22
DOMENICA 15 OTTOBRE 2006 D omenica La di Repubblica FEDERICO RAMPINI i luoghi La Parigi di Maigret il provinciale GIANNI MURA il reportage Un museo per celebrare il flamenco CRISTINA HOYOS e GIUSEPPE VIDETTI la memoria Anna, imperatrice bambina di Bisanzio CINZIA DAL MASO e PAOLO RUMIZ spettacoli Gillo Pontecorvo e il suo set nella Casbah IRENE BIGNARDI e BERNARDO VALLI le storie La ragazza che fa correre Schumacher EMANUELA AUDISIO PECHINO « S apevi che i tuoi compagni erano affamati, li vede- vi diventare ogni giorno un po’ più deboli. Poi non venivano più al lavoro. Alla fine qualcuno si preoccupava, andava a casa loro e li trovava mor- ti. Altri morivano per strada dopo aver vagato in cerca di cibo. In cer- ti momenti la fame ne ha uccisi così tanti che era impossibile trova- re parenti vivi per i funerali, i cadaveri venivano gettati nelle fosse comuni». Lim era un soldato della Corea del Nord fino al 2005, ha di- sertato un anno fa. È uno dei tanti “profughi maledetti” che si sono salvati traversando clandestinamente il confine settentrionale con la Cina: un popolo invisibile, delle ombre di cui i governi non am- mettono l’esistenza. Solo poche organizzazioni umanitarie cercano di aiutarli in se- greto, sfidando le ire di Pyongyang e di Pechino. Médecins Sans Frontières è una di queste. I medici hanno raccolto centinaia di te- stimonianze, quasi dei racconti dell’aldilà. Le loro voci soffocate per anni rivelano che il paese capace di far tremare il mondo con l’ato- mica è sull’orlo di una nuova carestia. I nordcoreani sono stretti nel- la morsa tra la fame e il terrore quotidiano di uno Stato-gulag. Lim racconta che con l’eccezione di corpi speciali, guardie di frontiera e ufficiali, «i soldati semplici dell’esercito regolare spesso ricevono le razioni alimentari normali solo nel giorno del compleanno del lea- der Kim Jong Il, la maggior parte del tempo dovevamo cavarcela con tre cucchiai di grano per pasto. Una mezza dozzina di uomini del mio plotone sono morti di denutrizione». Un vecchio di 68 anni ac- colto alla frontiera cinese ha confermato: «Mio figlio era sotto le ar- mi e neanche lui aveva da mangiare. Gli ufficiali mandavano i sol- dati a sequestrare le scorte alimentari dei villaggi, se erano vuote en- travano a rubare nelle case dei contadini. Lui si è rifiutato, lo hanno fucilato». Kim, una donna incinta di 31 anni fuggita dal villaggio di Hyesan, ha detto: «Quelli che vivono in città almeno possono chie- dere l’elemosina ma nelle campagne a volte non ci resta che man- giare l’erba dei conigli. I contadini non producono abbastanza per- ché non c’è più concime e molti sono così deboli che non riescono a coltivare i campi». Il World Food Program, l’agenzia di aiuti alimentari delle Nazio- ni Unite, ha scoperto che il 37% dei bambini soffrono ritardi nella crescita, il 23% sono denutriti e gravemente sottopeso. Per fuggire c’è chi accetta qualunque umiliazione. Choi Jin I, 44 anni, dieci an- ni fa era una poetessa di regime. Quando la censura e la repressio- ne le sono diventate intollerabili ha detto addio alla nomenklatura, ha perso i privilegi della élite. «Ho dormito nelle stazioni ferrovia- rie, ho venduto i miei vestiti, le mie scarpe, le mie calze per un boc- cone di cibo. Sono riuscita a traversare il fiume Tumen verso la Ci- na. L’unica soluzione è stata vendermi a un marito, un contadino cinese analfabeta e violento». (segue nelle pagine successive) cultura Susan Sontag segreta, ecco il diario SUSAN SONTAG Il tiranno e la bomba Il test nucleare della Corea del Nord ripropone la tragedia di un paese-gulag devastato da fame e dittatura FOTO CORBIS con una testimonianza di HWANG SOK-YONG ( ( Repubblica Nazionale 29 15/10/2006

la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

  • Upload
    others

  • View
    3

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

DomenicaLa

di Repubblica

FEDERICO RAMPINI

i luoghi

La Parigi di Maigret il provincialeGIANNI MURA

il reportage

Un museo per celebrare il flamencoCRISTINA HOYOS e GIUSEPPE VIDETTI

la memoria

Anna, imperatrice bambina di BisanzioCINZIA DAL MASO e PAOLO RUMIZ

spettacoli

Gillo Pontecorvo e il suo set nella CasbahIRENE BIGNARDI e BERNARDO VALLI

le storie

La ragazza che fa correre SchumacherEMANUELA AUDISIO

PECHINO

«Sapevi che i tuoi compagni erano affamati, li vede-vi diventare ogni giorno un po’ più deboli. Poi nonvenivano più al lavoro. Alla fine qualcuno sipreoccupava, andava a casa loro e li trovava mor-

ti. Altri morivano per strada dopo aver vagato in cerca di cibo. In cer-ti momenti la fame ne ha uccisi così tanti che era impossibile trova-re parenti vivi per i funerali, i cadaveri venivano gettati nelle fossecomuni». Lim era un soldato della Corea del Nord fino al 2005, ha di-sertato un anno fa. È uno dei tanti “profughi maledetti” che si sonosalvati traversando clandestinamente il confine settentrionale conla Cina: un popolo invisibile, delle ombre di cui i governi non am-mettono l’esistenza.

Solo poche organizzazioni umanitarie cercano di aiutarli in se-greto, sfidando le ire di Pyongyang e di Pechino. Médecins SansFrontières è una di queste. I medici hanno raccolto centinaia di te-stimonianze, quasi dei racconti dell’aldilà. Le loro voci soffocate peranni rivelano che il paese capace di far tremare il mondo con l’ato-mica è sull’orlo di una nuova carestia. I nordcoreani sono stretti nel-la morsa tra la fame e il terrore quotidiano di uno Stato-gulag. Limracconta che con l’eccezione di corpi speciali, guardie di frontiera eufficiali, «i soldati semplici dell’esercito regolare spesso ricevono lerazioni alimentari normali solo nel giorno del compleanno del lea-

der Kim Jong Il, la maggior parte del tempo dovevamo cavarcela contre cucchiai di grano per pasto. Una mezza dozzina di uomini delmio plotone sono morti di denutrizione». Un vecchio di 68 anni ac-colto alla frontiera cinese ha confermato: «Mio figlio era sotto le ar-mi e neanche lui aveva da mangiare. Gli ufficiali mandavano i sol-dati a sequestrare le scorte alimentari dei villaggi, se erano vuote en-travano a rubare nelle case dei contadini. Lui si è rifiutato, lo hannofucilato». Kim, una donna incinta di 31 anni fuggita dal villaggio diHyesan, ha detto: «Quelli che vivono in città almeno possono chie-dere l’elemosina ma nelle campagne a volte non ci resta che man-giare l’erba dei conigli. I contadini non producono abbastanza per-ché non c’è più concime e molti sono così deboli che non riesconoa coltivare i campi».

Il World Food Program, l’agenzia di aiuti alimentari delle Nazio-ni Unite, ha scoperto che il 37% dei bambini soffrono ritardi nellacrescita, il 23% sono denutriti e gravemente sottopeso. Per fuggirec’è chi accetta qualunque umiliazione. Choi Jin I, 44 anni, dieci an-ni fa era una poetessa di regime. Quando la censura e la repressio-ne le sono diventate intollerabili ha detto addio alla nomenklatura,ha perso i privilegi della élite. «Ho dormito nelle stazioni ferrovia-rie, ho venduto i miei vestiti, le mie scarpe, le mie calze per un boc-cone di cibo. Sono riuscita a traversare il fiume Tumen verso la Ci-na. L’unica soluzione è stata vendermi a un marito, un contadinocinese analfabeta e violento».

(segue nelle pagine successive)

cultura

Susan Sontag segreta, ecco il diarioSUSAN SONTAG

Il tiranno e la bombaIl test nucleare della Corea del Nord

ripropone la tragedia di un paese-gulagdevastato da fame e dittatura

FO

TO

CO

RB

IS

con una testimonianza di HWANG SOK-YONG

( (Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 2

9 15

/10/

2006

Page 2: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

la copertinaTest nucleare

I fantasmi del Gulag-Corea

La Bomba di Kim Jong Il serve soprattutto a scopi interni,a stringere i controlli su un popolo già decimatodalle carestie degli anni scorsi e dalle persecuzionidella tirannia: 250mila prigionieri politici nei campidi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri -alla macchia nelle terre al confine con la Cina

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

(segue dalla copertina)

Lungo i milleseicento chilo-metri di confine settentrio-nale, nelle regioni cinesi diJilin e Liaoning vive nasco-sto questo esercito di fan-tasmi. Sono almeno tre-

centomila ma il governo di Pechino glinega lo statuto di rifugiati politici. Per leautorità cinesi sono immigrati clande-stini e criminali. La polizia ha messodelle taglie su di loro. Dei “cacciatori diteste” si arricchiscono riconsegnando-li alla Corea del Nord dove vengono de-portati nei gulag o fucilati. Una donnadi 43 anni, fuggita dalla miniera di car-bone di Eundok, ha detto: «La scelta ètra morire di fame e morire nelle manidella polizia se ci prendono alla fron-tiera». Ci sono anche cinesi generosiche accolgono i fuggiaschi. Alcuni lofanno per gratitudine: durante la Rivo-luzione culturale maoista erano loro acercare aiuto nella più ricca Corea delNord. Molti però si approfittano deiprofughi. Fiorisce il commercio dischiavi, soprattutto donne vendute inCina come mogli o prostitute.

Il genocidio segreto in Corea del Nordè iniziato nel decennio scorso, propriomentre tutti i governi occidentali in-trattenevano relazioni amichevoli conKim Jong Il, e Seul promuoveva il disge-lo con miliardi di aiuti. I dati ufficiali delcensimento del 2001, forniti dalle stes-se autorità di Pyongyang, rivelaronoche la popolazione era scesa da 23 a 19milioni di abitanti. Dove erano scom-parsi quattro milioni? Centinaia di mi-gliaia avevano tentato l’esodo verso laCina. Altri mancavano all’appello delcensimento perché vagabondi per fa-me. Almeno due milioni — il 10% dellapopolazione — sono morti per la care-stia iniziata a metà degli anni Novanta.In proporzione è un bilancio più enor-me dello sterminio di Pol Pot, il leaderdei khmer rossi che creò i “killing fields”in Cambogia negli anni Settanta.

Lee Min Bok, 50 anni, faceva il ricer-catore al ministero dell’Agricoltura aPyongyang: «Le razioni alimentari crol-larono perfino per noi colletti bianchi,impiegati dello Stato: da settecentogrammi di farina al giorno a mezzo chi-lo. Salvo il vertice della nomenklaturafacevamo tutti la fame: ricercatori, pro-fessori, anche le persone più qualifica-te». Una coppia di profughi intervistatisul confine cinese a Tumen raccontacosì l’estate del 1998: «Nella cittadina diHyesan arrivavano dalle campagne di-sperati. Vagavano in piccoli gruppi didue o tre persone nei parchi, sulle piaz-ze, alla stazione. Si sedevano sfiniti. Ibambini avevano le teste gonfie e gli oc-chi rattrappiti, la pelle nera e il corpopieno di piaghe. Molti non sopravvive-vano al freddo, la mattina dopo erano

cadaveri. Rimanevano per giorni a ter-ra senza che nessuno li raccogliesse».Un ex operaio di 30 anni rifugiato nellacittadina cinese di Baishan ricorda: «Lafabbrica aveva smesso di pagarci il sala-rio ma eravamo obbligati ad andarcitutti i giorni o ci avrebbero arrestato.Mia moglie che non aveva un impiegocercava di salvarci col mercato nero,piccoli lavoretti, un po’ di elemosina.

Poi è crollata, si è messa a fumare oppio,è morta di tifo. Le famiglie hanno co-minciato a disintegrarsi. I maestri sen-za salario disertavano le scuole, i geni-tori abbandonavano i bambini».

A quell’epoca Kim Jong Il per rispon-dere «alle calamità naturali e alle ma-novre di aggressione imperialista» lan-cia una campagna per i «cibi alternati-vi». Le autorità ordinano ai cittadini di

raccogliere radici e bacche, alghe, mu-schio. La tv di Stato manda in onda pro-grammi per insegnare a impastare spa-ghetti e ciambelle usando erba, foglie ecorteccia degli alberi. Dilagano gravimalattie intestinali, intossicazioni,molti muoiono avvelenati da questa“dieta”. I fuggiaschi parlano di episodidi cannibalismo. Di fronte alle orde dibambini orfani o abbandonati che cer-

cano di sopravvivere rubando, il regi-me risponde con i lavori forzati. Bimbidi 8-9 anni vengono catturati per co-struire l’Autostrada della GioventùEroica, una delle grandi opere del regi-me, 42 chilometri a dieci corsie fraPyongyang e Nampo.

La carestia degli anni Novanta ri-marrà una strage segreta: niente tele-camere della Cnn o della Bbc come inSomalia o nel Darfur. Una fotografadella Bbc, Hilary MacKenzie, chiamatadal World Food Program, viene espulsadal governo di Pyongyang con la moti-vazione che le sue immagini «voglionofarci somigliare all’Africa». Ricorda ilgiornalista inglese Jasper Becker: «Iracconti angosciosi dei profughi alla fi-ne degli anni Novanta non venivanocreduti neanche in Occidente, si pen-sava che fossero manipolati dai servizisegreti americani». La decimazione de-gli anni Novanta non fu una calamitànaturale — anche se a precipitare la cri-si contribuirono le inondazioni del1995 — ma una strage di Stato. Secon-do Human Rights Watch «la fame nellaCorea del Nord ha una dimensione po-litica, il fattore cruciale è la volontà delpotere di sacrificare i diritti e le vite diquelli che percepisce come dei cittadi-ni non abbastanza leali».

Oggi rischiamo di assistere a un tra-gico bis. Con un parziale dietrofront ri-spetto alla liberalizzazione economicaavviata su pressione dei cinesi, dall’ot-tobre 2005 il governo di Pyongyang havietato la vendita del grano sul merca-to. È stato ripristinato un razionamen-to da comunismo di guerra, e con dosiperfino inferiori ai cinquecento gram-mi di farina pro capite al giorno. Sem-pre alla fine del 2005 Kim Jong Il ha uf-ficialmente chiesto alle Nazioni Unitedi interrompere l’assistenza alimenta-re. L’anno scorso la Corea del Nord ave-va ricevuto dalla comunità internazio-nale un milione di tonnellate di aiutialimentari. Perché il regime frena l’as-sistenza umanitaria? Probabilmenteper rilanciare la propaganda di guerra,la psicosi da stato di assedio, in vista deltest nucleare.

Sembra impossibile che lo stesso pae-se negli anni Cinquanta fosse uno dei piùsviluppati in Asia. Alla fine della guerra diCorea, nel 1953, la parte Nord governatadai comunisti era la più ricca. Lì infattidurante l’occupazione giapponese sierano concentrati gli investimenti indu-striali del Sol Levante. In seguito gli aiutisovietici avevano dato al Nord un livellotecnologico avanzato (di cui la capacitànucleare è una lontana eredità). Oggi ilreddito medio pro capite dei nordcorea-ni non raggiunge i 600 dollari l’anno,quello del Sud è di 16mila dollari.

Kim Jong Il giustifica la miseria del suopopolo accusando l’America di accer-chiarlo e di preparare un’aggressione.Nel corso degli anni il regime ha coniatodiversi slogan dallo stile maoista per

La testimonianza di uno scrittore in esilio

Così morì la politica del raggio di sole

Lo scorso 9 ottobre la Corea del Nord ha provocatoun’altra crisi internazionale con la decisione di effet-tuare un test nucleare. [...] Pur volendo considerare il

punto di vista degli interessi statunitensi, basta guardarciattorno nel mondo per capire quanti Stati e individui siaspettino da Washington una politica di moderazione e ne-goziati diplomatici, e invece constatare come la situazionemondiale, a partire dal Medio Oriente, sia il risultato dellatendenza a risolvere i problemi con la forza.

[...] Io ho visitato la Corea del Nord per la prima volta nel1989 e la mia ultima visita risale al 1991. In quell’occasioneincontrai Kim Il Sung e le sue parole mi risuonano ancoranella mente: «Ormai il mondo è cambiato. Non viviamo trale nuvole ma abbiamo i piedi ben piantati per terra. Anchenoi dobbiamo cambiare. Prima ancora di pensare alla riu-nificazione dobbiamo pensare al nostro popolo. Siamo unpartito socialista e crediamo in un sistema federato, “unPaese e due sistemi”, in cui poterci inserire».

[...] A partire dagli anni Novanta la Corea del Nord ha chie-sto ininterrottamente un incontro al vertice con gli Usa, of-frendo apertura e cambiamento in cambio della garanzia dinon aggressione. Gli Usa inizialmente rifiutarono ogni ne-goziato, ma si trovarono nel 1994 di fronte alla prima crisinucleare. In questo periodo l’amministrazione statuniten-se, all’insaputa dei coreani del Sud, era giunta a formulareun piano di intervento bellico, fermandosi appena primadell’attacco. La diplomazia ebbe la meglio e in base agli ac-cordi di Ginevra la Corea del Nord accettava di congelare ilsuo programma nucleare.

[...] Dagli accordi del 1994 scaturì anche l’idea di un in-contro tra i capi delle due Coree, Kim Dae Jung per il Sud eKim Jong Il per il Nord, che si realizzò nel 2000 e che ebbe co-me risultato la Dichiarazione congiunta del 15 giugno, nel-la quale i due Paesi si impegnavano ad adottare la politicadel “raggio di sole” per una coesistenza pacifica. [...] Il so-stegno internazionale alla “politica del raggio di sole” delpresidente sudcoreano Kim Dae Jung era stato ampiamen-te dimostrato dal conferimento a Kim del Premio Nobel perla pace nel 2000. Ma proprio quando stava per concretiz-zarsi la visita di Clinton a Pyongyang, George W. Bush ven-ne eletto presidente degli Stati Uniti, e tutti gli sforzi fino adallora compiuti vennero annullati, facendo ripiombare ledue Coree in piena Guerra fredda. Ammettendo aperta-mente un cambio di strategia verso la questione coreana, ilneoeletto presidente definì la Corea del Nord, l’Iran e l’Iraqpaesi del cosiddetto “asse del male” e procedette con l’in-vasione dell’Afghanistan prima, e dell’Iraq poi. [...] Fu daquesto momento in poi che la Corea del Nord prese a chiu-

dersi ancora più di quanto non avesse fatto in passato. [...]L’anno scorso sono andato nuovamente in Corea del

Nord dopo un lungo periodo di assenza, in occasione dellaConferenza intercoreana degli scrittori. Non posso raccon-tare tutto nei minimi dettagli, ma mi furono subito chiari idanni provocati da anni di sanzioni e di difficoltà economi-che e finalmente riuscii a credere alle cifre riportate dalleNazioni Unite, secondo cui circa tre milioni di nordcoreanierano morti in seguito alle carestie, per malattie e cause fa-cilmente curabili altrove. [...]

La scorsa estate sono stato in Manciuria, al confine sino-coreano, e anche in quell’occasione ho assistito a scene a dirpoco disastrose. Ovviamente non intendo escludere dallamia critica le responsabilità delle autorità nordcoreane.Non riesco a trattenere lo sdegno e la rabbia per la vergo-gnosa distruzione verificatasi al confine, di numerosi vil-laggi e infinite famiglie oneste. Un intellettuale nordcorea-no una volta mi disse: «Ciascun popolo può manifestare va-ri volti: quello arrabbiato, quello della lotta, quello dellagioia, quello della cordialità. Io al Nord sono cresciuto guar-dando solo volti di rabbia e di lotta, impegnati a proteggerel’orgoglio nazionale». [...]

La Corea del Nord non potrà mai accettare di rinunciarein maniera incondizionata al nucleare. Cerchiamo piutto-sto di capire i motivi alla base del test nucleare. Si tratta in-nanzitutto di una reazione alle sanzioni imposte dagli Usae di una misura a scopo deterrente, per garantire la sicurez-za nazionale. [...] Gli Usa, che finora hanno mostrato estre-ma rigidità e unilateralismo nella loro Nordpolitik asiatica,devono convincersi che è giunto il momento di avviare dia-loghi diretti con Pyongyang. Quanto al governo di Seul, do-vrà smettere di offrire cieca subordinazione alle pressionidi potenze esterne e adottare una politica contro la guerra ea favore della pace [...]

Sud e nordcoreani, che abitano da oltre cinquant’anniuna terra diventata “Museo della guerra fredda” non pos-sono più essere ostaggio della politica militaristica dellegrandi potenze. Ci siamo fatti strada lungo un percorso pie-no di spine che ci ha portati fin qui. Ora, se non altro per lanostra stessa sopravvivenza, è giunta l’ora di non farci piùda parte.

