densitometria e trattamento con

vitamina D e calcio possono essere utili per limitare ulteriori complicanze a lungo termine.

Il rischio di degenerazione neoplastica è aumentato rispetto alla popolazione generale. Per le forme di MC a interessamento colico la possibilità di sviluppare un carcinoma del colon è sovrapponibile a quella della CU, con un’incidenza cumulativa dell’8% a 20 anni dalla

diagnosi. La presenza di malattia perianale rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo. L’utilizzo di terapia immunosoppressiva o con farmaci biologici a lungo termine determina un

incremento del rischio di sviluppare linfomi. Diagnosi

Una attenta valutazione clinica seguita dalle indagini endoscopiche ed istologiche sono

elementi indispensabili per giungere ad una diagnosi definitiva di Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale (MICI). L’iter diagnostico della Malattia di Crohn risulta quindi complesso e richiede necessariamente

l’associazione di: anamnesi,

esame obiettivo, diverse procedure diagnostico-strumentali (occorre distinguere le metodiche

diagnostico-strumentali che studiano il versante endoluminale -mucoso- della malattia,

dalle metodiche di imaging che indagano la parete e il versante extraparietale).

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I sintomi della Malattia di Crohn, Rettocolite Ulcerosa e Colite Indeterminata esordiscono - fino ad un 25% dei casi - in età pediatrica. È necessario indagare la storia clinica,

focalizzandosi sulla durata, la localizzazione e la qualità dei sintomi, la frequenza e la consistenza dell’alvo, la presenza di sangue nelle feci, di urgenza all’evacuazione, tenesmo e

risveglio notturno. Va ricercata la presenza di sintomi sistemici (perdita di peso, febbre, astenia) ed extraintestinali (aftosi del cavo orale, lesioni cutanee, dolori articolari, sintomi oculari). È inoltre possibile che l’esordio clinico di malattia si manifesti con la comparsa di

malattia perianale (fistole, tags, ascessi perianali ricorrenti).

L’esame obiettivo inizia con la registrazione dei dati antropometrici e dello stadio puberale. La valutazione nutrizionale comprende il peso, l’altezza e i relativi Z-score e la velocità di crescita. Va esaminato il cavo orale per l’eventuale presenza di afte. L’esame dell’addome può

rilevare dolorabilità, presenza di masse o pastosità nel quadrante inferiore di destra, ricordando che un’obiettività addominale negativa non esclude una MC. Obbligatorie

l’ispezione e l’esplorazione rettale per valutare la presenza di ragadi, fistole, fessurazioni, sangue o dolore.

Nel bambino con sospetta MICI gli esami di laboratorio iniziali hanno lo scopo di: 1. porre in evidenza uno stato infiammatorio;

2. verificare il possibile coinvolgimento di altri organi o apparati; 3. localizzare la presenza di un processo infiammatorio a livello intestinale;

4. escludere la presenza di altre condizioni patologiche in grado di mimare un quadro clinico simile;

5. identificare e distinguere le varie forme di MICI.

Le indagini di laboratorio comprendono emocromo con formula, marcatori di flogosi, indici di funzionalità epatica, renale e pancreatica, e la ricerca del sangue occulto fecale. Frequenti

reperti sono la leucocitosi neutrofila, l’anemia microcitica (circa nel 70% dei pazienti) da carenza marziale e/o da perdita cronica, la trombocitosi. VES e PCR possono essere elevate nelle fasi di attività della malattia, ma sono poco sensibili e poco specifiche.

La valutazione dello stato nutrizionale richiede proteinemia, albuminemia, concentrazione della vitamina D, assetto marziale e dosaggio di alcuni micronutrienti tra cui lo zinco.

Per una corretta diagnosi differenziale con altre entità patologiche è importante prima di tutto escludere la presenza di infezioni gastrointestinali mediante esami microbiologici molto accurati. Molte malattie infettive possono produrre quadri clinici e anatomo-patologici molto

simili alle MICI: Batteriche: Campylobacter spp, Salmonella spp, Shigella spp, Clostridium difficile,

E.coli (enterotoxigenic E. coli), Yersinia spp (specialmente nella Malattia di Crohn). Virali: Cytomegalovirus, Herpes simplex (nella proctite), HIV. Micotiche: Candida spp, Aspergillus spp.

Parassitarie: Entamoeba histolytica, Cryptospora spp, Isospora spp, Strongyloidis. E’ importane eseguire coprocolture per Salmonella, Shigella, Campylobacter jejuni,

Escherichia coli enteropatogeno e sierologia per Yersinia ed Entamoeba. Bisogna inoltre escludere un’infezione tubercolare o da Schistosoma. La presenza del C. difficile è stata segnalata nel 15-25% dei bambini con MICI e la ricerca della tossina va effettuata in tutti i

casi indipendentemente dal precedente utilizzo di antibiotici. La calprotectina fecale è un marcatore poco specifico, ma è in grado di cogliere

un’infiammazione mucosale non ancora clinicamente evidente e può essere utile nel follow-up della malattia. Per identificare e distinguere le varie forme di MICI vengono frequentemente adoperati alcuni

marcatori sierologici specifici. Il pannello di marcatori sierologici utili per la diagnosi di MICI è in continua espansione. Attualmente il test sierologico più praticato per supportare una

diagnosi di MICI e per distinguere tra MC e RCU è la valutazione combinata di due tipi di anticorpi:

1. le IgG anti-citoplasma perinucleare di neutrofilo (perinuclear anti-neutrophil

cytoplasmic antibody, pANCA); 2. le IgG ed IgA anti-Saccharomyces cerevisiae (ASCA), un micete presente nella normale

microflora intestinale umana.

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Gli anticorpi pANCA sono positivi nel 40-80% dei pazienti con RCU e solo in una piccola percentuale (10-27%) di pazienti con MC o di controlli sani (< 3%). Gli ASCA sono presenti

nel 50-80% dei pazienti con MC, nel 2-14% dei pazienti con RCU ed in meno del 5% dei soggetti non affetti da MICI. Nei pazienti con MC la positività degli ASCA sembra correlarsi alla

gravità della malattia a localizzazione prevalentemente ileale e con maggiore rischio di forme fistolizzanti e stenosanti; la positività dei p-ANCA si associa invece alle forme di MC a localizzazione prevalentemente colica, a insorgenza tardiva e non stenosanti.

L’endoscopia digestiva riveste a tutt’oggi un ruolo fondamentale nella diagnosi delle Malattie

Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) e nella diagnosi differenziale tra Malattia di Crohn (MC), Rettocolite Ulcerosa (RCU) e Colite Indeterminata. L’endoscopia ha infatti dei vantaggi rispetto ad altre metodiche diagnostiche quali la possibilità di effettuare una diagnosi

immediata, l’ottima accuratezza diagnostica se associata ad esame istologico delle biopsie perendoscopiche, nessuna controindicazione alla ripetizione dell’esame anche a breve

termine, e in più, permette l’utilizzo di tecniche operative che possono risultare utili dal punto di vista terapeutico. I limiti dell’endoscopia sono l’impossibilità di studiare approfonditamente il tenue (è possibile

analizzare solo le prime 2-3 anse digiunali e gli ultimi 20-30 cm di ileo terminale) e la necessità di eseguire l’esame, specie in età pediatrica, in sedo-analgesia profonda.

In tutti i casi sospetti di MC è indicata l’esecuzione dell’EGDS e della colonscopia completa con visualizzazione dell’ileo terminale ed esecuzione di biopsie multiple. L’EGDS è obbligatoria

anche in assenza di sintomi gastrointestinali alti e l’istologia può confermare una diagnosi che altrimenti verrebbe persa nell’11- 29% dei casi. La colonscopia è l’esame fondamentale per la diagnosi differenziale tra MC e CU, per la

localizzazione e la definizione di estensione del processo infiammatorio. In circa il 10% dei bambini con MC le biopsie mostrano un’infiammazione isolata all’ileo in assenza di alterazioni

a carico del colon. Esistono delle controindicazioni all’esecuzione dell’esame endoscopico che possono essere classificate in assolute o relative:

le controindicazioni assolute sono il megacolon tossico, la sospetta perforazione intestinale e lo shock;

le controindicazioni relative sono quadri iperacuti che controindicano la progressione e la completezza dell’esame.

Infatti in tali condizioni il rischio di complicanze gravi, come la perforazione o il

sanguinamento importante, induce un atteggiamento di prudenza tale da rimandare l’esame completo.

Nell’ambito dell’iter diagnostico delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) assume un ruolo importante anche la valutazione del piccolo intestino. In particolare nella

Malattia di Crohn e nella Colite Indeterminata è fondamentale lo studio del tenue per una completa stadiazione della malattia. La localizzazione al “piccolo” intestino può rappresentare

l’unica sede di malattia con difficoltà per una corretta diagnosi. L’intestino tenue ha sempre rappresentato il tratto digestivo più difficilmente esplorabile per la sua posizione centrale, la localizzazione anatomica, la lunghezza (oltre i 5 metri nell’adulto) e la naturale tortuosità.

La videocapsula permette la conferma della diagnosi di MC del piccolo intestino sia in pazienti con Crohn già diagnosticato sia in pazienti con sospetta diagnosi di MC in cui non è stato

possibile eseguire altrimenti la diagnosi. Nello specifico nei pazienti con MC la capsula può essere utilizzata per:

1. stabilire l’estensione e la severità del coinvolgimento del piccolo intestino;

2. recidive post-chirurgiche; 3. guarigione delle lesioni dopo trattamento medico.

Limiti dell’esame sono il suo costo, l’ancora limitata esperienza nel bambino e l’impossibilità di eseguire biopsie. Esiste inoltre un rischio di ritenzione della capsula che, nei pazienti con MC, è stimato attorno al 5%. Nell’ambito dell’iter diagnostico, tale rischio è ancor più importante

per le forme stenosanti. A tal proposito è importante tener presente eventuali sintomi di subocclusione intestinale e valutare prima dell’esecuzione dell’esame l’integrità della valvola

ileo-cecale e, in caso di pregresse resezioni intestinali, la pervietà dell’anastomosi chirurgica.

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Le metodiche radiologiche utilizzate sono quelle contrastografiche tradizionali con mezzo di

contrasto baritato quali il tenue seriato o l’enteroclisi, particolarmente accurate per lo studio delle alterazioni mucose del tenue.

Sia enteroclisi che tenue seriato consentono di: 1. valutare l’interessamento del tratto intestinale compreso tra duodeno-digiuno

prossimale e la valvola ileo-cecale, difficilmente esplorabile endoscopicamente;

2. effettuare uno studio approfondito della mucosa, e quindi di individuare le lesioni caratteristiche, come l’interessamento “a salto” della parete intestinale e l’aspetto “ad

acciottolato” dato dall’alternarsi di ulcere e pseudo polipi; 3. individuare la presenza di fistole e stenosi, frequenti complicanze del MC; 4. riconoscere precocemente le possibili e non infrequenti recidive post-chirurgiche;

5. studiare nel post-operatorio la regione anastomotica e peri-anastomotica. Lo studio radiologico con contrasto (enteroclisma e/o tenue seriato) è una metodica che ha

dei limiti di sensibilità nell’identificare lesioni precoci della mucosa, non consente di studiare l’estensione “transmurale” della malattia e, se ripetuto nel tempo, espone a una significativa dose radiante.

Sia il clisma che il tenue seriato risultano quindi notevolmente limitati da alcuni fattori: la scarsa sensibilità nell’identificare le lesioni precoci e lievi della mucosa (es. ulcere

aftoidi, ispessimento e deformazione delle valvole conniventi); l’impossibilità di valutare l’estensione parietale ed extraparietale, di notevole

importanza considerando l’interessamento transmurale della malattia che dalla sierosa si estende alle strutture circostanti determinando proliferazione del tessuto adiposo mesenteriale, linfoadenopatie locoregionali, aderenze entero-enteriche;

l’impossibilità, a differenza della RM, di riconoscere la natura prevalentemente edematosa o fibrosa delle stenosi, elemento molto importante ai fini terapeutici;

la dose di radiazioni somministrate ai pazienti, spesso di giovane età, che necessitano di un follow-up lungo e accurato.

Per lo studio dell’interessamento parietale ed extraparietale del MC si rende invece necessario uno studio di parete, effettuato con metodiche cosiddette “cross-sectional”. Infatti il tipico

interessamento flogistico transmurale determina un ispessimento parietale generalmente marcato (superiore a 4-5 mm, spesso oltre i 10 mm nella malattia conclamata) che rende facilmente identificabili i segmenti patologici con le metodiche di imaging “cross-sectional”

quali: ecografia,

Tomografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica (RM).

L’analisi della letteratura raccolta ha evidenziato come principalmente tre siano stati gli argomenti indagati riguardo l’utilizzo della ultrasonografia nelle MICI:

1. la capacità della metodica nell’individuare la malattia e valutarne sede ed estensione; 2. la capacità di individuare le complicanze addominali quali stenosi, occlusioni, fistole,

ascessi e masse infiammatorie;

3. la capacità di valutare l’attività di malattia. L’ecografia, eseguita da operatore esperto, è un esame dotato di ottima sensibilità

nell’individuare gli aspetti caratteristici di ispessimento della parete intestinale, in particolare dell’ultima ansa ileale. Nel bambino si può considerare un esame di screening che, combinato alla valutazione della calprotectina fecale, degli p-ANCA/ASCA, consente di predire o

escludere la possibilità di una MICI con un’attendibilità molto elevata. L’ecografia consente, inoltre, di individuare le eventuali complicanze addominali di tipo stenosante oppure fistole o

ascessi, mentre è di scarsa utilità nella valutazione della malattia colica. È di recente introduzione la metodica ecografica con mezzo di contrasto (SICUS = small intestine contrast-enhanced ultrasound) che rispetto all’ecografia tradizionale presenta una maggiore

sensibilità e specificità nell’individuare sede ed estensione della malattia.

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La tomografia computerizzata (TC) si è dimostrata efficace per l’individuazione delle localizzazioni intestinali ed extraintestinali della MC, così come nella valutazione di

complicanze ascessuali masse infiammatorie a livello addominale.

