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A.A. 2014/2015 Laureanda: Relatore: Lucrezia Di Florio Prof. Dott. Carlo Regoliosi Correlatore: Prof.ssa Simona Arduini Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Economia Federico Caffè Tesi di Laurea Magistrale in Economia Aziendale LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA AZIENDALE ITALIANO: IL TEMA DELL’INDIPENDENZA

LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

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A.A. 2014/2015

Laureanda: Relatore: Lucrezia Di Florio Prof. Dott. Carlo Regoliosi

Correlatore: Prof.ssa Simona Arduini

Università degli Studi Roma Tre

Facoltà di Economia Federico Caffè

Tesi di Laurea Magistrale in Economia Aziendale

LA FIGURA DELL’INTERNAL

AUDITOR

NELL’ORGANIGRAMMA

AZIENDALE ITALIANO: IL TEMA

DELL’INDIPENDENZA

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INDICE

Abstract

INTRODUZIONE…………………………………………………………………………pag. 6

1 L’OGGETTO DELL’ATTIVITA’ DI AUDIT ............................................ 10

1.1 IL CONCETTO DI RISCHIO e MEZZI PER LA TUTELA ................... 10

1.2 IL SISTEMA DI CONTROLLO INTERNO …………………………………….15

1.2.1 COSO Report I ..................................................................... 17

1.2.2 ENTERPRISE RISK MANAGEMENT o COSO Report II….………20

1.3 I TRE LIVELLI DI CONTROLLO.…………………………………………………25

2 LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR ............................................ 28

2.1 IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO .............................. 29

2.2 REGOLE PER L’INTERNAL AUDITING ......................................... 34

2.3 L’AUDITOR: CARATTERI FONDAMENTALI………………….……………42

2.4 TIPOLOGIE DI AUDITING INTERNO…………………………….…………..48

2.5 L’INCARICO DI AUDIT …………………………………………………………….51

3 L’INDIPENDENZA DELL’AUDITOR…….…………………………………………57

3.1 INDIPENDENZA SOSTANZIALE E FORMALE…………………………….59

3.2 INDIPENDENZA ORGANIZZATIVA …………………………………………..61

3.3 I FATTORI CHE INFLUENZANO L’INDIPENDENZA………………….…66

3.4 IL RUOLO DEL RESPONSABILE DELL’INTERNAL AUDITING……...72

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3.5 L’OUTSOURCING…………………………………………………………...……..75

4 L’INTERPRETAZIONE ITALIANA DEI REQUISITI DI

INDIPENDENZA..............................................................................79

CONCLUSIONI.…………………………………………………………………….……….102

BIBLIOGRAFIA....……………………………….………………………………………….105

Ringraziamenti

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4

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ABSTRACT

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di indagare le dinamiche interne

di una funzione, quella di Internal Audit, che mostra peculiarità tali

per cui potrebbe risultare difficile la compatibilità con i rapporti di

forza che naturalmente si instaurano all’interno del sistema azienda.

A parere di chi scrive il teorico posizionamento della Funzione

potrebbe infatti collidere con quella che è nella realtà la posizione

dell’auditor interno: pretendere di mantenere indipendenza totale

dall’organizzazione di cui è, a tutti gli effetti, un dipendente,

svolgendo il proprio lavoro nei locali dell’azienda, con un riporto

gerarchico ai vertici aziendali e una retribuzione erogata dall’azienda

stessa, alla stregua di ciascun’altra funzione interna.

Il problema non è superato nemmeno nel caso di attribuzione

dell’attività in outsourcing, quindi ad un’organizzazione specializzata

nella prestazione di servizi di assurance e consulenza per la gestione

dei rischi e la messa a punto del sistema dei controlli interni.

Proprio l’attività di consulenza si pone in assoluto in una posizione di

confine dal momento che implica una partecipazione attiva

dell’auditor al lavoro dei soggetti auditee, quindi una collaborazione

per il realizzo degli schemi di controllo che saranno poi oggetto di

valutazione dell’auditor stesso.

Vedremo come l’Institute of Internal Auditor e tutta la letteratura

legata alla diffusione di questo genere di servizi affrontano il

problema fissando principi volti ad impedire che venga compromessa

l’affidabilità dell’intero sistema e rifletteremo sull’effettiva efficacia

degli stessi.

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INTRODUZIONE

Dagli anni Novanta dello scorso secolo è andata diffondendosi nel

mondo imprenditoriale italiano, e ancora prima mondiale,

specialmente trai Paesi anglosassoni, la cultura del controllo. Il

modificarsi dell’ambiente esterno in cui l’azienda è chiamata ad

operare ha reso necessario che anche l’interno dell’impresa si

adattasse divenendo sempre più sofisticato. Indubbiamente

l’evoluzione più importante riguarda l’atteggiamento imprenditoriale

e il modo di concepire l’attività aziendale da parte dei vertici: da un

concetto di produzione per creare reddito ci si è affinati, andando a

ritrovare nella gestione dei rischi che minacciano quotidianamente

l’organizzazione un’importante opportunità per la creazione di

valore. L’emergere di infiniti vincoli ha reso necessario il riordino

degli assetti aziendali. L’efficientamento delle attività, a tutti i livelli, e

la gestione dell’evento negativo che potrebbe impattare sul sistema

consentono di ridurre al minimo gli sprechi di risorse, fisiche e di

capitale umano; il che già di per sé costituisce un guadagno. In questo

contesto si è andata sviluppando negli ultimi anni una nuova figura

nell’organigramma aziendale: L’Internal Auditor.

La funzione di Revisione Interna è senza dubbio una funzione sui

generis. L’Internal Auditor ricopre nell’azienda la peculiare posizione

di indipendente dipendente dell’organizzazione con responsabilità di

controllo e monitoraggio delle decisioni del management, ma anche

di consulente degli stessi vertici aziendali sull’adeguatezza e

l’efficienza dei sistemi di controllo.

Comprensibilmente questo è un argomento in grado di richiamare

forte interesse, a livello teorico come nella pratica, tanto che negli

anni si sono avvicendati diversi studi e in molti hanno provato a dare

il proprio contributo alla definizione dei contorni della figura.

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Nel 1999 The Institute of Internal Auditors Board of Directors1 (IIA)

ha approvato all’unanimità la definizione di Internal Auditing, che,

dato il prestigio dell’ente, risulta essere universalmente riconosciuta

come definizione ufficiale.

“L’internal auditing è un’attività indipendente ed obiettiva di

assurance e consulenza, finalizzata al miglioramento dell’efficacia e

dell’efficienza dell’organizzazione. Assiste l’organizzazione nel

perseguimento dei propri obiettivi tramite un approccio professionale

sistematico, che genera valore aggiunto in quanto finalizzato a

valutare e migliorare i processi di controllo, di gestione dei rischi e di

corporate governance.”

Sebbene in un primo momento la definizione sembri non lasciare

spazio a malintesi, a parere di chi scrive, è opportuno porre

l’attenzione su alcuni temi chiave per comprendere meglio il lavoro

dell’Internal auditor.

I concetti di indipendenza e obiettività costituiscono il fulcro della

definizione e nel tempo sono anche quelli che maggiormente hanno

creato confusione intorno alla figura del revisore. Procedendo, per

ora, per sommi capi possiamo definire l’indipendenza come della

capacità del soggetto di esercitare la propria attività scevro da

qualsiasi interferenza del management o dall’ambiente esterno;

condizione questa che senza dubbio eleva la figura del revisore ma

1 Institute of Internal Auditors (IIA) fondata nel 1941 a New York, è una

associazione professionale internazionale, leader mondiale per gli standard, la certificazione e la formazione per la professione di Internal Auditor. Costituisce il principale ente di riferimento non legato ad autorità di vigilanza contando oltre 180 000 membri, tutti professionisti nel campo del risk management, internal auditing, governance, controllo interno, information technology, sicurezza, ecc. In Italia, il riferimento associativo per i professionisti dell’Internal Auditing è l’Associazione Italiana Internal Auditors (AIIA), nata a Milano nel 1972 e riconosciuta come affiliazione dell’ IIA.

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che comprensibilmente si scontra in maniera inesorabile con la realtà

umana e aziendalista dell’impresa. Legata concettualmente

all’indipendenza v’è la nozione di obiettività, intesa come totale

imparzialità, assenza di preconcetti e di conflitti di interesse che

possono sorgere in qualsiasi momento durante lo svolgimento

dell’incarico. Lavorare con obiettività vuol dire lavorare in completa

autonomia, senza sottomettere il proprio giudizio professionale a

condizionamenti esterni e senza cedere a costanti compromessi.

Le scelte valutative dell’Internal auditor devono essere super partes,

almeno a livello teorico.

L’attività concretamente svolta dalla funzione di audit si divide in due

componenti fondamentali, diverse ma che spesso si influenzano a

vicenda: l’assurance e la consulenza. I servizi di assurance riguardano

la rilevazione e la conferma indipendente dei fatti aziendali, nonché

la valutazione obiettiva degli stessi, fino ad esprimere giudizi di

conformità e adeguatezza riguardo ai processi, alle informazioni e sul

sistema dei controlli interni. L’attività di consulenza è piuttosto

un’attività di supporto propositivo per il miglioramento dei processi e

delle procedure all’interno del sistema aziendale, per questo l’input

viene generalmente dal management, dal soggetto auditato2.

Entrambe le attività creano un valore aggiunto all’interno del sistema

aziendale attraverso l’analisi dei rischi e la valutazione del relativo

sistema di controllo interno con l’emersione di proposte di

miglioramento.

La finalità primaria dell’auditing interno consiste nel miglioramento

dell’efficacia e dell’efficienza dell’organizzazione.

L’efficacia è intesa come la capacità del sistema azienda di

raggiungere gli obiettivi prefissati; l’efficienza riguarda piuttosto il

rapporto tra il grado di raggiungimento degli obiettivi e la quantità di

risorse impiegate, in un’ottica quindi di valutazione costi/benefici per

un’ottimale allocazione di risorse che, per definizione, sono scarse e

2 Dittmeier C., Internal Auditing Chiave per la Corporate Governance, EGEA 2007.

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per evitare inutili ingessature nei processi aziendali. L’efficienza

pertanto si configura più tipicamente come l’obiettivo delle attività di

consulenza.

L’Internal Auditor ha una sola strada da seguire per raggiungere

questi scopi, quella di un approccio professionale sistematico in

grado di garantire nel tempo:

I. La definizione di adeguati standard e strumenti metodologici

II. L’applicazione di criteri omogenei e coerenti

III. La progressiva copertura dell’universo di audit, mediante

l’applicazione periodica e strutturata di adeguate procedure

di Risk Assessment nell’ambito della pianificazione

dell’auditing.3

Una trattazione più approfondita di questi che sono temi cruciali si

rinvia ai capitoli a seguire; per ora ci interessa indagare come una

funzione, che l’uomo della strada definirebbe “improduttiva” abbia

raggiunto una posizione anche apicale nell’organigramma aziendale.

3 Dittmeier, op. cit., pag. 15.

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CAPITOLO I : L’OGGETTO DELL’ATTIVITA’ DI AUDIT

1.1 IL CONCETTO DI RISCHIO e MEZZI PER LA TUTELA

L’azienda esiste dal momento in cui è in grado di creare valore per i

propri stakeholder; il perseguimento di quest’obiettivo può essere

ostacolato dagli eventi a cui è costantemente esposta.

L’ambiente che circonda e in cui si trova ad operare qualsiasi tipo di

sistema aziendale si caratterizza per una molteplicità di interazioni

socio economiche, che generano inevitabilmente entropia4;

quest’entropia dev’essere però dominata per non compromettere il

raggiungimento del suo fine e consentire quindi la sopravvivenza

dell’organizzazione: ciò può attuarsi attraverso il controllo. Per

quanto detto finora l’azienda può essere definita come un sistema

teleologico aperto5 , che si relaziona quindi costantemente col

mondo esterno, e questo la espone all’incertezza degli eventi che

possono colpirla: eventi che possono esercitare un impatto positivo,

4 Troina G., Le revisioni aziendali, Franco Angeli, 2005.

5 Troina G., Lezioni di Economia Aziendale, CISU, 2006.

Zanda G., Lineamenti di Economia Aziendale, Kappa, 2006.

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e quindi generare opportunità, ma anche negativo, costituendo una

minaccia al conseguimento degli obiettivi.

Il rischio è appunto definito come la possibilità che si verifichi un

evento in grado di esercitare un impatto negativo sul sistema

aziendale6.

Per un’analisi completa, tuttavia, va considerato che i rischi a cui

l’azienda è esposta non provengono solo dall’esterno, dal tipo di

business o dal mercato in cui l’azienda opera, anzi spesso si

materializzano anche all’interno del sistema aziendale come

incapacità del personale, errori umani, inadeguatezze nel disegno dei

processi, inefficienze del flusso informativo, errori e carenze

direzionali (comunicazioni sporadiche, troppo sintetiche, poco chiare,

ecc.).

Il rischio nasce dall’incertezza, che si configura come impossibilità di

determinare con precisione se e quando un evento si avrà a

verificarsi. Il livello di incertezza può e dev’essere mitigato attraverso

una sana attività di controllo, in grado di migliorare le capacità

previsionali e di gestione dei rischi all’interno dell’organizzazione.

Alla base del controllo, affinché questo risulti efficace ed efficiente,

c’è l’identificazione dei rischi, quindi la ricognizione di tutti gli eventi

e le variabili che necessitano di monitoraggio; rilevano in questo

momento solo i fattori che determinano la variabilità dei risultati

aziendali.

L’incertezza nell’accadimento di eventi potenzialmente negativi è

oggetto di analisi da parte del management che raccoglie ogni

possibile evento che potrebbe verificarsi nell’impresa, di qualsiasi

natura esso sia, e lo valuta in termini di probabilità e impatto,

monetario ma anche non monetario: eventi con scarsa probabilità di

verificarsi e basso impatto non necessitano di ulteriore

6 Dittmeier, op. cit.

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considerazione, viceversa eventi, anche di scarsa probabilità ma con

forte impatto necessitano di misure volte a minimizzare l’esposizione

dell’organizzazione; è anche così che si lavora per preservare il valore

dell’azienda, evitando che il capitale economico venga eroso, e

questa è una responsabilità propria dei vertici aziendali.

Tutti i rischi materialmente riscontrabili in azienda possono essere

ricondotti, per un’ottimale valutazione, a due categorie

fondamentali: rischio inerente e rischio residuo. Il rischio inerente è il

rischio puro, che grava sull’organizzazione in assenza di qualsiasi

azione da parte del management; rappresenta la peggiore delle

ipotesi in termini di perdita a seguito del verificarsi dell’ evento

negativo. Il rischio residuo invece è quello che rimane dopo che il

management ha implementato sistemi per mitigare l’impatto dei

rischi inerenti. Il processo di Risk Assessment dunque si focalizza

prima di tutto sui rischi inerenti e successivamente, dopo che siano

state messe a punto procedure di Risk Management, sul rischio

residuo.

Una corretta identificazione dei fattori di rischio contribuisce

all’allestimento di un’idonea risposta da parte del management. A tal

proposito si rilevano una serie di principi generali7 a cui è bene far

riferimento per improntare un efficace sistema di controlli:

La definizione dei poteri. La fonte dei poteri è rintracciabile nel

management, da cui legalmente deriva la volontà del soggetto

economico. Una chiara attribuzione dei poteri a ciascuna

funzione aziendale aiuta a mettere ordine e tracciare il

processo gestorio.

Segregazione dei compiti e delle responsabilità. Che si

concretizza, ad esempio nella separazione delle attività di

7 Troina G., Le Revisioni Aziendali, Franco Angeli, 2005.

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custodia beni da quelle di contabilizzazione, delle

responsabilità operative da quelle di contabilizzazione e delle

attività di autorizzazione da quelle di custodia.

Rotazione dei compiti. La prolungata permanenza di una

persona in una determinata posizione organizzativa può

originare situazioni di eccessiva autorità nei confronti dei

propri subalterni; concentrazione di conoscenze specifiche in

capo ad un soggetto, rendendolo di fatto indispensabile,

oppure possono instaurarsi rapporti interpersonali troppo

stretti e difficilmente sostituibili.

Corretta autorizzazione per tutte le operazioni.

Adeguata documentazione e registrazione delle operazioni.

Rende possibile ricostruire il processo decisionale per risalire

ai soggetti effettivamente responsabili.

Controllo fisico sui beni e sulle registrazioni. Può essere

realizzato mediante, ad esempio, inventari fisici, elenchi delle

persone autorizzate a disporre dei valori, servizi di vigilanza,

limitazioni all’accesso e adozione di particolari accorgimenti di

protezione.

Controlli indipendenti sulle prestazioni effettuate. Hanno la

funzione di mantenere la stabilità del sistema di controllo

interno, attraverso una opportuna “pressione” sugli operatori

aziendali. L’indipendenza del controllo può essere ottenuta

tipicamente attraverso la suddivisione delle mansioni, il

coinvolgimento di soggetti esterni (società di revisione o

auditor professionisti), oppure il ricorso a controlli interni

automatizzati nei sistemi computerizzati.

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Appare chiaro, dalla trattazione svolta finora, che l’identificazione

e la gestione del rischio sono materie d’interesse del

management che se ne occuperà prima di tutto definendo il

livello di propensione al rischio dell’azienda, il cosiddetto Risk

Appetite; in base a questo verrà ideato e implementato il sistema

dei controlli avendo a mente il trade-off che l’attività di controllo

implicitamente comporta, tra costi di attuazione e benefici

ottenibili. [Si veda a tal proposito la figura che segue]

-[Fig.1] Nella parte destra del grafico i costi superano la perdita economica che si

avrebbe qualora l’evento negativo si verificasse; costerebbe di più coprirsi dal

rischio che sostenerne l’eventuale perdita. In questo caso è conveniente farsi carico

dell’alea rinunciando a mitigarne gli effetti.-

Il management massimizza il valore dell’azienda quando formula

strategie ed obiettivi finalizzati a raggiungere un equilibrio ottimale

tra target di crescita e di redditività e rischi conseguenti, e quando

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impiega in modo efficiente ed efficace le risorse nel perseguire gli

obiettivi aziendali. La direzione aziendale ha il ruolo fondamentale di

provvedere a verificare le coerenza degli obiettivi proposti con il

rischio accettabile prefissato.

1.2 IL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI

Il SCI è un insieme di regole, procedure e strutture organizzative volte

a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione,

misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una

conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi

prefissati. L’incarico di messa a punto di questo processo aziendale è

affidato sostanzialmente al management : Consiglio di

Amministrazione, Dirigenti e altri soggetti della struttura aziendale,

ed è finalizzato a fornire una ragionevole sicurezza sul

conseguimento degli obiettivi rientranti nelle seguenti categorie8:

- efficacia ed efficienza delle attività operative (operating);

- attendibilità delle informazioni di bilancio (reporting);

- conformità alle leggi e ai regolamenti (compliance).

8 Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (COSO),

Internal Control Integrated Framework, AICPA, 1992 – www.coso.org – tradotto e integrato in PreceWaterhouseCoopers, Il Sistema di controllo interno. Progetto di Corporate Governance per l’Italia, Milano, IlSole24Ore, 2002.

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Si tratta quindi di un sistema che permette di9:

fronteggiare tempestivamente ogni trasformazione

dell’ambiente economico;

procedere in tempo utile agli adattamenti necessari per far

fronte ai continui cambiamenti;

garantire efficienza;

tutelare il patrimonio aziendale dalle possibili perdite;

garantire l’attendibilità dei bilanci e la conformità alle leggi e

ai regolamenti.