L’autore, di origine nordcoreana, vive in esilioIn Italia sono usciti due suoi romanzi, “L’ospite”

e “Il signor Han” entrambi pubblicatida Baldini Castoldi Dalai

(Tradotto dal coreano da Vincenza D’Urso,docente di Lingua e letteratura coreana

all’Università Ca’ Foscari di Venezia)

HWANG SOK-YONG

FEDERICO RAMPINI

( (

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

0 15

/10/

2006

Page 3: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

I racconti dei fuoriusciti sono terribili“Arrivavano dalle campagne, vagavanodisperati. I bambini avevano le teste gonfiee gli occhi rattrappiti, la pelle nerae il corpo piagato. Molti non resistevanoal freddo, la mattina dopo erano cadaveri”

REGISTANel dipinto, il presidente nord-coreanoKim Jong Il supervisiona il set di un filmNelle foto, dall’alto, un soldato cineseal confine con la Corea del Nord,una manifestazione di protesta a Seulcontro il test nucleare, una paratadell’esercito nord-coreano con il ritrattodell’ex presidente Kim Il Sung

CAPO DELL’ESERCITONella foto di copertinail particolaredi un quadrodel 1992 in cui l’attualepresidente Kim Jong Ilè ritratto nel suo ruolodi capo dell’esercito

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

mantenere un clima di mobilitazionepermanente. Il periodo dagli anni Ot-tanta all’esplosione della carestia nel1995 è stato definito “la Dura Marcia”.Nel 1998 mentre s’inasprivano le priva-zioni si è passati alla “Marcia Forzataverso la Vittoria Finale”. Negli anni piùrecenti, con un involontario umorismomacabro, è apparso il termine “Marciaverso il Paradiso”. Il fatto che il regimenon sia ancora esploso si spiega con lacooptazione di una élite che collabora alclima di terrore, delazione, spionaggio.La popolazione è divisa in tre categorie:il nocciolo duro dei fedelissimi, gli “in-certi”, gli “ostili”. Questi ultimi riempio-no i campi di concentramento. Ci sono250mila prigionieri politici nei gulag fo-tografati dai satelliti. Un rapporto del-l’Onu rivela che per finire in un gulag ba-sta un «crimine contro la rivoluzione co-me il tentativo di fuga, la diffamazione

del partito comunista, l’ascolto di tra-smissioni radiofoniche straniere».

I fedelissimi decidono a chi vanno gliaiuti umanitari. Un soldato nordcorea-no di 35 anni, intervistato sul confinecinese a Hongcun, racconta che «nel-l’esercito le nostre razioni arrivano conl’etichetta di un’organizzazione stra-niera, International Group for Peace».L’Ong francese Action contre la Faimnell’ispezionare un orfanotrofio aChongjin ha trovato bambini sporchi,denutriti, malati: due tonnellate di lat-te Unicef indirizzate a quell’istitutoerano finite altrove. Per protestare con-tro il furto sistematico degli aiuti ali-mentari da parte della nomenklaturahanno abbandonato la Corea del NordMédecins Sans Frontières, Médecinsdu Monde e Oxfam. Ora concentrano iloro sforzi nel tentativo di aiutare i fug-giaschi. Scontrandosi con resistenze

immense: la Cina, ma anche la Coreadel Sud, temono che l’esodo dei profu-ghi possa essere — come accadde inGermania Est — il primo passo versol’implosione del regime. I cinesi nonvogliono una riunificazione nell’orbitaamericana, i sudcoreani tremano all’i-dea di mantenere una nazione di 19 mi-lioni di abitanti.

La paura del tracollo è una chiave deltest nucleare del 9 ottobre. Ne è convin-to un ex alto ufficiale nordcoreano fug-gito di recente, Sun Jung Hoon: «L’e-splosione atomica è diretta soprattuttoverso il popolo della Corea delNord. Serve a stringere i con-trolli interni, a dipingere tuttele sofferenze economichecome una vigilia di guerra,un’aggressione esterna acui bisogna risponderecon la Bomba».

FO

TO

AP

FO

TO

RE

UT

ER

SF

OT

O A

FP

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

1 15

/10/

2006

Page 4: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

il reportageMiti gitani

In una casa del centro storico di Sivigliasta per essere inaugurato il Museo del Baile

Flamenco, voluto dalla carismatica ballerinaCristina Hoyos. Lo abbiamo visitato in anteprima

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

Un museo per il flamenco,

Dice la veteranaBlanca del Rey:“La musicadà una ragioneall’anima;unita alla danzadiventauna liberazionedal pesodella memoria,in totale libertà”

ABITO ROSSOIl cortile

del nuovissimoMuseo del Baile

Flamencoa Siviglia

L’immaginedella ballerina

a centro paginaè tratta

da una locandinadel 1924

GIUSEPPE VIDETTI

SIVIGLIA

All’ora della siesta, quando l’orda di tu-risti che in questa stagione ancora as-sedia Siviglia incomincia a disper-dersi nei bar di tapas, arriva anche

Joaquín Cortés. Scivola silenzioso sotto il colonnatoseguito dalla sua corte gitana, mentre nello studioaccanto, dove Juan tiene lezioni, si ode l’inconfon-dibile battito di mani e il rumore dei tacchi che scan-discono il ritmo flamenco. Sale senza proferire pa-rola nell’ascensore rosso lacca, gli occhi nascosti daimpenetrabili lenti scure, il passo sicuro del conqui-statore. È il primo visitatore illustre del Museo delBaile Flamenco, nato per volontà della ballerina (si-vigliana doc) Cristina Hoyos, sessant’anni, un cari-sma che il tempo non ha scal-fito, impareggiabile partnerdi Antonio Gades sul palco-scenico e, dall’81 all’86, in trefilm culto di Carlos Saura,Nozze di sangue, Carmenstorye L’amore stregone.

Il museo profuma di nuo-vo, di colla e vernice, la seño-ra lo presenterà alla stampainternazionale la settimanaprossima, a pochi giorni dal-la pubblicazione della bio-grafia Cristina Hoyos-Gra-cias a la vida, dettata all’ami-co Juan Manuel Suarez Ja-pon, rettore dell’UniversitàInternazionale di Andalusia.

Joaquín attraversa le saleche raccontano la storia delflamenco, essenza di quel-l’embrujo gitano santificatoda Carmen Amaya (1913-1963), la mitica diva del baileche trionfò all’HollywoodBowl e alla Carnegie Hall. «Alei dobbiamo tutto, tutti», mormora Cortéz, davan-ti a un’immagine scattata dalla fotografa Colita (laMan Ray del flamenco) sul set di Los tarantos, giratodalla Amaya pochi mesi prima della morte: un visointenso che alla mediterraneità di Sophia Loren uni-sce la drammaticità della Papas e la sensualità dellaGardner. Il cordobés del flamenco vestito Gaultiers’inalbera: «Il museo mi piace, ma lo spazio che miavete dedicato è inadeguato, avrei preferito una sa-la tutta per me, la merito, io ho portato il flamenconegli stadi», borbotta minaccioso, «sinceramente aqueste condizioni preferisco non esserci». Poi, scor-tato dai suoi bravi, più baldanzoso di Don Rodrigo,abbandona l’edificio al numero 3 di Calle ManuelRojas Marcos.

Il museo è nascosto nel dedalo di viuzze del centrostorico di Siviglia, all’ombra della Giralda, trecentometri dagli Alcazar reali, che ospitano una magnificamostra di fotografie di Carlos Saura (con ritratti di Lo-la Flores, Camaron de la Isla, Paco de Lucia, Tomati-to e Antonio Gades), organizzata dalla XIV Bienal deFlamenco. «Sono nata due isolati più in là», dice laHoyos, «in una povera casa senza riscaldamento esenza bagno dove dormivamo in sei in una stanza,con mio padre che si faceva in quattro per sfamarci.Eppure non rimpiango nulla di quegli anni, di quel-la vita grama compensata da un’infanzia felice, da af-fetti sinceri, dal nostro patio carico di fiori». La Sivi-glia di oggi è persino troppo curata («Non dovrei dir-lo, ma ormai i tablao di Tokyo sono più autentici deinostri», dice la Hoyos), ma conserva gli antichi colo-ri, i profumi di un tempo: il giallo e il blu delle maioli-che, il bianco accecante delle case andaluse, le scie di

arancio e d’incenso che da giardini e cattedrali sispandono su strade e piazze, come in tutti i

paesi in cui si prega molto e si pecca di più.Nonostante il sindaco di Siviglia, il socia-

lista Alfredo Sanchez Monteseirin, non fac-cia mistero del fatto che «in Andalusia il fla-menco è una risorsa turistica al pari dei gran-

di monumenti», la municipalità non ha age-volato in nessun modo il sogno della Hoyos.

«Barcellona si era offerta di fornire una strutturaadatta a ospitare il progetto se Cristina aves-

se accettato di aprire nel capoluogo cata-lano il suo tempio al flamenco», dice Ti-na Panadero, la nipote della Hoyos checura le relazioni pubbliche del museo.Ma la ballerina è stata irremovibile: «Ioconsidero il Museo del Baile un omaggio

alla mia città. Lo farò con o senza il loroaiuto, a costo di ipotecare la casa di Madrid.

C’è sempre stato un angelo protettore che haguidato la mia esistenza, ci sarà anche questavolta». Infatti: proprio nel momento in cui i fon-di erano a zero e il progetto rischiava di naufra-gare, Elsa Peretti, disegnatrice di gioielli per Tif-fany, ha chiamato dalla sua villa di Marbellapromettendo una sostanziosa donazione.

Adesso la casa di Calle Rojas Marcos, che hatrecento anni, ospita un museo privato tecno-logicamente all’avanguardia, costruito da cin-

que squadre di architetti, scenografi e ingegneriinformatici per creare quella “full immersion” nellamusica e nel ballo che la Hoyos ha ritenuto indi-spensabile per catturare il visitatore. Illustra la suacreatura muovendo le mani come se stesse inizian-

do una danza, con la grazia che usa in palcoscenico,ruotando le dita in quella maniera morbida e sen-suale che qualcuno, forse eccessivamente fantasio-so, fa risalire alle antiche raccoglitrici di arance an-daluse, che avevano affinato quel gesto come armadi seduzione. Nel cuore del museo, al primo piano,il visitatore viene inghiottito da un tablao virtuale,con musiche del chitarrista Manolo Sanlucar, in gra-do di far comprendere tutte le emozioni legate ai va-ri stili del flamenco: l’eleganza e il potere delle farru-cas, la sensualità delle bulerias, il dolore e la mortedelle seguidillas, la nostalgia e la solitudine delle so-leás. Basta pigiare un bottone e i grandi schermi s’il-luminano di ballerine in mantilla e peineta che ini-ziano la loro danza misteriosa e carnale. Blanca delRey, una veterana del baile, racconta così il sortile-gio: «La musica dà una ragione all’anima, aiuta aesprimere quel che è difficile dire a parole; unita al

ballo diventa una liberazio-ne dal peso della memoria, intotale libertà. Il flamenco èuna fiera visione della vita».

All’ultimo piano il museoospita esposizioni tempora-nee. Fino a tutto novembresono in mostra i disegni di Vi-cente Escudero (1888-1980),pittore e ballerino che neitardi anni Venti frequentavail Café Montparnasse con Pi-casso e Miró, Juan Gris e Le-ger, e nel ‘35, con la benedi-zione di Manuel de Falla,rappresentò a San FranciscoEl amor brujo. Nello spaziofoto, Colita racconta il suo in-contro con Carmen Amaya:«Dopo averla conosciuta sulset di Los tarantos mi buttainel mondo del flamenco conuna vecchia Pentax e un ob-biettivo da 50 mm».

Sul muro di fondo, un ri-tratto di Antonio Gades con

Rafael Alberti scattato a Roma nel 1968, quando ilpoeta scrisse i versi «Antonio Gades, ti dico / Ma piùdi me / Te lo direbbe meglio / Federico / Che hai ildolore nel tuo ballo». Federico, naturalmente, è Gar-cia Lorca, che al flamenco dedicò una conferenza or-ganizzata insieme al maestro de Falla alla prima Fie-sta del cante jondo, nel 1922, dove spiegò il potere delduende, raccontando un’esibizione della leggenda-ria Niña de los Peines. «Una volta la cantaora anda-lusa Pastora Pavon, detta La Niña de los Peines, cu-po genio ispanico, equivalente in fantasia al pitto-re Goya o a Rafael el Gallo, cantava in una tavernadi Cadice. Giocava con la sua voce d’ombra, con lasua voce di piombo fuso, con la sua voce coperta dimuschio, e la nascondeva tra i capelli o la bagnavanella camomilla o la perdeva per strade lontane ebuie. Ma niente, era tutto inutile. Gli ascoltatoririmanevano in silenzio. (…) Allora si alzò co-me una pazza, piegata in due come unaprefica del Medioevo, tirò giù un granbicchiere di grappa come fuoco, e sisedette a cantare senza vo-ce, senza fiato, senza sfu-mature, con la gola brucia-ta, ma... con duende. (…) Ecome cantò! La sua voceora non giocava più, la suavoce era un fiotto di san-gue degno del suo do-lore e della sua since-rità».

Anche Fosforito hacantato con la voce bru-ciata, al teatro Lope de Ve-

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

2 15

/10/

2006

Page 5: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

Il mio talento andalusosbocciato nella povertà

CRISTINA HOYOS

Sono nata al centro di Siviglia, in un cortile tipico che si chia-mava Corral Trompero. Eravamo una grande famiglia.Mio padre, come tutti gli andalusi, per campare si arran-

giava; in Andalusia il dopoguerra è stato durissimo, ci manca-va quasi tutto. Spesso si andava a letto senza mangiare, soloqualche volta mia madre chiedeva a una vicina un piatto conqualcosa dentro per me, che ero la più piccola della famiglia. Lemie sorelle stavano in collegio, ne uscirono ri-camatrici provette. Neanche io ho potuto stu-diare. Sono stata anch’io in collegio per impa-rare le tabelline. Solo quello insegnavano aipoveri, le tabelline e il cucito. Alle più ricche,insegnavano qualcosa in più affinché poi po-tessero frequentare l’istituto. Ma non mi la-mento, perché ho dei bei ricordi: della casa deivicini, di come ci si aiutava tra poveri, dellaconvivenza. C’è soltanto una cosa che avreivoluto cambiare, la promiscuità; vivere introppi in una vecchia casa creava problemiigienici, c’erano insetti, cimici, c’era di tutto.

Mentre le altre bambine giocavano, io balla-vo in un angolo della cucina. Mi muovevo co-me mi veniva, perché non avevo mai visto nes-suno ballare. Ero così timida che mi chiudevoin uno stanzino di casa e lì, davanti a uno spec-chio, incominciavo a muovere le mani e a stu-diare i movimenti. Mi piaceva moltissimo an-che mettermi supina sul letto e battere i piedicontro il muro. Alla Feira ci si andava soltantoun giorno, non era una festa per poveri. Senzaun centesimo per poter entrare nei chioschet-ti delle bibite o dei giocattoli, ci limitavamo acamminare e camminare tra la gente. Il miogrande divertimento era andare con le mie amiche ai giardinidi Murillo a ballare per la gioia dei turisti che scattavano foto-grafie. In realtà avevo un sacco di complessi. Fisicamente erol’esatto contrario di una ballerina, una bambina molto magra,gracile… Mio padre mi consolava e stuzzicava la mia ambizio-ne: «Non ti preoccupare, diventerai la più grande, ballerai me-

glio di tutte le altre». Purtroppo, poveretto, è morto prima cheio diventassi una stella.

Mamma e papà intuirono il mio talento e deciserodi portarmi a un programma radiofonico, per ve-

dere se, ritrosa com’ero, sarei stata in grado diballare davanti alla gente. Cantai la canzone

Dolores, ay mi doloresdi Lola Flores, ma lo fe-ci ballando a tempo di bulerias, e questo

sorprese il pubblico. Fu quello il giorno,credo, in cui passai dall’altra parte del-

la barricata. (Tratto da “Cristina Hoyos-Un

sendero para la gloria”, Ed.Diputacion de Sevilla, 2004)

PRIME PROVECristina Hoyos(in bianco)accantoalla sua insegnanteAdelitaDomingoai “GalasJuveniles”,manifestazioneper giovani talenti,nel 1961

ga, bello e prezioso come una torta di nozze, fuoritutto panna e pistacchio, dentro crema e amarena:solo sei canzoni, in occasione della Bienal, un omag-gio a Siviglia, perché lui, ultrasettantenne, ha ormaiabbandonato le scene; il cante ha bisogno di buonipolmoni e i cantanti spesso sono fumatori accaniti.Il giorno dopo, Siviglia ha acclamato la più bella pro-messa del dopo-Camaron, Miguel Poveda, catalanoche, per calarsi nell’embrujo gitanoe per “sporcare”il suo melisma erudito, da tre anni vive in Andalusia;sul palco, a dar vita al suo cantedannato, c’era la bal-lerina Eva Yerbabuena, 36 anni, che dice «Flamencovuol dire lasciare il cuore in balia della vita», con lastessa solennità con cui Amaya diceva: «Il mare miha insegnato a ballare».

Adelita Domingo abita una bella palazzina Otto-cento in Alameda de Hercules, nella Siviglia dei bor-delli e dei bar gay. Viveva qui anche cinquant’anni fa

— c’erano già i postriboli ma digay bar neanche l’ombra —quando Cristina Hoyos bussòalla sua porta. Indossa gli stes-si pendenti di corallo di allora,gli occhi enormi, bistrati di ne-ro e di rosso, indugiano suimille ritratti in bella mostra alpiano terra. Lì un tempo balle-rini e cantanti in erba si muo-vevano sotto lo sguardo seve-ro della migliore insegnanteandalusa. «Da Adelita si facevala fila. Mentre lei era impegna-ta con la ragazza di turno, le al-tre facevano anticamera eser-citandosi con castañuelas(nacchere) e palmas(battito dimani)», racconta la Hoyos.

Ora l’accademia di Adelitaha chiuso i battenti e l’anzianamaestra consuma gli anni chele restano a lottare con un tem-po che non comprende. «Sononata al Teatro San Fernando,che ora, vergogna, è diventato

una banca. Mio padre faceva l’usciere. A quattordi-ci anni già insegnavo coplas (canzoni andaluse) eballo. Ero un talento naturale, avrei potuto tentarela carriera, ma mia madre disse: “Siamo poveri, me-glio non lasciare il certo per l’incerto”. E così casamia, proprio questa, è diventata una fabbrica di ar-tisti: Rocio Jurado, Paloma San Basilio (nella dedicasulla foto c’è scritto: “Per Adelita, che mi ha inse-gnato a volare”), Isabel Pantoja. La ricetta per il suc-cesso? Bravura e suerte. Ne ho visti io di talenti sciu-pati. Guardi questa niña», dice mostrando il ritrattodi una ballerina di tre anni dalla postura perfetta,una nuvola azzurra con flamenca e ventaglio, «ave-va tutto, a dieci anni era una star. Ma l’adolescenza,come spesso accade ai bambini prodigio, è stata fa-tale; un marito violento, un figlio dietro l’altro, eadesso è lì a badare ai mocciosi. Il successo è spieta-to, se vuoi che ti resti accanto devi offrirgli sacrifici,come a un idolo. Ecco perché molte di noi sono don-ne senza figli».

Non le sarebbe piaciuta l’uscita diJoaquín Cortés dalla Plaza deToros de la Maestranza dopol’esibizione pigra dell’altrasera, portato a braccia dauna corte di gorilla finoalla limousine, roba daElvis a Las Vegas. Sen-tenzia severa: «Lo di-co sempre io, la car-riera è come la vita,l’importante è il fina-le, l’inizio è semprepiù facile».

il ballo che copia la vita

VENDITA ALL’ASTAROMA, VIA DEI GRECI 2/A24, 25, 26, 27 OTTOBRE 2006

Esposizione dal 20 al 23 ottobre, orario continuato 10-200632283800 - www.astebabuino.itAntonio Canova.L’Amicizia lacrimante sull’erma del defunto.Bassorilievo in gesso, cm. 35 x 27

Alto antiquariatoDipinti antichi e del XIX secolo

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

3 15

/10/

2006

Page 6: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

la memoriaScontri di civiltà

Èl’anno del Signore 1179. Una bimba dinove anni, figlia del re di Francia, tra-versa il Mediterraneo con una flotta pa-vesata a festa per essere portata in spo-sa al figlio dell’imperatore di Bisanzio.Sono nozze di fiaba, il Bosforo è illumi-

nato di fiaccole. Ma in pochi mesi il sogno diven-ta incubo: il marito le viene strangolato da un pre-tendente, il quale sale al trono e, non sazio, la spo-sa. La piccola si ritrova così nel letto dell’assassi-no, mezzo secolo più vecchio di lei; ma cinque an-ni dopo vede anche la sua fine, in una memorabi-le esecuzione pubblica. Da quel momento Anna— vedova due volte — assiste al collasso dell’im-pero, fino al saccheggio di Costantinopoli per ma-no dei crociati venuti dal suo stesso Paese, la Fran-cia. La donna che doveva unire i due mondi vedeconsumarsi il loro totale divorzio. Una ferita chesanguinerà per secoli.

È la storia poco nota di Agnese di Francia, dive-nuta in Oriente Anna Comnena: un drammonegrandguignol che è il condensato di un’epoca e se-gna un incredibile snodo di eventi. Certo, non ècon i “se” e con i “ma” che si fa la storia. Tuttaviaun sommesso “chissà” è inevitabile di fronte aipersonaggi che per un pelo non l’hanno fatta de-ragliare. Con Anna la tentazione è forte. Se avessevisto compiersi il suo matrimonio, se un figlioavesse cementato un’alleanza forte fra Bisanzio ei cristiani d’Occidente, allora chissà, l’Islam nonavrebbe sommerso l’Anatolia, terra dei Padri del-la Chiesa; i Turchi non sarebbero dilagati fino aVienna e non avrebbero conquistato Bisanzio. Lanostra vita oggi sarebbe diversa e il cosiddettoscontro di civiltà, chissà, mostrerebbe un altrovolto.

Testimone di un momento cruciale della storia,questa «sovrana tra Oriente e Occidente» diventapersonaggio a pieno titolo nel libro di Paolo Cesa-retti L’Impero perduto, che esce in questi giorniper Mondadori. Anna è una donna che sorprende:proprio lei, che doveva odiare Bisanzio per averlestraziato due volte la vita, si bizantinizza, diventauna vera, superba costantinopolitana, e riservaun’accoglienza glaciale ai crociati giunti a omag-giarla. Il saccheggio del 1204, da essi definito im-presa «violenta e meravigliosa», le appare proba-bilmente nel suo volto reale: una devastazione in-sensata, un autogol politico e strategico chesguarnisce il bastione orientale della cristianità.