La Risonanza Magnetica (RM) è stata recentemente proposta come metodica diagnostica per lo studio delle MICI ed, in particolare, della Malattia di Crohn, sia in pazienti adulti che pediatrici. Grazie alla non invasività, all’assenza di radiazioni ionizzanti, alla elevata

panoramicità con possibilità di valutare contemporaneamente il tenue ed il colon-retto e i tessuti pelvici-perianali, all’elevato contrasto tissutale, la RM rappresenta una modalità di

imaging potenzialmente ideale per lo studio e il follow up di patologie infiammatorie intestinali croniche recidivanti, particolarmente in pazienti giovani o in età pediatrica. La caratteristica più interessante della RM è certamente l’elevata sensibilità per i tessuti flogistici, che la rende

in grado di valutare efficacemente l’attività di malattia (grado di flogosi parietale) con parametri diversi.

È di grande utilità nello studio delle stenosi intestinali e delle fistole non entero-enteriche (perineali, enterocutanee, enterovescicali, enterovaginali ed enteromesenteriche), mentre l’accuratezza nella valutazione delle fistole entero-enteriche è inferiore rispetto alle tecniche

contrastografiche convenzionali. Ottima nella localizzazione degli ascessi intra-addominali.

Terapia

I principali obiettivi della terapia, che vale per tutti i pazienti con MICI, sono: promuovere la crescita e lo sviluppo; indurre la remissione clinica (alleviare i sintomi);

mantenere la remissione; indurre la guarigione mucosale;

minimizzare gli effetti avversi della terapia farmacologica. Di fondamentale importanza sono la prevenzione e il trattamento delle stenosi e delle fistole per ritardare il più possibile il ricorso alla terapia chirurgica.

L’estensione e il fenotipo della malattia indirizzano le scelte terapeutiche, che vanno rivalutate ed eventualmente modificate in base alla risposta clinica.

Prognosi

La storia naturale della malattia si caratterizza per una serie di riacutizzazioni che possono compromettere severamente la vita fisica e sociale del paziente; fondamentale rimane,

pertanto, l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei malati impostando una terapia opportuna e che sia tale da ridurre la probabilità di essere sottoposti ad intervento chirurgico. Per determinare la storia naturale della Malattia di Crohn è indispensabile considerare i

seguenti fattori: attività della malattia nel tempo, frequenza delle complicanze, necessità di interventi chirurgici, rischio di ricorrenza della malattia durante follow-up, effetti della

patologia di base su crescita e sviluppo nel bambino, effetti della patologia di base sulla qualità della vita. Circa un terzo dei pazienti presenta una recidiva di malattia entro un anno dalla diagnosi. A 5

anni dall’esordio un terzo dei pazienti è in remissione, un terzo presenta riesacerbazioni periodiche e un altro terzo ha un’attività di malattia cronica

Crescita Al momento della diagnosi iniziale, circa un terzo dei bambini con Malattia di Crohn ha già

presentato un decremento di crescita staturo ponderale maggiore o uguale a due percentili; nel corso degli anni, periodi di deficit di crescita significativo sono osservabili in circa il 60%

dei bambini e degli adolescenti affetti. Circa il 50% degli adulti affetti da Crohn insorto in età evolutiva presenta un’altezza finale minore del 10% rispetto alla popolazione generale, mentre nel 25% degli stessi si riscontra un’altezza finale minore del 5% rispetto al target

previsto.

Rischio di corticodipendenza

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Negli adulti e nei bambini tale rischio è sovrapponibile e pari a circa il 28 - 36% dopo il primo anno di terapia corticosteroidea, indipendentemente dalla concomitante somministrazione di

immunosoppressori. Pertanto, mentre risulta ottimale l’impiego dei corticosteroidi al fine di ottenere risposte acute, il loro utilizzo a lungo termine dovrebbe essere invece evitato o

contenuto. Necessità di chirurgia. Il rischio cumulativo per la Malattia di Crohn è pari al 47%; risulta

maggiore per i pazienti sieropositivi per anticorpi anti-ASCA. La ricorrenza post-intervento nella popolazione adulta è pari al 20-30% per la ricorrenza clinica ed al 43-79% per quella

endoscopica. Nei bambini, la ricorrenza globale a 5 anni è pari al 50% e risulta variabile in correlazione alla sede della patologia.

Rischio di neoplasia Negli adulti, numerosi studi confermano un aumento generale della incidenza di neoplasie

nella popolazione affetta da Malattia di Crohn rispetto a quella generale: le principali correlazioni riscontrate comprendono adenocarcinoma del colon-retto, carcinoide, leiomiosarcoma e linfoma intestinale. Si è osservato, inoltre, un maggiore rischio di

carcinoma del colon-retto in pazienti con patologia ad interessamento colico rispetto ai pazienti con esclusivo coinvolgimento del piccolo intestino.

Il rischio di sviluppare linfomi correla, in aggiunta, con l’assunzione di terapia immunosoppressiva (associazione riscontrata nel 5% dei pazienti trattati con azatioprina o 6-

mercaptopurina) mentre non è ancora stato confermato un eventuale ruolo dell’Infliximab. Non è ancora chiaro quanto malattia di base e terapia influiscano isolatamente e/o sinergicamente sul rischio di sviluppare neoplasie. Per la popolazione pediatrica i dati finora

disponibili non sono ancora sufficienti per trarre conclusioni definitive circa l’associazione tra Malattia di Crohn ed il rischio di insorgenza di neoplasia.

Qualità di vita Valutazioni della HRQOL (Health Related Quality Of Life) sono state ottenute misurando score

come il questionario IMPACT, dal quale risulta che i principali disagi lamentati da bambini ed adolescenti consistono nella condizione inevitabile di cronicità della patologia, dunque

nell’impossibilità di guarire, nella tipologia e frequenza degli esami da effettuare, nel frequente stato di astenia, limitazione nelle interazioni sociali, assenze scolastiche, impedimenti nella partecipazione alle attività sportive e comunitarie e necessità di

sorveglianza in casa; il tutto esita frequentemente in un profondo sentimento di ingiustizia e non esclude il raggiungimento di quadri depressivi. Osservazioni riportano inoltre una ridotta

facilità, con il passaggio alla vita adulta, ad ottenere un impiego ed un’adeguata collocazione sociale rispetto ai soggetti sani.

La Colite Ulcerosa e la Colite Indeterminata L’infiammazione nella Colite Ulcerosa (CU) si limita classicamente al colon con estensione

continua a partire inizialmente dal retto e con interessamento che tende a rimanere confinato alla superficie della mucosa.

Nel corso dell’esame endoscopico, la RCU è tipicamente classificata in: 1. proctite ulcerativa, 2. CU del colon sinistro,

3. CU estesa e 4. pancolite.

Il quadro endoscopico è caratterizzato dalla presenza di ulcere, friabilità ed eritema della mucosa, perdita del disegno vascolare, sanguinamento e pseudopolipi. Istologicamente l’infiammazione è limitata alla mucosa con distorsione delle cripte, ascessi criptici, deplezione

delle cellule mucipare e talora granulomi mucinosi. Tuttavia nel 50-70% dei casi è possibile rilevare, all’EGDS, alterazioni anche nel tratto digestivo alto.

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La definizione di Colite Indeterminata (CI) è tuttora oggetto di interpretazioni difformi. Nell’accezione più comune e secondo i Criteri di Porto, che nel 2003 hanno definito l’iter

diagnostico per le MICI, il termine CI è utilizzato per definire un’infiammazione intestinale cronica e limitata al colon che, dopo una completa valutazione endoscopica (EGDS +

colonscopia), istologica e radiologica del tratto digerente, non risponde ai requisiti classificativi né della MC né della CU. Nella recente classificazione di Montreal (2005) la CI è stata anche definita come una

“malattia infiammatoria intestinale non classificata” in pazienti con evidenza di MICI che interessa il colon, senza coinvolgimento del piccolo intestino, in assenza di una definitiva

diagnosi istologica di MC o CU. La persistenza delle incertezze classificative rende difficile capire se la CI rappresenti solo una diagnosi transitoria in attesa di un più evidente viraggio verso una delle due forme note di MICI, o piuttosto una specifica entità patologica dal punto

di vista fenotipico e, forse, genotipico.

Clinica L’esordio della CU e della CI è caratterizzato dalla presenza per più di due settimane di

diarrea ematica, dolore addominale e tenesmo. Meno frequenti sono la perdita di peso (30%), l’anoressia (10%) o l’astenia profonda (10-15%). Può esserci dolenzia in fossa iliaca sinistra

con segni di anemia o artrite. Se i segni clinici sono più importanti, con un quadro infiammatorio sistemico, febbre,

tachicardia, anemia, ipoalbuminemia e tensione addominale, va sospettata una dilatazione tossica del colon che può presentarsi nel 10% dei pazienti con CU. È un quadro grave, con mortalità pari all’1%, che richiede trattamento intensivo e sorveglianza chirurgica.

Il solo interessamento rettale, meno frequente nel bambino che nell’adulto, si accompagna generalmente a sangue nelle feci e tenesmo a fronte di un’obiettività generale soddisfacente

e modesti segni addominali. Il megacolon tossico, la perforazione del colon e l’emorragia possono verificarsi nel decorso

della malattia a qualsiasi età. Il megacolon tossico, complicanza grave, si manifesta con dilatazione del colon (> 55 mm

nell’adulto e nel bambino > 11 anni; > 40 mm nel bambino più piccolo), febbre, tachicardia e distensione addominale. Non è frequente in età pediatrica ma ha un rischio complessivo del 5% nella CU. In questo caso l’infiammazione tende a estendersi a tutta la parete del colon.

Aumentano il rischio di megacolon i farmaci che riducono la motilità intestinale, gli anticolinergici, gli antidiarroici, gli antidepressivi e la rapida sospensione del 5-ASA o dei

corticosteroidi. La valutazione della gravità si basa su: numero di scariche, febbre, tachicardia, ematocrito, albuminemia e PCR.

Il trattamento è intensivo con valutazione chirurgica, ricerca della tossina del Clostridium difficile, mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico e terapia steroidea ad alte dosi. Il

monitoraggio deve essere costante nel corso della giornata con periodici (ogni 8-12 ore) Rx dell’addome per valutare la dilatazione colica ed escludere la perforazione. Può essere mantenuta una prudente nutrizione enterale, che comporta meno rischi di una via

parenterale; gli antibiotici (ampicillina, gentamicina, metronidazolo) sono di dubbia efficacia. L’impiego di IFX, ciclosporina o tacrolimus va valutato con estrema cautela e non è

raccomandato. La colectomia in urgenza resta la soluzione estrema per i pazienti che non mostrano alcun miglioramento nell’arco di 48 ore o che vanno incontro a perforazione o emorragia.

Il rischio di degenerazione neoplastica nella CU è stato confermato con un’incidenza

cumulativa di cancro del colon pari al 2% a 10 anni, 8% a 20 anni e 18% a 30 anni dalla diagnosi. Oltre alla durata della malattia, altri fattori di rischio sono l’estensione (rischio più elevato nella pancolite), la colangite sclerosante primitiva, la familiarità per cancro del colon,

il coinvolgimento dell’ileo, il grado di infiammazione cronica e gli pseudopolipi infiammatori. La sorveglianza endoscopica dovrebbe iniziare nella CU con un interessamento superiore ai

due/terzi del colon dopo 8-10 anni dalla diagnosi (15-20 anni se è coinvolto solo il colon

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sinistro) con colonscopie che vanno ripetute ogni 1-2 anni regolarmente in assenza di displasia o neoplasia. Le CU esordite in età pediatrica dovrebbero seguire il medesimo

schema preventivo. Le biopsie endoscopiche saranno numerose (oltre 30 a intervalli di 10 cm). L’atteggiamento nei confronti della displasia di alto grado e a maggior ragione delle

lesioni cancerose sarà aggressivo, contemplando la colectomia; le displasie di basso grado potranno giovarsi, in casi selezionati, di un trattamento di escissione endoscopica e di un’intensificazione della sorveglianza.

Diagnosi

La diagnosi di CU emerge da una valutazione che include:

anamnesi,

esame obiettivo, elementi laboratoristici, endoscopici e istologici.

Oltre alla storia personale, vanno indagati l’anamnesi familiare, lo sviluppo puberale, un eventuale difetto di crescita e la presenza di malattia perianale (quest’ultima più indicativa di MC). Importante la registrazione di peso, altezza e velocità di crescita. La diarrea ematica con

addominalgia è fortemente indicativa di infiammazione colica mentre il sanguinamento rettale senza dolore indica più probabilmente un polipo, un’anomalia vascolare, un diverticolo di

Meckel, un’invaginazione o un’ischemia intestinale. Sanguinamento con emissione di feci compatte può suggerire la presenza di ragadi anali.

L’età del bambino è rilevante: nel bambino piccolo occorre considerare l’enterite necrotizzante, l’enterocolite da Hirschsprung e la colite allergica. Nel bambino più grande e nell’adolescente sono più frequenti le enterocoliti infettive da Salmonella, Shigella,

Campylobacter, Yersinia, Aeromonas, alcuni ceppi di E. coli, Giardia lamblia ed Entamoeba histolytica e, comunque, una coprocoltura positiva non deve fare escludere la concomitante

presenza di una MICI. Anche la tubercolosi va considerata nella diagnosi differenziale. Diversamente dal MC, la RCU necessita di un iter diagnostico più semplice essendo la malattia

limitata al solo colon, quindi completamente accessibile alla valutazione endoscopica. Inoltre, avendo la RCU un tipico interessamento flogistico limitato alla mucosa e sottomucosa, senza

estensione agli strati parietali più esterni, la malattia risulta completamente caratterizzabile con le biopsie endoscopiche associate alla colonscopia. La CU è caratterizzata endoscopicamente da quadri variabili di flogosi a seconda del grado di

attività della malattia che possono variare dalla perdita della trama vascolare della mucosa, all’iperemia diffusa, alla friabilità mucosale, alla presenza di essudato muco-purulento ed

erosioni diffuse ricoperte di fibrina. La necrosi dei tessuti determina ulcerazioni di diametro e numero variabile, circondate da tessuto intensamente flogistico, in grado di esporre vaste zone di mucosa ed essere fonte importante di sanguinamento. Talora si possono associare

lesioni aftoidi o pseudopolipi infiammatori, conseguenza della rigenerazione, in aree precedentemente ulcerate, di gemme epiteliali che possono protrudere nel lume, formando

pseudo polipi solitamente sessili. Un altro quadro endoscopico che si può riscontrare è caratterizzato da una fine granulosità della mucosa sino alla presenza di noduli anche grossolani e di grandi dimensioni che possono presentare erosioni sovrastanti. Nella RCU

anche la normale austratura del colon può subire modificazione, in particolare, può essere persa rendendo l’intestino simile a “un tubo rigido”. Dal punto di vista istologico la RCU è

caratterizzata da distorsione e infiltrazione infiammatoria criptica con scomparsa dell’architettura ghiandolare mucipara.

