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La Roccia non incrinata Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti (Lucio Lanfranchi) Introduzione Costi sociali della crisi della giustizia civile e degiurisdizionalizzazione neoliberista 1. Nella Declaration of Principles on Tolerance, proclamata ed adottata il 16 novembre 1995 a Parigi in prima sottoscrizione da 80 Stati. Diritti e libertà universali dell'uomo. Emarginazione ed esclusione dalla partecipazione socio-politica dei cittadini più deboli privati di questi diritti e libertà. Dimensione universale di ogni singola emarginazione ed esclusione. Educazione al riconoscimento ed al rispetto delle libertà e dei diritti propri ed altrui. Protezione dei diritti e delle libertà innanzitutto dei più deboli con la legge, con la corretta applicazione dell u legge, con la giurisdizione. Principi riguardanti il nostro tema, quello del primario riconoscimento dei diritti soggettivi e della loro protezione con la legge, con l'esatta applicazione giurisdizionale della legge violata. 2. Quali diritti? Innanzitutto i tradizionali diritti individuali di libertà e sociali. Quelli in gran parte definiti inviolabili dal nostra Cost. e sottratti alla stessa revisione prevista dall'art. 138. Quelli, in I luogo, dei cittadini più deboli. Certo, vi sono altre figure soggettive come gli interessi collettivi o diffusi, altrettanto bisognosi di riconoscimento e di protezione. Incominciamo dalla crisi del diritto soggettivo individuale e dal tipo di giurisdizione adatto a questa crisi. 3. Quale giurisdizione allora, quale "giustizia civile"? La giurisdizione, la "giustizia civile" chiaramente indicata dalla nostra Cost. soprattutto negli artt. 24 e 111/2 quale pilastro centrale dei rapporti tra diritto e processo. La stessa giurisdizione, la stessa giustizia civile, in II logo, chiaramente indicata dal combinato disposto degli artt. 99, 279, 324 del codice di rito e dagli artt. 2907 e 2909 c.c.. Affermo cioè che dalla Cost e dal sistema ordinario emerge la regola fondamentale della correlazione necessaria tra giudicato sostanziale sui diritti e giurisdizione ordinaria. Concludo sottolineando che il nostro costituzionale ed ordinario diritto vigente, dal punto di vista della "validità", esclude rigorosamente che il giudicato sui diritti possa derivare da giudizi di merito esclusivamente sommari, camerali,

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Un'analisi sull'evoluzione del del diritto processuale civile ad opera del Prof Lanfranchi.Tra confronti, metafore, casi di procedura contemporanei, Lanfranchi espone una innovativa lettura del processo civile

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La Roccia non incrinataGaranzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti (Lucio Lanfranchi)

Introduzione

Costi sociali della crisi della giustizia civile e degiurisdizionalizzazione neoliberista

1. Nella Declaration of Principles on Tolerance, proclamata ed adottata il 16 novembre 1995 a Parigi in prima sottoscrizione da 80 Stati.Diritti e libertà universali dell'uomo. Emarginazione ed esclusione dalla partecipazione socio-politica dei cittadini più deboli privati di questi diritti e libertà. Dimensione universale di ogni singola emarginazione ed esclusione. Educazione al riconoscimento ed al rispetto delle libertà e dei diritti propri ed altrui. Protezione dei diritti e delle libertà innanzitutto dei più deboli con la legge, con la corretta applicazione dell u legge, con la giurisdizione. Principi riguardanti il nostro tema, quello del primario riconoscimento dei diritti soggettivi e della loro protezione con la legge, con l'esatta applicazione giurisdizionale della legge violata.2. Quali diritti? Innanzitutto i tradizionali diritti individuali di libertà e sociali. Quelli in gran parte definiti inviolabili dal nostra Cost. e sottratti alla stessa revisione prevista dall'art. 138. Quelli, in I luogo, dei cittadini più deboli. Certo, vi sono altre figure soggettive come gli interessi collettivi o diffusi, altrettanto bisognosi di riconoscimento e di protezione. Incominciamo dalla crisi del diritto soggettivo individuale e dal tipo di giurisdizione adatto a questa crisi. 3. Quale giurisdizione allora, quale "giustizia civile"? La giurisdizione, la "giustizia civile" chiaramente indicata dalla nostra Cost. soprattutto negli artt. 24 e 111/2 quale pilastro centrale dei rapporti tra diritto e processo. La stessa giurisdizione, la stessa giustizia civile, in II logo, chiaramente indicata dal combinato disposto degli artt. 99, 279, 324 del codice di rito e dagli artt. 2907 e 2909 c.c..Affermo cioè che dalla Cost e dal sistema ordinario emerge la regola fondamentale della correlazione necessaria tra giudicato sostanziale sui diritti e giurisdizione ordinaria. Concludo sottolineando che il nostro costituzionale ed ordinario diritto vigente, dal punto di vista della "validità", esclude rigorosamente che il giudicato sui diritti possa derivare da giudizi di merito esclusivamente sommari, camerali, discrezionali, pone questa cognizione ordinaria e questo giudicato sostanziale sui diritti al centro dell'ordinamento giuridico, considerandoli la vera chiave di volta della stessa Cost. e della stessa tripartizione dei poteri. Vero che attorno alla giurisdizione ordinaria sui diritti ruotano svariate altre forme di giustizia civile, dalla giurisdizione volontaria, a quella sommaria cautelare o non cautelare, all'esecuzione forzata, ecc.. Ma vero anche che il sole centrale è e rimane la giurisdizione cognitiva contenziosa ordinaria, verso la quale tutto si orienta e tutto confluisce, pena la violazione non solo degli artt. 24 e 111 Cost., ma delle stesse norme fondamentali e degli stessi principi essenziali dello stesso sistema ordinario. 4. Questa giurisdizione civile "valida", è anche giurisdizione civile "giusta", è anche "giustizia civile"?

Rispondo affermativamente, perché l'unica lurisdictio compatibile con il metodo democratico, con la separazione dei poteri, con il principio di legalità, con l'effettiva protezione dei più deboli, è quella normativamente strutturata nella rigorosa terzietà del giudice neutrale ed in forme e termini escludenti qualsiasi discrezionalità, rigorosamente predeterminati legislativamente, completamente controllabili dagli interessati. E l'unico processo autenticamente democratico è quello caratterizzato dalla pienezza del contraddittorio e dalle correlate garanzie. Il processo ordinario, per l'appunto. Non il processo sommario. Il processo, la giurisdizione sommaria, camerale, discrezionale, inquisitoria, e così via, quando esclude il momento ordinario, è "ingiustizia incivile" perché esclude la certezza del diritto, il principio di legalità, la neutralità del giudice, la stessa separazione dei poteri.5. Un processo ordinario sui diritti "valido" e "giusto" è peraltro un processo che funziona decentemente. In particolare, un processo ordinario che dura un tempo ragionevole. L'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo del 1950, in relazione al "giusto processo", parla infatti di "termine ragionevole". Orbene, mi sembra indubbio che tale "termine ragionevole" sia senz'altro rintracciabile nella nostra Cost. nell'art. 24 e nell'art. 2. Ma la situazione di fatto è purtroppo ben diversa. Le dolenti note incominciano con il sistema ordinario, perché il "valido" processo ordinario ha convissuto in modo assai poco casto con la "valida" novella n. 581 del 1950. Quella che onora ante litteram la firma al "termine ragionevole".6. Il 26 novembre 1990 il Parlamento vara la L. n. 353 sulla riforma della cognizione ordinaria comune in I grado ed altro, nonché la L. n. 374 sul giudice di pace. Probabilmente è la volta buona per tentare di uscire dalla spaventosa impasse.Dopo 5 anni dalla approvazione della riforma, a tutti è noto anche come gli scioperi ad oltranza degli avvocati ed altre vicende si dirigano soprattutto contro il sistema delle preclusioni, vero architrave del tentativo di rinnovamento.Ebbene, il ministro Biondi nomina ed il ministro Mancuso conferma la Commissione Tarzia. Inizia così il "ritocco" delle preclusioni e non solo di quelle: appare, infatti, la riduzione della competenza del giudice di pace, che finisce per eliminare gran parte della auspicata funzione deflattiva rispetto al carico del giudice togato, diviene obbligatoria la dilatoria distinzione tra udienza di "I comparizione" e "I udienza di trattazione". Può darsi che quel che c'è ancora di buono nelle leggi n. 353 e n. 374 riesca a prevalere e ad invertire l'impressionante realtà. Ma almeno con la ragione, è lecito essere pessimisti e si dovrebbe passare all'esame delle cause di una vicenda che non ha eguale in tutto il mondo civile.7. Un civile processo ordinario sui diritti decentemente funzionante non viene impedito soltanto rinviando per 5 anni le leggi n. 353 e n. 374. Un siffatto civile processo viene ostacolato, ad esempio, anche con 50 anni di illegittima ed ingiusta cameralsommarizzazione di svariati giudizi su diritti idonei al giudicato e di illegittima ed ingiusta applicazione "diretta" e "sostanzialista" dell'art.111/2 Cost.. O viene ostacolato anche con 50 anni di "uso alternativo" delle procedure concorsuali. Primo esempio: inaccettabile sommarizzazione del giudizio decisorio. Questa inaccettabile sommarizzazione viene fatta ufficiosamente avendo cura di affiancare al processo ordinario, reso difficilmente praticabile, un processo cautelare reso più simile ad un giudizio sommario decisorio su diritti: ad esempio, introducendo l'impugnazione del provvedimento cautelare positivo ed estendendo tale reclamo al provvedimento negativo e quindi all' "ordinanza di incompetenza" dell'art. 669-septies. È ovvio che la procedura in questione rimane strutturalmente cautelare almeno in riferimento alla qualità normativa degli effetti. Ma assume inevitabilmente funzione decisoria e definitiva.

Ma, in II luogo, desidero soprattutto sottolineare che la medesima inaccettabile sommarizzazione viene anche fatta ufficialmente affiancando al processo ordinario cameralizzazioni viceversa propriamente decisorie, non cautelari, ottenute non legislativamente, ma in virtù di opinabilissime giurisprudenze consolidate, in palese contrasto con la Cost. e con il sistema ordinario ed i suoi principi.Secondo esempio: "uso alternativo" delle procedure concorsuali. Da mezzo secolo circa, come nel caso dell'amministrazione controllata, abbiamo intere procedure illegittimamente ed inopportunamente snaturate ab imis dalle prassi applicative dirette dai Ministri dell'Industria, da una parte autorevole della giurisprudenza, da una parte minoritaria della dottrina. E snaturate ab imis proprio attraverso una teoricamente inaccettabile "amministrativizzazione" di ciò che, de iure condito e giustamente, in gran parte è schietta giurisdizione contenziosa. "Amministrativizzazione degiurisdizionalizzante" che si risolve in una vera e propria declassazione dei diritti ad interessi legittimi o addirittura a meri interessi non tutelati in alcun modo. Mi limito qui a ricordare l'inaccettabile interpretazione dalla amministrazione straordinaria come procedura conservativo-risanatoria e non invece, come è, liquidatorio-statisfattiva. Interpretazione errata che si è espressa, con vasti avalli governativi, giurisprudenziali, sindacali, in una arbitraria trasformazione in schemi "giurisdizional-volontari", di ciò che invece avrebbe dovuto sempre rimanere contenziosa attuazione decisoria ed esecutiva della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. per intervenuta insolvenza. Dispiace che questa vicenda di ingiusto affievolimento dei diritti e di ingiusta declassazione del "dovuto processo" venga oggi approvata non solo dalla Suprema Corte, ma anche dalla stessa Corte costituzionale.8. Il massimo di quel poco che è stato fatto in Italia per lo Stato sociale in materia di giustizia civile sui diritti è probabilmente ciò che è avvenuto col rito del lavoro del 1973 e, precedentemente, con lo Statuto dei lavoratori del 1970. Ma anche a quest'ultimo proposito il "tradimento" è iniziato subito e non solo con il rapido affossamento della praticabilità del rito di lavoro, ma anche con la più sottile degiurisdizionalizzazione rappresentata dal tradimento della reintegrazione specifica nel posto di lavoro del licenziato illegittimamente.9. Concludo. La crisi della giustizia italiana è dunque assediata, distrutta, fra l'indifferenza di tanti. I costi sociali sono la disgregazione della vita civile. Il paradosso e la contraddizione è che le vittime di questa disgregazione sono tutti gli italiani e non solo la Giustizia. Le vittime sono cioè anche gli assediati, i non soccorritori, gli indifferenti.

Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari

La tutela decisoria sommaria quale species del genus della giurisdizione idonea al giudicato

I procedimenti decisori sommari sono una delle species di tutela espresse dalla giurisdizione contenziosa decisoria. In particolare, tali procedimenti, unitamente ai procedimenti decisori non ordinarie e non sommari, compongono la giurisdizione

contenziosa decisoria speciale, che a sua volta, con la giurisdizione contenziosa decisoria ordinaria (il rito comune ed il rito del lavoro disciplinati dal II libro del c.p.c.), completa il genus della giurisdizione contenziosa decisoria stessa, contrapponibile ai genera della giurisdizione contenziosa cautelare, della giurisdizione contenziosa esecutiva, della giurisdizione volontaria. I procedimenti decisori sommari si differenziano dunque dagli altri genera di tutela giurisdizionale essenzialmente per il profilo della decisorietà, vale a dire per la loro natura di tutela giudiziale cognitiva idonea a dar luogo al giudicato formale e sostanziale sui diritti o status degli artt. 24 c.p.c. e 2909 c.c.. Gli altri genera di tutela sono infatti talora composti anche da strutture e funzioni lato sensu cognitive e sommari, ma mai da strutture, funzioni e, quindi, nature propriamente decisorie. I procedimenti decisori sommari si presentano dei iure condito sia come vicende giudiziali autonome, indipendenti dall'esistenza di un processo ordinario o comunque non sommario in atto, sia come subprocedimenti per l'appunto inseriti nel corpo di un processo a cognizione piena ed esauriente. I procedimenti decisori sommari autonomi si possono, inoltre, in necessari e non necessari, se si accetta la tesi che per talune delle specie individuabili di tutela decisoria sommaria non sia (inizialmente) configurabile la parallela garanzia ordinaria o comunque non sommaria, queste specie ponendosi per l'appunto come l'unica via iniziale praticabile. Oltre alla ipotesi dell'apertura del fallimento e delle altre procedure concorsuali fondate sullo stato di insolvenza, si può forse addurre l'esempio dell'art. 28 L. n.300 del 1970, sulla repressione della condotta antisindacale. Il dubbio deriva dal fatto che l'esclusione della promovibilità dell'azione di repressione in via anche ordinaria appare incerta, soprattutto se, come credo, deve escludersi che l'oggetto del giudizio inquestione riguardi i c.d. interessi collettivi o diffusi e non situazioni giuridiche ancora sostanzialmente criticabili in termini di diritto soggettivo. I procedimenti ed i subprocedimenti decisori sommari attengono alla tutela di diritti e status, non risultando de iure condito forme di tutela giurisdizionale civile effettivamente riservate a situazioni giuridiche sostanzialmente diverse, ad incominciare dagli interessi collettivi o diffusi.Anche per i procedimenti ed i subprocedimenti sommari decisori può riproporsi la tripartizione della tutela di condanna (ad esempio per il subprocedimento ex art. 423/1 c.p.c.), costitutiva (ad esempio, per il procedimento per convalida di sfratto ex art. 657 ss. c.p.c.) e di mero accertamento (ad esempio, per talune applicazioni del procedimento di repressione dell'attività antisindacale ex art. 28 n. 300 del 1970).

La funzione della tutela decisoria sommaria e la differenza con gli altri tipi di tutela giurisdizionale

La tutela decisoria sommaria adempie ad una finalità sua propria e specifica: la finalità di accordare una tutela, che, per il profilo della sommarietà, è anticipatoria, urgente ed effettiva, mentre, per il profilo della decisorietà, è stabile, immodificabile, incontrovertibile, vale a dire garantita dal giudicato formale e sostanziale. Nella sua unità, siffatta duplice finalità non è rintracciabile, ripeto, altrove, mancando sempre o la stabilità, o l'anticipazione. Se si considera la tutela decisoria sommaria alla luce della durata fisiologica o patologica del processo a cognizione piena, dei possibili inconvenienti derivanti da tale durata (danni da ritardo o da successiva infruttuosità pratica, ecc.), si comprende come il proprium funzionale della tutela decisoria sommaria stia per l'appunto, non tanto nell'anticipazione

lato sensu esecutiva a fini di effettività, quanto nella tendenziale stabilità di questa anticipazione (giudicato formale e sostanziale) a fini in particolare di economia dei giudizi a cognizione ordinaria o comunque non sommaria. La tutela decisoria sommaria mira, in definitiva, ad un rapido accertamento fonte di giudicato, che può essere tutta la tutela di cui si ha o si può aver bisogno dopo la violazione del diritto o che può altresì garantire anche un'esecuzione forzata parimenti urgente e parimenti stabile.

La struttura della tutela decisoria sommaria e la difficoltà posta dalla presupposizione della sua identità funzionale con la tutela decisoria non sommaria

L'inquadramento di procedimenti cognitivi sommari nel genus della tutela decisoria giurisdizionale e l'affermazione della loro esistenza de iure condito, pongono il problema della plausibilità teorica dell'inquadramento sopraindicato, vale a dire della compatibilità della species della tutela decisoria sommaria con i principi generali dell'ordinamento. La funzione decisoria sommaria sembra postulare una struttura sempre e comunque diversa da quella espressa dalla funzione decisoria ordinaria. Se è vero che la natura di un istituto è espressione della struttura e della funzione dell'istituto stesso, sicché natura, funzione e struttura appaiono essenzialmente la medesima cosa, ne deriva la difficoltà, innanzitutto teorica, di asserire la medesima funzione o natura (decisorietà) per forme di tutela effettivamente diverse nella struttura (cognizione sommaria e cognizione ordinaria o comunque non sommaria).

La preferibile impostazione ricostruttiva fondata sulla correlazione necessaria tra la tutela decisoria sommaria e la tutela decisoria non sommaria e sulla trasformablità della I nella II

Ma difficoltà teorica solo apparente, non appena si considera che di differenza effettiva di struttura occorre parlare e che questa effettiva differenza strutturale tra tutela decisoria sommaria e tutela decisoria non sommaria a ben vedere de iure condito non sussiste e de iure condendo non è accettabile né dal punto di vista costituzionale, né da quello dei principi generali del nostro stesso sistema ordinario. Il progresso dell'indagine confermerà che l'ordinamento vigente prevede bensì numerose ipotesi di procedimenti decisori sommari, caratterizzati da una contenziosa cognizione dei diritti o status controversi incompleta, superficiale, talora priva di qualsiasi contraddittorio e di qualsiasi istruzione probatoria. E prevede effettivamente la decisorietà di siffatti procedimenti-provvedimenti speciali, vale a dire la loro attitudine all'autorità-efficacia del giudicato in senso proprio. Ma l'ordinamento positivo vigente prevede altresì ciò solo quando e solo perché questi procedimenti e provvedimenti cognitivi sommari sono fasi endoprocedimentali di una più vasta e sostanzialmente unica vicenda di tutela cognitiva e decisoria, caratterizzata dalla accertabilità a cognizione piena di quanto è stato deciso o poteva essere deciso nella fase sommaria: accertabilità posticipata ed eventuale lasciata alla disponibilità degli interessati. Questi procedimenti decisori sommari sono variamente previsti sia nel c.p.c., sia in leggi coeve a questo codice o successive, e sono tutti caratterizzati da questa condizionante relazione con la potenziale successiva fase procedimentale a cognizione non sommaria.In sintesi di I approssimazione si può insomma dire che i procedimenti decisori sommari si distinguono dalla stessa specie proxima, composta dai vari procedimenti lato sensu cognitivi e sommari non decisori, per l'attitudine al giudicato giustificata soprattutto dalla loro trasformabilità in cognizione ordinaria o comunque non sommaria. E si può

aggiungere le , con riferimento alla tutela propriamente cautelare, che alla effettiva diversità di funzione di quest'ultima rispetto alla tutela sommaria decisoria (individuabile nella inidoneità alla stabilità), corrisponde sempre una effettiva diversità di struttura: per quel che attiene al ben diverso rapporto quoad effectus intercorrente tra i 2 giudizi sommari (cautelare e decisorio) ed il successivo eventuale giudizio a cognizione ordinaria o comunque non sommaria.

Piano della indagine

Si tratta così di esaminare, nella seguente indagine, innanzitutto il più esatto significato della decisorietà e le sue più precise condizioni di esistenza, in rapporto al processo di cognizione ordinario disciplinato in 2 principali tipi (comune e di lavoro) dal II libro del c.p.c.; ed in rapporto, in II luogo, alla altrettanto indiscutibile relazione rintracciabile tra il giudicato formale e sostanziale sui diritti o status ed i processi contenziosi a cognizione speciale non sommaria.

Il giudicato e la tutela decisoria ordinaria

In relazione al profilo prevalentemente funzionale dell'idoneità al giudicato sui diritti o status, breve discorso può essere fatto circa l'assumibilità come dati preliminari difficilmente discutibili: a) della identificazione necessaria tra la decisorietà in senso proprio ed il giudicato formale e sostanziale sui diritti e status previsto in particolare dagli art. 324 c.p.c. e 2909 c.c.; b) della relazione primaria tra il giudicato in questione ed il processo di cognizione ordinario descritto dal II libro del c.p.c.. Entrambi i punti sono sostanzialmente pacifici in dottrina e giurisprudenza. L'identificazione necessaria sub a non mi sembra infatti revocata in dubbio neppure dalla dottrina favorevole, per i procedimenti cognitivi sommari oggetto della presente indagine, al tipo di stabilità qualificato nei ricordati termini della c.d. preclusione pro iudicatio, giacché l'identificazione della decisorietà in senso proprio con il giudicato "ad ogni effetto" (art. 2909 c.c.) sopra descritto rimane comunque anche per questa dottrina fuori discussione. Si può in sostanza dire, con la stessa Suprema Corte, che la tutela decisoria propriamente intesa "riconosce ed attribuisce un diritto soggettivo in contraddittorio delle parti e con decisione suscettibile di cosa giudicata"; e che siffatta "decisorietà" è espressa innanzitutto dai processi di cognizione ordinari previsti nell'art.163 ss. c.p.c.. La relazione primaria sub b, d'altra parte, è altrettanto indubbia, emergendo in modo chiaro anche esegeticamente proprio dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., che rinviano all'ordinaria "sentenza" di merito conclusiva dell'omologo processo ed all'ordinario "accertamento" di regola effettivamente espletatosi in quel processo medesimo.

Il giudicato e la tutela decisoria speciale non sommaria

Meno breve discorso deve essere fatto sull'ulteriore e già accennata relazione intercorrente tra decisorietà in senso proprio, giudicato formale e sostanziale sui diritti e status controversi e tutela cognitiva speciale non sommaria. Meno breve, perché siffatta relazione, a differenza di quella rinviante alla cognizione ordinaria, non può essere assunta come un dato altrettanto pacifico.

