14
La realtà tra percezione e fisica Marco Mazzeo Dipartimento di Matematica e Fisica “E. De Giorgi” Università del Salento Q uando contempliamo un dipin- to ci soffermiamo su molteplici aspetti: l’estetica, i colori, le sim- metrie evidenti, nascoste o assenti, il si- gnificato politico e morale o narrativo e mitologico. Raramente però riflettiamo sui processi fisici, fisiologici e cognitivi che sono coinvolti nel processo visivo, in particolare nella percezione dei colori e delle forme. E ancor più raramente ci poniamo domande le cui risposte atten- dono probabilmente una convergenza di più discipline e aree che vanno dalla fi- sica, alle neuroscienze, dalla biologia al- la filosofia. Quando percepiamo qualco- sa non sempre è reale come testimonia- no le illusioni ottiche. E allora quale cri- terio adoperare per stabilire cosa sia rea- le e cosa invece solo soggettivo? Quan- do si parla della soggettività , ovvero del- la percezione, che tipo di spiegazione ci forniscono i grandi schemi interpretativi scientifici della realtà? Che ruolo ha la fisica quantistica nella percezione? Se il cervello è in definitiva l’apparato di misu- ra finale che ruolo ricopre l’interpretazio- ne di Copenaghen nel problema della per- cezione? In definitiva il problema realtà– cervello–mente può essere svelato nella sua totalità dalla scienza moderna? Introduzione È possibile affermare che la scienza moderna na- sca nel momento in cui, con Galileo Galilei, osser- vatore e osservato vengono completamente sepa- rati. Con Galilei infatti lo scienziato si interroga sulla realtà controllando un dato fenomeno attra- verso l’esperimento, che, lungi dall’esser sempli- ce osservazione, costringe la natura a funzionare in un apparato ben definito in cui gli accidenti, ovvero ciò che complica il quadro sperimentale, ad esempio l’attrito, sono ridotti al minimo, e in cui l’osservatore è separato dall’oggetto di studio e non interagisce con esso. Da quel momento la scienza inizia a costruire teorie le cui leggi so- no indipendenti dalla posizione dell’osservatore, dal suo stato dinamico, e ovviamente da quello percettivo e mentale. Questa cesura trova le sue fondamenta in quelle che Galilei definì qualità vere e simulacri [1] e John Locke qualità primarie e secondarie [2], intendendo con le prime ciò che si può descrivere in termini misurabili, come la posizione, la forma, il moto, e con le seconde tut- to ciò che popola i sensi e la percezione. A partire da questa presa di posizione filosofica, la storia della scienza è stata sostanzialmente il tentativo di estendere sempre più a fondo il dominio delle qualità primarie creando teorie che associano ad esse entità e regole matematiche (le leggi fisiche) Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 53

La realtà tra percezione e fisica

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: La realtà tra percezione e fisica

La realtà tra percezione efisicaMarco Mazzeo Dipartimento di Matematica e Fisica “E. De Giorgi” Università del Salento

Quando contempliamo un dipin-to ci soffermiamo su moltepliciaspetti: l’estetica, i colori, le sim-

metrie evidenti, nascoste o assenti, il si-gnificato politico e morale o narrativo emitologico. Raramente però riflettiamosui processi fisici, fisiologici e cognitiviche sono coinvolti nel processo visivo, inparticolare nella percezione dei colori edelle forme. E ancor più raramente ciponiamo domande le cui risposte atten-dono probabilmente una convergenza dipiù discipline e aree che vanno dalla fi-sica, alle neuroscienze, dalla biologia al-la filosofia. Quando percepiamo qualco-sa non sempre è reale come testimonia-no le illusioni ottiche. E allora quale cri-terio adoperare per stabilire cosa sia rea-le e cosa invece solo soggettivo? Quan-do si parla della soggettività , ovvero del-la percezione, che tipo di spiegazione ciforniscono i grandi schemi interpretativiscientifici della realtà? Che ruolo ha lafisica quantistica nella percezione? Se ilcervello è in definitiva l’apparato di misu-ra finale che ruolo ricopre l’interpretazio-ne di Copenaghen nel problema della per-cezione? In definitiva il problema realtà–

cervello–mente può essere svelato nellasua totalità dalla scienza moderna?

Introduzione

È possibile affermare che la scienza moderna na-sca nel momento in cui, con Galileo Galilei, osser-vatore e osservato vengono completamente sepa-rati. Con Galilei infatti lo scienziato si interrogasulla realtà controllando un dato fenomeno attra-verso l’esperimento, che, lungi dall’esser sempli-ce osservazione, costringe la natura a funzionarein un apparato ben definito in cui gli accidenti,ovvero ciò che complica il quadro sperimentale,ad esempio l’attrito, sono ridotti al minimo, e incui l’osservatore è separato dall’oggetto di studioe non interagisce con esso. Da quel momento lascienza inizia a costruire teorie le cui leggi so-no indipendenti dalla posizione dell’osservatore,dal suo stato dinamico, e ovviamente da quellopercettivo e mentale. Questa cesura trova le suefondamenta in quelle che Galilei definì qualitàvere e simulacri [1] e John Locke qualità primariee secondarie [2], intendendo con le prime ciò chesi può descrivere in termini misurabili, come laposizione, la forma, il moto, e con le seconde tut-to ciò che popola i sensi e la percezione. A partireda questa presa di posizione filosofica, la storiadella scienza è stata sostanzialmente il tentativodi estendere sempre più a fondo il dominio dellequalità primarie creando teorie che associano adesse entità e regole matematiche (le leggi fisiche)

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 53

Page 2: La realtà tra percezione e fisica

che siano indipendenti appunto dallo stato fisicodell’osservatore. Questo modo di concepire laconoscenza della natura, che trova le sue radiciin ciò che Galilei definiva sensate esperienze e certedimostrazioni [1], ha dato origine a ciò che defi-niamo fisica classica, che raggiunge il suo apicecon le teorie della relatività, ristretta e generale,di Einstein, nelle quali le leggi fisiche sono indi-pendenti dallo stato di moto dell’osservatore, siainerziale che accelerato.

Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte ad un gran-de enigma che potremmodefinire probabilmenteuna crisi di questa visione: i processi di percezio-ne. Questi coinvolgono problematiche di fondoche vanno dal problema della misura, in cui la vi-sione classica della separazione tra osservatore eosservato, sembra crollare sotto i paradigmi dellameccanica quantistica, alla problematicità dellaseparazione stessa tra qualità primarie e secon-darie. Se da un lato la percezione si può spiegarecon meccanismi classici di base fisici e materia-listici, dall’altro la sensazione della percezionestessa è un problema che pare irriducibile a mec-canismi fisici. In questo articolo vedremo comeil meccanismo della visione, se analizzato dallaformazione dell’immagine sulla retina fino allapercezione a livello mentale, offra proprio unospunto per riflettere su questi problemi di confi-ne in quanto in esso sono coinvolti vari processiche, se da un lato sfruttano teorie delmondo natein seno alla tradizione galileiana, dall’altra pon-gono questioni cruciali sul ruolo della coscienzanella costruzione del mondo stesso e quindi sucosa significhi conoscere la realtà.