Il ricorso ad ulteriori metodiche di imaging è limitato allo studio della fase iperacuta, quando la colonscopia può esser controindicata perché ad alto rischio, o per incompletezza dello

studio endoscopico in presenza di stenosi o per varianti anatomiche. Tali metodiche possono essere utili anche nel caso si voglia ulteriormente caratterizzare il grado di flogosi parietale con metodiche contrastografiche come la TC o la RM. Anche l’ecografia viene frequentemente

utilizzata per il follow up di questi pazienti, essendo una metodica di ampia accessibilità generalmente in grado di identificare i tratti colici patologici in modo non invasivo.

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Terapia

Gli obiettivi del trattamento sono: l’induzione e il mantenimento della remissione,

la prevenzione delle riesacerbazioni, il mantenimento di un regolare ritmo di crescita e la sorveglianza delle possibili complicanze.

Il trattamento della CI non differisce da quello della CU. La gravità e l’estensione della malattia guidano livello e l’intensità della terapia. Rispetto alla malattia nell’adulto, la CU del

bambino è maggiormente aggressiva, con più frequenti riesacerbazioni e minore risposta al trattamento corticosteroideo. Importante, soprattutto nelle riesacerbazioni della malattia, è oggettivare la gravità del quadro clinico con l’utilizzo dello score PUCAI che potrà guidare

attraverso i successivi passaggi terapeutici. Per la Rettocolite Ulcerosa, la prima elaborazione di un indice di attività di malattia è stata la

scala qualitativa di Truelove e Witts, del 1955. Altri indici successivamente introdotti sono il Powell-Tuck Index, lo score Mayo Clinic, l’Indice di Rachmilewitz e lo score di Lichtiger, i primi tre dei quali includono una valutazione endoscopica del tratto retto-sigmoideo come parte

della valutazione globale. Attualmente, l’indice più comunemente utilizzato è quello della Mayo Clinic che incorpora sia valutazioni cliniche sia endoscopiche. Nel 2004, la Crohn and

Colitis Foundation of America ha introdotto il PUCAI (Pediatric UC Activity Index) che risulta particolarmente efficace nel differenziare in categorie l’attività di malattia: remissione (score

< 10), lieve, moderata e severa; la risposta è definita come una riduzione di almeno 20 punti. Prognosi

Uno dei fattori più rilevanti per definire la severità della Rettocolite Ulcerosa consiste nella

necessità di ricorrere alla colectomia: il rischio cumulativo a un anno è pari all’1% per i pazienti affetti da forme lievi e all’8% per le forme moderate e severe; lo stesso rischio a 5 anni per le due forme di malattia è rispettivamente pari al 9% e al 26%.

Caratteristiche cliniche della colite ulcerosa che ne influenzano il decorso sono l’estensione e la severità di intensità di malattia alla diagnosi; entrambe correlano, infatti, con un più alto

tasso di colectomia. La risposta ai farmaci corticosteroidei inoltre gioca - anche nel paziente di età pediatrica come

in quello di età adulta - un ruolo importante nel definire la storia naturale della patologia.

Il 70% dei bambini con CU entra in remissione entro 3 mesi dalla diagnosi e nel 50% si registrano casi quiescenti per tutto il primo anno. Nel lungo termine il 55% resta in remissione, il 40% ha riesacerbazioni periodiche e il 5-10% ha sintomi subcontinui.

Tra coloro che hanno solo la proctite, il 92% è asintomatico a 6 mesi e l’8% resta sintomatico nonostante la terapia. Nel 30-70% dei casi si assiste a una progressiva estensione prossimale

della malattia, cosa che rende indispensabile una rivalutazione endoscopica periodica. Il 20-64% dei bambini con CI verrà successivamente riclassificato nel corso del follow-up evolvendo verso una CU o una MC. I dati nell’adulto parlano dell’80% di riclassificazione entro

8 anni con una netta prevalenza di evoluzione verso la CU.

La possibilità di predire clinicamente il decorso di pazienti con colite ulcerosa è estremamente utile al fine di definire opportune strategie terapeutiche; vari indici di prognosi infausta sono stati valutati in numerosi studi:

numero di evacuazioni giornaliere ≥5; T° rettale > 37,5°;

Htc ≤30%; Albumina ≤3 g/dL; durata dei sintomi > 6 settimane;

ulcere colon-rettali profonde; aumentati valori di PCR.

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Anche il profilo genetico potrà in futuro, con la prosecuzione di ricerche e studi, essere correlato con severità, estensione e modalità di decorso della patologia (in termini di

complicanze e necessità di terapia aggressiva-chirurgica).

Fibrosi cistica

La Fibrosi cistica (FC) è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva caratterizzata essenzialmente da turbe delle funzioni di trasporto ionico degli epiteli, cui conseguono anomalie della secrezione esocrina di vari apparati

La Fibrosi Cistica è la più frequente malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva tra la popolazione del Nord Europa, con un’incidenza di 1:2500 nati vivi. E’ meno comune tra i

neri d’America (1:15.000) e rara tra gli orientali (1:90.000). L’incidenza nella popolazione asiatica è meno conosciuta, ma probabilmente si aggira intorno a 1:10.000.

Aspetti genetici

Benché già nel 1949 Lowe et al. postularono che la FC fosse causata da un difetto in un singolo gene (e quindi in una singola proteina) sulla base della modalità di trasmissione, è stato solo nel settembre del 1989 che Collins, Riordan e Tsui hanno identificato il gene

responsabile della malattia nel laboratorio di genetica molecolare del Sick Children Hospital di Toronto.

Il gene responsabile della malattia si trova sul braccio lungo del cromosoma 7, si estende per oltre 250 kilobasi, e contiene 27 esoni. La proteina codificata, composta da 1480 aminoacidi, è chiamata Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator (CFTR), ed è

principalmente coinvolta nel trasporto transmembranico del cloro. La proteina CFTR appartiene a una famiglia di proteine (ATP binding cassette transporter superfamily), che

sono deputate a regolare gli scambi di molecole tra l’interno e l’esterno delle membrane cellulari (vedi figura 3).

Figura 3. Caratteristiche strutturali della proteina CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator) Fonte: Valeria Galici, Cesare Braggion. I progressi della genetica nella fibrosi cistica: le novità per il pediatra di

famiglia. Quaderni acp 2008; 15(4): 165-170

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Le mutazioni del gene CFTR sono molto numerose. La loro frequenza relativa è quanto mai

variabile in relazione all’area geografica. La più frequente, la ∆F508, è più concentrata nell’Europa settentrionale (soprattutto in Danimarca e Inghilterra dove costituisce l’85% delle

mutazioni), meno in quella meridionale; alcune mutazioni risultano molto più rappresentate in particolari popolazioni, altre sono estremamente rare. In Italia la ∆F508 è comunque di gran lunga la mutazione più frequente (51%), e la

distribuzione delle possibili mutazioni è variabile da regione a regione. Per esempio, la mutazione T338I rappresenta circa il 10% degli alleli FC in Sardegna, mentre la mutazione

R1162X, da sola, costituisce il 10% degli alleli FC nel Nord-Est dell’Italia. Data l’estrema eterogeneità nella distribuzione geografica di mutazioni è necessario che i laboratori di genetica conoscano la frequenza relativa di ciascuna mutazione, in modo da utilizzarne un

pannello che consenta un buon tasso di individuazione (detection rate) in una specifica area geografica.

La mutazione ∆F508 consiste nella delezione di un residuo di fenilalanina nel codone 508 della proteina regolante la CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator). La mutazione, che

comporta un’alterazione della funzione del canale del cloro e dello scambio di acqua nelle cellule di rivestimento di vari apparati, in soggetti omozigosi, induce il classico quadro clinico

della FC, caratterizzato da aumentata concentrazione di cloro nel sudore e, per la formazione di “tappi mucosi”, infezioni respiratorie ricorrenti con bronchiectasie e insufficienza digestiva

pancreatica. L’identificazione di tale mutazione è stata seguita da quella di oltre mille mutazioni, anche se solo 22 sono state evidenziate con una frequenza di almeno lo 0,1% degli alleli conosciuti.

Studi di fisiologia in vitro hanno dimostrato che mutazioni del gene FC possono alterare la funzione del canale del cloro in modi differenti, da una perdita della proteina a una

espressione di superficie con scarsa conduttanza del cloro. I meccanismi con i quali le mutazioni alterano la funzione del canale del cloro sono stati raggruppati in 6 classi, con l’intento di fornire una base per lo studio della correlazione genotipo/fenotipo e un bersaglio

per possibili nuove terapie farmacologiche.

Oggi la FC appare come una malattia almeno in parte diversa da quella che eravamo abituati a conoscere, e questo per almeno due aspetti fondamentali. Il primo, che pur non costituendo una caratteristica esclusiva degli ultimi anni è apparso

tuttavia sempre più evidente nel decennio trascorso, è l’allungamento dell’attesa di vita per i malati di FC. E’ innegabile che la centralizzazione delle cure in strutture specialistiche e

l’evoluzione delle terapie, inclusa la disponibilità del trapianto di polmone, hanno contribuito a un sostanziale miglioramento della prognosi della malattia. L’altro grande cambiamento, conseguenza diretta della scoperta del gene, è stato

l’individuazione di forme cliniche di FC che si discostano anche significativamente dalle manifestazioni classiche di malattia polmonare suppurativa cronica e di insufficienza

pancreatica. Queste forme sono estremamente eterogenee e difficilmente inquadrabili. Lo screening neonatale

Avviato sperimentalmente negli Stati Uniti per verificarne i costi/benefici o per selezionare

pazienti da sottoporre prospetticamente a studi clinici randomizzati e controllati, lo screening neonatale, dopo una lunga esperienza in Triveneto antecedente anche a quella nordamericana, è stato introdotto in Italia in concomitanza dell’entrata in vigore della legge

per la FC del 1993. Lo screening è stato basato inizialmente sulla determinazione della tripsina immunoreattiva

(IRT), eseguito su goccia di sangue in terza-quarta giornata di vita, e sulla persistenza di un valore di questa oltre il cut-off intorno alla fine del I mese (al contrario di quanto si osserva nei bambini senza la FC), con conferma diagnostica mediante test del sudore. Allo scopo di

limitare il numero dei richiami per falsi positivi, la determinazione dell’IRT è stata associata successivamente alla ricerca della mutazione più frequenti.

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Purtroppo, sia che si esegua lo screening con la sola IRT o che si esegua con IRT in associazione alla ricerca di una mutazione, bisogna valutare la possibilità dei falsi negativi:

nel primo caso, per la presenza di mutazioni che possono indurre malattia con test del sudore negativo; nel secondo caso, per la possibilità di mutazioni diverse dalla ∆F508, che nel nostro

Paese non ha la stessa elevata frequenza riscontrata in Nord Europa o in Nord America. ll riscontro di una doppia mutazione della FC è diagnostico, mentre quello di una singola

mutazione porta all’esecuzione del test del sudore. In caso di test del sudore negativo il soggetto con una singola mutazione viene considerato portatore di FC e si offre la consulenza

genetica ai genitori. Clinica

Le manifestazioni cliniche della malattia fanno seguito alla presenza di secrezioni esocrine

mucose dense, che portano a malattia polmonare cronica ostruttiva e ad aumento della concentrazione di sale nel sudore. La FC è caratterizzata da una notevole eterogeneità clinica per l’interessamento di molti

organi (ghiandole salivari e sudoripare, vie aeree, pancreas, fegato, intestino, dotti deferenti). Le modalità di comparsa, l’entità dei sintomi e il decorso sono estremamente variabili. Alcuni

malati possono presentare precocemente gli aspetti polmonari della malattia (infezioni respiratorie ricorrenti) e manifestazioni gastrointestinali quali ileo da meconio alla nascita e

sindrome da malassorbimento secondaria a insufficienza pancreatica; altri hanno sintomi respiratori modesti e contenuti fino all’adolescenza (tosse saltuaria, sinusite, poliposi nasale), con quadro digestivo normale.

La compromissione polmonare è presente in più del 90% dei pazienti ed è la principale causa

di morbilità e mortalità: tosse cronica di tipo produttivo, espettorazione spontanea o provocata, infezioni polmonari ricorrenti, in rapporto per lo più a Staphylococcus aureus e Pseudomonas Aeruginosa, fino a un quadro di infezione cronica, che danneggia

irreversibilmente i bronchi producendo una ostruzione progressiva e un danno della loro parete, in particolare una loro dilatazione (bronchiectasie). La malattia polmonare evolve

verso l’insufficienza respiratoria. Nel 15% dei neonati compare occlusione intestinale a causa di un meconio denso e viscoso

che occlude le ultime anse ileali (ileo da meconio).

Il danno pancreatico, caratterizzato da fibrosi e microcisti, è presente nell’85-90% dei pazienti. La perdita della funzione pancreas esocrino porta al malassorbimento di carboidrati, grassi e proteine, causati rispettivamente dal malfunzionamento di amilasi, lipasi e proteasi.

Questo malassorbimento determina una malnutrizione e quindi ritardo nella crescita in età pediatrica e dimagrimento in età adulta. La terapia sostitutiva con enzimi pancreatici può

migliorare la diarrea da malassorbimento dei pazienti affetti da tale malattia. Anche il pancreas endocrino talora può venire interessato con progressiva evoluzione in

diabete mellito.

Può essere presente impegno delle vie biliari e del fegato con quadri per lo più di steatosi, mentre una cirrosi biliare con ipertensione portale è presente in un 3-4% dei pazienti. Tutte le condizioni di colestasi epatica (atresia biliare, stenosi biliare congenita, eccetera)

causano uno scarso assorbimento di grassi per il deficit di sali biliari che si manifesta con diarrea acquosa associata a vari gradi di malassorbimento.

I pazienti di sesso maschile sono infertili per agenesia bilaterale dei vasi deferenti.

Frequenti sono anche la sinusite cronica e la poliposi nasale.