Mi riferisco a quei procedimenti che sono indubitabilmente decisori, ma che, per un verso, non rinviano al processo ordinario del II libro su menzionato, e per altro verso, non si risolvono in una cognizione sommaria, prevedendo invece una cognizione piena ed esauriente, sostanzialmente assimilabile a quella propriamente ordinaria per quel che attiene alla integrità del contraddittorio ed alla completezza dell'istruzione probatoria. Si può dire che le ipotesi de iure condito correttamente inquadrabili nella categoria in questione sono caratterizzate da strutture cognitive non identificabili con quelle ordinarie, ma sono peraltro concretate da strutture cognitive: a) espresse o da una domanda, con la quale si fa valere un diritto o uno status controversi e si introduce un dovere decisorio del giudice o da un tale oggetto e da una tale funzione giudiziale; b) articolate in un contraddittorio, in un'istruzione probatoria, in un accertamento giudiziale pieni, approfonditi, per l'appunto non sommari, rintracciabili in uno o più spesso in 2 gradi di cognizione di merito, oltre che nel successivo giudizio in Cassazione; c) concluse da provvedimenti giudiziali (sentenze, ordinanze, decreti) anche a livello esegetico indubitabilmente atti a produrre il giudicato degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.. Questo appare vero per la opposizione dell'art.17 della legge sull'adozione speciale, in materia di dichiarazione di adottabilità, che per l'appunto prevede sia una cognizione di I grado piena ed esauriente nel contraddittorio e nell'istruzione probatoria, sfociante in una sentenza, il cui appello introduce un giudizio di merito di II grado parimenti non sommario, produttivo di altra sentenza ricorribile in Cassazione, sia un decisum per il quale è esplicitamente esclusa qualsiasi revocabilità, "allo stesso modo di quanto avviene per le sentenze dotate dell'autorità di cosa giudicata".Ed appare altresì vero per altri casi di cognizione effettivamente speciale e non sommaria, analogamente rintracciabili nel sistema e strutturati in modo sostanzialmente analogo: altro esempio il giudizio ex art. 9 L. n. 898 del 1970, in materia di obblighi patrimoniali conseguenti al divorzio (sulla cui decisorietà e non sommarietà sembra ormai difficile dubitare).Siamo in presenza di articolati giudizi di merito, che si differenziano con certezza dal processo ordinario a cognizione piena ed esauriente soprattutto perché si aprono con ricorso (come avviene anche nel rito del lavoro) e si chiudono spesso con decreto motivato od ordinanza, mentre, per quel che attiene alla restante, complessiva trama processuale intermedia, la disciplina normativa si risolve prevalentemente in un "dato neutro", ampiamente integrabile anche a livello sistematico, non privo peraltro di espliciti, anche se generici, rinvii alla pienezza del contraddittorio e dell'istruzione. I richiami alla camera di consiglio non smentiscono la neutralità accennata, perché non vanno oltre l'indicazione della mancanza di una pubblica udienza.Si può dire che, in materia di giurisdizione volontaria, i procedimenti in camera di consiglio dell'art.737 s.s. c.p.c. si esprimono in quello svolgimento semplificato autorizzato dal quantum di contraddittorio ed istruzione necessaria (almeno il "minimo" adeguato) e sufficiente (inesistenza del giudicato e revocabilità ex art.742 c.p.c., "elemento essenziale dei procedimenti camerali" e della loro struttura) alla materia non contenziosa. Mentre, in materia di tutela sicuramente decisoria, il silenzio normativo sulla più esatta struttura della cognizione può e deve essere integrato nell'opposto senso della pienezza del contraddittorio e dell'istruzione nei gradi di merito previsti prima del giudizio di Cassazione ordinario. Pienezza che non può identificarsi con quel "contenuto minimo irriducibile", individuato dalla dottrina in generica relazione ai procedimenti variamente speciali, senza l'indispensabile summa divisio tra procedimenti decisori e procedimenti non decisori; ma chi va invece intesa nel letterale senso della effettiva pienezza del contraddittorio. Il che non esclude talune varianti di semplificazione, abbreviazione, ecc. rispetto alle forme della cognizione ordinaria, varianti del resto già ampiamente rintracciabili innanzitutto nel rito del lavoro (riduzione dei termini, forma della domanda,

ecc.), né la possibile concentrazione in un unico grado di merito pieno ed esauriente; ma lascia per l'appunto intatte le manifestazioni sostanziali del principio del contraddittorio inteso in senso ampio e forte (pienezza delle comunicazioni, della difesa, ecc.).

Le difficoltà teoriche ed equitative in ordine all'ammissibilità della tutela decisoria sommaria e la casistica dei procedimenti richiamabili

Fermo che la tutela decisoria sommaria rinvia allo stesso giudicato formale e sostanziale sui diritti e status della tutela decisoria ordinaria e della tutela decisoria speciale non sommaria, occorre riprendere il discorso dalla iniziale affermazione della correlazione necessaria altresì intercorrente tra la I e la II.La postulazione dell'identità sopra richiamata pone la questione della dimostrazione de iure condito dell'attitudine al giudicato di determinati procedimenti-provvedimenti cognitivi sommari, per la semplice ragione che tale attitudine non emerge mai inequivocabilmente a livello esegetico. Il livello esegetico consente solo l'individuazione di indici decisori, che fanno presumere la struttura, funzione e natura idonea al giudicato. Questi indici (la sussistenza di una domanda con la quale si fa valere in giudizio un diritto o uno status controverso..., la conseguente attività cognitiva del giudice...) consentono cioè una cernita di vicende giudiziali, nelle quali il magistrato effettivamente non sembra svolgere attività cautelare o esecutiva, né sembra chiamato a cooperare alla formazione di stati giuridici, ma sembra invece chiamato "ad attuare diritti, ad accertare e riparare l'infrazione di doveri giuridici di parti verso parti": a svolgere insomma una vera e propria attività contenziosa decisoria. Ma questi indici non sono ancora la dimostrazione, perché, se è vero che il "tipo di potere giurisdizionale esercitato" è certamente individuabile "in base agli effetti giuridici prodotti dal suo esercizio", in nessuno dei numerosi procedimenti cognitivi sommari, ritenuti decisori dalla dottrina e giurisprudenza, questi "effetti giuridici" risultano in modo inequivoco. La dimostrazione in questione si ottiene soprattutto attraverso l'essenziale argomento prevalentemente sistematico della correlazione necessaria più volte richiamata.Che l'attitudine al giudicato di determinati procedimenti cognitivi sommari non emerga mai inequivocabilmente aliunde, se si prescinde dall'essenziale argomento sopra indicato, sembra indubbio innanzitutto in relazione proprio alla vasta casistica di procedimenti cognitivi sommari endoprocedimentali trasformabili sicuramente in cognizione ordinaria o comunque non sommaria. Sembra indubbio, in I luogo, per i procedimenti sommari, dotati di siffatta apparenza, inquadrabili nel modello strutturale dell'ingiunzione ex art. 633 ss. c.p.c. ed in sintesi caratterizzati da una fase speciale necessaria, priva di contraddittorio e con un'istruzione estremamente sommaria, conclusa da un provvedimento, diverso dalla sentenza, impugnabile entro breve termine con un'opposizione per l'appunto introduttiva della cognizione ordinaria di I grado e del successivo ordinario iter delle impugnazioni. Quanto assunto in premessa sembra altresì indubbio, in II luogo, per i procedimenti inquadrabili nel modello strutturale del tipo della repressione della condotta antisindacale ex art. 28 L. n. 300 del 1970, modello caratterizzato rispetto al precedente soprattutto dalla variante della presenza del contraddittorio e di una cognizione maggiormente articolabile fin dalla fase sommaria.Non meno indubbia, infine, la medesima equivocità, finora descritta per i procedimenti sommari trasformabili in cognizione ordinaria, per i procedimenti sommari invece sicuramente trasformabili nella cognizione speciale non sommaria già più volte richiamata. Così ad esempio per i procedimenti sommari in materia di adozione speciale, dove analogamente è vana la ricerca di una norma che chiaramente attribuisca la pur

ragionevolmente ipotizzabile attitudine al giudicato dei provvedimenti emessi senza successivo passaggio alla cognizione non sommaria.

Conferma delle difficoltà in questione in particolare sulla base della lettera degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e della dottrina contraria all'ammissibilità della tutela sommaria propriamente decisoria

D'altra parte, il sostanziale silenzio della legge scritta sull'attitudine al giudicato dei provvedimenti speciali non opposti o non impeditivi, finora esaminati potrebbe essere addirittura interpretato in senso diametralmente opposto valorizzando indici testuali a favore della stessa inesistenza della categoria generale della giurisdizione sommaria propriamente decisoria: ad incominciare dalla lettera degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e dalla loro apparente rapportabilità solo alla cognizione ordinaria (o, al massimo, alla cognizione speciale non sommaria) effettivamente espletatasi. Le norme in questione richiamano infatti esplicitamente solo la "sentenza" e solo il preliminare processo ordinario descritto dal II libro del codice di rito, sembrando conseguentemente lasciare fuori dall'area del giudicato e della decisorietà vera e propria qualsiasi tipo di procedimento-provvedimento comunque sommario e comunque diverso dalla sentenza. Si potrebbe, in definitiva, sostenere che quel silenzio, come questa lettera, esprimono anche esegeticamente una chiara volontà del sistema positivo ordinario; volontà peraltro rispecchiata dallo stesso sistema costituzionale e segnatamente dalle garanzie accordate alle parti dagli artt. 24 e 111 Cost., parimenti evocanti solo la cognizione piena introdotta dall'ordinaria "azione civile, che fa valere (art 99 c.p.c.)" il diritto o lo status e conclusa dalla "sentenza". Che questa interpretazione restrittiva della realtà normativa sia plausibile, almeno ad una I approssimazione, è del resto confermato dal fatto che è sostenuta dall'autorevole, anche se minoritaria, dottrina che approda in sostanza alla negazione de iure condito della stessa esistenza della giurisdizione sommaria propriamente decisoria. Interpretazione ed approdo coadiuvati dall'ulteriore rilievo teorico-pratico dell'impossibilità di ravvisare nell'accertamento sommario momenti essenziali della decisorietà in senso proprio come il giudicato implicito e l'efficacia riflessa, nonché sorretti equitativamente dalla valutazione quoad iustitiam dell'estrema opportunità della "risoluzione del giudizio nell'istruzione ordinaria".

La tutela decisoria sommaria e la sua necessaria trasformabilità endoprocedimentale nella tutela decisoria non sommaria

Si può così ritornare di nuovo e conclusivamente alla giustificazione della natura decisoria dei procedimenti finora esaminati, prevalentemente fondata sulla correlazione necessaria tra la loro attitudine al giudicato e la loro trasformabilità endoprocedimentale nella cognizione non sommaria. Nei procedimenti sommari sopra richiamati ed inquadrabili nelle tipologie strutturali viste, questa connessione endoprocedimentale è prevista dalla legge in guisa esegeticamente inequivocabile e consente invero di affermare quanto si è anticipato fin dall'inizio della presente indagine: vale a dire, l'intrinseca appartenenza della stessa cognizione ordinaria alla struttura della complessiva vicenda di tutela giurisdizionale iniziata dai procedimenti sommari de quibus. Sinteticamente, in definitiva, si può assumere che, dal punto di vista in esame, non vi è alcuna sostanziale differenza, anche per quel che attiene al tipo di attività cognitiva effettivamente espletata dal giudice, tra un'ingiunzione non opposta ed

una sentenza in contumacia non appellata. E si può anche giungere a dire in modo non troppo paradossale che, dal punto di vista dell'economia dei giudizi e dei mezzi accordati dall'ordinamento per tentare di giungere ad una disciplina definitiva del rapporto litigioso attraverso una scorciatoia, può non ravvisarsi una sostanziale differenza funzionale e strutturale tra la notifica del decreto ingiuntivo (non esecutivo) e la notifica della normale citazione.

La correlazione necessaria tra la tutela decisoria sommaria e quella non sommaria e l'armonizzabilità della trasformabile tutela decisoria sommaria con la stessa lettera degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.

La correlazione necessaria tra giudicato e cognizione non sommaria effettivamente espletatasi almeno in I grado, correlazione certamente stabilita in modo esplicito dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., appare insomma sostanzialmente equivalente alla correlazione necessaria tra giudicato e cognizione non sommaria potenzialmente espletabile anche in I grado, correlazione implicitamente riferibile agli stessi artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e comunque con queste norme pienamente armonizzabile. A ben vedere infatti non vi sono particolari difficoltà ad intendere la formula "si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta ecc." dell'art. 324 c.p.c., come se dicesse: "la sentenza che" anche mediatamente "non è più soggetta ecc.". L'inciso sottintendibile "anche mediatamente" rinvia, invero, sia al procedimento-provvedimento speciale che concreta o può concretare la fase sommaria, sia al rimedio introduttivo della cognizione completa di I grado (opposizione o contestazione impeditiva) e produttivo della I sentenza in senso anche formale ed appellabile.Il punto fondamentale della dimostrazione dell'idoneità al giudicato dei procedimenti sommari in esame rimane comunque quello dell'equivalenza tra espletamento della cognizione piena e libera rinuncia alla stessa da parte degli interessati. Equivalenza accettabile non solo dal punto di vista teorico, ma anche da quello equitativo, quale giusta e normale espressione -in presenza di diritti disponibili- di una tutela giurisdizionale costruita sull'impulso di parte e sul principio della domanda, nonché -in presenza di diritti indisponibili- di una tutela giurisdizionale comunque rinunziabile da parte dell'ufficio.

La dottrina classica favorevole alla correlazione necessaria ed alla trasformabilità sopra indicate con particolare riferimento al Chiovenda ed al Mortara

Si può a questo punto rammentare che Chiovenda osservava che "né il contraddittorio né tanto meno il dibattito sono essenziali" alla fase sommaria dei procedimenti speciali decisori,, che la sua conclusione con provvedimento diverso dalla sentenza lascia "immutata" la "sostanza del provvedimento che decide la controversia", provvedimento speciale e sentenza potendo avere "identico contenuto, tranne le differenze di forma, le quali non impediscono che entrambi possano ad un modo transire in vim iudicati" -che insomma, come osservava anche Mortara, "l'uso dei ricorsi, le deliberazioni in camera di consiglio, il provvedere in molti casi mediante decreti, sono elementi esteriori di una qualche importanza ma non sono estremi sostanziali né caratteristici" per decidere contro la natura decisoria di una vicenda giudiziale non ordinaria. Nei procedimenti sommari decisori, proseguiva Chiovenda, vi è talora "possibilità di contraddittorio, anche se in forme speciali"; ma in altri "casi il contraddittorio ha o può aver luogo solo dopo la

notificazione del provvedimento". " Anche un'ordinanza o un decreto può produrre la cosa giudicata, e ciò accadrà quando da un simile provvedimento divenuto definitivo rimanga affermata ed indiscutibile una volontà di legge che garantisca un bene ad una parte di fronte all'altra".