Crociati in difesa della fede? I fatti dicono altro.Nessuno, nemmeno i Turchi due secoli e mezzodopo, avrebbero devastato Santa Sofia al mododei francesi e dei veneziani nel nome di Roma. Unaputtana, essi misero, come supremo insulto, aballare sul trono imperiale di quella che persinogli ottomani avrebbero giudicato il massimo del-la divina perfezione. Al posto di Bisanzio l’Occi-dente mise il nulla politico, poi scatenò la rapi-na, impose una romanizzazione posticcia enon fece quasi niente per capire la culturadei greci. Un marciume tale che dopo mez-zo secolo, a grassazione ultimata, l’impe-ro latino d’Oriente sarebbe crollato, ricor-da il grande studioso John Julius Norwi-ch, in modo «ancor più vergognoso dicom’era cominciato, sopraffatto in unasola notte da una manciata di soldati».

Macché radici occidentali della cri-stianità. Se esiste una storia che sman-tella questo falso storico, oggi in granvoga, è proprio questa della piccola An-na di Francia che, divenuta adulta, rin-nega schifata la propria occidentalità.Come tutti i falsi storici, anche l’iden-tificazione fra Cristianesimo e Occi-dente nasce da una rimozione, dallacattiva coscienza dell’Europa per ilcolpo di grazia inferto alla Seconda Ro-ma. Tutto, osserva Cesaretti, come se«il cristianesimo ostentato dai crocia-ti non avesse avuto origine orientale

e la sua formulazione dogmatica non fosse avve-nuta in lingua greca nei concili ecumenici pro-mossi dalla corona bizantina continuatrice di Ro-ma e stretta alle reliquie di Terra Santa».

Finché, come occidentali, ignoreremo o sotto-valuteremo questo vulnus, difficilmente intende-remo il perdurante rancore dei greci per il tradi-mento del 1204. Soprattutto non riusciremo a ca-pire che lo strombazzato conflitto di civiltà, primache dividere Islam e Cristianesimo, divide cattoli-ci e ortodossi. Un conflitto che da otto secoli nonsmette di favorire l’avanzata dell’Islam, e che ha

origini solo apparentemente dottrinali. Dietro c’èlo stupro di Bisanzio e il furto dei suoi tesori cul-minato nel trasferimento dei bronzei cavalli sullaBasilica di San Marco. Ma c’è anche un’incompa-tibilità di atmosfera, un senso magico del sacro —costruito su canti antichissimi e penombre — chela cristianità romana ha progressivamente allon-tanato da sé.

Riscoprire Bisanzio dunque, più che mai oggiche abbiamo l’Islam armato di fronte a noi. Chi senon i greci ha resistito alle armate del re di Persiae a quelle dal califfo di Bagdad? Chi se non i greci

Con il suo matrimonioavrebbe dovuto riavvicinarele due cristianità diviseIl progetto invece fallìaprendo la strada all’Islam

L’imperatrice bambinache non salvò Bisanzio

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

Sola, tra gli ori di Costantinopoli

PAOLO RUMIZ

CINZIA DAL MASO

Agnese di Francia, a nove anni fu mandata in sposa all’imperatored’Oriente e diventò Anna Comnena. Cinque anni dopo, vedova due volte,sedeva saldamente sul trono dal quale nel 1204 assisterà impotenteal saccheggio della città ad opera dei crociati. Ora un libro ne ricostruiscela tragica figura e la scelta di voltare per sempre le spalle all’Occidente

Anna giunge a Costantinopoli dal mare. L’abbraccia tutta,immensa, con lo sguardo. Vede le lunghe mura marittime.Scorge gli innumerevoli edifici del Gran Palazzo. Ammira la

mole imponente di Santa Sofia. E della Chiesa Nuova, ora scom-parsa. Costeggia le mura e i quartieri “latini” (veneziano, genove-se, pisano) di qua e di là del Corno d’Oro. Vede in alto la torre di Ga-lata, unico tassello oggi rimasto di tanto fervore commerciale. Eprosegue lungo il fiordo, ammirata. Fortunata. Quel giorno lei,una bambina, stava vivendo il sogno di tutto l’Occidente di allora.Approdava alla città ideale, l’unica metropoli, un mondo di favo-la per chi conosceva solo manieri e castelli. Paradigma di lusso,eleganza, classe. Alla lettera, di “civiltà”. E «il concentrato di due

terzi delle ricchezze del mondo», come ebbero a dire i crocia-ti più di vent’anni dopo, quando quel sogno era ormai in

crisi e le infinite ricchezze si erano consumate. Ma era-no comunque molte e i crociati non ebbero pietà. Si ac-

canirono, feroci, su maestosità e sacralità. Distrussero,sventrarono, rubarono. Ma non poterono rubare la città.

Rimane ancora, la città. L’urbanistica non è mutata. Nessunonei secoli ha avuto la volontà o il coraggio di ledere quell’ideale. Eancor oggi lo si vede trasudare dalla coltre di minareti e bazar. L’a-cropoli antica, quella della Bisanzio greca e romana, è ora il palaz-zo imperiale ottomano, il Topkapi. Costruito praticamente a ri-dosso del Gran Palazzo bizantino. L’Ippodromo dove Anna am-mirerà i medievali tornei di cavalleria è ancora là, anche se allorac’era la quadriga di bronzo dorato (quella portata a San Marco aVenezia) a ricordare le antiche corse. Di fronte a Santa Sofia c’eral’Augusteion, la grande piazza dominata dalla statua equestre diGiustiniano Imperatore. E poi tutti i fori in fila lungo l’asse della viaRegia. Quello di Costantino (la colonna centrale c’è ancora). Il Phi-ladelphion da dove i Veneziani pigliarono i tetrarchi ora murati aSan Marco. Nella foga dimenticarono un piede, oggi in una tristeteca al Museo archeologico. Monumentum infamiae. Ai tempid’oro della città, la via Regia proseguiva parallela al mare fino allaporta Aurea: porta della via per Roma; arco di trionfo degli impe-ratori; vero simbolo del loro potere. L’unica costruzione cheMaometto II volle intaccare all’indomani della conquista addos-

sandovi un forte: un atto orgogliosamente simbolico.Ai tempi di Anna, però, l’asse della città si era già spostato ver-

so nord, sulla linea delle colline che costeggiano il Corno d’Oro.Lì crescevano chiese e monasteri. Da Maometto II in poi cresce-ranno le moschee, e le chiese si tramuteranno in moschee. E lì, allimite della città a ridosso delle mura, alle ben protette Blacher-ne, l’imperatore Manuele Comneno aveva trasferito la residen-za. Lì accolse Anna venuta dal mare, in saloni tutti rivestiti d’oroche oggi non ci sono più. Sopravvive solo la cosiddetta torre diAnemas che un restauro in corso sta dipingendo di irreale colo-re rosa, come già è accaduto per altri tratti di mura. Destino tri-ste, per le “invincibili”.

Anna visse tra l’oro delle Blacherne. Tra arredi e suppellettili chediventeranno il nucleo originario del tesoro di San Marco. La suaprima unione col giovane Alessio fu nel Gran Palazzo. Un palazzooramai pallido riflesso della grandiosità passata. «Quasi un ca-stello medievale limitato agli edifici attorno al Boukoleon», dice labizantinista Eugenia Bolognesi che al Palazzo ha dedicato una vi-ta di studi. Boukoleon era il porto imperiale sul mar di Marmara, ela loggia del palazzo affacciata sul mare si vede ancora. I leoni enor-mi e le colonne tortili che la adornavano, quasi sospese nell’aria,sono al Museo archeologico. L’ultimo baluardo oggi visibile delPalazzo sarà anche l’ultimo rifugio per Anna, quando i crociati im-perverseranno in città. Ma il giorno delle nozze lei si beava dellosplendore della sala “in Trullo”, come la chiamano gli storici del-l’epoca. «Prima, nei secoli d’oro, era detto Crisotriclinio», sostie-ne Bolognesi. Cioè la “sala d’oro” per antonomasia, il magnifico efamosissimo ottagono dove per secoli gli imperatori hanno in-contrato i fedelissimi. Oggi è la prosaica sede del corriere Tnt cheperò domina un crocicchio e un po’ rende l’idea dell’ottagono. An-cora una volta l’urbanistica aiuta.

Seconde nozze col vecchio Andronico in Santa Sofia. Il tempio.La Megale Ekklesia per antonomasia. Immensità e solarità capacidi accogliere la maestà di Dio in terra. L’antitesi di quei pinnacolivertiginosamente alti che Anna aveva scorto nel cantiere pariginodi Notre Dame. Se anche nulla di Costantinopoli fosse giunto finoa noi, basterebbe Santa Sofia a svelare l’essenza della bizantinità.

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

4 15

/10/

2006

Page 7: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

pero non sarebbe durato fino a metà del Quattro-cento se fosse stato in mano a depravati. Manue-le era uomo possente, andava in processione por-tando sulla schiena la pietra tombale di Cristo,maneggiava una spada enorme, comandava unesercito strepitoso. Suo nonno, Alessio il Grande,osso durissimo per i Turchi, era un anatolico, ere-de degli ittiti che tremila anni prima avevano datofilo da torcere al faraone Ramsete. Efferatezza? Lacrudeltà bizantina fu mirata, dinastica, fatta diamputazioni rituali (evirazioni e accecamenti),ma non divenne mai strage di massa, ecatombe.

L’ingresso degli arabi aGerusalemme fu infinita-mente più indolore diquello dei francesi a Bi-sanzio.

Quanto alla teocraziad’Oriente, essa sarà ma-gari stata — come scrive ilNobel russo Josif Brodskij— la madre di tutti i totali-tarismi fino all’assoluti-smo islamico e allo stalini-smo, ma è un fatto che l’i-dea di una sfolgoranteunione di imperium e sa-cerdotium affascina pro-prio allora le monarchiedei nascenti stati-nazione

d’Occidente. Filippo Augusto re di Francia, fratel-lo di Agnese-Anna, fa notare Cesaretti, non accre-ditò forse l’idea di un’origine divina del suo pote-re con le reliquie rubate dai crociati a Costantino-poli? E a che cosa se non ai simboli della teocraziabizantina — icone, statue e ori pure trafugati aoriente — si aggrappa la repubblica di Venezia permagnificare i destini della civitas adriatica e dellasua oligarchia mercantile? Un’estetica morta, ri-gida, iperconservatrice? Sarà, ma i racconti deglistorici bizantini negli anni di Anna esprimono ungusto del dettaglio e una letterarietà strepitosi. Gliimperatori non sono icone immobili, ma persone«cangianti, imprevedibili, inafferrabili, contrad-dittorie; in una parola, individui». Leggi per esem-pio che Manuele «montava molte femmine», sen-za badare nemmeno alla consanguineità, o chenelle pause dei combattimenti usava «sbucciarsiuna pesca con un coltellino». Un mondo affasci-nante, complesso, di frontiera, erede diretto dellospirito critico dell’Ellade, che lega a sé fino allamorte la coraggiosa Anna arrivata un attimo trop-po tardi al capolinea dell’impero perduto.

di Bisanzio ha tenuto testa per secoli alle armateturche? La nostra civiltà, insiste Norwich, non hariconosciuto fino in fondo il suo debito con l’Im-pero d’Oriente. Con la storia di Anna di Cesarettiil cerchio si chiude: viene smantellata una serieimpressionante di preconcetti sfornati per sche-dare Bisanzio come «crudele», «depravata», «fem-minea», «iperconservatrice», ossessivamente«teocratica» e «antioccidentale».

Antioccidentalismo? Manuele Comneno im-peratore sposò una tedesca e un’ungherese, poipropiziò il matrimonio dinastico di suo figlio con

Agnese di Francia, e questo non a scopo di effime-ri ampliamenti territoriali, ma nel disegno lungi-mirante di un’alleanza cristiana. Tra la minacciaturca e la potenza militare occidentale, egli nonvoleva trovarsi come «la pentola di coccio tra vasidi ferro», così si rivolse all’Occidente, come settesecoli dopo il turco Ataturk o nel Seicento il russoPietro il Grande. L’antioccidentalismo fiorì, certo:ma come reazione al tradimento di Roma. E fu rea-zione motivata, se conquistò anche Anna che dal-l’Occidente veniva.

Bizantini corrotti, fiacchi ed effeminati? L’im-

Divenne una vera, superbacostantinopolitanae riservòun’accoglienza glacialeai conquistatori francesie veneziani della metropoli

PREPARATIVIUna miniatura che illustra i preparativiper la Terza crociata. In basso, l’arrivoa Costantinopoli della figlia di un reoccidentale. In basso a sinistra, AnnaComnena. Le immagini sono trattedal libro L’Impero perduto, editoda Mondadori, di imminente pubblicazione

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

IL LIBRO

Il volume L’Impero perduto.Vita di Anna di Bisanzio,una sovrana fra Orientee Occidente (328 pagine,18 euro), edito da Mondadori,sarà nelle librerie martedì17 ottobre. L’autore, PaoloCesaretti, è specialistadi storia bizantinae traduttore di testi bizantinitra cui le Storie segretedi Procopio di CesareaPer Mondadori ha pubblicatonel 2001 la biografiadi un’altra sovranadi Bisanzio, Teodora. Ascesadi una imperatrice, vincitoredel premio Grinzane Cavournel 2002R

epub

blic

a N

azio

nale

35

15/1

0/20

06

Page 8: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

PUBBLICITÀ TELEVISIVA E GIORNALI:

APPELLO AI PARLAMENTARI EUROPEI PER LA TUTELA DELLA LIBERTÀ DI STAMPA

Via Piemonte 64 00187 - Roma Tel. +39 06 4881683 Fax +39 06 4871109 [email protected] www.fieg.it

PER UNATELEVISIONEANCORAPIÙ RICCA,SI AVREBBEROGIORNALIANCORAPIÙ IN CRISI.

La Direttiva europea sulle

televisioni pone oggi limitazioni agli

affollamenti pubblicitari tv,

protegge i telespettatori

dall'invadenza della pubblicità

e permette alla carta stampata

di avere ancora un piccolo

spazio nel mercato

della raccolta pubblicitaria.

Ma le proposte di modifica

all’esame del Parlamento Europeo

sono preoccupanti:le televisioni potrebbero infatti

aumentare gli spot e le

interruzioni pubblicitarie

e potrebbero anche, grande

novità, inserire marchi, prodotti e

oggetti pubblicitari senza

limitazioni nel corso dei programmi.

Risultato: avremmo una

televisione ancor più infarcita

di pubblicità. Pubblicità

che finirebbe per confondersi

sempre di più con programmi,

film e conduttori.

La Federazione Italiana Editori Giornali

si appella ai Parlamentari Europei nella

speranza che, a garanzia del pluralismo

informativo, vogliano impegnarsi a tutela

della stampa. Sono molte le testate

in pericolo: l'approvazione della direttiva

in questa forma le colpirebbe a morte.

FI EGFEDERAZIONE ITALIANA EDITORI GIORNALI

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

6 15

/10/

2006

Page 9: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

le storieDonne & motori

re fiducia e valorizzare quello che fai, mala vita privata te le sogni, nel senso che ladevi lasciar perdere. Non sono fidanzata,non avrei tempo, non ho risorse infinite.Quando torno da me, dopo 200 giornil’anno di trasferte, sono così stracca chedormo e leggo, sto in pigiama, mi conce-do il lusso della pigrizia. Calmi e placidirettilinei di ozio. Solo per un momentoperò. Perché sono talmente un disastroche mi ritrovo il frigo pieno di roba am-muffita, la casa fredda, senza riscalda-mento, e l’erba del giardino ridotta agiungla».

Lisa sta imparando l’italiano. «Perchéè giusto così, visto che trascorro lunghiperiodi a Maranello, dove mi coccolanomolto. L’Italia mi ha cambiata più dellaFormula Uno, prima fissavo le riunioni

ad una certa ora e mi meravigliavose i collaboratori si presen-

tavano con molta cal-ma, in ritardo. Ora in-vito tutti a prendereun caffè e magari,subito dopo, ne ap-profitto per discu-tere e organizza-re. È un altro mo-do di lavorare».

Lei non ha pas-sato le notti stan-do sul cofano di

un’auto ad aspet-tare la corsa di do-mani. «No, pro-prio no, vengo dauna famiglia nor-male, poco spor-tiva, nemmenocon fede calci-stica. Ho gioca-

to a hockey, quan-do guardavo in tv Da-mon Hill non pensa-vo che sarei finita an-ch’io ai box, mio pa-

dre seguiva un po’ ipiloti inglesi, ma

ora comincia a tifa-re Ferrari. Capisco

Schumacher chelascia, con me si è

sempre compor-tato da signore,

ma se sei stato il numero uno non accet-ti di essere qualcosa di meno e nemme-no di fabbricare rabbie artificiali. Questinon sono lavori che puoi fare a lungo ter-mine, altrimenti diventi un homelessprivilegiato o un estraneo in famiglia.Verrà il tempo di una donna pilota inFormula Uno, ma non ora. Sono ancoramacchine molto maschili, che richiedo-no preparazione atletica e forza fisica esoprattutto, anche quando scendi, ci so-no uomini al comando».

Si capisce, lei smitizza. «Mai avuto unidolo. Se non mio zio, che è stato colpi-to da un tumore alla gola e combattequotidianamente il male. La FormulaUno è piena di arroganza, di uominiche si credono dei, che disprezzano imomenti e cercano solo i grandi attimi.È un mondo ricco, pieno di adrenalina,di potenze e prepotenze, da cui è diffi-cile disintossicarsi, ma anche di umilelavoro quotidiano, di meccanica esi-stenziale. Capisco faccia effetto: per laprima volta mi hanno fatto fare un giroin Ferrari. E io l’ho già detto che non so-no una fissata, però accidenti, che bel-lezza. Quando c’è qualità e perfezionenei particolari, non puoi non innamo-rarti, perché la cultura dell’attenzionesignifica intelligenza».

Oddio, ingegner Lilley, che fa: vacillanella sua presa da scienziata? «Chissà.Forse sono più tenera con certe sedu-zioni, che anch’io comincio a provare.Mi sono lasciata contaminare, anchese cerco di non andare troppo oltre.Godo dei vantaggi: il lusso di viaggiarecomoda, lo shopping nel mondo,quando mi resta un po’ di tempo. Nonsottovaluto la felicità temporanea,quella di un istante, la fortuna di unaformula che riesce, non tutto è un arri-vo. Schumacher mi ringrazia a fine ga-ra, ne sono contenta a nome mio e del-la Shell, ma non intendo restare in que-sto mondo a lungo». Già, la benzinabrucia: traguardi e vite.

La ragazza dei boxche fa volare Schumi

EMANUELA AUDISIO

Lisa Lilley, 32 anni, inglese, ingegnere, bionda, graziosa,presenza discreta, abiti da lavoro rosso Ferrari,è il mago della benzina delle Formula Uno di MaranelloÈ lei a decidere quale miscela usare, qual è il numerodi ottani ideale per arrivare primi. I Gran premi sonola sua vita, ma quel che le piace di più è una tazza di tè

L’ambienteè maschile,la ricercadella velocitàè ancor oggiroba da uomini:“In questo mondole presenzefemminili, moltoriconoscibili, sonoquelle delle stare delle hostessIo con il miofisico pocoappariscentenon ero subitodecifrabile”

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

MONZA

Schumacher fa il vuoto, per-ché lei gli fa il pieno. Chiazzedi potenza, formule di rab-bia. È la Madame Curie del-

la F1, l’Harry Potter delle miscele, del VPower. La piccola chimica che fa corre-re gli uomini e volare le Ferrari. Si occu-pa di ottani, di liquido infiammabile,dell’unica forma di virilità che ancoraresiste in formato maschilista: la velo-cità. Light my fireJim Morrison a lei nonl’avrebbe potuta cantare. Per lei labenzina profuma, non puzza.«Forse perché sono cresciutaaccanto ad una raffineriache per me non produ-ce cattivi odori, mavita». Sta (fisi-camente) am e t às t r a -da tral’offi-c i n amecca-nica e lapista, trail prodottogrezzo equello raffi-nato. Fre-quenta gli uo-mini che in te-sta hanno soloquella roba lì:rombo del mo-tore, sorpassi, pi-stoni e via Emilia.Sessualità spinta. Ilfiato della macchi-na, le vibrazioni delvolante, il cielo che sidilata, che cresce emuore ad ogni cambiomarcia, i muscoli dellasterzata, la poesia del lu-brificante.

Lisa Lilley è inglese, ha 32anni, viene da Chester, la-vora per la Shell da diecistagioni. È una donna(quasi la sola) in unmondo di uomini. Studiala benzina, si occupa del suo trasporto aiGran premi. Chimica, ingegneria e giocodi squadra. «In Formula Uno le presenzefemminili, molto riconoscibili, sonoquelle delle star e delle hostess, io con ilmio fisico poco appariscente non ero su-bito decifrabile». Bionda, niente trucco,quasi una casalinga della velocità. Unfuoco che brucia dentro e non esplodefuori. Più Jane Austen che Vita SackvilleWest, niente Virginia Woolf con il suoUna stanza tutta per sé, perché in F1 si fatutto con tutti in maniera precisa e caoti-ca. Lisa è lontana dal mito della vita spe-ricolata, degli eccessi, del sorpasso, tièvado più forte di te. «Figurarsi. Io nel tem-po libero non colleziono macchine, mataglio l’erba del giardino, mi occupo del-la casa, e sono felice con in mano una taz-za da tè. Mai avuti idoli sportivi, la perso-na che stimo di più è mia sorella Emmache cresce due figli di 7 e 5 anni. Lavoropiù faticoso del mio, anche se io sono oc-cupata 12 ore al giorno».