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A parte i casi di screening positivo o di familiarità per FC, la diagnosi si basa sempre sulla clinica, per cui è importante che il medico tenga presenti i sintomi o segni che rappresentano

un’indicazione obbligata all’esecuzione del test del sudore (manifestazioni cliniche fortemente indicative della presenza di fibrosi cistica e manifestazioni cliniche indicative della presenza di

fibrosi cistica, anche se non specifiche). Le manifestazioni cliniche fortemente indicative della presenza di fibrosi cistica sono:

Malattie respiratorie Infezione respiratoria cronica da Pseudomonas Aeruginosa mucoide o

Burkolderia cepacia; Bronchiettasie bilaterali ai lobi superiori; Polipi nasali in età pediatrica.

Gastrointestinali Ileo da meconio

Insufficienza pancreatica esocrina in età pediatrica Altro

Alcalosi ipocloremica in assenza di vomito

Azoospermia da assenza bilaterale congenita dei dotti deferenti.

Le manifestazioni cliniche indicative della presenza di fibrosi cistica, anche se non specifiche, sono:

Respiratorie Infezione respiratoria cronica da Staphylococcus aureus, Pseudomonas

Aeruginosa, Acinetobacter xylosoxidans o Haemophilus influenzae

Quadro radiologico con bronchiettasie, atelettasie, iperinflazione o addensamenti persistenti

Emottisi con malattia polmonare (escluse TBC e vasculite) Tosse cronica e/o produttiva Aspergillosi broncopolmonare allergica

Polipi nasali in età adulta Pansinusite cronica

Gastrointestinali Deficit staturo-ponderale Ipoproteinemia

Deficit di vitamine liposolubili Ostruzione fecale del colon recidivante

Prolasso rettale Cirrosi biliare Ipertensione portale

Colelitiasi in età pediatrica in assenza di malattia emolitica Colangite sclerosante

Insufficienza pancreatica esocrina in età adulta Pancreatite ricorrente

Altro

Ippocratismo digitale Osteopenia/osteoporosi sotto i 40 anni

Diabete atipico. La FC è, come abbiamo visto, una malattia con uno spettro di interessamento d’organo e

sintomi piuttosto ampi, che può andare da forme classiche, ad andamento progressivo e severo, a forme lievi, con presentazione atipica. Questo perché non tutte le variazioni di

sequenza codificante comportano la completa perdita di funzione della proteina e quindi un quadro clinico compatibile con la malattia classica. Al contrario, alcune mutazioni consentono la produzione di proteina almeno parzialmente funzionante, o di proteina funzionante in

maniera adeguata, ma in quantità ridotta. Il progressivo ampliamento del numero di mutazioni note e ricercate, in particolare quelle

associate a funzione proteica parzialmente conservata, ha consentito di identificare un

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numero non trascurabile di forme atipiche, allargando considerevolmente lo spettro clinico della malattia.

Tali forme “atipiche” sono spesso caratterizzate da espressione clinica respiratoria modesta, con sintomi più attenuati, limitate prevalentemente a un organo e con diagnosi basata sulla

genetica, poiché il cloro sudorale era normale (< 30 mEq/l nel primo semestre di vita, < 40 mEq/l nelle età successive) o borderline (da 30-40 a 60 mEq/l). Le diagnosi atipiche sono emerse studiando il gene CFTR in gruppi di pazienti con sintomi

compatibili con la FC: poliposi nasale, bronchiectasie, aspergillosi bronco-polmonare allergica, pancreatite cronica, azoospermia da agenesia bilaterale congenita dei vasi deferenti.

Diagnosi

La diagnosi di FC si basa: 1. sulla presenza di manifestazioni cliniche compatibili e

2. sulla positività di almeno uno dei tre test diagnostici: test del sudore, analisi genetica, e misurazione della differenza di potenziale transepiteliale.

Il test del sudore, validato nel 1959 da Gibson e Cooke, costituisce ancora oggi, il gold standard per la diagnosi di Fibrosi Cistica (FC), in quanto è l’unico test in grado di misurare,

in modo riproducibile, il difetto di funzionamento della proteina di membrana CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator).

Le indicazioni per il test del sudore includono: fenotipo suggestivo di FC storia familiare di FC

screening neonatale per FC positivo sospetto di un fenotipo FC atipico.

Nella maggior parte dei pazienti con caratteristiche tipiche e mutazioni identificate, il test del sudore è diagnostico. Nell’FC atipica, dove le mutazioni del gene CFTR sono state identificate, il test del sudore può

risultare intermedio o negativo, ma è di solito utile per formulare la diagnosi. La diagnosi di FC può rimanere incerta in quei pazienti con caratteristiche cliniche suggestive di FC, test del

sudore intermedio o negativo e mutazioni non identificate. Molto raramente il test del sudore è normale in un paziente con genotipo FC. I dati di letteratura confermano che con il test del sudore è possibile diagnosticare circa il 98% dei pazienti affetti da FC; eppure, l’1-2% dei

pazienti con manifestazioni cliniche suggestive di FC hanno un test del sudore con valori normali o borderline. E’ quindi d’importanza critica che il test del sudore venga eseguito

accuratamente, dosando gli elettroliti rilevanti per consentire l’interpretazione clinica dei risultati. Il test del sudore si basa sulla stimolazione della cute dell’avambraccio con ionoforesi

pilocarpinica, raccolta del sudore su carta da filtro o garza o con capillare, e analisi chimica della concentrazione di cloro.

La superficie flessoria di entrambi gli avambracci è la sede preferita per la raccolta del sudore. Si devono prendere in considerazione altre sedi, nel caso in cui entrambe le braccia siano eczematose, troppo piccole o non idonee per altre ragioni. Altre sedi scelte con successo

includono la parte alta delle braccia, le cosce e la schiena. I valori di riferimento sono:

positivo > 60 mEq/l, negativo < 40 mEq/l, dubbio nella fascia compresa tra i due valori.

Nel lattante la soglia di positività risulta inferiore, ma mancano in generale chiare indicazioni sul variare dei valori di riferimento in rapporto all’età (vedi tabella 13).

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Tabella 13. Intervalli di riferimento analitici suddivisi per fasce d’età. Fonte: Il test del sudore raccomandazioni per una corretta esecuzione ed interpretazione dei risultati. Gruppo di

Lavoro della Società Italiana per lo Studio della Fibrosi Cistica

Il test è molto valido quando usato per la diagnosi di una forma classica di FC, ma la sua sensibilità si riduce moltissimo nella forme non classiche, dove spesso i valori del cloro si

trovano nella fascia dubbia o addirittura negativa. In caso di impossibilità ad eseguire il test del sudore, o quando questo risulti di dubbia interpretazione, o anche negativo ma in presenza di un forte sospetto clinico, è indicato

eseguire un’analisi genetica per fibrosi cistica.

L’analisi genetica presenta, in relazione al grande numero di mutazioni CFTR, una sensibilità parziale, con notevoli variazioni regionali. Se ipotizziamo per l’Italia una detection rate media (tasso di individuazione) del 75% per un kit standard di mutazioni CFTR, entrambe le

mutazioni possono essere identificate, e quindi consentire la diagnosi, solo in poco più della metà degli affetti; nel 37% dei casi verrà individuato un solo allele malato, addirittura

nessuno in 6 affetti su 100. In realtà locali favorite da una distribuzione allelica più omogenea, e dove si possa giungere con un’analisi genetica di I livello a una copertura del 90%, nel 18% dei pazienti verrebbe comunque identificata una sola mutazione, nessuna in un

malato su 100. Queste considerazioni sull’uso dell’analisi genetica per la diagnosi di FC si applicano alle forme classiche di malattia.

Nella forme non classiche le mutazioni sono spesso molto eterogenee, e pertanto le analisi genetiche standard risultano ancora meno sensibili, non potendo identificare mutazioni o varianti polimorfiche spesso poco note o non ancora individuate. In questo contesto può

rivelarsi utile un approfondimento con sistemi di “scanning” del gene. La sensibilità di questi sistemi è migliore rispetto all’analisi standard; tuttavia non di rado il risultato ottenuto può

essere di difficile interpretazione, in quanto si possono individuare non solo mutazioni causanti malattia, ma anche varianti fenotipicamente non patologiche (incapacità di precisare

se si tratti di una mutazione o di una variante normale). Lo studio della differenza di potenziale elettrico transepiteliale a livello delle mucose

respiratorie o intestinali valuta in vivo la funzione della proteina CFTR tramite la misurazione dello scambio ionico di membrana. Si tratta di tecniche poco diffuse, che richiedono lo

specifico addestramento di personale in grado di interpretare la variabilità intrinseca al test. In particolare la misurazione a livello della mucosa nasale richiede un buon livello di collaborazione da parte del paziente, ed è quindi di non semplice esecuzione nei bambini.

Questo tipo di test distingue adeguatamente gli individui con fibrosi cistica classica, e può talvolta consentire di giungere a diagnosi in forme non classiche nelle quali il test del sudore e

l’analisi genetica non siano stati risolutivi. Tuttavia, anche queste misurazioni superspecialistiche possono non essere in grado di risolvere il dubbio diagnostico. Può essere utile come indagine di conferma per la diagnosi in quei casi rigorosamente

selezionati con test del sudore e genetica non conclusivi. Questa indagine deve essere eseguita solo in Centri di riferimento riconosciuti e possibilmente accreditati per eseguire la

misura tale esame.

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Tutti e tre i test diagnostici sono quindi generalmente efficaci nell’attribuire la diagnosi corretta in un bambino con un quadro clinico classico di malattia, ma possono presentare

limiti nelle forme non classiche, e rendere quindi molto difficile il loro inquadramento diagnostico. D’altro canto, anche qualora uno o più strumenti diagnostici supportino la

diagnosi, è lecito chiedersi quanto, in presenza di espressione clinica molto modesta o anche limitata a un solo organo, sia appropriato etichettare un bambino con una diagnosi di FC, una malattia dalle connotazioni prognostiche gravi. Altre definizioni potrebbero essere più

adeguate, e in questo senso i tentativi sono stati numerosi, e molte le proposte per nuove terminologie (fibrosi cistica non classica, fibrosi cistica atipica, patologie correlate ad

alterazioni del gene CFTR, pre-fibrosi cistica, e altre ancora).

Diarrea Infettiva Anche se molte delle cause di diarrea infettiva determinano una presentazione acuta e un

decorso breve, alcuni batteri patogeni e parassiti possono causare una diarrea cronica (vedi tabelle 13 e 14). I virus raramente causano una diarrea che persiste per oltre 14 giorni, e più tipicamente hanno una durata che oscilla tra i 2 e 11 giorni. Il rotavirus può causare diarrea

della durata massima di circa 20 giorni.

Agente

Sorgente

Durata

Aeromonas

acqua non trattata

da 1 settimana a 1 anno

Campylobacter sp

pollame crudo, feci animali, latte non pastorizzato,

uccelli, acqua, furetti

da 5 gg a cronica

Clostridium difficile

uso di antibiotici, contagio

nosocomiale

con ricadute nel 10% dei casi

Plesiomonas shigelloides

acqua non trattata, crostacei

da 2 settimane a mesi

Salmonella sp

pollame, feci, acqua

da 5 gg a mesi nei lattanti

Yersinia enterocolitica

manipolazione di interiora di

maiale

da 3 settimane a 3 mesi

Tabella 13. Cause batteriche di diarrea cronica Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num.1 - Gennaio 2007

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Agente

Sorgente

Durata

Giardia lamblia

feci, acqua

da 2 settimane ad anni

Cryptosporidium parvum

animali domestici, piscine

1-2 settimane

Cyclospora cayetanensis

acqua, sidro non pastorizzato

da 1 settimana a 1 mese

Entamoeba histolytica

feci, acqua

settimane

Isospora belli

acqua

cronica

Strongyloides stercoralis

paesi in via di sviluppo, feci

paesi in via di sviluppo

Blastocystis hominis

incerta la patogenicità

Tabella 14. Cause parassitarie di diarrea cronica Fonte: Marina Aloi, Salvatore Cucchiara. Le diarree croniche, Area Pediatrica, Num.1 - Gennaio 2007

Batteri Aeromonas

L’aeromonas è un microorganismo che può causare una diarrea secretiva che può

raggiungere un massimo di venti emissioni di feci acquose al giorno. I sintomi sono presenti in circa un terzo dei pazienti. Si tratta di batteri Gram-negativi di cui si riportano tre specie:

Aeromonas hydrophila, Aeromonas sobria,

Aeromonas caviae. Poiché molti laboratori clinici non possono fornire una identificazione precisa, la maggior parte delle specie isolate è segnalata come Aeromonas hydrophila.

Il contagio è stato spesso attribuito all’ingestione di acqua o di cibi contaminati da feci di animali. Sebbene sia stata dimostrata la produzione di enterotossine termolabili e termostabili

da parte di alcuni ceppi, il meccanismo patogenetico è ancora in parte oscuro.

Salmonella La Salmonella è una delle cause più comunemente diagnosticate in laboratorio delle malattie

alimentari di origine intestinale segnalate ogni anno. La Salmonella è un batterio Gram-negativo della famiglia degli Enterobacteriaceae.

Comprende 3 specie patogene per l’uomo: Salmonella typhi, Salmonella choleraesuis,

Salmonella enteritidis. Quest’ultima include a sua volta oltre 1.700 sierotipi.

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È possibile distinguere 5 sindromi cliniche dovute alla Salmonella: 1. Gastroenterite acuta (75% dei casi)

2. Batteriemia, con o senza interessamento intestinale (10% dei casi) 3. Febbre tifoidea o enterica legata alla specie Salmonella typhi o, molto raramente, alla

Salmonella enteritidis 4. Infezioni localizzate (circa il 5% dei casi) 5. Stato di portatore

La maggior parte delle epidemie è dovuta al consumo di alimenti contaminati (carne bovina,

pollame, uova e molluschi e prodotti lattiero-caseari), ma è ben documentata anche la trasmissione interumana: l’elevata frequenza di portatori sani e la prolungata escrezione del germe dopo un episodio acuto rendono l’uomo un importante serbatoio di infezione.

I sintomi della gastroenterite da salmonella sono causati dall’invasione della mucosa con

infiammazione, dalla produzione di una enterotossina simile a quella del colera e di una citotossina che inibisce la sintesi proteica. L’infezione è molto comune durante il primo anno di vita, diminuisce nella prima infanzia e

rimane relativamente costante fino all’età adulta. La sintomatologia più comune consiste in diarrea, febbre, dolore addominale. Nella

maggioranza dei casi sono presenti nelle feci muco, sangue occulto e granulociti, una minoranza presenta diarrea acquosa importante o una sindrome dissenterica. La batteriemia

può associarsi all’infezione intestinale e i pazienti immunocompromessi sono ad alto rischio di batteriemia. In genere i microrganismi salmonella sono rilevati nell'esame colturale di routine delle feci per

un massimo di cinque settimane, ma nel 5% dei pazienti questo microrganismo può essere iscritto nelle feci per oltre un anno.

