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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 GENNAIO 2012 NUMERO 360 CULT La copertina ALBERTO MANGUEL Le nuove regole per i libri, così il lettore fa zapping La lettura EMERSON E THOREAU Emerson-Thoreau dialogo sull’amore, sulla natura e su altre meraviglie All’interno La scomparsa PAOLO MAURI Addio a Consolo lo scrittore siciliano dalla lingua colta e sensuale Teatro RODOLFO DI GIAMMARCO Gabriele Lavia a sorpresa per un gelido Pirandello Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: fatevi curare dai frères Goncourt Ai Weiwei, non ho paura del potere Il diario GIAMPAOLO VISETTI E AI WEIWEI Una tazza di tè con i sopravvissuti della Shoah Il reportage ENRICO FRANCESCHINI ALBARO 7 AGOSTO 1844 L’ Italia, che tristezza! Un paese addormentato e senza speranza di svegliarsi più! Non dimenti- cherò mai, finché sarò vivo, le mie prime impres- sioni mentre percorrevo le strade di Genova, do- po aver contemplato lo splendido panorama della città per un’ora intera attraverso un telescopio dal ponte di una nave a vapore. Pen- savo che di tutte le città — ammuffite, cupe, assonnate, sporche, ar- retrate, ferme, abbandonate da Dio nel mondo intero — doveva es- sere sicuramente questa la regina. Sembrava di essere arrivati alla fi- ne di tutte le cose — come se non ci fosse più progresso, movimen- to, avanzamento, o miglioramento di nessun genere; come se tutto si fosse fermato a secoli fa rimanendo a crogiolarsi al sole fino al Gior- no del giudizio. [...] Cammino o giro in carrozza, trasognato, il che è molto confortevole. Mi sembra di essere sopra pensiero, ma non so di che cosa, non ho la minima idea. CHARLES DICKENS DISEGNO DI TULLIO PERICOLI Potrei sedermi in una chiesa, o soffermarmi alla fine di un vicolo, zigzagando su una collina come un serpente infangato e non senti- re il minimo desiderio di ulteriore divertimento. Allo stesso modo mi sdraio la sera sugli scogli fissando l’acqua azzurra finché svanisce o vado a spasso osservando le lucertole che corrono su e giù per le pa- reti (così piccole e veloci che sembrano sempre le ombre di qualco- s’altro quando passano sopra le rocce) e si tuffano nelle loro buche così all’improvviso che lasciano fuori le punte delle loro code senza nemmeno accorgersene. Non sapevo cosa significasse essere pigro, prima. Penso che un ghiro sia nelle stesse condizioni prima di infi- larsi sotto la lana nella sua gabbia, o una tartaruga prima di seppel- lirsi. Sento che mi sto arrugginendo. Avrei dovuto sentire un cigolio quando provavo a pensare se non fosse per alcuni tenui sforzi che sto facendo per imparare la lingua: ogni sforzo è una piccola goccia d’olio per le mie cerniere, l’unico olio che ricevono. (segue nelle pagine successive) con gli articoli di LEONETTA BENTIVOGLIO e GABRIELE PANTUCCI Nel bicentenario della nascita il racconto dell’anno “pigro e felice” trascorso nel Belpaese Dickens Lettere italiane Repubblica Nazionale

LA DOMENICA - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2012/22012012.pdf · al Museum of London una raccolta di disegni, oggetti, manoscritti e foto, ... dra vittoriana

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 22GENNAIO 2012

NUMERO 360

CULT

La copertina

ALBERTO MANGUEL

Le nuove regoleper i libri,così il lettore fa zapping

La lettura

EMERSON E THOREAU

Emerson-Thoreaudialogo sull’amore,sulla natura e su altre meraviglie

All’interno

La scomparsa

PAOLO MAURI

Addio a Consololo scrittore sicilianodalla lingua coltae sensuale

Teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

Gabriele Laviaa sorpresaper un gelido Pirandello

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo: fatevi curaredai frères Goncourt

Ai Weiwei,non ho pauradel potere

Il diario

GIAMPAOLO VISETTIE AI WEIWEI

Una tazza di tècon i sopravvissutidella Shoah

Il reportage

ENRICO FRANCESCHINI

ALBARO 7 AGOSTO 1844

L’Italia, che tristezza! Un paese addormentato esenza speranza di svegliarsi più! Non dimenti-cherò mai, finché sarò vivo, le mie prime impres-sioni mentre percorrevo le strade di Genova, do-

po aver contemplato lo splendido panorama della città per un’oraintera attraverso un telescopio dal ponte di una nave a vapore. Pen-savo che di tutte le città — ammuffite, cupe, assonnate, sporche, ar-retrate, ferme, abbandonate da Dio nel mondo intero — doveva es-sere sicuramente questa la regina. Sembrava di essere arrivati alla fi-ne di tutte le cose — come se non ci fosse più progresso, movimen-to, avanzamento, o miglioramento di nessun genere; come se tuttosi fosse fermato a secoli fa rimanendo a crogiolarsi al sole fino al Gior-no del giudizio. [...] Cammino o giro in carrozza, trasognato, il che èmolto confortevole. Mi sembra di essere sopra pensiero, ma non sodi che cosa, non ho la minima idea.

CHARLES DICKENS

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Potrei sedermi in una chiesa, o soffermarmi alla fine di un vicolo,zigzagando su una collina come un serpente infangato e non senti-re il minimo desiderio di ulteriore divertimento. Allo stesso modo misdraio la sera sugli scogli fissando l’acqua azzurra finché svanisce ovado a spasso osservando le lucertole che corrono su e giù per le pa-reti (così piccole e veloci che sembrano sempre le ombre di qualco-s’altro quando passano sopra le rocce) e si tuffano nelle loro buchecosì all’improvviso che lasciano fuori le punte delle loro code senzanemmeno accorgersene. Non sapevo cosa significasse essere pigro,prima. Penso che un ghiro sia nelle stesse condizioni prima di infi-larsi sotto la lana nella sua gabbia, o una tartaruga prima di seppel-lirsi. Sento che mi sto arrugginendo. Avrei dovuto sentire un cigolioquando provavo a pensare se non fosse per alcuni tenui sforzi chesto facendo per imparare la lingua: ogni sforzo è una piccola gocciad’olio per le mie cerniere, l’unico olio che ricevono.

(segue nelle pagine successive)

con gli articoli di LEONETTA BENTIVOGLIO e GABRIELE PANTUCCI

Nel bicentenariodella nascitail racconto dell’anno“pigro e felice”

trascorso nel Belpaese

DickensLettereitaliane

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 22 GENNAIO 2012

ORIGINALI

In queste paginegli originali di alcune

lettere scritte da Dickensdurante il suo soggiorno

italiano: conservatedalla Biblioteca Civica

Berio di Genova,erano fino ad oggi inedite

ClassiciLa copertina

ia mare, da Marsiglia, il 16 luglio 1884Charles Dickens sbarca a Genova insiemea cinque dei suoi figli, quattro domestici,

il cane e l’inseparabile Luis Roche che provvedeai fabbisogni postali. Il soggiorno di un anno verràpoi riflesso nel libricino Pictures from Italy, tradottoin Impressioni italiane. Ma il soggiorno delloscrittore fu punteggiato soprattutto dalle 130 lettereconservate nella Pilgrim Collection che Dickensscrisse alla moglie Kate (pochissime), all’amico eagente John Forster, al contabile Thomas Mitton,al Conte d’Orsay, all’artista Clarkson Stanfield,al banchiere Emile De La Rue. Brevi frammentidi queste lettere fino ad oggi da noi inedite sonorintracciabili in Pictures from Italy. Ma è propriodal confronto tra il libro e il testo integrale dellemissive che si assapora l’importanza di questeultime. Scritte «nel calore del momento», come ebbea dire ai figli, dalle lettere emerge infatti la vita veradello scrittore, assilli e speranze. Ad esempio quelladi riuscire a «imparare l’italiano». E ci riuscirà: unadelle ultime lettere è tutta scritta nella lingua (più omeno) del suo amato Manzoni.

(gabriele pantucci)

V

(segue dalla copertina)

Albaro 12 agosto 1844iamo ormai al picco del caldo estivo, il qua-le, si presuppone diminuisca dopo il giornodi San Lorenzo — ovvero sabato scorso.Camminare è fuori discussione. Ne risentomoltissimo, ma ho tante risorse e tiro avan-ti abbastanza felice. Il libro di Natale (il Can-to di Natale, ndr) mi occupa il tempo, mi iso-la a pensare tutta la mattinata; ma lavorerò apieno ritmo presto, spero. Esco ogni matti-na prima delle sette e mi tuffo immediata-mente in mare. È indescrivibilmente deli-zioso anche se il fondo è roccioso e mi feri-sco le ginocchia quando il mare è mosso. Stoimparando l’italiano che è più difficile diquanto mi aspettassi, in parte perché sonodistratto dai pensieri per il libro, e anche per-ché la gente ha l’abitudine assurda di salu-tarsi l’un l’altro dandosi — attenzione, uo-mini — del Lei, che indica anche il femmini-le nella terza persona! Così, invece di dire«Come stai?» a un grosso gentiluomo con deibaffi neri, devi dire «Is she quite well?» Leistabene? [...]

Ho preso in subaffitto il Palazzo Peschie-re (pronunciato Peskeeairy) da un colonnel-lo inglese che sta partendo. Ne prenderòpossesso il primo ottobre, fino al 16 marzo,per cinque ghinee a settimana — una in piùrispetto a questo posto. Rimanere qui d’in-verno sarebbe stato impossibile; non ci so-no camini, e il costo di una carrozza con coc-chiere per Genova è carissimo, oltre a esserefastidiosissimo perché vieni sballottato amorte. Il Peschiere è considerato un postomolto salutare all’interno delle mura di Ge-nova ma nel cuore delle passeggiate di mon-tagna ed è circondato dai più deliziosi giar-dini che puoi immaginare (pieni di fontane,alberi di arancio, e ogni sorta di cose belle)che non sono mantenuti a spese dell’affit-

S

DickensCharles

“A lezioned’italianoe di pigrizia”

Prima è “un paese addormentato e triste”,poi diventa “terra di contraddizioni”,infine “posto di una bellezza oltre l’immaginazione”Mentre si festeggia il bicentenario del padredi Oliver Twist,ecco le sue lettere ineditedell’anno passato “sopra pensieroma non so di cosa”tra Genova e Napoli

CHARLES DICKENS

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Repubblica Nazionale

trebbe venire fuori neppure da una visione.Tutto quello che avevo sentito, letto o fanta-sticato su Venezia è lontano mille miglia. Saiche tendo a essere deluso quando si tratta diaspettarsi troppo ma Venezia è sopra, oltre,al di fuori dell’immaginazione umana. Nonè mai stata valutata abbastanza. Solo a ve-derla, piangeresti. [...]