Critica della dottrina minoritaria favorevole all'inammissibilità della tutela sommaria propriamente decisoria sulla base dell'incompatibilità dell'accertamento non ordinario con il giudicato implicito e l'efficacia riflessa

La riaffermata equivalenza strutturale e funzionale quoad iudicatum tra accertamento pieno espletatosi e libera rinuncia allo stesso con accettazione del provvedimento decisorio speciale non è revocabile in dubbio, né sulla base della pretesa incompatibilità dell'accertamento sommario con manifestazioni ritenuti essenziali del giudicato, quali il giudicato implicito o l'efficacia riflessa, né sulla base della pretesa sostituibilità, nei procedimenti in esame, del giudicato vero e proprio con la preclusione pro iudicato e con la relativa categoria di cognitività per così dire intermedia (tra quella decisoria in senso proprio e quella viceversa priva di qualsiasi efficacia stabilizzante).La dottrina favorevole a questa duplice tesi ha infatti anche di recente ripetuto: a) che il giudicato vero e proprio è prodotto solo dalla cognizione ordinaria e dalle sentenze in senso anche formale che la concludono, perché solo l'accertamento ordinario in questione priva, con il giudicato implicito e l'efficacia riflessa, "di ogni rilevanza le... originarie fonti sostanziali" dei rapporti giuridici decisi, "anche per ogni effetto diverso da quello da essi prodotto"; b) che questo è vero non solo per la giurisdizione volontaria od esecutiva, ma anche per i procedimenti cognitivi sommari come ad esempio l'ingiunzione o la convalida di sfratto, i quali non producono il giudicato materiale e consentono pur sempre successivamente "di contestare, verso l'ingiungente, per ogni effetto diverso da quello del... pagamento, la fonte sostanziale di questo (si pensi ai danni o ad altre rate di debito rateale)", senza estendere "il suo effetto vincolante ad alcun rapporto connesso con quello dedotto in giudizio, proprio perché la stabilità dell'effetto giurisdizionale in discorso non è accertamento di quel rapporto"; c) che questo è in particolare confermato dalla non configurabilità del "giudicato implicito" e della "efficacia riflessa" nei procedimenti sommari pur inoppugnabili in esame, nel senso che in relazione ai provvedimenti conclusivi, le "originarie fonti sostanziali" dei diritti ivi tutelati non perdono "ogni rilevanza... anche per ogni effetto diverso da quelli da essi prodotti", né l'incontestabilità del diritto deciso dal provvedimento inoppugnabile travalica i soli "effetti diretti" fra le parti, dovendosi escludere "tra le stesse parti una forza riflessa del giudicato" ed a fortiori nei confronti dei terzi (si fanno gli esempi dei danni o delle rate); d) che quanto finora detto permette appunto di collegare ai decreti o alle ordinanze non opposti o non impediti dalle contestazioni, non il giudicato vero e proprio, ma la c.d. preclusione pro iudicato, espressa in definitiva dall'irripetibilità dei risultati di fatto conseguiti.

L'inaccettabilità dell'alternativa della c.d. preclusione pro iudicato proposta dalla medesima dottrina minoritaria

Alle considerazioni sul giudicato implicito e sulla riflessione degli effetti ci si può infatti in questa sede limitare ad obiettare ancora una volta che gli esempi in proposito fatti sembrano o non rilevare in modo specifico per la questione in esame (l'esempio delle rate), o rimanere al livello della petizione di principio (l'esempio dei danni), o risultare

infine di non agevole comprensione (l'esempio della mancanza di riflessione degli effetti ex art. 28 sull'azione ex art. 18 statuto dei lavoratori). In realtà la "stabile forza definitiva" del provvedimento speciale rimane, nella logica stessa della teoria qui criticata, non convincentemente dimostrata e ripropone con forza piuttosto l'alternativa, se si esclude il giudicato vero e proprio, della mera preclusione è endoprocessuale. Alternativa ovviamente improponibile, ma non esorcizzabile con l'assiomatico e contraddittorio compromesso della preclusione pro iudicato e rinviante anche per questo all'opposta e preferibile soluzione del giudicato a ogni effetto. Occorre d'altra parte tenere altresì sempre presente, dal punto di vista equitativo, la "ingiustizia sostanziale" determinabile per entrambe le parti dalla sostituzione del giudicato "ad ogni effetto" con l'appena richiamato compromesso della stabilità dei risultati concreti ottenuti dal vincitore.I procedimenti cognitivi sommari, finalizzati ad una stabile tutela dichiarativa di diritti o status controversi, si confermano invece decisori "processi speciali di cognizione, nei quali l'esercizio in forme speciali di un'ordinaria azione di cognizione provoca la pronuncia, in forme speciali, di provvedimenti giurisdizionali, identici per natura, nonostante la sommarietà della cognizione, a quelli pronunciati, nell'esercizio della giurisdizione dichiarativa, in un ordinario processo di cognizione" o in un processo di cognizione comunque non sommario, allorché sono capaci di convertirsi endoprocedimentalmente nella cognizione completa a seguito di contestazione ed anche quando manca siffatta contestazione, in quanto "la mancanza di contestazione rende... inutile il solenne processo di accertamento, solo perché è essa stessa fonte di equivalente accertamento". "Il provvedimento sommario è dunque un provvedimento provvisorio che aspira a diventare definitivo: esso sorge provvisorio, ma nella speranza di diventare il provvedimento che definisce irrevocabilmente il merito".E risulta altresì confermato che la funzione e la natura propriamente decisoria non è mai rintracciabile allorché il complessivo procedimento non prevede la struttura della cognizione piena ed esauriente: non è mai rintracciabile cioè nei procedimenti cognitivi sommari realmente inidonei alla trasformazione in cognizione ordinaria o speciale non sommaria.

Critica della dominante dottrina e giurisprudenza favorevole alla ammissibilità della tutela decisoria sommaria anche in assenza della correlazione necessaria e della trasformabilità sopra indicate

Emerge così un netto dissenso con la stessa dottrina e giurisprudenza dominante, che, se non dubita dell'attitudine al giudicato dei finora esaminati procedimenti cognitivi sommari trasformabili in cognizione non sommaria (e dell'inaccettabilità dell'alternativa della preclusione pro iudicato), non dubita peraltro che il sistema positivo ordinario prevede anche svariati procedimenti cognitivi sommari sicuramente decisorio nonostante la loro non trasformabilità in cognizione ordinaria o comunque non sommaria. Procedimenti mai definiti in moto veramente inequivocabile dalla legge come idonei al giudicato, epperò da questo vasto orientamento ritenuti decisori nonostante la loro esclusiva articolazione in 2 od anche in un sol grado o fase di cognizione camerale, sempre e talora estremamente sommaria, conclusa da provvedimenti speciali, rispetto alla cui impugnabilità la legge nulla sembra dire o rispetto ai quali la legge sembra sancire esplicitamente la sorte della non reclamabilità, non assoggettabilità a gravame, non impugnabilità tout court.La dottrina e la giurisprudenza in questione collega poi questi procedimenti-provvedimenti esclusivamente sommari al ricorso straordinario in cassazione, intendendo

così sanare, senza l'intermediazione alla Corte costituzionale, il vizio di costituzionalità (per violazione dell'art. 24 Cost.) di una vicenda giudiziale, della quale viene comunque presupposta la sicura esistenza nel sistema ordinario e la sicura natura schiettamente decisoria. Se si considera che anche la minoritaria dottrina favorevole alla c.d. preclusione pro iudicato confluisce in questo generale orientamento ed attribuisce questo tipo di stabilità anche alla casistica ora in questione, -che questo orientamento generale stesso si ritiene comunque così appagato anche quoad iustitiam (nonostante l'attribuzione de iure condito del giudicato o della preclusione pro iudicato anche a fattispecie procedimentali composte da un unico grado o fase di cognizione di merito camerale estremamente sommaria)- che questa complessiva posizione dottrinale si è tradotta in giurisprudenza nell'esasperato ampliamento della casistica in esame, -se si considera questo, si comprende appieno la dimensione del problema.

L'inaccettabilità della attribuzione della natura decisoria alla tutela cognitiva sommaria proposta dal medesimo orientamento maggioritario sulla base esclusiva del tipo di domanda introduttiva e della sanabilità costituzionale in virtù della diretta applicazione dell'art. 111/2 Cost

La più compiuta elaborazione dottrinale di questa opinione dominante è quella del Mandrioli, secondo il quale l'ordinamento per l'appunto offrirebbe "esempi di provvedimenti pure idonei al giudicato e tuttavia non impugnabili, sia perché espressamente dichiarati tali dalla legge, e sia perché strutturati con forme che non contemplano alcun mezzo di impugnazione neppure attraverso una interpretazione sistematica", delineandosi conseguentemente l'eccezionale "possibilità di individuare i provvedimenti idonei al giudicato, anche indipendentemente dalla loro impugnabilità in via ordinaria, riferendosi alle caratteristiche della fattispecie introduttiva del giudizio in quanto consiste in una domanda che fa valere un diritto o uno status e che introduce il conseguente dovere decisorio del giudice", giacché "il provvedimento che assolve a questo dovere non può non dar luogo a quegli effetti caratteristici che sono tipicamente correlativi alle esigenze proprie di quella domanda (incontrovertibilità propria del giudicato)". Completata la ricostruzione con l'interpretazione sostanzialista dell'art. 111/2 Cost. (consolidatasi in giurisprudenza fin dalla nota sentenza delle Sezioni unite n.2593 del 1953), la dominante opinione in questione giunge così ad accomunare, nell'unitaria categoria della giurisdizione decisoria sommaria prevista dal sistema ordinario, sia i procedimenti trasformabili nel normale iter della cognizione ordinaria o speciale non sommaria, sia i procedimenti ora in esame, viceversa caratterizzati anche da un unico giudizio camerale sommario addirittura privo di quel “contenuto minimo irriducibile” di contraddittorio, istruzione, ecc., più volte richiamato (si pensi all'estremamente sommario procedimento-provvedimento in unico grado o fase camerale ex art. 110 L. fall., da una parte della dominante dottrina e giurisprudenza ritenuto sicuramente decisorio ed esclusivamente impugnabile ex art. 111 Cost.).Ammesso in via di principio e di fatto che l'unica condizione veramente necessaria richiesta dal sistema ordinario per la sussistenza della giurisdizione fonte di giudicato è quella di una domanda introduttiva di un dovere decisorio comunque attuabile, la convertibilità endoprocessuale della cognizione sommaria in non sommaria, per quanto statisticamente prevalente, diviene per il sistema ordinario una previsione normativa secondaria, in nessun modo vincolante per il legislatore; mentre la "eccezionale possibilità" della decisorietà esclusivamente sommaria, non trasformabile, in ipotesi

espressa da un unico grado o fase camerale al limite privo di qualsiasi contraddittorio-istruzione apprezzabile, finisce per diventare la vera regola del giudicato. Tutto ciò appare inaccettabile equitativamente, non meno che sul piano dei principi regolatori del sistema ordinario, ed è in realtà escluso dall’ordinamento positivo stesso..