La terapia antibiotica per i casi non complicati non è indicata perché non accorcia la durata della malattia e può invece prolungare la durata della presenza dei batteri nelle feci. Tuttavia

gli antibiotici sono appropriati per il trattamento di bambini di età inferiore ai tre mesi o con malattie immunosoppressive, poiché in queste popolazioni vi è un rischio più elevato di

sviluppare una patologia invasiva (batteriemia, osteomielite, ascesso, meningite). Yersinia enterocolitica

La Yersinia enterocolitica può causare diarrea cronica nei bambini. È responsabile dell’1-2%

delle diarree infantili. L'infezione si verifica in genere attraverso l'esposizione a prodotti alimentari contaminati, in particolare alla carne di maiale e ai prodotti lattiero-caseari, ma può verificarsi anche con

ingestione di altri alimenti contaminati da questi prodotti. Casi sporadici sono la conseguenza di contatti con animali o portatori umani, facilitati dalla prolungata escrezione fecale (15-90

giorni). La feci diarroiche possono contenere sangue, muco e leucociti, riflettendo l'infiammazione

delle mucose. I sintomi possono simulare l’appendicite o il morbo di Crohn ileale perché la Yersinia può colpire l'ileo terminale. La sintomatologia nel bambino piccolo (<2- 3 anni) è

relativamente aspecifica e modesta, ma spesso la durata della diarrea è nettamente superiore (in media 14 giorni) a quella tipica delle gastroenteriti acute indotte da altri patogeni. Particolarmente a rischio di batteriemia sono gli immunodepressi, in particolare i talassemici,

probabilmente per il sovraccarico di ferro che rappresenta un importante fattore di crescita per il microrganismo.

Spesso è necessario che il personale di laboratorio specializzato ricerchi in modo specifico questo microrganismo, perché questo esame potrebbe non essere compreso nelle

coprocolture eseguite di routine in tutti i laboratori.

Escherichia coli

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L’escherichia coli è un bacillo Gram-negativo della famiglia degli Enterobacteriaceae, che vive

come saprofita nell’intestino, ma di cui esistono ceppi in grado di causare diarrea. Sulla base del loro meccanismo patogenetico sono stati definiti diversi gruppi di Escherichia

coli:

Escherichia coli enterotossigenici (ETEC),

Escherichia coli enteroinvasivi (EIEC), Escherichia coli enteropatogeni (EPEC),

Escherichia coli enteroaggregativi (EAggEC), Escherichia coli enteroemorragici (EHEC).

Gli ETEC (Escherichia coli enterotossigenici) rappresentano una delle principali cause di diarrea infantile (talvolta associata a febbre, dolori addominali e vomito) con importante

disidratazione nei paesi in via di sviluppo, e sono frequentemente responsabili della cosiddetta diarrea del viaggiatore. Gli ETEC causano diarrea attraverso la produzione di enterotossine termolabili e termostabili. Il motivo per cui la diarrea dovuta alla tossina

termostabile risulta particolarmente grave nelle prime epoche della vita è da mettere in relazione a un più elevato numero di recettori intestinali nell’età pediatrica rispetto a quelle

successive.

Le infezioni da EIEC (Escherichia coli enteroinvasivi) generalmente si verificano negli adulti. Analogamente alla Shigella, gli EIEC colonizzano la mucosa del colon producendo una diarrea di tipo dissenterico.

Gli EPEC (Escherichia coli enteropatogeni) sono responsabili della diarrea nosocomiale

neonatale. Il contagio in genere avviene tramite le mani del personale medico e paramedico nei paesi industrializzati, mentre nei paesi in via di sviluppo avviene tramite formule o alimenti del divezzamento contaminati.

Gli EPEC si distinguono dagli altri ceppi di Escherichia coli in quanto inducono una caratteristica lesione al livello degli enterociti del duodeno e per la loro incapacità a produrre

tossine. Gli EAggEC (Escherichia coli enteroaggregativi) sono associati a diarree persistenti, in

particolare in paesi sudamericani.

Gli EHEC (Escherichia coli enteroemorragici), infine, sono responsabili di gravi tossinfezioni alimentari che si manifestano con diarrea ematica o colite emorragica.

Sono stati identificati diversi sierotipi, ma il prototipo resta l’Escherichia coli 0157:H7 di cui è ben conosciuta una grave complicanza, la sindrome emolitico-uremica.

Tutti i sierotipi producono una potente citotossina, di cui si conoscono tre varianti antigenicamente correlate, indicate anche come Verotossine per l’effetto patogeno su cellule Vero.

Campylobacter

L'infezione da Campylobacter proviene spesso dal pollame e può provocare diarrea per 4-5 giorni, ma comunemente può recidivare.

È, insieme alla Salmonella, la principale causa di diarrea batterica nei paesi industrializzati. È

un batterio le cui due specie predominanti, patogene per l’uomo, sono: • Campylobacter jejuni • Campylobacter coli.

Il Campylobacter jejuni è un bacillo gram-negativo, sottile, mobile, a forma di virgola, a volte

corto e a volte lungo, di cui si conoscono più di 90 sierotipi.

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Il serbatoio dell’infezione è rappresentato dall’intestino di animali selvatici e domestici. In

particolare, il veicolo dell’infezione è rappresentato dal pollame e dal consumo di latte non pastorizzato e di acqua contaminata. In natura esiste un serbatoio del bacillo, rappresentato

dall'intestino degli uccelli e di alcuni mammiferi domestici e selvatici, che è stato isolato nel 30-100% dalle feci di polli, tacchini e uccelli acquatici. Anche le carcasse dei poli sono contaminate con il Campylobacter jejuni, ma anche altri animali, come cani, gatti e uccelli

possono talvolta albergare il bacillo. La trasmissione all'uomo del Campylobacter jejuni avviene per ingestione di cibi infettati, ma

anche attraverso latte non pastorizzato, acqua non clorata o animali da cortile non sufficientemente cotti o, più di rado, per contatto diretto con le feci di animali o di persone infettate. Si sono verificate epidemie nelle scolaresche in seguito a gite in fattoria, dove i

bambini hanno bevuto latte non pastorizzato. La trasmissione da persona a persona avviene di rado: essa sembra avvenire fra i bambini che non controllano ancora l'emissione delle feci.

Un esempio di trasmissione e dato dai neonati che sono stati infettati dalle loro madri. La durata dell'escrezione del bacillo è breve: da due a tre settimane nella maggioranza dei casi, si riduce a due-tre giorni quando il soggetto viene adeguatamente trattato.

La dose minima infettante è bassa: bastano poche centinaia di agenti per dare infezione o malattia. Altre volte anche grandi inocula non danno malattia.

Non esiste lo stato di portatore asintomatico. Il periodo di incubazione è da uno a sette giorni, ma può essere anche più lungo.

Il quadro clinico dell'infezione da Campylobacter jejuni è molto simile a quello delle enteriti dovute ad altri batteri enteropatogeni, come Shigella, Salmonella, Escherichia coli invasivo e

Amebiasi. I sintomi fondamentali dell'infezione da Campylobacter jejuni sono rappresentati dalla

diarrea, dai dolori addominali (fino a far sospettare un'appendicite acuta), dalla febbre e da un generico stato di malessere. Le feci possono contenere sangue ben visibile o possono mostrare la presenza di sangue solo attraverso le prove specifiche (sangue occulto). Le forme

più lievi assomigliano strettamente alle gastroenteriti da rotavirus: la diarrea cessa in uno-due giorni e tutto passa in meno di una settimana; tuttavia il 20% dei pazienti presenta una

ricaduta o una malattia prolungata o i segni di una grave infezione, tanto da far sospettare talvolta una malattia infiammatoria cronica dell'intestino. Nel neonato è possibile trovare una setticemia. Se l'infezione capita in un soggetto immunocompromesso è più facile che

l'infezione da Campylobacter jejuni si presenti come una forma prolungata o con localizzazione extraintestinale.

Fra le complicazioni vanno ricordate la sindrome di Guillain-Barré, la sindrome di Fisher, l'artrite reattiva, la sindrome di Reiter e l'eritema nodoso. In generale c’è una buona correlazione tra sintomatologia e meccanismo patogenetico: la

diarrea acquosa è legata a ceppi che colonizzano il tenue prossimale e che danno vita a una enterotossina termolabile simile a quella prodotta da Escherichia coli; la diarrea muco-

ematica è dovuta invece a ceppi invasivi, simili a Shigella, che colonizzano il grosso intestino. Si ritrovano leucociti nelle feci nel 75% dei soggetti con infezione. Una diagnosi rapida è

possibile nel laboratorio mediante tecniche di microscopia in campo oscuro e mediante la colorazione di Gram. Il Campylobacter jejuni può essere coltivato dalle feci su terreni

selettivi. Per l'identificazione di specie si ricorre a sonde DNA e alla reazione polimerasica a catena (PCR). La diagnosi sierologica può essere fatta con metodi immuno-enzimatici, per misurare i livelli di anticorpi IgA, IgM e IgG.

Oltre alle normali misure di profilassi, viene consigliata una attenta sorveglianza per i

pannolini e le feci in generale dei bambini affetti da questo tipo di gastroenterite. Fra le regole generali sono da ricordare:

lavaggio attento delle mani dopo aver toccato gli animali che abbiamo visto albergare

di frequente il Campylobacter jejuni; accurata pulizia delle mani e degli utensili da cucina dopo aver tagliato pollame crudo;

cottura corretta dei polli e degli altri animali;

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pastorizzazione del latte e trattamento con cloro delle acque; il personale ospedaliero e gli alimentaristi con infezione asintomatica non costituiscono

un rischio per la trasmissione dell'infezione, per cui non debbono essere allontanati dal lavoro, se sono scrupolosamente seguite le correnti norme igieniche;

i bambini con infezioni sintomatiche vanno esclusi dalla frequenza negli asili nido e nelle scuole materne, oppure vanno mantenuti in aree separate;

non sono raccomandate colture delle feci per bambini asintomatici, in precedenza

positivi o in bambini asintomatici esposti al contagio.

Clostridium difficile È l’agente eziologico della colite pseudomembranosa, in genere secondaria all’assunzione di

antibiotici, soprattutto in pazienti ospedalizzati, ma può essere causa di una diarrea di lieve entità non collegata alla terapia antibiotica.

Si tratta di un batterio anerobio Gram-positivo che forma spore, rendendo così “difficile” la sua eliminazione dall’ambiente ospedaliero. Infatti, spesso viene isolato sulle tende, sulle porte, sui comodini delle stanze dei pazienti infetti, dove può persistere fino a 5 mesi.

La diarrea si verifica per la produzione di 2 tossine (A e B) nel lume intestinale. La tossina A ha effetto citotossico, e facilita l’interazione tra epitelio intestinale e tossina B, che ha un

effetto secretivo. Il danno esteso che si verifica sulla mucosa per azione della tossina A e l’intenso infiltrato infiammatorio probabilmente portano alla disseminazione sia della tossina A

sia B nella circolazione sistemica. Poiché queste tossine causano infiammazione e, talvolta, necrosi della mucosa senza invasione batterica, si può osservare diarrea profusa con o senza enterorragia.

Pleisomonas shigelloides

È un bacillo Gram-negativo responsabile di infezioni intestinali in ospiti immunocompromessi ma anche negli immunocompetenti. È comune ai tropici e nelle aree sub-tropicali, da dove

deriva la maggior parte dei casi segnalati. I microrganismi del ceppo Pleisomonas possono essere trovati nel pesce, nei crostacei, nei gatti e nei cani.

Parassiti I protozoi Giardia intestinalis e Cryptosporidium possono colpire sia bambini immunocompetenti sia bambini e gli adolescenti immunodepressi. Entrambe le infezioni

possono interessare il duodeno e la porzione superiore del piccolo intestino, causando un lieve appiattimento dei villi, deficit di disaccaridasi e conseguente diarrea osmotiche selettiva. Può

verificarsi un malassorbimento di grassi, proteine carboidrati con peggioramento della diarrea. Entrambe le infezioni sono causate dall'ingestione di acqua contaminate possono verificarsi

nei centri di assistenza all'infanzia, dopo esposizione ad animali selvatici, nuotando in piscina o parchi acquatici, dopo recenti viaggi nei paesi in via di sviluppo.

La giardiasi sintomatica dovrebbe essere trattata anche nei bambini immunocompetenti, utilizzando come possibili agenti farmaci antiparassitari. Le infezioni da Cryptosporidium, generalmente, non devono essere trattate, a meno che il paziente non sia immunodepresso.

Cryptosporidium

L’infezione da Cryptosporidium è veicolata tramite l’acqua o con una trasmissione interumana. Il meccanismo con cui provoca diarrea non è noto, ma sono state descritte

numerose anomalie morfologiche, tra cui una distruzione dei microvilli di membrana e una parziale atrofia dei villi.

La criptosporidiosi enterica può presentarsi con un ampio spettro di sintomi che vanno da una escrezione asintomatica fino a una diarrea acquosa grave o cronica. Il Cryptosporidium è responsabile del 10% dei casi di gastroenterite acuta di modesta entità e autolimitata in

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bambini immunocompetenti. Nei bambini con AIDS la criptosporidiosi enterica ha un quadro clinico caratterizzato da una diarrea cronica e grave.

Giardia lamblia

Protozoo flagellato, responsabile di diarrea in popolazioni ad alto rischio e in persone che

viaggiano in aree endemiche. I bambini sembrano più suscettibili

alla Giardia degli adulti. Condizioni predisponenti per la giardiasi, oltre all’età, sono

l’ipogammaglobulinemia, il deficit di IgA secretorie, l’ulcera peptica, le malattie delle vie biliari e la pancreatite. Il parassita può presentarsi come forma cistica e come trofozoita. Dopo

l’ingestione, ogni ciste si divide in due trofozoiti, che in seguito maturano. I trofozoiti sono riscontrati in aspirati duodenali e nelle

feci molli, mentre le cisti possono rimanere vitali e contagiose nell’acqua per più di 5 mesi.

Le manifestazioni cliniche sono:

una forma asintomatica, una malattia acuta con scariche improvvise di feci acquose, maleodoranti, flatulenza,

distensione addominale, nausea. una diarrea cronica con malassorbimento, distensione addominale, flatulenza e dolore.