Lisa lo sa, le fatiche del mondo sono al-tre. «Dopo la laurea sono andata a lavo-rare nelle acciaierie, alla British Steel, ilclima era spaventoso. Un caldo oppri-mente, 70 gradi, sempre avvolta in unaspecie di scafandro. La sola donna tra tre-cento uomini, un disagio, anche fisico,pazzesco. Lì sì che ti senti estranea, fuoriposto, esposta alla brutalità». Le macchi-ne da corsa hanno attorno gente in tuta,ma dentro conservano corpi e memorieda uomini, miscugli di umori e di amori,passaggi rapidi, cambi di velocità, pian-toni e bulloni, veglie con fuochi d’artifi-cio. I commenti dei meccanici, le occhia-te che bruciano, e non hanno bisogno ditraduzioni, sono sterzate culturali. «Vo-glio dire alle donne che si possono faretutti i lavori, anche quelli più scientifici etecnici, se sotto c’è passione e dedizione.Ma non dobbiamo chiedere troppo a noistesse, certi equilibri sono ingestibili,non riesce tutto bene nello stesso mo-mento. Se ti occupi di certe cose, devi ave-

FO

TO

CLIV

E M

AS

ON

/GE

TT

Y IM

AG

ES

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

7 15

/10/

2006

Page 10: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

PARIGI

Simenon l’aveva già detto nel ‘52: la Pari-gi del commissario Maigret è sparitacon la guerra. Però c’è ancora qualcunoche si ostina a cercarla, e parte dal 36,

quai des Orfèvres. La Grande Maison. La casa ma-dre della polizia. Fuori c’è uno scudo di bronzo conuna scritta: «Questa è la sede della polizia giudizia-ria resa celebre dal commissario Maigret, che pos-siede un ricco passato storico malgrado i palazzidel XIX secolo. Deve il suo nome agli orefici trasfe-ritisi sul quai tra il 1580 e il 1643».

Dentro, ci sono ancora i 148 gradini che Maigretsaliva per andare in ufficio e il linoleum scuro cheha vissuto giorni migliori, ma non c’è l’ufficio diMaigret con la stufa di ghisa, né la finestra da cuiguardava le chiatte solcare la Senna, tra Pont Neufe Pont St. Michel. In effetti è cambiato tutto.Quando Maigret entra in polizia, tanto per dire, aParigi non c’è ancora la Tour Eiffel. Quindi è per-fettamente inutile perlustrare, come faceva Mai-gret a passi lenti, da orso, i luoghi del divertimen-to, della mala e della perdizione, come Pigalle o lazona di rue Saint-Denis. I locali notturni con lespogliarelliste sono stati soppiantati dai liveshow, dai peep show, dai sex shop. Le Adèle eMarthe arrivate a battere il marciapiede da paesi-ni della Bretagna o del Gers sono state rimpiazza-te da donne africane e dell’est europeo. La rueSaint-Denis, pedonale, è fitta di turisti in cerca diemozioni già a mezzogiorno, chissà a mezzanot-te. Dentro a un portone c’è uno che si buca. Den-tro a un altro, questa è una mezza sor-presa, si aspettano i polli da spennare colgioco delle tre tavolette. Molti fast food,in prevalenza asiatici. Si respira olio frit-to di qualità scadente. Decido che è tem-po di cambiare aria.

Place des Vosges. Bellissima, comesempre. Vicina e lontana. Vicina perchéla sua bellezza è immediatamente perce-pibile, geometrica, serena. Lontana perquello che costa abitarci, o anche man-giarci. Al 9 c’è l’Ambroisie di Bernard Pa-caud, tre stelle Michelin, 200 euro bevan-de escluse, a stare stretti. Sotto i portici,stilisti e gallerie d’arte fanno la parte delleone. Al numero 6 è nato Victor Hugo:targa. All’8 ha vissuto Théophile Gautier:targa. Al 21 ha vissuto Simenon (e di con-seguenza ci ha fatto vivere, per un certoperiodo, Maigret): nessuna targa, nulla.Ai tempi di Maigret (e di Simenon) era an-cora una zona mista: ai piani alti i notabi-li, a pianterreno quelli che s’arrangiava-no per campare, come Simenon, che do-veva lavarsi in cortile. Oggi il cortile è bencurato, ci sono gerani e pitosfori, al pian-terreno uno studio legale. Però, attenzio-ne, è qui in place des Vosges che nasce,letterariamente, Maigret. Non è un com-missario, è un medico.

È nota l’abitudine di Simenon: tenevain casa guide telefoniche francesi, belghee svizzere. Si annotava una trentina di no-mi, li ripeteva a voce alta, scartava quelliche non gli suonavano bene, scremava lalista fino ad avere 12 nomi e cognomiadatti. Oltre al medico, c’è pure un Mai-gret tassista, prima di arrivare al perso-naggio “definitivo”, il commissario. Mai-gret rappresenta il diciannovesimo e ultimo tenta-tivo, dopo che Simenon si era via via inventato YvesJarry, Jean Tavernier, Georges Aubin, Gérard Ma-niquet, e li aveva presto cancellati. «Maigret è unpiccolo borghese molto onesto. Ama mangiare edè forse l’unico piacere che si concede, come i pove-ri. Non va quasi mai al cinema, non vede la tv, nonha l’automobile, non sa guidare». Così lo riassume-va Simenon nel ‘78, quando ormai il commissarioera andato in pensione da sei anni. Ultima inchie-

sta: Maigret et monsieur Charles (1972). Prima in-chiesta: Piotr le Letton (1930).

Il Maigret commissario viene concepito inOlanda, a Delfzijl, dove il battello Ostrogoth (giàbenedetto dal parroco di Notre Dame) s’è ferma-to per avaria. Il battello è di Simenon e di sua mo-glie Tigy. A bordo anche Boule, domestica (eamante) tuttofare. A Delfzijl c’è una statua in ono-re di Maigret: impettito, cappotto col collo di vel-

luto, bombetta. A La Rochelle c’è un quai Sime-non. Fra il ‘31 e il ‘34 si era rifugiato sull’Atlanticoper sfuggire a una Joséphine Baker troppo esigen-te. A Parigi né targhe né statue né strade. Seduto suuna panchina nei giardini di place des Vosges,penso che pochi hanno reso l’aria di Parigi comeil belga Simenon, non a caso definito Monsieur At-mosphère. Detto questo, a Parigi continuano araccontare barzellette sui belgi che ricordano le

nostre sui carabinieri, ma qualcosa gli devono pu-re, a Simenon. L’aria di Parigi, come il valzer mu-sette, la voce di Edith Piaf, la baguette, le foto diDoisneau. È la Parigi scoperta da un belga affama-to di tutto e da un provinciale, Maigret appunto,che arriva dalla campagna di Saint-Fiacre.

Già, Saint-Fiacre, protettore dei tassisti e deigiardinieri, monaco erborista nato in Irlanda e poitrasferitosi vicino a Meaux (il paese del Brie, per

inciso) morto il 18 agosto 670, invocatonella cura delle emorroidi (in Franciaqualcuno le chiama ancora “mal deSaint-Fiacre”) e delle malattie veneree.Simenon fa nascere Maigret a Saint-Fiacre, 25 km a est di Moulins, nell’Allier(molte barriquessono fabbricate col ro-vere locale). In Francia esistono cinquepaesi chiamati Saint-Fiacre, ma nessu-no nei dintorni di Moulins. Però 25 km aest di Moulins troviamo Paray-le-Fresil,paesino in cui Simenon visse qualchemese (dal luglio ‘23 alla primavera ‘24)facendo da segretario privato al mar-chese Raymond d’Estutt. Senza grandirimorsi si può definire Maigret un “au-vergnat” e questo spiega la sua predile-zione per piatti terragni, robusti: an-douillettes (salsicce di trippa), musettodi maiale, zuppa di cipolle. È già una raf-finatezza borghese il fricandeau à l’o-seille che madame Maigret gli preparanei giorni di festa.

E il coq au vinil cui segreto sta in un goc-cio di prunella d’Alsazia. Perché Louise, lasignora Maigret che per noi è AndreinaPagnani (Simenon diceva che era troppobella, non andava bene per la parte), è al-saziana, di Colmar. La loro Parigi di nonparigini, con pochissimi amici, è diversa:sempre in casa, tranne che per le spese e ilquindicinale appuntamento a cena conla famiglia del dottor Pardon, lei. Semprefuori lui, e quando torna e sale verso il ter-zo piano di boulevard Richard Lenoir,slacciandosi la cravatta e infilando lachiave nella toppa brontola il rituale «C’e-st moi».

Due provinciali, insomma. JulesFrançois Amédée (o anche Jules Joseph Anthelme,probabile omaggio a Brillat Savarin) viene fatto na-scere nel 1887. Suo padre, Evariste, è amministrato-re d’una tenuta nobiliare. A 9 anni Maigret resta or-fano della madre, morta di parto col figlio che avevain grembo (il dottore era accorso ubriaco). Quandone ha 19, muore di pleurite il padre. Il giovane Mai-gret va a Nantes, a casa di una zia, e studia medicina.Muore anche la zia, Maigret interrompe gli studi a vaa Parigi a cercare un lavoro. S’è già quasi deciso a fa-

GIANNI MURA

I luoghiCittà raccontate

LOCANDINE Gino Cervi e Jean Gabin nei panni di Maigret

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

Bisogna andare a nasoper trovare i postiche piacevano a lui,che non lo intimorivano

Prediligeva i bistrotcon le lavagnette al muroper il menù, il cibo ches’indovinava dal profumo

Dall’ufficioal quaides Orfèvresalla casain boulevardRichardLenoir,la “villelumière” vistacon gli occhidell’immortalecommissariodi Simenon,un piccoloborghesevenutodallaprovincia

La ParigidiMaigret

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

8 15

/10/

2006

Page 11: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

re il commesso in un negozio di passamanerie in ruedes Victoires quando un poliziotto, Jacquemain, loconvince a presentarsi a un commissariato periferi-co. Così comincia Maigret, in bici, portando dispac-ci. Poi passa alla brigata antifurto, sul metrò. Alla fer-mata della linea 7 inaugurata da poco, al Pont Neuf,vede un tipo rubare la borsa a una signora anziana.Lo afferra, l’altro grida «al ladro» e i passeggeri se laprendono con Maigret, credendo che il ladro sia lui.

Forse per questo, nel corso delle sue inchieste, nonsi muove volentieri sottoterra. Gli piace camminare.

Maigret in francese significa magrolino, ma ilcommissario ci viene descritto sull’1,80 e sui 110chili. Dall’ufficio alla casa di boulevard Richard-Lenoir (quasi 4 km) va spesso a piedi e ci metteun’ora. Non ha fretta, gli piace annusare la città ela vita. La casa di Maigret è citata 187 volte nei ro-manzi, ma il numero è indicato solo una volta:

132. Secondo altre fonti, sarebbe il 130. Mi atten-go alla ricostruzione di Michel Carly, il cui libroMaigret traversées de Paris-Les 120 lieux parisiensdu commissaire (edizioni Omnibus, pagine 192,15 euro) è fondamentale per un’ispezione mirata.

Il boulevard parte dalla Bastiglia e man manoche s’allontana diventa cosmopolita, basta guar-dare le facce al mercato che c’è al centro del vialedue volte la settimana. Non è un mercato da ricchi.

Al 132 c’è la birreria La Parisienne e nei dintorni ne-gozi di cose utili: un falegname, un farmacista, unafabbrica di casseforti, una stamperia, un istituto dianalisi cliniche. Non c’è portineria, né turisti, an-che qui nulla ricorda Maigret. E quindi torno nellazona di rue Dauphine, quella della famosa brasse-rie. Che non era in rue Dauphine, ma più vicino alquai, in rue de Harlay. Si chiamava Aux trois mar-ches e non c’è più. In place Dauphine è ancora pia-cevole sostare, sulle panchine verde scuro, sottogli ippocastani. Lì c’è terra battuta e ghiaino, noncemento. Al numero 15 abitavano Yves Montand eSimone Signoret. Fatti pochi passi, al 13 di place duPont Neuf, ecco la Taverne Henry IV. Il vecchioproprietario, Robert Cointepas, era amico di Si-menon (foto alle pareti). Sulla porta c’è una mac-china per i gelati, il menù bilingue propone pureun’insalata caprese (non so se Maigret entrereb-be) oltre al solito foie gras. In una vetrina adocchiouna bottiglia che certamente piaceva a Maigret: lavieille prune di Souillac.

Ma per trovare i posti che piacevano a Maigretbisogna andare a naso, come lui. Si sentiva inti-morito quando il dottor Paul (uno famoso, avevafatto l’autopsia a Jules Bonnot) lo invitava nel lus-so ovattato di Lapérouse, 51 quai des Grands Au-gustins. Gli piacevano i bistrot con le lavagnette almuro, il cibo che s’indovinava dai profumi (burroè nord, aglio è sud), e i profumi nei bistrot includo-no fumo e sudore. C’era il bancone per il boccale dibirra, un pastis o un calice di Muscadet se facevacaldo, un Armagnac o una Mirabelle se pioveva.Uno di questi posti, nel Marais, a due passi da pla-ce des Vosges, si chiama Jean Bart. Il bianco dellacasa è un delizioso Melon de Bourgogne, le crêpes

di grano sarace-no al roquefortparlano di Breta-gna. Un altro diquesti posti è lun-go il Canal SaintMartin, dovepassano le chiat-te e ci sono lechiuse. In gergo,la chiatta (péni-che) è talvoltachiamata marie-salope. Marinaid’acqua dolce,facce straniere,cadaveri ripesca-ti con o senza te-sta, ragazze di vi-ta. Tra l’altro, ilcanale passa (ma

interrato) davanti al 132 di boulevard Richard-Le-noir. A cielo aperto sono 4,5 km di corso, tra Répu-blique e La Villette. Qui si comincia a sentire la ca-denza popolare di Belleville, la voce della Piaf, quiviene in mente Arletty, l’Hotel du Nord, qui il pati-bolo di Mont-Faucon aveva ispirato Villon per laBallade des pendus. Qui Maigret veniva volentieri,gli piaceva l’atmosfera. Il canale è come un invisi-bile confine metropolitano tra l’ovest dei quartie-ri residenziali e l’est (siamo alle spalle della Gare del’Est) del lavoro poco retribuito e molto sudato.Anche qui, lungo le rive ombreggiate dai platani,gli stilisti stanno ricreando loft su loft e molti pic-coli artigiani sono scomparsi, ma qualcosa rimaneancora. In fondo a rue Recollet c’è un bar-bistrotcon l’insegna, guarda un po’, L’atmosphère. La la-vagnetta annuncia blanquette de veau (una pas-sione di Maigret) e rosé Cotes du Ventoux (già me-no: o bianco o rosso, lui). Specialità cocktail: caipi-rinha, daiquiri, mojito. Due americane mangianoformaggio di capra e bevono Beaujolais. Dueostesse: una ha i capelli alla garçonne e sciabattacon una sigaretta appesa alle dita. L’altra, dietro ilbancone, è bionda e bella, ha un’aria da tigre ma-linconica e il mojito è buono, niente da dire. Perfarmi perdonare da Maigret, prima ho bevuto unbicchiere di Muscadet. Non si scherza coi ricordi,tantopiù sul Canal Saint Martin.

FOTO D’EPOCA

A sinistra, veduted’epoca di Parigi:una “colonnaMorris”, piccolichioschi erettisui marciapiedidella cittàper affiggervile locandinedegli spettacoli;un panificiokosher a inizioNovecento;l’ingressodi una fermatadel metròQui sopra,una pienadella Senna

A PASSEGGIO

Nella foto grande, GeorgesSimenon a passeggioin una via piena di alberghiFoto Archives Pressesde la Cité e Fonds Simenon,tratta da Michel Carly,“Maigret traverséesde Paris”, edizioni Omnibus

LO SCRITTORE Georges Simenon su un battello

A MONTPARNASSE

In alto nella pagina di sinistra, una fotodegli anni Trenta del celebre bistrot pariginoLe Dôme, a MontparnasseGeorges Simenon raggiungevaabitualmente a piedi i localidi Montparnasse negli anni in cuiabitava in place des Vosges

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

FO

TO

CO

RB

IS

FO

TO

CO

RB

IS

Page 12: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

29 DICEMBRE 1958, PARIGI

St. Germain des Prés.Non pro-prio lo stesso che il Greenwi-ch Village. Tanto per comin-ciare, a Parigi gli espatriati

(americani, italiani, inglesi, sudameri-cani, tedeschi) hanno un ruolo diverso,sono più preoccupati della loro identitàrispetto ai provinciali (per esempio i ra-gazzi di Chicago, della West Coast, delSud) che si trasferiscono a New York, do-ve non c’è nessuna incrinatura nell’i-dentità nazionale, o incapacità di identi-ficazione. Stessa lingua. Si può sempretornare a casa. E, in ogni caso, gli abitan-ti del Village sono perlopiù Newyorche-si — esuli interni, se non addirittura cit-tadini.

La routine dei caffè. Dopo il lavoro, odopo aver cercato di scrivere o dipinge-re, si va in un caffè in cerca di gente che siconosce. Preferibilmente conqualcuno,o quanto meno dopo aver preso un ap-puntamento preciso… Bisognerebbeandare in vari caffè — in media quattro— nella stessa serata.

A New York (Greenwich Village), poi,si ha in comune la commedia dell’essereebrei. Anche questo manca nella bohe-me di qui. Non così heimlich. NelGreenwich Village, gli italiani — lo sfon-do proletario su cui gli ebrei sradicati e iprovinciali mettono in scena il loro vir-tuosismo intellettuale e sessuale — sono

SUSAN SONTAG

Susanpittoreschi ma piuttosto innocui. Qui,arabi turbolenti e predatori. […]

I ratés, gli intellettuali falliti (scrittori,artisti, presunti studiosi). Le persone co-me Sam Wolfenstein [matematico, ndr],con l’andatura zoppicante, la cartella, igiorni vuoti, l’ossessione per i film, la tac-cagneria e l’orrido nido familiare da cuifuggire, mi terrorizzano. […]

Harriet [Sohmers, scrittrice e modellaper artisti]. Splendido fiore della bohe-me americana. New York. Ebrea. Appar-tamenti di famiglia dalle parti della 70mae dell’80ma strada. Padre di ceto medionel commercio (non un professionista).Zie comuniste. Anche per lei passeggerainfatuazione per il Partito Comunista.Cameriera negra. New York HighSchool, New York University, collegesperimentale con pretese artistiche, SanFrancisco, appartamento nel Greenwi-ch Village. Precoci esperienze sessuali,negri inclusi. Omosessualità. Scrive rac-conti. Promiscuità sessuale. Parigi. Vivecon un pittore. Il padre si trasferisce aMiami. Frequenti viaggi per tornare inAmerica. Lavori notturni da espatriata.La scrittura si dirada.

30 dicembre

La mia relazione con Harriet mi tur-ba. Io vorrei che non fosse pensata, pre-meditata, ma l’ombra delle sue aspet-tative rispetto a ciò che dovrebbe esse-re una “storia” sconvolge il mio equili-brio, mi fa annaspare. Lei con le sue in-soddisfazioni romantiche, io con i miei

bisogni e i miei desideri roman-tici… Un dono inatteso: che èbella. La ricordavo decisamen-te non bella, piuttosto volgare epoco attraente. È tutto fuorchéquesto. E per me la bellezza fi-sica è enormemente, quasimorbosamente, importante.

Sul Tenere un Diario.Superfi-ciale intendere il diario solo co-me il ricettacolo dei propri pen-sieri privati, segreti — come sefosse un confidente sordo, mu-to e analfabeta. Nel diario nonmi limito a esprimere me stes-sa più apertamente di quantopotrei farei con un’altra perso-na; creo me stessa.

Il diario è un mezzo per dar-mi un senso d’identità. Mirappresenta come emotiva-mente e spiritualmente indi-pendente. Perciò (purtrop-po) non registra semplice-mente la mia vita concreta,quotidiana ma piuttosto —in molti casi — ne offre unaalternativa.

C’è spesso una contrad-dizione tra il modo in cui cicomportiamo con unapersona e ciò che in undiario diciamo di provareper quella persona. Maquesto non significa chequello che facciamo è su-perficiale, e che soloquello che confessiamoa noi stessi è profondo.Le confessioni, e natu-ralmente intendo leconfessioni sincere,possono essere più su-perficiali delle azioni.Sto pensando adesso aquello che oggi (quan-do sono andata al 122Bd. St-G per controlla-re la sua posta) ho lettosu di me nel diario diH. — quel giudiziosecco, sleale e ingene-roso su di me in cui di-ce in conclusione chenon le piaccio vera-mente ma che la pas-sione che io provoper lei è accettabile eopportuna. Dio sa sefa male, e sono indi-

gnata e umiliata. Raramente sap-piamo ciò che gli altri pensano di noi (o,meglio, che pensano di pensare dinoi…) Mi sento in colpa per aver lettoquello che non era destinato ai miei oc-chi? No. Tra le principali funzioni (so-ciali) di un diario c’è proprio quella diessere letto furtivamente da altre per-

“Non mi limito a esprimere me stessa: creo me stessa”. Così Susan Sontag,una delle più grandi intellettuali americane del Ventesimo secolo, parladel rapporto con il suo diario inedito. Dei fogli trovati dopo la morte, questa

è una selezione del periodo tra il ’58 e il ’67. Ricordi, ritratti da Sartre a Mailer, ma ancheconfessioni su omosessualità, amori, cadute e quelli che chiama i “luoghi morti” del sentimento

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

L’orgasmo è la salvezzaora mi amo e posso scrivere

PAGINE INEDITENella foto Susan Sontagnel 1979. Accanto, i fogli

del diario che pubblichiamoin queste pagine (© VictorSchrager/NYTimes)

Sontag

FOTO VICTOR SCHRAGER / NYTIMES

I diaridi

FOTO GETTY IMAGES

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

0 15

/10/

2006

Page 13: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

sone, quelle persone (come i genitori egli amanti) sui quali si è stati crudel-mente sinceri solo nel diario. E H. lo leg-gerà mai, questo? […]

Scrivere. È corruttore scrivere con l’in-tento di moralizzare, di elevare i principimorali degli altri.