Dove collocare la barriera: lapolemica sulle comete tra Grassie Galilei

Una breve digressione storica e filosofica ci per-metterà di capire il peso che questa questione haavuto nello sviluppo della scienza in occidente,determinandone il poderoso sviluppo e le sueattuali contraddizioni. Il motivo per cui Galileicreò questa scissione filosofica tra osservato eosservatore e tra qualità primarie e secondarie,in sintesi tra mondo oggettivo e soggettivo, de-riva dalla consapevolezza che non tutto ciò cheè sperimentabile coi sensi sia necessariamente

vero. Questo aspetto, da lui evidenziato nel IlSaggiatore [1], che potrebbe a buon titolo esseredefinito il manifesto della scienza moderna e del-la epistemologia scientifica, è il filo conduttoredi tutte le sue ricerche, volte alla dimostrazio-ne dell’eliocentrismo e del copernicanesimo. Seinfatti la Terra orbita attorno al Sole come maii nostri sensi, seppur appartenenti a dei coper-nicani, non se ne accorgono? E, soprattutto, èpossibile considerare valide delle teorie che pale-semente entrano in conflitto con ciò che i sensi ciraccontano, come appunto l’idea secondo cui laTerra si muove nello spazio alla folle velocità di30km/sec? C’è da mandare all’aria l’idea secon-do cui osservare non basta per far scienza (ideache ancora oggi viene perpetrata nelle scuole),perché i sensi sono fallaci. Come costruire allorala scienza se non si può credere ai nostri sensi?Domanda che si porrà l’aristotelico Simplicio nelDialogo Sopra i Massimi sistemi del mondo [3], a ri-prova che gli aristotelici non erano privi di buonsenso. Ma è proprio il buon senso comune chela scienza galileiana demolirà nei suoi 400 annidi prodigioso sviluppo. Si dirà: ma in fondo lafisica non deve descrivere proprio ciò che i nostrisensi percepiscono? La questione fu violente-mente sollevata quando Galilei entrò in conflittocol gesuita Orazio Grassi attorno al grande di-battito sulle comete. Di cosa si discuteva? Ledomande erano le seguenti: sono esse corpi atmo-sferici, corpi celesti, oppure non esistono e sono sem-plicemente frutto di una errata percezione della realtà?Grassi sostenne che le comete fossero corpi extra-atmosferici [4], come provava l’osservazione alcannocchiale. Con questo strumento infatti nonsi riusciva ad aumentare le dimensioni di questicorpi celesti, ragione per cui dovevano situarsiben al di là di Saturno. L’argomentazione facevaleva sul fatto che mentre i pianeti potevano es-sere ingranditi dalle lenti non accadeva la stessacosa per le ben più distanti stelle che, se osserva-te ad un telescopio, appaiono sempre puntiformi.Una buona argomentazione non c’è che dire. Cisi potrebbe attendere che Galilei appoggiasse lateoria di Grassi, perché l’idea che ci fossero corpisupra-lunari, che per giunta non si muovevanolungo circonferenze ma su orbite più allungate(paraboliche o ellittiche sappiamo oggi), mina-va di certo l’aristotelismo più intransigente. MaGalilei vi si oppose, anche con violenza verba-

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 54

Page 3: La realtà tra percezione e fisica

Figura 1: Osservate il panoramain falsi colori fissando l’attenzionesulla croce al centro. Dopo circauna trentina di secondi spostatelo sguardo sulla figura in biancoe nero e rispondete alla seguentedomanda: il panorama che sto per-cependo è reale? Foto tratte dawww. curiositando. it

le, in quanto Grassi aderiva al modello ibridodi Ticho Brahe. In questo modello la Terra eraal centro immobile, e questo salvava le sensateesperienze che ci assicurano che la Terra è ferma,altrimenti ce ne accorgeremmo, mentre i pianetiorbitavano attorno al Sole il quale, a sua volta,si muoveva attorno alla Terra, fatto questo chesalvava le pure altre sensate esperienze realizzateal cannocchiale di Galilei. Insomma, il model-lo di Ticho Brahe pone la percezione (ad occhionudo e al cannocchiale) alla base della scienza.Tuttavia questo modello non venne nemmenopreso in considerazione da Galilei. Prova ne è ilfatto che il Dialogo del 1632 è sopra due massi-mi sistemi del mondo, copernicano e tolemaico,non su tre. Galilei ribatté indirettamente a Grassinel Discorso delle comete firmato Mario Guiducci[5], senza apparire come autore giacché gli erastato ordinato formalmente dal cardinale Bellar-mino di non poter più diffondere le sue teorie,sostenendo che

A chi stesse pure ostinato che, per provar l’immen-sità della lontananza, concludesse l’argomento presodal poco aggrandimento del telescopio, si potrebbe age-volmente dare a intendere che una candela accesa eposta in altezza di cento o dugento braccia fosse trale stelle fisse, poiché pochissimo viene dall’occhialeingrandita.

Si dipana pertanto una questione non da po-co: fino a che punto possiamo sostenere la realtàdi un fenomeno? La cometa di Grassi era uncorpo reale e oggettivo o era completamente frut-to dell’osservatore, un gioco di luce causato daturbolenze atmosferiche e dal nostro apparatovisivo? Galilei fornisce altri esempi più quotidia-

ni delle comete che chiariscono questo punto, elo fa appunto ne Il Saggiatore del 1623. La stri-scia luminosa riflessa dal mare al tramonto delSole ne è un esempio. Se l’osservatore camminalungo la spiaggia si rende conto che l’immaginepercepita resta la stessa, e sembra seguirlo. Ecosì come quella striscia luminosa sono tanti ifenomeni non reali ma fittizi o comunque inter-pretati dal nostro insieme occhio-cervello e noncompletamente oggettivi, come l’arcobaleno e glistessi colori come vedremo. Le illusioni ottichesono proprio quello strumento che ci permettedi rendere manifesta questa realtà non reale maricostruita, almeno in parte, dal cervello. Percomprendere quanto il sensorium giochi un ruo-lo determinante e come i colori siano soprattuttoentità fisiologiche e psicologiche, osservate il pa-norama di Figura 1 in falsi colori (a sinistra) e do-po un minuto, spostate l’attenzione sullo stessopanorama (a destra) ripreso in bianco e nero.

Come per miracolo, la foto vi sembrerà a colo-ri, non falsi colori badate, ma colori veri. Il fiumead esempio apparirà azzurro, come deve essere,mentre in nessuna delle foto lo è , né in quella infalsi colori e né, ovviamente in quella in biancoe nero. Da dove è saltato fuori quell’azzurro? Lacosa che dovrebbe saltare agli occhi è che questoè un tipico esempio di come Galilei avesse ragio-ne, in quanto abbiamo attribuito un colore ad unqualcosa che non l’aveva. La conclusione è ovvia:sebbene il colore sia qualcosa da associare allarealtà esterna, altrimenti non si distinguerebberocolori diversi, esso è comunque anche e soprat-tutto un parto della nostra soggettività. Il coloreha cioè il suo lato fisiologico, che dipende da co-me sono fatti i nostri occhi e il nostro cervello, che

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 55

Page 4: La realtà tra percezione e fisica

si sono evoluti in un certo modo nel corso di cen-tinaia di migliaia di anni. Tuttavia la domanda sifa pressante: dove dovremmo collocare infatti illimite tra ciò che è reale ed esterno, indipenden-te da noi, e ciò che è soggettivo? La domanda èessenziale se vogliamo edificare una fisica, chediverrà la fisica classica, le cui leggi siano indi-pendenti dall’osservatore. Galilei nel Saggiatoreci dà una linea guida fornendo l’esempio del ca-lore. Il calore non è una proprietà di un corpomadella relazione che passa tra questo e la nostraepidermide. Un corpo caldo ha le sue molecoleche si agitano più delle molecole che formanol’epitelio e noi pertanto assorbiamo, col contatto,parte di quelmovimento casuale interpretandolocon l’aggettivo caldo. Quando invece tocchiamoun corpo freddo esso non possiede le proprietàdi freddezza. Semplicemente le nostre molecolesi agitanomaggiormente delle sue, e questa voltaquel moto casuale viene trasferito dalla pelle al-l’oggetto. Insomma, possiamo descrivere i nostrisensi mediante il movimento dei corpuscoli dicui sono fatti sia il sensore biologico, l’epitelioo l’occhio, che gli oggetti esterni sotto indagine.Poi il cervello ricostruisce questi impulsi tradu-cendoli in immagini, colori, profumi, sensazionitattili ecc, ovvero nell’atto percettivo.