L'inquadrabilità di parte della casistica, relativa alla pretesa tutela decisoria sommaria non trasformabile in tutela decisoria non sommaria, nell'area della tutela sommaria effettivamente decisoria perché in realtà trasformabile in tutela decisoria non sommaria

La corretta interpretazione della vigente normativa innanzitutto ordinaria non consente una tale conclusione e permette invece la piena riaffermazione della tesi preferita anche nella presente indagine.L'attento esame dei più importanti casi trattati dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale in questione consente di rilevare: a) che una parte delle fattispecie di tutela sommaria, da tempo ritenute dall'opinione dominante decisorie, ma inidonee a dar luogo alla cognizione ordinaria o comunque non sommaria di I o unico grado, sono bensì sicuramente ipotesi di tutela sommaria decisoria, ma sono viceversa a ben vedere atte alla relazione endoprocedimentale con il pieno ed esauriente giudizio innanzitutto di merito; b) che la restante parte delle ipotesi non sono in realtà casi di tutela sommaria decisoria e non hanno conseguentemente bisogno di alcuna trasformabilità endoprocessuale nella cognizione non sommaria. Un esempio significativo, riconducibile alle ipotesi sub a, è quello dei procedimenti decisori posti in essere dal giudice delegato nel fallimento. Tra questi, uno dei casi è quello dell'art. 110 L. fall., dove il giudice delegato, dopo una cognizione estremamente sommaria, provvede con decreto esecutivo. In questo, la natura decisoria è ritenuta, in dottrina e giurisprudenza, pacifica e sembra effettivamente difficile negarla. Ma sull'impugnabilità e sul regime di stabilità la legge tace. Ed è a tutti noto come la Cassazione ed una minoritaria parte della dottrina abbiano assunto o la diretta impugnabilità del decreto in esame ex art. 111 Cost., o la previa reclamabilità in sede camerale e nuovamente sommaria davanti al Tribunale fallimentare ex art 26 L. fall.; mentre la dottrina dominante e la Corte costituzionale hanno sempre sostenuto l'integrabilità dell'apparente silenzio legislativo con il rinvio agli artt.. 512 c.p.c. o 68 ss. L. fall.: integrabilità per l'appunto idonea a far rientrare anche il procedimento cognitivo sommario dell'art. 110 L. fall. nell'area della tutela decisoria sommaria trasformabile in ordinaria. La soluzione corretta è indubbiamente quella proposta dalla dottrina favorevole alla trasformabilità, conferma per l'appunto sub a. Altro esempio riconducibile in parti all'ipotesi sub a e in parte a quella sub b, è offerto dal procedimento ex art. 29 e 30 L. n. 794 del 1942. Decisorio secondo ogni apparenza, il procedimento in questione è infatti caratterizzato da una posizione che non è quella dell'art. 645 c.p.c., introduttiva della cognizione ordinaria di I grado e del successivo iter normale delle impugnazioni, ma è un rimedio che introduce una cognizione estremamente sommaria, conclusa da un'ordinanza dichiarata espressamente "non impugnabile". La Suprema Corte ha tratto occasione proprio da questo procedimento per inaugurare, con la sentenza delle Sezioni unite n.2593 del 1953, l'interpretazione sostanzialista dell'art. 111/2 Cost.; ed è anche noto che gran parte della dottrina ha fatto propria questa impostazione ed ha così definito la tesi della scindibilità del giudicato dalla cognizione piena ed esauriente.Ma è evidente che, se si accetta l'opinione appena richiamata, può addirittura revocarsi in dubbio che il procedimento degli art. 29-30 attenga ad una vera e propria controversia

su diritti, potendosi piuttosto ipotizzare che la mera "applicazione di tariffe" dia luogo ad una attività giudiziale sostanzialmente discrezionale ed insindacabile, solo apparentemente contenziosa e decisoria in senso proprio. Risulta così confermata la rinviabililità delle ipotesi rintracciabili nella L. n. 794 del 1942 sia alla casistica sub a (tutela propriamente decisoria, bisognosa della cognizione piena ed esauriente), sia quella sub b (tutela propriamente non decisoria).

L'inquadrabilità di parte della medesima casistica nell'aria della tutela sommaria effettivamente non trasformabile nella tutela decisoria non sommaria perché in realtà non decisoria

Per quel che attiene alla restante casistica retro accennata sub b, si può fare qualche altro esempio. Caso palesemente erroneo di qualificazione in termini di decisorietà e di applicazione dell'art. 111 Cost., è il paradossale rinvio al ricorso straordinario compiuto dalla Cassazione -sia pure olim- in materia di giurisdizione cautelare e segnatamente in relazione all'art. 700 c.p.c.. Ad es. le sentenze delle Sezioni unite 3 ottobre 1977, n.4180 e 6 maggio 1978, n.2164, attribuendo al provvedimento cautelare in questione ”carattere decisorio” e definendolo “sostanzialmente definitivo”, appaiono comunque inaccettabili sul piano teorico e pratico, come del resto è stato ampiamente rilevato dalla dottrina, che – di fronte a siffatta reductio ad absurda della polverizzata utilizzazione dell’art. 111/2 Cost.- è giunta a parlare di una escalation della Suprema Corte, che “lascia addirittura senza parole”.Analogamente per le qualificazioni in termini di decisorietà evocanti lo stesso art. 111 Cost. erroneamente operate in materia, in realtà, di giurisprudenza esecutiva.Per l'esecuzione individuale, ricordo solo il caso dell'ordinanza di rifiuto di assegnazione del credito pignorato e l'impugnazione ex art. 111 Cost., avallata da Cass. 29 aprile 1967 n.806, limitandomi in questa sede ad osservare che siamo viceversa in presenza sicuramente di un atto non decisorio, ma esecutivo, che appare destinato "a provocare o negare il trasferimento del credito a prescindere da ogni dichiarazione di concreta volontà di legge su quest'ultimo".Altri procedimenti, parimenti collocati dalla Suprema Corte nell'area della decisorietà, vanno più correttamente inquadrati in quella della giurisdizione volontaria ed evocano conseguentemente la tutela camerale ex art.737 ss. c.p.c. e sono in via indiretta ed extra procedimentale quella decisoria offerta dalla actio nullitatis. Ricordo ad esempio il caso del decreto di revoca dello stato di adottabilità o dell'affidamento ex art. 333 c.c. ed ex art. 22 ss. L. n. 184 del 1983, sull'adozione speciale, inteso dalla Cassazione come una "statuizione con carattere definitivo e portata decisoria su posizioni di diritto soggettivo" e quindi ritenuto assoggettabile al ricorso ex art. 111/2 Cost.: soluzione errata e contrastante con la regola generale di revocabilità-modificabilità stabilita dall'art. 742 c.p.c., sicuramente applicabile nell'ipotesi in questione. Anche per questo profilo problematico, risulta quindi confermata la tesi della correlazione necessaria tra decisorietà, giudicato e cognizione ordinaria o comunque non sommaria. Nessuna fattispecie procedimentale inequivocabilmente decisoria, ma inequivocabilmente incapace di tradursi almeno potenzialmente nella cognizione piena ed esauriente, è rintracciabile nell'ordinamento vigente, i casi richiamati dal dibattito in materia risultando o casi di solo apparente inesistenza della correlazione necessaria de qua, o casi di solo apparente decisorietà in senso proprio.Va dunque respinta la vasta casistica di procedimenti decisori esclusivamente sommari avallata soprattutto dalla Cassazione, con l'esasperato rinvio all'art. 111 Cost. Ma va

respinta anche la più rarefatta casistica individuata dalla più cauta dottrina dominante, che anche di recente ha riaffermato inesattamente l'esistenza nel sistema vigente di casi in cui "il provvedimento della cui impugnazione si tratta, pur decidendo su un diritto con l'incontrovertibilità propria del giudicato, a questo efficacia perviene con forme diverse da quelle che consentono direttamente o indirettamente il controllo in Cassazione". Nel decidere sul diritto, "le garanzie giurisdizionali sono assicurate dal passaggio attraverso i mezzi che sfociano nel ricorso per Cassazione e sono imposte dal fatto che il diritto viene compromesso senz'altro e direttamente dal provvedimento".

I subprocedimenti sommari decisori e le differenze strutturali e funzionali con i subprocedimenti interinali o cautelari

Si comprende meglio, a questo punto dell'indagine, la stessa distinzione funzionale e strutturale tra subprocedimenti decisori sommari e subprocedimenti anticipatori interinali e/o cautelari, entrambi rintracciabili all'interno dei processi decisori ordinari o speciali non sommari. La previsione normativa di subprocedimenti sommari decisori non è che la trasposizione, all'interno dei processi a cognizione completa, della stessa esigenza di stabile tutela anticipata e della stessa adeguata funzionalità-struttura rintracciabile nei procedimenti decisori sommari autonomi e risolta attribuendo alla responsabile non contestazione in limine litis il valore ormai ampiamente esaminato; e che la previsione positiva dei diversi subprocedimenti sommari interinali non decisori, non fondati sulla non contestazione della controparte, risponde invece alla diversa funzionalità-struttura per l'appunto espressa da una anticipazione esecutiva "allo stato degli atti" o "in via provvisoria" sostanzialmente instabile. Diversa è la questione, già accennata, del valore da attribuire alla non contestazione dei subprocedimenti sommari sicuramente decisori: se cioè dia senz'altro luogo al giudicato o se piuttosto produca una sentenza in senso sostanziale ancora instabile. Anche se o laddove si attribuisce alla non contestazione il massimo valore stabilizzante (=giudicato), escluso il ricorso ex art. 111/2 Cost., rimangono in ogni caso integre le impugnazioni straordinarie, nei limiti della loro compatibilità a seconda dei vari procedimenti o subprocedimenti decisori sommari e dei loro oggetti.

L'inapplicabilità de iure condito dell'art. 111/2 Cost. alla tutela decisoria sommaria, la ridotta plausibilità dell'interpretazione c.d. sostanzialista di questa norma, la garanzia costituzionale della cognizione di merito piena ed esauriente in materia di tutela giurisdizionale decisoria

Tutti i procedimenti e i subprocedimenti sommari decisori adempiono dunque ad una funzione (la tutela dei diritti controversi attraverso l'accertamento fonte di giudicato) intimamente solidale alla struttura della cognizione piena ed esauriente. Sono sempre una fase di una più vasta vicenda procedimentale disponibile: una struttura cognitiva sommaria necessariamente aggregata in via endoprocedimentale al giudizio ordinario o, quanto meno, speciale non sommario. Giudizio ordinario e/o non sommario, che si conferma così come il "dovuto processo legale" in materia di decisoria tutela giurisdizionale dei diritti e degli status.

Ne deriva l'importante conseguenza che de iure condito spazio per l'applicazione dell'art. 111/2 Cost. alla materia della tutela giurisdizionale decisoria sommaria non ce n'è, per la semplice ragione che la tutela in questione ha sempre a sua disposizione, oltre ad almeno un grado di cognizione piena ed esauriente nel merito, il ricorso ordinario per Cassazione. Questa realtà normativa consente di riaprire il discorso sulla stessa interpretazione c.d. sostanzialista dell'art. 111/2 Cost., e sulla sua effettiva portata de iure condito e condendo.Invero, anche la presente indagine mi sembra confermi che l'ordinamento vigente prevede certamente, a incominciare dal decreto ingiuntivo, numerosi provvedimenti altrettanto schiettamente decisori diversi dalla "sentenza" dell'art.131 c.p.c., ma indubbiamente interpretabili come "sentenze in senso sostanziale". Solo che de iure condito è emerso che i decreti, le ordinanze, le stesse sentenze consecutive a giudizi non ordinari, sono sentenze in senso sostanziale di natura propriamente decisoria quando e solo perché o conseguono alla cognizione piena ed esauriente effettivamente espletatasi (anche se in ipotesi non ordinaria), o attengono a procedimenti idonei a dar luogo alla cognizione non sommaria ed al consecutivo controllo ordinario in Cassazione. Questo significa che l'interpretabilità "sostanzialista" dei provvedimenti non consecutivi alla cognizione piena ed esauriente coesiste con il fondamentale principio, di diritto innanzitutto ordinario, della correlazione necessaria tra decisorietà e cognizione non sommaria; principio de iure condito sostanzialmente non derogato e sostanzialmente non derogabile. Si può, in altri termini, ripetere che "alla luce dei principi processuali comuni, si richiede che nessun tipo di procedimento, proposto in forma sommaria, possa esaurirsi in sé, inaudita altera parte, senza accordare al resistente la facoltà di difendersi in una fase ulteriore di giudizio, ove la domanda iniziale è sottoposta alla piena cognizione del giudice e l'esecuzione provvisoria del provvedimento emesso è suscettibile di sospensione o di revoca".Ma se questo è vero, si comprende come la garanzia costituzionale fissata dall'art. 111 Cost. non è e non può essere la garanzia, in materia decisoria, del solo ricorso in Cassazione. Se si parte dal presupposto che le "sentenze" ivi previste riguardano anche la giurisdizione civile e non soltanto la "libertà personale", sembra insomma più corretta una interpretazione che muova dalla realtà normativa del sistema ordinario sopraindicata, vale a dire dalla realtà del rapporto indispensabile tra giudicato e cognizione non sommaria. Se si muove da questa realtà, non tanto l'interpretazione sostanzialista del termine "sentenze" dell'art.111/2 Cost., quanto la stessa garanzia costituzionale del solo controllo in Cassazione, risulta ingiusta, in profonda disarmonia con tutto il sistema ordinario. Alla stregua di quanto si è detto anche nel corso della presente indagine, l'interpretazione più accettabile appare invece quella che individua nell'articolo in questione la garanzia, non solo del controllo in Cassazione, ma anche ed in I luogo -in materia di giurisdizione decisoria- per l'appunto della cognizione di merito non sommaria, fisiologicamente conclusa da "sentenze" o da provvedimenti diversi, peraltro consecutivi alla cognizione non sommaria o comunque trasformabili in "sentenze". Certamente non l’interpretazione che ritiene costituzionalmente appagante ad es. una vicenda decisoria controllabile in cassazione dopo un’unica fase camerale del tutto deformalizzata e sommaria.De iure condito rimane in sostanza il rapporto tra art. 111 Cost. ed art. 339 c.p.c., assai dubbia apparendo la natura decisoria delle sentenze ex art. 618 c.p.c..De iure condendo , l'interpretazione preferibile dell'art. 111 Cost. può rilevare sia in presenza di altre ipotesi di cognizioni ordinarie o comunque non sommarie escluse dal legislatore ordinario dal controllo in Cassazione, sia ed a fortiori in presenza dell'eventuale emersione legislativa di provvedimenti indiscutibilmente decisori per inequivocabile attribuzione legislativa dell'efficacia di giudicato formale e sostanziale sui