L’attività di Risk Management è diventata negli anni una componente

fondamentale della Corporate Governance in ogni azienda, ormai

anche nelle minori; il legame tra Corporate Governance e gestione

dei rischi è divenuto sempre più stretto e si configura non tanto come

una tecnica di gestione operativa quanto, piuttosto, come una

componente essenziale del governo d’impresa10: avere una buona

gestione dell’attività aziendale è sinonimo di avere un efficace ed

efficiente sistema di gestione dei rischi11. Data la frenetica mutabilità

degli scenari economici di riferimento dell’impresa, si è reso

necessario, ad opera del management, diffondere una cultura

aziendale nuova, migliorata, fortemente imperniata sulle tematiche

del controllo, volta alla sensibilizzazione del personale a percepire

come naturale l’utile sussistenza e la reale importanza dei controlli

interni12. La cultura del controllo deve consentire la percezione del

controllo come di uno strumento strategico per il conseguimento

delle più alte finalità dell’impresa, in linea con le politiche decise dai

vertici aziendali, alla stregua degli strumenti operativi.

9 Nobolo A. Il Sistema di Controllo Interno, 2010.

10 B. Hunt, The Timid Corporation: Why business is terrified of Taking Risk, Londra,

Wiley, 2003 [ in Dittmeier C. op.cit.]. 11

M. Power, The Risk Management of Everything, Demos, Londra, 2004 [in Dittmeier C. op.cit.]. 12

A. Capiello, Regolamentazione e Risk Management nelle imprese assicurative. Profili evolutivi, Franco Angeli, Milano, 2008.

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A facilitare il lavoro del management nell’implementazione dei

controlli nelle procedure aziendali è intervenuto il Committee of

Sponsoring Organizations of Treadway Commission13 , che nel 1992

ha elaborato un Framework di riferimento per la messa a punto di un

Sistema di Controllo Interno (SCI), l’“Internal Control Integrated

Framework” o COSO Report I; e poi nel 2004 ha diffuso il modello

ERM “Enterprise Risk Management- Integrated Framework” o COSO

Report II. Data la coincidenza dell’argomento e lo stacco temporale si

potrebbe pensare che uno sia l’evoluzione dell’altro, in realtà l’ERM

occorrerà all’azienda per identificare e gestire i rischi che la

circondano, invece il modello COSO Report I per comprendere e

gestire controlli interni quale parte integrante dell’operatività

aziendale.

Il vantaggio maggiore dall’elaborazione di questi due modelli di

riferimento è quello di ricondurre ad un unico linguaggio e ad un

unico approccio tutta la tematica riguardante la cosiddetta

Risk&Control Governance, che altrimenti risultava estremamente

frammentata in una moltitudine di schemi di lavoro costruiti ad hoc,

uno per ogni azienda, difficilmente apprezzabili e comparabili.

1.2.1 “Internal Control Integrated Framework” : COSO

Report I

Il COSO Report I assume la celeberrima configurazione a cubo (come

rappresentato in Fig.2), al cui interno è perfettamente riassunta la

pervasività e la sistematicità dei controlli interni.

13

Comitato costituito nel 1985 all’interno della Treadway Commission, che si occupa di fornire leadership di pensiero attraverso lo sviluppo di quadri completi e linee guida sulla gestione del rischio di impresa , il controllo interno e di deterrenza frode.

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[Fig.2]

Gli obiettivi di operating, reporting e compliance sono comuni a

ciascuna area aziendale e per ciascuna di queste il controllo si articola

in cinque componenti:

I. Ambiente di controllo

II. Valutazione dei rischi

III. Attività di controllo

IV. Informazioni e comunicazione

V. Monitoraggio.

Questi cinque elementi permeano ogni singola funzione aziendale,

ogni singolo processo rendendo il mantenimento, la definizione e il

funzionamento del SCI, una responsabilità di tutti i membri

dell’organizzazione per ciascuna area di propria attività.

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1. AMBIENTE DI CONTROLLO

Costituisce l’ambiente entro cui si innesta il sistema dei controlli: i

valori etici, la competenza e la motivazione del personale, lo stile e la

filosofia del management, l’integrità, formalizzazione di ruoli, compiti

e responsabilità, sistema di comunicazione interna (timing delle

informazioni necessarie e tempistiche di produzione di flussi e report,

tempestività delle informazioni direttive, sensibilità e ricettività da

parte delle strutture operative), l’impegno del consiglio di

amministrazione e la sua capacità di indicare chiaramente gli

obiettivi. In generale tutto quanto determina il grado di sensibilità del

personale alle esigenze di controllo.

2. VALUTAZIONE DEI RISCHI (RISK ASSESSMENT)

Riguarda tutto quanto concerne l’attività di identificazione, la

valutazione e il monitoraggio di quei fattori endogeni ed esogeni che

possono concretamente pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi

prestabiliti.

3. ATTIVITA’ DI CONTROLLO

Rappresenta l’applicazione delle politiche e delle procedure che

garantiscono al management la possibilità di mitigare i rischi e

fronteggiarli. In questa categoria rientrano tutti i controlli sui

software di sistema, gli accessi fisici e logici e le varie applicazioni

sviluppate per l’azienda.

4. INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE

Fondamentale per l’attività di controllo è la qualità delle informazioni

che si apprezza in termini di contenuti, tempestività, aggiornamento ,

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accuratezza e accessibilità. Anche i sistemi informativi devono essere

periodicamente sottoposti a controllo.

La circolazione delle informazioni crea flussi comunicativi sia verso

l’interno, indirizzati alle altre funzioni aziendali; che verso l’esterno, al

mercato e agli stakeholder in generale, in questo caso il messaggio

deve essere pertinente, aggiornato, chiaro e conforme alle richieste

regolamentari in modo che dall’esterno ci si possa rapidamente

rendere conto delle situazioni e dei rischi che l’azienda affronta.

5. MONITORAGGIO

Obiettivo del monitoraggio è di mantenere efficiente e, laddove

possibile, migliorare il sistema di controllo interno. Si realizza

mediante l’osservazione continua e valutazioni specifiche in quegli

ambiti che perché di recente introduzione o in base agli andamenti

storici, risultano essere maggiormente vulnerabili.

1.2.2 Enterprise Risk Management - Integrated

Framework” o COSO Report II

L’ERM è un modello di riferimento per la gestione dei rischi aziendali

in grado di aiutare l’azienda nella creazione di valore e vantaggio

competitivo mediante l’assunzione consapevole di rischi e la

mitigazione dei relativi effetti; è un processo iterativo e

multidimensionale in cui ogni componente può influire sull’altra. Si

sviluppa nelle tre dimensioni degli obiettivi, dei componenti del

sistema e delle articolazioni aziendali, come si può vedere dalla Fig.3,

e questo rende bene l’idea di estrema flessibilità del modello.

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La definizione fornita nel 2004 dal COSO è stata: “processo posto in

essere dal Consiglio di Amministrazione, dal management e da altri

operatori della struttura aziendale, utilizzato per la formulazione delle

strategie che interessino tutta l’organizzazione. Esso è progettato per

individuare eventi potenziali che possano influire sull’attività

aziendale, per gestire il rischio entro i limiti del rischio accettabile e

per fornire una ragionevole sicurezza sul conseguimento degli

obiettivi aziendali”.

Si identifica in questo modo un processo che coinvolge tutta

l’organizzazione in una sequenza di attività, svolto da persone che

occupano posizioni a tutti i livelli della struttura aziendale.

Questo processo occorre principalmente al management che,

mirando a massimizzare il valore dell’organizzazione, definisce gli

obiettivi strategici, sceglie la strategia, fissa gli obiettivi specifici,

coerenti con la strategia, e li assegna ai vari livelli della struttura

organizzativa.

Gli obiettivi si possono ricondurre a quattro categorie14:

I. Strategici; di competenza dei livelli più alti del management,

allineati e a supporto della missione aziendale;

II. Operativi; riguardano l’impiego efficace ed efficiente delle

risorse a disposizione.

III. Di reporting; per quanto concerne l’affidabilità delle

informazioni fornite dal reporting;

IV. Di conformità; compliance a leggi e regolamenti.

14

IIA, Price Waterhouse Coopers (a cura di), La Gestione del rischio aziendale, ERM- Enterprise Risk Management: un modello di riferimento e alcune tecniche applicative, IlSole24Ore, Milano, 2006.

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22

Negli ultimi tempi si sta diffondendo in qualche azienda anche un

quinto obiettivo, quello di “salvaguardia delle risorse”, per ora ancora

in fase di sviluppo, che si riferisce agli interventi effettuati per

prevenire possibili perdite di risorse o di attività patrimoniali che

potrebbero derivare da una cattiva gestione15.

Quello che ci interessa far presente è che gli obiettivi sono si

raggruppati in quattro categorie ma questa è una classificazione solo

teorica, nella realtà aziendale queste risultano strettamente

connesse e sovrapponibili, un determinato obiettivo può rientrare in

più categorie ed essere di competenza di più manager.

Quando il modello di gestione del rischio adottato dalla singola

azienda è giudicato efficace per ciascuna categoria di obiettivi, il

Consiglio di Amministrazione e il management hanno una

ragionevole sicurezza di venire a conoscenza di come e in che misura

gli obiettivi strategici e operativi si stanno conseguendo, che i report

sono affidabili e che si sta operando nel pieno rispetto delle leggi e

dei regolamenti in materia.

L’ERM consente al management di affrontare efficacemente le

incertezze e i conseguenti rischi e opportunità, accrescendo così le

capacità dell’azienda di generare valore16.

Le caratteristiche fondamentali sono17:

L’allineamento della strategia al risk appetite.

Il miglioramento della risposta al rischio individuato. Tra le

risposte al rischio si sceglie quella più adeguata (evitarlo,

ridurlo, condividerlo o accettarlo).

15

IIA, PWC (a cura di), op. cit. pag. 21. 16

IIA, PWC, La Gestione del Rischio Aziendale, ERM: un modello di riferimento e alcune tecniche applicative, IlSole24Ore, Milano, 2006. 17

Committee of Sponsoring Organizations of Tredway Commission (COSO), Enterprise Risk Management. Integrated Framework, settembre 2004; ed. It. A cura di AIIA e PriceWaterhouseCoopers, La Gestione Del Rischio Aziendale, Milano, IlSole24Ore, 2006.

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23

La riduzione degli imprevisti e delle perdite conseguenti. In

questo modo le aziende riducono la frequenza degli

imprevisti, dei costi e delle relative perdite.

L’identificazione e la gestione dei rischi correlati e multipli.

L’identificazione delle opportunità.

Il miglioramento dell’impiego di capitale. Avere a disposizione

informazioni affidabili sui rischi consente al management di

valutare efficacemente il fabbisogno finanziario e di

migliorare l’allocazione di capitale.

L’ERM quindi aiuta il management a conseguire i propri obiettivi di

performance e di redditività e ad evitare perdite di risorse.

-Figura 3; rappresentazione grafica ERM (fonte www.ukessays.com) -

Page 25: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

24

Le componenti da tenere in considerazione sono otto:

I. AMBIENTE INTERNO è costituito dalle persone che

compongono l’organizzazione, la loro integrità e

professionalità, i valori etici, lo stile manageriale e la filosofia

aziendale.

II. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI (objective setting) assicura che

l’organizzazione abbia stabilito obiettivi di business e di

governo coerenti con la mission aziendale e con il risk

appetite stabiliti.

III. IDENTIFICAZIONE DEGLI EVENTI riguarda l’identificazione degli

eventi esogeni ed endogeni in grado di compromettere il

raggiungimento degli obiettivi stabiliti.

IV. RISK ASSESSMENT concerne la valutazione dei rischi in termini

di probabilità e impatto e di inerenza e di residualità.

V. RISPOSTA AL RISCHIO; il management valuta come trattare il

rischio (evitarlo, accettarlo, ridurlo o cederlo a terzi -nel caso

delle assicurazioni ad esempio-) per riportarlo ad allinearsi ai

livelli tollerati.

VI. ATTIVITA’ DI CONTROLLO, ovvero tutte le attività poste in

essere per contrastare il rischio.

VII. SISTEMI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE, si devono

attivare comunicazioni diffuse nella forma e nei tempi utili ai

riceventi, in modo che queste fluiscano attraverso l’intera

struttura organizzativa: verso il basso, verso l’alto e

trasversalmente.

VIII. MONITORAGGIO, l’intero processo di ERM deve essere

monitorato e modificato dove necessario.

Chiaramente le modalità di applicazione del modello saranno sempre

parametrate alla realtà aziendale di riferimento, alle sue peculiarità

interne o dettate dal contesto esterno; in aziende medio-piccole, ad

esempio, potrebbe essere meno formale e meno strutturato, senza,

in ogni caso, sacrificarne l’efficacia.

Page 26: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

25

Già da una prima analisi risulta evidente come la logica che sottende

il modello sia completamente ribaltata rispetto al COSO Report I,

prestando maggiore attenzione al rischio piuttosto che al controllo:

un’organizzazione utilizzerà l’ERM per identificare e gestire i rischi

che la minacciano, mentre userà il modello COSO Report I per

comprendere e gestire i controlli interni18 nell’ambito dell’operatività

aziendale.

1.3 I TRE LIVELLI DI CONTROLLO

La fase di monitoraggio nella gestione dei rischi, che compete

propriamente all’Internal Auditor, si concretizza in interventi continui

integrati nella normale attività operativa aziendale o in valutazioni

separate, oppure in una combinazione dei due metodi19; in ogni caso

è bene sottolineare che tutto il sistema dei controlli non si esaurisce

solo in questa attività ma è molto più pervasiva e capillare nella

realtà aziendale a tutti i livelli.

Nel mondo bancario le Istruzioni di vigilanza20 emanate dalla Banca

d’Italia, attuative dei rinvii espressi nel TUB21 hanno, per la prima

volta in ambito nazionale, esplicitato la natura del sistema dei

controlli, evidenziandone tre livelli:

1. CONTROLLI DI LINEA volti ad assicurare il corretto

svolgimento delle operazioni; essi sono generalmente svolti dalle

18

Dittmeier C., Internal Auditing Chiave per la Corporate Governance, EGEA, Milano, 2007. 19

IIA, PWC (a cura di), La gestione del rischio aziendale, IlSolo24Ore, Milano, 2006. 20

Banca d’Italia, circolare 229/1999, Istruzioni di vigilanza per le Banche. 21

Testo Unico Bancario, d.lgs. 1º settembre 1993, n. 385, in vigore dal 1º gennaio 1994.

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26

stesse strutture produttive, sono incorporati nelle procedure che

vengono portate a termine da ciascun operatore.

2. CONTROLLI SULLA GESTIONE DEI RISCHI sono affidati a

soggetti diversi dalle strutture operative perché concorrono alla

misurazione del rischio e controllano la coerenza dell’operatività di

ciascuna area operativa con gli obiettivi di rischio-rendimento

assegnati.

3. ATTIVITA’ DI REVISIONE INTERNA volta ad individuare

andamenti anomali o il mancato rispetto delle procedure definite e

dei regolamenti (REVISIONE DI CONFORMITA’), oltre alla valutazione

del complessivo andamento del sistema dei controlli interni

(CONTROLLI DI ADEGUATEZZA). Proprio i controlli di adeguatezza

caratterizzano la figura dell’auditor e il suo ruolo, richiedendo un

giudizio professionale e di entrare nel merito dei controlli; in queste

circostanze è importante che il soggetto sia capace di interpretare al

meglio gli obiettivi di conoscenza del management e sia in grado di

apprezzare l’economicità e l’efficacia del disegno dei controlli

aziendali.

Naturalmente le tematiche legate ai controlli estesi fino alla base

della piramide gerarchica organizzativa sono fortemente sentite in

ogni tipo di impresa, non solo nel settore bancario e questo schema è

facilmente replicabile in ciascuna azienda, a maggior ragione oggi che

il Codice di Autodisciplina e la recente Riforma del Codice Civile

hanno palesato l’esigenza di spostare il momento dei controlli

sempre più verso una fase di prevenzione dal rischio piuttosto che di

risposta all’evento negativo, portando la figura dell’auditor sempre

più vicina al management e con un ruolo di prestigio e importanza

crescenti. Tutti all’interno dell’organizzazione possono e devono

partecipare all’identificazione dei rischi e al loro contrasto affinché il

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27

sistema dei controlli interni non rimanga solo uno schema polveroso

di procedure d’intralcio all’attività, ma possa costituire un momento

di partecipazione dinamica all’azienda nel lavoro di ciascuno.

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28

CAPITOLO II: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR

Appare chiaro a questo punto della trattazione che negli ultimi anni si

è assistito ad un vero e proprio stravolgimento del concetto di

Corporate Governance all’interno del sistema aziendale.

L’evolversi dell’ambiente in cui le aziende si trovano ad operare ha

comportato inevitabilmente la necessità di rivederne la struttura

organizzativa: in un mondo fin troppo volatile, in cui non sono più

ben delineati i confini, non si sa più dove si produce, per chi, a chi si

vende, chi sono i competitor e qual è l’effettiva domanda del

mercato, si rende necessario rafforzare l’interno dell’azienda,

renderla coesa, più forte e resistente attraverso il miglioramento dei

profili di trasparenza, di comunicazione e del controllo interno.

Si produce valore anche e prima di tutto tutelando la ricchezza già

esistente in azienda, proteggendola dagli eventi che potrebbero

intaccarla, e poi rafforzandone l’immagine sul mercato. Soprattutto

alla luce dei recenti scandali finanziari che si sono susseguiti sulla

scena economica mondiale, è importante creare un clima di fiducia

per creare sviluppo. E’ da questi presupposti che muove tutta la

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29

moderna trattazione relativa ai controlli interni e la costruzione del

nuovo organigramma aziendale.

2.1 IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

Per quanto riguarda la normativa di riferimento sullo scenario

internazionale, l’attenzione sui controlli interni e la Corporate

Governance è viva già da diversi anni; l’Italia ha introdotto questi

temi solo dagli anni novanta mentre nei Paesi anglosassoni i riflettori

sono accesi già dal ventennio precedente.

Il primo input è arrivato dagli Stati Uniti con il Foreign Corrupt

Practices Act (FCPA), pubblicato nel 1977 per la prima volta, e poi

rivisitato nel 1988 e successivamente nel 1998. Questo atto

legislativo è stato introdotto nell’ordinamento statunitense col

mirato scopo di contrastare la corruzione dei funzionari stranieri da

parte delle società americane al fine di ottenere o mantenere affari.

Al suo interno tuttavia sono contenute anche disposizioni in materia

di contabilità e controllo interno nella convinzione che un buon

modello organizzativo di controllo interno dovrebbe costituire un

efficace deterrente contro i pagamenti illeciti.

Nel 1985, sempre negli Stati Uniti, è stata creata la National

Commission Fraudolent Finantial Reporting, meglio nota come

Treadway Commission, col dichiarato intento di individuare le cause

del falso in bilancio e formulare raccomandazioni per contrastarlo.

Nel 1987 la Commissione ha pubblicato una relazione in cui si

caldeggiava la creazione di un Comitato all’interno del Consiglio di

Amministrazione delle imprese, cosiddetto Audit Committee,

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30

composto interamente da consiglieri indipendenti, che si ponesse

come controllore del management in merito alle capacità di

monitorare l’osservanza del codice etico adottato all’interno

dell’azienda di ciascun componente.

La diffusione di questo regolamento costituisce una pietra miliare

nella regolamentazione di tutto il mondo, quindi anche in Italia,

fornendo ispirazione per il D.Lgs. 231/2001 e la relativa istituzione di

modelli organizzativi e di organismi di vigilanza.