In questo modo se rimuovessimo tutti gli or-gani di senso, dice Galileo, elimineremmo tuttequeste qualità secondarie e solo quelle primarieresterebbero della realtà esterna, ovvero la formageometrica dei corpi, di quante parti è formatoun corpo, e come esse si muovono nello spazioe nel tempo. Insomma resta ciò che definiamofisica. Pensateci bene. La fisica si occupa pro-prio del moto dei corpi rigidi nello spazio e neltempo. Di pianeti attorno al Sole o di elettro-ni attorno al nucleo degli atomi. Di oscillazioneelettriche emagnetiche nello spazio come fosseroonde del mare. E se pensate alla chimica orga-nica, con le sue immagini di atomi di carboniodisposti a formare strutture geometriche, essasegue proprio quel principio. E se pensate allabiologia molecolare, con molecole di DNA e pro-teine viste come atomi disposti in configurazioniordinate e funzionali tali da accumulare e legge-re informazione, vedrete proprio l’enunciato diGalilei. E infine se pensate alle interazioni tra ineuroni, che avvengonomediante scambi di ioni,che sono alla base del pensiero stesso o meglio

il suo corrispettivo neurale, capite bene come siinnesta la neurobiologia nello stesso filone dellateoria della conoscenza espressa da Galilei ne ilSaggiatore. Ma ecco allora che la scienza pren-de una strada senza ritorno: è possibile infattiche le qualità secondarie in realtà possano esserecomunque descritte in seno alla fisica come mo-vimento di corpuscoli o configurazioni atomicheo di corrente tra neuroni? In tal caso tutto sa-rebbe qualità primaria. E viceversa se esiste unabarriera tra qualità primarie e secondarie dovecollocarla? La fisica ha tentato così di estende-re sempre più il dominio delle qualità primarienella spiegazione del mondo fino a inglobare lesecondarie, procedendo se vogliamo in modoopposto all’arte, in cui la sensazione, la percezio-ne, il sentire è esteso al mondo attribuendogliun significato che la scienza non gli conferisceper metodo. Ma procedendo sulla via intrapresada Galilei si incontrano ostacoli e contraddizioniinattese. Vediamo di che si tratta concentrandociappunto sul meccanismo della visione.

Il processo visivo e laspiegazioneatomistico-molecolare del colore

Se vogliamo descrivere il processo di visione delcolore rosso di una mela dovremmo cercare diidentificare le qualità primarie relative al colo-re. Appare ovvio, da quanto detto prima, che ilcolore non appartiene solo a questa categoria. Eallora la domanda corretta è: in cosa consiste laqualità primaria del colore? La teorie ondulato-rie della luce proposte daHuygens, Young eMax-well, che ben si accordano ai ben noti fenomeni diinterferenza e di polarizzazione della luce, forni-scono un’ indicazione: il colore è univocamentedefinito nell’aspetto della sua qualità primaria,dalla lunghezza d’onda, o dalla frequenza, del-l’onda elettromagnetica che incide sulla retinadell’occhio. È una qualità primaria in quanto sitratta delle modalità di oscillazione di un mezzo,l’etere o il semplice campo elettromagnetico, edunque siamo nel regime del movimento, anchese non di un oggetto materiale, ammesso cheabbia senso un aggettivo del genere, ma di uncampo, un’entità che popola il vuoto e figurabile

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 56

Page 5: La realtà tra percezione e fisica

ancora nello spazio e nel tempo. Proprio ciò cheGalilei definiva qualità primaria.

Anche la visione corpuscolare della luce, riva-lutata dopo Newton con l’interpretazione dell’ef-fetto fotoelettrico ad opera di Einstein nel 1905,fornisce un’utile descrizione del colore in termi-ni di qualità primarie. In queste teorie esso nonsarebbe altro se non l’energia dei singoli fotoni.Notate che quando in fisica parliamo di energiadiscutiamo di movimento (energia cinetica) o diuna configurazione spaziale (energia potenziale),o ancora della ampiezza di un campo classico,o della frequenza di una particella quantistica,cioè della rapidità di oscillazione della funzio-ne d’onda associata. Insomma, siamo in pienoregime di qualità primarie. Ora la percezionedel colore, ovvero la qualità secondaria, a chelivello si collocherebbe? Quand’è che possiamoparlare della rossità del rosso, che in filosofia siidentifica nella categoria dei qualia? In effettidire che certe lunghezze d’onda di un campoelettromagnetico o certi fotoni eccitano la retinanon vuol dire parlare di quella sensazione cheè appunto il rosso. Cosa impedisce all’apparatoauditivo di percepire una certa lunghezza d’on-da sonora come colore rosso? Pertanto è chiaroche l’idea secondo cui il colore sia identificabilesolo con una lunghezza d’onda ha senso fino aun certo punto, essendo invece più legato allemodalità di interazione tra l’oggetto osservato eil sensore dell’osservatore, l’occhio, e tra questoe il cervello. E’ allora la rossità del rosso collo-cabile nella retina? Già Young ipotizzò che allabase della percezione del colore ci fossero nel-l’occhio tre tipi di recettori corrispondenti ai trecolori fondamentali, il rosso, il verde e il violetto.Se questi recettori si stimolano simultaneamen-te, a seconda del differente grado di eccitazioneessi forniscono la sensazione cromatica nel suocomplesso, fornendoci l’enorme gamma di colo-ri che vengono percepiti dalla nostra specie. Ilcolore giallo ad esempio viene creato eccitandoprevalentemente i recettori del rosso e del verde.Come si vede, la percezione del colore va al di làdella mera lunghezza d’onda. Prova ne è il fattoche con l’orecchio siamo in grado di distinguerele singole frequenze che compongono un suono,ma osservando il giallo non siamo in grado dipercepire separatamente il verde e il rosso, ovve-ro le lunghezze d’onda corrispondenti a valori

attorno a 500nm e 600nm, rispettivamente.Furono tuttavia gli esperimenti di Ragnar Gra-

nit, premio Nobel nel 1967, a confermare l’esi-stenza di tre diversi tipi di cellule retinali, detteconi, aventi la sensibilità per i tre colori fonda-mentali. Capire il colore vuol dire allora com-prendere il funzionamento di queste cellule. An-cora una volta rientriamo nel filone di Galilei, dispiegare il meccanismo della visione medianteconfigurazioni spaziali di atomi e movimento dicariche. Il meccanismo è davvero complesso e losvilupperemo qui in modo molto generale.I coni e i bastoncelli sono le cellule retiniche

adibite ad assorbire l’impulso luminoso. Le cel-lule della visione sono allungate e strutturatein quattro scompartimenti allineati, contenentii fotorecettori, i mitocondri, il nucleo e un areasinaptica che si connette al nervo ottico (Fig. 2).Coni e bastoncelli sono molto simili, sebbene

Figura 2: Rappresentazione schematica di un bastoncello,in alto a sinistra, della struttura della rodopsina,al centro, e della molecola di retinene nelle dueconfigurazioni.

gli scomparti abbiano dimensioni differenti. Ilpigmento contenuto nei fotorecettori è costituitoprincipalmente da una proteina, la rodopsina, edè composto da centinaia di dischi sottili dispostiin pila. La rodopsina contiene una molecola, ilretinene, un derivato della vitamina A piegata inmodo tale da adattarsi a una nicchia formata nel-la rodopsina, come mostrato in Fig. 2. Quando ilretinene assorbe la luce cambia forma, un proces-so che viene chiamato isomerizzazione. Questaisomerizzazione non avverrebbe se la luce nonavesse l’energia sufficiente per essere assorbita, equesto accade solo se la sua energia è uguale alladifferenza tra i livelli energetici discreti della mo-lecola accessibili agli elettroni di cui è formata,

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 57

Page 6: La realtà tra percezione e fisica

seguendo la nota legge di Bohr

hν = ES1 − ES0 (1)

adattata ai livelli fondamentale, S0 ed eccitato S1della molecola.