La Giardia si trova nelle feci di soggetti sani con una prevalenza fino al 10%, pertanto il suo ruolo eziologico nel singolo bambino con diarrea va valutato con cautela.

Enteropatia eosinofila I disordini gastrointestinali primitivi correlati agli eosinofili (EGID) comprendono:

l’esofagite eosinofila, la gastrite e la gastroenterite eosinofila,

la colite eosinofila. I pazienti affetti da EGID presentano un quadro clinico variabile in relazione alla sede, all’estensione, alla profondità dell’infiltrato e al prevalente interessamento della mucosa, della

parete muscolare o della sierosa. L’eziopatogenesi non è nota, tuttavia nel 10% dei soggetti affetti da tali patologie vi è

familiarità a verosimile trasmissione autosomica dominante, mentre un’elevata percentuale di pazienti, compresa fra il 30 e il 70%, presenta una precedente associazione con allergie alimentari o farmacologiche, riniti allergiche, asma bronchiale, dermatiti atopiche ed elevati

livelli di IgE, suggerendo una predisposizione atopica come causa eziologica. La diagnosi ottimale si ottiene mediante biopsie endoscopiche multiple, poiché l’infiltrato

eosinofilo può avere una distribuzione a macchie, tuttavia non sempre è possibile giungere a un riscontro istologico proprio per le caratteristiche intrinseche della malattia. Molti autori, pertanto, ritengono che la presenza di sintomi gastroenterici e di segni radiologico-ecografici

‘‘compatibili’’, unitamente all’esclusione di cause note di eosinofilia rientrino tra i criteri diagnostici fondamentali da utilizzare.

I fondamenti della terapia sono costituiti in prima istanza da una dieta ristretta, atta a identificare potenziali allergeni alimentari, dalla terapia steroidea, dai farmaci stabilizzatori dei mastociti, dagli antagonisti dei recettori dei leucotrieni, dagli antistaminici e più

recentemente da anticorpi monoclonali quali l’anti-IL5.

La gastroenterite eosinofila

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La gastroenterite eosinofila (GE) è una rara patologia infiammatoria appartenente alla famiglia dei disordini gastrointestinali primitivi correlati agli eosinofili (EGID) ed è

caratterizzata dalla presenza di un infiltrato eosinofilo variabile a carico di uno o più segmenti del tratto gastrointestinale, associato frequentemente, ma non necessariamente, a eosinofilia

periferica e sintomatologia gastroenterica in assenza di una causa nota di eosinofilia. La GE appartiene al gruppo dei disordini gastrointestinali associati agli eosinofili, e viene

suddivisa in primitiva (atopica, non atopica e familiare) e secondaria (correlata o non correlata a un disordine degli eosinofili) come mostrato nella tabella 15.

A) Primitiva (forma mucosa, muscolare, sierosa)

Atopica

Non atopica Familiare

B) Secondaria

Non eosinofilo-correlata

Iatrogenica Infezioni

Celiachia Malattia infiammatoria intestinale Connettivopatie (sclerodermia)

Vasculiti (sindrome di Churg-Strauss) Disordini autoimmunitari

Neoplasie Trapianti

Eosinofilo-correlata

Sindrome ipereosinofila Disordini primitivi correlati agli eosinofili

Tabella 15. Classificazione della gastroenterite eosinofila. Fonti: Benatti C, Sacchetti C et al. Eosinophilic gastroenteritis: a case report and a review of eosinophilic

gastrointestinal disorders, Italian Journal of Medicine (2009) 3, 166—171 / Rothenberg ME. J Allergy Clin Immunol 2004;113(1):11—28.

Incidenza ed eziopatogenesi

La reale incidenza di questa entità clinico-patologica è difficilmente valutabile per l’esiguità dei casi diagnosticati e segnalati in letteratura; si stima che il picco di incidenza sia fra il terzo

e il quinto decennio di vita. E’ frequentemente, ma non necessariamente, correlata a una diatesi allergica; infatti, molti pazienti presentano precedenti associazioni con allergie a

farmaci o alimenti, riniti allergiche, asma bronchiale, dermatiti atopiche ed elevati livelli di IgE, suggerendo una predisposizione atopica nella patogenesi di questo disordine. Da non dimenticare, infine, che nel 10% dei casi vi è una familiarità con apparente modalità di

trasmissione autosomica dominante.

Caratteristiche cliniche

Il quadro clinico della GE è estremamente polimorfo e strettamente correlato con la localizzazione, l’estensione e la profondità della lesione. Le sedi più frequentemente interessate dalla patologia sono lo stomaco, in particolare l’antro

gastrico nei bambini, e il piccolo intestino. Tuttavia possono essere coinvolti anche l’esofago, il grosso intestino e il retto.

Solitamente si distinguono tre varianti, a seconda che vi sia un maggiore interessamento della tonaca mucosa, della muscolare o della sierosa:

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1. La tonaca mucosa è lo strato della parete del tubo digerente più spesso coinvolto, con una sintomatologia caratterizzata da diarrea, vomito, dolore addominale

preferenzialmente notturno e/o sanguinamento rettale, anemia sideropenica, malassorbimento, perdita di peso, dispepsia scarsamente responsiva ai

gastroprotettori. 2. L’interessamento della muscolare si caratterizza per la presenza di un infiltrato di

eosinofili a livello di tale tonaca, con sintomatologia per lo più correlata a transitori

episodi di subocclusione o occlusione intestinale. 3. La forma a interessamento della sierosa è la più rara e si associa frequentemente a

versamento essudatizio e dolore addominale, oltre che a una più significativa eosinofilia ematica rispetto agli altri sottotipi.

La patologia ha solitamente un decorso cronico con esacerbazioni sporadiche anche gravi, ma

la prognosi in genere è buona.

Percorso diagnostico I pazienti affetti da EGID e in particolare da GE primitiva presentano caratteristiche cliniche,

laboratoristiche, strumentali comuni a molte altre patologie determinanti eosinofilia gastrointestinale. Pertanto, per porre la diagnosi si devono escludere, mediante indagini

mirate, tutte le altre cause note di eosinofilia ematica e tessutale (vedi tabella 16).

A) Esami di primo livello

Emocromo con formula IgE totali

VES Prick test e IgE RAST Ricerca di parassiti e altri agenti infettivi nelle feci

Esami autoimmunitari Indagini endoscopiche

Diagnostica per immagini

B) In presenza di ipereosinofilia

Biopsia osteomidollare Agoaspirato midollare

Triptasi sierica Dosaggio della vitamina B12

Ecocardiogramma Ricerca FIP1L1-PDGFR e/o del locus CHIC2 Analisi citogenetica su sangue periferico

Tabella 16. Percorso diagnostico per le gastroenteriti eosinofile. Fonti: Benatti C, Sacchetti C et al. Eosinophilic gastroenteritis: a case report and a review of eosinophilic

gastrointestinal disorders, Italian Journal of Medicine (2009) 3, 166—171 / Rothenberg ME. J Allergy Clin Immunol 2004;113(1):11—28 / Khan S, et al. Pediatr Drugs 2002;4(9):563—70.

A livello laboratoristico è necessario accertare o escludere la presenza di eosinofilia periferica, anemia, segni di malassorbimento, aumento degli indici di flogosi e delle IgE. Ogni

sforzo dovrebbe essere compiuto per escludere allergie note, tramite i Prick test cutanei e il dosaggio delle IgE RAST, e patologie autoimmunitarie e infettive.

In presenza di ipereosinofilia non giustificata si devono effettuare indagini di secondo livello comprendenti la biopsia osteomidollare e l’analisi citogenetica/molecolare su sangue

midollare, che permettono di identificare un’eventuale patologia ematologica primitiva sottostante.

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L’ultrasonografia e la tomografia forniscono informazioni utili in particolare nell’individuazione

di ascite, di organomegalie e di lesioni focali. La radiografia con pasto baritato può evidenziare, invece, grossolane alterazioni della mucosa o la presenza di lesioni stenotiche o

substenotiche. La scintigrafia con Tc99 ha un ruolo nel determinare l’estensione delle lesioni e nel follow-up. Nelle forme a interessamento della tonaca sierosa e/o della muscolare, in caso di andamento aggressivo e debilitante della malattia, può rendersi necessaria una

laparoscopia esplorativa. La diagnosi di certezza tuttavia si ottiene mediante biopsie endoscopiche multiple, atte a

dimostrare la presenza di un infiltrato eosinofilo significativo (eosinofili > 20/HPF o > 25% dell’infiltrato infiammatorio), che però, per la natura focale dello stesso e/o per la localizzazione nella sottomucosa o nella sola sierosa, spesso possono risultare non

diagnostiche. Pertanto il sospetto clinico, unitamente ai dati laboratoristico-strumentali sopra riportati divengono criteri fondamentali ai fini diagnostici.

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale include le allergie alimentari e farmacologiche, le infezioni parassitarie, batteriche ed elmintiche, le patologie del tessuto connettivo quali le vasculiti, la

malattia di Menetrier, l’infezione da Helicobacter pylori (in caso di eosinofilia della mucosa antrale), le malattie infiammatorie intestinali quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn,

la celiachia, i disordini mieloproliferativi, la sindrome ipereosinofila idiopatica e le gastroenteriti post trapianto (vedi tabella ).

Sintomi Gastroenterici Sintomi Sistemici

Colite pseudomembranosa

Infezioni parassitarie Adenoma ampolla Addome acuto

Perforazione intestinale Celiachia

Malattia infiammatoria intestinale Appendicite acuta Ematoma intramurale

Linfangectasia

Vasculiti

Mastocitosi Sindrome ipereosinofila idiopatica Linfoma

Neoplasie Tubercolosi

Graft Versus Host Disease (GVHD)

Tabella 17. Diagnosi differenziale delle gastroenteriti eosinofile. Fonti: Benatti C, Sacchetti C et al. Eosinophilic gastroenteritis: a case report and a review of eosinophilic gastrointestinal disorders, Italian Journal of Medicine (2009) 3, 166—171 / Mendez-Sanchez N, et al. Dig Dis Sci 2007;52(11):2904—11.

Terapia Non vi è un consenso univoco sulla terapia da adottare nei pazienti con GE primitiva nè linee

guida specifiche, ma una forte indicazione a effettuare un trattamento personalizzato a seconda della severità di espressione della malattia, dell’età e delle copatologie dei pazienti

affetti. La stretta associazione tra queste patologie e le allergie alimentari impone come primo

provvedimento una dieta ristretta e/o di eliminazione al fine di identificare eventuali allergeni alimentari, con particolare attenzione al latte e ai suoi derivati. Molti studi hanno dimostrato l’importanza del ruolo dei corticosteroidi, per le loro proprietà

antinfiammatorie, nel controllare le manifestazioni sintomatologiche, al dosaggio iniziale di 1-2 mg/kg con successiva graduale riduzione della posologia. Il principale meccanismo d’azione

di tali farmaci è l’inibizione di citochine che contribuiscono alla differenziazione e proliferazione degli eosinofili quali IL3, IL5 e il GM- CSF. Altri farmaci, quali gli stabilizzanti la

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membrana delle mast-cell e gli antistaminici, sono stati utilizzati con successo in casi sporadici, sebbene non via sia una dimostrazione su larga scala della loro efficacia. In alcuni

casi, principalmente pediatrici, sono stati impiegati gli antagonisti del recettore del leucotrieni, il montelukast in particolare, al dosaggio di 10—40 mg/die, con discreta risposta

clinica e riduzione dell’eosinofilia ematica. Una nuova categoria di farmaci è costituita dagli anticorpi monoclonali. In particolare, nei casi più severi e con malattia a decorso aggressivo sono stati utilizzati con discreto beneficio il

mepolizumab, un anticorpo anti-IL5, citochina fondamentale per la maturazione, l’attivazione e la sopravvivenza degli eosinofili, oppure CAT-213, un altro anticorpo monoclonale e alcuni

agenti che favoriscono l’apoptosi degli eosinofili. La terapia chirurgica è riservata ai rari casi di occlusione intestinale o di perforazione.

Errori congeniti Malassorbimento dei carboidrati

I carboidrati sono la fonte principale della nostra energia. Nel neonato il carboidrato presente nella dieta è il lattosio, mentre nelle epoche successive, con lo svezzamento, sono assunti altri carboidrati, quale fruttosio, saccarosio e maltodestrine. L'assunzione di altri carboidrati si

completa con l'introduzione dell'amido, polisaccaride complesso costituito da polimeri di glucosio legati l'uno all'altro, che costituirà, durante la vita adulta, il carboidrato principale

dell'alimentazione. Col passare del tempo altri carboidrati, la cellulosa e i pentosi, faranno parte della dieta normale di un bambino.

Il lattosio è un disaccaride costituito da una molecola di glucosio e da una di galattosio; il saccarosio è un disaccaride costituito da una molecola di glucosio e di fruttosio; l'amido

invece è costituito da polimeri di glucosio di due tipi principali: l’amilosio e l’amilopectina, forme diverse della stessa molecola di glucosio. Ricordiamo che è proprio la differente

concentrazione tra questi due polimeri a differenziare l'amido di riso (15-25% di amilosio) da quello di frumento (60-70% di amilosio). L'amido che in natura si presenta sotto forma di granuli, è poco solubile in acqua, all'opposto

del lattosio e del saccarosio. Da ciò la differente digeribilità: molto più facile per il lattosio, molto più difficile per l'amido. In questo caso la precedente cottura consente una più facile

digestione, che inizia con le amilasi salivari, per poi passare a quelle pancreatiche. Le amilasi salivari e pancreatiche sono attive già nel lume del canale alimentare. Il maltosio viene quindi idrolizzato dalle saccarasi, l’isomaltosio dalle isomaltasi e gli oligomeri dalle alfa glucoamilasi,

tutti enzimi situati sull'orletto a spazzola della mucosa intestinale. Per quanto riguarda le disaccaridasi bisogna ricordare che esse sono situate all'interno

dell’enterocita e solo successivamente guadagnano la membrana cellulare dove esplicano la loro azione. Questo processo va di pari passo con la maturazione dell’enterocita, che migra dal fondo della cripta verso l'apice del villo, aumentando così l'attività delle disaccaridasi. Ciò

vale soprattutto per la lattasi. Alla fine zuccheri più o meno complessi vengono scissi in glucosio, galattosio e fruttosio. Di

questi tre zuccheri, il glucosio e il lattosio vengono assorbiti con meccanismo di trasporto attivo, mentre il fruttosio viene assorbito con un meccanismo di diffusione.