Napoli 17 febbraio 1845Ho scoperto un inglese che vive qui da

molti anni e conosce la gente del posto cheha curato al tempo del colera, quando i pre-ti e chiunque altro scappava via in preda alterrore. Grazie ai suoi buoni auspici ho ini-ziato a capire la vita della Napoli minore(quella dei pescatori e degli isolani), tantoquanto capisco bene quella del mio stessopaese; a eccezione però della loro lingua,che è particolare ed estremamente difficilee richiederebbe almeno un anno di praticacostante per essere appresa. Non ha nientedell’italiano, non più di quanto il gallesepossa avere a che fare con l’inglese. Diconosolo la metà di ciò che intendono dire: a lorobasta ammiccare o mimare un calcio peresprimere il contenuto di un’intera frase emi meraviglia il modo col quale riescono acapirsi. A Roma parlano italiano in modomagnifico (sono diventato abbastanza bra-vo anche io in italiano, credo), ma qui è peg-gio che a Genova, la cui lingua in preceden-za avevo trovato assolutamente impossibi-le da comprendere.

Questo è un bel posto, ma niente di cosìmagnifico come dicono. La famosa baia è, amio parere, uno scenario di gran lunga infe-riore per bellezza alla Baia di Genova, che èil paesaggio più splendido che mi sia capita-to di ammirare. La città, parimenti, non reg-ge il confronto con Genova. Ma credo chenessun’altra città in Italia lo regga, esclusaVenezia.

Traduzione Anna Bissanti e Glenda Breth© Pilgrim Collection/

Oxford University Press

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Vivido, appassionato, acrobaticamente inventivo nelle trame, esat-to e acuto nell’esplorare le psicologie, e abilissimo nel riprodurrevasti affreschi sociali durante l’epoca dei massimi sconvolgimenti

provocati dalla rivoluzione industriale. Arduo riassumere in modo esau-stivo la grandezza di Charles Dickens, che da autentico compagno di viag-gio della nostra vita di lettori approda senza rughe al proprio duecentesi-mo compleanno il 7 febbraio, sommerso da un mare di festeggiamenti nonsolo in Gran Bretagna (vedi lo sterminato elenco delle iniziative sul sitowww.dickens2012.org). Spiccano nel calendario alcune mostre, comequella visitabile alla National Portrait Gallery fino al 22 aprile sulla vita e l’e-redità culturale dickensiana (“Charles Dickens: Life and Legacy”), e comeil percorso chiamato “Dickens and London”, che fino al 10 giugno esponeal Museum of London una raccolta di disegni, oggetti, manoscritti e foto,mirante a testimoniare la densità del rapporto tra il romanziere e la Lon-dra vittoriana. Nel frattempo la British Library ha allestito un viaggio per im-magini sulla predilezione per il macabro e il sovrannaturale che caratteriz-zava il geniale narratore (chiuderà il 4 marzo). Abbondano rassegne di film,convegni, festival antologici, serie televisive e ristampe di libri, tra cui l’edi-zione speciale dell’opera completa da Penguin.

Quanto alla nuova produzione saggistica e biografica a lui dedicata, sonotre, in particolare, i titoli da segnalare: l’ottima biografia di Claire TomalinCharles Dickens. A Life (Viking, 527 pagine, 30 sterline), fertile di rivelazionisul versante privato di Charles, dalla vita amorosa al rapporto con il denaro.Un libro più analitico e strutturale sulla scrittura dickensiana firmato da Ro-bert Douglas-Fairhurst, The Invention of a Novelist (Harvard UniversityPress, 389 pagine, 29,90 dollari); e un volume gloriosamente illustrato a cu-

ra della bisnipote dello scrittore, Lucinda Dickens Hawksley, CharlesDickens (ed. Andre Deutsch, 123 pagine, 30 sterline).

La Tomalin dipinge un ritratto ricco di aneddotica e di chiavi poco fre-quentate per introdurci nella figura umana di Dickens, campione di perso-nalità brillante, carismatica, super-energica e iper-produttiva (basti pensa-re che nel 1838 lavorava in simultanea a due capolavori quali Oliver Twist eNicholas Nickleby), oltre che decisamente godereccia (beveva alcolici congusto e determinazione e fumava sigari sin dai quindici anni); ma anche tor-mentata, prepotente, rancorosa e a volte implacabile o crudele. Molto, nel-la biografia della Tomalin, ci viene riferito a proposito del lungo affairche loscrittore, sposato con Catherine Hogarth infelicemente (il che non gli im-pedì di farle fare dieci figli), ebbe con l’attrice Ellen Ternan, iniziato quandolui aveva quarantacinque anni e la ragazza, detta Nelly, appena diciotto.L’innamoramento lo condusse alla separazione da Catherine, umilianteper la signora a causa delle dichiarazioni rudi del celebre marito e dei suoipubblici comportamenti con l’amante. Inoltre, esibendo vari documenti asupporto della congettura, la Tomalin ipotizza (per la prima volta) la nasci-ta di un figlio illegittimo che l’attrice avrebbe partorito in Francia, dove s’e-ra rifugiata in compagnia della madre; e quel bambino morì neonato.

Nel 1865, in un episodio famosissimo (tanto da sollecitare più di una ri-costruzione romanzata a opera di autori successivi), Dickens restò coinvol-to nel terribile incidente ferroviario di Straplehurst, uscendo incolume daun disastro che lo avrebbe comunque segnato in profondità per il resto del-la vita. Su quello stesso sfortunato treno, partito da Parigi verso l’Inghilter-ra, si è scoperto che stavano viaggiando anche Nelly e la madre.

Buon compleanno Mr. PickwickLEONETTA BENTIVOGLIO

tuario. Dentro è tutto dipinto: pareti e soffit-ti, ogni centimetro, in modo magnifico. Cisono dieci stanze su un piano: alcune sonopiù piccole delle più grandi stanze abitabilial Palazzo di Hampton Court. Una è lunga elarga come il salone del teatro di Drury Lane:c’è un grande soffitto dalla volta più alta diquello della Waterloo Gallery nel Castello diWindsor. In effetti, ripensandoci, è moltopiù alto.

Albaro 20 agosto 1844I libri sono arrivati ieri sera — tutti com-

pleti. Non fanno mai passare Voltaire, macon grande gentilezza lo hanno fatto passa-re a me. Per abitare qui gli inglesi e gli altristranieri sono obbligati a chiedere un per-messo di soggiorno alla polizia rinnovabileogni tre mesi, ma a me hanno tolto l’obbligodi riempire questi moduli e sono stati vera-mente premurosi.

Albaro 1 settembre 1844Un piccolo e paziente ufficiale rivoluzio-

nario, esiliato in Inghilterra per tanti anni,viene e va tre volte a settimana per leggere eparlare italiano con me. Un uomo povero ezoppo; una farfalla che svolazza per un po’ epoi zoppica per un altro po’ e se la cava nellavita approfittando di questo svantaggio,sempre. Se gli faccio una domanda su unaparola di cui non è in grado di spiegare il si-

gnificato, lui scuote la sua testa dolorosa-mente e inizia a piangere. Comunque, non èquesto che volevo dire adesso quando hocominciato a parlare di lui. Lui mi ha intro-dotto a I promessi sposi — il libro che Violet-ta ci ha letto quella sera. Che libro ingegno-so! Non ho ancora letto molto ma sono piut-tosto incantato. Il dialogo tra: lo sposo e ilprete la mattina della delusione — quella tralo sposo, la sposa, e sua madre — la descri-zione della passeggiata del povero Renzo fi-no alla casa del colto dottore con i capponi ela scena tra di loro. L’idea del personaggio diPadre Cristoforo e la sua storia sono toccati,credo, da una mano delicatissima e incanta-ta. Ho appena lasciato il buon Padre nellachiassosa sala da pranzo di Don Rodrigo, eho non poca ansia, ti assicuro.

Ti ricordi la Chiesa dei Cappuccini, l’An-nunziata? La stanno restaurando, ridipin-gendo e dorando, inclusa la costruzione diun portico di marmo sopra il grande ingres-so. Stando davanti al grande altare in unagiornata di sole e guardando in alto alle trecupole, vengono le vertigini per la luce e lagloria del luogo. Il contrasto tra questo tem-pio e i suoi ministri è la cosa più singolare eperfetta che l’intero mondo potrebbe offri-re, sicuramente. Ma è la terra delle contrad-dizioni, in ogni cosa, questa Italia.

Venezia 12 novembre 1844Mio caro, non c’è nulla di ciò che avrai

sentito a proposito di Venezia che possa tra-smettere la sua magnifica e stupenda realtà.Le immagini più fantastiche delle Mille euna notte non sono niente in confronto aPiazza di San Marco e le prime impressionidell’interno della chiesa. La bellissima e me-ravigliosa realtà di Venezia va oltre la piùstravagante fantasia di un sognatore. L’op-pio non riuscirebbe a creare un posto comequesto, e un posto così incantevole non po-

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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‘‘Contrasti

Stando davantial grande altare

vengonole vertiginiper la lucee la gloriadel luogo

Il contrastotra questo tempioe i suoi ministri

è la cosapiù singolare

e perfettache il mondopossa offrire

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Sembra un centro anziani come tantiMa Eva, David, Bella e gli altri trecento socidell’Holocaust Survivors di Londra in comune

non hanno soltanto l’età.Turchi, ungheresi, polacchi,sono ebrei passati per i campi di sterminio. E qui con faticahanno imparato a non vergognarsi di essere stati salvati

Il reportageGiornata della memoria

LONDRA

«Io mi dicevo: soprav-viverò. Sopravviverò!E sono sopravvissuto.Ma tanti accanto a me

si lasciavano vincere dalla fame, dalfreddo, dal dolore, e dicevano: morire-mo. E sono morti». Isaac mi stringe ilbraccio, mentre ricorda, poi d’im-provviso gli vengono gli occhi lucidi.«Scusi», dice, asciugandosi le lacrimecon il dorso della mano. «Anche i mieigenitori sono morti nei campi. Ho da-to a mio figlio il nome di mio padre, amia figlia quello di mia madre. È im-portante per noi. È importante ricor-dare». Stringe più forte il mio braccio,e continua a piangere.