In sostanza giungiamo alla conclusione chel’informazione della lunghezza d’onda della lu-ce viene tradotta, dal processo di assorbimento,in una configurazione geometrica molecolare edunque ancora posizione degli atomi nello spa-zio. La rossità del rosso risiede nella configu-razione geometrica della molecola di retinene?È ovvio che difficilmente potremmo attribuirela sensazione del rosso ad una configurazionemolecolare, eppure in questo è stato trasformatoil segnale luminoso.

Vediamo allora cosa accade a seguito dell’as-sorbimento. A seguito del cambiamento dellaconfigurazione inizia una catena fotochimica dieventi a cascata, in un tempo di soli 25 microse-condi e che porta ad una variazione di potenzia-le elettrico dei bastoncelli. Fu nel 1938 che Se-lig Hecht scoprì che un bastoncello umano puòessere eccitato addirittura da un singolo fotoneinnescando quel processo di amplificazione delsegnale che riprenderemo tra breve quando par-leremo delle questioni inerenti al problema dellamisura in fisica quantistica. Il segnale del quantodi luce viene così amplificato in circa 2 millesimidi secondo. A quel punto il segnale si propagaal nervo ottico e verso il cervello. In conclusioneil rosso è l’impulso del neurone? A ben vederela stessa tipologia di impulso viene generata nelprocesso dell’udito. Come possiamo allora di-stinguere che la causa dell’impulso è la luce enon il suono? Perché vediamo i colori e non lisentiamo? O perché non vediamo i suoni? Se tut-to alla fine viene trasdotto in un segnale elettricopossiamo dire di aver compreso cosa sia il colorese esso non si distingue più da un suono? Appa-re chiaro che usando concetti fisici siamo giuntia estendere il dominio delle qualità primarie dalcampo elettromagnetico alle connessioni neurali,ma è anche vero che saremmo giunti alla stessaconclusione con altri colori o addirittura con altristimoli, tatto, gusto o udito. Siamo giunti a im-pulsi fisici indifferenziati, movimenti di caricheelettriche che popolano il cervello. In effetti ècome se l’occhio fosse al buio, perché non vede

così come non vedono le macchine fotografiche,mentre il cervello, che è in effetti nelle tenebre,vede la luce. Allora la percezione di un colore enon di un altro o la percezione del colore e nondel suono dovrà necessariamente avvenire in zo-ne particolari del cervello e non in altre. Quindidovremmo giungere alla conclusione che il co-lore è nei fatti una qualità primaria, ovvero laconfigurazione geometrica o elettrica di neuronieccitati e collocati in una regione particolare delcervello. È davvero così?

Dove risiede la rossità del rosso?

Negli ultimi anni i neuroscienziati hanno fattomolti progressi nella comprensione delle strut-ture complesse che regolano l’attività delle cel-lule nervose e del cervello. Nonostante ciò moltiscienziati e filosofi credono ancora che spiegarela mente, e in particolare la coscienza, attraver-so scariche elettrochimiche che avvengono traneuroni sia una provocazione.

Gli studi condotti negli ultimi decenni sull’atti-vità neuronale degli animali, in particolare maca-chi, studi che restano nella tradizione galileianasebbene all’inizio non poche resistenze furonomostrate all’uso della metodologia sperimentalesul problema mente-corpo, hanno stabilito chele informazioni visive che partono dagli occhi ri-salgono attraverso stadi successivi di un sistemaneuronale di elaborazione dati molto complesso.In realtà questo aspetto era già noto fin dai tempidi Cartesio, il quale già si poneva la questione delpercepire [6]. Cartesio espose l’idea secondo cuigli occhi inviano segnali, anzi immagini vere eproprie, al cervello mediante fibre che a un certopunto svaniscono in una ghiandola se osservatead occhio nudo. Cartesio credeva che la mente,una entità immateriale capace di sentire e capire,risiedesse proprio in una zona specifica che in-dividuò nella ghiandola pineale, sede materialedell’anima immateriale.

Oggi le neuroscienze hanno dimostrato comel’informazione dell’immagine retinica, colore,forma, movimento, sia spacchettata in gruppiche vengono distribuiti in varie zone del cervelloche elaborano le singole informazioni topologi-che, cinematiche e cromatiche. Cosa sappiamooggi di questi collegamenti? È importante capireche la retina di ciascun occhio è in realtà suddivi-

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 58

Page 7: La realtà tra percezione e fisica

Figura 3: Schema semplificato dell’apparato visivo.

sa in due zone, una vicino al naso chiamata retinanasale e l’altra all’estremo opposto chiamata reti-na temporale (Fig. 3). Prendiamo l’occhio destro:dalla sua retina nasale destra si diparte un insie-me di fibre nervose che procede verso la partesinistra del cervello, mentre dalla retina tempo-rale destra partono delle fibre che vanno versol’emisfero destro del cervello. Queste ultime sicongiungono con le fibre provenienti dalla retinanasale dell’occhio sinistro terminando in un pic-colo nucleo chiamato nucleo genicolato destro.Lo stesso ovviamente accade nell’emisfero sini-stro con il cosiddetto nucleo genicolato sinistro. Isingoli neuroni dei nuclei possono essere attivatidagli stimoli visivi di un occhio o dell’altro manon da entrambi. Questi nuclei hanno un volu-me di qualche millimetro cubo e sono formati dasei sottili strati di cellule neurali che vengono disolito indicate con la successione 1,2, .....6. Eccoallora la complicazione: le fibre nervose della re-tina temporale provenienti dall’occhio destro sicollegano agli strati 2, 3 e 5 del nucleo genicolatodestro. Negli strati 1, 4 e 6 arrivano invece le fibredella retina nasale dell’occhio sinistro. E’ impor-tante sottolineare che ogni punto della retina èmappato in un punto di questi strati, sicché siha una sorta di mappa topografica dei vari pun-ti della retina ma spacchettata e distribuita neivari strati dei nuclei genicolati. Ma il viaggio del-l’informazione non termina qui. Infatti ciascunnucleo genicolato è collegato, anche in questocaso, punto-punto, a un’area posteriore del cer-

vello chiamata area visiva, una per ciascun lobodel cervello. Quest’area visiva è chiamata V1.Qui si forma una mappa topografica dei segnaliprovenienti dai nuclei.