Nulla mi impedisce di essere una scrit-trice se non la pigrizia. Una buona scrit-trice.

Perché scrivere è importante? È so-prattutto questione di egotismo, sup-pongo. Perché voglio essere quella perso-na, uno scrittore, e non perché ho qual-cosa da dire. E tuttavia perché non anchequello? Rafforzando un po’ il mio ego —come attraverso il fait accompli offertoda questo diario — conquisterò la certez-za di avere anche io (io) qualcosa da dire,qualcosa che dovrebbe essere detta.

Il mio “io” è graci-le, cauto, troppo sa-no di mente. I buo-ni scrittori sonoegotisti sfrenati, fi-no al punto della fa-tuità. Gli uomini sa-ni di mente, i critici,li correggono — mala loro sanità men-tale è parassitica evive della fatuitàcreativa del genio.

2 gennaio, 7.30 a.

m.

Mio povero, pic-colo ego, come tisenti oggi?

Non benissimo,temo — piuttostoammaccato, dolo-rante, traumatizza-to. Calde ondate divergogna, e tutto ilresto. Non mi ero il-lusa pensando chefosse innamoratadi me, ma ero con-vinta di piacerle.[…]

Stasera (ieri sera!) a casa di Paul ho ve-ramente parlato in francese. Per ore e orecon lui e con i suoi gentilissimi genitori.Molto divertente!!

19 febbraio.

Ieri (nel tardo pomeriggio) sono anda-ta al mio primo cocktail party parigino, acasa di Jean Wahl, in disgustosa compa-gnia di Allan Bloom. Wahl [filosofo]è sta-to all’altezza delle mie aspettative: unvecchietto esile e minuto, simile a un uc-cellino, con i capelli bianchi e una boccalarga e sottile, piuttosto bello, come losarà Jean-Louis Barrault [attore] a 65 an-ni, ma terribilmente distrait e sciatto.Abito nero cascante con tre larghi buchisul fondo dei pantaloni attraverso cui sivedevano le mutande (bianche), e torna-va allora da una conferenza pomeridiana— su Claudel — tenuta alla Sorbonne. Ha

una moglie tunisina alta e attraente (conil viso rotondo e i capelli neri) che ha lametà dei suoi anni, tra i 35 e i 40, direi, e treo quattro figli abbastanza piccoli. C’era-no anche Giorgio de Santillana [storicodella scienza]; due artisti giapponesi; del-le vecchie signore rinsecchite con cap-pelli di pelliccia; un redattore di Preuves;bambini di taglia media che sembravanousciti da un Balthus, in costumi da MardiGras; un uomo che assomigliava a Jean-Paul Sartre, ma più brutto e zoppicante,ed era Jean-Paul Sartre; e tantissime altrepersone i cui nomi non mi dicono nien-te. Ho parlato con Wahl, con de Santilla-na e (inevitabilmente) con Bloom. L’ap-partamento — è in rue Peletier — è fan-tastico — le pareti sono interamente co-perte da disegni, schizzi e dipinti fatti daibambini e da amici artisti — ci sono mo-

bili nordafricaniscuri e intagliati,diecimila libri, to-vaglie spesse, fiori,quadri, giocattoli,frutta — un disordi-ne davvero bello,ho pensato.

28 feb

Ieri sera alla Sor-bonne ho sentitoSimone de Beau-voir parlare sul te-ma “il romanzo, èancora possibile?”.È magra, tesa, scuradi capelli e molto at-traente per la suaetà, ma ha una vocesgradevole, qualco-sa a che fare con iltono alto e la rapi-dità nervosa con cuiparla. Nel tardo po-meriggio ho lettoRiflessi in un occhiod’oro di Carson Mc-Cullers. Furbo, dav-vero stringato e

“scritto”, ma non mi convincono le mo-tivazioni dettate da apatia, catatonia,empatia animale… (In un romanzo, vo-glio dire!)

Inizio 1959, New York City

La bruttezza di New York. Ma mi piacequi, mi piace persino Commentary [rivi-sta a cui collaborava]. A NY la sensualitàsi trasforma completamente in sessua-lità — nessun oggetto che susciti la rea-zione dei sensi, non un bel fiume, bellecase o persone. Odori terribili per strada,e sporcizia… Niente, se non il mangiare,forse, e la frenesia del letto. […]

Adeguarsi alla città piuttosto che far sìche la città corrisponda meglio a se stessi.

12 marzo, 4.15 p. m.

Sono malridotta. Lo scrivo qui; lo scri-vo lentamente e guardo la mia scritturache sembra OK. Due vodka martini con

Martin Greenberg [direttore di Commen-tary]. La testa mi pesa. Il fumo ha un sa-pore acre. Tony e un tipo dal volto mol-liccio (Mike Harrington) stanno parlan-do dello Stanford-Binets. Kleist è meravi-glioso. Nietzsche. Nietzsche.

19 nov

L’arrivo dell’orgasmo ha cambiato lamia vita. Mi sento liberata, ma non è que-sto il modo giusto di dirlo. Più importan-te: mi ha limitato, ha chiuso delle possi-bilità, ha reso chiare e nette le alternative.Non sono più illimitata, e cioè un niente.

La sessualità è il paradigma. Prima, lamia sessualità era orizzontale, una lineainfinita suddivisibile all’infinito. Ora èverticale; sale e ricade, oppure niente.[…]

L’orgasmo mi fa concentrare. Ho unagran voglia di scrivere. L’arrivo dell’orga-smo non è la salvezza ma, qualcosa di più,la nascita del mio ego. Non posso scrive-re finché non trovo il mio ego. L’unico ti-po di scrittore che potrei essere è il tipoche si espone… Scrivere è spendersi, gio-carsi d’azzardo. Ma fino ad ora non mi erapiaciuto nemmeno il suono del mio no-me. Per scrivere, devo amare il mio no-me. Gli scrittori sono innamorati di sestessi… e i libri che scrivono nascono daquell’incontro e da quella violenza.

20 nov. (3 a. m.)

Con nessuno sono mai stata così esi-gente come lo sono con la [drammatur-ga cubano-americana Maria] I[reneFornés]. Sono gelosa di chiunque veda,sto male ogni minuto che è lontana dame. Ma non quando sono io a lasciarla, eso che lei c’è. Il mio amore vuole incor-porarla totalmente, mangiarla. Il mioamore è egoista. […]

Oggi dopo il lavoro ha incontrato Inezal San Remo. C’era anche Ann Morrisett[giornalista e drammaturga]. Dopo, alCedar Bar. È tornata a casa alle 12.00; iodormivo… Si è messa a letto, mi ha rac-contato le conversazioni della serata, al-le 2.00 mi ha chiesto di spegnere la luce, siè addormentata. Io ero paralizzata, mu-ta, gonfia di lacrime. Io fumavo, lei dor-miva. […]

24 dic.

Il mio desiderio di scrivere è connessoalla mia omosessualità. Ho bisogno diquell’identità come di un’arma, da con-trapporre all’arma che la società usa con-tro di me.

Ciò non giustifica la mia omosessua-lità. Ma mi accorderebbe — lo sento —una certa licenza.

Solo adesso mi sto rendendo conto diquanto mi sento in colpa d’essere omo-sessuale. Con H. ero convinta che la cosanon mi turbasse, ma mentivo a me stes-sa. Ho fatto in modo che gli altri (peresempio Annette [Michelson, studiosa dicinema]) credessero che il mio vizio fos-se H., e che se non fosse per lei non sareiomosessuale, o almeno non prevalente-mente. […]

Essere omosessuale mi fa sentire piùvulnerabile.

28 dic

Fino ad ora avevo pensato che le solepersone che potessi conoscere a fondo, oamare veramente, fossero doppi o ver-sioni del mio io infelice. (Le mie propen-sioni intellettuali e sessuali sono semprestate incestuose) Ora conosco e amoqualcuno che non è come me — e cioènon un’ebrea, non un’intellettualenewyorchese — senza nessuna perditadi intimità. Sono sempre consapevoledel fatto che I. è straniera, dell’assenza diun background comune — e ne provo ungran sollievo.

1960

(frontespizio privo d’indicazione di

data)

Cogito ergo est

Feb.

Quante volte ho raccontato che PearlKazin ha avuto una storia importantecon Dylan Thomas? Che a Norman Mai-ler piacciono le orge? Che [F. O.]Matthiessen era omosessuale? Tutte co-se di pubblico dominio, certo, ma chi dia-mine sono io per andare a raccontare ingiro le abitudini sessuali degli altri?

Quante volte mi sono biasimata perquest’abitudine, che è solo un po’ menooffensiva di quella di riempirsi la boccacon i nomi di persone famose (quantevolte ho parlato di Allen Ginsberg l’annoscorso quando lavoravo per Commen-tary?) o di quella di criticare gli altri quan-do sono invitata a farlo… Ho sempre tra-dito la fiducia degli altri. Non c’è da stu-pirsi se sono sempre stata così severa escrupolosa nell’usare la parola “amico”!

Sabato:

sveglia alle 7Museo alle 10.30I. arriva all’1caffè e pranzo al Museo3.00 “Mancia competente”4.30-5.15 caffè con I.; parliamolei mi accompagna in taxi fino alla

118ma stradaprendo David

[Rieff, il figlio dellaSontag, che alloraaveva sette anni]

lascio I. nella79ma strada — va acasa di Alfred [Che-ster, scrittore e criti-co letterario]

do da mangiare aD; e lo metto a letto

A. telefona perconvincermi ad an-dare al party

Leggo il Listener— chiamo Jack,Harriet —

Esco alle 9.30Taxi fino alla

14ma strada —compro i bigliettiper il film di [Ken-neth] Anger — Pi-randello party —me ne vado — Ti-mes Square

Film con la Bar-dot — a casa alle 4

Domenica:

sveglia alle 7.00 — rabbiachiamo A. alle 9.00Jack viene a prenderci alle 9.15colazione da Rumpelmayerpasseggiata a Central ParkHotel Pierre con Jack, Ann e due amici

(Jack e Harriet)taxi fino a casa di Alfredpranzo con I. e A. da BocceI. e io andiamo al Commonsparliamotorniamo da Alfred alle 6.45I. chiama Ann — andiamo tutti down-

town, I. va da Ann, A., David e io al Frank’sPizza. […]

andiamo a prendere I. alle 8 in HudsonStret — andiamo al cinema alla CarnegieHall Playhouse

10.30 — taxi fino a casa — messo D. aletto — I. vuole mangiare — sesso — sen-za parlare — dormire. […]

Domenica:

depressione, stanchezzaprendo la benzedrina alle 5.00taxi fino a Washington Square alle 6.00

per incontrare A.cena da Frank’spoi caffé al Reggio

8 marzo (mezzogiorno)

Attraverso la benzedrina, l’impattosempre più penetrante di Irene, il Dr. Pu-roshottam [studioso indù] la settimanascorsa, le lezioni di oggi sull’etica di Spi-noza, la lunga meditazione su Kant co-minciata a ottobre, l’idea di ieri sulla dif-ferenza tra “la verità che” e “la verità su”.

Non c’è stasi. Restare immobili è tra-dire la verità; la vita interiore si oscura,tremola e comincia a spegnersi, nonappena si cerca di tenersi stretti a qual-cosa. È come cercare di servirsi di que-sto respiro per il prossimo, o pretende-re che la cena di stasera funzioni ancheper mercoledì prossimo… La veritàcorre sulla freccia del tempo.

8 agosto Lunedì mattina.

Devo aiutare I. a scrivere. E se scrivoanche io, metterò fine all’inutilità distarmene seduta così a fissarla e a im-plorala di amarmi ancora. […]

Fa male allora amare. È come accet-

tare di farsi scorticare sapendo che inqualunque momento l’altra personapuò andarsene via con la tua pelle.

14 agosto

NON DOVREI CERCARE DI FAREL’AMORE

QUANDO SONO STANCA.DOVREI SEMPRE SAPERE QUAN-

DO SONOSTANCA. MA NON LO SO.MENTO A ME STESSA. NON CONO-

SCOI MIEI VERI SENTIMENTI.(Ancora?!)

3/12/61

Prendere coscienza dei “luoghi mor-ti” del sentimento — Parlare senza pro-vare niente. (Cosa molto diversa dal-

l’antica avversioneche provavo perme stessa quandoparlavo senza sa-pere niente.)

Uno scrittoredeve essere quat-tro persone:

1) il pazzo, l’ob-sédé

1) l’imbecille1) lo stilista1) il critico

1) fornisce il ma-teriale

1) lo lascia venirfuori

1) è il gusto1) è l’intelligenza

un grande scrit-tore li ha tutti e 4 —ma si può comun-que essere un buo-no scrittore solocon 1) e 2); sono ipiù importanti.

9 dic. 1961

La paura di invecchiare viene nelmomento in cui si riconosce di non vi-vere la vita che si desidera. Equivale al-la sensazione di abusare del presente.

(Senza indicazione di data)

Il ghigno di Mary McCarthy — capel-li grigi — abito stampato blu e rosso,fuori moda. Pettegolezzi da circolofemminile. Lei è Il gruppo. È gentile conil marito. […]

Scrivo per definire me stessa — un at-to di auto-creazione — parte di un pro-cesso di divenire — in un dialogo conme stessa, con gli scrittori vivi e mortiche ammiro, con i lettori ideali.

Perché mi dà piacere (un’“attività”)Non so per certo a cosa serva il mio la-

voroSalvezza personale — Lettere a un

giovane poeta di Rilke

3 sett. 1962

Sono seduta sull’erba vicino al fiume.David gioca a palla con un uomo e unbambino portoricani.

Sola, sola, sola. Il fantoccio di un ven-triloquo senza ventriloquo. Ho il cervellostanco e il cuore che fa male. Dov’è la pa-ce, il centro?

Ci sono sette tipi d’erba qui dove sonostesa. Soffioni, scoiattoli, piccoli fiorigialli. […]

Voglio essere capace di stare sola, e ditrovarlo stimolante — non una sempliceattesa.

Hyppolyte dice, benedetta la menteche ha qualcosa di cui occuparsi al di làdelle proprie insoddisfazioni.

Ho sognato Nat[han]Blazer ieri not-te. Veniva a prendere in prestito unmio vestito nero, un vestito bellissi-mo, per la sua ragazza che doveva in-dossarlo a una festa. Io cercavo di aiu-tarlo a trovarlo. Lui si stendeva su unletto a una piazza e io mi sedevo ac-canto a lui e gli accarezzavo la faccia.Aveva la pelle bianca tranne che per al-cune chiazze di barba nera, simile amuschio. Gli chiedevo come mai la suafaccia fosse diventata così bianca e glidicevo che doveva prendere un po’ disole. Volevo che mi amasse ma lui nonha voluto.

(segue nelle pagine successive)

La vita interioresi oscura, tremola

e comincia a spegnersise si cerca di tenersi

stretti a qualcosa

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

L’INTEGRALE SU REPUBBLICA.IT

Il testo integrale dei diari di Susan Sontagqui fedelmente riprodotti, punteggiaturae sintassi comprese, può essere lettosu Repubblica.it. Si tratta di appuntiscritti, in modo discontinuo e spessoestemporaneo, tra il 1958 e il 1967,su taccuini e fogli sparsi ritrovatinei suoi appartamenti di New York dopola morte. La Sontag aveva l’abitudinedi riempire i momenti di ozio fermandosulla carta i pensieri, le impressionie gli umori della giornata. Nei diarisi trovano così i dettagli della vita privata,annotati con cura ansiosa, ma ancheabbozzi di romanzo, giudizi su filmappena visti, artisti o libri letti. Filoconduttore, l’intima ricerca di quellacoerenza umana e intellettualeche è uno dei tratti inconfondibilidel suo volto pubblico

LA FATICA DEL SORRISOA sinistra, Susan Sontagnel 1967; a destrala scrittrice nel 1978

Sola, sola, solaHo il cervello stancoe il cuore che fa male

Dov’è la pace,il centro?

FO

TO

MA

GN

UM

- C

ON

TR

AS

TO

FO

TO

GE

TT

Y IM

AG

ES

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

1 15

/10/

2006

Page 14: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

Pagine di torture morali e conflittimai risolti, di incontri illuminanti

da Peter Brook a Grotowski, a De BeauvoireIl dolore della solitudine e le gioie dell’arte di JasperJohns e Rauschenberg. Le notti di sesso“in compagnia solo del New York Times” e la gioiaper la musica rock dei Grateful Dead. La passionecarnale per il cinema. Come quando, vedendo GretaGarbo, “il desiderio prese il posto dell’ammirazione”

(continua dalle pagine precedenti)

12 SETT. 1962

La prematura arrendevolez-za, la disponibilità tali da fa-re in modo che non si arrivimai alla caparbietà di fondo

spiegano per l’80% il mio famigeratobisogno di flirtare, di sedurre

16/10/62

Sentimentalità. L’inerzia delle emo-zioni.

Non sono leggere, briose. — Io sonosentimentale. Mi aggrappo ai miei statiemotivi.

O sono loro ad aggrapparsi a me?

27 luglio 1964

Arte = un modoper entrare in con-tatto con la propriafollia.

Il mio bisogno diliberarmene, unavolta arrivata alla fi-ne.

Un testo appenadattiloscritto, nelmomento stesso incui è finito, comin-cia a puzzare. È uncorpo morto — de-ve essere seppellito— imbalsamato, acaratteri di stampa.Corro a impostare ildattiloscritto, nonappena è finito, an-che se sono le quat-tro del mattino.

Il crimine piùgrande: giudicare.

Il difetto piùgrande: la mancan-za di generosità.

(su un foglio di

carta sciolto, pro-

babilmente del 1964)

Starò bene entro le 7.00 di stamattina.M. [Mildred Jacobsen, madre della

Sontag] non rispondeva quando erobambina. Il castigo peggiore — e la fru-strazione per eccellenza.

Era sempre “fuori servizio” — anchequando non era arrabbiata. (Il bere eraun sintomo di ciò.) Ma io continuavo aprovare.

Ora è lo stesso con I. Ancora più stra-ziante perché per quattro anni lei mi harisposto. Perciò so che ne è capace. […]

I miei difetti:— biasimare gli altri per i miei stessi vi-

zi*— trasformare le amicizie in storie d’a-

more— pretendere che l’amore includa (ed

escluda) tutto*ma forse ciò diviene più ossessivo ed

evidente — raggiunge un climax, quan-

do la cosa in me si sta deteriorando, spez-zando, crollando — ad esempio, la miaindignazione per gli atteggiamenti schiz-zinosi di Susan [Taubes] e Eva [Kollisch].

NB: il mio ostentato appetito — il miovero bisogno — di mangiare cibi esotici e“disgustosi” = un bisogno di affermare ilmio rifiuto di essere schizzinosa. Unacontromossa.

17 nov. 1964

Quando mi sono accorta di essere invi-diata, mi sono astenuta dal criticare —per paura che le mie ragioni fossero pocochiare, e il mio giudizio non del tutto im-parziale. Sono stata benevola. Sono statamalevola solo con gli sconosciuti, con lepersone che mi erano indifferenti.

Sembra nobile.Ma, in tal modo, ho salvato i miei “su-

periori”, coloro cheammiravo, dallamia avversione,dalla mia aggres-sione.

Ho riservato lecritiche solo per chiera “sotto” di me,per coloro che nonrispettavo… housato il mio poteredi critica per con-fermare lo statusquo. […]

tutte le capitali siassomigliano tra lo-ro più di quanto as-somiglino al restodelle città del loropaese (la gente diNY assomiglia più aquella di Parigi che aquella di St Paul)[…]

(Senza indica-

zione di data, pro-

babilmente 1964)

L’estasi intellet-tuale cui ho avuto

accesso sin dalla prima infanzia. Ma l’e-stasi è estasi.

Il “bisogno” intellettuale simile al biso-gno sessuale.

6085 copie di Contro l’interpretazionesono state vendute

restano 1915 copie della prima tiratu-ra. [...]

[George] Balanchine, l’ultimo dei genimodernisti.

26/3/65

la pittura recente (Pop, Op) — fredda;la minima consistenza possibile — colo-ri chiari

il bisogno di avere la tela, perché non èpossibile far galleggiare i colori nello spa-zio […]

ciò che si prova davanti a un quadro oa un oggetto di Jasper Johns potrebbe as-somigliare a ciò che si prova per le Su-premes […]

La Pop Art è arte Beatle […]Un altro testo chiave: Ortega, La disu-

manizzazione dell’arteOgni epoca ha la sua fascia anagrafica

rappresentativa — per noi è la giovinezza— lo spirito del tempo è essere distaccati,disumanizzati, gioco... sensazioni…apolitici. […]

Jasper Johns — Duchamp dipinto daMonet

20 aprile

Il mio sguardo è poco raffinato, insen-sibile, è questo il mio problema con la pit-tura.

Un altro progetto: Webern, Boulez,Stockhausen. Comprare dischi, leggere,lavorare un po’. Sono stata molto pigra.[…]

Non concedere interviste fino a quan-do non potrò essere chiara, autorevole ediretta come Lillian [Hellman] sulla ParisReview.

20 maggio, Edisto Beach, South Caro-

lina

“l’oggetto arrogante” (Johns)non si impara con l’esperienza — per-

ché la sostanza delle cose cambia conti-nuamente

non c’è una superficie neutra — unacosa è neutra solo rispetto a qualcos’altro(un’intenzione? Un’attesa?) Robbe-Gril-let

L’uso che Rauschenberg fa della cartadi giornale, dei pneumatici.

Johns: scopa, gruccia.L’unica trasformazione che mi interessa

è la trasformazione totale — per quanto in-finitesimale. Voglio che l’incontro con unapersona o un’opera d’arte cambi tutto.