S’avvicina il Giorno della Memoria,la giornata della rimembranza dell’O-

locausto, quando Israele e gli ebrei ditutto il mondo e tutto il mondo civilecommemorano la pagina più nera delNovecento, forse la più atroce nellastoria umana. Ci sono tanti modi perevocarla. Uno è venire in quello chesembra un normale centro per anzia-ni, in un quartiere della Londra nord,dove tanti nonnini e nonnine si ritro-vano a seguire lezioni di cucina e dan-za, a giocare a carte e cantare, a guar-dare vecchi film e conversare, a pran-zare e a prendere il tè. Scherzano, ri-dono, hanno l’aria di divertirsi. Manon è un centro per anziani come glialtri, perché ognuno dei suoi trecentosoci ha un segreto in comune: è un so-pravvissuto ai campi di sterminio, alprogetto nazista di cancellare un inte-ro popolo dalla faccia della Terra. Simuovono con delicatezza, comepreoccupati di andare in pezzi, qual-cuno con le stampelle, hanno volti

pieni di rughe, schiene curvate daglianni (quasi cento per il più longevo,quasi settanta per la più giovane), maocchi che brillano. Sono quelli che lostorico israeliano Tom Segev, conun’espressione poetica e agghiac-ciante, definì «il settimo milione»: gliultimi rimasti nell’Europa del 1945, isuperstiti al genocidio ebraico. Sedia-moci a tavola con loro, per qualcheora. Ascoltiamo le loro storie. Prendia-mo un tè con la Shoah.

L’Holocaust Survivors Centre diHendon, una manciata di chilometrida Buckingham Palace, è l’unico cen-tro di questo genere esistente al di fuo-ri dello Stato ebraico. Funziona con i fi-nanziamenti di Jewish Care, la mag-giore organizzazione di beneficenzaebraica nel Regno Unito. Aprì una ven-tina d’anni or sono, per rispondere al-le esigenze del gran numero di soprav-vissuti dei lager hitleriani che vivono

da queste parti. È diventato un model-lo per reintegrare anche altri rifugiati,altre vittime: compreso un gruppo dimusulmani bosniaci, accolti di recen-te. È in un’anonima palazzina di mat-toni: nulla, non un cartello, non uncampanello, indica da fuori di cosa sitratta. Riservatezza, precauzione, bi-sogno di sicurezza, un po’ di tutto que-sto: comprensibilmente, la mia guidachiede che io presenti passaporto etessera stampa, prima di entrare. Unpo’, mi sembra di essere tornato a vi-vere in Israele, di sentire lo stesso sen-so di minaccia incombente, di accer-chiamento. «L’Olocausto lascia un se-gno indelebile, anche quando uno nonci pensa più», spiega Judith Hassan,fondatrice del Centro. «Un trasloco,qualsiasi cambiamento, può risveglia-re incubi che uno credeva di avere se-polto». Il Survivors Centre offre assi-stenza, terapia, il supporto di una se-

conda famiglia, oltre a quella che mol-ti di loro hanno, talvolta anche folta.Ma figli e nipoti non vengono dallaShoah. Gli arzilli vecchietti con cuiprendo il tè, sì. Tra loro, si capiscono alvolo. Un segreto li unisce.

«All’inizio nessuno voleva sentireparlare della nostra esperienza», diceBella, ebrea polacca. «Quando raccon-tavo che ero stata nei campi, la gente siritraeva, come spaventata. Ma forsenon era paura, era vergogna: vederenoi sopravvissuti significava confron-tare l’idea che l’uomo ha potuto farequesto a un altro uomo, ammettere diche cosa è stata capace la nostra spe-cie. E dunque provare vergogna per sestessi. Perciò preferivano non ascol-tarci, girare la testa dall’altra parte. Eanche noi ci vergognavamo quasi diessere vivi, come di avere partecipatoa qualcosa di mostruoso, sia pure nel-la parte delle vittime».

‘‘I nostri raccontiNessuno voleva sentirela nostra esperienzaQuando raccontavodei campi, la gentesi ritraeva spaventataMa forse era vergogna

‘‘Il dottor MengeleAvevo due fratelli gemelliIl dottor Mengele li usòper i suoi folli esperimentiMio fratello dividevail letto con un nanetto del circo, anche lui una cavia

ENRICO FRANCESCHINI

VITTIME. In queste pagine, le sopravvissute ai lager ospiti dell’Holocaust Survivors Centre di Londra. Qui sopra, Henrietta Kelly e Wlodka Robertson. Nella foto in bianco e nero: l’arrivo di un treno a Auschwitz

A CASA. Qui sopra, le sopravvissute Susi Horwitz e Josie Dutch. A destra, Judy Sitton. Nella foto in bianco e nero: bambini prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz

Una tazza di tè con gli ultimi

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sopravvissuti della ShoahA volte erano loro stessi a non voler-

ne parlare. «La mia vita fino al 1945 èstata una fuga senza fine», raccontaEva, ebrea turca. «Dalla Germania so-no scappata in Belgio, dal Belgio allaFrancia, dalla Francia alla Svizzera e dinuovo alla Francia. Ho militato nellaResistenza, fabbricavo documentifalsi. Sono stata arrestata tre volte edue volte sono scappata. Ho perso lamia migliore amica perché un giornoabbiamo tirato a sorte, lei ha preso unastrada, io un’altra, lei è stata catturatadalla Gestapo e spedita subito ad Au-schwitz, io sono riuscita a rifugiarmi inun convento di suore cattoliche. Lei èmorta, io sono sopravvissuta. Perchélei e non io? Continuo a chiedermeloanche ora. Le suore ci facevano prega-re tanto, ma quando la Gestapo vennea cercarmi perfino in convento fecerovestire da suora anche me, mi fecerocantare con loro l’Ave Maria davanti

all’altare e mi salvarono. Sapevo che laGestapo sarebbe tornata, fuggii ancheda lì e infine mi presero. Quando i rus-si ci hanno liberati, mi sono ricon-giunta con il mio fidanzato: lui era sta-to a Birkenau, era sopravvissuto perfi-no in quell’inferno. Era sopravvissutoper rivedermi, questo lo aveva tenutoin vita e fatto resistere. Così mi disse. Epiù tardi, la notte prima di sposarci,annunciò: stanotte ti racconto tuttoquello che mi è accaduto laggiù, poinon ne parlerò più, mai più. E così hafatto, fino al giorno della sua morte».

David, ebreo ungherese, invece par-la: «Quando i tedeschi occuparono ilmio paese, la mia famiglia perse tutto eci rifugiammo nel ghetto. Poi venneroa prenderci anche lì e ci portarono via.Io ero forte, fui spedito in un campo dilavoro vicino al fronte russo, da cui ciritirammo un po’ per volta fino a Berli-no. Mia madre finì ad Auschwitz e non

ne è uscita viva. Ma avevo due fratelligemelli più piccoli, un maschio e unafemmina, e a loro si interessò il dottorMengele per i suoi folli studi e i suoiesperimenti, perciò furono trattati unpo’ meglio degli altri e sopravvissero.Li ho reincontrati dopo la guerra, miofratello mi ha raccontato che dividevail letto con un nano, un nanetto del cir-co, anche lui cavia per la curiosità diMengele: era stato lui a salvarlo, por-tandogli sempre qualcosa extra damangiare».

Anche Isaac, ebreo rumeno, era unragazzo forte, si capisce pure adessoche ha più di ottant’anni. Lo rinchiu-sero in un campo di lavoro in Germa-nia. «Al mattino una tazza di caffè ac-quoso, per pranzo un pezzo di pane eun’orrenda zuppa, ma io sbafavo tut-to in una volta, senza mettere nienteda parte, per il timore che la mia razio-ne andasse perduta o rubata: dentro lo

stomaco almeno era al sicuro. Non eraun campo di sterminio con i forni perridurci in cenere, ma se ti ammalavi odiminuivi il ritmo di lavoro, il giornodopo sparivi e non tornavi più. Comeho fatto a resistere? Devi credere in te,mi dicevo. Sopravviverò, mi dicevo. Iosopravviverò! Lo gridavo silenziosa-mente a me stesso. Sopravviverò, so-pravviverò. E sono sopravvissuto. Matanti altri cedevano alla fame, al fred-do, al dolore, allo sconforto e diceva-no, qui moriremo, se non oggi doma-ni, e sono morti. Non bisogna mai ar-rendersi». Asciuga le lacrime. Si scusaper essersi commosso. Mi stringe ilbraccio, poi lo carezza, dolcemente.«Verso la fine della prigionia, i russi egli americani bombardavano il cam-po tre volte al giorno, suonava l’allar-me, i tedeschi scappavano come topinei rifugi, e noi prigionieri uscivamoall’aperto, momentaneamente liberi,

io guardavo il cielo, vedevo le sagomedei bombardieri, respiravo la libertà.Sopravviverò, mi dicevo, ebbene sonosopravvissuto. Nel ’48 sono arrivatodopo un’odissea in Palestina, ho com-battuto nella guerra d’indipendenzaper Israele, sono stato ferito, decoratoal valore, ecco, vede qui il segno delproiettile? Da giovane non ero religio-so, ma poi a Tel Aviv ho cominciato adandare in sinagoga ogni sabato, e lofaccio ancora. Non perché io sia uncredente, non ci vado per pregare, civado per onorare la nostra tradizione.Ci vado per ricordare, capisce cosa in-tendo?».

Ci alziamo in piedi, ci abbracciamo,ci diciamo shalom. Ho preso un tè coni sopravvissuti della Shoah, le intervi-ste sono finite, e adesso torno in ufficioa scrivere. Loro restano qui, ciascunocon i propri fantasmi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

‘‘Perché non io?Ho perso la mia miglioreamica che è stata catturatadalla Gestapo e speditaa Auschwitz. Lei è mortaio sono sopravvissutaPerché lei e non io?

‘‘Credi in te stessoCome ho fatto a resistere?Devi credere in te, dicevoSopravviverò, gridavosilenziosamente. E sonosopravvissuto. Ma tanticedevano e sono morti

DEPORTATE. A destra, Janine Webber. Nella foto in bianco e nero: una baracca femminile del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau

A TAVOLA. Sopra, Dani Jeffrey. A destra, di spalle Josie Ducht con la figlia Judy Sitton e Esther Rosen. Nella foto in bianco e nero: bambini in un lager nazista

IL DIZIONARIO

Dalla A di Auschwitz alla Z di zingari: il primo dei due volumi (di 500 pagine l’uno, con introduzionedi Gad Lerner) del Dizionario dell’Olocaustosarà in edicola con Repubblica (a 12,90 euro più il prezzo del quotidiano) mercoledì 25 gennaio in occasione della Giornata della memoriaIl secondo volume esce mercoledì 1 febbraio

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le e l’educazione universale sono il terreno di coltura del modernismo. Per la Cinain via di sviluppo, questi sono scopi puramente idealistici. Il modernismo non habisogno di maschere o titoli: è il frutto immediato dell’intuizione, l’idea definitivadel significato dell’esistenza e delle difficoltà del reale, è la presa sulla società e sulpotere, è l’assenza di compromessi, il rifiuto di collaborare. L’illuminazione vieneconquistata tramite un processo di autoriconoscimento, ottenuta attraverso unasete bruciante e la ricerca di un mondo interiore, raggiunta attraverso dubbi e in-terrogativi interminabili. La realtà disadorna, il vuoto e la noia esibiti da molte ope-re moderniste nascono da questa verità senza sconti. Non è una scelta culturale,perché la vita non è una scelta: è la preoccupazione per la propria esistenza, la pie-tra miliare di tutte le attività mentali; l’obiettivo finale è la conoscenza.