diritti o status, ma altrettanto indiscutibilmente sottratti anche o solo ad almeno un grado di cognizione di merito non sommaria. Questo, se si esclude la garanzia costituzionale del doppio grado, dovendosi cambiare quel che si deve cambiare nel caso contrario. Questa interpretazione dell'art. 111/2 Cost. si armonizza così compiutamente con i fondamentali artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., nonchè con la stessa interpretazione sostanzialista del termine "sentenza" contenuto in queste norme. E consente d'intendere appieno il significato più profondo della "risoluzione del giudizio nell'istruzione ordinaria" e -più in generale- nella pienezza del contraddittorio fra le parti e della cognizione del giudice, ogni qual volta l'actus trium personarum è finalizzato all' "accertamento" dei diritti che "fa stato ad ogni effetto".

La centralità della cognizione decisoria non sommaria in materia di tutela contenziosa dei diritti, l'anticipazione del giudicato nella cognizione decisoria sommaria in funzione dell'economia dei giudizi, la differenza con l'anticipazione cautelare dell'esecuzione in funzione dell'effettività della tutela giurisdizionale

Se, sulla base dei risultati ottenuti, si considera il ruolo svolto nel nostro ordinamento dalla tutela decisoria sommaria, emerge la perdurante tenuta della centralità del giudicato e del processo a cognizione completa in materia di tutela contenziosa dei diritti e degli status, -la confermante correlazione necessaria sempre sussistente tra entrambi e la tutela decisoria sommaria, -la moltiplicazione, progressivamente accentuatasi soprattutto negli ultimi anni, delle ipotesi di tutela decisoria sommaria così strutturate. Questa realtà di diritto processuale appare in armonia con la sottostante realtà di diritto sostanziale e con il suo divenire, dove le tradizionali o nuove situazioni giuridiche protette rimangono ancora complessivamente espresse dai diritti soggettivi individuali, ma dove sempre più impellente, anche in virtù dei nuovi interessi protetti, appare soprattutto il bisogno di una tutela giurisdizionale, non solo più tempestiva e più effettiva, ma anche più economa. Lo sviluppo della tutela decisoria sommaria non va considerato come una opinabile scorciatoia per ovviare alle patologiche disfunzioni della giustizia civile. Tale sviluppo deve essere anche apprezzato nella sua realtà di fondo: che è quella di una giusta tensione verso la pienezza della tutela giurisdizionale tout court, ottenuta anche attraverso una opportuna, inevitabile semplificazione ed economizzazione della stessa giurisdizione propriamente decisoria. Pienezza, semplificazione, economia perseguibili non solo con l'indispensabile riforma dei riti ordinari o non sommari, ma anche per l'appunto con l'arricchimento e l'unificazione delle ipotesi di decisorie cognizioni sommarie trasformabili in non sommarie.

Difetti della vigente tutela decisoria sommaria e prospettive de iure condendo

Il vero problema posto de iure condito e soprattutto de iure condendo da questa sempre più diffusa anticipabilità del giudicato è quello della razionalità e dell'equità della sua delimitazione a determinate categorie di diritti lesi ed a determinate situazioni legittimanti.La tutela decisoria sommaria ha una funzione diversa da quella espressa dalla tutela cautelare diretta ad eliminare o ad attenuare i danni che possono derivare all'attore che

ha ragione dalla durata anche fisiologica del processo a cognizione ordinaria o comunque non sommaria. L'anticipazione del giudicato garantisce invece essenzialmente l'economia dei giudizi (indipendentemente dal contenuto dei diritti e dalla natura dei bisogni da questi tutelati). Se questo è indiscutibile ad esempio per l'ingiunzione o la convalida di sfratto, non è men vero per quelle ipotesi in cui la tutela decisoria sommaria serve anche ad ovviare ai danni derivanti dalla durata del processo non sommario, come ad esempio avviene con la repressione della condotta antisindacale o della disparità di trattamento tra uomo e donna, giacché siffatta effettività della tutela giurisdizionale può esser egualmente garantita in via cautelare.D'altra parte, se i danni emergenti dall'impossibilità (in assenza di altri rimedi) di annullare il tempo intercorrente tra la lesione del diritto e l'attuazione della tutela giurisdizionale individuano la delimitabilità dell'anticipazione cautelare, ma non quelli della anticipazione decisoria, l'economia dei giudizi appare l'indubbio scopo di quest'ultima, ma meno agevolmente del pericolo da tardività o da infruttuosità è in grado di operare una scelta tra le varie fattispecie. A livello d'astratta razionalità e quantomeno in materia di diritti disponibili, la sola chiara alternativa sembra infatti quella tra la generalizzazione della tutela decisoria sommaria come obbligata via di partenza della tutela decisoria tout court (ad esempio con la forma del procedimento monitorio c.d. puro, ovvero attribuendo alla non contestazione della stessa domanda introduttiva della cognizione piena effetto identico a quello prodotto dalla non opposizione o dalla non contestazione nella tutela decisoria sommaria, come già avviene del resto con l'art. 423/1 c.p.c.), speculando sulla generica possibilità della non contestazione, -e la specificazione della medesima tutela, operata attraverso una delimitazione delle situazioni da essa tutelate sulla base di una egualitaria presunzione relativa di non contestazione, variamente fondata ed applicabile a tutti i diritti (ad esempio, con la forma del procedimento monitorio c.è nel d. documentale). Senonché, se la I radicale soluzione appare ancora estranea al divenire reale del nostro ordinamento, la II risulta finora non adeguatamente seguita dal nostro legislatore, non scelta in modo veramente coerente nei progetti di riforma in discussione.Tale ultima soluzione non appare peraltro neanche in astratto pienamente convincente, perché è l'idea stessa della presunzione relativa di mancanza di contestazione (e quindi di possibilità di economizzare i giudizi), su cui è basata, ad apparire alquanto opinabile. Si è verificata dal giudice al di fuori di ogni contradittorio, come avviene nel procedimento monitorio documentale, la presunzione de qua rimane affidata alla prova del fatto costitutivo, che nulla, in realtà, lascia veramente intendere circa la possibilità e le intenzioni difensive della controparte; e che finisce per diventare piuttosto un privilegio accordato al diritto sostanziale normalmente assistito dal tipo di prova in questione, ingiustamente contrapponibile ai molti diritti normalmente non assistiti da siffatta prova precostituita. Se è invece verificata in contraddittorio, l'inerzia del convenuto finisce per creare una situazione sostanzialmente analoga a quella prodotta dalla medesima inerzia in sede di cognizione ordinaria (non giustificando più a ben vedere l'istituzione stessa della tutela sommaria decisoria, almeno come procedimento autonomo), nel caso contrario della contestazione (e della conseguente trasformazione della tutela sommaria in non sommaria) confermandosi l'estrema fragilità dell'ipotesi alla base della tutela sommaria in questione. In sintesi, la tutela decisoria sommaria fondata sulla presunzione di non contestazione, quando non vi è contestazione, è o ingiusta (ad esempio, nell'ingiunzione) o inutile (ad esempio, nella convalida di sfratto); quando vi è contestazione, è sempre inutile e si risolve (alla luce del successivo doppio grado, ecc.) in una attività giudiziale addirittura più lunga e dispendiosa della stessa normale cognizione ordinaria.

De iure condendo, per una razionale ed equa impostazione del problema della tutela decisoria sommaria (del problema cioè di una rapida tutela anticipatoria del giudicato essenzialmente per ragioni di economia dei giudizi), senza confusioni con il distinto problema della tutela cautelare (il problema cioè di una rapida tutela anticipatorio-assicurativa degli effetti della sentenza in senso lato essenzialmente per ragioni di effettività), occorrerebbe pensare soprattutto alla generalizzazione di una tutela monitoria pura, in alternativa con la generalizzazione di una provocatio ad oppondendum in contraddittorio, costruita ad esempio sullo schema strutturale della convalida di sfratto. Siffatta generale forma di tutela decisoria sommaria potrebbe quindi essere armonizzata con un'altrettanto generale forma di tutela cautelare (da pericolo da ritardo o da infruttuosità pratica). Quest'ultima varrebbe anche ed innanzitutto per l'esigenza di tutela rapida ed effettiva dei diritti non o prevalentemente non patrimoniali, maggiormente esposti ai danni derivanti dalla durata del processo. Diritti questi ultimi che avrebbero sempre aperta anche la chance della tutela decisoria sommaria. Questa doppia tutela generale sommaria, decisoria e cautelare, affiancata da altri mezzi disincentivanti, conservativi, ecc. (titoli stragiudiziali, cauzioni, ecc.), andrebbe collegata ad un processo di cognizione piena ed esauriente, unificato, migliorato e sostitutivo della vigente trilogia composta dal rito ordinario comune, dal rito del lavoro, dai riti speciali non sommari.A parte la questione delle nuove situazioni giuridiche propriamente non riconducibili allo schema del diritto soggettivo esclusivamente o prevalentemente individuale (interessi collettivi o diffusi, ecc.) e del nuovo processo civile ad esse adeguato (decisorio non sommario e/o sommario, cautelare, ecc.), emergerebbero così i semplificati, unificati, generalizzati 3 tipi fondamentali della tutela decisoria piena, della tutela decisoria sommaria, della tutela cautelare. Tali tipi, unitamente ad un eventuale nuovo processo speciale strutturalmente e funzionalmente adeguato alle situazioni giuridiche sopraindividuali effettivamente emerse nell'esperienza concreta, -a modificazioni in materia di esecuzione forzata, -ad una complessiva rielaborazione di nuovo unificante e semplificante anche in materia di giurisdizione volontaria, -tali tipi e queste altre forme del "codice scritto" concreterebbero il punto di equilibrio normativo più avanzato oggi possibile in risposta alle esigenze di fondo poste dai reali processi di sviluppo in atto.Per quel che attiene alla materia propriamente oggetto della presente indagine, tra i vari dubbi che possono permanere de iure condendo, uno dei principali può essere quello sulla preferibilità della già accennata alternativa generalizzata del c.d. monitorio puro, quale mezzo comune di tutela decisoria sommaria più adeguatamente armonizzabile con l'evoluzione in atto delle altre 2 forme di tutela giurisdizionale appena richiamate. Ma è alternativa di fondo che non può essere imposta dal tavolino, dovendo essere, come tutte le riforme, effettiva espressione di una realtà in via di sviluppo e di un diffuso consenso. Quella realtà e quel consenso, che devono comunque ancora vincolare il legislatore al primato della legge e della funzione giurisdizionale dello Stato, nonché all'esclusione di qualsiasi tutela "differenziata" decisoria (o cautelare) a vantaggio di particolari categorie di situazioni giuridiche di tipo individuale: tutela "differenziata" giustificabile solo in riferimento a "diritti" effettivamente "nuovi" anche ed anzitutto per la loro struttura e funzione non individuale.

I procedimenti camerali decisori nelle procedure concorsuali e nel sistema della tutela giurisdizionale dei diritti

Parte I

Il diritto vivente

Introduzione. La Costituzione italiana ed il riconoscimento dei diritti soggettivi inviolabili

La nostra Costituzione garantisce l'attuazione dello Stato di diritto, concretizzata innanzitutto dalla più completa tutela possibile dei diritti soggettivi che lo compongono e che sono inviolabilmente riconosciuti.