Nei primi anni del 2000, a seguito degli scandali finanziari di Enron e

Worldcom principalmente, che hanno fatto emergere tutti i limiti

della Corporate Governance così com’era intesa al tempo, fu

approvato il Sarbanes-Oxley Act. Il principale obiettivo dell’atto

legislativo approvato nel luglio 2002 era quello di riconquistare la

fiducia degli investitori, ormai gravemente compromessa. La strada

che si decise di intraprendere per questo cammino di riabilitazione

aziendale fu quella di rendere l’amministrazione più efficiente22 . A

questo proposito la normativa stabilisce la responsabilità personale

di tutti i funzionari aziendali per le eventuali false dichiarazioni.

Gli elementi fondamentali23 della SOX possono essere riassunti in:

1. Indipendenza delle società di revisione contabile e vigilanza

sul loro operato;

2. Maggiore attendibilità delle informazioni finanziarie e dei

processi di controllo interno contabile;

22

Le norme del Sarbanes-Oxley Act, o SOX, riguardano tutte le aziende i cui titoli azionari sono registrati presso la Securities and Exchange Commission (SEC) americana, e la cui capitalizzazione di borsa supera i settantacinque milioni di dollari. 23

Dittmeier C., Internal Auditing- Chiave per la Corporate Governance, EGEA, Milano 2007; ulteriori approfondimenti sull’ambito normativo del SOX-Act sono contenuti nel Position Paper dell’AIIA “Legge sulla tutela del risparmio”, maggio 2006.

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31

3. Accresciuti poteri di regolamentazione e vigilanza riconosciuti

alla SEC24 , soprattutto riguardo alla supervisione dell’organo

di vigilanza pubblico delle società di revisione ed emanando

regolamenti di dettaglio per assicurare la perfetta

trasparenza e aderenza alla realtà economico-finanziaria

dell’informativa data al mercato, a prescindere dalle

previsioni normative in tema di bilancio.

La Commissione Europea, traendo spunto dal SOX-Act americano, ha

lavorato ad un piano d’azione per la modernizzazione dell’impianto

normativo riguardante le società e il rafforzamento della Corporate

Governance. L’attività si è focalizzata sulla partecipazione degli

azionisti alla vita della società e quindi sul miglioramento

dell’informazione e della trasparenza, conferendo inoltre, a questi,

maggiori diritti.

Per quanto riguarda la legge interna, fino a poco tempo fa la

normativa riguardava esclusivamente i settori regolamentati,

seguendo quindi precise logiche dettate dalle Autority solo per quei

settori ritenuti più delicati, ad esempio banche, SGR e imprese di

intermediazione creditizia; dal 2003, a seguito della riforma del

diritto societario con i nuovi dettami del Codice Civile25, si sono

perfezionati i sistemi di amministrazione e controllo in tutte le

società di capitali. I cardini di questa riforma riguardano soprattutto:

1. La creazione di una netta divisione tra gestori e controllori

all’interno del Consiglio di Amministrazione, mediante la precisa

individuazione dei ruoli e delle funzioni di ciascuna figura coinvolta

nella governance aziendale;

24

Securities and Exchange Commission (Commissione per i Titoli e gli Scambi) è l'ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori; l’equivalente americano dell’italiana Consob. 25

Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n.6, denominata anche Riforma Vietti, dal nome del suo promotore.

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32

2. Maggiore enfasi sull’autoregolamentazione. Alle società è

attribuita la massima autonomia statutaria nella scelta del modello di

governance che più le favorisce allo scopo di incentivare la

competitività tra le imprese.

Il decreto legislativo 231/2001 aveva già modificato, prima della

riforma del diritto societario, lo scenario in cui le imprese si

trovavano ad operare, introducendo un concetto al tempo

rivoluzionario: la responsabilità amministrativa di tipo parapenale in

capo alla persona giuridica all’interno della quale il soggetto che

ricopre una “funzione di rappresentanza, di amministrazione o di

direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di

autonomia finanziaria e funzionale” commetta un reato nell’interesse

o a vantaggio dell’ente stesso.

Al fine di eliminare questo genere di rischio la società può dotarsi di

un idoneo modello organizzativo, in grado di procurare un legittimo

affidamento che determinate fattispecie di reato previste nel decreto

stesso non possano integrarsi. Questa costituisce esimiente alla

responsabilità dell’ente, insieme alla nomina di un Organismo di

Vigilanza (OdV) che si occupi di vigilanza e controllo sui principali

rischi26, dell’aggiornamento del modello e che curi il flusso

informativo interno all’azienda oltre ad assicurarsi un ottimale

diffusione del modello e della cultura del controllo.

Questo decreto legislativo ha avuto un forte impatto sullo sviluppo

dell’Internal Auditing in Italia poiché nell’Organismo di Vigilanza sono

ravvisabili elementi propri del revisore interno, nonostante non sia

necessaria la confusione delle due figure sullo stesso soggetto; infatti

l’Internal Auditor assume un ruolo di “cerniera” tra l'OdV medesimo

e le funzioni operative dell'azienda sino a giungere al Consiglio di

26

Nel 69,2% delle società analizzate nell’ambito dello studio portato avanti dall’Università degli studi di Parma con Deloitte e AIIA (Maggio 2015) l’Internal Auditor è anche membro dell’OdV.

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33

Amministrazione. Quello che è importante scongiurare è il rischio di

duplicazione delle attività di verifica che ha come conseguenza solo

un evidente stress organizzativo ed operativo sulla società.

A onor del vero è giusto ricordare che già nel Testo Unico della

Finanza27 (TUF) e cioè nel D.Lgs. 58 del 1998, c’era stato un primo

accenno ai controlli interni, per la prima volta in un testo normativo

tra l’altro, anche se il riferimento era prettamente alle imprese di

intermediazione finanziaria, per la tutela degli investitori e il buon

funzionamento del mercato attraverso il rispetto dei principi di

trasparenza e correttezza dei comportamenti.

La risposta italiana al SOX-Act è stata introdotta nell’ordinamento

con la legge 28 dicembre 2005, n.262 sulla tutela del risparmio e la

Corporate Governance, che è a sua volta entrata nel TUF con

l’articolo 154bis.

Con questa legge si presenta sulla scena aziendale italiana il

cosiddetto “dirigente preposto”, una nuova figura deputata alla

redazione di documenti contabili , che si occupa di istituire adeguate

procedure amministrative e contabili per la redazione del bilancio

d’esercizio e consolidato, e di ogni altra comunicazione di carattere

finanziario e se ne assume personalmente la responsabilità, sia

all’interno dell’azienda che verso il mercato. Nel dettato normativo è

inoltre introdotta una puntuale disciplina della revisione contabile,

con particolare attenzione al conflitto d’interesse e all’indipendenza

dei revisori.

27

Decreto legislativo entrato in vigore come legge ricettizia della legge comunitaria 6 febbraio 1996 n. 52, che agli articoli 8 e 21 delegava il governo ad emanare, entro due anni, un testo unico di coordinamento della normativa in materia di intermediazione finanziaria.

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34

2.2 REGOLE PER L’INTERNAL AUDITING

Per quanto riguarda la regolamentazione dell’attività propria della

funzione di Internal Auditing è necessario far riferimento all’

Institute of Internal Auditors (IIA) che, in qualità di autorità

accreditata della professione ha sviluppato e promosso la diffusione

di un modello di riferimento per la pratica professionale, il

Professional Practices Framework [Fig.4], pubblicato nel 1999. Sono

così raccolti i pilastri fondamentali dell’Internal Auditing: la

definizione, il Codice Etico, gli Standard internazionali e le Guide

Interpretative.

Fig.4 - Fonte: IIA

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35

Il framework è costruito tutto sulla Mission dell’Internal Auditing, che

nella sua ultima stesura ha vissuto una profonda rivisitazione, è stato

infatti introdotto un concetto mai usato prima con riferimento alla

funzione Audit, quello di protezione; si legge infatti: “Proteggere ed

accrescere il valore dell’organizzazione, fornendo assurance obiettiva

e risk based, consulenza e competenza”28. L’attività di revisione

interna compie un salto di qualità assumendo connotati del tutto

nuovi, ponendosi ai massimi vertici aziendali, come partner del

management, con cui si condivide l’obiettivo ultimo dell’azienda, la

creazione di valore. In quest’ottica la protezione dal rischio e la

prevenzione sono riconosciute come armi fondamentali per la

sopravvivenza dell’organizzazione e la sua buona salute, alla stregua

delle decisioni strategiche.

Come si evince chiaramente dalla Fig.3, l’IPPF è organizzato

operativamente su due componenti: la Mandatory Guidance,

vincolante e la Strongly Recommended Guidance, raccomandata. La

prima raccoglie al suo interno:

- Principi Fondamentali per la pratica professionale di Internal

Auditing

- Definizione di Internal Auditing

- Codice Etico

- Standard Internazionali;

mentre la seconda comprende:

- Guide Attuative/Interpretative

- Guide Supplementari29.

La conformità alle previsioni raccolte nei principi vincolanti è

essenziale per lo svolgimento della pratica professionale di Internal

Auditing e si prevedono specifiche forme di pubblicità, mentre le

linee guida raccomandate, approvate anch’esse dall’IIA, descrivono

28

AIIA, 2015. 29

www.aiiaweb.it

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36

pratiche professionali finalizzate all'effettiva implementazione del

Codice Etico e degli Standard Internazionali, rappresentano quindi la

best practice; ciò nonostante non è previsto alcun vincolo di

obbligatorietà.

I Principi fondamentali per la pratica professionale dell’Internal

Auditing assicurano l’efficienza della funzione e ne tracciano i

caratteri salienti. Per completezza sono di seguito ricordati:

1. Agire con manifesta integrità.

2. Dimostrare competenza e diligenza professionale.

3. Mantenere obiettività ed indipendenza di giudizio (libera da

indebiti condizionamenti).

4. Operare in coerenza con le strategie, gli obiettivi e i rischi

dell'organizzazione.

5. Avere un appropriato posizionamento organizzativo e risorse

adeguate al ruolo.

6. Dimostrare elevati standard qualitativi ed essere orientati al

miglioramento continuo.

7. Comunicare con efficacia.

8. Fornire una risk based assurance.

9. Operare con un approccio propositivo, proattivo e

lungimirante.

10. Favorire il miglioramento dell'organizzazione30.

Si può notare già dai principi fondamentali l’evidente orientamento

della funzione ad affiancare il management nella gestione aziendale,

piuttosto che a servirla.

Il Codice Etico ha il compito di promuovere la cultura etica all’interno

dell’azienda attraverso un sistema di principi morali e di regole a cui

la condotta dell’auditor deve conformarsi31 affinché si diffonda un

clima di fiducia in tutti gli stakeholder che le attività vengano svolte

con indipendenza e obiettività: è possibile, infatti, che nello

30

AIIA, www.aiiaweb.it 31

Dittmeier C., Internal Auditing , EGEA, Milano 2007.

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37

svolgimento dell’incarico il revisore sia tentato di portare avanti

pratiche in conflitto di interessi, essendo egli stesso direttamente

impiegato all’interno dell’azienda che è chiamato a valutare. Per far

fronte a questo problema sono state messe a punto negli anni una

serie di strategie di protezione volte ad arginare il fenomeno, una di

queste è appunto la definizione di un decalogo di requisiti

professionali cui uniformarsi. Il pericolo che si corre, tuttavia, con

questo atteggiamento, è quello di creare troppe barriere all’ingresso

nella professione; rendendo marcatamente elitario questo mestiere

si potrebbe arrivare a non avere risorse sufficienti per un adeguato

turn-over o per consentire una libera e sana concorrenza tra gli

operatori, anche nella determinazione del prezzo da applicare per la

prestazione32. Viceversa, lasciando la figura professionale priva di

caratterizzazioni, il rischio di incappare in soggetti che non siano

effettivamente in grado di svolgere l’incarico è alto. La soluzione

migliore a tutti questi problemi sembrerebbe essere dunque quella di

attenersi appunto ad un Codice di comportamento completo e

puntuale. In questo caso saranno portate avanti due valutazioni in

termini di costi/benefici: la prima riguarda l’organizzazione, che deve

trovare il professionista adatto al costo accettabile; la seconda

riguarda il professionista stesso, che ha tutto l’interesse a sviluppare

le proprie competenze rendendole commercialmente appetibili.

Il mancato rispetto del Codice Etico da parte dei membri dell'Institute

sarà valutato e sanzionato secondo le norme previste nello Statuto33

e nelle “Administrative Directives” IIA.

Dal punto di vista pratico, il Codice etico, si compone di due parti34:

1) I Principi, che costituiscono i fondamentali della professione

32

Hassal. T., Dunlop A. & Lewis S., Internal Audit Education: Exploring professional competence, Managing Auditing Journal 11/05, 1996. 33

Lo Statuto AIIA in vigore è stato approvato dall'Assemblea Straordinaria dei Soci il 18 aprile 2012. 34

AIIA, www.aiiaweb.it .

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38

2) Le Regole di Condotta, che descrivono le norme

comportamentali che gli internal auditor sono tenuti a

osservare e offrono un supporto per l’applicazione pratica dei

Principi.

Attraverso la definizione di Principi e Regole si delineano gli obblighi

fondamentali dell’auditor:

INTEGRITA’, che permette lo stabilirsi di un rapporto

fiduciario e quindi costituisce il fondamento dell’affidabilità

del suo giudizio professionale.

OBIETTIVITA’, che consiste nella capacità di analizzare i fatti e

le evidenze rilevanti senza subire influenze da altre persone o

da interessi personali.

RISERVATEZZA, quindi l’auditor è tenuto a non divulgare le

informazioni di cui è a conoscenza, se non nei casi in cui lo

imponga la legge.

COMPETENZA, e cioè l’utilizzo, nell’esercizio dei servizi

professionali, del bagaglio più appropriato di conoscenze,

competenze ed esperienze.

Gli Standard Professionali IIA forniscono i principi base per lo

svolgimento dell’attività attraverso la definizione di parametri per la

valutazione delle prestazioni e la ricerca del miglioramento continuo

dei processi all’interno dell’organizzazione35. Questi costituiscono un

importante punto di riferimento per lo svolgimento della professione

oltre ad offrire una garanzia di affidabilità sul corretto ed efficiente

svolgimento dell’incarico per stakeholder, management e tutti gli

organi societari, soprattutto quando l’attività è svolta in contesti

giuridici e culturali diversi, all’interno di organizzazioni che variano

per finalità, dimensioni, complessità e struttura.

35

Dittmeier C., Internal Auditing, EGEA, Milano, 2007.

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39

L’osservanza di questi Standard è obbligatoria per l’adempimento

delle responsabilità36, tuttavia è ammesso l’utilizzo congiunto con

altre disposizioni pubblicate da altri organismi professionali

riconosciuti37. In questi casi gli internal auditor possono e devono

comunicarne l’uso nello svolgimento delle proprie attività. Qualora

esistessero differenze tra gli Standard IIA e altri eventualmente

adottati, resta in ogni caso riconosciuta universalmente la prevalenza

degli standard pubblicati dal l’Associazione degli Internal Auditor e si

può far riferimento ad altri standard solo se questi sono più

restrittivi.

Gli Standard hanno lo scopo38 di:

1. delineare i principi base che prescrivono come deve essere

svolta l’attività di internal audit;

2. fornire un quadro di riferimento per lo sviluppo e

l’effettuazione di una vasta gamma di attività di internal audit

a valore aggiunto;

3. definire i parametri per la valutazione delle prestazioni

dell’internal audit;

4. promuovere il miglioramento dei processi organizzativi e

operativi.

La tipica classificazione39 prevede:

Standard di connotazione

Standard di prestazione

Standard applicativi

36

The institute of Internal Auditors, 2012. 37

Dittmeier C., op. cit. 38

IIA, 2012. 39

IIA, www.theiia.org

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40

Gli Standard di Connotazione stabiliscono quali siano le

caratteristiche necessarie ad organizzazioni e individui per lo

svolgimento delle attività, ne definiscono i “connotati”

riconducendoli a quattro macroaree:

i. Finalità, autorità e responsabilità 40, sono caratteri definiti

all’interno del Mandato di Audit, in questo modo si cerca di

assicurare l’indipendenza, l’autonomia e il libero accesso alle

informazioni.

ii. Indipendenza e obiettività41.

iii. Competenza e diligenza professionale42 , stabiliscono che chi

volesse accingersi allo svolgimento dell’attività professionale

deve prima procurarsi tutte le conoscenze, le competenze e le

capacità necessarie.

iv. Programma di assicurazione e miglioramento qualità43 , è

cura del RIA sviluppare e gestire tale programma per garantire

che l’attività sia svolta secondo i requisiti di qualità ed

eccellenza.

Gli Standard di prestazione delineano la natura dell’attività e

forniscono i criteri qualitativi di apprezzamento delle prestazioni;

sono anch’essi suddivisi in sette gruppi:

a. Gestione dell’attività di Internal auditing44;

b. Natura dell’attività45;

40

Standard IIA 1000, 1000 A.1, 1000 C.1. 41

Standard IIA 1100, 1110, 1110 A.1,1120, 1130, 1130 A.1, 1130 A.2, 1130 C.1, 1130 C.2. 42

Standard IIA1200, 1210, 1210 A.1, 1210 A.2, 1210 A.3, 1210 C.1, 1220, 1220 A.1, 1220 A.2, 1220 A.3, 1220 C.1, 1230. 43

Standard IIA 1300, 1310, 1311, 1312, 1320, 1330, 1340. 44

Standard IIA 2000, 2010, 2010 A.1, 2010 C.1, 2020, 2030, 2040, 2050, 2060. 45

Standard IIA 2100,2110, 2110 A.1, 2110 A.2, 2110 C.1, 2110 C.2, 2120, 2120 A.1, 2120 A.2, 2120 A.3, 2120 A.4, 2120 C.1, 2120 C.2, 2130, 2130 A.1, 2130 C.1.

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41

c. Pianificazione dell’incarico46;

d. Svolgimento dell’incarico47;

e. Comunicazione dei risultati48;

f. Processo di monitoraggio49;

g. Risoluzione dei contrasti in merito all’accettazione del rischio

da parte del management50.

Per quanto riguarda gli Standard applicativi, questi prevedono

caratteri personalizzati per specifiche tipologie di attività, ne esistono

perciò diversi gruppi, differenti per incarichi, ad esempio, di

assurance, control & risk self assessment, fraud audit, ecc.

In conclusione di questo breve excursus possiamo dire che gli

Standard IIA identificano tre ordini di obiettivi per l’internal auditor, il

primo è offrire un ragionevole affidamento al management che le

informazioni finanziarie siano accurate ed affidabili, focalizzando

l’attenzione sul sistema dei controlli interni, come già analizzato nel

capitolo precedente. In secondo luogo il lavoro di audit si sostanzia

nell’analisi sulla accuratezza e affidabilità dell’informazione

finanziaria e operativa e sui mezzi utilizzati per identificare, misurare

e riportare queste informazioni, in modo da accertarsi che queste

informazioni siano affidabili, tempestive, complete e utili. Il terzo

obiettivo della funzione è quello di assicurare l’osservanza di leggi,

regole, politiche, piani e procedure.

46

Standard IIA 2200, 2201, 2201 A.1, 2201 C.1, 2210, 2210 A.1, 2210 A.2, 2210 C.1, 2220, 2220 A.1, 2220 A.2, 2220 C.1, 2230, 2240, 2240 A.1, 2240 C.1, 2300. 47

Standard IIA 2300, 2310, 2320, 2330, 2330 A.1, 2330 A.2, 2330 C.1. 48

Standard IIA 2400, 2410, 2410 A.1, 2410 A.2, 2410 A.3, 2410 C.1, 2420, 2421, 2430, 2440, 2440 A.1, 2440 A.2, 2440 C.1, 2440 C.2. 49

Standard IIA 2500, 2500 A.1, 2500 C.1. 50

Standard IIA 2600.