23 febbraio 2006

Scrivere i propri sentimenti è semplice, ma può essere anche difficile, per le se-guenti ragioni:

1. Non puoi essere sicuro del fatto che sia realmente ciò che stai pensando.2. Se scrivi una cosa, non potrà mai essere qualcos’altro.3. È difficile mantenere una buona postura da scrittore dall’inizio alla fine.

22 maggio 2006

Silenzio per favore, niente clamore. Lasciate che la cenere si posi, che i morti ri-posino in pace. Dare una mano a chi è in pericolo, soccorrere chi rischia la vita eaiutare i feriti sono forme di umanitarismo che non hanno niente a che fare conl’amore per la patria o per il popolo. Non sminuite il valore della vita: essa richiedeuna dignità più vasta, più equa. In questi giorni di lutto i cittadini non hanno biso-gno di ringraziare la madrepatria e i suoi sostenitori perché non è stata capace dioffrire una protezione migliore. Né è stata la madrepatria, alla fine, a permettere

Il raccontoDiario d’artista

AI WEIWEI

Era l’archistar di regime, orgoglio dell’espansionedi Pechino nel mondo. Finché un giorno chiesela verità sul terremoto in cui morirono migliaiadi bambini e accusò la corruzione dei politiciDa allora il suo blog è stato chiusoe lui vive sotto sorveglianza. Adessoesce in Italia un libro con i suoi post,dai pensieri intimi alla ribellione

WeiweiAi

STADIO

Sotto, a sinistra,il Nido d’uccellolo stadio cineseprogettatoda WeiweiSopra, due vasidella dinastiaTang ridipinticon il marchiodella Coca Cola

“Sono tutto quello che ho”

Costruire non è un gesto naturale, è qualcosa che il genere umano fa per il propriobene. La funzione utilitaria è dettata dal modo in cui usiamo qualcosa, e il mo-do in cui lo usiamo allo stesso tempo determina chi siamo e le implicazioni del-la nostra esistenza. I modi di costruire sconcertano le persone. Giudicare pen-sieri ed emozioni, superare ostacoli materiali, penetrare o prolungare senti-menti può far sì che le cose materiali diventino fattori psicologici e permettanoagli oggetti materiali di trascendere se stessi. Desiderio di chiarezza, semplicità,esattezza e franchezza negli edifici. Oltre a “è” e “non è”, esistono anche “se”,“o”, “altro” e “anche”.

13 gennaio 2006

Una volta che la fotografia si è allontanata dalla sua funzione originaria cometecnica o strumento di documentazione, diviene semplicemente uno stato effi-mero dell’esistenza trasformato in possibile realtà. È questa trasformazione cherende la fotografia una sorta di movimento e le fornisce il suo significato distinti-vo: è semplicemente un tipo di esistenza. La vita è solo un fatto indiscutibile, e laproduzione di una realtà alternativa è un altro tipo di verità che non intrattiene al-cun rapporto autentico con la realtà. Entrambe attendono che accada qualcosa dimiracoloso — il riesame della realtà. Come intermediaria, la fotografia è un me-dium che non fa che spingere la vita e le azioni percepite verso questo conflitto.

16 gennaio 2006

In Cina manca ancora un importante movimento modernista, perché alla ba-se di un simile movimento dovrebbero esserci la liberazione dell’umanità e l’illu-minazione portata dallo spirito umanistico. La democrazia, la ricchezza materia-

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ai bambini più fortunati di sfuggire al crollo delle loro scuole. Non c’è bisogno dielogiare i politici, perché queste vite in pericolo hanno molto più bisogno di mez-zi di soccorso efficaci che di lacrime e discorsi di solidarietà. E c’è ancor meno bi-sogno di ringraziare l’esercito, perché ciò significherebbe che mobilitandosi peril disastro i soldati abbiano fatto di più che svolgere semplicemente il loro giuratodovere. Siate tristi! Soffrite! Sentitelo nei recessi del vostro cuore, nella notte spo-polata, in tutti i posti senza luce. Portiamo il lutto soltanto perché la morte è partedella vita, perché le vittime del terremoto sono parte di noi. Solo quando i vivi con-tinuano a vivere con dignità, i morti possono riposare con dignità.

22 maggio 2008

Se mai ci dovesse essere un giorno in cui i bambini puri e innocenti comincinoa non avere più fiducia nel mondo e a diffidare della sua gente, quel giorno sareb-be oggi. Venti giorni fa, quando una calamità naturale ha causato il crollo di mi-gliaia di scuole nella zona del terremoto, si stima che sotto i mattoni e il cementosiano rimasti sepolti seimila alunni. Oggi quegli edifici in rovina nascondono cor-pi di bambini che non saranno mai scoperti, perché i soccorritori hanno smessodi cercare, con il cuore ormai triste e pieno di disperazione. Non siate così impa-zienti di declamare che i disastri fortificano la nazione, o di elogiare «l’unione sen-za precedenti», e non usate parole arroganti per coprire i freddi, duri fatti. Per pri-ma cosa, tirate fuori quel che resta dei corpi smembrati dei bambini dalle mace-rie, ripuliteli, trovate un posto tranquillo, e seppelliteli in profondità.

Sono passati venti giorni dal terremoto, e ancora non esiste un elenco precisodegli scomparsi, né è stato fatto un conteggio accurato dei morti. I cittadini anco-ra ignorano chi siano questi bambini defunti, chi siano le loro famiglie, chi ha man-cato di rinforzare la struttura delle scuole con l’acciaio e chi ha preparato un cal-cestruzzo di qualità inferiore per le fondamenta e i pilastri quando sono stati co-

IL LIBRO

Ai WeiweiIl Blog (Johan& Levi, 360 pagine18 euro),dal 26 gennaioè in libreriae in versioneebook(doppiozero,9 euro)

BICICLETTE

Sgabelli,biciclette, tavolicon due gambeappoggiateal muroSono alcunisoggetti usatida Weiweiper le sue operee installazioni

Dal Nido d’uccello al SichuanGIAMPAOLO VISETTI

PECHINO

Da archistar del potere a simbolo deldissenso contro la dittatura del Parti-to comunista. La parabola di Ai

Weiwei si è consumata all’improvviso, tra il2008 e il 2011, mentre l’artista cinese più fa-moso al mondo era al vertice del successo. Lasvolta si è compiuta quattro anni fa. Per le sto-riche olimpiadi di Pechino Ai Weiwei, 54 an-ni, aveva collaborato al progetto del “Nidod’uccello”, lo stadio divenuto icona dei giochie dell’irresistibile ascesa dell’economia na-zionale. Poche settimane prima, il disastrosoterremoto nel Sichuan aveva però svelato lacorruzione dei funzionari pubblici cinesi,causa di migliaia di morti nelle scuole co-struite con materiali scadenti. Ai Weiwei asorpresa si era mobilitato a favore della verità,contro l’insabbiamento dello scandalo daparte dello Stato: è stata la scelta che ha deci-so la sua vita. Da allora è entrato nel mirinodelle autorità, inaugurando l’era del nuovodissenso mediatico che tanto allarma i regi-mi dell’Asia. Il profeta delle rivolte online, au-tore di opere-denuncia esposte nei più im-portanti musei del pianeta, era del resto unpredestinato. Suo padre, il famoso poeta AiQing, era stato perseguitato da Mao Zedong,deportato, incarcerato e riabilitato solo dopo

la morte del Grande Timoniere. Anche il figlioè divenuto oggetto di aggressioni, arresti,persecuzioni e infamanti accuse pubbliche.Due anni fa la polizia gli ha spaccato il cranioa Chengdu, mentre Ai Weiwei, affetto da unagrave forma di diabete e di ipertensione, si ap-prestava a testimoniare al processo per le vit-time del terremoto. Pochi mesi dopo un ordi-ne di demolizione ha distrutto il suo nuovoatelier di Shanghai, che le stesse autorità gliavevano chiesto di realizzare in vista dell’Ex-po. L’8 ottobre di due anni fa, Ai Weiwei fu trai primi a ricorrere al suo blog per esprimere lasperanza dei cinesi che non rinunciano allalibertà, dopo l’assegnazione a Lui Xiaobo delpremio Nobel per la pace. E la sua voce è tor-nata a farsi sentire un anno fa, quando il ven-to delle rivoluzioni mediterranee sembravadove soffiare anche sulla Cina. Per il potere inallarme è stato l’ultimo affronto. Arrestato inaprile, rilasciato a fine giugno, accusato dievasione fiscale e di reati sessuali, Ai Weiweivive sotto sorveglianza e non può lasciare Pe-chino. Su di lui pendono una multa che nonpuò pagare e la spada di Damocle di una con-danna a 14 anni. L’isolamento in un’invisibi-le prigione senza sbarre: la pena per chi osacriticare l’autoritarismo dei tecnocrati deldopo-Tienanmen.

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struiti. Il destino dei bambini è quello della nazione, il loro cuore è quello della na-zione. Non ce ne può essere un altro. Che i responsabili possano vivere gli anni cherestano loro nella vergogna. Al di là degli incarichi, della posizione, dell’onore, peruna volta nella vita alzatevi e assumetevi le vostre responsabilità. Comportatevicome se aveste una coscienza e delle spalle capaci di sopportarne il peso. Nem-meno questo, tuttavia, basterebbe ad alleviare il nostro senso di vergogna. Non so-no state solo quelle scuole malferme a crollare, è stata la buona coscienza e l’ono-re dell’intera nazione a sgretolarsi con loro. In questo giorno la bellezza è morta.Non avete notato l’assenza di tutte quelle voci che ridono?