4 luglio, Bled (Jugoslavia)

Mailer: come essere puri ed essere unastella del cinema

In ogni importante scrittore america-no moderno si avverte una lotta con la lin-gua — la lingua è il tuo nemico, il suo fun-zionamento non ti è naturale. (Comple-tamente diverso in Inghilterra, dove lalingua è data per scontata). Devi soggio-garla, reinventarla.

16 luglio, Parigi

Non ho imparato a mobilitare la rabbia(compio azioni militanti, senza senti-menti militanti)

17 sett. (su un aereo diretto a New

York)

Sartre: “Quando le persone hanno opi-nioni così diverse, come fanno anche so-lo ad andare a vedere un film insieme?”

Beauvoir: “Sorridere allo stesso modo anemici e amici significa ridurre ciò in cuisi crede allo stato di mere opinioni, e tuttigli intellettuali, sia di destra che di sinistra,alla loro comune condizione borghese.”

8 nov.

Per 2/3 di Private Potato Patch di Gre-ta Garbo volevo essere la Garbo (l’ho stu-

diata, volevo assimilarla, imparare i suoigesti, sentire quel che sentiva lei) — poi,verso la fine, ho cominciato a desiderar-la, a pensare a lei in termini sessuali, a vo-lerla possedere. Il desiderio ha preso ilposto dell’ammirazione — mentre si av-vicinava la fine e avrei smesso di vederla.La sequenza della mia omosessualità?[…]

Il piacere più grande negli ultimi dueanni me l’ha dato la musica pop (i Beatles,Dionne Warwick, le Supremes) e quella diAl Carmines [attore, compositore, regista][…] Un problema: l’esilitàdella mia scrit-tura — è scarna, frase per frase — troppoarchitettonica, discorsiva.

(metà novembre)

Mailer dice di volere che i suoi scritticambino la coscienza del suo tempo. Lostesso volevaDHL[awrence], ov-viamente.

Io non voglio che imiei lo facciano — al-meno non rispetto aun particolare puntodi vista, visione, omessaggio che cercodi comunicare.

Io non sono.I testi sono ogget-

ti. Voglio che abbia-no effetto sui lettori— ma in ogni modopossibile. Non c’èun modo giusto diconsiderare quelloche ho scritto.

Io non “dicoqualcosa”. Permet-to a quel “qualcosa”di avere una voce,un’esistenza indi-pendente (un’esi-stenza indipen-dente dalla mia).

24 nov.

Lillian [Hellman]si identificava con Becky Sharp — hasempre voluto essere una strega, tor-mentare gli altri.

Io non sono mai riuscita ad andare ol-tre l’ammirazione e l’invidia per la Beckycapace di lanciare il dizionario in facciaalla sdolcinata direttrice della scuola.Tutti quegli sforzi per manipolare gli uo-mini non sono mai riuscita a capirli.

Analisi: due o tre cataratte mi sono ca-dute dagli occhi. Altre cento da eliminare?

Vengo ogni notte verso le 2.00 o le 3.00.Il mio amante è il N. Y. Times.

(Senza indicazione di data, fine 1965)

La sgradevolezza del riscontro — lereazioni degli altri, ammirate o ostili, allemie opere. Non voglio reagirvi. Sono ab-bastanza critica (e so meglio degli altriquel che è sbagliato).

Mi piace sentirmi ottusa. È così che soche al mondo c’è qualcosa di più impor-

tante di me stessa. […]la mia formazione intellettuale:a) Knopf +M[odern] L[ibrary]a) P[artisan] R[eview] (Trilling, Rahv,

Fiedler, Chase)a) University of ChicagoP & A attraverso Schwab-MckeonBurkea) la “sociologia” dell’Europa centralegli intellettuali ebrei tedeschi rifugiatiStrauss, Arendt, Scholem, Marcuse, Gourevitch, [Jacob] Taubes, ecc.(Marx, Freud, Spengler, Nietzsche,

WeberDilthey, Simmel, Mannheim, Adorno,

ecc.)a) Il Wittgenstein di Harvarda) i francesi — Artaud, Barthes, Cioran,

Sartrea) storia della religione

a) I. — Mailer, an-ti-intellettualismo

a) Arte, storia del-l’arte

Jasper [Johns][John] Cage[William S.] Bur-

roughsrisultato finale:

Franco-ebraico-cageiana?

4 gennaio 1966

La situazionedella pittura è diffi-cile: simile a quelladella scienza. Tuttisono consapevolidel “problema”,delle cose su cui bi-sogna lavorare. At-traverso le sue ope-re, ogni artista con-temporaneo pro-duce “un libro bian-co” su questo o quelproblema, e i criticigiudicano se i pro-blemi scelti sono in-teressanti o banali.

(L’approccio alla Barbara Rose). Così Ro-salind Kraus ritiene che le torce, le lattinedi birra, ecc. di Jasper siano la soluzione ol’esplorazione di un problema periferico(banale) della scultura di oggi: cosa faredel piedistallo…[…]

Jasper va bene per me. (Ma solo per unpo’) Ti fa sembrare naturale, buono e giu-sto essere pazzi. E muti. Mettere tutto indubbio. Perché è pazzo. […]

(Senza indicazione di data, tardo in-

verno 1966)

NYC con la sua intellighenzia, il suoconsenso liberale, è, in relazione al restodegli USA, come il Vaticano nel bel mez-zo dell’Italia, un minuscolo stato privatocon ricchezze e poteri immensi, ma se-parato. […]

Duchamp ha detto due cose contrad-dittorie:

1) che un’opera d’arte ha un (breve) ar-

L’AMORE PER LA MUSICAAccanto, la Sontag nel 1989

vicino alla suacollezione di dischi

La mia menteè King Kong

Fa a pezzi la genteLa tengo in gabbia

e mi mangio le unghie

Un testo, appenaè finito, comincia

a puzzare. È un mortoche va sepolto

a caratteri di stampa

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

SusanSontagI diari di

FO

TO

GE

TT

Y IM

AG

ES

Page 15: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

co di vita e1) che il suo valore può essere stabilito

solo dalla posterità.Un punto di vista: l’arte è un linguag-

gio, non semplicemente ciò che è.È il punto di vista “conservatore”?I quadri “neri” di Ad Reihardt sono co-

me i romanzi di Robbe-Grillet: un’ideatracciata su un reticolato. Si “capiscono”troppo facilmente. In un certo senso ciòè “romantico” (romanticismo inteso co-me concentrazione su una parte piutto-sto che sul tutto). […]

L’espressione di sé e un’idea limitan-te, limitante se è centrale. (L’arte comeespressione di sé è molto limitante) Dal-l’espressione di sé non si può mai arriva-re a giustificare, in modo autentico, ge-nuino, e non meramente opportunisti-co, la gentilezza

Ma se si parte dalla gentilezza, si puòfar spazio alla maggior parte delle coseche si attribuiscono all’espressione di sé(attraverso l’idea della gentilezza versose stessi). […]

1 giugno

Una delle mie emozioni più fortie più dispiegate: il disprezzo. Di-sprezzo per gli altri, disprezzoper me stessa.

Sono impaziente (sprez-zante) con la gente che non sacome proteggersi, come ri-vendicare le proprie ragioni.

La mia mente = King Kong.Aggressiva, fa a pezzi la gente.Per la maggior parte del tempola tengo in gabbia — e mi man-gio le unghie.

27 giugno, Parigi

Quando i provos mettono inscena “happenings” notturninelle strade di Amsterdam, c’è unrischio. Provocano la polizia, “di-cono” qualcosa, cercano di farsuccedere qualcosa. (Più libertà,ecc.)

Gli happenings a NY non solo so-no apolitici. Non rischiano niente.Sono spiritosi esercizi di irraziona-lità — del tutto prudenti.

Se solo il mio romanzo potesse ave-re la velocità — e la portata e l’impor-tanza — degli ultimi due film di Go-dard. L’ulcera del Vietnam, il rumoredegli spari —

6 agosto, Londra

Peter Brook: molto intenso, occhi az-zurro chiaro — calvizie incipiente —porta maglioni neri a collo alto — strettadi mano calda e generosa — volto carno-so, sensuale

Ha studiato con Jane Harp (famosa si-gnora della Little Review negli anni ‘20)quando, alla fine della sua vita, viveva aHampstead; un’allieva di Gurdjieff; lesue domeniche pomeriggio

un uomo a caccia di idee […]Grotowski:sui trentacinque annisimile a Caligari o al mago di Mario e il

magonessuno sa niente della sua vita ses-

sualenon ha mai fatto il criticoper qualche tempo ha studiato Yoga in

India in sua compagnia, nessuno parla di

problemi personali

9 agosto

Ho il Romanzo… credo! Grazie aBrook e a Grotowski, gli ultimi pezzi so-no andati a posto.

8 ott.

Jap [Jasper Johns], a proposito delleopere di un giovane pittore che ha vistooggi pomeriggio. “I quadri sono moltobelli. Ma è tutto qui.”

L’autorevolezza di Jasper, la sua ele-ganza. Non è mai turbato, contrito, incolpa. Una sicurezza assoluta. Perciò,anche se si mette le dita nel naso o man-gia in un Automat, resta elegante. […]

Le uniche persone che dovrebberointeressarsi all’arte (o alle varie arti) so-no quelle che la praticano — o lo hannofatto — o aspirano a farlo. L’idea di un“pubblico” è completamente sbaglia-ta. Il pubblico di un artista è fatto daisuoi pari.

(Senza indicazione di data, fine 1966)

Joe [Chaikin]mi ha chiesto stasera co-me mi sento quando, arrivata, per esem-pio, a tre quarti di quello che sto scriven-do, scopro che è mediocre, inferiore. Gliho risposto che mi sento bene e tiroavanti fino alla fine. Mi libero di quelloche è mediocre in me. (Immagine escre-mentizia che uso per la mia scrittura.) Èlì. Voglio liberarmene. Non posso negar-lo attraverso un atto della volontà. (Op-pure sì?) Posso solo consentirgli di avereuna voce, farlo venir fuori. E poi farequalcos’altro.

Quanto meno, so che non ci sarà biso-gno di rifare quello.

22 feb 1967, 3 a. m.

Sto finendo la recensione di [Histoired’] O che si è trasformata in un saggio di35 pagine. È ok. Eppure, non credo a unaparola di quello che dico.

È interessante, forse valida — ma nonso quanto “vera”.

6 aprile

gruppi di San FranciscoThe Grateful DeadNitty Gritty Dirt BandThe Great SocietyJefferson AirplaneThe Only Alternative + his OtherPossibilities The Myddle Class+The Mothers of Invention (Los Ange-

les?)The Byrds (Los Angeles)Country Joe + the FishThe Quicksilver Messenger ServiceBig Brother + the Holding CompanyThe TurtlesThe MiraclesThe Sparrows + the CharlatansIn California uno sconosciuto è un

(potenziale) amico fino a quando nondimostra il contrario; a NY, uno sco-nosciuto è un nemico

fino a quando non dimostra il contrario.Si consuma un sacco di energia a NY acausa di questa ipotesi. […]

La vita ideale: fare solo cose indispen-sabili.

Due modi d’essere: santo o ladro.L’immagine che ho di me stessa da

quando avevo 3 o 4 anni: il genio-idiota.Permetto a uno di compensare l’altro.Sviluppo relazioni per soddisfare ora l’u-no ora l’altro. […]

Sartre (cf. Les Mots), l’unica altra per-sona che conosco che aveva la “certez-za” del genio. Che ha vissuto una vita giàpostuma, sin dall’infanzia. (L’infanzia diun uomo famoso.) Una sorta di suicidio— , con l’“opera”di genio che sai che fa-rai da adulto come pietra tombale.La più gloriosa pietrat o m -

bale possibile.Sartre era bruttissimo — e lo sapeva.

Perciò non ha dovuto sviluppare l’“idio-ta” per ripagare gli altri del fatto che era“il genio”. La Natura si era occupata delproblema al suo posto. Non ha dovutoinventareuna causa di fallimento o di ri-fiuto da parte degli altri. Come ho dovu-to fare io, rendendomi “stupida” nellerelazioni private. (Per “stupida” intendoanche “cieca.”)

Copyright © The Estate of SusanSontag 2006. Reprinted with the per-mission of The Wylie Agency (UK) Ltd

(traduzione di Paolo Dilonardo)

COMPAGNE DI VITAAccanto a sinistra, la Sontag nel 2002A destra Annie Leibovitz in una foto dello stessoanno. In basso altre pagine del diario(©Victor Schrager/NYTimes)

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

FOTO VICTOR SCHRAGER / NYTIMES

ROMANZI E SAGGI

Scrittrice, saggista, regista teatralee cinematografica, attivista per i dirittiumani, Susan Sontag è statauna delle più celebri intellettualiamericane. Nata nel 1933 a New Yorkda una famiglia ebraica, perde il padrea cinque anni. A quindici si diploma,e dopo la laurea a Chicago, dovesi sposa e ha un figlio, continua gli studiad Harvard e in Europa. Acutaosservatrice della società, oltreai romanzi (Il benefattore, Il kitdella morte, L’amante del vulcano,In America) e ai racconti, scrive moltisaggi (Contro l’interpretazione e Davantial dolore degli altri). Dagli anni Ottantaha una relazione con la fotografa AnnieLeibovitz, che durerà vent’anni. In questigiorni la Leibovitz pubblica in Americaun libro fotografico che contieneanche immagini degli ultimi istanti di vitadella scrittrice morta di leucemia a NewYork nel 2004

FO

TO

GA

MM

A

FO

TO

CO

NT

RA

ST

OR

epub

blic

a N

azio

nale

43

15/1

0/20

06

Page 16: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

“Gillo e Franco Solinas litigavano spesso, discutevano sempre,si aggiravano nel labirinto di vicoli di Bab el Oued, percorrevanoil lungomare zigzagante, parlavano con la gente e via via cambiavano

la sceneggiatura... Franco seguiva le idee, Gillo le immagini, uno era il cervello,l’altro l’occhio. Poi si scambiavano i ruoli”. Un testimone eccezionale raccontail metodo, meticoloso e bizzarro, che sta a monte del capolavorodel regista scomparso

“Venivano a casa miaa Roma, volevanoche parlassi di guerrad’Algeria: avevanoun progetto e un titoloprovvisorio: Parà”

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

La Battaglia di Algeri di GilloPontecorvo e di Franco Soli-nas è nata, dopo anni di in-dagini e ripensamenti, suglistessi luoghi dove si era svol-ta la vera battaglia. Gillo e

Franco litigavano spesso, discutevanosempre. Si aggiravano nel labirinto dellaCasbah e per i vicoli di Bab el Oued, per-correvano l’interminabile, zigzagantelungomare, parlavano con gli abitanti,protagonisti o testimoni del grandedramma, e via via disegnavano, cambia-vano il soggetto e la sceneggiatura, da-vanti alla realtà che la loro curio-sità scopriva, quando anco-ra si sparava, e più tardiquando già gli algerini si con-tendevano il potere appenaconquistato. Il loro non è sol-tanto un grande film è anche unatestimonianza, un documentostorico di raro valore.

Nel ‘65, tre anni dopo l’indipendenza,quando avvenne il colpo di Stato chescalzò il libertario Ben Bella dal governodel Paese, gli abitanti d’Algeri pensaronoche i carri armati appostati agli angolidelle strade servissero al film di Ponte-corvo, e non al rigido Boumedienne chestava per insediarsi al posto di Ben Bella.In quegli anni ho incontrato spesso Gilloe Franco, al punto che quando ho visto ilfilm ho avuto l’impressione di avervi par-tecipato come una comparsa. Tutto è co-minciato il 7 gennaio 1957, quando nonconoscevo ancora Gillo e Franco, e quan-do loro probabilmente non pensavanoancora all’Algeria. Quel giorno, nella cittàanfiteatro affacciata sul Mediterraneo,arrivarono il generale Massu e i suoi pa-racadutisti della Xa Divisione. Fu unospettacolo. Una vera parata. I paraserano dei bei ragazzi. Il fisico e ilpasso erano atletici. Indossava-no tute attillate. Sembravanocucite addosso. Lo stile ha poifatto scuola. Nel genere, èuna moda che ha avutosuccesso. Massu e i suoiuomini col basco ros-so, ma c’erano anche iparacadutisti della Le-gione Straniera col bascoverde, erano stati chiamati adAlgeri perché vi mettessero un po’d’ordine.

Gli attentati terroristici simoltiplicavano; la Casbahera una trappola in cui erafacile entrare ma difficileuscire per i soldati e i po-liziotti francesi; la reteclandestina del Fron-te di Liberazione Na-zionale controllavala metropoli, conl’aiuto della ma-lavita, di ladri edi magnac-cia, di lesto-fanti di tuttii calibri, dagliscassinatori ai bariesperti nel gioco delletre carte. Tutti diventati pa-trioti inafferrabili e spesso eroi-ci, oltre che spietati nelle azioni de-stinate a terrorizzare i pieds noirs, co-me venivano chiamati i francesid’Algeria. Massu e i suoi paras nonerano sbirri di città. Erano animalida guerra vera. Ma tra gli ufficiali ei sottufficiali era viva la memoriadella guerra d’Indocina, conclu-sasi pochi anni prima, nel 1954,con la disfatta di Diem BienPhu e la perdita della coloniaasiatica. L’Armée sconfitta inEstremo Oriente non voleva subi-re un’altra umiliazione in Nord

Africa, nell’Algeria dal 1830 occupatadalla Francia e considerata parte irrinun-ciabile della Francia. Ufficialmente eraun territorio metropolitano, come la Pro-venza o la Guascogna. E tra Orano, Alge-ri e Costantina, sugli altipiani e nelle pia-nure fertili ai piedi dell’Atlante, un tempogranaio dell’Impero romano, vivevanoun milione di “veri” cittadini francesi,spesso di origine italiana o spagnola.

In Asia, davanti al comunismo nazio-nalista indocinese, i militari francesi ave-vano imparato che contro forze rivolu-zionarie, ben radicate nella popolazione,le armi convenzionali non bastano. Néservono molto la strategia e la tattica im-parate nelle prestigiose accademie occi-dentali. La guerra psicologica era la nuo-va arma di Massu e dei suoi paras. Nonbastava conquistare città e villaggi, biso-gnava conquistare i cervelli, con la con-vinzione o la paura. È per non avere oc-cupato i cervelli vietnamiti che i francesiavevano perduto la Penisola indocinese.L’errore doveva essere evitato.

Conoscevo bene l’Armée, ero stato di-retto testimone della loro tragica espe-rienza asiatica. Non ignoravo inoltre lastoria di molti ufficiali vicini al generaleMassu. Uno di loro, un colonnello, era unuomo colto, che, prima di abbracciare lacarriera militare, era stato tentato dallaCompagnia di Gesù, in cui erano entratidue suoi fratelli. Invece di diventare ge-suita era diventato un ufficiale specializ-zato nella guerra psicologica. Un altro,un maggiore della Legione Straniera, al-trettanto colto, era stato un valoroso resi-stente in Francia, durante l’occupazionenazista. Catturato dalla Gestapo, era sta-to torturato, ma non aveva parlato. Si

BERNARDO VALLI

NELLA STORIAL’immaginegrandeè una dellelocandinedella Battagliadi AlgeriIn alto, fotodi scenadel filmLeone d’oroa Venezia nel ’66

FO

TO

DU

FO

TO

FO

TO

WE

BP

HO

TO

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

4 15

/10/

2006

Page 17: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

parlava molto di tortura in quei giorni adAlgeri. Essa faceva parte della guerra psi-cologica.

Francesco Rosso, inviato speciale delquotidiano La Stampa, veniva ricevutodalla moglie del generale Massu, unadonna cordiale ed espansiva. Un giornoRosso mi invitò a seguirlo e così, all’oradel tè, seppi dalla signora Massu che ilmarito prima di far applicare la tortura aiprigionieri algerini la provava su se stes-so. Francesco Rosso lo raccontò in un ar-ticolo, in seguito al quale il paracadutistadi guardia davanti al cancello di casaMassu ci comunicò che non eravamo piùospiti graditi.

La vera battaglia d’Algeri durò sette, ot-to mesi, e fu vinta dai paras di Massu. Iquali riuscirono a ricostruire e a distrug-gere gran parte della rete del Fronte di Li-berazione Nazionale nella metropoli.Ma non per questo cessò la guerra. Nel ‘58i militari francesi d’Algeria si ribellarono

al potere politico di Parigi, accusato dinon sostenerli abbastanza, chiesero algenerale de Gaulle di assumere la guidadel Paese, e così morì la Quarta Repub-blica e fu varata la Quinta ancora oggi invigore. Nel 1962 l’Algeria diventò una na-zione indipendente.

In quel periodo passavo più tempo inAlgeria che in Italia. A Roma abitavo inpiazza Colonna, proprio di fronte a Pa-lazzo Chigi, ed è lì, sull’altana che spuntadai tetti di palazzo Ferraioli, che avven-nero i primi incontri con Gillo Pontecor-vo e Franco Solinas. Volevano che par-lassi della guerra d’Algeria. Avevano unprogetto. Il film aveva già un titolo: Parà.E pensavano che Paul Newman dovesseessere il protagonista.

Spiegai che i paras di Massu non eranosoltanto muscoli. Raccontai la tragediamilitare francese in Indocina, dove uffi-ciali usciti da accademie prestigiose escuole di guerra aggiornate sulle strate-

gie del Secondo conflitto mondiale eranostati umiliati da guerriglieri con il pigia-ma nero e i sandali ritagliati da vecchi co-pertoni d’automobile, da contadini chetrasportavano i cannoni smontati sullecanne delle biciclette.