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42

2.3 L’ AUDITOR: CARATTERI FONDAMENTALI

L’internal auditor contribuisce all’organizzazione aiutando il

management nel miglioramento de processi, creando valore; è un

consulente organizzativo multidisciplinare51 che modifica la propria

operatività in funzione dei diversi obiettivi di business e di governo

aziendale. Per questo motivo tracciare il profilo del perfetto internal

auditor, è affare piuttosto complesso, soprattutto alla luce del

percorso evolutivo che la funzione ha compiuto negli ultimi anni.

Coerentemente con la Tassonomia di Bloom52 le capacità del revisore

interno possono ricondursi a sei livelli cognitivi:

1) Memoria: capacità di ricordare informazioni, metodi, processi

e strutture, il livello più basso di astrazione ma il fondamento

dei quelli superiori;

2) Comprensione

3) Applicazione: la capacità di utilizzare le informazioni

immagazzinate e le idee per risolvere problemi;

4) Analisi: per far emergere le caratteristiche e gli elementi di un

problema, i principi e le tecniche utilizzate;

5) Sintesi: la ricostruzione dei pezzi anche per formulare ipotesi

e astrarre dai fatti;

6) Valutazione: un giudizio dato in base al metodo e ai mezzi per

raggiungere l’obiettivo prefissato.

51

Dittmeier C. con riferimento a L.B. Sawyer, M.A. Dittenhofer, Internal Auditing. The Practice of Modern Internal Auditing, 1996. 52

La tassonomia di Bloom è uno dei modi di formalizzare le fasi di acquisizione e familiarizzazione con set di informazioni o teorie. Bloom B. S., Taxonomy of Educational Objectives, D. McKey, New York, 1956 [in Managerial Auditing Journal Vol.11 n.5 1996].

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43

Il livello più alto del processo cognitivo è l’abilità di valutazione ed è

proprio parte integrante del lavoro dell’auditor interno, costituisce

ciò che gli consente di apportare valore aggiunto in azienda.

Gli Standard internazionali di connotazione precisano, come già

detto, la caratteristiche necessarie per marcare la figura

professionale del revisore interno. Oltre all’obiettività e

all’Indipendenza, di cui si è parlato nella parte introduttiva e si

tornerà a parlare approfonditamente nel proseguo, lo Standard 1210

richiama l’attenzione sul tema della competenza:

Gli internal auditor devono possedere le conoscenze, capacità e altre

competenze necessarie all’adempimento delle loro responsabilità

individuali. L’attività di internal audit nel suo insieme deve possedere

o dotarsi delle conoscenze, capacità e altre competenze necessarie

all’esercizio delle proprie responsabilità.

Le conoscenze, capacità e altre competenze cui si a riferimento nello

Standard includono53:

- competenza nell’applicazione di standard, procedure e

tecniche di internal audit nello svolgimento degli incarichi.

Competenza significa la capacità di gestire problematiche di

normale entità in modo appropriato, senza prevalente ricorso

al supporto e all’assistenza specialistica;

- competenza in materia di principi e tecniche contabili, se gli

internal auditor sono sistematicamente impegnati nella

verifica di scritture e rendiconti finanziari;

- esperienza per identificare gli indicatori di frode;

- conoscenze dei principali rischi e controlli in materia di

tecnologie informatiche e degli strumenti informatici di audit

disponibili;

53

Guida Interpretativa IIA 1210-1.

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44

- conoscenza dei principi di management per poter riconoscere

l’esistenza e valutare l’entità e la significatività di deviazioni

dalle regole della sana gestione. Conoscenza significa la

capacità di utilizzare, in specifiche situazioni reali, il proprio

bagaglio professionale per identificare deviazioni significative

ed effettuare le necessarie ricerche al fine di pervenire a

soluzioni accettabili;

- cognizioni di base su materie aziendali quali contabilità,

economia, diritto commerciale, legislazione fiscale, finanza,

analisi quantitative, tecnologie informatiche, gestione dei

rischi e frodi. Cognizione di base significa la capacità di

percepire la presenza, anche solo potenziale, di problemi e di

valutare la necessità di ulteriori approfondimenti o

l’assistenza da richiedere;

- capacità nelle relazioni interpersonali e nel mantenere buoni

rapporti con le controparti;

- capacità di esposizione sia in forma scritta che orale, allo

scopo di comunicare chiaramente ed efficacemente obiettivi,

valutazioni, conclusioni e raccomandazioni.

Per svolgere l’incarico in maniera adeguata, a ben vedere, la

competenza da sola non basta, dev’essere necessariamente

affiancata alla diligenza professionale54, che riguarda la conformità

con il Codice Etico e il Codice di condotta dell’organizzazione o quelli

relativi ad titoli professionali che l’auditor potrebbe possedere, e

dev’essere adeguata alla complessità dell’incarico55, alla probabilità

di errori o frodi e all’adeguatezza dei processi di governance e di

gestione del rischio. L’esercizio della diligenza professionale implica

che i revisori devono prestare attenzione sia alla possibilità che

esistano frodi, comportamenti dolosi, errori e omissioni, inefficienze,

sprechi e conflitti di interesse, sia alle situazioni e alle attività in cui è

più probabile il manifestarsi di irregolarità per essere certi di svolgere

54

Standard IIA 1200. 55

Guida interpretativa IIA 1220-1.

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45

l’incarico in maniera ragionevolmente prudente56, sempre tenendo a

mente però che la diligenza professionale non implica infallibilità: si

richiede al soggetto che conduca analisi e verifiche con ragionevole

profondità, ma ovviamente non è possibile fornire garanzia assoluta

dell’inesistenza di deviazioni o irregolarità. Come professionista,

l’internal auditor deve essere certamente in grado, tuttavia, di fornire

giudizi ben argomentati e basati su giustificazioni forti nello

svolgimento del proprio incarico per assicurare il successo

dell’attività.

La professionalità del soggetto abita nelle sue conoscenze, nelle

abilità e negli atteggiamenti grazie ai quali questo risulta essere in

grado di trovare soluzioni ai problemi in un determinato contesto.

Molto dipende dalle caratteristiche personali del revisore, la

professionalità può essere pensata come un “vestito” che va a

modellare le personalità dell’individuo nel suo contesto lavorativo.

Tralasciando per un attimo i dettami normativi in tema, il revisore

interno, per essere qualificato come professionista nel suo settore,

deve necessariamente vantare certe qualità, quali ad esempio57:

Capacità di problem solving;

Capacità di ragionamento deduttivo e induttivo;

Capacità di generare e organizzare le idee;

Capacità di disegnare piani d’azione sistematici;

Capacità di costruire e valutare argomentazioni;

Capacità di esplorare i problemi da diverse prospettive;

Capacità di applicare le conoscenze a situazioni diverse e

sempre nuove;

Capacità di valutare con pensiero critico la logica e la validità

delle informazioni;

56

Standard IIA 1220. 57

Chaffee J., Teaching Critical thinking Across the Curriculum, New Directions in Community Colleges, Vol.20; riportato in Lydia L.F. Schleifer & M. B. Greenawalt, The Internal Auditor and the Critical Thinking Process, Managerial Auditing Journal 11/5, 1996.

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46

Capacità di sviluppare prove a supporto delle idee;

Capacità di analisi accurata delle situazioni;

Capacità di discutere di argomenti in modo organizzato.

Ovviamente con questo breve elenco non si esaurisce il novero delle

molteplici abilità necessarie per lo svolgimento dell’ attività di

auditing, che variano peraltro anche in relazione agli obiettivi

aziendali e ai settori di appartenenza delle diverse imprese.

Nel corso degli anni la letteratura si è soffermata più volte su un altro

carattere giudicato significativo della figura dell’auditor, l’abilità di

critica. Il critical thinking si definisce formalmente come la

propensione e la capacità di approcciarsi all’attività con un riflessivo

scetticismo58, e quindi non accettare superficialmente le cose ma

scavare a fondo per ottenerne un’ esaustiva disamina. Affinché il

revisore interno giunga ad una valutazione professionale della

situazione aziendale è quindi necessario che analizzi i vari problemi

nelle loro diverse sfaccettature per arrivare ad un giudizio ben

ponderato e inattaccabile dal punto di vista delle motivazioni; per far

questo è fondamentale conoscere bene i processi in esame e,

successivamente, riflettere con salutare scetticismo, analizzando il

problema da diversi punti di vista. Il critical thinking è la risposta

razionale a domande a cui non può essere data una risposta univoca

e per cui non si hanno informazioni a sufficienza59. Ovviamente

questa abilità non sostituisce la conoscenza sul campo, tenta

piuttosto di sopperirne le lacune. Un abile critico pensatore deve,

dunque, essere capace di applicare le proprie conoscenze a nuove

situazioni e modificare il suo giudizio se necessario, quando

sopraggiungano ulteriori informazioni.

58

McPeck J.E., Critical Thinking and Education, St. Martin’s Press, New York, 1981 [in Managerial Auditing Journal Vool.12 n.2 1997] . 59

Kurfiss J.C., “Critical Thinking: theory, research, practice and possibilities, ASHERIC Higher Education Report, Washington, 1988 [in Managerial Auditing Journal 11/5 1996].

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47

E’ evidente che anche le capacità e la propensione al critical thinking

sono attributi vitali per svolgere al meglio l’audit.

L’elenco delle caratteristiche del perfetto Internal Auditor potrebbe

essere evidentemente infinito, la scelta definitiva dei soggetti

candidati a ricoprire questo ruolo all’interno dell’azienda dunque

spetta alla fine sempre al RIA, che individuerà il giusto mix di

conoscenze competenze e abilità in grado di assicurare alla funzione

una dotazione di risorse umane adeguata a soddisfare le esigenze

aziendali.

La possibilità di ottenere certificazioni in questo ambito costituisce

senza dubbio un’opportunità di diventare professionisti con

competenze e capacità riconosciute a livello internazionale, l’IIA ha

per l’appunto introdotto la qualifica CIA “Certified Internal Auditor”,

che rappresenta il marchio di qualità del revisore interno. In seguito

sono state introdotte alcune specializzazioni della Certificazione,

come ad esempio CCSA, certificazione in control self-assessment;

oppure CFSA Certified Finantial Services Auditor, per gli operatori nel

settore bancario principalmente, o ancora CRMA, certificazione in

Risk Management Assurance60,la più recente, introdotta nel 2011 per

attestare la competenza nel fornire consulenza e garanzie sul Risk

Management ai comitati di audit e all'Executive Management.

Gli ultimi dati AIIA61 indicano che su circa 2800 revisori interni iscritti

all’Associazione, circa 1400 sono in possesso di una certificazione CIA,

CCSA, CFSA oppure CRMA.

60

AIIA, www.aiiaweb.it 61

AIIA, Università di Parma, Deloitte, Connotazione e Prestazioni della funzione di Internal Audit, 27 maggio 2015.

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48

2.4 TIPOLOGIE DI AUDITING INTERNO

La nuova definizione di Internal Audit diffusa dall’IIA eleva la figura

del revisore interno ad un partner del management; il controllo

deputato a questa figura è, infatti, un controllo manageriale, con

compiti di monitoraggio e valutazione degli altri controlli.

Come già detto all’inizio del lavoro, i controlli che riguardano l’attività

aziendale sono distribuiti su tre livelli: controlli di linea; controlli sulla

gestione dei rischi e attività di revisione interna.

La revisione interna è tale proprio perché viene svolta per fini interni,

di informare e documentare in maniera sistematica il vertice

aziendale sullo stato e l’operatività del sistema dei controlli, costruito

per fronteggiare i rischi specifici dell’impresa e abbassare la

probabilità di manifestazione di quello ontologico62.

Proprio quest’attività di revisione interna può essere declinata

secondo cinque tipi di attività:

MANAGEMENT AUDIT

OPERATION AUDIT

COMPLIANCE AUDIT

FINANCIAL AUDIT

FRAUD AUDIT

Ovviamente non esiste una perfetta segregazione delle mansioni in

questa ripartizione, è probabile che ci siano delle sovrapposizioni che

nascono dall’attività dell’auditor, dalla sua sensibilità e dalla sua

esperienza.

Il management audit si occupa di investigare, dal vertice aziendale

fino al livello più basso dell’impresa, l’adeguatezza del sistema dei

62

Troina G., Lezioni di Economia Aziendale, CISU, 2006.

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49

controlli interni in termini di efficienza e di rispetto dei principi di

economicità; il parametro di riferimento è costituito dall’insieme

degli obiettivi aziendali prefissati, dal contesto ambientale e dalle

risorse dedicate. Effettua controlli sui processi e sui risultati ma, cosa

più importante, ha la facoltà di entrare nel merito delle decisioni

della direzione per verificare l’efficacia e la tempestività di questi

controlli.

L’operational audit si prefigge come scopo quello di pervenire al

miglioramento dei sistemi di controllo a livello operativo.

Mentre la funzione di Controllo di Gestione si occupa di verificare

l’economicità delle scelte operative e supporta i manager nelle scelte

per il miglioramento dei controlli sull’efficienza, il revisore interno ha

il compito di controllare l’esistenza e la funzionalità di tali controlli.

Viene condotta un’analisi a livello trasversale rispetto alle funzioni

aziendali, rilevando tipicamente problematiche di integrazione ed

efficienza. Per questo è la tipologia di audit a maggior contenuto

consulenziale e non è raro che da un’attività di operational audit

possa scaturire una reingegnerizzazione dei processi. Il punto di

partenza per questo tipo di attività è nell’identificazione di tutti i

processi aziendali, mediante il flowcharting, successivamente si

procede con l’analisi delle diverse fasi nel processo, e poi con la

verifica. All’interno dell’operational audit si estendo i controlli sul

sistema informativo; l’audit sul processo operativo implica

necessariamente un’occhiata al sistema informativo. L’ IT audit,

nell’impresa moderna, va appunto ad a fornire un audit circa la

sicurezza e l’inviolabilità dei sistemi informativi.

Nel compliance audit il revisore interno si occupa di verificare il

rispetto, nei sistemi aziendali, della normativa vigente: normativa

esterna ed interna, e quindi leggi, regolamenti ma anche principi e

politiche aziendali, procedure e disposizioni operative. In questo

senso è svolta un’attività di prevenzione, in quanto l’azienda risulta

tutelata da una serie di effetti negativi legati alla mancata osservanza

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50

delle disposizioni normative: sanzioni amministrative, penali e

interdittive63, ma anche effetti negativi in termini di immagine e

reputazione.

Il financial audit estende la sua attività nell’area contabile

dell’impresa, in questo caso si trova ad avere punti di contatto con

l’attività del revisore esterno; è importante per questo definire bene i

ruoli: il revisore esterno ha il compito di verificare l’attendibilità dei

dati contabili e la corrispondenza di questi alle attività realmente

svolte all’interno dell’azienda, l’internal auditor si occupa piuttosto di

analizzare se al livello contabile è stato attivato un sistema dei

controlli a garanzia di detta attendibilità e rispondenza, e se questo è

effettivamente adeguato alla realtà aziendale in oggetto.

Questo tipo di audit, come l’IT audit64 permeano tutte le attività

aziendali, andando a controllare una funzione all’interno dell’impresa

è inevitabile prestare attenzione anche a questi aspetti.

Il fraud audit è una tipologia di audit sui generis che si occupa di

tutelare l’azienda dalla possibilità che un’azione fraudolenta

perpetrata da un membro dell’organizzazione possa attentare

all’integrità del patrimonio aziendale. L’attività primaria dell’auditor

in questo caso è quella di prevenire la frode attraverso una

valutazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema di controllo

interno, e si articola in tre tipologie di attività: un auditing preventivo

per il rafforzamento del sistema di controllo; un auditing ispettivo al

fine di individuare eventuali atti sospetti e l’investigazione di gravi

sospetti di illecito65. Nel caso venga rilevata una frode tutta la

documentazione dev’essere inoltrata alla Procura della Repubblica.

Questo particolare ambito di auditing presenta sinergie con il

compliance auditing e con l’operational auditing, ma le modalità di

avvio dell’attività sono diverse: la funzione oggetto di fraud audit non

63

Dittmeier C., Internal Auditing, EGEA, 2007 (Op.cit.). 64

Standard IIA 1210-A3. 65

Dittmeier C. Internal Auditing, EGEA, 2007 (op. cit.).

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51

è informata preventivamente dell’avvio di un’indagine a proprio

carico.

L’attività di internal auditing nel suo insieme deve possedere e

dotarsi delle conoscenze, capacità e altre competenze necessarie

nell’esercizio delle proprie responsabilità (Standard IIA 1210); le

competenze proprie dell’operational audit sono quelle

maggiormente richieste all’interno della funzione, seguite dal

compliance audit e dal financial audit66. Purtroppo, nonostante il

crescente ruolo ricoperto dai sistemi informatici nelle aziende

moderne, l’IT audit ha ancora un posto marginale nella funzione.

Secondo Cbok67 2010 le attività principalmente svolte, e quindi con

maggior peso nel Piano di Audit, nelle imprese intervistate a livello

internazionale sono, in ordine: l’Operational Audit per l’89%, il

Compliance Audit (75%), il Financial Risk Auditing (72%) e, il Fraud

Audit per il 71%, con l’aspettativa di incrementare entro il 2015 le

attività di Risk Management.

2.5 L’INCARICO DI AUDIT

Per conciliare le risorse disponibili con le esigenze di verifica

dell’organizzazione nel suo complesso è necessario che venga redatto

un piano di Audit68, piano dell’attività predisposto dal Responsabile

della funzione di Internal Audit (RIA), basato sull’analisi dei rischi, allo

66

Risultanze dello studio condotto dall’Università di Parma con Deloitte e AIIA “Connotazione e prestazioni della funzione di internal audit”. 67

Il Cbok (Common Body of Knowledge) è un progetto di studio promosso da IIA a livello mondiale che coinvolge 13.500 auditors in 107 Paesi avviato nel 2006, con una seconda edizione nel 2010 e un’ultima nel febbraio 2015. L’obiettivo è quello di approfondire gli aspetti più importanti della professione, analizzarne i fattori di maggior interesse quali le skill richieste, i tool impiegati, il grado di compliance rispetto agli Standard internazionali e la tipologia delle attività svolte. 68

Standard IIA 2200 e 2230.

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52

scopo di determinare le priorità d’intervento. Il piano di Audit, una

volta costruito, dev’essere condiviso e approvato dal top

management, dal Comitato per il Controllo e Rischi o dal Consiglio di

Amministrazione, in base a quanto stabilito dal Mandato con cui è

stato affidato l’incarico. Lo stesso Mandato, o Audit Charter viene

approvato dal vertice aziendale e stabilisce:

- Obiettivi strategici e mission della funzione

- Autorità e responsabilità

- Tipologia di servizi richiesti e ampiezza dell’incarico,

oltre a contenere indicazioni in merito a remunerazione, rapporti con

il management e con gli altri organi sociali. Costituisce la prima tutela

all’indipendenza della funzione e ricorda le indicazioni fondamentali

dell’IIA.

Per l’appunto lo Standard 1010 recita:

Il carattere vincolante della Definizione di Internal Auditing, del

Codice etico e degli Standard deve essere rispecchiato nel Mandato di

internal audit. Il responsabile Internal Auditing dovrebbe discutere la

Definizione di Internal Auditing, il Codice Etico e gli Standard con il

senior management e il board.

All’interno del Piano di Audit sono identificate le aree da analizzare, i

tempi e le risorse da destinare a ciascuna attività, ripartendo le

giornate di lavoro di ciascun membro dello staff. Generalmente il

Piano copre un intero anno di attività e lascia pochi spazi liberi in

un’ottica di massimo efficientamento, è norma comune tuttavia

prevedere un impegno di risorse da destinare all’attività di

consulenza o comunque ad attività non pianificabili o derivanti da

urgenze.