Si potrebbe credere allora che Cartesio aves-se solo sbagliato nell’identificare la sede dellapercezione visiva nella ghiandola pineale, chesembrerebbe essere invece in V1, ma per il restol’intuizione era corretta. Negli ultimi quindici an-ni tuttavia le neuroscienze ci hanno fornito unaspiegazione della percezione in cui la sede nonsarebbe un luogo specifico del cervello. Infattil’area V1 è collegata ad altre aree della cortec-cia chiamate V2, V3, V4, V5 e V6. Questi sonogruppi di neuroni che ricevono stimoli a parti-re dall’area V1 in modo alquanto intricato. Adesempio V1 è connesso con tutte le aree a cui in-via segnali tranne che con V6 che è direttamentecollegata con V2.Ciò che abbiamo appreso è che la mappa to-

pografica di V1, fedele rappresentazione elettro-chimica e conforme della mappa ottica retinale,anche se non dobbiamo credere che si formi unasorta di immagine elettrica e spazialmente fe-dele di ciò che osserviamo, viene ulteriormentespacchettata e inviata mediante flusso elettricoa queste diverse aree. In particolare si è compre-so che l’area V5 è adibita alla ricostruzione delmovimento delle cose, l’area V3 alle forme, la V6alla percezione dello spazio, e infine la V4 al co-lore (Fig. 4). La domanda sorge allora spontanea:se ci troviamo dinanzi ad una frammentazionedella informazione o meglio ad una sua distribu-zione, dove ha sede la percezione di una mela

Figura 4: Localizzazione esterna delle aree visive delcervello, situate posteriormente.

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 59

Page 8: La realtà tra percezione e fisica

rossa che cade? Se il rosso della mela è codificatoda V4, la sua forma da V3, la sua caduta nellospazio dal ramo al suolo da V5 e V6, dove ha sedela ricostruzione di tutto questo? Ebbene la con-clusione che si trae mediante tecniche di imagingdiagnostico è che non vi è alcuna sede cartesianaparticolare del cervello per la percezione: essanon è una registrazione passiva degli eventi ester-ni che ha sede in un punto specifico del cervello.La percezione è piuttosto la costruzione attivadi un flusso di segnali con cui le diverse areeinteragiscono.Un’osservazione sorprendente è che in que-

sti percorsi visivi molti neuroni sia in V1 sia alivelli più alti della gerarchia di elaborazione ri-spondono con la loro caratteristica selettività aglistimoli visivi persino in animali completamen-te anestetizzati. Ovviamente un animale non ècosciente di tutta questa attività neuronale. Solouna minima frazione di neuroni sembra essereun plausibile candidato per quello che i fisiologichiamano correlato neuronale della percezionecosciente, cioè rispondere in maniera tale da ri-specchiare la percezione. Il piccolo numero dineuroni il cui comportamento riflette la percezio-ne è distribuito lungo l’intero percorso visivo enon è parte di una singola area del cervello. Lescoperte fatte rivelano chiaramene che la consa-pevolezza visiva non può essere pensata comeil prodotto finale di una successione di stadi dielaborazione. L’informazione visiva è più chealtro un insieme di flussi stabili di informazione.

Stati diversi di stabilità possono corrisponderea stati differenti di coscienza visiva. È dunquequesta la coscienza? Se è vero che la spiegazionedella coscienza in termini di correlato neurale,ovvero una spiegazione puramente materialisti-ca della percezione, è una naturale conseguenzadel programma di Galileo che sfocia nell’esten-sione delle qualità primarie e dei metodi scien-tifici a tutto il mondo percettivo, è anche veroche qualcosa francamente sfugge. La sensazioneche abbiamo del colore rosso non è coincidentema solo associabile a schemi di flussi di corren-te. Se percepiamo un colore e non un suono èperché pur essendo il rosso ed il Do trasdotti incorrenti tra neuroni sono gli schemi di flusso checambiano. Il punto, tra i tanti, non ancora chia-ro è come mai attribuiamo significati diversi aqueste percezioni simili ma agenti su, e tra, zone

diverse e delocalizzate del cervello. La strada èancora lunga ma è palese che manca un ponte tracorrelato neurale e significato della percezione.Ma non è nemmeno detto che possa essere risol-to dalla scienza in quanto probabilmente non èuna domanda ad essa pertinente. Nei fatti quan-do si studia la gravitazione noi associamo allacaduta dei gravi e al moto planetario enti mate-matici che possono andare dalle forze a distanzadi Isaac Newton alla curvatura geometrica non-euclidea dello spaziotempo di Einstein. Dire chela massa genera le forze o la curvatura in realtànon vuol dire spiegare il fenomeno della gravitàma associare ai corpi visibili concetti ed entitàmentali (massa, forze, spaziotempo) e delle rego-le matematiche ad esse correlate. La coscienza,qualunque cosa sia, non potrà mai essere spie-gata in senso scientifico se non associando adessa entità che seguono determinate regole (i po-tenziali d’azione e i flussi di carica dei correlatineuronali).

L’enigma della percezioneclassica del mondo

Se da un lato la visione galileiana ci ha spintia descrivere la coscienza e la percezione comeuno schema di flusso di neuroni attivi nel cer-vello (tutto è fatto di qualità primarie) con nonpochi problemi ed enigmi ancora irrisolti, la na-scita della meccanica quantistica ci pone dinanzial problema che le qualità primarie della realtàpotrebbero essere determinate proprio dall’osser-vatore, un problema definito come il paradossodella misura dello stato quantico. Oggi, contra-riamente a ciò che accadeva anche solo un ven-tennio fa, siamo in grado di manipolare singolioggetti quantistici, dai singoli atomi ai singolifotoni.

Siamo anche in grado di realizzare stati quan-tici ben definiti da sovrapposizione di stati sem-plici, per poterli studiare. Un sistema quantistico,come un elettrone, che può trovarsi in due statipossibili può vivere per certi tempi in una so-vrapposizione simultanea, una condizione nonriscontrabile nel mondo classico delle cose per-cepite. Ad esempio un elettrone può avere unostato di rotazione intrinseca, lo spin, che se misu-rato lungo un asse può assumere solo due possi-

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 60

Page 9: La realtà tra percezione e fisica

bili valori, su | ↑〉 e giù | ↓〉, come a dire rotazioneoraria e antioraria. Tuttavia, prima della misu-ra o dell’atto osservativo, esso si troverà in unasovrapposizione quantistica, ovvero in una com-binazione lineare dei due stati classici, che puòessere descritto seguendo la notazione di Dirac

|S(t)〉 = a(t)| ↑〉+ b(t)| ↓〉 (2)

Qui a e b sono numeri complessi, in generaledipendenti dal tempo, il cui modulo quadro rap-presenta la probabilità di trovare il sistema nellostato | ↑〉 o | ↓〉.

Questo stato |S〉 evolve temporalmente seguen-do una legge deterministica che altro non è senon la ben nota equazione di Schrödinger

i~d

dt|S(t)〉 = H|S(t)〉 (3)

dove H è l’Hamiltoniana del sistema, ovveroun modo per descrivere la sua configurazioneenergetica.Sebbene il sistema evolva temporalmente in

uno spazio degli stati più ricco di quello dellefasi classico, e che non presuppone necessaria-mente una evoluzione nello spazio fisico, taleevoluzione è ancora deterministica, nel sensoche ad una causa succede un effetto. Questo tipodi evoluzione è descritto da una trasformazioneunitaria dello stato quantistico, ovvero lo stato|S(0)〉 iniziale evolve verso uno stato |S(t)〉 forni-to dall’applicazione dell’operatore di evoluzionetemporale U(t, 0) allo stato iniziale

|S(t)〉 = U(t, 0)|S(0)〉 (4)

che nello spazio degli stati è una sorta dirototraslazione di un vettore complesso iniziale.L’aspetto importante è che per la meccanica

quantistica il sistema si trova realmente in unostato indeterminato di sovrapposizione, uno sta-to che non trova paragoni nel mondo classico diciò che percepiamo e che spesso siamo costrettia descrivere con frasi del tipo il sistema è comese ruotasse simultaneamente in senso orario eantiorario. Tuttavia il formalismo quantisticoprevede che quando avviene una misura dellostato quantico il sistema collassi istantaneamentein uno dei due stati, ad esempio | ↑〉, con una cer-ta probabilità data per questo stato dal moduloquadro dell’ampiezza corrispondente, in questo

caso |a(t)|2. Questo atto osservativo è descrittodall’operatore proiettore R per cui abbiamo cheil collasso è descritto in questo modo:

R|S(t)〉 → | ↑〉 (5)

con probabilità |a(t)|2 per quell’istante. Questocollasso avviene con una certa probabilità intrin-seca, per cui non possiamo prevedere con certez-za cosa accadrà a seguito della misura. La teorianon dice nulla circa le cause di questo collasso enei fatti la teoria quantistica si fonda su due sche-mi del tutto diversi descritti dai due operatoriU ed R: un operatore che stabilisce la continui-tà e il determinismo, U , e uno che stabilisce ladiscontinuità , il maledetto salto quantico comeebbe a dire Schrödinger, e l’indeterminazione, ilcaso al posto della legge, R.