Illustrai a Gillo e a Franco la voglia di ri-vincita degli ufficiali francesi. E quella lo-ro infatuazione per la guerra psicologica,che doveva basarsi sull’intelligence, suun’azione politica e sociale parallela aquella militare, ma che sfociava inevita-bilmente, anzitutto, sulla violenza, suun’opera di convinzione esercitata, ap-punto, spesso, con la tortura. Franco So-linas seguiva le idee, Gillo Pontecorvo leimmagini. Penso si completassero. Il lo-ro rapporto era dialettico. Quando poi lirividi ad Algeri, all’Hotel Aletti, di ritornoda lunghe perlustrazioni nella città anco-ra in guerra, sempre sollecitati dalla cu-riosità, Franco problematico, sempre al-la ricerca di una sintesi, Gillo in apparen-za ironico ma sempre in preda a un’im-pazienza incontenibile, allora, osservan-doli, capii quanto fosse proficuo il loro in-separabile rapporto conflittuale. Unoera il cervello, l’altro l’occhio. Ma nonerano due organi separati e circoscrittinelle loro funzioni. Penso si scambiasse-ro i ruoli. Mi è stato facile essere amico diFranco (morto nel 1982), e provare unagrande simpatia per Gillo. Entrambi me-ritavano ammirazione.

Non stupisce che il loro film, in cui siracconta la resistenza algerina e si spie-ga “la guerra psicologica” dei militarifrancesi, in particolare la tattica anti in-surrezionale, sia guardato con interesseda entrambi i campi. Dai Black Pantherse dalla Cia. Da chi sta con gli insorti (in Al-geria è un’opera storica, un monumen-to nazionale); e da chi studia i metodidella repressione (gli specialisti norda-mericani nella materia ne hanno consi-gliato la visione, e lo studio, ai militari la-tino-americani distintisi per le loro atti-vità sanguinarie, specialmente in Cile ein Argentina). Per la sua precisione LaBattaglia di Algeri è un testo classico,«universale». Non neutrale, poiché esal-ta la resistenza algerina, ma neppure en-faticamente di parte.

Il colonnello Mathieu, versione cine-matografica del generale Massu, incarnain sintesi l’ufficiale francese dell’epoca,che, non senza lacerazioni, è costretto afare lo sporco lavoro del repressore. Ilpersonaggio prefigura i militari america-ni in Vietnam e poi in Iraq (Abu Greib,Guantanamo); ma è anche l’erede deisoldati che prima di lui, sotto altre ban-diere, hanno tentato di schiacciare unaresistenza popolare.

Personaggio chiave della Battaglia diAlgeri è anche Ali La Pointe, ex magnac-cia, ex esperto nel gioco truffaldino delletre carte, convertito al patriottismo (e alterrorismo), il quale trasforma la malavi-ta della Casbah in un nucleo di resisten-za che finirà sui libri di storia. Una storiainevitabilmente tormentata.

Il rituale, per due anni, quelli della preparazione della sua bio-grafia che lui raccontava e io scrivevo, è stato lo stesso. Arrivavoalla sua porta, venivo fatta accomodare sul divano che dà le spal-

le alla parete, sotto i bei quadri religiosi naif che la riempiono di unfitto mosaico di colore — e invece guai a sedersi su un certo divanopericolante. Lui si sistemava su una poltrona larga e comoda sottola libreria e tra risate, ammiccamenti, appelli a Picci che arrivavasorridente e discreta dall’altra parte della casa a mettere a posto undettaglio, a precisare un nome, Gillo cominciava, come una Shehe-razade di se stesso, a raccontare capitolo dopo capitolo, e in allegraconfusione, la sua leggenda, la storia del regista di cinque film emezzo e dell’uomo che, sì, aveva vissuto.

Di questa storia il capitolo sulla nascita de La battaglia di Algeri èstato, per forza, il più ricco e il più complicato da mettere insieme.Perché gli aneddoti sulla parte ufficiosa della preparazione del filmsi accumulavano, perché la memoria di Gillo aveva costruito un“lore”, un canone dei ricordi da cui era difficile, a volte, uscire.

Ma scava qui, divaga lì, ecco, accanto all’epica avventura ufficia-le di un grande film, le storie meno raccontate: lo sbarco di Picci adAlgeri alla fine di luglio 1965, dopo un travagliatissimo viaggio, conil piccolo Ludovico in braccio, e Gillo che la aspetta molto emozio-nato e, nella confusione dell’incontro, dimentica su una macchinasotto casa il copione de La battaglia di Algeri: un copione che la pro-duzione, viste le azioni che stava conducendo l’Oas in Francia, vo-leva tenere segreto fino alla fine della lavorazione, e che invecemezz’ora dopo era sparito per riapparire due settimane dopoquando un giornale della destra francese ne pubblicò ampi stralci,con qualche polemica ma per il momento senza gravi danni. O lastoria del piccolo Ludovico che, durante una malattia di Picci, vie-ne collocato da Gillo, senza traumi apparenti, in un specie di gab-biotto di assi sul set del carcere di Barberousse dove veniva girata lascena in cui un patriota del Fln viene mandato a morire sulla ghi-gliottina.

Ecco la storia del poveraccio della prima sequenza del film, che ilgiorno prima dell’inizio delle riprese viene beccato mentre tenta dirubare e viene arrestato, costringendo Gillo a un delicato lavoro di-plomatico per avere “in prestito” dal viceministro degli Interni ilsuo interprete ladruncolo fino alla fine delle riprese, con l’accordoche sarebbe poi stato restituito alle patrie galere. O la preparazio-ne della celebre, fortissima scena dell’ingresso dei parà lungo viaMichelet, quando a Gillo sembra che a Jean Martin, il suo colon-nello Mathieu — il Massu del film — manchi qualcosa, nonostantegli occhiali neri che gli sono stati messi per dargli un’aria più mar-ziale. E il tempo passa, e tutta Algeri è bloccata da questa scena dimassa, e Gillo, che si descriveva come capace di indecisioni ragge-lanti (mentre invece era testardo come un mulo…), si inventa unasoluzione all’italiana: raccoglie tutti i fazzoletti che la troupe gli puòfornire (non era tempo di cleenex), e li infila come fossero spallinenella divisa di Mathieu, cambiando le sue proporzioni e dandogliun’aria molto più militare. Ecco, dopo la solita tragica incertezza emolte discussioni con Franco Solinas, la decisione di togliere qual-siasi dialogo dalla scena delle donne che si preparano per gli atten-tati nella città bianca, sostituito dalla musica del baba saleem...

Gli aneddoti su un film destinato a diventare leggendario si ac-cumulavano, in una allegra confusione di pubblico e privato, di leg-gerezza e di serietà, come era tipico di Gillo. Che forse ha fatto (so-lo) cinque film e mezzo proprio perché in realtà la sua grande ope-ra è stata l’armonia di una vita vissuta pienamente, in ogni mo-mento.

Il ladro-attore rubato alla galeraGli aneddoti del regista sulla sua opera più famosa

IRENE BIGNARDI

GilloQuel set nella Casbah

“UN COMBATTENTE ALLEGRO”Il pubblico addio a Gillo Pontecorvo, morto giovedì scorso a Roma,è stato celebrato ieri mattina in Campidoglio. Dopo la visitadel presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la camera ardenteallestita nella sala della Protomoteca è stata aperta al pubblicoTra i molti che hanno voluto esprimere il loro cordoglio alla mogliee ai due figli del regista, numerosi esponenti del mondo dello spettacoloe della politica. “Gillo - ha detto il sindaco di Roma Veltroni - è statoun combattente allegro, un militante libero delle proprie idee”Un omaggio a Pontecorvo sarà organizzato a Cinecittà il 19 novembre,giorno in cui il regista avrebbe compiuto 87 anni

Pontecorvo

FO

TO

AF

P

Page 18: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

Zuppa di pane e latte, Superbrodo, Digestivo Antonetto, Sca-loppine al limone, La pancia non c’è più, Orecchiette treP(piselli, prosciutto, panna), Mia moglie aspetta un Philco,Rucola e gamberetti!Mezzo secolo di cibo. Tra un Carosello, un boom economi-co, uno sciopero, la prima vacanza all’estero, le guerre deglialtri, i film. Che spesso parlano (parlavano) di mangiare.«Sono stata a Milano, una volta, è gente cattiva… non man-giano pasta come noi, ma polenta». La protagonista di È Pri-mavera, Elena Varzi, si lamenta con una vicina di posto, sultreno che la porta da Catania a Milano. È il 1949: il cibo se-para e identifica i primi migranti interni.

Così mangiavamo, cinquant’anni di storia italiana fra ta-vola e costume, scritto da Stefania Aphel Barzini per Gam-bero Rosso Editore, esce domani in libreria. Pagine da leg-gere per ricordare i momenti e ritrovare i gusti di infanzia eadolescenza. Ma non solo quello. Più che una operazione-nostalgia, il divertito e appassionato come eravamo di piat-ti, ricette, ingredienti, collegati alla realtà del momento, ametà tra la memoria storica e la curiosità per il cibo d’antàn.

Forse in nessuna nazione come in Italia, la storia di un po-polo può essere raccontata attraverso la tavola. Dai tempibui dell’urgenza alla lotta contro i disturbi dell’alimentazio-ne, passando attraverso nuove tendenze e status-food, cibi

biologici e contaminazioni etniche. Un percorso lunghissimo, punteg-giato di abbuffate e diete furibonde, alimenti imprescindibili precipita-ti nell’oblio, la dieta mediterranea obbligata (perché economica) inseri-ta nel sancta sanctorum dei regimi alimentari e poi sconfessata in nomedel primato delle proteine (a loro volta sull’orlo della scomunica).

Chi c’era, ma anche chi l’ha sentito raccontare, sa quanto nel dopo-

guerra mangiare fosse un’ossessione esattamente contraria a quella deigiorni nostri: una conquista da santificare, quando possibile, con i pastidell’abbondanza, rari e sospiratissimi. Per il resto, grandi zuppe di pane& latte, minestre a volontà, carne col contagocce, pesce non pervenuto,torte e biscotti solo a Natale o a casa dei parenti (meglio se abbienti).

Una volta affrancati dal bisogno, arrosti e bistecche sono diventati ilnostro passe-partout per la ricchezza, insieme alla scoperta di vongole ebranzino, prosciutto e risotti, e dei “dessert”, nome molto più fascinosodel semplice dolce…

Difficile stabilire con esattezza quando l’opulenza («Grassa e bella»,cantava Louis Satchmo Armstrong a Sanremo) si è tramutata da virtù invergogna. Da Silvana Mangano a Twiggy, il passaggio è stato repentino edisastroso anche per la qualità dei cibi: il tramonto del succulento umi-do con patate in favore della magrissima paillarde, e in scia i dolcifican-ti artificiali al posto dello zucchero, la frutta contingentata, l’esplosionedei formaggi falsamente magri, hanno incentivato un cambio di rottanelle produzioni alimentari, con gli esiti disgraziati che ben conosciamo.

Per fortuna, nell’85 Gualtiero Marchesi conquista le Tre Stelle Miche-lin, imponendo una versione colta e lieve dell’alta cucina mediterranea,che rispetta trigliceridi e palato. Una scuola, quella marchesiana, capa-ce di formare decine di nuovi campioni dei fornelli, che ci accompagna-no nel terzo millennio, oltre la fine del libro, sui sentieri della rivoluzio-ne “destrutturante” di Ferran Adrià, nelle alchimie della cucina di fusio-ne tra Italia e Mediterraneo, e più in là, incontro ai sapori del villaggio glo-bale.

Ma guai a dimenticare il tormento e l’estasi del tris di primi, dei gam-beretti con la rucola, dei dolci al cucchiaio. Per questo, mercoledì sera,alla festa romana di presentazione del libro, saranno serviti tutti i piattidella memoria. Tanto, come diceva Nicola Arigliano, il digestivo Anto-netto lo si può prendere anche in tram.

LICIA GRANELLO

i sapori

Am

arco

rd

annida

FILM Poveri ma belli

Uscita stremata dalla guerra, l’Italia ha 42 milioni di abitanti,

quasi un terzo analfabeti. A loro si rivolge Alberto Manzi

con Non è mai troppo tardi, in onda sulla Rai, nata nel 1954

I contadini sono 18 milioni, gli operai guadagnano 30mila

lire, due terzi delle case sono senza bagno. Un kg di pane

costa 100 lire, la carne 800. Peppino De Filippo, “cuoco

sopraffino”, pubblicizza l’olio Dante, Lina Volonghi il brandy

Stock, al cinema spopolano Bellissima e Poveri ma belli

1950Frigorifero

Il primo – biancoe bombato – èprodotto nel 1951dalla Fiat. Alla finedel decennio,lo possiede il 3%degli italiani

ELETTRODOMESTICO OGGETTO

FILM Acqua e sapone

L’Italia contadina e operaia diventa bottegaia e impiegatizia:

su 56 milioni di abitanti, più della metà lavora nei servizi

In Impiegati, Pupi Avati fotografa il pranzo metropolitano:

in piedi, al bar o nelle “rie”: spaghetterie, paninerie

e risotterie. È tempo di fast food e di yogurt-insalata, come

ironizza Verdone in Acqua e sapone. Le paure del dopo-

Cernobyl si traducono nel debutto di marchi rassicuranti:

Mulino Bianco, Valle degli Orti, Antica Gelateria del Corso

1980

FILM Ferie d’agosto

Tra la caduta del Muro di Berlino e la Guerra del Golfo,il

nostro Paese per la prima volta è a crescita zero. Contadini

in via di estinzione (6.7%) e operai in declino (33%), vanno

forte gli impiegati (oltre il 60%). Un milione e mezzo di

persone entra in Italia in cerca di lavoro. Via agli esperimenti

di cibi e animali transgenici. Dal Regno Unito arriva Mucca

pazza, che azzera i consumi di carne. Ferie d’agosto di Virzì

fotografa il ritorno delle zuppe. Si diffonde il biologico

1990

Dal pane&latte al riso&champagneUn libro di Stefania Aphel Barzini,“Così mangiavamo”, ripercorrela storia del nostro costume alimentare

FILM Il sorpasso

L’Italia de La dolce vita tocca i 50 milioni. Gli operai (40%)

superano i contadini (30%): in tre milioni partono dal Sud verso

le grandi fabbriche del Nord. Le auto sono 5 milioni, entra

nelle case la lavatrice (“Grazie, Candy!”). Nei primi supermercati

irrompono i cibi industriali. Carosello scopre il pianeta di Papalla,

Susanna Tutta Panna, Paulista. Ne Il Sorpasso, i nuovi ricchi

corrono in spider e mangiano zuppa di pesce in riva al mare

Il ’68 è alle porte

Frullatore

Dopo frigoriferoe lavatrice, partel’era degli “elettro-mini”, guidatadal campionedi frappè, frullatie granite

1960Moka Bialetti

Tramonta la caffettieranapoletanaper la macchinettainventatada Renato Bialettie simbolizzatadall’omino coi baffi

FILM La grande abbuffata

Arrivati a quota 54 milioni, gli italiani lavorano sempre meno

in campagna (17%) e sempre più in fabbrica (44%). Il caffè

del bar e il biglietto del tram costano 70 lire, 40 il giornale,

il consumo annuo di carne sale a 25 kg a testa. Quasi 20

milioni le tv, dalle quali Capitan Findus inneggia al merluzzo

surgelato. L’Austerity appieda le domeniche. In Zabrinsky

point, Antonioni fa esplodere un frigo. Tognazzi, Piccoli

Mastroianni e Noiret s’ingozzano ne La grande abbuffata

Lavastoviglie

Ingombrantee rumorosissima,negli anni si affinafino a incassarsisotto il lavandinoe azzera le piledi piatti da lavare

1970Pentola a pressione

L’omino Lagostina(nato nel ’69)e il marchio a casettadisegnato col lapislanciano la cucinarapida e poveradi grassi

Pelapatate

Una delle mansionipiù noiose della corvéein cucina si sveltiscegrazie alla piccoladoppia lama conimpugnatura, utileanche per le carote

Centrifuga

Finisce la praticasecolare dell’insalatalavata, avvoltain un canovaccioe scossavigorosamenteper asciugarla

IL LIBROCosì mangiavamo

( 256 pagine, 18 euro),di Stefania Aphel

Barzini, è editodal Gambero Rosso

Mezzaluna

Tognazzinell’Abbuffonestronca itritatutto elettrici,

che riducono tuttoin pappette, e lodai battuti della lama

MangiareMezzo secolo di cibo in Italia

Robot multipratic

In mini-cucine,il robottino riuniscefunzioni diverse:spreme, affetta, trita,monta. E pensionaspremiagrumie mezzaluna

Minipimer

Maneggevole,sottile, utilissimo,il frullatorea immersione affiancal’apparecchiotradizionale. Trionfanole creme di verdura

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

6 15

/10/

2006

Page 19: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

Negroni sbagliato

Inventato per sbaglio(spumante al postodel gin,con vermouthe bitter Campari),testimoniala nascente passioneper gli alcolici

Tagliatelle col sugo d’arrosto

Il pranzo della festa in sequenza: la pasta tiratacol mattarello, il sugo allungato con l’acqua di cotturaper non asciugare la carne, servita con le patate

DOVE GUSTARLOBELVEDERE, Piazza Castello 5, La Morra, CuneoTel. 0173-50190Chiuso domenica sera e lunedì menù da 35 euro

PIATTOCOCKTAILINGREDIENTI

Risotto con lo champagne

Ricetta emblematica della Milano da bere,dove tutto deve essere luccicante, frizzante e ostentato,come i costumi delle ballerine di Drive In

DOVE GUSTARLOIL PORTICO, Via Campo 766, Bergantino (Rovigo) Tel. 0425-805187Chiuso martedì e sabato a pranzo, menù da 30 euro

Caipirinha

Se il Brasile è la nuovafrontiera del piacerevacanziero,la cachacacon lime e zuccherodi canna è la suaambasciatrice alcolica

Panna cotta

Il dolce italiano preferito dai turisti americani insiemeal tiramisù, viene declinato con salsa di cioccolato,caramello o lamponi. La migliore è nuda e morbida

DOVE GUSTARLOBoccondivino, Via Mendicità Istruita 14, BraTel. 0172-425674Chiuso domenica e lunedì, menù da 30 euro

Cosmopolitan

Lanciato da un barmanitalo-americano,l’aperitivo-cultodi New York a basedi vodka e succo dimirtilli selvatici diventasimbolo dell’Happy Hour

Spaghetti con le vongole

Pesci, crostacei, molluschi, chiavi di modernità e di ricchezza, entrano nelle ricette dei primi piattiSu tutte, il piatto-principe delle cene in riva al mare

DOVE GUSTARLOLAGHETTO, Via Portonovo, Portonovo (Ancona)Tel. 071-801183Chiuso domenica sera e lunedì, menù da 40 euro

Cocktail di scampi

Esiste in due versioni: con scampi veri e maionesemontata a mano, buonissima, o quella mediocrecon i gamberetti surgelati e salsa in vasetto

DOVE GUSTARLO091, Via Castrofilippo 10, PalermoTel. 091-6177807Chiuso domenica, menù da 40 euro

Tequila Sunrise

Dalle prime vacanzecaraibiche si tornacon la bottigliadi tequila, da gustarecon agrumi, granatinae tanto ghiaccioDissetante e esotica

Spaghetti

La pasta è il simbolodi una fame maisaziata: Totò inMiseria e Nobiltà sene riempie le tascheA colazione zuppadi pane e latte

Whisky Sour

Il cocktail che piùci avvicina agli alcolicidi matriceanglosassoneassembla nel tumblerwhisky, limone, zuccheroe il modaiolo seltz

Panna, surgelati,

olio di semi

Con le farfalleal salmone irrompela Nouvelle CuisineE i freezersi trasformano indispense ghiacciate

ILLU

ST

RA

ZIO

NE

DI M

AS

SIM

O M

AN

ZI

Pollo, Ovomaltina,

omogeneizzati

Lesso, arrosto,in gelatina: pollo suogni tavola. La nuovagenerazione crescea pappetteconfezionate ecolazioni energetiche

Rucola,

yogurt, riso

Impossibile sfuggirealla rughetta. Graziea Gualtiero Marchesi,il risotto diventa unpiatto-culto. Yogurtin nome della dieta

Tisane, cereali,

lardo di Colonnata

Lo Slow Foodcontrasta i fast-foodcon prodotti comeil salume toscanoe i cereali. Boomdelle infusioni d’erbe

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

7 15

/10/

2006

Page 20: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

le tendenzeOltre la moda

Dodici metri di tessuto largo quaranta centimetrie una semplice forma a T: così l’abito tradizionalenipponico ha attraversato i secoli e influenzato,con i suoi motivi decorativi e le sue maniche,l’estro di decine di stilisti. Oggi il suo viaggiocontinua tra mostre, libri fotografici e passerelle

48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

MAZZO DI FIORIKimono da donna

in seta pongeefilata a macchina

La tessiturausata è piana

e la stampaè a mascherinasui fili di ordito

e di tramaMotivo a mazzo

di fiori. Risaleal periodo

Showa(1930-1949)

VEDUTE DI OMIKimono da donna

filato a manoin crespo

di seta pongeeInteramente

dipinto a manoI contorni sono

realizzati in amidodi riso mentre

il motivo riprendele otto famosevedute di Omi

Risale al periodoMeiji (1870-1899)

CON LO STEMMADa ragazzain seta e crespodi raso operatoDisegni di fiori(hana) e stemmacon pauloniaPer occasionisemiformaliPeriodo Taisho(1912-1926)

Il Giappone addosso

Kimono

Come è elegante il kimono, ma quanto è sco-modo indossarlo e muoversi con quella ve-ste indosso se non si è donne giapponesi,

abituate fin dalla più tenera infanzia alla rigidacompostezza dei gesti, dell’incedere. Provare percredere. Allora, prima raccomandazione chevien fatta all’incauta occidentale che ha scelto diabbigliarsi a quel modo per una serata è: nienteslip! Ok, si tolgono. Ma perché? Il perché è intuiti-vo, in caso di bisogno il kimono non si tira su, e co-sì non permette la seduta su un sanitario alto, co-me i nostri, al massimo l’accucciata di stretta mi-sura su una turca che per i giapponesi è la tradi-zionale toilette, non per i turchi. E poi, attenzio-ne: il punto focale e dolente dell’abbigliamento èl’alta fascia, l’obi, che non è una semplice cintura

ma una sorta di rigido busto che imprigiona il corpo da sotto il seno — che va compresso con delle fasce —fino all’alto ventre, impedendo brusche o flessuose virate laterali ma consentendo solamente di piegarsi inavanti per l’inchino formale, unica forma di saluto ammessa quando si indossa il kimono.