Una volta pianificate le attività si avviano gli interventi nelle aree

individuate [si veda Figura 5]. Prima cosa da fare è comunicare

all’area oggetto di audit, nella figura del process owner, l’avvio

Page 54: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

53

dell’attività mediante una Lettera di Cortesia o di Notifica, in cui il RIA

identifica gli organi dello staff che si occuperanno dell’audit e chiede

la collaborazione e la disponibilità di risorse e informazioni per

portare avanti il lavoro. Viene così avviata una fase di analisi

preliminare che serve allo staff per familiarizzare con l’area

d’intervento, è un’analisi prettamente documentale, cui segue un

primo incontro tra staff auditor e personale dell’area auditee,

denominato Kick-off Meeting. Questo incontro preliminare è

fondamentale per chiarire lo scopo e l’ambito di coperture dell’audit,

illustrare le metodologie e ottenere la collaborazione attiva dell’area

aziendale in oggetto. Dopo la mappatura del processo si stila un

Programma di Audit che scandisca l’attività giorno per giorno sul

campo in base alle considerazioni emerse nell’analisi preliminare.

Esso stabilisce le attività di analisi e di verifica, nonché le metodologie

e le tecniche per esaminare e documentare lo svolgimento del

lavoro. Si avvia l’attività di verifica vera e propria che porterà

all’emersione delle cosiddette “evidenze di audit”, che esprimano la

situazione di fatto, costituiscono indizi su cui l’auditor potrà poi

formulare i rilievi. La cosa importante è che queste evidenze, raccolte

mediante interviste, ispezioni, calcoli, campionamenti statistici o

richieste di conferma, siano sufficienti, affidabili, rilevanti e utili.

Qualsiasi altro auditor informato deve essere in grado di giungere alle

stesse conclusioni69.

L’emergere di carenze nel sistema dei controlli interni sarà

documentato nelle “schede di rilievo di audit”, insieme alle

valutazioni dell’auditor e ai suggerimenti di integrazione del sistema

dei controlli, che saranno poi oggetto di discussione con il

management per identificare eventuali manovre correttive per

colmare le lacune.

Al termine dell’attività di audit è importante la fase di Reporting70, in

cui tutte le risultanze, positive e negative, sono oggetto di

comunicazione al responsabile di processo in maniera informale nel

69

Standard IIA 2330. 70

Standard IIA 2400, 2410, 2410.A1, 2410.A2.

Page 55: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

54

l’Exit Meeting. Questa forma di comunicazione è più fluida e meno

formale, e consente di focalizzare l’attenzione sui contenuti più che

sulla forma, dando la possibilità di correggere piccole inefficienze

senza metterle nero su bianco e senza che vengano allertati i vertici

aziendali. Il management dell’area oggetto di audit è tipicamente

motivato da obiettivi contrastanti: da una parte è consapevole che il

proprio benessere è strettamente legato al successo complessivo

dell’azienda, tuttavia i premi ad esso destinati sono correlati al livello

di performance percepito dai propri superiori; per queste ragioni è

spesso disponibile ad accogliere favorevolmente interventi di audit

volti a supportare il generale raggiungimento degli obiettivi

aziendali, ma preferisce che gli stessi si realizzassero in una forma di

consulenza personale, in modo da non compromettere la propria

immagine agli occhi del top management, anzi migliorarla. In questo

caso l’internal auditor agisce in veste di consulente. Dev’essere

inoltre tenuto in considerazione che non è detto che tutti i risultati

negativi d’analisi siano rilievi da far emergere: i risultati ottenuti

possono essere spiegato o interpretati dal management; può esserci

una spiegazione plausibile a certe anomalie.

A seguito dell’Exit Meeting lo staff di internal audit si occupa di

redigere un documento formale che riassuma tutta l’attività svolta,

relazioni sui rilievi emersi e riporti le proprie raccomandazioni. Per

dovere di cronaca è giusto che vengano riportati nell’informativa

anche eventuali punti di merito riscontrati nell’analisi del sistema dei

controlli, così da rendere un quadro chiaro della situazione all’interno

della funzione oggetto di audit e costruire un rapporto proficuo col

management responsabile.

Tutto il processo seguito dall’auditor deve essere ben ricostruito nel

documento, in quanto questo costituisce prova del carattere

professionale del lavoro svolto e deve consentire l’apprezzamento

delle medesime considerazioni da parte di un qualsiasi altro soggetto

terzo competente in materia.

Destinatari dell’informativa in oggetto sono il responsabile di

processo, il management aziendale e l’Audit Committee, quindi tutti

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55

soggetti interni all’azienda; l’attività svolta dal revisore interno è

destinata insomma ad essere apprezzata principalmente all’interno

dell’azienda.

Come accennato in precedenza l’attività dell’auditor può essere

differenziata in assurance e consulenza. La prima, è ormai chiaro,

consiste in una revisione di conformità, che raffronta la realtà

aziendale con i sistemi di controllo disegnati dal management, e in

una revisione di adeguatezza per valutare se questi sistemi siano

efficaci ed efficienti, ed evidenziarne le lacune; accanto a questi

servizi ci sono poi quelli di consulenza. Proprio lo sviluppo di questo

genere di attività ha elevato la figura dell’auditor verso un ruolo

strategico più importante all’interno dell’azienda. Il revisore così

inteso partecipa attivamente all’attività di reingenierizzazione dei

processi e dei sistemi, e quindi offre un notevole apporto per la

risoluzione dei problemi all’interno dell’organizzazione. Molti studi

hanno evidenziato per l’appunto come la funzione di Internal Audit

dia un contributo positivo nello sviluppo degli obiettivi strategici.

Tuttavia non dev’essere trascurata la possibilità che l’interessamento

dell’auditor alle dinamiche del management aziendale comporti un

indebolimento dell’obiettività propria della figura. Una ricerca

condotta nei primi anni duemila da Schneider71 sui revisori interni

delle aziende statunitensi suggerisce infatti come diretto risultato

del coinvolgimento nella consulenza manageriale la partecipazione

allo schema di remunerazione proprio del management, ovvero

basato sugli incentivi, principalmente stock-option e bonus sui

risultati, aprendo evidentemente alle possibilità di un compromesso

circa l’imparzialità. D’altra parte molto spesso proprio la figura

dell’auditor, con le sue conoscenze e competenze e con le

informazioni che riesce ad avere a disposizione mediante l’attività di

assurance, è il soggetto ideale per tracciare le linee guida da seguire

71

Schneider, A. (2003), An examination of whether incentive compensation and stock ownership affect internal auditor objectivity, Journal of Management Issues, Vol. 15; [ in Stewart J. & Subpramanian N. , Internal audit independence and objectivity: emerging research opportunities, Managerial Auditing Journal Vol.25, 2010].

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56

per il management, per aiutarlo nella stesura di piani efficaci ed

efficienti, su misura per l’organizzazione. Si rende pertanto

necessario rafforzare i parametri di determinazione di indipendenza e

obiettività della figura, riducendo così al minimo il rischio di

distorsioni.

Figura 5 - IL PROCESSO DI AUDITING.

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57

CAPITOLO III: L’INDIPENDENZA DELL’AUDITOR

Raccogliendo il rinvio fatto nei capitoli precedenti si affronta ora uno

dei temi più sentiti nel mondo aziendale e della revisione:

l’indipendenza.

L’indipendenza dell’auditor è intesa come la capacità di questo di

esprimere il proprio giudizio con onestà e imparzialità72, e

rappresenta la liberà da condizionamenti che minaccino il soggetto

nella sua attitudine ad adempiere senza pregiudizio alle proprie

responsabilità73. Senza dubbio costituisce uno dei requisiti di maggior

peso per lo svolgimento dell’incarico, basti guardare l’importanza che

assume negli Standard internazionali IIA, che si sono occupati da

sempre e a più riprese di assicurare che l’auditor potesse operare

scevro da ogni condizionamento e nella massima obiettività allo

72

Definizione resa dall’American Accounting Association, Committee on Basic Auditing Concepts nel 1973, riportata nell’ International Journal of Business and Management Vol.4/12 “Auditor Indipendence: Malaysian Accounts’ Perceptions” Dicembre 2009. 73

Interpretazione Standard IIA 1100.

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58

scopo di tutelare il legittimo affidamento che il management, gli

investitori e il governo fanno sulle dichiarazioni di quest’ultimi.

Fiducia che inevitabilmente influisce sull’immagine dell’azienda sul

mercato.

Si è parlato più volte nel corso della trattazione del ruolo importante

che la funzione di Internal Audit si è ritagliata nel ridisegno degli

assetti di Corporate Governance, andando ad affiancare con la

propria attività il management nel perseguimento dell’obiettivo

comune di creazione di valore in azienda; ciò induce l’intero staff che

compone la funzione a correre costantemente in bilico tra le

aspettative del management e il proprio compito di assurance; è un

partner del board, ma anche il suo controllore.

Questa ambivalenza è particolarmente sentita in relazione all’attività

di Risk Assessment, al miglioramento e all’implementazione di nuovi

sistemi di controllo e in generale in relazione all’attività di consulenza

che inevitabilmente comporta uno stravolgimento del proprio status

di indipendenza determinando un alone di scetticismo intorno alla

funzione74 che non considera però che la prestazione di questo

genere di servizi accresce nell’auditor la conoscenza dell’impresa

auditee creando le condizioni per una continua tensione al

miglioramento.

Riguardo a questi temi il management, com’è già accennato nei

capitoli precedenti, vive un vero e proprio dualismo interno: da una

parte riconosce il valore aggiunto che la funzione è in grado di

apportare, è ben consapevole di avere bisogno delle sue conoscenze

e competenze, ed ha tutto l’interesse a che questa sia professionale,

obiettiva e imparziale nei giudizi, ne va dell’affidabilità che loro per

primi fanno sul lavoro del revisore e del ritorno d’immagine che

l’azienda di cui sono responsabili ha rispetto all’informativa fornita

all’esterno. La stessa gestione aziendale, tuttavia, ha tutto l’interesse

ad apparire candida agli occhi del mercato e dell’Assemblea dei Soci,

74

Si vedano in proposito le evidenze degli studi condotti da Gul & Teoh nel 1984 [International Journal of Business and Management Vol.4 No.12 dicembre 2009].

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59

la loro fiducia nelle proprie capacità gestorie infatti è all’origine del

rapporto di lavoro; per questo motivo lo stesso management

preferirebbe sempre che eventuali macchie nella gestione non

venissero evidenziate nei report.

La soluzione migliore all’ambiguità costruita intorno alla funzione di

Auditing sembra quindi quella di applicare il principio del cosiddetto

“arm’s lenght”75 e cioè un posizionamento dell’auditor,

letteralmente, “a un braccio di distanza” dal management,

restandone quindi registi indipendenti ma liberi da ogni relazione che

possa interferire con il proprio giudizio in modo da preservarne

l’indipendenza.

Nel tentativo di barcamenarsi tra i numerosi interessi contrastanti

emersi finora si fa quindi appello alla moralità della figura dell’auditor

e a tutta una serie di strumenti, come il Codice Etico, gli Standard IIA

e l’IPPF già analizzati in precedenza, elaborati per guidarne l’attività.

3.1 INDIPENDENZA SOSTANZIALE E FORMALE

Procedendo per ordine al fine di cogliere tutti gli aspetti rilevanti del

tema, il requisito di indipendenza del revisore può essere apprezzato

approcciandolo secondo due punti di vista76 :

1. INDIPENDENZA SOSTANZIALE, e quindi indipendenza come

atteggiamento mentale, che induce l’auditor a prendere in

75

Principio mutuato dal commercio internazionale richiamato da G.Vinten in “Audit independence in the UK- the state of the art” Managerial Auditing Journal Vol.14 No.8 del 1999. 76

Parallelamente a quanto accade nella revisione legale. Si veda a tal proposito la Raccomandazione della Commissione Europea 590 “L’indipendenza dei revisori legali dei conti nell’UE: un insieme di principi fondamentali” 16 maggio 2002.

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60

considerazione tutti gli elementi per l’esercizio del suo

compito, ma nessun fattore estraneo e potenzialmente

condizionante. Questa caratteristica deve perciò essere

rintracciata nelle capacità professionali del soggetto: è la

bontà professionale di questo che garantisce la bontà dei

risultati. L’indipendenza è, in altre parole, una forma mentis 77che permette a colui che opera l’intervento un significativo

livello di libertà rispetto all’oggetto dell’attività stessa .

2. INDIPENDENZA FORMALE, percepita quindi agli occhi dei terzi.

Vale a dire che il revisore “evita di essere associato a fatti e

circostanze che siano tali da indurre un terzo ragionevole e

informato a mettere in dubbio la propria capacità di svolgere

il suo compito in modo obiettivo”78. Per assicurare liberà in

questo senso sono stati messi a punto una serie di strumenti a

tutela dell’operato del revisore.

La funzione di Internal Auditing è tra gli attori principali

dell’organigramma aziendale e un centro nevralgico per i flussi

informativi all’interno dell’organizzazione. Gli assetti di governance e

le procedure di riporto della funzione devono perciò garantirne in via

continuativa l’indipendenza79 e a questo scopo è favorito il libero

scambio di informazioni con il senior management e col board

mediante una duplice linea di riporto, oltre alla predisposizione di

una serie di strumenti volti a favorire il libero accesso alle

informazioni e la tutela del soggetto nello svolgimento dell’incarico.

77

Troina G., Le Revisioni Aziendali, Franco Angeli, Milano 2005. 78

Raccomandazione Commissione Europea 2002/590/CE 16 maggio 2002. 79

Dittmeier C., Internal Auditing, EGEA, Milano, 2007.

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61

3.2 INDIPENDENZA ORGANIZZATIVA

A livello formale si cerca di assicurare all’ auditor interno un certo

grado di libertà evitando che subisca qualsiasi genere di soggezione

da parte dell’organizzazione; in tal senso si prevede che il

Responsabile Internal Auditing riporti ad un livello che gli consenta il

pieno adempimento delle proprie responsabilità80. L’adeguata

collocazione della funzione all’interno dell’organigramma aziendale

rileva sia in relazione al conseguimento dell’indipendenza,

dell’obiettività e del peso organizzativo necessari all’efficace

svolgimento dell’attività di audit, sia nell’assicurare un adeguato

flusso informativo verso i vertici, quindi una adeguata considerazione

alle relazioni e un’appropriata risposta alle raccomandazioni

emesse81. Il riporto funzionale del RIA al board e quello

amministrativo al senior management facilitano pertanto

l’indipendenza organizzativa oltre a fornire un aiuto indispensabile

per ottenere la collaborazione delle funzioni soggette ad audit ed

evitare interferenze.

Come detto quindi, funzionalmente l’Internal Auditing dipende dal

vertice manageriale dell’organizzazione, questo tipicamente implica

che il board:

approvi il Mandato complessivo dell’attività di internal audit;

approvi l’internal audit risk assessment ed il relativo piano di

audit;

riceva dal responsabile internal auditing comunicazioni sui

risultati dell’attività di internal audit o su altre materie che

questi consideri di rilievo. In tali comunicazioni sono inclusi,

80

Standard IIA 1110. 81

Guida Interpretativa 1110-1: indipendenza organizzativa, AIIA.

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62

sia i colloqui riservati con il responsabile internal auditing, sia

la conferma annuale circa lo stato di indipendenza

organizzativa dell’attività;

approvi tutte le decisioni relative alla valutazione delle

prestazioni, alla designazione o alla rimozione dall’incarico del

responsabile internal auditing;

approvi la retribuzione annuale del responsabile internal

auditing e i relativi adeguamenti;

richieda gli opportuni approfondimenti al management e al

RIA, allo scopo di sincerarsi se sussistano limitazioni di budget

o di copertura che possano impedire all’attività di internal

audit di adempiere alle proprie funzioni82.

Nella gran parte dei casi, specialmente nelle società quotate, il

riporto è, più propriamente, al Comitato Controllo e Rischi, che

costituisce una cerniera tra la funzione Auditing e il Consiglio

d’Amministrazione al fine di garantire maggiore trasparenza

informativa e chiarezza sulle problematiche riscontrate dal RIA.

A garanzia dell’imparzialità dell’operato del Comitato il Codice di

Autodisciplina di Borsa Italiana S.p.a. regola attentamente la

composizione di questo prescrivendo, tra le altre cose, che vi

partecipino amministratori non esecutivi in maggioranza

indipendenti83. Ovviamente resta ferma la responsabilità in capo al

CdA interamente considerato per quanto riguarda la definizione della

natura e del profilo di rischio compatibile con gli obiettivi strategici

dell’emittente, e la valutazione del generale andamento della

gestione, tenute in considerazione, in particolare, le informazioni

82

Guida interpretativa IIA 1110-1. 83

Cod. Autodisciplina Art.7 P.4. Per le società controllate da una quotata oppure soggette ad attività di direzione e coordinamento il Comitato per il Controllo Interno ( o Comitato Controllo e Rischi) è composto esclusivamente da amministratori indipendenti.

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63

ricevute dagli organi delegati84 coerentemente con il proprio ruolo di

organo di supervisione strategica. E’ ribadita anche in questo caso

quindi che la definizione e l’implementazione del sistema dei controlli

interni è responsabilità unica del management. Per l’appunto il

Codice prevede che il Responsabile della funzione di Internal Auditing

riferisca al Comitato, al Collegio Sindacale al Consiglio di

Amministrazione e, se previsto, all’amministratore esecutivo, in

merito alla propria valutazione sull’idoneità del sistema di controllo

interno a conseguire un accettabile profilo di rischio complessivo85.

Nello scenario così delineato assume particolare importanza il

Mandato, o Audit Charter che definisce formalmente le finalità, i

poteri e le responsabilità86 dell’attività di revisione interna. Questo è

il primo documento formale redatto in azienda e stabilisce la

posizione della funzione nell’organizzazione, precisando la natura del

riporto funzionale del RIA al board, autorizza l’accesso ai dati, alle

persone e ai beni aziendali necessari allo svolgimento dell’incarico e

definisce l’ambito di copertura delle attività87 delineandone quindi

l’ampiezza.

L’approvazione del Mandato di Auditing spetta, in ossequio alle

disposizioni del Codice di Autodisciplina, al Consiglio di

Amministrazione previo parere favorevole del Comitato Controllo e

Rischi e sentito il Collegio Sindacale, che si occuperà inoltre di:

a) assicurare che la funzione sia dotata delle risorse adeguate

all’espletamento delle proprie responsabilità e

b) definirne la remunerazione coerentemente con le politiche

aziendali,

sempre allo scopo di evitare la subordinazione al management

operativo.

84

Codice di Autodisciplina 1.C.1 punti b) ed e), 2015. 85

Cod. Autodisciplina Art.7 C.5. 86

Standard IIA 1000. 87

Guida Interpretativa IIA 1000.

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64

Il Mandato chiarisce, qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, che

l’attività di auditing interno è tesa alla realizzazione di valore

aggiunto e al miglioramento dei processi aziendali e può facilitare la

diffusione di un clima positivo nei confronti dell’attività stessa,

incentivando la collaborazione e superando il clima ispettivo diffuso

intorno alla figura.

La dipendenza amministrativa del RIA nei confronti del senior

management, dell’ amministratore delegato o del comitato esecutivo

costituisce all’interno dell’organizzazione una facilitazione

dell’operatività quotidiana dell’intera funzione, a patto però che

questi non godano di autorità esclusiva sull’ambito di copertura o

sulla comunicazione dei risultati dell’attività. Ogni limitazione in

questo senso deve essere segnalata al Comitato per il Controllo

Interno88. L’amministratore delegato, nel supporto alla funzione

audit, si occuperà quindi di89:

processi di budget e contabilità analitica;

gestione delle risorse umane, compresi gli aspetti di

valutazione delle prestazioni e di remunerazione del

personale;

flussi informativi e comunicazioni interne;

gestione delle policy e delle procedure dell’attività di internal

audit.