Il succo è che finché non avviene l’osservazio-ne dello stato, l’oggetto quantistico permane nel-lo stato non classico di sovrapposizione. Cosadetermina il collasso della funzione d’onda, ov-vero lo stabilirsi di una realtà classica all’attodella misura? E cosa c’entra questo col processodi visione? Si potrebbe sostenere che questo pro-blema non ci tocchi in quanto occhio e cervellosono nei fatti oggetti classici e non quantistici.Ma è un falso problema per due ragioni, il primobanale e il secondo meno. La prima ragione èche se tutto è un aggregato di atomi, occhio e cer-vello inclusi, e gli atomi sono oggetti quantistici,allora occorre comprendere perché percepiamouna realtà classica visto che l’intera realtà non loè. La seconda ragione è che abbiamo detto cheun singolo fotone, che è nei fatti un oggetto quan-tistico, può essere rilevato dalla retina, per cuiil passaggio dal quantistico al classico, almenonel caso della visione, va spiegato proprio dal-l’occhio al cervello fino alla percezione. Quindi iproblemi sono davvero complessi.

Vi è un livello dove il mondo quantistico ce-de il passo a quello classico? E dove si collocaquesto livello? Alla scala atomica? Al livellodelle proteine? Del cervello? O al livello menomateriale della percezione (Fig. 5)? Nel corsodello sviluppo della fisica quantistica vi è statauna interpretazione che ha decretato la vittoriadella impostazione di fisici come Bohr nella in-terpretazione della realtà: l’interpretazione diCopenhagen.

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 61

Page 10: La realtà tra percezione e fisica

Figura 5: Rappresentazione del confine tra mondo clas-sico e quantistico. Dove collocare il confine?Esiste un confine?

Chi fa collassare l’osservatore?

Nella interpretazione di Copenaghen dovuta aBohr e Heisenberg, si separa l’oggetto osservato,trattato quantisticamente, e l’apparato di misu-ra, trattato in termini classici (Fig.5). È l’aspettoclassico dell’apparato di misura, la suamacrosco-picità, a determinare la natura fisica reale dell’og-getto quantistico osservato, cioè il collasso dellafunzione d’onda da uno stato di sovrapposizio-ne ad uno stato classico e misurabile. Questainterpretazione ha però dei problemi perché nonstabilisce come debba essere l’apparato dimisuraper essere considerato classico e non quantistico.

Sono le dimensioni a determinare la classicitàdell’apparato? Nessuna risposta dall’interpreta-zione di Copenaghen. La faccenda diviene anco-ra più complessa nel momento in cui il sistemaquantistico è il fotone e l’apparato, il sensorium.Nel processo di visione il fotone può essere cat-turato da una molecola di retinene con una certaprobabilità . Da un punto di vista classico il fo-tone può essere assorbito portando la molecolanello stato eccitato e con configurazione trans−,stato che indicheremo con |trans, 0〉, in cui 0 rap-presenta l’assenza di un fotone ormai assorbito,ma può anche non essere assorbito, lasciando-la in configurazione cis− con un fotone non as-sorbito, indicato con lo stato |cis, 1〉. Pertanto,per un certo tempo il sistema si troverà in unasovrapposizione quantistica data da

S(t)〉 = a(t)|cis, 1〉+ b(t)|trans, 0〉 (6)

Come possiamo vedere, il fotone e lo stato del-

Figura 6: In alto: se non disponiamo un apparato che ri-sponda alla domanda quale delle due fenditureha attraversato il fotone? sullo schermo appa-riranno delle frange di interferenza e si sveleràla natura ondulatoria della luce. In basso: sedisponiamo di un rilevatore di traiettoria e cer-chiamo di rispondere al quesito precedente lafigura di interferenza sparisce e al suo posto siosserveranno solo due strisce luminose corri-spondenti alle due fenditure. Avremo svelatola natura corpuscolare della luce. Tuttavia idue apparati sono complementari e non è pos-sibile svelare entrambe le proprietà (dualismoonda-corpuscolo).

la molecola sono entangled, ovvero lo stato non èfattorizzabile. Alla configurazione trans− tutta-via corrisponde uno stato in cui l’intera cellula vi-siva, entangled con lamolecola di retinene, svilup-perà un potenziale di membrana mentre a quellacis− no. Questo finché lo stesso cervello e lostato percettivo dell’osservatore si troveranno inuna sovrapposizione di stati tra l’aver percepitoil colore e no. Se tutto è fatto di atomi e particellee se la fisica di questi oggetti è quella quantisticaecco che quando osserviamo un dipinto dovrem-mo sentirci in una sovrapposizione quantisticadi stati mentali causati dallo stato di sovrapposi-zione del fotone assorbito e no. In effetti questacatena, chiamata catena di Wigner, porterebbe al

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 62

Page 11: La realtà tra percezione e fisica

seguente stato mentale sovrapposto

|S(t)〉 =a(t) | no percezione, V 1 disattivo, cis, 1〉

+ b(t) | percezione, V 1 attivo, trans, 0〉

Eppure non c’è esperienza più netta del fat-to che ci troviamo costantemente in uno statomentale univocamente determinato. È probabileche questo stato di sovrapposizione avvenga intempi molto piccoli per poi lasciare il passo aduno stato classico, ma in tal caso cosa determi-na il collasso dello stato di sovrapposizione se èl’osservatore stesso in sovrapposizione?Questo è il ben noto caso del gatto di Shrö-

dinger in cui un sistema quantistico a due statiè messo in relazione, entangled, con un sistemamacroscopico vivente e potenzialmente dotatodi coscienza: il gatto, o, meglio, la sua coscienza.Pertanto o la coscienza è in sovrapposizione eva spiegato come mai noi percepiamo le cose inmodo univoco, oppure la coscienza si comportacome gli apparati di misura di Bohr costringendola realtà a collassare in uno stato classico. In talcaso gli stessi stati mentali, qualità secondarie,potrebbero determinare la realtà delle qualitàprimarie più che essere il prodotto classico diqualità primarie come vorrebbe la fisica classi-ca. Il rapporto tra qualità primarie e secondariesarebbe completamente ribaltato in quanto la per-cezione determinerebbe la realtà classica e non ilcontrario. Se alcuni di voi stanno aggrottando lesopracciglia siete in buona compagnia, ma questisono i paradossi della fisica moderna connessi alconcetto di percezione e ai fondamenti epistemo-logici della fisica. Ma le soprese non finisconoqui.