L’obi va poi annodato sulla schiena, un nodo piatto per le maritate, un nodo fantasioso, per lo più a far-falla, per le nubili, e guai a sgarrare, la grammatica delle convenzioni esige rispetto. Ad ogni modo il peggiodeve ancora venire: fasciata nell’obi e costretta ad incedere a passi da formica perché i due lembi del kimo-no si sovrappongono e non permettono la falcata lunga da top-model — che ad ogni modo è impedita an-che dai geta, gli alti zoccoli che è d’obbligo indossare con i calzini bianchi, i tabi — l’incauta donna occi-dentale in kimono viene invitata ad accomodarsi al tavolo di un ristorante. Ovviamente con il kimono si vain un ristorante tradizionale giapponese dove ci si diede per terra, cioè sul tatami, davanti al tavolo basso.E allora la donna occidentale scopre che sedersi vuol dire inginocchiarsi a gambe unite, appoggiando il de-retano sui calcagni e rimanendo con il busto elegantemente eretto — a causa dell’obi— fino a quando i mu-scoli delle cosce si ribellano e l’occidentale in kimono o sviene o fa lo strip-tease. E gli uomini giapponesi

Fasciate come mummie

ma senza slipIL TAGLIOIl kimonoè realizzatocon un’unicapezzadi tessutolunga circa12 metrie larga 40centimetritagliataa forma di T

RENATA PISU

DA GRAN GALANero con disegniscintillanti argentoe scollo in rasorosa fucsia: eccol’ultima versioneda gala, rivisitatae corretta,dell’anticokimono propostada Kenzoper l’autunnoinverno 2006

In vetrina

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

8 15

/10/

2006

Page 21: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

La parola kimono deriva da ki, indossare, e da mono, cosa. La cosa da indossare è normalmente ampia, lunga 12 metri e larga 40 centime-tri, costituita da tre rettangoli che formano una T dalle maniche attaccate all’altezza delle spalle. La cosa si apre, si chiude, sovrapponen-do i bordi con una fascia detta obi. Ed ecco il kimono che sopravvive agli abiti occidentali da mille anni, anche se cambiano i modi di por-tarlo. Tra i giapponesi gli adulti lo usano soprattutto per matrimoni e funerali, le ragazze (kosupurei) lo sovrappongono ad altri strati divestiario. E adesso gli stilisti, lo declinano in chiave moderna, lo sezionano, lo destrutturano, mentre gli editori sfruttano il suo fascino peralbum fotografici, romanzi e rivisitazioni storiche. In una parola: alla fine di questo 2006 il kimono torna a far tendenza. Tanto che si or-

ganizzano mostre globali itineranti e l’alta moda ridisegna il capo tradizionale accostandolo agli oggetti di arredo orientali.S’intitola Kimono alla moda, tradizione e déco nel Giappone del Novecento di Annie Van Assche (responsabile del settore istruzione della Japan So-

ciety Gallery di New York) l’ultimo omaggio alla cosa da indossare che sarà in libreria il 2 novembre edito da 5 Continents. Il libro propone 150 modellidella collezione Montgomery (1860-1950) fotografati da Akiko Fukai, direttore dell’Istituto del Costume di Kyoto, esposti fino alla primavera scorsaal Victoria&Albert Museum di Londra e adesso al Musée du Président Jacques Chirac di Parigi. Gli stessi kimono approderanno in Italia nel 2007. «Ikimono dell’art déco sono i più intriganti della storia — spiega Giancarlo Calza, curatore della mostra e docente di storia dell’arte orientale a Venezia—. Furono influenzati dall’Occidente che a sua volta è stato influenzato dal decorativismo giapponese e presentano straordinari motivi floreali, maanche geometrici. Tutti disegni legati alla natura».

Alla grandiosità estetica della natura si rifà anche il volume Giappone, segni della continuità di Fosco Maraini (Electa) in uscita il 31 ottobre, cheesalta le immagini colte dallo scrittore durante un viaggio negli anni Settanta. Le stesse immagini tradizionali che ispirano lo stilista Hanae Mori, ilquale prende spunto dalla pittura giapponese per riportare sugli abiti leggeri di tulle, i motivi zen o le stampe okusai. Yohji Yamamoto disegna, inve-ce, il casual, ricco e svolazzante. Koji Tatsuno e Issey Miyake realizzano un design scultoreo con strisce di stoffa rigida sistemate come trucioli di le-gno intorno al corpo. Perché il corpo abbia la sola funzione di sostegno o “traliccio”, quasi un appendiabiti.

«Il kimono nella storia non è mai servito a mettere in mostra — osserva Giancarlo Calza — è il corpo stesso a diventare un appendikimono. Soltantole cortigiane, nel 1600, mai le signore, lo indossavano mettendo in mostra la nuca, zona di grande forza erogena».

AMBRA SOMASCHINI

NELLO STAGNOKimonocerimonialeda bambino,miyamairi tessutoin seta e garzain orizzontalee dipinto a manoIl motivopropostoè una piantadi giunconello stagnoPeriodo Taisho(1912-1926)

EFFETTO INCHIOSTROSoprakimonoformale da uomo(haori): l'esternoè in setaa tessiturapiana; l'internoè in seta dipintoa mano.La pitturaè a inchiostro(sumie), il ricamoin filo di setaDel periodo Showa(1930-1949)

RARO ARABESCOKimono da donna

in seta pongeefilata a macchinacon una stampa

realizzataa mascherinaIl raro motivo

è un arabescofloreale astrattodetto karakusaIl kimono risale

al periodo Showa(1930-1949)

IN LIBRERIA

Kimono alla moda, tradizione e déco nel Giappone del Novecento, il libro curatoda Annie Van Assche con le foto di StefanoEmber sarà dal 2 novembre nelle librerieitaliane per le edizioni 5 Continents(340 pagine, 65 euro). I kimono fotografatinel volume (150 in tutto) sono originalidel 1800-1900 e fanno parte della collezioned'arte giapponese mingei di JeffreyMontgomery. Le foto nelle paginesono tratte dal libro in uscita

che, anche se indossano il kimono — bello comodo e sciolto quello maschile — se ne stanno sedutialla turca, ossia alla giapponese, si divertono un mondo. E ridono. Già, perché sono sadici.

Le donne giapponesi lo sanno e per questo evitano di mettersi in kimono, lo hanno anzi ripudiatocome abbigliamento quotidiano da quando il Commodoro Perry arrivò con le sue “navi nere” e co-strinse il Giappone ad un’accelerata modernizzazione, di usi e costumi, se non di mentalità. E le don-ne giapponesi furono così autorizzate a ribellarsi alla tirannia del kimono con obi. Perché il problema

non sta tanto nel kimono, ampia veste o vestaglia che nella sua versione estiva e non formale, la yuka-ta, ancora si indossa, ma nell’obi. Sostengono le femministe giapponesi — ce n’è qualcuna anche nel

paese del Sol Levante — che l’obi rigido è stato introdotto intorno al Millesettecento, quando i samuraismisero di fare la guerra e si occuparono di etica e virtù, soprattutto di virtù femminile, e decisero che la

donna andava sottomessa, impacchettata, non era un essere umano ma un bel “regalo” per un uomo, e l’o-bi era il cordone che cingeva il pacco-dono. Tanto più l’obi era lungo e il nodo difficile da sciogliere, tantopiù era garantita la virtù femminile. Per questo la femminista Hanayagi Genchu è stata la prima a lanciarein Giappone, negli anni Cinquanta, lo slogan «Mangia il tuo kimono!», sostenendo che una donna non de-ve essere divorata dal suo kimono ma deve invece stracciarlo e masticarlo. Come doveva mangiarsi il “si-stema imperiale” perché, secondo lei, Hirohito non era che un criminale di guerra. Diversa era l’opinionedi Mishima, il quale sosteneva che Hirohito era un dio e scriveva che nel kimono «ciò che più affascina è lascelta dei particolari che cristallizzano il mutare delle stagioni, e isolano un attimo e uno stato d’animo nelfluire dell’esistenza…».

Oggi sono rarissime le occasioni in cui le donne giapponesi indossano il kimono mentre le occidenta-li ogni tanto cascano nel tranello e mal gliene incoglie. Comunque, il kimono conserva un suo fascino eforse oggi le donne giapponesi sono “pazze di moda” — i nostri Armani, Prada, Versace, Ferré ecceteraeccetera — perché ancora condizionate nel gusto dai puntigliosi codici dell’estetica del kimono, fin dal-l’epoca in cui se ne indossavano anche venti, trenta, uno sopra l’altro, senza obi ma con una cintura bas-sa e sciolta. Sapevano tutto riguardo all’abbigliamento tradizionale, come accostare i colori, quale do-veva essere l’apertura delle maniche, e guai se il colore di una delle vesti era di una tonalità in contrastocon le regole del buon gusto. Ora che vestono occidentale e così non possono più ricorrere ai loro codi-ci, vagano incerte alla ricerca di un nuovo buon gusto e va a finire che si fidano ciecamente soltanto del-la “firma”. La moda per loro è “firmata” o non è.

LA POSAIl kimono

vieneincrociato

sul davantida sinistra

a destrae chiusocon l’obi

una fasciaavvolta

sul corpo

In vetrinaBIANCO FLUIDO

Seta biancafluida per l’abito

disegnatoda John Gallianoper Dior. La mise

presentataa Parigi

ricorda da vicinoil tradizionale

kimonogiapponese

È una propostaper l’estate 2007

Page 22: la Repubblica - News in tempo reale - Le notizie e i video di ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/15102006.pdfdi concentramento, altri 300mila - un esercito di spettri - alla

50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 OTTOBRE 2006

l’incontroUno nessuno e centomila

SILVANA MAZZOCCHI

MONTREAL

AMontreal, l’estate scorsa,il suo è stato lo spettacolopiù gettonato del festivalJuste pour rire, evento in-

ternazionale di umorismo e cultura. Inmezzo mondo, è sempre lui l’attrazione,il campione dell’identità mutante, l’arti-sta che alla velocità della luce riesce acambiare cento costumi in cento minu-ti e che, con il suo L’uomo dai mille volti,ampliato e rinnovato, è amato e applau-dito più di prima. Arturo Brachetti, abi-lità unica nel trasformare aspetto, truc-co, voce e sguardo, interprete magico esurreale al limite dell’immaginabile, gi-ra l’Europa con tre container di diciottometri, 350 costumi e ogni illusione dapalcoscenico. Per diventare tutti e nes-suno, dai personaggi di Walt Disney aHumphrey Bogart, da Fellini a Judy Gar-land, da Rossella O’Hara all’Ingrid Berg-man di Casablanca. L’uomo dai millevolti ha fatto il tutto esaurito a Edimbur-go, adesso spopola a Madrid e si preparaa conquistare Barcellona. Infine, il 23gennaio prossimo, con un “neverendingtour” che sfida la multimedialità e com-bina umorismo, musica e poesia, sarà aMilano e subito dopo a Roma.

«Presto tutto cambierà», annuncia asorpresa l’eterno bambino che ormai sisente «intrappolato» nel corpo di un uo-mo. «Comincio a sentire che il mio cor-po si trasforma, vedo i capelli farsi più ra-di e prima o poi metterò fine a questaparte della mia vita». Promette di muta-re pelle, Arturo Brachetti, questa voltanella realtà e con tutto il tempo che gliserve. Quando lo farà, non lo dice: stascrivendo la sua autobiografia e simbo-licamente vuole mettere il punto finaleal momento di uscire di scena. Per darsi

alla regia, un’attività già sperimentatacon successo. Ma non avverrà prima diessere arrivato a Broadway, il palcosce-nico più ambito, il riconoscimento chegli manca. Una sfida «per chiudere il cer-chio», il commiato ideale dall’arte deltrasformismo che lo ha reso celebre. InGermania, in Canada, in Giappone, ne-gli Stati Uniti e in Francia dove, nel 2000,gli hanno assegnato il prestigioso pre-mio Molière.

«Broadway? Spero di andarci nel2007. Woody Allen (il suo Zelig lo cono-sco a memoria) ha promesso di essere ilmio padrino a New York. Sarebbe ma-gnifico. La conclusione ideale per la miabiografia». Ha la faccia liscia da ragazzo,il celebre ciuffo svettante su un cranioquasi rasato, il fisico magrissimo e toni-co, adatto a reggere i suoi costumi spes-so esagerati (quello della Rossella di Viacol Vento pesa ventisei chili). Vederlomangiare spiega la sua dieta. Sempre lostesso menù: inizia il pranzo con uncaffè, prosegue con il riso bollito e qual-che verdura. E ha già finito. «Devo man-tenermi leggero per lo spettacolo». Daqualche tempo non si abbandona piùfacilmente agli scherzi che ne hanno fat-to il personaggio stravagante che è,quello che va in giro con un braccio fin-to al collo. O che viaggia su un’auto su-pertecnologica e attrezzata con nasi ebarbe finte. «Ho perfino un pupazzo, unbebè piangente che appendo al finestri-no. Per vedere le facce che fanno dalle al-tre macchine, soprattutto i bambini...».

Spirito giocoso, voglia di stupire, sur-realismo e gentilezza. Un uragano chesuscita emozioni e sorrisi. «Pensare cheda piccolo ero timidissimo, solitario. So-no nato a Torino, in un’epoca in cui lacittà era la Fiat, in un quartiere operaio eperiferico buio e triste. Giocavo semprecon un teatro di burattini e mi ero co-struito un palcoscenico girevole con ilfondo di una torta. Inventavo i mieispettacolini ispirandomi alle foto del-l’enciclopedia. Non avevo pubblico,ogni tanto mia sorella. Introversocom’ero, parlavo solo attraverso i burat-tini: ne avevo ventiquattro, facevo an-che le voci».

Padre impiegato alla Fiat, nonno ope-raio nella stessa azienda, il bambino Ar-turo passa l’infanzia con la nonna e la so-rella. Erano i tardi anni Cinquanta, forsei Sessanta (Brachetti non rivela mai lasua vera età). «Eravamo quattro fratelli,due di noi vivevano con nonna e due coni miei genitori, il che non era tanto raroall’epoca». Bravo a scuola: «Un po’ sec-chione, troppo. Così mio padre, che eramolto religioso, a undici anni mi mandòin un istituto dei salesiani, il Don Bosco,fuori Torino».

Questo pezzo della biografia di Bra-chetti è il più conosciuto. In seminarioincontra don Silvio Mantelli: «Avevauna stanza piena di libri, di oggetti stra-ni e di giochi di prestigio». È lui che gli in-segna tutti i trucchi dell’illusionismo:«Una testa calda, ancora adesso, un tipo

la leggerezza che viene dall’assurdo».Versatile e poetico. Mai soltanto vir-

tuoso. «Tutto iniziò una volta che, in col-legio, mi cambiai i costumi in scena par-ticolarmente in fretta. Io sono un iperat-tivo e faccio tutto in fretta: mangio, dor-mo, lavoro e faccio l’amore sempre agran velocità».

Accadde in collegio. «Un giorno donSilvio mi portò un libro su Fregoli (ilgrande trasformista vissuto dal 1867 al1936, ndr) e mi disse: “Leggilo, non c’èpiù nessuno che sappia fare questi gio-chi”. Quel libro era pieno di fotografie».

La vita del ragazzo Arturo diventaun’altra. Si diploma maestro elementa-re, ma a insegnare non ci va nemmeno ungiorno. «Più di un paio d’ore i bambininon li sopporto, sarà perché il bambinosono io». E, ancora adolescente, sa che di-venterà un artista famoso: «Già a quindi-ci anni presi a esercitarmi con gli auto-grafi. Sapevo che mi sarebbe servito».

Il giovane Arturo risparmia i primi sol-di facendo il portiere d’albergo e si com-pra sei costumi. «Preparai un numero,bello, magico, veloce. Mi scelse Maca-rio, ma per mia fortuna venni richiestoanche da Parigi. Macario morì due mesidopo e Parigi mi cambiò la vita».

Approda al Paradis Latin, il celebre lo-cale di Montparnasse, del Moulin Rou-ge. «Era un locale mitico, avevano unospettacolo con quaranta persone, tuttisi ispiravano a loro. Renzo Arbore face-va Indietro tutta guardando al ParadisLatin e il suo “Cacao Meravigliao” nonera altro che il “Café, café”, un quadrodel Paradis Latin. Era la metà degli anniOttanta. Adesso è decaduto, ma alloraquel teatro era un laboratorio d’avan-guardia, con gente geniale. Pensai: nonmi prenderanno mai. Invece feci il mionumero, e mi presero».

Anni di formazione e divertimento.Brachetti andava in giro per Parigi su unavecchia Citroen, i capelli blu, il trucco discena e i vestiti da operetta. «Mi piacevastupire, mascherarmi. Al Paradis Latinseppero andare oltre. Il direttore artisti-co, il regista Jean Marie Rivière, mi fecefare da uno scenografo italiano un fon-dale alla Magritte. Grazie a quell’accor-gimento il mio numero, anche se con isoliti sei costumi, si trasformò di colpo inun numero surrealista. Scoprii che pote-vo usare i miei trucchi e i miei travesti-menti in un modo diverso, migliore».

«Ma la mia passione più grande è riu-scire a suscitare stupore, a sbalordire. Èquello che mi piace di più. Quando fac-cio uno scherzo o uso i miei trucchi e pos-so vedere negli occhi di chi guarda il lam-po della meraviglia, quello è il mio godi-mento. Come faccio a casa mia».

La sua casa, la prima che il giramondoBrachetti ha comprato solo qualche an-no fa e che non è ancora del tutto finita. Èa Torino, in uno stabile antico, su duepiani che ha ristrutturato con passaggisegreti e pareti mobili. Più un grandepannello, di Magritte anche questa vol-ta, nel bagno. «Mi piace moltissimo la

pimpante e creativo. Mi telefona cin-que, sei volte l’anno. Ha promosso mis-sioni, adottato moltissimi bambini or-fani. E li sovvenziona anche con qualchemio spettacolo».

È sul palcoscenico del Don Bosco cheBrachetti adolescente muove i primipassi. «C’erano i costumi di scena, dacowboy, da cinese, da indiano, a volte mivestivo da donna, ricordo che feci ancheRaffaella Carrà, un successo. Con il tra-vestimento prendevo coraggio e smette-vo di essere timido. Avevo l’età in cui si èancora bambini, ma con la malizia deipiù grandi, uno stato intermedio che tipermette di essere amorale fino al sur-realismo». È l’ironia che ancora gli piace,che lo ha legato ad Aldo Giovanni e Gia-como e che lo ha portato a essere il regi-sta degli spettacoli del celebre terzetto,da Tel chi el telun del ‘99 al recentissimoAnplagghed. «È quel tipo di spirito infan-tile che ti fa osare le cose più volgari con

mia casa. Ogni tanto invito qualche ami-co e metto su un numero tutto per loro.Ho scritto il copione: ad aprire la porta èun fantasma, che sono io con una ma-schera. Dico che Arturo non c’è e, par-lando con un’altra voce, accompagno gliospiti in giro per le stanze, senza passaremai dallo stesso posto. Lungo il percorsopreparo una serie di sorprese, ovvia-mente non sto a dire quali. Puro diverti-mento. Io sono contento. E anche loro».

Ride e sorride mentre promette di di-ventare adulto. «Faccio sempre più fati-ca a cercare di restare il tredicenne chemi sento. E non solo per il corpo checambia e si appesantisce. C’è troppagente che mi vuole dare responsabilitàsempre più grandi e che mi costringe adinvecchiare».

«Che cosa vorrei fare in futuro? La re-gia dei music hall. Rimettere in scenavecchi varietà, ma in modo nuovo e oni-rico, stravagante e, neanche a dirlo, sur-realista. E con una story line. Non i clas-sici, montati nei teatri stabili diecimilavolte, che annoiano i giovani. Del restose vai nel mondo, dove per campare de-vi vendere i biglietti, capisci che, con co-se diverse, i giovani possono tornare ainnamorarsi del teatro».

Il libro autobiografico di Brachetti nonè finito. «È stato più facile scrivere tutta lamia vita che gli ultimi cinque anni. Nontrovo un lieto fine stimolante. E invece cideve essere. Anni fa, dopo il premio Mo-lière, mi venne la depressione. Eppureero all’apice del successo, avevo soldi,persone che si innamoravano di me... Edero caduto nell’ansia. Andai da uno psi-cologo. Mi disse: “È normale non saperepiù dove andare”. La vita è come scalareuna montagna e, quando arrivi in cima,vedi un picco più alto e vuoi andare lì epoi un altro ancora... Ma se la nebbia to-tale ti impedisce di vedere la prossima ci-ma e la prossima sfida, dove vai?».

La mia passioneè sbalordire. Quandofaccio uno scherzoo uso i miei trucchie posso vederenegli occhidi chi guarda il lampodella meraviglia,quello è il miogodimento

‘‘

‘‘Il suo spettacolo “L’uomo dai millevolti”, nel quale a ritmo funambolicosi trasforma in Bogart e JudyGarland, Fellini e Ingrid Bergman,spopola in tutta Europa. Arriverà

in Italia e, nel 2007,a Broadway. “E dopotutto cambierà”,annuncia l’eternobambino che senteil corpo appesantirsi:“Metterò fine a questaparte della mia vita”

Lo aspettano un futuro da registae la sua autobiografia per la qualenon trova “un lieto fine stimolante”

Arturo Brachetti

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 5

0 15

/10/

2006