1 giugno 2008

«Attenzione! Sei pronto?» Sono pronto. O meglio, non c’è nulla per cui esserepronti. Una persona. È tutto quello che ho, è tutto quello che qualcuno potrebbeottenere ed è tutto quello che posso consacrare. Non esiterò nel momento del bi-sogno, e non mi distrarrò. Se ci fosse qualcosa di cui avere nostalgia, sarebbero imiracoli che la vita porta con sé. Questi miracoli sono gli stessi per ognuno di noi,un gioco dove tutti sono uguali, come le illusioni e la libertà che lo accompagna-no. Considero ogni genere di minaccia a qualsiasi diritto umano come una mi-naccia alla dignità e alla razionalità umana, una minaccia al potenziale della vita.Voglio imparare ad affrontarla. Rilassatevi, io imparo presto, e non vi deluderò.Non molto tempo fa, le morti collettive di quei bambini mi hanno aiutato a com-prendere il significato della vita individuale e della società. Rifiutate il cinismo, ri-fiutate la collaborazione, rifiutate la paura e rifiutate di bere il tè, non c’è niente dicui discutere. È sempre lo stesso detto: non venite a cercarmi di nuovo. Non colla-borerò. Se dovete venire, portate con voi i vostri strumenti di tortura.

28 maggio 2009

‘‘La democrazia, la ricchezza materialee l’educazione universale sono il terrenodi coltura del modernismo. In Cinaquesti sono scopi puramente idealistici

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Dall’epoca di Caruso è il tempio della musica classica a New YorkOra il Metropolitan affronta la crisi reinventandosi. Con idee originali e vincenti

SpettacoliSfide

NEW YORK

ALincoln Center Plaza non è mai inver-no. Anche nelle giornate più gelide ilquadrilatero dell’arte, nel cuore diManhattan, brulica di vita. Dalla

Broadway, all’altezza della 65esima strada, si accedeal Partenone newyorchese dove la bandiera dellacreatività sventola ancora alta. A sinistra il New YorkCity Ballet, a destra la prestigiosa Juilliard School, difronte il Metropolitan, dal 1966 nuovo tempio d’ope-ra della Big Apple, a continuare la tradizione iniziatadallo storico Met nel 1883 all’incrocio tra Broadway ela 39esima, nel teatro che dopo Mahler (1908-1910)ospitò leggendari direttori italiani: Arturo Toscanini(1908-1915), Tullio Serafin (1924-1934), Fausto Cleva(1931-1938). Tutt’intorno, una teoria di teatri e istitu-zioni che ospitano artisti e allievi da ogni parte delmondo: Jazz at Lincoln Center, le sedi della New YorkPhilharmonic, la più antica orchestra degli States (dal1842), e del New York Film Festival. Studenti con inbraccio lo strumento, orchestrali carichi di spartiti,ragazze in calzamaglia e scaldamuscoli, pubblico or-dinatamente in fila alla biglietteria, turisti che scatta-no foto alle vetrate del Met, da cui si vedono distinta-mente lo scalone elicoidale, il lampadario-sputnik e imurales realizzati per l’inaugurazione da Chagall.

Lo spazio, immenso, dà l’illusione che le persone simuovano al ralenti come in una piazza incantata espirituale di De Chirico. C’è anche uno shop per me-lomani: non solo uno dei pochi posti a Manhattan do-ve comprare cd di musica classica, ma anche libreriaed emporio di souvenir realizzati con gusto e raffina-tezza. È la mattina di un giorno perfetto in un luogoche in periodo di recessione trema come qualsiasiistituzione al mondo. Ma è pur sempre «The Met», enon bastano gli oltre 40 milioni di deficit dell’ultimobilancio conosciuto a guastarne la reputazione. Que-sto è il teatro dove tutti vogliono dirigere, cantare,suonare, allestire. La chiamata del Met è una priorità,sia per giovani cervelli in fuga che per direttori affer-mati come Fabio Luisi, maestro genovese che l’esta-te scorsa è stato chiamato a perpetuare la gloria di To-scanini, prima invitato come direttore ospite princi-pale e subito dopo confermato al posto dell’infortu-nato James Levine. «Qui è un bel lavorare, perché tut-to funziona. È un teatro efficiente, rapido nelle deci-

sioni, efficiente nella comunicazione», dice Luisi inuna pausa delle prove dell’impegnativo Il crepuscolodegli dei di Wagner (la prima venerdì 27 gennaio: ol-tre cinque ore d’opera in un ardito allestimento di Ro-bert Lépage degno del Cirque du Soleil).

Niente che assomigli alle nostre istituzioni polve-rose e neglette, costantemente a corto difondi e di personale, ai nostri meravi-gliosi teatri storici sempre in ritardocon i piani di risanamento, alle nostreorchestre allo sbando, ai conservatori al-lo stremo, al malcostume che ha fatto scempio dellameritocrazia. Se Luisi, direttore dalla bacchetta d’ac-ciaio, è in forza al Met il merito è della sua tenacia, delprestigioso curriculum maturato con anni di militan-za nelle più prestigiose orchestre mitteleuropeee di Peter Gelb, succeduto nel 2006 a JosephVolpe come general manager del Metro-politan. Gelb, 58 anni, è un workaholic eun visionario. «Ero molto giovane la pri-ma volta che misi piede qui dentro»,racconta con lo sguardo fisso alle proveche segue da un monitor sistemato nelsuo ufficio. «Il nuovo Met aveva appenaaperto. Mio padre era un famoso giornali-sta del New York Timese andai con lui a ve-dere una pomeridiana della Carmen,protagonista Grace Bumbry. Ero già in-trigato da questo mondo». Mise le ma-ni avanti quando s’insediò: «L’operanon può piacere a tutti», disse. Spiega:«È la verità. Bisogna rassegnarsi al fattoche non farà mai i numeri del pop, ma va co-munque resa disponibile a tutti. La mia sfida fucontinuare a far esistere il Met in un periodo incui neanche le banche sono al sicuro. Dieci an-ni fa nessuno avrebbe pensato che la Phila-delphia Orchestra, una delle più prestigioseal mondo, fosse costretta a dichiarare ban-carotta. Per il Met, e l’opera in generale, ènecessario mettere in moto nuove e di-verse energie per sfidare i tempi,adottare nuove tecnologie per pre-sentarla come una risorsa contem-poranea e non come roba da mu-seo. Dobbiamo parlare anche unalingua che i giovani conosco-no, negli allestimenti, neicostumi, nella recita-

La fabbrica dell’opera perfettaGIUSEPPE VIDETTI

GIACOMO PUCCINI

La sua Fanciulla del Westdebutta al Met nel 1910

ARTURO TOSCANINI

Dal 1908 al 1915 è direttoreal Metropolitan

ENRICO CARUSO

Al Met nei panni di Canio in Pagliacci di Leoncavallo

RENATA TEBALDI

Interpreta al Met Adriana Lecouvreurdi Francesco Cilea

IERI

22 ottobre 1883,Il Faust di Gounodinaugurail MetropolitanOpera House; sotto, il manifestode La fanciulladel Westdi Pucciniin scena nel 1910

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Ha trasformato i tenori in rockstar, le scenografie in kolossal

e il suo cartellone va anche nelle sale cinematografiche. È il riscatto della lirica

zione. Una bella voce non basta. Non più». Renée Fle-ming, oggi la più grande soprano d’America, è d’ac-cordo col boss: «Mr. Gelb ha ridefinito la figura delcantante lirico: la forma fisica, il sex appeal e il carismapersonale sono importanti quanto la voce». Sotto lagestione Gelb il Met ha fatto passi da gigante nella co-municazione. Locandine con una foto provocantedella soprano russa Anna Netrebko-Manon sono inogni angolo di Manhattan, l’opera debutterà il 26marzo. Gelb considera le strategie di marketing il suofiore all’occhiello. «Siamo stati i primi ad aver messonero su bianco che i cantanti d’opera ormai devonosaper recitare per essere credibili. Penso alla magni-fica performance di Anna Netrebko in Anna Bolena eal carisma di Vittorio Grigolo in La Bohème. Bisognacreare una nuova generazione di idoli con caratteri-

stiche diverse da quelli del passato. Grigolo è unesempio perfetto di come un tenore riesca a con-quistare il pubblico con la stessa forza di un popsinger».

Ci si perde nel labirinto di velluto rosso dietroil teatro, uffici, sale prove per solisti, auditorium

per i cori e le orchestre, sartoria, attrezzistica. Al-l’ingresso degli artisti Anna Netrebko viene rice-

vuta come una regina. «Il Met chiede molto e dà mol-to», esclama la diva esausta dopo una prova. «È un tea-tro enorme, c’è bisogno di più voce per farsi ascolta-re. Qui tutto è più grande, dal foyer al palcoscenico. Ei costumi: pesantissimi. Ma è solo qui e alla Staatso-per di Vienna che mi sento a casa».

Il Met è una macchina complessa. Ha una tradizio-ne da difendere, un difficile presente da fronteggiare,un futuro da preparare. Dozzine di impiegati lavora-no soltanto alla gestione del monumentale archiviostorico: spartiti e foto di Caruso, manoscritti, docu-menti, buste paga, contratti di giganti della lirica co-me Beniamino Gigli, Luciano Pavarotti e Beverly Sil-ls, locandine del debutto di Maria Callas il 29 ottobre1956 con La Norma di Bellini, interi scaffali con tuttele informazioni sulle 1.115 rappresentazioni dell’Ai-da che il Met ha allestito a partire dal 1886. I costi so-no altissimi e le acque burrascose; Gelb (manager da1,5 milioni di dollari all’anno) si è autoridotto il sala-rio del trenta per cento e il suo esempio è stato segui-to dagli altri dirigenti. Non sono stati risparmiati

neanche i preziosissimi Chagall, dati in garanziaa una banca per uno scoperto di 35 milioni di

dollari richiesto nel 2004, durante l’am-ministrazione Volpe.

«Ho dovuto combattere la cultura dell’immobili-smo senza tradire il rigore dell’opera lirica, facendo ri-corso a tecnologie all’avanguardia, come le dirette te-levisive e cinematografiche via satellite in Hd», diceGelb, fiero dell’iniziativa lanciata nel 2006. «Tv e cine-ma erano una sfida che dovevamo affrontare e vince-re, altrimenti il Met non sarebbe mai entrato nelmainstream dell’intrattenimento». Le stagioni operi-stiche, trasmesse nelle sale di tutto il mondo, hannoraggiunto 1.600 cinema in 54 paesi e hanno fruttatouna media di 20 milioni di dollari all’anno.