Le qualità primarie non sonoreali finché non le si osserva

Secondo l’interpretazione di Copenaghen seusiamo apparati di misura tali da mostrare pro-prietà ondulatorie di un sistema allora tale si-stema rivelerà il suo aspetto ondulatorio, cosìcome se decidiamo di usare apparati di misuradi proprietà corpuscolari della particella quan-tistica in esame si osserveranno caratteristichecorpuscolari. Questo principio va sotto il nome

di principio di complementarità . Tuttavia, nonpossiamo adoperare lo stesso apparato per faremergere sia la natura corpuscolare sia quellaondulatoria.Un esempio è il principio di indeterminazio-

ne di Heisenberg in cui non possiamo appron-tare un singolo apparato di misura che ci diail valore della posizione e della velocità di unaparticella quantistica. Ma torniamo al dualismoonda-corpuscolo. Nel caso dell’esperimento adue fenditure di Young realizzato però, graziealle attuali tecnologie, con singole particelle co-me fotoni, la faccenda diventa chiara, anche separadossale. Se inviamo i singoli fotoni versodue fenditure e non ci chiediamo attraverso qua-le fenditura il fotone sia passato, cioè abbiamouna indeterminazione sulla informazione dellatraiettoria, osserveremo, via via che i fotoni siaccumuleranno nell’apparato di misura, una im-magine di interferenza sullo schermo. Se invececerchiamo di determinare da quale fenditura ilfotone sia passato disponendo ad esempio unrivelatore immediatamente dietro una delle duefenditure, ci poniamo quindi domande che han-no a che vedere con una proprietà dei corpuscolicome la traiettoria, la figura di interferenza tipicadelle onde non si formerà. Ora questo aspettonon turba più di tanto, ma quando si impostanoesperimenti cosiddetti a scelta ritardata emergela problematica del tutto quantistica.Questi esperimenti furono per la prima volta

pensati dal celebre fisico John Arcibald Wheeler[7]. Supponiamo una sorgente come una quasardisposta a un miliardo di anni luce da noi e chetra essa e noi vi sia interposta una galassia mas-siccia mentre noi siamo comodamente seduti nelnostro laboratorio sulla Terra. Stando alla teo-ria della relatività generale di Einstein la massadella galassia incurverà lo spaziotempo attornoad essa, deviando un eventuale raggio di luce,effetto noto come lente gravitazionale (Fig. 7).

L’immagine della quasar risulterà pertanto di-visa in due o più copie. Non dimentichiamoinoltre che se una quasar dista un miliardo dianni luce da noi, vedremo col nostro apparatofotoni partiti ben un miliardo di anni fa. La qua-sar potrebbe essersi nei fatti disintegrata milionidi anni fa per quel che ne sappiamo, sicché sta-remmo guardando un evento del passato. Orasupponiamo che un fotone abbia abbandonato

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 63

Page 12: La realtà tra percezione e fisica

Figura 7: Schematizzazione dell’esperimento a scelta ri-tardata di Wheeler su scala cosmica. La Quasaremette un fotone che può scegliere entrambe levie fornite dal lensing gravitazionale. Tutta-via sarà l’apparato scelto milioni di anni dopoa determinare quale dei due cammini, se nonentrambi, il fotone avrà percorso, a seconda se sivoglia indagare la natura corpuscolare oppureondulatoria del fotone.

la quasar un miliardo di anni fa, quando ancorasulla Terra non esisteva nulla di così comples-so come noi da porsi domande del tipo: cosamisurerò sul mio apparato? Il fotone avrebbepotuto scegliere una delle due possibili vie mo-strate in figura. Stando alla fisica quantistica essole prenderà simultaneamente entrambe se nonvogliamomisurarne la traiettoria e una sola se vo-gliamo individuare da dove è passato. Nel primocaso giunto sulla Terra si comporterà seguendo leregole dell’interferenza ondulatoria, nel secondole regole di particelle dotate di traiettorie singolee classiche, sparirebbe l’interferenza. Possiamoscegliere se vedere interferenza o no dipendente-mente se disponiamo o meno di un rilevatore ditraiettoria. Questa scelta però sarà fatta milionidi anni dopo che il fotone abbandona la quasar,per lo meno bisognerà attendere la nascita dellaspecie umana, della scienza, della fisica quan-tistica e della fabbricazione di quegli apparatidi misura. Quando il fotone ha abbandonato laquasar ed è giunto nei pressi della galassia, nulladi tutto ciò c’era ancora sul nostro pianeta. Sepertanto la natura del fotone, onda o particella,è stabilita all’atto della misura quale natura avràse, ancora in viaggio, dovrà impiegare milioni dianni prima di giungere al nostro apparato? Separtiti un miliardo di anni fa noi non esistevamoe la vita era probabilmente ancora in forma uni-cellulare? Forse l’osservazione futura determinalo stato passato del fotone? Volendo escludereuna ipotesi così peregrina, sebbene occorrerebberifletterci più di quanto si creda, emerge nei fattiche la realtà del fotone è stabilita solo quandonoi scegliamo l’apparato di misura da utilizzare,prima della scelta la sua realtà oggettiva, qualità

primaria, è indeterminata, nei fatti non esistente.Come vediamo, gli esperimenti a scelta ritarda-

ta ci pongono un quesito non da poco: le qualitàprimarie come la traiettoria non sono più rea-li ma assumono criterio di realtà solo quandodecidiamo di impostare un esperimento tale dachiederci da dove è passata la particella? Primadi allora non possiamo dare uno status di real-tà ad alcune proprietà fisiche, come posizione evelocità , che davamo per scontate. Ci sono pro-prietà primarie che resistono alla erosione dellafisica quantistica? Diremmo senza esitare chealmeno gli a-priori kantiani come lo spazio e iltempo devono essere reali. Certo non assoluti co-me intendevano Newton e Kant, ma per lo menoreali, qualità primarie a tutti gli effetti. Eppurela fisica quantistica mette in crisi anche questo.

Lo spazio e il tempo nella fisicaquantistica

Questo aspetto sconcertante è ben espresso nel-l’ambito di misure di particelle entangled. Sup-poniamo che una sorgente di particelle emettacoppie correlate. Ad esempio immaginiamo unatomo di spin 0 che si disintegra in due parti-celle di spin 1 e -1, di modo che la somma siasempre zero per la conservazione del momentoangolare. Poiché lo stato |−1, 1〉 e |1,−1〉 sono al-trettanto probabili, il sistema delle due particelleevolverà come un tutt’uno, entanglement, ma insovrapposizione quantistica

|S〉 = 1√2[|1,−1〉+ | − 1, 1〉] (7)

Ora supponiamo che le particelle viaggino permilioni di anni luce e giungano su due galassiemolto distanti in cui vi sono due osservatori A e B.L’osservatore A decide di osservare la sua parti-cella e dispone il rivelatore in modo da misurarela particella nello stato -1. Se il contatore scat-ta, indicandoci un segnale, ad esempio H, allorala particella si trova in quello stato, altrimentisi troverà nello stato +1, e il contatore indicheràun altro stato, ad esempio V. Supponiamo cheesso scatti H. Cosa misurerà l’osservatore B? Sescatta lo stato |S> del sistema collasserà nellostato che contiene lo stato |-1> della particellamisurata da A. Questo stato non è altro che |-1,

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 64

Page 13: La realtà tra percezione e fisica

Figura 8: Un laser (1) emette una coppia di fotoni (2),schematizzati con le due onde elettromagneti-che azzurra e gialla, che si trovano in stato en-tangled. Essi incidono su un rivelatore di stato(ad esempio la polarizzazione) (3) connesso conun contatore (4). Esperimenti di questo tipomostrano che i fotoni scambiano informazionesul proprio stato all’istante, indipendentementedalle distanze coinvolte. Sebbene la relativitànon venga violata in quanto l’analisi delle coin-cidenze può essere realizzata solo mediante uncanale classico, vincolato al limite della velocitàdella luce, la concezione classica dello spazioviene ovviamente alterata.