Il sistema della tutela giurisdizionale dei diritti, la centrale correlazione necessaria nell'ordinamento tra giudicato sui diritti ed accertamento non sommario, la giustizia sostanziale di questa correlazione

Il sistema, l'ordinamento dei vecchi e nuovi diritti soggettivi, certamente in movimento verso le nuovissime situazioni collettive e diffuse, ma ancora protagonista pressoché assoluto della scena. Il sistema, l'ordinamento della tutela giurisdizionale adeguata a questi vecchi e nuovi diritti, pur esso certamente in espansione verso il diverso processo dovuto anche agli interessi collettivi e diffusi, ma ancora oggi protagonista pressoché esclusivo della scena. Il sistema, l'ordinamento della tutela giurisdizionale adeguata a questi vecchi e nuovi diritti, pur esso certamente in espansione verso il diverso processo dovuto anche agli interessi collettivi e diffusi, ma ancor oggi protagonista pressoché esclusivo della medesima scena costituzionale ed ordinaria. Molte funzioni compongono la galassia del sistema della tutela giurisdizionale. Talune non attengono alla tutela dei diritti soggettivi (la giurisdizione c.d. oggettiva), altre attengono ai diritti, ma non ad una loro tutela da violazione (la giurisdizione volontaria). Talune direttamente non attengono alla riattribuzione stabile (la giurisdizione cautelare o in senso lato anticipatoria), altre direttamente attengono non tanto all'an della retribuzione, quanto al quomodo (la giurisdizione esecutiva). Ma tutte queste altre funzioni, nessuna esclusa, direttamente (la giurisdizione contenziosa non decisoria) o indirettamente (la giurisdizione volontaria), gravitano attorno al sistema della giurisdizione finalizzata alla riattribuzione più certa e più stabile dei beni non ottenuti o non mantenuti in quiete. Sono insomma tutte in un rapporto di correlazione necessaria con il sistema della giurisdizione decisoria sui diritti o status, vale a dire con il sistema dell'accertamento produttivo del giudicato. In proposito, una recentissima, corretta definizione ad ampio respiro sistematico è quella della giurisdizione decisoria sui diritti quale giudizio di valore, stabilmente vincolante ed attributivo di forte certezza è rapporti giuridici, espresso dall'ordinamento che si realizza oggettivamente nella sua universalità. Proseguo osservando che si comprende conseguentemente perché la centralissima funzione decisoria debba essere strutturata, non solo attraverso la sua attribuzione a tutti

i cittadini ed a tutti i diritti, ma anche attraverso il massimo possibile di accertamento, di contraddittorio, di prova.

La Cassazione, l’interpretazione sostanzialista dell’ art. 111 Cost., la proliferazione di procedimenti decisori esclusivamente sommari ritenuti de iure condito esistenti e legittimi costituzionalmente

Vi è un orientamento favorevole all’esistenza ed alla plausibilità costituzionele di eccezioni alla correlazione necessaria tra giudicato sui diritti e accertamento ordinario o comunque non sommario. Iniziamo dalla giurisprudenza.Scelgo come momento d’avvio il revirement operato dalle celeberrime sezioni unite n.2593 del 1953 sugli artt. 28-30 della L. n. 794 del 1942, la soluzione di specie ivi offerta e soprattutto il “programma di lavoro” ivi fissato una volta per tutte, sulla base del seguente arcinoto quadruplice presupposto (a parer mio profondamente errato):

La dottrina. Gli orientamenti variamente favorevoli all'esistenza de iure condito di procedimenti decisori esclusivamente sommari e variamente contrari alla sopraindicata correlazione necessaria tra giudicato sui diritti ed accertamento non sommario

Colesanti porta a termine la teorizzazione della plausibilità anche costituzionale della scissione della decisorietà dalla pienezza preventiva o successiva della cognizione di merito, approfondendo l'idea della "contenuto minimo insopprimibile" del contraddittorio anche in relazione alla giurisdizione produttiva del giudicato sui diritti ed anche alla stregua della garanzia costituzionale dell'art. 24. L'esistenza de iure condito di talune eccezioni alla correlazione necessaria rimane comunque indiscussa nella dottrina e la stessa idea dell'anche costituzionalmente coonestante "contenuto minimo" passa e si consolida.Discorso nettamente diverso per Proto Pisani. L'accentuato favore per la massima proliferazione possibile della tutela sommaria conduce l'illustre autore ad una sorta di generale capovolgimento, dove il giudicato e la cognizione ordinaria divengono quasi, se non l'eccezione, una realtà comunque residuale ed obsoleta. In realtà nel complessivo dibattito che sto sinteticamente richiamando avviene la confluenza di 2 linee dottrinali diverse, anche se accomunate dalla convinzione dell'esistenza costituzionale ed ordinaria di giudizi decisori sommari. La linea apparentemente meno ideologizzata, arroccata finché possibile attorno al processo ordinario, prevalentemente espressiva della cultura del garantismo e delle libertà individuali. E l'altra, apparentemente più ideologizzata, prevalentemente espressiva dell'altrettanto pregevole cultura del riformismo e dei valori sociali, che batte ancora la breccia della giurisdizione differenziata in nome di un ulteriore riequilibrio e di una maggiore effettività per i più deboli. La dottrina dominante si assesta comunque ad un livello per così dire medio: contesta notevole parte dell'esasperata dilatazione della casistica dei decisori procedimenti esclusivamente sommari operata dalla Cassazione, ma ritiene indiscutibile ed in regola con la Costituzione una più ridotta serie di ipotesi.

segue. Gli orientamenti variamente contrari alla medesima esistenza e variamente favorevoli alla medesima correlazione

Il principio della correlazione necessaria tra tutela dei diritti-giudicato-accertamento non sommario-prova e contraddittorio pieni, viene ora finalmente affermato quale realtà de iure condito sostanzialmente priva di eccezioni a livello di sistema ordinario e sicuramente garantita a livello costituzionale. Per Montesano anche per i procedimenti decisori sommari sussiste "l'insuperabile vincolo di imporre o almeno consentire alle parti che al procedimento sommario segua sulla sua stessa materia il 'dovuto processo legale'. La forte critica ancor oggi ripetuta alla "sostanziale trasformazione della giustizia civile e amministrativa in giustizia sommaria sotto il pretesto dell'urgente e imprescindibile necessità di dare rimedi alla lunghezza dei processi" si esprime -in definitiva- come critica ad errate interpretazioni, non come critica ad ingiuste leggi.

La giurisprudenza costituzionale e la tendenziale esclusione di autentiche eccezioni alla regola della correlazione necessaria tra accertamento non sommario e giudicato sui diritti

Affermo contro l'opinione dominante che tutta la giurisprudenza costituzionale, in tutte le sue sentenze di accoglimento e di rigetto, recenti, meno recenti, risulta a ben vedere piuttosto contraria alla stessa individuabilità de iure condito di decisori procedimenti davvero solo sommari. Ricordo solo talune delle sentenze più di frequente richimate inesattamente a favore di un preteso pieno avallo dell’esclusiva cameralsommarizzazione del giudizio decisorio sui diritti da parte della Corte costituzionale.La sentenza 1 marzo 1973, n.22, integralmente confermata dalla senteza 6 dicembre 1976, n.238, sugli artt. 28-30 n.749 del 1942, ritenuti costituzionali peché in definitiva riservati alla mera applicazione delle tariffe e perché “le modalità del procedimento... (non)... importano sacrificio del principio del contraddittorio e tanto meno limitano la cognizione del giudice in ordine alla acquisizione delle prove e alla risoluzione della controversia“, giacché “nella effettiva sua applicazione, la normatva ha infatti assunto contenuto non divergente dalle linee fondamentali del processo civile, in aderenza allo spirito dell’art. 24 Cost.“ (e la Corte richiama lo stesso interrogatorio formale e la prova testimoniale).La sentenza 10 luglio 1975, n.202, sull’art. 9 L. n. 898 del 1970 sul divorzio, la quale -richiamato il principio della tutela decisoria speciale deve sempre assumere “la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti“- espunge ad abundantiam l’inciso ”assunte informazioni” e rinvia –si badi- al “normale esercizio di facoltà di prova“, ripetendo che la cameraralità decisoria non deve ”incidere di per sé... in modo determinante sulla garanzia del diritto di difesa“ (e finendo così per equiparare l’art. 9 all’art. 710 cpc).La sentenza 27 giugno 1968, n. 74, sull’art. 2 L. n.36 del 1904, dove il procedimento per il ricovero -ritenuto decisorio, camerale e reclamabile ex art. 739 cpc- è dichiarato illegittimo perché “non permette la difesa dell’infermo“ tout court.Queste e consimili sentenze non mi sembra invero che possano essere richiamate a prova inconfutabile del favore dello stesso giudice delle leggi per la tutela decisoria esclusivamente sommaria e della piena costituzionalità del relativo “minimo” di contraddittorio, ma semmai a prova del contrario. Vi sono numerose sentenze che riaffermano a chiare lettere la correlazione tra giudicato e cognizione piena, giacchè giustificano la preventiva sommarietà con la successiva trasformabilità nel processo ordinario (le molte sentenze sull’ingiunzione, sulla convalida, ecc.) e rendono così incongrua la medesima giustificazione nei casi di non analoga trasformabilità; o che -più specificamente- riaffermano il divieto di qualsiasi ”limitazione“ del diritto alla prova; o

che infine arricchiscono il contraddittorio integrando procedimenti camerali sommari con l’art. 737 ss. cpc, nonostante l’esplicita esclusione della natura decisoria.

Il sistema costituzionale

Gli artt. 24 e 111 Cost., il principio della massima tutela giurisdizionale possibile dei diritti, la garanzia costituzionale dell'accertamento non sommario produttivo del giudicato

Varie e contrapposte sono state le interpretazioni degli artt. 24 e 111 della Cost..Tutto e il contrario di tutto si è invero detto sull’art. 24, dall’ultra riduttiva interpretazione rinviante al mero principio di eguaglianza ed alla mera difesa tecnica, alla soluzione di Colesanti, il quale non solo esclude che il 2° comma garantisca propriamente la pienezza del contraddittorio “in ogni stato e grado“, ma perviene a ritenere costituzionalmente sufficiente un ”minimo“ di contraddittorio anche in un unico grado o “stato“ e ad affidare in ultima analisi l’individuazione di questo “minimo“ alla discrezionalità del giudice. Non diversamente per l’art. 111/2 Cost..Ad una I approssimazione esegetica, all'art. 24/1 di per sé, fissa solo un generico principio di eguaglianza e di azionabilità dei diritti. Non diversamente il più enfatico 2° comma. Almeno fino a prova contraria la tutela e la difesa giurisdizionale dei diritti, a tutti offerta innanzitutto dall'art. 24 ed evidentemente riferibile anche al diritto d'azione del convenuto, postula la garanzia costituzionale del massimo della tutela, della cognizione, del contraddittorio, della prova, ecc., non di un "minimo", o di un minimo per taluni diritti e di un massimo per altri, o di un minimo e di un massimo demandati alla discrezionalità del legislatore o -ancor peggio- del giudice. Dal combinato disposto dell'art. 24/1 e /2 con l'art. 111/2, emerge che questo massimo di tutela giurisdizionale, garantito dalla Costituzione in I luogo a tutti i titolari di qualsiasi diritto o status, è espresso essenzialmente da un processo concluso da sentenza ricorribile in cassazione. L'art. 24 rinvia in generale a tutte le forme di tutela giurisdizionale necessarie e sufficienti per dare tutto quello che è richiesto per l'effettiva protezione delle varie situazioni soggettive reali, obbligatorie, ecc.: rinvia cioè alle varie strutture e funzioni giurisdizionali individuate ed individuabili per siffatto bisogno di tutela giurisdizionale, nessuna esclusa. E di questo complesso menziona espressamente la tutela decisoria per l'appunto espressa dai processi conclusi da sentenze ricorribili in cassazione, attorno alla quale gravitano tutte le altre forme complementari, da quella cautelare in senso stretto e lato, a quella esecutiva, a quella stessa preventiva inter volentes.L'art. 24 impone, in altri termini, un'incessante ricerca del massimo di tutela-difesa possibile nel rispetto dei metodi e dei contenuti desumibili da tutta la Costituzione e, per il tramite della Corte costituzionale, valuta al contempo i risultati di questa ricerca, sancendone la costituzionalità o meno. L'art. 111 ancora questa ricerca incessante al "nucleo solido" del processo sui diritti a cognizione piena, già implicitamente richiamata dallo stesso art. 24. Si può insomma dire che il nucleo solido dei valori espressi dalle norme costituzionali in questione è per l'appunto quello del massimo possibile di tutela giurisdizionale dei diritti, tendenzialmente espresso dal prototipo di questo massimo, vale a dire l'accertamento pieno e il "contraddittorio nella sua versione forte", conclusi da sentenze controllabili in Cassazione.