Visto dal di fuori il Met è un ingranaggio perfetto. Cisono giorni in cui dal pomeriggio a tarda notte vannoin scena tre eventi diversi. In giornate come oggi, diceancora Gelb, «c’è una squadra notturna che dovrà li-berare il palcoscenico per le prove di domani e rimet-tere ogni cosa al proprio posto per lo spettacolo in car-tellone. Qui si lavora 24 ore al giorno». È evidente cheil Met sta combattendo una battaglia all’ultimo san-gue per mantenere il primato e conciliare le istanzeeconomiche con quelle artistiche. «Abbiamo un van-taggio sull’Europa, le donazioni private. Ma non ba-stano», spiega Gelb. «Abbiamo 3.800 posti in teatro econ quelli devo fare i conti. Ogni volta che si preparauna stagione penso a quei 3.800 biglietti da vendere.Non uno di meno. Ma il pubblico va anche preso allespalle, sorpreso, stupito, come abbiamo fatto un paiod’anni fa con le scenografie de Il naso di Shostakovi-ch curate dall’artista sudafricano William Kentridge,un successo enorme per un’opera così difficile. A vol-te il rischio più grande è quello di non osare». Comevede Mr. Gelb il futuro? «Pieno di punti interrogativi.Se si arriverà al punto in cui le arti dovranno autofi-nanziarsi e non potremo più permetterci di scrittura-re artisti geniali non ci resterà che chiudere, perchénon abbiamo altre frecce al nostro arco che l’arte stes-sa. Tagliare le risorse, come sta facendo l’Italia, senzastudiare un piano per arginare creativamente la crisiè il primo passo verso la fine. Soprattutto in tempi direcessione non si deve gettare la spugna».

La segretaria avverte Mr. Gelb che stasera ne avràalmeno fino a mezzanotte. Al tramonto il pubblico ègià in fila all’ingresso per una replica de La Tosca. Vi-sto da Broadway il Met illuminato è esattamente quel-lo del film Stregata dalla luna, quando Nicolas Cage eCher scivolavano mano nella mano verso la scala mo-bile, sotto lo sputnik, per la loro notte di gloria, alla pri-ma della Bohème.

IN ITALIA

Anche in Italiaè possibilevedereal cinemagli spettacolidel MetI prossimiappuntamentisono martedìL’isolaincantata(musichedi Handel,Vivaldi e altri),il 14 febbraioIl crepuscolodegli deidi Wagnere il 28Ernani di VerdiPer informazionisulle sale:www.nexodigital.it

EVOLUZIONI

Sotto, una cartolina con l’edificio originaledel teatro nel 1883. Sopra, la facciata comeè oggi; l’esterno con le locandine appesefuori nel 1951 e la scalinata interna oggiNel tondo centrale, un particolare dei muralesrealizzati da Chagall per l’inaugurazione del Met

BARBARA FRITTOLI

Al Met è Donna Elviranel Don Giovanni di Mozart

FERRUCCIO FURLANETTO

È Silva in Ernani di Verdial Met nel marzo 2008

FABIO LUISI

È il direttore principale del Metdal settembre 2011

PETER GELB

Dal 2006 è manager generaledel Metropolitan Opera House

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OGGI

Anna Bolenadi Donizetticon la sopranoAnna Netrebkoha apertola stagione2011-2012;La Traviatadi Verdiche andràin scena in aprile

Repubblica Nazionale

A scuola coni

Una serie di giochi

riproducono

dinamiche complesse

per creare una nuova

città partendo

dal nulla o

da una città

già esistente

Sim City (Ea),

per pc, di Will Wright,

è il più famoso

Per conoscere l’opera letteraria di Lewis

Carroll in forma interattiva c’è un cupo

adattamento di Alice: American

McGee’s Alice 8Ea), per console e pc

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Per studiare periodi storici e processi che hanno segnato un’epocaPer imparare le lingue, la letteratura, la matematica. Proprio come i libri, i giochi elettronici sono entrati negli atenei e nei licei

Dagli Stati Uniti all’Inghilterra e al Giappone. E, adesso, anche in Italia

NextCivilization

scuola di videogame, o meglio: a scuola con i vi-deogame. Non è uno scherzo, solo una conse-guenza inevitabile della popolarità dei giochielettronici. La conferma, l’ennesima, che fannoparte della cultura contemporanea. Al pari di unlibro ora vengono usati negli atenei, nelle scuolee nei licei di mezzo mondo come strumento di-dattico. Dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dal Giap-pone a Singapore. E, da qualche tempo, perfinoin Italia.

«Sono entrati nelle nostre scuole in punta dipiedi due anni fa», spiega Manuela Cantoia, cheinsegna psicologia alla Cattolica di Milano.«Tutto grazie a un accordo fra il ministero dell’I-struzione e l’associazione italiana degli editoridi videogame, la Aesvi. Servono per far conosce-re la tecnologia agli studenti e servono comestrumento di indagine. World of Warcraft peresempio, il gioco di ruolo di massa online fre-quentato da oltre dieci milioni di utenti, al liceoMarconi di Milano lo usano come campo di in-dagine sulle relazioni sociali. Ma è solo uno dei

tanti casi». E cosìoggi c’è chi adopera block-buster come Assassin’s CreedoCivilization per studiare periodi storici e pro-cessi che hanno segnato un’epoca. O ancora chili utilizza per creare dinamiche di collaborazio-ne fra gruppi di studenti. Con i videogame si stu-diano le lingue straniere, la letteratura, la mate-matica, la geografia. E i professori scelgono nonsolo i titoli educativi in senso stretto, ma anchee soprattutto quelli pensati per l’intrattenimen-to che vanno per la maggiore. Simulazioni in-somma, terreni per sperimentazione, luoghiideali per testare comportamenti e teorie senzafarsi male con la realtà.

Non è un caso che lo stesso Will Wright, padredi Sim City e The Sims, per i suoi giochi più fa-mosi dedicati all’urbanistica e alle relazioni so-ciali, abbia preso spunto dalle teorie di Jay W.Forrester. Docente al Mit di Boston, è l’invento-re della dinamica dei sistemi. Dopo aver realiz-zato nella Seconda guerra mondiale un simula-tore di volo gestito da un computer analogicoper addestrare i piloti, Forrester era passato al

JAIME D’ALESSANDRO

Una delle simulazioni

più accurate

mai prodotte

sul comportamento

delle automobili

su strada

Ideale per chi deve

imparare a guidare:

Gran Turismo 5

(Sony)

per PlayStation 3

A

Repubblica Nazionale

Sembra un gioco, ma è una simulazione

in divenire di dinamiche storiche

Civilization (MicroProse), per pc, aiuta

a capire l’evolversi delle civiltà

‘‘

Creato da un disegnatore della Pixar,

una favola interattiva insegna le lettere

dell’alfabeto ai più piccoli

Numberlyes (Moonbot Studios) per iPad

Più che un videogioco è una palestra

virtuale che aiuta a diventare veri piloti

Flight Simulator (Microsoft), per pc,

dà la sensazione di volare tra le nuvole

Uno dei giochi più venduti per console

portatile insegna a disegnare

passo dopo passo

Art Academy (Nintendo) per Ds

Il gioco di ruolo di massa più popolato

al mondocon oltre dieci milioni di utenti

è World of Warcraft (Blizzard) per pc:

riproduce relazioni sociali tra i personaggi

Una serie di paradossi gravitazionali

da imparare a gestire per procedere

nel gioco. Come in un laboratorio

Portal 2 (Valve), per console e pc

Giochi a metà fra una graphic

novel e una simulazione chirurgica

Ovviamente molto semplificata

Trauma Center (Atlus), per Wii e Ds

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Pensateche i videogamesiano dannosi?È quello che si dicevadel rock’n’roll

Whirlwind, il centro nevralgico della prima reteradar di difesa degli Stati Uniti. Per approdare,infine, ai sistemi dinamici: modelli che attraver-so i computer tentavano di simulare fenomenicomplessi. Rappresentazioni della realtà indivenire per la costruzione di strategie a bre-ve e lungo termine. L’Urban Dynamics del1968 nacque così. Riproduceva alcuni aspet-ti delle grandi metropoli, dal traffico al pro-blema degli alloggi, alla disoccupazione.Dieci variabili in tutto. Sim Cityallo stato em-brionale.

«I prototipi digitali, la possibilità di realiz-zare modelli, sono fondamentali in qualsiasi

processo di apprendimento», spiega TomWujec. Mente della Autodesk, colosso america-

no che domina il settore dei software per la pro-gettazione architettonica, è una autorità nelcampo del “business visualization”. Collaborain pratica con le più grandi aziende statunitensidando un senso alle loro strategie e aiutando i va-ri team a individuare i propri punti deboli. Lavo-ro singolare dove psicologia e simulazioni sono iprimi strumenti del mestiere. «Le simulazioni

sono una forma di visualizzazione dei problemie degli ostacoli che bisogna aggirare sul piano delreale. Consentono di non fare errori e allo stessotempo aprono nuove frontiere nella progetta-zione». E i videogame in questo pare funzioninobenissimo.

Ovviamente però dipende da come li si usa.Possono rappresentare cinque minuti di puro di-vertimento che inizia e finisce, o cinque minuti distudio. «Tutti i giochi gestionali, perfino Ninten-dogs, portano a considerare peso e effetti delleproprie decisioni», continua Manuela Cantoia.«Aiutano le persone a ragionare, se li si adopera inquesto senso. Molti manager si allenano e ven-gono valutati usando i giochi elettronici. Dannoun’indicazione precisa della capacità di gestionedi un team, della rapidità di scelta, dell’abilità nel-l’analisi delle variabili». Insomma, non sfruttarliin ambito didattico sarebbe una follia.

Tre anni fa a Strasburgo, presso il Consigliod’Europa, è stato presentato un rapporto chia-mato “Games in Schools” e realizzato da Euro-pean Schoolnet, rete di trentuno ministeri del-l’educazione europei. Il progetto era nato con lo

scopo di delineare lo stato dell’arte sull’uso deigiochi elettronici nelle scuole e di fornire una se-rie di raccomandazioni sul tema. Con una do-manda di fondo: possono giocare un ruolo nel-l’insegnamento? Parteciparono più di cinque-cento insegnanti sparsi per il continente, Italiainclusa. Emerse che il 70 per cento di loro avevagià iniziato a utilizzare i videogame in classe. In-dipendentemente sia dall’età, visto che il cam-pione andava dai venti ai cinquantacinque anni,sia dalla familiarità con i giochi. Solo il 15 per cen-to, infatti, si dichiarava esperto.

«Alla fine dire videogame è come dire carta», fanotare Cantoia. «Sono un mezzo neutro. Sonocosì tanti e così diversi che ogni generalizzazio-ne è inutile. Bisogna capire quale piattaforma siusa, quale console e quale videogame e per qua-le scopo. Sono realtà diverse. E invece le famigliesi fermano alla parola “gioco” e non controllano,lasciano che sia un terreno in mano a bambini eadolescenti». Che è, sotto tutti i punti di vista, unerrore. Anzi no, un’opportunità mancata di ap-prendere qualcosa assieme.