Il RIA da parte sua, sempre allo scopo di favorire l’operatività

quotidiana della funzione, si occupa di definire direttive e procedure

per lo svolgimento dell’attività andando a redigere il cosiddetto

Manuale di Internal Auditing, essenziale per portare a termine

l’annuale piano di audit.

88

Dittmeier C., Internal Auditing, EGEA, Milano 2007. 89

Guida Interpretativa IIA 1110-1.

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65

Questo documento deve riportare esaurientemente:

i. la raccolta delle procedure generali di funzionamento della

funzione;

ii. la descrizione dei riferimenti normativi e regolamentari;

iii. l’illustrazione dei principi di deontologia professionale a cui

devono ispirarsi gli auditor;

iv. le metodologie di lavoro da seguire durante lo svolgimento

dell’incarico;

v. la presentazione ai membri dello staff degli strumenti di

lavoro a disposizione90.

Sebbene gli Standard Internazionali suggeriscano un’organizzazione

delle linee i riporto così com’è stata formalizzata finora, nella realtà

queste possono essere influenzate da diversi fattori che impediscono

l’uso di modelli standard validi per tutti, tra cui, ad esempio, la natura

tipica dell’organizzazione, e quindi la dimensione o l’appartenenza al

settore pubblico piuttosto che al privato; oppure il grado di

complessità, la struttura, il contesto culturale ed economico in cui si

trova ad operare. A ben vedere infatti l’IIA, nel definire i propri

Standard, si mantiene volutamente vago in relazione alle linee di

riporto dal momento che questi sono stati formulati per essere

applicati a qualsiasi organizzazione, a prescindere da fattori

dimensionali o ambientali. Per le unità aziendali più piccole insomma,

si può applicare un modello di gestione e controllo meno

formalizzato, tramite costante supervisione e tramite memorandum

scritti che definiscono le direttive e le procedure da seguire91.

90

Dittmeier C., Internal auditing, EGEA, Milano, 2007. 91

Guida Interpretativa IIA 2040-1.

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66

3.3 I FATTORI CHE INFLUENZANO L’INDIPENDENZA

Il mantenimento dell’indipendenza costituisce per l’auditor una vera

e propria sfida quotidiana. Come già detto, la libertà risiede prima di

tutto nella mente del soggetto chiamato allo svolgimento

dell’incarico, ma è possibile che questo sia disorientato dalle

contingenze che potrebbe trovarsi a vivere in azienda. Il primo

fattore ritenuto in grado di condizionare il suo giudizio è da ricercare

nelle peculiarità dello stesso ruolo che ricopre, di sorveglianza al

management e al tempo stesso di consulenza; si crea inevitabilmente

un’ambiguità di ruolo capace di suscitare non poche perplessità. E’ il

caso della cosiddetta autoverifica.

Il problema dell’autoverifica costituisce il primo neo

sull’indipendenza della funzione di Internal Auditing. Il self-review si

ha nel caso in cui l’auditor sia chiamato a svolgere un’attività di

verifica sul proprio lavoro, e quindi un audit sul sistema dei controlli o

su un determinato processo che lui stesso ha contribuito a disegnare

e implementare nell’ambito di una consulenza al management,

determinando in questo modo un rischio di parzialità e arbitrarietà di

giudizio. Esistono perciò una serie di accorgimenti in grado di creare

un legittimo affidamento anche nei terzi sulla bontà delle valutazioni

espresse.

E’ bene ricordare tuttavia che non tutti gli autori92 sono concordi su

queste posizioni, la minaccia all’obiettività per alcuni non risiede nella

prestazione di servizi non-audit quanto piuttosto nel corrispettivo

che da questa si genera, in grado di creare una vera e propria

“dipendenza economica” del soggetto.

92

Si veda in proposito Gul F. and Teoh “The effects of combined audit and management services on public perception of auditor independence in developing countries: the Malaysian case” (1984) *in Managerial Auditing Journal Vol.20.n.8 2005].

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67

L’ambiguità del ruolo affidato al revisore interno può essere mitigata,

ad esempio93:

1. prevedendo LINEE GUIDA BEN DEFINITE per lo svolgimento

dell’incarico, che circoscrivano i doveri e i poteri dell’auditor

incaricato;

2. prevedendo una chiara DEFINIZIONE DEI COMPITI, affinché il

soggetto abbia ben chiaro cosa deve fare in fase di

assessment o qualora dovesse riscontrare delle anomalie;

3. dotando la funzione della necessaria AUTORITA’, che la

protegga dalle pressioni del management;

4. chiarendo quali sono le RESPONSABILITA’ dello staff nello

svolgimento del lavoro;

5. tracciando dei punti di riferimento, i principi base, mediante

gli STANDARD INTERNAZIONALI;

6. pianificando una ripartizione del TEMPO a disposizione tra

attività di assurance e consulenza, idonea alle necessità

dell’azienda.

Questi requisiti, insieme ad un atteggiamento imparziale e senza

pregiudizi tentano di assicurare che l’auditor lavori in un clima di

obiettività, eseguendo il proprio incarico con l’onesto convincimento

della validità dei risultati ottenuti e senza significativi compromessi.

Ovviamente è escluso che alcun membro della funzione di audit

ricopra ruoli esecutivi.

I fattori che possono condizionare l’indipendenza organizzativa e

l’obiettività individuale dell’auditor all’interno dell’organizzazione

possono essere ricondotti ad alcune fattispecie ricorrenti:

a) CONFLITTI D’INTERESSE;

b) LIMITAZIONI NEL CAMPO D’AZIONE;

93

Riferimenti dall’opera di J.R. Rizzo “Role Conflict and ambiguity in complex organizations” del 1970 [in Managerial Auditing Journal Vol.24 n.9 2009].

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68

c) RESTRIZIONI ALL’ACCESSO AI DATI, AI DOCUMENTI, A

PERSONE O BENI rilevanti ai fini dell’incarico;

d) VINCOLI DI RISORSE, specialmente quelle finanziarie.

Il conflitto d’interessi riguarda una molteplicità di circostanze in cui il

revisore interno, che gode di una posizione di fiducia, si trova ad

avere un interesse personale o professionale contrario agli interessi

dell’azienda; questo può accadere, ad esempio quando tra

l’organizzazione e l’auditor, o un membro della sua famiglia,

intercorrano interessi economici, oppure nel caso si siano costituiti

rapporti di parentela con un membro del management94. Non è

deontologicamente corretto per il revisore, inoltre, accettare denaro

o regali da parte di dipendenti, clienti, fornitori o partner, che

potrebbero dare adito a dubbi circa la propria obiettività95.

Anche l’eccessiva familiarità con la funzione oggetto di revisione

potrebbe risultare forviante nelle valutazioni.

Per comprendere meglio questo aspetto è necessario precisare che il

Responsabile Internal Audit, nel comporre l’organico del suo staff, ha

a disposizione due alternative:

1) Recruiting esterno; e

2) Recruiting interno.

Nel primo caso i soggetti chiamati a far parte dell’organico della

funzione sono individuati sul mercato e quindi tra i candidati che

abbiano conseguito una laurea in economia, in giurisprudenza, ma

anche in scienze statistiche oppure in ingegneria informatica o anche

ingegneria gestionale, specialmente nel caso si rendessero necessarie

queste specializzazioni per lo svolgimento dell’audit in particolari tipi

di imprese.

94

Si veda a tal proposito Vanasco R. “auditor independence: an international perspective” Managerial Auditing Journal Vol.11 No.9 1996. 95

Guida Interpretativa IIA 1130-1.

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69

Si presenta frequentemente il caso, però, in cui lo staff o parte di

questo provenga da altre funzioni aziendali, quindi che sia già stato

impiegato precedentemente in azienda con altre mansioni.

Gli Standard professionali e il buon senso raccomandano agli internal

auditor di non effettuare attività di Audit in ambiti in cui ricoprivano

una precedente responsabilità, si presume infatti che queste

circostanze siano pregiudizievoli all’obiettività e di ciò dovrebbe

pertanto essere tenuto conto in fase di supervisione dell’incarico e di

comunicazione dei risultati. In tal senso è preferibile un’exemption

almeno un anno96.

Spesso nel Mandato di Internal auditing sono regolamentate queste

situazioni, tuttavia, nel caso non fossero tratti questi argomenti, il

RIA, nel valutare l’impatto su indipendenza e obiettività, deve

comunque considerare almeno i seguenti fattori97:

i requisiti stabiliti nel Codice Etico e negli Standard;

le attese degli stakeholder, tra cui gli azionisti, il consiglio di

amministrazione, il comitato per il controllo interno, il

management, gli enti legislativi, gli organismi pubblici, l’ente

regolatore e i gruppi di pubblico interesse;

l’ampiezza di poteri e/o le restrizioni contenute nel Mandato

dell’internal audit;

i requisiti di trasparenza stabiliti dagli Standard;

la copertura di audit da fornire alle attività o responsabilità

assunte dall’auditor;

la significatività di ciascuna funzione operativa per

l’organizzazione (in termini di fatturato, costi, immagine e

rilevanza);

la durata dell’incarico e l’ampiezza delle responsabilità

assegnate;

l’adeguatezza della separazione dei compiti;

96

Guida Interpretativa IIA 1130.A1-1. 97

Guida Interpretativa IIA 1130.A2-1.

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70

se esistono precedenti nel passato o evidenze sul fatto che

l’obiettività del soggetto possa essere a rischio.

Già da una prima considerazione emerge chiaramente che

l’esperienza consolidata in ruoli operativi può rappresentare più un

limite che un vantaggio per il candidato in quanto potrebbe generare

valutazioni pregiudiziali, senza considerare poi il fatto che all’interno

di quelle funzioni possono essersi ragionevolmente instaurate delle

relazioni, tanto positive quanto negative. Nel caso di relazioni

positive risulterà difficile per il RIA, che spesso è all’oscuro di tutto,

valutare il grado di indipendenza del soggetto, con ovvie ripercussioni

sull’efficacia del lavoro e a livello di immagine della funzione. D’altro

canto è possibile anche che l’aspirante auditor abbia lasciato la

precedente mansione in un clima di conflittualità che sicuramente

avrà le sue conseguenze nel nuovo rapporto di lavoro generando

certamente un’eccessiva indipendenza nello svolgere l’incarico e un

generale clima di sfiducia che dal soggetto interessato si estenderà a

tutta la funzione98.

Un clima armonioso all’interno dell’azienda è indispensabile perché

l’auditor riesca ad avere accesso alle informazioni, con mezzi formali,

ma anche in maniera confidenziale. La diffusione della cultura del

controllo, insieme alle abilità comunicative del revisore, consentono

a quest’ultimo di accedere a informazioni, considerazioni e pareri

degli organi operativi, utili a chiarire il quadro della situazione sotto i

suoi occhi. Il fenomeno del whistleblowing, con la creazione di canali

confidenziali di segnalazione da parte dei dipendenti rigorosamente

nell’anonimato, permette di identificare eventuali fonti di rischio che

non erano state trattate con la dovuta attenzione, irregolarità o

violazioni della normativa applicabile e delle procedure interne,

corregge il sistema dei controlli e contribuisce al successo dell’attività

di audit.

98

Dittmeier C., Internal Auditing, EGEA, Milano, 2007.

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71

Alla luce di tutte queste considerazioni, appare evidente che il

recruiting interno dei membri dello staff della funzione di Internal

Auditing rappresenta un’ipotesi poco raccomandata per il RIA anche

se gli standard internazionali non ne fanno esplicito divieto.

Una volta che l’azienda si sia dotata di una funzione assortita, nello

staff, secondo le proprie esigenze, è importante che questa si

mantenga efficace ed efficiente. Il mezzo migliore per assicurarsi

l’aggiornamento professionale continuo (Standard IIA 1230) è

predisporre un Piano di Formazione per la Crescita Professionale

delle risorse.

Limitazioni alla libertà dell’auditor possono provenire anche

direttamente dagli uffici operativi sottoposti a revisione o dallo

stesso management; è possibile che il process owner di turno tenti di

ostacolare l’attività limitandone il campo d’azione o interferendo con

la raccolta di informazioni, sia occultando documenti e dati sia

rifiutando la collaborazione con lo staff incaricato. E’ altrettanto

frequente che siano i vertici amministrativi, specialmente nelle

aziende dotate di un management affermato che occupa una

posizione dirigenziale da lungo tempo e quindi abituato a godere di

estrema autorità, a vincolare il lavoro di revisione con un

atteggiamento intimidatorio o materialmente, vincolando le risorse a

disposizione, specialmente quelle finanziarie, e lasciando l’Internal

Auditing sprovvisto dei mezzi necessari per lo svolgimento

dell’incarico.

Gli Standard internazionali, a tutela dell’operatività dell’auditor,

raccomandano esplicitamente che, nel caso l’indipendenza e

l’obiettività risultasse compromessa, anche solo potenzialmente, i

fatti che determinano i condizionamenti devono essere riferiti a un

livello appropriato99 che generalmente si ravvisa nel board.

99

Standard IIA 1130.

Page 73: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

72

3.4 IL RUOLO DEL RESPONSABILE DELL’INTERNAL

AUDITING

Il Responsabile della funzione di Internal Auditing riveste una

posizione centrale di coordinamento nell’organizzazione, a lui i vertici

aziendali affidano il compito di salvaguardare l’attività economica dai

rischi e di proteggerne e accrescerne il valore; è per questo motivo

che tendenzialmente l’incarico è affidato per anzianità nel settore.

L’esperienza del RIA offre maggiori garanzie sull’efficace gestione

della funzione, in conformità al Mandato, al Codice Etico e agli

Standard internazionali e infatti in Italia il 44% dei RIA ha maturato

un’esperienza di oltre quindici anni, più dell’80% di questi si occupa

di controlli da più di 6 anni 100.

Nei fatti il RIA si occupa di selezionare i membri che comporranno lo

staff in base alle risorse che il management gli mette a disposizione,

valuta i candidati scegliendoli conformemente alle necessità

dell’azienda, applicando metodi più o meno sofisticati, e si pone

come garante del loro operato.

Gli Standard internazionali impongono che riporti ad un soggetto,

interno all’azienda, dotato dell’autorità necessaria a garantirne

l’indipendenza e che ne assicuri un ampio ambito di copertura, che gli

consenta di raggiungere i massimi obiettivi della funzione, e che sia

dotato dei poteri necessari a dar seguito alle raccomandazioni

emesse, in un clima di produttiva collaborazione. All’interno

dell’organizzazione, a questa descrizione corrisponde nella generalità

dei casi, il board. Con questo si instaura una comunicazione diretta e

un rapporto di fiducia tale per cui il RIA partecipa attivamente alle

100

Dato riferito al campione di aziende, quotate e non quotate, in studio dall’Università di Parma con Deloitte e AIIA “Connotati e prestazioni della funzione di internal audit” , maggio 2015.

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73

riunioni, in modo da restare sempre correntemente informato sulle

attività strategiche e gli sviluppi operativi e prendere parte, come

consulente, al processo di revisione dei sistemi di controllo interno o

alle proposte di implementazione di nuove procedure. Durante gli

incontri, inoltre, la funzione auditing ha l’opportunità di proporre la

riflessione su alcune criticità emerse durante lo svolgimento

dell’incarico, sulle procedure in corso e sui pericoli rilevati, in modo

da iniziare tempestivamente un’attività di contrasto, coerentemente

con l’approccio preventivo ai rischi e prima che questi compaiano sul

report. Le Guide Interpretative IIA raccomandano, oltre ai vari ed

eventuali incontri informali, una riunione separata col board da

tenersi almeno una volta l’anno101 e la certificazione dello stato di

indipendenza della funzione. In questo senso il RIA costituisce un

“ponte” tra la funzione e il resto dell’organizzazione, che consente di

lavorare con imparzialità ma sempre al servizio degli interessi

aziendali.

Come già detto, ciascun membro della funzione di revisione interna

deve svolgere l’attività con la massima obiettività, il RIA ha l’obbligo

di controllare il rispetto di questa condizione supervisionando l’intero

lavoro prima di emettere il rapporto e assicurandosi che questi non

subiscano reali o anche solo potenziali condizionamenti. Ogni interal

auditor dovrebbe riferire al Responsabile l’emersione di conflitti di

interesse o ciascun altra circostanza idonea a comprometterne

l’indipendenza102 ma, per assicurarsi la massima tutela della funzione,

è lui stesso a richiedere periodicamente ai propri collaboratori

un’informativa in merito, in base alla quale valuterà la possibilità di

modificare l’assegnazione degli incarichi.

A ciascun Responsabile della funzione di Internal Auditing (RIA) o

Chief Audit Executive (CAE) è richiesto di sviluppare e implementare

un Programma di assurance e miglioramento della qualità (Quality

Assurance and Improvement Program -QAIP- ) che consenta di

101

Guida Interpretativa IIA 1111-1. 102

Guida Interpretativa 1130-1.

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74

verificare se la funzione, così com’è costruita in azienda, sia conforme

alla definizione data dall’IIA e se l’incarico sia stato portato a termine

in osservanza degli Standard e del Codice Etico. Il programma inoltre

è teso a valutare l’efficacia e l’efficienza dell’attività svolta e ad

identificare le possibili opportunità di miglioramento mediante

valutazioni sia interne che esterne. Le valutazioni interne nascono dal

monitoraggio continuo della prestazione, che è incorporato

naturalmente nelle procedure utilizzate per svolgere l’incarico, cui

sono affiancate periodiche auto-valutazioni o valutazioni di soggetti

interni all’organizzazione che abbiano dimostrato di conoscere l’IPPF

e le metodologie di revisione, di solito il RIA o il CAE o comunque un

auditor certificato, anche in occasione della revisione annuale

dell’audit plan.

Al contrario, le valutazioni esterne devono essere effettuate con

cadenza quinquennale da parte di un valutatore o di un team di

valutatori estranei all’organizzazione, oppure, eccezionalmente può

essere un’auto-valutazione con validazione esterna. Le valutazioni si

concentrano sull’osservanza delle Mandatory Guidance

dell’International Professional Practice Framework. Nonostante la

disposizione degli Standard IIA (Standard 1300) in Italia solo il

39,52%103 delle società dichiara di essersi dotata di un Programma di

Assurance e Miglioramento della Qualità dell’internal auditing. La

maggiore sensibilità al tema è espressa sicuramente dalle società

quotate, soprattutto nel settore dei servizi (50%) e nel settore

finanziario (43,18%). Le modalità, la frequenza e l’individuazione di

soggetti qualificati per la valutazione è oggetto di discussione tra il

responsabile della funzione e il board.

103

Dato relativo al campione di aziende selezionato nell’ambito dello studio “Connotati e prestazioni della funzione di internal audit” già citata, maggio 2015.

Page 76: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

75

3.5 L’OUTSOURCING

Accade qualche volta che lo svolgimento delle mansioni dell’Internal

Auditing venga affidato a società specializzate nella gestione del

rischio e nello sviluppo dei sistemi di controllo, portando in questo

modo la funzione completamente all’esterno dell’azienda. La scelta

dell’outsourcing generalmente è dettata da politiche di

contenimento dei costi; molte organizzazioni non sono abbastanza

grandi e non muovono volumi finanziari tali da sopportare l’onere di

uno staff impiegato full-time nell’auditing, in questi casi il RIA, che

resta comunque interno all’organizzazione, svolge l’importante ruolo

di cerniera tra l’azienda e il suo provider. Altre aziende invece

scelgono il co-sourcing, e quindi di affiancare ad un organo interno di

dimensioni minime, uno staff preso in outsourcing per le attività più

impegnative con l’obiettivo di ottenere la maggiore flessibilità

possibile sulle spese. L’importante è che il soggetto esterno sia

dotato dei medesimi requisiti di professionalità e indipendenza104.