1>. Ne deriva che B misurerà la particella a luicorrispondente in 1, e indicherò V (Fig. 8).

La cosa interessante è che questo effetto avvie-ne all’istante, si tratta del collasso della funzioned’onda, e indipendentemente dalla distanza. Èinoltre molto curioso che dal punto di vista re-lativistico questo evento simultaneo dia originead un paradosso: chi è la causa del collasso diB nello stato 1? Diremmo che la causa è A, cheha fatto collassare il suo sistema, aleatoriamente,nello stato -1. Eppure possiamo metterci in unsistema di riferimento, stando alla relatività ri-stretta, in cui è B a venire temporalmente primaper cui la causa è ciò che consideravamo l’effet-to. Tutto ciò che è classico, distanza, tempo ecausalità salterebbero con i sistemi entangled lacui descrizione non è spaziotemporale. L’inter-pretazione di Copenaghen, portata alle estremeconseguenze, conduce perciò alla conseguenzache la realtà , o parte di essa, è una mera creazio-ne della scelta osservativa e che anche lo stessoconcetto di spazio, tempo e causalità potrebbe-ro essere mere ricostruzioni del cervello in unarealtà profondamente quantistica nella quale essi

non sono reali.

Quale realtà ?

Dopo questo percorso tra fisica classica, neuro-scienze, fisica quantistica, filosofia ed epistemo-logia possiamo tirare qualche conseguenza circala natura della realtà e della percezione? Abbia-mo visto come la fisica classica, nel programmaimpostato da Galileo, abbia stabilito che non tut-to ciò che osserviamo è reale. I colori, la striscialuminosa che si vede sul mare al tramonto, glistessi suoni sono in realtà un parto del nostrocervello. Ma qualcosa resta. La forma delle cose,la loro traiettoria, lo spazio e il tempo. Eppure leneuroscienze ci hanno mostrato come tutte que-ste informazioni, proprio come il colore, sonodecodificate in aree diverse del cervello, per cuiciò che è l’oggetto della fisica risulta essere quel-lo che il cervello filtra. Certo, l’ipotesi implicitaè che ciò che percepiamo sia una ricostruzionealquanto fedele della realtà fuori da noi, ma neifatti questa ipotesi ha per lo meno dovuto esseremodificata.Inoltre, l’applicazione di teorie fisiche al fun-

zionamento del cervello e della coscienza ci spin-ge verso direzioni in cui ciò che percepiamo el’atto percettivo stesso trovano la loro essenzain configurazioni più o meno stabili di neuronie flussi di carica elettrica. Dove inizia allora illibero arbitrio? Mi appare alquanto ovvio che im-postando il problema in questo modo non solo lequalità secondarie nei fatti spariscono, essendotutto spiegabile in termini di particelle, ma il libe-ro arbitrio non potrebbe esistere, con buona pacedi chi crede nella responsabilità individuale. Senon siamo d’accordo con questa conclusione allo-ra stiamo sostenendo che la coscienza è qualcosad’altro.Questa impostazione oggettiva della natura,

quello che va sotto il nome di realismo, ha subi-to una battuta d’arresto con la fisica quantistica,gli esperimenti a scelta ritardata, realmente rea-lizzati con interferometri di Mach Zender [8], equelli di entanglement. Stando a questi esperimen-ti e alla interpretazione di Copenaghen la realtà, o meglio quell’elenco di qualità primarie dellarealtà , non ha una sua esistenza indipendentedall’osservatore. La percezione potrebbe giocareun ruolo cruciale. Addirittura lo stesso Wheeler,

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 65

Page 14: La realtà tra percezione e fisica

in un atto abbastanza coraggioso, sostenne l’ideache lo stesso universo potrebbe essere venutoall’esistenza con una specie di atto osservativoretroattivo di osservatori futuri.

Quando la fisica prende vie troppo poco orto-dosse si giunge anche a questo, ma in fondo chipuò dire quanto poco debba essere strana la real-tà? Infine abbiamo visto come la stessa naturadello spazio e del tempo, se vogliamo salvare ilconcetto secondo cui nessun segnale può viag-giare più velocemente della luce, sono messe incrisi da esperimenti di entanglement. Insommanon solo la realtà verrebbe in parte costruita nelsensorium, ma addirittura ciò che il sensoriumpercepisce non è la realtà fondamentale dellecose su cui si è eretta la fisica classica.Ne deriva che, alla luce di questo studio che

ha visto incontrarsi epistemologia, fisica e neuro-scienze la domanda che cosa sia la realtà è unaquestione che forse andrebbe formulata in que-sto modo: quale teoria stiamo adoperando quie ora per descrivere le nostre percezioni? Riu-sciremo per questa via a giustificare i significatiche attribuiamo alle cose? Può il senso estetico,il bello, lo sgomento che si prova osservando uncielo sconfinato e silenzioso essere spiegabili co-me flussi di corrente tra parti di cervello? E cheruolo ha l’evoluzione, di cui siamo figli, nellastruttura cerebrale e percettiva di Homo Sapiensda cui le stesse teorie scientifiche emergono?

La scienza, pur partendo da una descrizione diciò che osserviamo demolisce la realtà fornitacidai sensi, arricchendola di entità non osservabilidirettamente, dai quark allo spazio-tempo, dall’e-nergia oscura alle forze a distanza di Newton, daicampi elettromagnetici ai fotoni. Una realtà diqualità primarie che però è continuamentemessain discussione proprio perché queste entità sonosolo temporanee e frutto di un contesto storico eculturale, e a quanto pare anche biologico.

Quando osserverete un dipinto o un tramonto,o ammirerete l’equazione definitiva della fisica,pensate a tutto questo.

Z M Y

[1] G. Galilei: Il Saggiatore (1623). Feltrinelli, Milano(2001).

[2] J. Locke: Saggio sull’intelletto umano (1689). Bompiani,Milano (2007).

[3] G. Galilei: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo(1632). Rizzoli, Milano (2008).

[4] P. Redondi: Galileo eretico. Laterza, Bari (2009).

[5] M. Guiducci: Discorso delle comete (1619). Anteonore,Roma (2002).

[6] C. Santinelli: Mente e corpo. Studi su Cartesio e Spinoza.Quattroventi, Urbino (2000).

[7] J.D. Barrow, P. C. W. Davis, C. L. Harpem: Scienceand ultimate reality: Quantum theory, Cosmology andComplexity. Cambridge University Press, Cambridge,UK (2004).

[8] J. Vincent; et al.: “Experimental Realization of Whee-ler’s Delayed-Choice Gedanken Experiment”, Science315 (2007) 966-968.

\ d [

Marco Mazzeo: Marco Mazzeo è ricercatore inFisica sperimentale presso il Dipartimento diMa-tematica e Fisica “E. De Giorgi” dell’Universitàdel Salento. Si occupa di nanofotonica e sviluppodi dispositivi molecolari che vanno dalla gene-razione di luce incoerente (OLED) allo svilup-po di nuove strutture per la generazione di lucecoerente per inversione di popolazione (Laser)o da condensati di Bose Einstein a temperaturaambiente (Laser polaritonici). Appassionato didivulgazione scientifica, di storia della scienza edelle religioni.

Ithaca: Viaggio nella Scienza V, 2015 • La realtà tra percezione e fisica 66