Un modello artificiale che permette di valutare e prevedere lo svolgersi in divenire di una serie di eventi della realtà

SimulazioneGioco gestito da un computero da una console I primi sono nati negli anniCinquanta nei laboratori di ricerca americani

VideogameMondi virtuali frequentatida milioni di persone basati sulla relazione sociale fra utenti. Nati nel 1997 con Ultima Online

Gioco di ruolo di massaApproccio scientifico per capire fenomeni complessiPassa attraverso la costruzione di modelli e simulazioni al computer

Dinamica dei sistemiModello di prova utilizzatonella realizzazione di un progetto sulla base del quale vengonocostruiti i modelli successivi

Prototipo

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GL

OSSA

RIO

Shigeru Myamoto

Game designer,padre di SuperMario

Repubblica Nazionale

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Ipercalorica e indigesta: tra gli insaccati è quelloche ha la fama peggiore. Colpa delle tante contraffazioniche spesso l’hanno trasformata in salume di serie BOra la sua ricetta originaria, inventata un millennio fa, sta riguadagnandoterreno. Ecco come e perché

I saporiPopolari

«Io direi che il culatello è di destra/ la mortadella è di sini-stra/ se la cioccolata/ svizzera è di destra/ la nutella è an-cora di sinistra/ Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...».Nell’elenco cantato da Giorgio Gaber quasi vent’anni fa,la popolare mortadella era contrapposta al ricco cula-tello. In realtà, più che popolare la mortadella è il salu-

me più maltrattato in circolazione. Così facile da contraffare che siamoconvinti si tratti di un peccato di gola da pagare a caro prezzo, tra dige-stione faticosa e bruciori di stomaco. Nulla di più falso. La mortadella saessere l’insaccato più lieve che possiate immaginare, seducente, carna-le e goloso senza danno. Semplicemente, deve essere fatto come il dio deisalumi comanda.

La ricetta è così vecchia che non si riesce ad attribuirne l’invenzione.Forse gli Etruschi, che avevano come habitat imponenti distese di quer-ceti, territorio ideale per allevare i maiali (ghiotti di ghiande). Forse i Ro-mani, che utilizzavano con maestria le spezie per insaporire e sanificarele carni, ipotesi suffragata da una stele di epoca imperiale, conservata alMuseo archeologico di Bologna, su cui spicca il disegno di sette maialettial pascolo e di un mortaio con pestello, il murtatum.

Più di mille anni senza regole scritte, fino al diktat del cardinal Farnese:un suo bando, a metà del Seicento, codificò la ricetta con la percentualedi grassi, l’elenco delle droghe per l’impasto e i sigilli di garanzia a cura del-la Corporazione dei salaroli, sul cui stemma da ben tre secoli erano raffi-gurati mortaio e pestello.

Le testimonianze dell’epoca rendono omaggio alla professionalità deiSalaroli: «Tagliano la carne di maiale in piccoli pezzi, la condiscono consale, pepe, agli e un po’ di salnitro e riempiono budella di manzi. Dopo

averle lasciate due giorni in salamoia, fanno bollire le mortadelle in acqua,avendo cura di cuocerle piuttosto poco che tanto. Poi le appendono allacappa del camino fino a che siano asciutte. Così confezionate si conser-vano bene per un anno o due».

Quattro secoli più tardi, la ricetta artigiana non è cambiata di molto. Afare la differenza, la qualità della materia prima — a partire da maiali “fe-lici”, ovvero allevamenti estensivi e alimentazione naturale — i tagli scel-ti, la formula della concia, l’utilizzo del budello naturale, la cottura lenta atemperatura controllata (intorno ai 75 gradi) in forni dedicati. A cambia-re, la percentuale di grasso, scesa dal 30 al 15 per cento, e l’utilizzo dei con-servanti, da tener d’occhio sia per la scarsa digeribilità sia per la potenzia-le cancerogenicità: i norcini più bravi arrivano a miscelare due grammi dinitriti e nitrati per quintale di carne.

Mai come con la mortadella, assaggiare è il modo migliore per sceglie-re. Che sia di industriali virtuosi come Levoni o di artigiani straordinari —come Palmieri e Pasquini — chiedete al salumiere di tagliare qualche fet-ta sottile sottile, e lasciatela riposare un attimo tra lingua e palato prima dimasticare. Se il profumo vi inebria, il grasso si scioglie e le papille palpita-no, avete trovato la mortadella del cuore. Una flûte di buone bollicine oun bicchiere di lambrusco serio completeranno l’incanto.

LICIA GRANELLO

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La carneSecondo il disciplinareIgp, si usa una miscelaomogeneizzata di muscolatura striata,stomaco e grasso duro,più i lardelli di grasso di gola a cubetti

Il formatoNella produzioneindustriale, si spaziadalle versioni mini (500 grammi) fino a quasidue quintali. Gli artigianiprivilegiano pezzaturetra i 12 e i 14 chili

PaninoRosetta (o ferrarese di pasta dura) calda, fette di un millimetro per fondere il grasso, o più spesse — salva pistacchio — per masticare più a lungo

SpumaMortadella tritatafinemente, amalgamatacon la ricotta, il parmigiano e qualchecucchiaio di pannaliquida. Una volta frullata, si serve sui crostini caldi

TortelliniNella ricetta bolognese, la farcitura è caratterizzata dalla presenza della mortadella, insiemea lombo di maiale,prosciutto crudo di Parma e parmigiano

CasatielloIn concorrenza con il salame, la mortadella tagliata a dadini arricchisce la tradizionale torta salata napoletana a base di farina, strutto,uova e pecorino

E non ditemi piùche sono grassa

MortadellaRepubblica Nazionale

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DOVE DORMIRE

IL CONVENTO DEI FIORI DI SETAVia Orfeo 34/4BolognaTel. 051-272039Camera doppia da 140 euro colazione inclusa

HOTEL LA LEPRE BIANCAVia di Renazzo 88 Cento (Fe)Tel. 328-9526751Camera doppia da 80 euro colazione inclusa

HOTEL CORTE VECCHIAVia San Geminiano 1San Prospero (Mo) Tel. 059-809272Camera doppia da 85 eurocolazione inclusa

DOVE MANGIARE

RISTORANTE AL CAMBIOVia Stalingrado 152 BolognaTel. 051-328118Chiuso sabato a pranzo e domenica Menù da 40 euro

ANTICA OSTERIA DA CENCIOVia Provenzali 12Cento (Fe)Tel. 051-6831880Chiuso sabato a pranzo, domenica sera e lunedìMenù da 35 euro

BISTRÒVia Canaletto 38San Prospero (Mo)Chiuso mercoledìMenù da 30 euro

DOVE COMPRARE

LA SALUMERIA DI BRUNO E FRANCOVia Oberdan 16 Bologna Tel. 051-233692

SALUMI BONFATTI Via Alberelli 28Renazzo di Cento (Fe)Tel. 051-6850062

SALUMIFICIO PALMIERIVia Canaletto 16 San Prospero (Mo)Tel. 059-908829

SALUMIFICIO PASQUINI & BRUSIANIVia delle Tofane 38 BolognaTel. 051-6143697

Sulla strada

Non è indispensabile viaggiare per incontrare la mortadella. Sarà lei aviaggiare e a venirti incontro. La troverai ovunque, ambasciatrice e sim-bolo di un luogo che si confonderà con lei al punto da prestarle il nome.In Italia e nel mondo, Bologna è sinonimo di mortadella. Vi sono pro-dotti a cui tocca in sorte di rappresentare l’identità di un luogo, la suastoria, la sua cultura. Ciò accade quando ad apprezzarli non è solo la gen-te del posto (l’operaio o l’impiegato emiliano, come un tempo il conta-dino) ma sono il viaggiatore e il turista a scoprirne la qualità, a esportar-ne il nome. Solo un prodotto locale che sa affermarsi al di fuori dell’areadi produzione può diventare un segno identitario. È un gioco che si ri-pete regolarmente nella storia: il prodotto tipico è tale perché circola, èconosciuto, venduto, consumato altrove.

Ovviamente deve trattarsi di un prodotto fine, pregiato, costoso, qua-

le appunto fu, per secoli, la mortadella di Bologna: un salume di lusso, acui solo la speculazione industriale dell’ultimo secolo ha cercato di ro-vinare la reputazione — ma i produttori più attenti oggi hanno di nuovoribaltato la scena, mettendo sul mercato mortadelle dal sapore e dal pro-fumo ineguagliabile (diffidate di chi ve la serve a cubetti, un tanto al chi-lo: la mortadella, per esprimersi al meglio, vuol essere sottilissima). Ca-pitale del mercato alimentare oltre che antico centro di studi, “grassa” e“dotta” a un tempo, Bologna si è sempre caratterizzata come crocevia disaperi e di sapori. In tale quadro si colloca la vicenda della mortadella,che diventa il suo simbolo gastronomico. Quel simbolo viaggia per ilmondo e, come dicevamo, non è indispensabile viaggiare per incon-trarlo. Ma sul posto, si sa, le cose hanno un altro sapore: come scrisse l’e-conomista Ricardo, venuto in Italia nel 1822, «senza dubbio assaggeròla vera bologna quando sarò veramente a Bologna».

Quando mangiare “la bologna” era un lusso MASSIMO MONTANARI

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Involtini di petto di tacchino alla mortadella “Favola” Palmieri

Ingredienti per 4 persone

4 fettine di petto di tacchino da 100 gr. l’una

4 fette di mortadella

200 gr. di parmigiano grattugiato

200 cl. di panna fresca

16 scalogni di Romagna

500 cl. di vino rosso

100 gr. di burro

200 gr. di verza

5 gr. di aglio

50 gr. di pancetta

30 gr. di olio d’oliva extravergine

sale e pepe

Battere le fette di tacchino, salare, pepare e spolverare con metà formaggio

Appoggiare sopra le fette di mortadella e spolverare col rimanente parmigiano

Formare gli involtini. Adagiare in una teglia con la panna e cuocere 20’ a 180°

Tagliare la verza a striscioline e aggiungerla alla pancetta tagliata a julienne, rosolata

in olio e aglio tritato. Cuocere per alcuni minuti. Rosolare gli scalogni nel burro,

aggiungere il vino e cuocere fino a farlo evaporare. In ogni piatto, un mucchietto

di verza con sopra metà involtino tagliato di sbieco, tutto intorno gli scalogni

LA RICETTA

Gli indirizzi

La cotturaFino a 24 ore — per diecichili — in forni ad ariasecca o a vapore, dopo l’insaccatura, nella vescica naturale o sintetica, e la legatura (a mano o a macchina)

Le spezieSale, pepe (bianco, nero)intero o a pezzi, e a scelta: aglio, chiodi di garofano, coriandolo,noce moscata La variante più golosaha i pistacchi