Spesso la scelta di affidarsi a un’azienda specializzata, con anni di

esperienza nel settore, assicura una qualità del servizio maggiore

rispetto a quello offerto internamente, in special modo riguardo

all’auditing in aree aziendali che richiedono conoscenze specifiche, ad

esempio per i sistemi IT.

Se da una parte la scelta di collocare la funzione all’esterno dei

confini aziendali potrebbe apparire la soluzione perfetta all’annosa

questione dei dipendenti indipendenti, con tutte le perplessità che,

come visto, questo comporta; a ben vedere vengono a crearsi nuovi

ordini di problemi intorno alla valutazione dell’imparzialità della

funzione. Cambiano i rapporti di forza, e spesso è una questione di

cifre. Se per un dipendente può essere difficile mantenere

104

Codice di Autodisciplina art.7 C.6.

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76

l’indipendenza dal proprio datore di lavoro, sicuramente quando le

parti sono due aziende corre l’obbligo di alcune considerazioni105:

1) la grandezza dell’azienda di audit; certamente quanto più la

società affidataria dell’outsourcing sarà grande, tanto

maggiore sarà la sua capacità di resistere alle pressioni del

management auditee; al contrario le caratteristiche proprie

delle piccole realtà ledono l’indipendenza in quanto

favoriscono una maggiore personalizzazione del lavoro e un

rapporto più stretto col cliente.

2) La concorrenza sul mercato delle altre aziende del settore; le

società che operano in un mercato con alti livelli di

competitività troveranno maggiori difficoltà a restare

imparziali e obiettive dal momento che il cliente troverà

facilmente un rimpiazzo in grado di offrirgli il servizio che

cerca. Si innesca in questo modo il fenomeno dell’opinion

shopping.

3) L’entità della fee corrisposta alla società di revisione; un

trasferimento ingente di denaro potrebbe nascondere

tutt’altro genere di interessi.

4) La prestazione di servizi di consulenza al management

(Management Advisory Services); l’occupazione in attività

non-audit espone l’azienda all’intensificarsi dei rapporti di

lavoro col cliente, che incide negativamente sulla percezione

di indipendenza all’esterno.

5) L’esistenza del Comitato Controllo e Rischi o Audit committee;

il Comitato si occupa, tra le altre cose, di aiutare l’auditor a

restare indipendente nei confronti del management e questo

è percepito positivamente sul mercato, fornisce un’ulteriore

garanzia e aumenta l’affidamento che anche investitori e

creditori hanno nell’azienda.

105

Bakar & Ahmad “Auditor Independence: Malaysian Accounts’ Perceptions” 2009.

Page 78: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

77

Il fenomeno dell’opinion shopping, e cioè della ricerca dell’auditor

disposto ad avallare il trattamento proposto dall’azienda stessa per

aiutarla a raggiungere i propri obiettivi di reporting, anche se ciò

comporta la totale inaffidabilità delle valutazioni emesse; così come

quello del lowballing, e quindi della prestazione di servizi remunerati

sottocosto, che la SEC equipara al mancato pagamento della fee,

possono compromettere gravemente l’indipendenza dell’auditor e di

conseguenza la qualità dei report emessi, qualità che, specialmente

nel caso di outsourcing e nelle aziende con alti costi d’agenzia,

ricopre un ruolo di primaria importanza per la fiducia del mercato.

Tutte queste valutazioni sono opportune e debite considerando che

proprio sul lavoro svolto dai provider esterni il RIA potrebbe fondare

le proprie decisioni; l’eventuale fallimento dell’attività di audit resta

comunque di responsabilità esclusiva del team leader.

Ragionevolmente l’esternalizzazione dell’attività di audit interno

potrebbe comportare la confusione di questa con la revisione

esterna, attività espressamente affidata a soggetti estranei

all’organizzazione, che però svolge un controllo circoscritto alle

materie del bilancio, finalizzato a certificare ai terzi che l’informativa

emessa dall’azienda sia veritiera e corretta, e quindi rivolta ad un

pubblico diverso e con finalità differenti rispetto alla gestione del

rischio e la tutela del patrimonio aziendale.

Corre l’obbligo riportare, a questo punto, la posizione dell’IIA che è

decisamente contraria alla scelta dell’outsourcing in quanto

considerata in aperto contrasto con le previsioni del Committee of

Sponsoring Organizations (COSO) che prescrive che il controllo

interno sia effettuato da soggetti interni all’organizzazione, che

l’Internal Auditing è parte integrante del sistema dei controlli interni

e una responsabilità del management e che gli auditor esterni non

fanno parte dello stesso. La distruzione delle differenze nei ruoli della

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78

revisione interna ed esterna ha, per l’ente, un impatto certamente

negativo sull’ambiente di controllo all’interno dell’azienda106.

A margine di tutte queste considerazioni, e probabilmente sotto

l’influenza di queste, gli studi condotti a livello mondiale107 negli

ultimi anni hanno confermato che la maggioranza delle imprese non

utilizza l’outsourcing o il co-sourcing per l’attività di audit.

106

Bishop, presidente IIA nel 1995 [ in Managerial Auditing Journal Vol.11. n.9 1996]. 107

Allegrini e D’Onza, 2003; riportato nell’ambito dello studio condotto dall’Università di Parma con AIIA e Deloitte nel Maggio 2015.

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79

CAPITOLO IV: L’INTERPRETAZIONE ITALIANA DEI

REQUISITI DI INDIPENDENZA

Dopo un’attenta disamina delle caratteristiche della funzione di

Internal Auditing e dei requisiti che si vogliono necessari affinché

l’auditor possa portare a termine il proprio scopo con successo,

sembra doveroso confrontare lo schema teorico con la realtà

aziendale vissuta nel quotidiano.

Il modo migliore per farlo è, probabilmente, quello di chiedere aiuto

direttamente a chi si occupa di queste attività, che vive da

protagonista le pressioni e i rapporti che naturalmente si instaurano

sul posto di lavoro.

Coinvolgendo i Responsabili della Funzione Audit delle più importanti

società italiane s’intende tracciare un quadro chiaro della realtà in

azienda così da poterne evidenziare punti di forza, ma anche di

debolezza, mettendo in luce le possibili differenze tra la teoria e la

pratica, finanche a tentare una stima di quale sia il grado massimo di

indipendenza realmente raggiungibile dalla funzione, in base alle

nozioni e alle informazioni acquisite.

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80

Con questi obiettivi, grazie al supporto dell’Associazione Italiana

Internal Auditor, è stata lanciata una Survey indirizzata ai tutti i soci

(634 unità) e ai registrati al sito AIIA (318 unità). Si è ritenuto

opportuno interpellare solo i Responsabili di Internal Audit (in tutto

756 persone) e i Chief Audit Executive (296) per un totale di 1052

destinatari.

Riflettendo sulle peculiarità del tessuto imprenditoriale italiano,

composto in gran parte da società di piccole o piccolissime

dimensioni, che quindi, con ogni probabilità, si affidano a metodi di

individuazione e gestione del rischio meno formalizzati, affiancate dai

colossi dell’imprenditoria in cui la funzione esiste ed è ben sviluppata,

sembra un’eccessiva semplificazione sacrificare le une o le altre,

rischiando di ottenere una visione solo parziale del fenomeno. Per

questo motivo sono considerate sia società quotate che società non

quotate e non sono state operate differenziazioni nemmeno per

industry, mirando ad ottenere uno spaccato realistico della realtà

italiana nel suo complesso.

Com’è stato più volte evidenziato, nonostante la regolamentazione

IIA sia investita di estrema autorità nell’universo aziendalistico

internazionale, e quindi anche italiano, non assume forza di legge; è

necessario perciò distinguere gli enti vigilati, che invece accolgono

gran parte delle regole organizzative in specifiche norme. Se

l’osservanza dei precetti IIA nelle aziende è ritenuta essenziale per il

migliore svolgimento dell’incarico, la non conformità alle regole

stabilite per gli enti sottoposti ad Autority è da considerarsi

fuorilegge; è per questo motivo che, nell’analisi dei dati raccolti, ove

opportuno, sono stati separate le informazioni riferite agli enti vigilati

e non.

Per comprendere pienamente la portata del fenomeno italiano, la

prima cosa da fare è individuare le dimensioni della funzione

all’interno dell’organigramma aziendale. La Survey ha prodotto 47

risultati in tutto; il campione di aziende non vigilate (37 elementi) ha

evidenziato la tendenza a dotarsi di una funzione di Internal Auditing

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81

composta da quattro persone [si veda la Figura 6 a)], sebbene sia

frequente il caso di attività affidate unicamente ad un soggetto che

ricopre il ruolo di Responsabile dell’Internal Auditing o di Chief Audit

Executive.

[Figura 6 a)]

Per completezza corre l’obbligo di rilevare che esistono aziende sul

panorama nazionale in cui il personale impiegato full-time per

l’attività arriva o supera le 10 unità, con punte di oltre 100 FTE (full-

time equivalent) in relazione ai più elevati volumi d’affari in ambito

internazionale. Nelle banche o nelle imprese di assicurazione

(campione composto da dieci unità) ciò costituisce una scelta

frequente, evidentemente legata al più elevato profilo di rischio

connaturato nell’attività. Ovviamente il dato assoluto da solo non

10%

30%

20%

40%

enti vigilati

2 componenti

3-4 componenti

5-6 componenti

10 o piùcomponenti

Da quanti soggetti è composta la funzione I.A. nella Sua azienda?

25%

10%

3%

27%

10%

9%

10% 6%

un solo componente

2 componenti

3 componenti

4-5 componenti

6-7 componenti

8-10 componenti

11-20 componenti

più di venti

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82

basta a raccontare la composizione dell’impresa italiana proprio per

le differenze dimensionali sopraindicate; affinché il dato risulti

rappresentativo del fenomeno, perciò, dev’essere rapportato

all’entità dell’impresa. Per questo motivo è stato chiesto agli auditor

di fornire informazioni sul fatturato annuo e il numero di dipendenti

all’ultimo bilancio approvato, in base a queste informazioni è

possibile relativizzare il dato: mediamente nelle imprese non vigilate

si dedica all’attività di internal audit lo 0,20% delle risorse umane,

vale a dire che 2 persone ogni mille dipendenti svolgono attività di

revisione del Sistema dei Controlli Interni. Nelle aziende vigilate,

coerentemente con i dati relativi già analizzati, si profila una realtà

più sensibile all’attività di controllo, ogni 1000 dipendenti nove sono

auditor interni (0,91%) [Figura 6 b)].

Il fatturato aziendale non è coinvolto in alcun modo nella

determinazione delle dimensioni della funzione all’interno

dell’organigramma: sono molto frequenti, per la verità, i casi di

aziende con fatturato che supera il miliardo di euro in cui il

monitoraggio e la revisione del SCI è affidato a due/cinque auditor

anche se il personale supera le 10.000 unità; allo stesso modo ci sono

aziende che non arrivano a mille dipendenti, con fatturati di pochi

milioni di euro e con una funzione ugualmente o anche

maggiormente nutrita. Ragionevolmente se ne può dedurre la

perfetta estraneità delle vicende finanziarie e gestionali dell’azienda

con l’allocazione delle risorse nell’organigramma. Il dato è comune

alle aziende vigilate e non.

[Figura 6 b)]

società vigilate

società non vigilate

0,91%

0,20%

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83

L’ipotesi di co-sourcing, quindi di personale esterno affiancato al RIA

per la gestione dell’attività, sembra essere poco favorita; è stato

riscontrato un solo caso nell’intera popolazione presa in esame nello

studio. Il dato è perfettamente in linea con la scarsa propensione

dell’impresa italiana ad affidarsi a terzi nella gestione di questo

genere di servizi al management.

Dall’indagine è emerso, inoltre, che è preferito, indistintamente in

tutti i settori, scegliere i soggetti chiamati all’auditing tra le persone

già precedentemente impiegate in azienda. Si predilige insomma il

recruiting interno a quello esterno [Figura 7 a) e b)].

[Figura 7 a) e b)]

0% 20% 40% 60%

recruiting interno

recruiting esterno

recruiting interno recruiting esterno

Serie1 57% 43%

RECRUITING ENTERNO vs RECRUITING INTERNO enti vigilati

0% 20% 40% 60% 80%

recruiting interno

recruiting esterno

recruiting interno recruiting esterno

Serie1 68% 32%

enti non vigilati

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84

Il rischio di possibili condizionamenti nello svolgimento dell’incarico

sembra avere minor peso rispetto ai vantaggi che l’impiego di

persone che già conoscono l’azienda e il suo funzionamento può

offrire. Certamente il recruiting interno consente di semplificare le

fasi iniziali di auditing legate alla familiarizzazione con i processi, e

assicura una maggiore sensibilità nel rintracciare gli effettivi centri di

rischio, attribuendogli il giusto peso. Sono favorite, in questo modo,

l’efficacia e l’efficienza nello svolgimento dell’incarico. Di converso,

l’eccessiva confidenza con i processi operativi auditati, potrebbe

costituire un ostacolo all’indipendenza e all’obiettività del revisore,

generando possibili conflitti di interesse.

Gli Standard internazionali, con riferimento a questi temi, sono

piuttosto espliciti nel suggerire come principale mezzo per evitare

condizionamenti, che gli internal auditor si astengano dall’effettuare

attività di audit in ambiti in cui ricoprivano una precedente

responsabilità (Standard 1130.A1). Malgrado la conformità a questi

principi sia ritenuta essenziale per la pratica professionale108, dallo

studio emerge chiaramente la tendenza diffusa tra le imprese che

operano liberamente sul mercato a sottovalutare il problema [Figura

8]. Nemmeno la metà delle società intervistate (46%) riconosce

l’eccessiva familiarità dell’auditor con le funzioni operative auditee

come un rischio e cerca mezzi di contrasto.

Dal momento che non è stata riscontrata alcuna correlazione tra la

dotazione patrimoniale della funzione e questo genere di valutazione

(si veda in seguito, è stato chiesto di giudicare l’apprezzamento

economico della funzione), le ragioni del fenomeno sono da ricercare

nella sensibilità del top management a certe questioni più che ad un

effettivo impedimento per vincoli di budget.

108

Standards & Guidance — International Professional Practices Framework (IPPF) www.theiia.org.

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85

[Figura 8]

Per fronteggiare il problema, evidentemente più importante per l’IIA

di quanto non lo sia per le aziende non vigilate italiane, la

raccomandazione dell’Institute of Internal Auditors, contenuta nelle

Guide Attuative (1130.A1-1), è quella di evitare che le persone

trasferite alla funzione auditing vengano impiegate per effettuare

audit su attività da loro svolte anteriormente o su cui ricoprivano una

precedente responsabilità, se non sia trascorso un ragionevole

periodo di tempo, indicativamente quantificato in almeno un anno.

Nonostante la scarsa attitudine a prestare la necessaria attenzione

alla salvaguardia dell’indipendenza degli auditor incaricati mediante

recruiting interno, nelle aziende che invece riconoscono il problema,

la prudenza comporta, in molti casi, l’exemption per 24 mesi, ed è,

anzi, frequente la scelta di interdire il soggetto dallo svolgimento

dell’incarico in maniera definitiva *Figura 9].

Per quanto riguarda gli enti vigilati si riscontra invece una maggiore

aderenza ai dettami nell’adozione di misure di salvaguardia (60%

degli intervistati), rimanendo però, perlopiù vicini ai requisiti minimi

[Figura 10].

Sebbene sia universalmente riconosciuto che la fonte principale di

indipendenza dell’auditor sia legata alla professionalità del soggetto;

a tutela del legittimo affidamento che si fa sulla sua imparzialità, l’IIA

42% 44% 46% 48% 50% 52% 54%

NO

SI

54%

46%

Con riguardo ai soggetti provenienti da altre funzioni interne all'azienda, sono state prese misure a tutela

dell'indipendenza?

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86

raccomanda, e questo vale per tutti gli auditor, che questi riferiscano

al responsabile della funzione qualsiasi situazione in cui un

condizionamento reale o potenziale dell’indipendenza e

dell’obiettività possa presumibilmente verificarsi, ovvero situazioni in

cui ci siano dubbi che possano costituire condizionamenti (Guida

Interpretativa 1130-1).

[Figura 9]

[Figura 10]

0% 10% 20% 30%

esclusione totale

riporto gerarchico…

grace period 6 mesi

12 mesi

2 anni

3 anni

esclusionetotale

riportogerarchico

al CdA

graceperiod 6

mesi12 mesi 2 anni 3 anni

Serie1 27% 19% 9% 9% 27% 9%

Quali misure sono adottate in azienda per salvaguardare l'indipendenza della funzione?

0% 20% 40% 60%

SI

esclusione totale

grace period 12 mesi

24 mesi

SI esclusione totalegrace period 12

mesi24 mesi

Serie1 60% 17% 50% 33%

enti vigilati MISURE A TUTELA DELL'INDIPENDENZA

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87

Vige, inoltre, un dovere di vigilanza da parte del RIA sull’operato dei

suoi collaboratori, e un obbligo di informativa al board su eventuali

irregolarità; per questo motivo è raccomandabile che il Responsabile

della funzione approfondisca questi temi nella scelta dei membri che

comporranno il suo staff, essendo poi, ogni loro dichiarazione,

sottoposta alla sua responsabilità.

Le modalità di indagine in questo senso possono essere le più

disparate, legate, ancora una volta, alla sensibilità dell’azienda e del

RIA alle problematiche circa l’indipendenza, oltre ad un’opportuna

valutazione dei costi/benefici che un’indagine troppo approfondita

comporta.

Una domanda su questi aspetti è stata rivolta anche ai RIA/CAE presi

a riferimento nella Survey [Figura 11 a) e b)]. Dalle risposte è emerso

che nella maggior parte dei casi l’apprezzamento dell’imparzialità è

lasciato a metodi informali, con il minimo impiego di tempo e risorse.

Nei casi di maggiore attenzione si ricorre a check-list dei requisiti

minimi o a schede di valutazione opportunamente allestiti per una

facile compilazione. Non sono presi in considerazione metodi troppo

invasivi e dispendiosi, come la predisposizione di test attitudinali;

piuttosto si preferisce evitare totalmente il problema (6%).

Ormai è chiaro che la figura del Responsabile dell’Internal Auditing

ricopre un ruolo centrale nel coordinamento della funzione con il

resto dell’organizzazione e si pone a garanzia della qualità del servizio

reso in azienda; per queste ragioni è evidente che il potere di nomina

del soggetto più adatto, unito alla leva economica a questi legata,

quindi la determinazione della remunerazione corrisposta e del

budget a disposizione per lo svolgimento dell’incarico, costituisce il

campo su cui si gioca la partita dell’indipendenza: dev’essere affidato

ad un livello gerarchico appropriato all’interno dell’organizzazione.

Un equo capitale a disposizione assicura i mezzi per la copertura dal

rischio siano proporzionati alle esigenze del sistema aziendale e che

non si nascondano al suo interno tentativi di addomesticare la

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88

funzione, specialmente quando si parla di retribuzione corrisposta al

RIA.

[Figura 11 a)]

[Figura 11 b)]

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

23% 20%

0%

51%

6%

Valutazione dei requisiti di indipendenza

0%

100%

metodiinformali

schede divalutazione

check list otest

attitudinali

80% 20% 0%

Valutazione dei requisiti di indipendenza negli enti vigilati

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89

Il Codice di Autodisciplina attribuisce questa responsabilità, insieme

all’approvazione del Piano di Audit, al Consiglio di Amministrazione,

quale massima carica aziendale, ma non senza l’avallo del Comitato

per il Controllo e Rischi e del Collegio Sindacale, come a voler creare

un’ennesima barriera per l’indipendenza.