Sono poche le diarree croniche legate al malassorbimento congenito dei carboidrati, essendo la maggior parte secondarie a una lesione, il più delle volte di tipo infettivo della mucosa

intestinale, con conseguente riduzione del numero degli enterociti maturi e della capacità di digerire alcuni zuccheri presenti nella dieta. Questo è vero soprattutto per il deficit di lattasi, mentre le saccarasi-isomaltasi e il trasporto attivo di glucosio/galattosio sono in genere meno

compromessi. Non va dimenticato che l'epitelio intestinale è un tessuto a rapidissimo turn-over, con una vita media dell’enterocita di circa 3 giorni, per cui la tolleranza ai carboidrati è

di solito recuperata entro pochi giorni. I principali deficit congeniti in ordine di frequenza decrescente sono:

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deficit di saccarasi-isomaltasi; deficit del trasporto di glucosio-galattosio;

deficit di lattasi. I deficit congeniti sono geneticamente trasmessi, presenti fin dalla nascita e persistenti.

Per effetto del malassorbimento dei carboidrati, avvengono due azioni: 1. un'azione diretta sul richiamo d'acqua per effetto osmotico e che si svolge

prevalentemente nel tenue;

2. un'altra azione è mediata dalla flora del colon, che porta alla fermentazione del carboidrati presenti con produzione di gas, radicali acidi e acidi organici a catena corta;

quest'ultimi stimolano il colon a secernere acqua ed elettroliti. L'effetto osmotico non è proporzionale alla quantità di carboidrati presenti, bensì al numero di molecole, pertanto una soluzione con disaccaridi e/o polimeri di glucosio risulta meno

osmolare rispetto a una soluzione analoga costituita da glucosio. La diarrea è di tipo osmotico, con aumento dell’osmolalità delle feci, abnorme secrezione di

elettroliti e conseguente gap anionico elevato. Il pH nelle feci è acido, con presenza di notevole quantità di sostanze riducenti, legate in particolare al carboidrato non assorbito e in particolare alla fermentazione batterica.

Il dosaggio delle attività enzimatiche è necessario per la diagnosi, ma è estremamente

difficile trovare un laboratorio che lo faccia in modo routinario.

La terapia è evidentemente legata al tipo di deficit congenito e quindi si gioverà della rimozione dalla dieta dello zucchero incriminato.

Malassorbimento delle proteine

La digestione delle proteine comincia nello stomaco, dove i succhi acidi provvedono alla loro denaturazione e attivano i pepsinogeni I e II nelle corrispettive pepsine. Queste tripsine

hanno la capacità di scindere i legami peptidici, soprattutto quelle tra la fenilalanina, la tirosina e la leucina, ma è improbabile che la secrezione gastrica giochi un ruolo

particolarmente importante nella digestione proteica. L'efficacia della proteolisi pancreatica è dimostrata dal fatto che appena quindici minuti dopo un pasto, circa metà degli aminoacidi è libera nel lume intestinale o in forma di piccoli peptidi.

A differenza dei carboidrati, i peptidi entrano negli enterociti sia dopo una parziale digestione da parte delle peptidasi dell’orletto a spazzola in aminoacidi, sia come tali nel caso di di- o

tripeptidi che vengono poi scissi all'interno delle cellule dalle più dalle peptidasi citoplasmatiche. Gli aminoacidi liberati sono assorbiti mediante almeno quattro sistemi di trasporto. Comunque anche se un di- o tripeptide sarà facilmente idrolizzato dalle peptidasi

dell'orletto a spazzola, un'importante quota di tali peptidi è direttamente assorbita come tale. In questo modo i peptidi rappresentano la principale e fisiologica via d'ingresso degli

aminoacidi negli enterociti. Negli adulti gastrectomizzati si è visto come non ci sia un importante malassorbimento di

proteine, il che dimostra il ruolo marginale degli acidi gastrici e delle pepsine in questo processo. Per contro, estremamente grave è un deficit delle attività proteasiche pancreatiche,

come nella deficit congenito di enterokinasi. Questo quadro clinico si presenta con emissione di feci abbondanti, molto maleodoranti, deficit della crescita, tanto più severo a seconda dell’intake proteico. Nel lattante alimentato al seno si verifica la condizione peggiore in quanto

il latte materno è a basso contenuto proteico; ne conseguono ipoproteinemia ed edema. Una alimentazione con latte formulato ad alto contenuto proteico è in genere sufficiente a

normalizzare le feci, a far diminuire la perdita di azoto con la diarrea e a far ripartire la curva ci crescita. Non si conoscono difetti congeniti della digestione dei peptidi o del loro assorbimento da parte

della mucosa. Ciò è dovuto al fatto che i peptidi possono entrare negli enterociti tramite due vie, d’importanza quasi uguale. Quando un meccanismo è bloccato può essere usato l'altro

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abbastanza indifferentemente; questa è la ragione per cui, pur esistendo questi difetti, vengono raramente diagnosticati.

I difetti dell'assorbimento che coinvolgono aminoacidi neutri (malattia di Hartnup) e basici (cistinura), sono ben conosciuti ma non sono stati individuati per i sintomi maldigestivi, bensì

a causa di una associata specifica aminoaciduria, che riflette il deficit di riassorbimento tubulare degli omologhi aminoacidi da parte del rene. L'unica condizione conosciuta in cui si istaura una notevole e cronica diarrea, associata a sua

volta a malnutrizione, è l'intolleranza proteica con lisinuria. In questa condizione non viene impedito l'assorbimento degli aminoacidi arginina, lisina e ornitina, bensì ne viene ostacolata

l'uscita dalla cellula, tramite la membrana basolaterale. In questo caso la diarrea sarà liquida, essendo il meccanismo patogenetico di tipo osmotico.

Malassorbimento dei lipidi

A differenza dei carboidrati e delle proteine, i grassi sono insolubili in acqua. Mentre attraversano bene la membrana lipoproteica e la membrana basolaterale degli enterociti

dell'orletto a spazzola, per raggiungere la sede della loro utilizzazione metabolica devono essere ingabbiati in particelle idrofile esternamente e lipofile internamente, in micelle di sali

biliari nel lume intestinale e chilomicroni nella circolazione. La digestione dei grassi inizio nello stomaco per opera di una lipasi. Questa lipasi idrolizza i

trigliceridi a media catena cinque-otto volte più rapidamente di quanto succede per i trigliceridi a lunga catena ed è poco dipendente dai sali biliari. Essa funziona come starter della lipolisi pancreatica, favorendo l'emulsione di gocce lipidiche dagli acidi grassi rilasciati, e

gioca un ruolo particolare nei neonati, ove l'attività della lipasi pancreatica è bassa. La lipasi pancreatica agisce nel duodeno favorita dai sali biliari, che aumentano l'interfaccia

d'azione e emulsionando le gocce lipidiche ingerite. A causa della loro idrofobia, la digestione e l'assorbimento di grassi dipendono da tante

molecole ausiliarie, enzimi e carrier: sali biliari, colipasi, apolipoproteine. In condizioni normali si assorbe il 95% dei grassi ingeriti. Un'alterazione di questi meccanismi può essere

responsabile di malassorbimento e steatorrea, che si presentano più spesso di quelli imputabili a maldigestione del carboidrati o delle proteine. Sono molte e variegate le condizioni che conducono a un malassorbimento dei lipidi. Si va dai

deficit di lipasi e colipasi, alle anormalità della sintesi di sali biliari, così come della loro escrezione piuttosto che del loro riassorbimento; ci si può imbattere in una ostacolata

resintesi dei trigliceridi, formazione dei chilomicroni e della loro escrezione e non ultimo un'ostruzione dei vasi linfatici. Un malassorbimento isolato dei grassi è raro. Nella maggior parte dei casi il malassorbimento

dei lipidi è parte di una condizione patologica più generale. Essa può essere la conseguenza di un'insufficienza della funzione esocrina pancreatica, che porta a ridotta secrezione di lipasi e

colipasi. Le conseguenze sono una severa steatorrea, con grande riduzione della quota dei lipidi assorbiti e feci soffice o pastose, poco liquide, come mastice, a causa del fatto che gli amidi non assorbiti non sono particolarmente attivi dal punto di vista osmotico.

Deficit immunitari Immunodeficienze combinate gravi (SCID) Le immunodeficienze combinate gravi (SCID = severe combined immunodeficiency disease)

raggruppano un insieme eterogeneo di immunodeficienze combinate, di solito ereditarie, caratterizzata da un difetto numerico o funzionale grave dei T e di B linfociti.

Il difetto si manifesta clinicamente con una deficit severo dei meccanismi effettori anticorpo-dipendenti e di quelli cellulo-mediati, vale a dire con abnorme suscettibilità alle infezioni sia da germi a invasività extracellulare sia da microrganismi intracellulari.

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Ciò che contraddistingue clinicamente le immunodeficienze combinate gravi è la precocità di

esordio e la gravità delle infezioni che conducono invariabilmente all'exitus nelle prime età della vita se non si interviene con il trattamento. Nei deficit immunitari di questo tipo, la

diarrea è spesso un iniziale sintomo di allarme. L'esordio avviene di regola nei primi sei mesi di vita con diarrea persistente e refrattaria al trattamento, malassorbimento grave, distrofia, candidiasi orale cronica e infezioni ricorrenti dell'apparato respiratorio.

Agammaglobulinemia congenita X-recessiva

L'Agammaglobulinemia congenita X-recessiva fu descritta per la prima volta dal colonello Ogden Bruton, pediatra dell’esercito statunitense. Nel 1952 descrisse il primo caso di

agammaglobulinemia (assenza del picco gamma all’elettroforesi delle sieroproteine) in un bambino di otto anni che da lungo tempo soffriva di

ripetuti e gravi episodi di infezioni da piogeni. Il trattamento con gammaglobuline migliorò la sintomatologia.

L'Agammaglobulinemia congenita X-recessiva è caratterizzata dalla mancanza di B linfociti circolanti e dall'assenza di plasmacellule e centri germinali nei

tessuti linfoidi, mentre numero e funzione dei T linfociti sono normali.

I bambini vengono quasi sempre all'attenzione del medico per infezioni respiratorie ricorrenti come broncopolmoniti, otiti medie purulente, sepsi, meningiti, osteomieliti, artriti. Può essere presente anche una diarrea secondaria a infezioni croniche da rotavirus o a giardiasi

ricorrente.

Deficit d IgA (DIgA) Il deficit d IgA (DIgA) è la più frequente immunodeficienza primitiva, pur variando la sua

frequenza a seconda delle popolazioni considerate. Esiste una marcata variabilità di prevalenza tra i differenti gruppi etnici, più elevata in Europa e in America del Nord (1:600

individui) e più bassa in Cina (1/4.000) e in Giappone (1/18.000), suggerendo la possibile presenza di una predisposizione genetica alla base del disordine.

Ancora non esiste una definizione univoca di DIgA. La maggior parte degli autori definisce DIgA la presenza di livelli di IgA sieriche inferiori a 5 o 7 mg/dl, in un soggetto di sesso

femminile o maschile, quando altre cause di ipogammaglobulinemia siano state escluse e in presenza di normali livelli sierici per l’età di IgM e IgG. Esiste invece una maggior variabilità nel definire l’età minima alla diagnosi, che viene posta, a seconda degli autori a 12, 24 o 48

mesi di vita. I criteri della European Society for Immunodeficiencies (ESID) per la definizione di DIgA

prevedono livelli sierici di IgA inferiori a 7 mg/dl con normali livelli di IgG totali e di IgM, in pazienti di sesso femminile o maschile di età superiore ai 4 anni (per i valori normali delle Ig vedi tabella 18). Solitamente la risposta anticorpale ai vaccini è normale.

Si parla di difetto parziale di IgA nel caso in cui i livelli di IgA sieriche siano inferiori a 2 deviazioni standard rispetto ai valori normali per età e maggiori di 7 mg/dl, in soggetti di

almeno 2 anni di età.

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Tabella 18. Livelli sierici di Ig (mg/dl) normali per età. Viene riportato il valore medio ± 2 DS Fonte: Il bambino immunodepresso: perché lo è e come va difeso”. Ugazio AG e coll., CEA, 1995

Il DIgA è generalmente considerata una condizione non-grave: una parte di soggetti con DIgA è clinicamente asintomatica, giungendo all’osservazione clinica in seguito a controlli routinari.

A seconda delle casistiche questa frequenza varia, arrivando a superare anche il 50%. Al contrario, la restante parte dei pazienti è sintomatica. Poiché questa classe di immunoglobuline possiede specifiche funzioni di protezione delle barriere mucose dalle

infezioni, la carenza o l’assenza di IgA può portare il soggetto ad essere maggiormente predisposto a infezioni ricorrenti, soprattutto respiratorie, a malattie allergiche e autoimmuni.

Le infezioni ricorrenti sono causa di morbilità e rappresentano frequentemente la ragione per cui si richiede un dosaggio immunologico. Le infezioni ricorrenti colpiscono soprattutto le vie respiratorie superiori ed inferiori con sinusiti, faringotonsilliti, bronchiti e meno

frequentemente broncopolmoniti. I patogeni più frequentemente coinvolti sono i batteri capsulati come lo Streptococco pneumoniae e l’Haemophilus influenzae.

Tra le infezioni enteriche prevalgono le enteropatie da Giardia lamblia, le Salmonellosi e le infezioni da Helicobacter pylori. Il DIgA si associa con malattie allergiche fino al 30% dei casi, spesso con presenza di iper-

reattività bronchiale. La simultanea presenza tuttavia di difetto di IgA e allergie può riflettere soltanto l’elevata prevalenza di DIgA nella popolazione caucasica. I pazienti con DIgA hanno

un decorso del tutto identico a quello che si riscontra nei bambini senza difetti immunologici; l’asma bronchiale tende però più facilmente a cronicizzare ed è spesso assai più resistente al trattamento, forse a causa della facilità con cui si possono sovrapporre infezioni respiratorie.

Anche le malattie autoimmuni sono descritte come patologie associate, fino a raggiungere il 28% dei soggetti affetti da DIgA (celiachia, artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico,

endocrinopatie autoimmuni, epatite cronica autoimmune, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn e disordini ematologici autoimmuni).