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Nel ristorante stellato dell’hotel“La Casa di Paolo Teverini”,a Bagno di Romagna,lo chef patron miscelaingredienti del territorioe cucina tradizionale rivisitata,

come nella ricettaideata in esclusiva

per i lettoridi Repubblica

Repubblica Nazionale

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A ventisei anni era già un’iconadegli spaghetti western. Ma a lui non bastava essere“il bello”Appenapoteva scappava dall’Italia per lavorare con maestri come

Buñuel e Fassbindere soprattutto incontrareVanessa Redgrave:“Io e lei non ci siamomai lasciati veramenteÈ che nella vita

e al cinema alla fine ho sempre scelto la strada più tortuosa”

ROMA

«Aun certopunto devis c e g l i e r e .Potresti di-

ventare una star, fare film popolari eforse guadagnare un sacco di soldi, opuoi cercare continuamente ruoli di-versi, lavorare duro e avere una carrie-ra più interessante e molto più lunga.Qualcuno ti criticherà, ma alla fine avincere sarai tu». Così disse sir Lau-rence Olivier a Franco Nero sul set diCamelot. Nero scelse di prendere la se-conda strada. Allora aveva ventisei an-ni, il fisico perfetto dello sportivo, i li-neamenti regolari illuminati dallosguardo azzurro, era bello e in Italiaera già una star per via del successo diDjango, il personaggio inventato daSergio Corbucci che entrava nel film apiedi, il cappellone calato sugli occhi,la sella in spalla, trascinando una ba-ra: dopo tre minuti i morti ammazzatierano nove, alla mezz’ora erano salitia quarantotto. Un personaggio incre-dibile e una vicenda improbabile, maDjango conquistò il pubblico non so-lo italiano, fu l’inizio di una lunga seriee contribuì all’affermazione interna-zionale degli spaghetti western: soloin Germania uscirono ventisette filmdel filone.

Franco Nero diventò l’icona del we-stern italiano, ma non gli bastava. In-tanto si era introdotto nel cinema in-ternazionale interpretando Abele neLa Bibbia, il kolossal di John Huston.Dicono che il grande regista vide la suafoto e disse «Questa è la faccia che vo-glio» e lo prese senza neanche un pro-vino. La scelta di lavorare duramentee la curiosità di farlo all’estero gli han-no consentito una carriera straordi-naria: dal ’64, e cioè dall’esordio con

un vero ruolo dopo varie comparse, neLa ragazza in prestitocon Annie Girar-dot e Rossano Brazzi, ha fatto quasicentocinquanta film, una quarantinadi lavori per la tv e, grazie alla facilità diappropriarsi delle lingue, ha interpre-tato personaggi di trenta nazionalità.L’uomo dai mille voltiè non a caso il ti-tolo del documentario che gli ha dedi-cato Carlo, il figlio nato nel 1969 dal le-game con Vanessa Redgrave.

Nato a San Prospero in provincia diParma il 23 novembre 1941 comeFranco Sparanero — “Shootblack” lochiama il regista Castellari — l’attorevive i settant’anni appena compiutisenza stanchezza, anzi in piena vita-lità. «Sono settanta ma sono solo ana-grafici. Sarà per lo sport e per la sere-nità che ho conquistato, non ne sentoaddosso più di cinquanta», dice.

Con lui l’impressione immediata èquella dell’incontro con una bravapersona di una volta, che rivendicacon orgoglio le sue radici contadine eil legame con la famiglia. «I miei geni-tori sono di origine pugliese, vengonoda San Severo in provincia di Foggia,legati alle tradizioni e ai valori antichi.Mio padre era maresciallo dei carabi-nieri, mi ha insegnato il rigore e l’one-stà nel lavoro e nel rapporto con gli al-tri. Mia madre Nina a novantuno anniè ancora lucidissima. Quando sono inItalia vive con me, ancora mi sgrida sefaccio o dico qualcosa che non appro-va. Vorrebbe anche che dicessi le pre-ghiere serali. Non sono religioso comelei, ma mi ha inculcato un’abitudine:ogni sera prima di dormire mi chiedose ho fatto del male a qualcuno e chie-do scusa dentro di me».

Con la stessa, disarmante sempli-cità, l’attore parla del suo costante im-pegno sociale — da quarant’anni sioccupa del Villaggio don Bosco di Ti-voli, che accoglie ragazzi in difficoltà— e degli incontri durante la sua car-riera con maestri come Buñuel, concui è apparso in Tristana accanto aCatherine Deneuve, Fassbinder perQuerelle de Brest, Sergej Bondarciukcon cui ha interpretato il giornalistaamericano John Reed nel kolossal rus-so I dieci giorniche sconvolsero il mon-do, Marco Bellocchio per Marciatrionfale. «Sono incontri che restanopreziose memorie personali, ma perme tutto il cinema è importante, an-che i tanti piccoli film che ho fatto» e ci-ta Angelus Hiroshimae, ambientatoall’Aquila poco prima del terremoto o

i tre titoli girati in Ungheria, Arpad, Sa-cra Corona, Mario il mago o L’ultimoalchimista realizzato a San Marino.

Ma se il cinema è importante, alcentro della vita di Franco Nero c’è illegame con Vanessa Redgrave. Si sonoincontrati nel 1966 sul set di Camelot,lui era Lancillotto, lei Ginevra, lui ave-va venticinque anni, lei quattro di più.Sembrava impossibile un’intesa traun attore di western di modeste origi-ni e una Redgrave, figlia d’arte, giàgrande in teatro, battagliera militantedi sinistra, moglie di Tony Richardson,madre di due bambine. Ma anche unadonna dal carattere forte, ribelle alleconvenzioni, determinata in tutte lesue scelte. Non fu proprio amore a pri-ma vista, fu lei a decidere. Doveva co-noscerlo più da vicino e lo invitò a ce-na. Un anno dopo divorziò da Ri-chardson, si sistemò con l’attore inuna casa di St. Peter’s Square, nacqueCarlo Gabriel e vissero insieme la li-

bertà e l’eccitazione della SwingingLondon, coppia innamorata e felicenelle occasioni ufficiali e sullo scher-mo, da Un tranquillo week end di cam-pagnadi Elio Petri a La vacanzadi Tin-to Brass. A metà degli anni Settanta,con maligna soddisfazione degli scet-tici, si sparse la notizia della separa-zione. Dal 1980 al 1994, in piena fase dipassione trotzkista, la Redgrave fu le-gata a Timothy Dalton, Nero ebbe in-contri e avventure senza impegno, aparte quello con Mauricia Mena, unagiovane afrocolombiana conosciuta aCartagena. Ognuno per la sua strada?Macché. A ogni richiamo di Vanessa,Franco accorreva, e non solo per ilnormale confronto come genitori diCarlo. Come quando lei lo chiamò daParigi e gli fece interrompere le ripre-se di un film a Vienna. «Aveva bisognodella mia presenza sul palco duranteun suo recital in teatro per una setti-mana. Alla fine mi salutò e se ne andò,senza preoccuparsi del fatto che io in-tanto avevo perso il mio film a Vien-na», ricorda Nero. Racconta l’episodiosenza acrimonia ma con affetto. «Inrealtà tra Vanessa e me non c’è mai sta-ta una vera rottura definitiva», dice,consapevole del peso della sua pre-senza nella vita di lei. Franco Nero hafatto da padre alle figlie nate dal matri-monio della Redgrave con Tony Ri-chardson e da nonno ai cinque nipoti-ni, ha accompagnato all’altare primaJoely nel ’92, poi Natasha nel ’94. Equando il 18 marzo 2009 Natasha ri-mase vittima di un tragico incidente disci, Franco Nero si precipitò a NewYork, a tenere a bada la curiosità dellastampa e a occuparsi dei problemipratici che né la madre Vanessa né ilgenero Liam Neeson, smarriti nel do-lore, avrebbero potuto affrontare.

Oggi Franco Nero e Vanessa Red-grave sono marito e moglie. Si sonosposati tre anni fa nel Villaggio don Bo-sco a Tivoli con una cerimonia sem-plice da cui, dice l’attrice, è stato esclu-so ogni vincolo economico. È un ma-trimonio basato sull’amore e sul ri-spetto reciproco: si sono separati, avolte non si sono sentiti per un perio-do, spesso hanno avuto scontri feroci,si sono abbandonati e ritrovati più vol-te. Ma, appunto, non si sono mai la-sciati davvero. Di lui la Redgrave am-mira la generosità, la passione per il ci-nema, lo definisce «il più bel vecchioche esista al mondo». Mentre per lui leiresta «la pasionaria, la madre Teresa di

Londra, la Giovanna d’Arco del nostrotempo».

Sarà per il carattere schivo e mode-sto che, malgrado il possente curricu-lum, Franco Nero non è consideratotra gli interpreti eccellenti del cinemaitaliano? Eppure ha fatto film impor-tanti: Il giorno della civettadi Damianida Leonardo Sciascia, Il delitto Mat-teotti di Vancini, Il giovane Toscaninidi Zeffirelli tanto per citarne qualcu-no. «Forse c’entra il mio carattere, nonho mai fatto parte di gruppi, non sonoun presenzialista, ma è anche vero chese c’era da scegliere tra un film in Italiae uno all’estero, io partivo. Forse il miofisico non era adeguato, ho tante pas-sioni, gioco al calcio, suono la trombae adoro il jazz, ma non ho la comicitànelle vene». La bellezza insomma — laragione per cui in tanti lo convinsero alasciare gli studi di economia per se-guire un corso di recitazione al Picco-lo di Milano — non serviva al cinemadi commedia, che aveva bisogno di ca-ratteristi straordinari non necessaria-mente attraenti. Il risultato è che Fran-co Nero, più che italiano, è un attoreinternazionale. Ed è felice di esserlo,visto che di recente il pubblico televi-sivo americano lo ha apprezzato mol-to nell’episodio di Law and Order incui interpreta un candidato alle ele-zioni protagonista di uno scandalo disesso con la cameriera di un albergo —il riferimento a Strauss-Khan non è ca-suale — e ha appena recitato in un ca-meo nell’ultimo film di TarantinoDjango Unchained. Mentre in Canadasta cercando gli ambienti per The An-gel, the Brute and the Sagecon il registaEnzo G. Castellari: Nero sarà l’angelo,Murray Abraham il bruto, Keith Carra-dine il saggio. E Tarantino renderà ilfavore del cameo: si farà ammazzareda Nero che lo colpirà con pallottoledorate da un fucile a canne mozze.

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L’incontroStranieri in patria

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Non faccioparte di gruppi,non sonoun presenzialistaForse c’entra il mio carattere: non ho comicitànelle vene

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MARIA PIA FUSCO

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