Mentre per le società di intermediazione finanziaria c’è perfetta

aderenza alle disposizioni in esame (100% delle risposte), la realtà

aziendale emersa dalla ricerca, per gli enti non vigilati, delinea

contorni più sfumati [Figura 12]. Nonostante la maggioranza (57%)

degli aderenti abbia dichiarato di operare conformemente ai dettami

del Codice, esistono altre opzioni di gestione del potere; è possibile

che venga addirittura affidato all’amministratore delegato o al

comitato esecutivo.

Neanche la definizione del budget a disposizione della funzione è

sempre affidata al CdA interamente considerato, come sostenuto nel

Codice di Autodisciplina, anzi è forte l’interferenza degli

amministratori esecutivi, in primis l’amministratore delegato *Figura

13] soprattutto nelle società non vigilate, nonostante con questi sia

stabilita una linea di riporto amministrativo più che funzionale e

dovrebbero pertanto offrire un supporto operativo e non strategico.

Un’altra fetta importante dei rispondenti (22%) indica come

responsabile di queste decisioni il Direttore Generale o il Direttore

Finanziario della società.

Gli enti vigilati, generalmente, si attengono in maniera più attenta

alle disposizioni: quando non è il Consiglio di Amministrazione a

operare queste scelte, l’onere è affidato al Direttore Generale.

Al di là delle differenti strutturazioni aziendali oggettivamente

riscontrabili nello specifico, ciò che rileva è il peso effettivamente

dato a questo potere: se per banche e imprese di assicurazione non

v’è alcun dubbio sul valore strategico di questa attribuzione, per le

imprese non vigilate è possibile l’interferenza dei livelli

gerarchicamente più bassi dell’organizzazione.

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90

[Figura 12]

[Figura 13]

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

CCR/Audit

Committee

AmministratoreDelegat

o

CdA Presidente CdA

Direttore

generale

Presidente

Serie1 16% 14% 57% 2% 8% 3%

NOMINA, REVOCA e VALUTAZIONE del RIA

0% 50% 100%

CdA

AD

Amm. es.…

CCR

Dir. Generale…

90%

10%

enti vigilati

Quale organo stabilisce il budget della funzione I.A.?

0% 50%

CdA

AmministratoreDelegato

ComitatoControllo e…

Altro…

22%

37%

19%

22%

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91

Per approfondire meglio le questioni legate alla determinazione della

dotazione finanziaria all’Internal Auditing è stato chiesto ai RIA/CAE

di esprimere un giudizio personale, tenendo conto della complessiva

situazione aziendale, sul budget a loro disposizione [Figura 14].

Nella gran parte dei casi la valutazione è stata positiva, definendo la

dotazione finanziaria “adeguata” agli oneri che l’incarico comporta,

probabilmente indice del fatto che la determinazione di questo,

anche quando lasciata al management esecutivo, non è avvertita,

all’interno dell’azienda, come una penalizzazione, seppur di fronte ad

un evidente stravolgimento delle best practice suggerite nel Codice.

Inoltre non è stata rilevata alcuna attinenza tra il giudizio espresso sul

budget della funzione e il soggetto che lo stabilisce: i Responsabili che

hanno dichiarato di essere sottoposti alle valutazioni del senior

management per quanto riguarda il budget assegnato, lo hanno

giudicato comunque Adeguato nel 40% dei casi, Insufficiente nel 20%

e Inesistente per la restante parte. Uno studio recente in proposito

indica che le risorse finanziarie a disposizione per l’auditing si

attestano, nella maggioranza dei casi, sui cinquantamila euro;

un’altra fetta importante della popolazione presa a riferimento

dichiara invece budget che superano i centocinquantamila euro109,

verosimilmente in corrispondenza dei funzioni più numerose.

Quando è definita la dotazione economica della funzione, in base a

questa, si può procedere con il planning dell’attività e l’attribuzione

dei ruoli ai vari membri dello staff. La decisione, in questo senso, è

rimessa al RIA [Figura 15] che in veste di coordinatore e responsabile

della funzione è la persona meglio qualificata, anche alla luce delle

informazioni raccolte sull’azienda in fase preliminare, ad individuare

le aree in cui si rende necessario stressare di più il sistema e dove

invece procedere in maniera più spedita per portare a termine

l’incarico nel migliore dei modi.

109

Si fa riferimento allo studio condotto dall’Università degli Studi di Parma con AIIA e Deloitte nel maggio 2015 dal titolo “Connotazione e prestazioni della funzione di Internal Audit”.

Page 93: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

92

Esistono casi, in realtà esigui, in cui la decisione è rimessa ad altri

componenti della funzione, creando una scala gerarchica interna.

Quest’ipotesi si realizza quando gli organi contano oltre dieci unità

FTE.

Stabilito che una componente importante della tutela

all’indipendenza e all’obiettività dell’auditor è data dalla duplice linea

di riporto: funzionale e amministrativo, e che poi nella realtà molto è

lasciato all’attenzione delle persone che partecipano all’azienda,

affinché possano dipanarsi gli effetti di un efficace ed efficiente

Sistema dei Controlli è importante che siano assicurati canali di

comunicazione snelli e pervasivi, trasversalmente in tutta

l’organizzazione.

Il principale interlocutore della funzione di I.A. è il board, nello

specifico il Comitato per il Controllo e Rischi costituito al suo interno.

Tutta la disciplina sul tema, dagli Standard IIA al Codice di

Autodisciplina, enfatizza il momento della comunicazione con

quest’organo, stabilendo un incontro obbligatorio con cadenza

annuale per analizzare le risultanze di audit, oltre alla predisposizione

di valutazioni periodiche sullo stato del Sistema dei Controlli Interni e

alla conferma sullo stato di indipendenza organizzativa dell’attività.

Per un efficace monitoraggio della situazione aziendale e, quindi, per

il successo dell’auditing interno, tuttavia, è raccomandabile che i

punti di contatto tra il RIA e l’organo amministrativo siano più

frequenti [Figura 16 a) e b)].

Nella gran parte dei casi, le aziende pianificano quattro o cinque

incontri formali in un anno, corredati, qualche volta da una serie di

contatti in via confidenziale. Generalmente questo tipo di

comunicazione passa attraverso i colloqui ma spesso anche in

maniera istantanea, via e-mail o per telefono [Figura 17 a) e b)].

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93

[Figura 14]

[Figura 15]

50%

30%

10% 10%

enti vigilati

89%

11%

RIA Audit manager

Reputa che il budget assegnato alla Sua funzione sia…?

57%

21%

3%

19%

70%

20%

10%

enti vigilati

RIA

Audit Manager

Audit Team leader

Qual è l’organo deputato all’assegnazione degli incarichi ai vari

membri dello staff?

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94

[Figura 16 a)]

[Figura 16 b)]

una volta l'anno

più di una volta l'anno

27%

73%

RIPORTO FORMALE AL CCR/CdA per gli enti non vigilati

0% 10% 20% 30% 40% 50%

semestralmente

3 volte l'anno

4-5 volte l'anno

6-8 volte l'anno

10 o più volte l'anno

a conclusione della…

semestralmente

3 voltel'anno

4-5 voltel'anno

6-8 voltel'anno

10 o piùvolte l'anno

aconclusione

dellasingola

atttività diverifica

Serie1 13% 4% 48% 18% 13% 4%

FREQUENZA dei contatti formali

Page 96: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

95

[Figura 17 a)] [Figura 17 b)]

Nelle aziende sottoposte a vigilanza non è assolutamente presa in

considerazione la possibilità che gli incontri formali si limitino a uno

all’anno, nella gran parte dei casi il CCR si ritrova con il RIA almeno

trimestralmente [Figura 18].

[Figura 18]

Anche qui, accanto all’informativa ufficiale sono attivati tutta una

serie di canali ufficiosi per la diffusione delle notizie rilevanti ai fini

0%10%20%30%40%50%60%70%80%

71%

35%

Quali?

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

mensilmente

semestralmente

almeno 4 volte l'anno

enti vigilati RIPORTO FORMALE AL CCR

NO SI

52%

48%

Sono previsti canali di riporto informali?

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96

dell’efficace ed efficiente gestione del Sistema dei Controlli Interni

[Figura 19 e 20].

[Figura 19]

[Figura 20]

Si è detto più volte che, nell’ambito delle sue attribuzioni di

supervisione strategica dell’impresa, spetta al Consiglio di

Amministrazione conferire il Mandato di audit e approvare il Piano di

lavoro predisposto dal RIA, ciò dovrebbe proteggere la funzione da

pressioni interne da parte del management operativo. Nella

pianificazione del lavoro, il RIA è chiamato alla raccolta del maggior

numero di informazioni inerenti il Risk Assessment; il Piano di Audit

deve basarsi su una documentata valutazione del rischio, effettuata

NO

SI

40%

60%

enti vigilati Esistono canali informali di comunicazione con il

CCR?

0%10%20%30%40%50%60%70%

colloqui a margine diincontri del

CCR/CdA

telefono/ e-mail

Serie1 68% 16% 16%

Metodi informali di comunicazione

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97

almeno una volta l’anno. Le indicazioni del senior management e del

board devono essere tenute in debita considerazione nella sua

formulazione (Standard IIA 2010.A1).

[Figura 21]

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

in manierapreminente

imprime unindirizzomarcato

alle sceltedel RIA

fornisce, serichiesti,pareri inmerito

all'individuazione dellepriorità di

intervento,ferma

restando lacompleta

autonomiadella

funzione

altro…

Serie1 0% 16% 79% 5%

Quanto pesa il management nella predisposizione del Piano di Audit?

Page 99: LA FIGURA DELL’INTERNAL AUDITOR NELL’ORGANIGRAMMA ... · confine dal momento che implica una partecipazione attiva dell’auditor al la Àoro dei soggetti auditee, quindi una

98

La debita considerazione di cui si parla negli Standard, però, si offre a

interpretazioni soggettive che qualche volta lasciano spazio a vere e

proprie interferenze. I Responsabili della funzione di Internal Audit,

chiamati a esprimere una libera opinione in merito [Figura 21],

concordano nel dichiarare che il management “fornisce, se richiesti,

pareri in merito all’individuazione delle priorità d’intervento, ferma

restando la completa autonomia della funzione”. Questa è la

versione unanime dei RIA/CAE delle aziende che operano nei mercati

regolamentati, ed è anche la più gettonata tra le società non vigilate

prese in esame. In qualche caso (16%) è denunciato il peso forte della

volontà del management nella pianificazione del lavoro e il 5% dei

rispondenti riconosce l’importanza del contributo del management

nel Risk Assessment delle principali minacce e nell’indirizzo

strategico, dichiarando però che resta comunque in mano al RIA

l’ultima parola.

Per approfondire la questione è stato poi chiesto ai Responsabili

dell’Internal Auditing di definire il rapporto col management

scegliendo tra tre alternative [Figura 22 a) e b)].

[Figura 22 a)]

86%

8% 6%

RAPPORTO TRA I.A. e MANAGEMENT

Rapporto di collaborazione tra partner

Tempo perso, la funzione è considerata inutile e fastidiosa

La funzione è avvertita come faro di riferimento per orientarel'attività del management

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99

La risposta più frequente è stata “Rapporto di collaborazione tra

partner” indistintamente per tutti gli elementi del campione.

Sorprende la quantità di auditor che avverte, all’interno della propria

azienda, di svolgere un lavoro che non è valutato con la giusta

importanza, ma anzi è considerato inutile e fastidioso. Probabilmente

una parte delle risposte, tralasciando possibili malumori, costituisce il

retaggio di una scarsa cultura del controllo all’interno dell’azienda, di

un management troppo tradizionalista e poco aperto al dialogo con

un organo che con lui condivide obiettivi e interessi. Da rilevare che

tutti i soggetti che hanno dato questo genere di risposta hanno

preferito mantenere l’anonimato.

[Figura 22 b)]

A conclusione del questionario è stato chiesto, proprio in virtù

dell’estrema fiducia riposta nella sensibilità delle persone che si

occupano di Auditing in azienda, di esprimere un giudizio personale

sull’indipendenza della funzione, se questa sia sufficientemente al

riparo da potenziali condizionamenti.

90%

10%

enti vigilati RAPPORTI TRA I.A. e MANAGEMENT

Rapporto dicollaborazione trapartner

Tempo perso, lafunzione è consideratainutile e fastidiosa

La funzione è avvertitacome faro di riferimento

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100

Per semplicità è stata creata una scala d’intensità, da 1

(indipendenza massima) a 5 (scarso grado di indipendenza) [Figura 23

a) e b)].

[Figura 23 a)]

[Figura 23 b)]

Nelle società non sottoposte a vigilanza si è optato, nella maggior

parte dei casi, per una valutazione di grado 2, alta ma non estrema; le

imprese di intermediazione finanziaria invece, probabilmente a causa

dei maggiori controlli e del clima di rigore più largamente diffuso,

hanno valutato l’indipendenza della funzione al grado massimo.

0% 10% 20% 30% 40%

1-indipendenza massima

grado 2

grado 3

grado 4

5- scarso grado di indipendenza

21%

38%

21%

14%

6%

PERCEZIONE DI INDIPENDENZA

0% 10% 20% 30% 40%

1-indipendenza massima

grado 2

grado 3

grado 4

5- scarso grado di indipendenza

40%

30%

10%

10%

10%

enti vigilati

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101

Analizzando attentamente i dati raccolti, si possono individuare due

categorie di aziende: alcune in cui la funzione è avvertita come un

ostacolo al normale svolgimento delle attività, un ritardo sul lavoro,

una perdita di tempo ma a cui, nonostante tutto, è attribuita la

dignità che merita, soprattutto in termini economici (budget

assegnato). Questi sono spesso i casi in cui il management imprime

un indirizzo marcato alle scelte del RIA, sottolineando ancora la

scarsa importanza della funzione, che però sussiste, evidentemente

come forma di adeguamento alle best practice internazionali. La

figura dell’Internal Auditor è stata introdotta, nel nostro Paese, in

tempi relativamente recenti e da allora ha sempre faticato a

ritagliarsi uno spazio considerevole nell’organigramma aziendale.

Non possono essere ignorate le rigidità operative legate

all’introduzione di un cambiamento all’interno dei meccanismi

aziendali consolidati: è possibile che un manager affermato, abituato

a godere di una certa autorità in azienda, faccia fatica ad accettare

l’intromissione di un soggetto che controlli il suo operato.

In altre aziende invece è accolto molto meglio il rinnovamento, e

infatti è riconosciuta la produttività della funzione auditing sia

nell’attività di assurance che nella consulenza. Il massimo

apprezzamento del lavoro dell’auditor in azienda si accompagna

sempre ad un budget adeguato e ad una valutazione del clima

d’indipendenza molto alta. In questi casi, dalle risposte, è tracciato il

ritratto della funzione perfetta, in perfetto equilibrio col

management, indipendente ed obiettiva e soprattutto efficiente.

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102

CONCLUSIONI

Tutta la trattazione fin qui svolta nasce dalla presa di coscienza del

forte rinnovamento che ha coinvolto l’assetto organizzativo delle

imprese in Italia, e in generale nel mondo occidentale. L’evolversi

dell’ambiente di riferimento ha portato inevitabilmente la necessità

di un rafforzamento interno della struttura aziendale, realizzata

mediante il controllo, a tutti i livelli. Sono stati implementati sistemi

di individuazione e gestione del rischio e si è avvertita l’esigenza di

identificare qualcuno, all’interno delle pareti aziendali, che si

occupasse di questo, ovviamente assieme alle strutture. Accanto al

Consiglio di Amministrazione sono stati creati nuovi organi, come il

Comitato per il Controllo e Rischi, e nuove funzioni, quale l’Internal

Auditing. L’audit interno rappresenta in effetti una “ventata di

freschezza”, un nuovo slancio all’interno di una realtà economica

evidentemente bisognosa di sperimentazione organizzativa e

gestionale.

A questo proposito l’Institute of Internal Auditors e Borsa italiana

S.p.a. hanno diffuso una serie di regole, mediante Standard

internazionali, Codice Etico e codice di Autodisciplina, per delineare

proprio i contorni di una così complessa figura aziendale ed indicarne

i caratteri fondamentali.

Il complesso ruolo dell’auditor, di assurance e consulenza votati alla

creazione di valore per l’azienda, ha richiesto una serie di qualità

necessarie per lo svolgimento dell’incarico, da accompagnarsi ad un

adeguato set di strumenti, messi a disposizione dall’impresa, per

portarlo a termine. Uno dei requisiti più apprezzati per un revisore è

sicuramente l’indipendenza, che di per sé però non è in grado di

apportare alcun valore aggiunto se non accompagnata da adeguate

conoscenze e competenze. L’azienda, dal canto suo, deve perciò

dotare la funzione dei poteri necessari per svolgere le verifiche ed

offrirle, organizzativamente, l’adeguata protezione dai possibili

condizionamenti a cui è esposta. Da qui nasce la curiosità di vedere

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103

come i requisiti teorizzati a livello nazionale ed internazionale hanno

trovato applicazione nelle imprese italiane.

Le evidenze raccolte nell’ambito della Survey descrivono una

funzione ben sviluppata, affidata prevalentemente a soggetti già

precedentemente impiegati in azienda, ed anche le linee di riporto,

studiate ad hoc per garantire l’indipendenza, qualche volta vengono

stravolte. La scelta degli auditor è subordinata alla verifica delle

conoscenze e delle competenze adatte all’attività, oltre che

all’apprezzamento del requisito di indipendenza.

La realtà che viene tratteggiata dai risultati della ricerca mostrano,

nel complesso, che le aziende italiane hanno ben risposto agli input di

rinnovamento provenienti dal mondo imprenditoriale internazionale,

anche se, di fronte a questo, non tutte le strutture aziendali si sono

dimostrate ugualmente pronte a tale sforzo innovativo.

Purtroppo, in alcuni casi è necessario fare i conti con le rigidità delle

strutture diffuse, specialmente in Italia: non sempre le aziende, o

meglio il management, si è dimostrato disponibile a mettere in

discussione la propria autorità accogliendo una nuova funzione come

partner indipendente, riconoscendone il valore strategico, e

sottoponendosi, ove necessario, alla sua critica.

Nonostante l’indipendenza rappresenti una componente importante

della funzione di cui l’azienda deve necessariamente tener conto,

dall’indagine è emerso come, di fronte alle necessità di efficienza ed

efficacia che governano tutta la vita dell’impresa, la scelta di come

costruire la funzione è ampiamente lasciata alla sensibilità dei vertici

aziendali e del RIA. Per l’azienda è più importante che la funzione sia

utile piuttosto che perfetta a livello formale ma vuota di contenuti; è

per questo che si dimostra aperta alla possibilità di operare scelte che

in qualche modo sovvertano le regole per assicurarsi la migliore

qualità del lavoro svolto dal revisore, in un clima armonioso e di

collaborazione. L’osservanza dei requisiti formali e organizzativi passa

in secondo piano di fronte all’utilità concreta del lavoro dell’auditor.

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104

Il realizzarsi dell’assoluta indipendenza riveste dunque, per le

considerazioni fatte sino ad ora, un ruolo marginale

nell’individuazione degli obiettivi e delle attese intorno alla funzione;

è molto più importante promuovere, tramite un’adeguata cultura del

controllo, la responsabilizzazione del revisore interno e favorire la

presa di coscienza dell’importanza della funzione, lasciando che le

figure aziendali guadagnino la fiducia dell’intero sistema contando

sulla propria professionalità, scavalcando stringenti regole che

potrebbero risultare d’intralcio al raggiungimento dello scopo.

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