La celiachia, patologia che si associa frequentemente al DIgA, è circa 20 volte più frequente rispetto alla popolazione generale ma la prognosi dopo adeguata dieta priva di glutine è la stessa per i pazienti sia con che senza DIgA. Questo dato suggerisce l’importanza dello

screening per malattia celiaca, ricordando che nei soggetti con DIgA per definizione gli anticorpi IgA anti-transglutaminasi e anti-endomisio sono negativi e non hanno quindi valore

diagnostico. La simultanea presenza del DIgA e tumori maligni può riflettere soltanto l’elevata prevalenza di DIgA nella popolazione caucasica. Tuttavia il DIgA è associato ad un aumentato rischio di

alcuni tumori come l’adenocarcinoma gastrico e del colon e le malattie linfoproliferative in particolare nell’età adulta.

La prognosi è generalmente buona e dipende dalla gravità di un’eventuale patologia associata. Mentre il difetto assoluto di IgA rimane tale per tutta la vita, il difetto parziale si

associa frequentemente ad una normalizzazione dei livelli sierici di IgA entro i 15 anni di età.

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Non esiste una terapia specifica per i pazienti sintomatici con DIgA. La terapia si identifica con quella della patologia associata, la cui gravità condiziona anche la prognosi.

L’aspettativa di vita è eccellente anche per i soggetti con difetto totale di IgA, ma in ogni caso la scoperta casuale di DIgA in un bambino apparentemente sano è opportuno sia controllata

nel tempo. In tali casi bisogna innanzitutto valutare se coesiste un difetto di sottoclassi IgG, predisposizione atopica, malattie gastrointestinali o patologia autoimmune. Per quanto riguarda la somministrazione dei vaccini raccomandati nell’età evolutiva non esiste

alcuna controindicazione, anzi se ne potrà trarre beneficio. Nel DIgA non è indicata la terapia sostitutiva con Immunoglobuline (IVIG). In letteratura è suggerito l’utilizzo di IVIG per i rari

casi di soggetti con DIgA associato a deficit di IgG2 che presentano infezioni gravi e ricorrenti.

Immunodeficienza comune variabile

L'immunodeficienza comune variabile comprende un gruppo eterogeneo di pazienti affetti da infezioni batteriche ricorrenti, deficit di IgA e IgG di solito associato a deficit di IgM, grave difetto dell'anticorpopoiesi e presenza di B e di T linfociti, di solito in numero normale.

L'esordio tardivo, avviene soprattutto in età scolare oppure tra il secondo e il quarto decennio di vita.

L'esordio è quasi sempre caratterizzato da infezioni ricorrenti dell'apparato respiratorio (otiti,

sinusite, broncopolmoniti recidivanti, bronchiectasie, insufficienza respiratoria cronica). Il malassorbimento con diarrea ed enteropatia proteino-disperdente è un'altra manifestazione comune e si associa frequentemente a reperti istologici della mucosa intestinale compatibile

con la diagnosi di celiachia.

Acrodermatite enteropatica E’ una condizione rara che riconosce cause genetiche (primitivo) o nutrizionali (secondario). Il deficit primitivo è dovuto ad una rara malattia autosomica recessiva che compromette l’assorbimento intestinale dello zinco, mentre il deficit nutrizionale rappresenta una

condizione sporadica nei paesi industrializzati, dove può essere secondaria anche alla nutrizione parenterale totale, ed endemica solo in alcuni paesi del Medio Oriente.

Dal punto di vista clinico l’acrodermatite enteropatica da carenza di zinco è caratterizzata dalla triade:

1. eruzione cutanea a livello acrale e periorifiziale, 2. alopecia e

3. diarrea. Si associa frequentemente a ritardo di crescita ed infezioni.

La diagnosi differenziale, oltre a altre malattie bollose (come le epidermolisi bollose ereditarie e altre patologie bollose dell’infanzia come la dermatite erpetiforme di Duhring), comprende

l’impetigine, la dermatite seborroica e atopica, la psoriasi, la candidiasi e la fibrosi cistica, dove è descritta un’eruzione simile. L’impetigine si differenzia per la rapidità della diffusione delle bolle, per l’aspetto a stampo e

per la rapida diffusione delle lesioni. La dermatite seborroica nei primi mesi di vita può essere frequentemente sovrapposta alla

dermatite atopica; in questo caso gli elementi distintivi rispetto all’acrodermatite sono il tipo di lesioni elementari (eritema e squame e non eritema, bolle-croste) e la presenza di criteri diagnostici per la dermatite atopica.

La mancata risposta alla terapia per una sospetta dermatite atopica dovrebbe sempre suggerire la riconsiderazione della diagnosi e la discussione di possibili diagnosi alternative.

Per perseguire questo obiettivo è importante l’esame degli annessi cutanei (diradamento sopracciglia e capelli) e risalire alla lesione dermatologica primitiva che rimane l’elemento

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fondamentale per orientare la diagnosi. Un ulteriore suggerimento utile per la diagnosi è l’osservazione della distribuzione delle lesioni.

La candidiasi può frequentemente complicare le lesioni dell’acrodermatite e fuorviare nella diagnosi della patologia primitiva.

Nella fibrosi cistica soprattutto l’anamnesi accurata è fondamentale nell’inquadramento della patologia.

L’acrodermatite enteropatica, come abbiamo visto, è caratterizzata quindi da diarrea cronica e malnutrizione, da un rash cutaneo che coinvolge primariamente le aree periorali, perianali e

perineali, da bassi livelli sierici di zinco e di fosfatasi alcalina. La conoscenza di tale quadro clinico è importante perché tutti i sintomi si risolvono dopo somministrazione di zinco (ev o per os).

Diarrea fittizia La diarrea fittizia è dovuta ad avvelenamento intenzionale del lattante o del bambino con

agenti osmotici (magnesio citrato, glicole propilenico) e irritanti (ipecacuana). Classicamente, la diarrea, che è sanguinolenta o acquosa, si risolve quando il bambino è ricoverato e vengono controllate le assunzioni alimentari.

Quando vi è una discordanza tra l’anamnesi di un paziente, i segni fisici e i risultati del

laboratorio, il medico dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di trovarsi di fronte a un disturbo fittizio. In letteratura sono stati riportati molti casi di diarrea fittizia indotta dal paziente o dai genitori

del paziente. Anche se la causa più comune di diarrea fittizia è rappresentata dall'ingestione di lassativi, la diarrea può essere indotta anche dall'ingestione di agenti osmotici o addirittura

di feci. La sindrome di Munchausen per procura, include spesso una diarrea fittizia indotta con

lassativi stimolanti o anche dall’avvelenamento con sciroppo di ipecacuana. Questi casi di solito richiedono il ricovero in ospedale sotto stretta osservazione, dopo aver ultimato una valutazione completa delle possibili cause organiche di diarrea cronica.

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Trattamento

La diarrea cronica associata a uno stato di malnutrizione deve essere sempre considerata come una patologia seria e deve imporre l’avvio tempestivo di una terapia. Il trattamento

consiste schematicamente in misure di supporto generale e riabilitazione nutrizionale, nonché nella terapia medica o chirurgica a seconda delle diverse eziologie e dei diversi quadri patologici.

Per quanto riguarda il supporto generale del paziente, poiché le conseguenze cliniche più

gravi possono essere effetto della disidratazione, è importante instaurare prontamente un’adeguata reidratazione per via orale (ORT = oral rehydration therapy) attraverso

l’assunzione di soluzioni reidratanti orali (ORS = oral rehydration solution), contenenti acqua, elettroliti (Na, K, Cl) e glucosio e che stimolano il riassorbimento di Na+ e ripristinano il normale equilibrio elettrolitico intestinale.

Negli anni la composizione della soluzione reidratante è stata infatti più volte rimaneggiata (vedi Tabella 19). Nel 1975 venne promossa da parte della WHO una composizione

reidratante ad alto contenuto di glucosio e sodio, ritenuta particolarmente adatta alla diarrea causata da agenti infettivi particolarmente aggressivi ed utile pertanto per la correzione di importanti perdite elettrolitiche. Successivamente divenne subito chiaro che tale

composizione si adattava poco alla reidratazione delle gastroenteriti acute dei Paesi più sviluppati, a causa del grande carico di sodio, potenzialmente in grado di indurre

ipernatriemia. Venne pertanto promossa dall’ESPGHAN nel 1992 una composizione contenente una minore quota di glucosio e sodio e pertanto ridotta osmolarità. La formula standard raccomandata inizialmente dalla WHO era costituita da 90 mmol/l di Na,

111 mmol/l di glucosio per una osmolarità totale pari a 311 mmol/l. Negli ultimi anni l’utilizzo di ORS a ridotta osmolarità (225-250 mmol/l) con più basse

concentrazioni di Glu e di Na è stato raccomandato da ESPGHAN, WHO e UNICEF per la sua maggiore capacità di assorbimento dei soluti. La composizione ideale è risultata pertanto:

Glu: 70-110 mmol/l,

Na+: 60 mEq/l, K: 20 mEq/l, Cl: 25-60 mEq/l,

Osmolarità: 200-250 mOsm.

Tabella 19. Composizione delle soluzioni reidratanti orali (ORS)

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In bambini malnutriti, la riabilitazione nutrizionale è essenziale, anche in presenza di

un’infezione enterica. Diete di esclusione vengono proposte con il proposito di trattare eventuali intolleranze alimentari, che possono essere una causa primaria di diarrea cronica o

delle sue complicazioni. La sequenza di eliminazione dovrebbe essere effettuata partendo da pochi alimenti, restringendo eventualmente la dieta ad altri alimenti, utilizzando quindi un idrolisato proteico o una formula basata su aminoacidi liberi, a seconda della gravità del

quadro clinico. Se le condizioni cliniche sono molto compromesse, può essere utile partire direttamente con

una formula a base di aminoacidi liberi. Anche se un deficit di disaccaridasi non è una causa comune di diarrea persistente, è frequente un deficit transitorio di lattasi secondario al danno della mucosa intestinale e alla malnutrizione.

Dovrebbe essere sempre fornito un adeguato apporto calorico. L’intake calorico dovrebbe

essere progressivamente aumentato al 50% o al di sopra delle raccomandazioni dietetiche per sesso ed età. In bambini che non tollerano grandi volumi di cibo, la densità calorica può essere aumentata aggiungendo grassi o carboidrati.

In bambini con steatorrea, la fonte principale di lipidi può essere costituita da trigliceridi a media catena, poiché questi vengono facilmente assorbiti. In diversi casi è necessario nutrire

il bambino per via enterale, con sondino nasogastrico o gastrostomia, o per via parenterale.

La nutrizione enterale deve essere considerata in bambini nei quali sia difficile l’alimentazione orale, sia per malattie intestinali primitive sia per debolezza estrema. Nei casi di ridotto assorbimento intestinale, la nutrizione enterale continua può essere utile perché, aumentando

il tempo di contatto con la mucosa, si ottiene un migliore assorbimento. Nei casi di eccessiva perdita, si dovrà procedere a un’alimentazione per via parenterale, che va comunque presa in

considerazione precocemente nei casi in cui le condizioni generali siano molto compromesse. La terapia antibiotica deve essere sempre decisa sulla base della valutazione:

dell’agente eziologico responsabile; della gravità della sintomatologia;

delle condizioni legate all’ospite. La gravità della sintomatologia è un elemento di valutazione fondamentale per stabilire l’opportunità di un trattamento antimicrobico.

Per quanto riguarda le condizioni legate all’ospite, l’età neonatale è un’indicazione al trattamento. Nelle diarree gravi del neonato il trattamento deve essere iniziato con una

terapia ad ampio spettro per via generale, come per le sepsi. Appena disponibile una diagnosi eziologica è indicato un antibiotico specifico. Tra le condizioni legate all’ospite che costituiscono indicazione al trattamento antimicrobico vi sono anche le immunodeficienze e lo

stato di malnutrizione.

La terapia a lungo termine dell’intolleranza al lattosio deve includere la reintroduzione dei cibi contenenti lattosio, ma alcuni di questi sono meglio tollerati di altri. Lo yogurt non pastorizzato, che contiene una quantità pari o superiore di lattosio rispetto al latte intero,

contiene anche una beta-galattosidasi microbica che aiuta la digestione intraluminale dello zucchero. I formaggi più stagionati sono meglio tollerati rispetto a quelli elaborati. Cibi ad alto

contenuto di grassi, che rallentano lo svuotamento gastrico e quindi il trasporto del lattosio all’intestino tenue, possono essere adatti per alcuni pazienti intolleranti al lattosio: il gelato e il latte intero, per esempio, sono meglio tollerati rispetto al latte scremato. Le alternative per i

pazienti che non tollerano il latte sono rappresentate dal latte preidrolisato trattato con enzimi, quali la lattasi di derivazione microbica, oppure l’assunzione di tali enzimi in

compresse insieme con i prodotti del latte durante i pasti. Alcuni farmaci vengono utilizzati in quanto agiscono sui meccanismi fisiopatologici che sono

alla base della diarrea - l’alterazione della secrezione ionica e del transito intestinale - riducendo in tal modo la frequenza delle evacuazioni.

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I farmaci che presentano un’azione sulla motilità intestinale comprendono gli oppiacei e gli anticolinergici. L’unico farmaco di questa categoria che potrebbe essere teoricamente usato è

la loperamide, un agonista periferico dei recettori degli oppiacei, che presenta una buona specificità antidiarroica, avendo attività antisecretoria e inibente la motilità. Tuttavia, la

segnalazione di gravi effetti collaterali (letargia, ileo paralitico, depressione respiratoria, coma sino al decesso) ne sconsigliano fortemente l’uso in età pediatrica e, di fatto, attualmente l’utilizzo della loperamide (al pari di altre sostanze a effetto antiperistaltico) è controindicato

nei pazienti di età inferiore ai 16 anni.

Il racecadotril è un potente e selettivo inibitore delle encefalinasi intestinali, enzima chiave nel catabolismo delle encefaline (oppioidi endogeni), importanti neurotrasmettitori con un’attività antisecretiva nel tratto gastrointestinale. L’inibizione enzimatica, che il racecadotril determina,

comporta un potenziamento dell’azione delle encefaline sul recettore intestinale per gli oppioidi. Il blocco dell’encefalinasi determina un’attività antidiarroica dovuta a un aumento

dell’attività anti-secretoria pura propria delle encefaline, senza alterare il normale tono e la motilità intestinale. L’effetto antidiarroico si espleta per una diminuzione della secrezione di acqua e degli elettroliti intestinali, che generalmente aumenta in risposta all’infezione locale.

Il dosaggio pediatrico consigliato è di 1-1.5 mg/kg ogni 8 ore.

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