Le norme esaminate costituzionalizzano tendenzialmente la migliore sostanza via via perfezionatasi nella nostra civiltà giuridica. La postulazione costituzionale di almeno un grado di completo accertamento di merito in funzione decisoria, oltre al controllo di legittimità, è il "nucleo solido" non suscettibile di eccezioni, imposto dallo stesso sistema ordinario vigente e per l'appunto costituzionalizzato.

La giustizia sostanziale di questa garanzia costituzionale e l'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti

È giusto che ancora oggi il primato spetti alla correlazione senza eccezioni tra giudicato e congnizione non sommaria. Sul piano prevalentemente "tecnico", né l'esigenza di effettività della tutela giurisdizionale in genere, né in particolare quella della tutela di diritti di speciale natura, possono in alcun modo revocare in dubbio la bontà di questo primato.

L'ordinamento positivo

Il problema, in particolare, posto dalla più recente legislazione favorevole quoad intentionem ad una diffusa cameralsommarizzazione del giudizio sui diritti produttivo del giudicato: esemplificazione e criteri interpretativi per la desommarizzazione

La recente legislazione sui processi civili speciali, se nelle intenzioni è sicuramente favorevole alla deprecabile cameralsommarizzazione dei giudizi decisori, nelle sue effettive risultanze normative consente ancora un'interpretazione viceversa nel senso della correlazione necessaria tra decisorietà e cognizione piena. Soprattutto una recente indagine di Augusto Cerino Canova su alcuni artt. dell'adozione speciale hanno chiarito quale sia il corretto antidoto per armonizzare anche questi procedimenti speciali apparentemente sommari con le insopprimibili esigenze decisorie dell'accertamento, del contraddittorio, della prova completi, non sommari. Occorre riempire la sostanziale "neutralità" della maggior parte delle formule adottate in riferimento alla "camera di consiglio" con il contraddittorio più ricco, l'istruzione probatoria più articolata, la cognizione più completa possibile. Alla stregua di questa complessiva opera ricostruttiva, la sommarietà sostanzialmente scompare.Un altro fondamentale aspetto della nostra problematica è la regola d'oro a suo tempo rammentato da Enrico Allorio, allorché osservava che -per configurarsi il giudicato al di fuori della "solennità, complessità, gradualità" del processo ordinario- occorreva quanto meno che la legge lo dicesse "in modo certo". Se non lo dice in modo certo, si impone la soluzione dell'inettitudine al giudicato, con la relativa salvaguardia dell'azione ordinaria autonoma. È la regola ripresa da Montesano, allorché conclude che de iure condito il processo cameralsommario sui diritti può dare "autonomo assetto più o meno stabile all'oggetto sostanziale del giudizio indipendentemente dal 'dovuto processo legale' sol

quando il soccombente non abbia esercitato o finché non eserciti il potere -che non può mai essergli negato- di promuovere il 'dovuto processo legale'" stesso, certamente non inteso dall'autore in questione come "minimo insopprimibile del contraddittorio" aut similia, ma come cognizione, se non ordinaria, almeno e comunque piena ed esauriente. La verità è che la modellabilità del processo civile in relazione alle diverse esigenze di tutela dei diritti può giustificare anticipazioni espresse anche da fasi decisorie sommarie, giammai processi decisori integralmente ed esclusivamente sommari.

Conclusione. Il diritto vivente, il bisogno de iure condito di un nuovo processo ordinario per la tutela dei diritti, i rischi della neoesegesi postsoggettiva e della "deriva corporativa"

Credo che la giurisdizione camerale e sommaria non sia affatto "evolutivamente da intendersi come parte integrante della giurisdizione generale". Il rischio che la giustizia processuale "si frantumi o si polverizzi in una miriade di procedure particolari secondo la logica delle corporazioni", sussiste e l'"errore" del legislatore è incombente. Mi sembra inutile ripetere che quel tanto che ancora manca, se manca, per l'equilibrio effettivo quoad iurisdictionem delle parti sociali, non lo si ottiene di certo con la proliferazione della tutela speciale a scapito del processo comune e dell'accertamento dello vero. In Italia c'è una devastante crisi della giustizia in massima parte dovuta al mancato passaggio attraverso intermedie tappe essenziali per ogni autentica maturazione democratica (educazione civica, senso dello Stato, buona amministrazione, equità fiscale, alternanza al potere, ecc.). Fondamentali tappe del vivere civile, che altrove sono state complessivamente attinte da tempo e che noi non possiamo disinvoltamente saltare, con pericolosissime "fughe in avanti".

Parte II

Alice nel paese della cameralizzazione straordinaria ovvero i nobili sognatori ed i pragmatici un po' rampanti

La degradazione dei diritti soggettivi è l'altra faccia della cameralizzazione del giudizio decisorio sui diritti. Anche nel corso di questo convegno è stato detto che nel processo ordinario a posteriori è in realtà una forma di denegata giustizia. Non lo credo, anche perché, rispetto al momento anticipatorio, la fase ordinaria eventuale è una garanzia, che svolge un importante ruolo deterrente in ogni caso. E comunque ben più denegata giustizia è quella che produce il giudicato formale e sostanziale sui diritti senza alcun momento cognitivo di merito pieno, necessario o almeno rimesso alla disponibilità dei controinteressati.E rimane altresì confermato che questa rivalutazione di fondo della decisoria cognizione piena ed esauriente sui diritti non contrasta in alcun modo la sacrosanta esigenza di un'effettività celere della tutela giurisdizionale. Alla celere effettività provvede infatti la giurisdizione esecutiva retta dai titoli stragiudiziali, la giurisdizione cautelare, la stessa

giurisdizione decisoria sommaria di I fase: tutte strettamente collegate alla e condizionate dalla parallela o successiva proponibilità dell'accertamento pieno.

La cameralizzazione del giudizio sui diritti

Il provvedimento del Presidente della Corte d'appello di Milano, 7 luglio 1988, in materia di copia e collazione di atti pubblici, la questione della correlazione necessaria tra giurisdizione decisoria e cognizione di merito piena ed esauriente, la più recente dottrina favorevole a questa correlazione

La decisione del Presidente della Corte d'appello di Milano, 7 luglio 1988 ed altri recenti provvedimenti giudiziali nella stessa materia del rilascio di copia o in materie diverse, ma sempre riguardanti la tutela giurisdizionale camerale e sommaria, mi convincono sempre di più nell'opinione che sulla questione della correlazione necessaria tra giudicato e cognizione ordinaria è preferibile non abbassare mai la guardia. Importante è l'attuale posizione del Montesano, il quale giunge ad affermare in via generale la più volte ormai richiamata correlazione necessaria tra tutela decisoria dei diritti e cognizione di merito piena ed esauriente, rintracciabile nel diritto vigente il così inteso "dovuto processo legale" sempre e senza alcuna eccezione. Questo, sulla base dell'inderogabile regola di diritto costituzionale, emergente innanzitutto dagli art. 3/1 e 24/1 e /2 Cost., che "impongono che i diritti soggettivi ricevano la loro tutela giurisdizionale 'normale'... all'interno di processi ordinari o almeno in via di reazione cognitiva ordinaria... nei confronti di ogni procedimento in cui i provvedimenti del giudice comunque incidano su diritti soggettivi; regola che de iure condito, per l'autore in questione, ora più esattamente si concretizza: a) innanzitutto, nella cognizione ordinaria disciplinata dagli artt. 163-408 del II libro del codice di rito; b) in II luogo in cognizioni "speciali" come il rito del lavoro, comunque non sommarie; c) in III e ultimo luogo, bensì anche in processi sommari privi delle sopraindicate garanzie del "dovuto processo legale", ma altresì nell' "insuperabile vincolo di imporre o almeno consentire alle parti che al procedimento sommario segua sulla sua stessa materia il 'dovuto processo legale' o a dare autonomo assetto più o meno stabile all'oggetto sostanziale del giudizio indipendentemente dal 'dovuto processo legale' sol quando il soccombente non abbia esercitato o finché non eserciti il potere -che non può mai essergli negato- di promuovere il 'dovuto processo legale'".

Il provvedimento in esame ed il problema della struttura, funzione e natura del procedimento dell'art.745 cpc

E passo senz'altro ad esaminare il provvedimento del Presidente della Corte d'appello di Milano: decisione che rinvia esplicitamente all’errato orientamento dominante in Cassazione. La decisione in esame è originata dal rifiuto nel rilascio ex art. 745 cpc di copia esecutiva di una sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva per risarcimento danni, rifiuto fondato sulla mancanza del previo pagamento dell'imposta proporzionale di registro, di cui all'art. 66, D.P.R. 26 aprile 1986; e si specifica nel provvedimento camerale emesso dall'alto magistrato milanese a seguito del riconoscimento dell'ulteriore reclamabilità del

decreto propriamente previsto dallo stesso art. 745/3 cpc a conclusione del ricorso di I istanza al Presidente del tribunale. In una fattispecie, in cui il rigore del sistema ordinario approda ad un risultato di grande iniquità(= i 17 milioni che una persona del tutto non abbient, distrutta da un incidente automobilistico, deve immediatamente versare pe ottenere un’esecuzione dalla quale presumibilmente otterrà poco o nulla!),, il Presidente della Corte d'appello di Milano prende posizioni sulla questione della natura del procedimento-provvedimento previsto dall'art. 745 cpc, e degli eventuali rimedi ulteriormente rintracciabili sul piano prevalentemente sistematico, giungendo a riconoscersi una competenza giurisdizionale ampiamente pervasa dall'esigenza di attenuare la straordinaria iniquità. Esigenza nella specie in qualche modo soddisfatta soprattutto fondando sulla competenza de qua la rimessione alla Corte costituzionale per sospetta illegittimità del rammentato art.66 ed unendo a siffatta rimessione un contestuale ordine di rilascio della copia, emanato a seguito di parallelo ricorso ex art. 700 cpc. Si tratta di vedere se la via percorsa per giungere al risultato di equità sopra accennato è teoricamente plausibile e se l'identico risultato pratico è altrimenti inattingibile, la risposta negativa che si deve dare ad entrambi i quesiti riportando per l'appunto il discorso al fondamentale e del tutto centrale problema generale della correlazione necessaria tra decisorietà e cognizione di merito piena ed esauriente.La rimessione alla Corte costituzionale del sospettato art. 66 viene infatti nel provvedimento in questione ritenuta “indubbiamente ammissibile“ in virtù di una “ribadita... natura giurisdizionale del procedimento“ previsto dall’art. 745 cpc, il quale, “esclusa ogni supposta natura amministrativa“: a) viene strutturalmente ricostruito come cognizione camerale e sommaria in duplice grado di merito, presumibilmente seguita dal ricorso straordinario dell’art.111 Cost.; b) viene funzionalmente qualificato come giurisdizione relativa ad una controversia su veri e propri diritti soggettivi. Per quanto nella più che succinta motivazione non si parla esplicitamente di natura decisoria e di attitudine al giudicato, entrambe appaiono implicitamente asserite in modo inCon il procedimento previsto dal titolo III del IV libro del codice di rito saremmo così in presenza di un’altra delle numerose vicende decisorie su diritti o status, che, secondo la Cassazione, compongono il firmamento della giurisdizione esclusivamente camerale e sommaria idonea al giudicato in senso proprio. Il procedimento previsto dall'art. 745 cpc non è un procedimento contenzioso decisorio su diritti idoneo a dar luogo al giudicato sostanziale, non è sindacabile in Cassazione in virtù dell'art. 111/2 Cost.; non è -in altri termini- uno dei tanti esempi della "prassi legislativa" favorevole alla cameralsommarizzazione del giudizio sui diritti.

Segue. La dottrina dominante contraria alla natura decisoria di questo procedimento e l'opposto orientamento delle Sezioni unite 20 marzo 1986, n. 1973

La dottrina dominante intervenuta sul tema dell'art. 745 cpc, ha sempre rigorosamente escluso sia la struttura, funzione, natura propriamente decisoria su diritti del procedimento de quo, sia la reclamabilità e/o la ricorribilità ex art. 111/2 Cost., del decreto ivi previsto.Ha cioè sempre escluso l'attitudine al giudicato del provvedimento in esame ed, escludendo sempre anche la reclamabilità e/o la ricorribilità ex art. 111/2 Cost., ha peraltro altresì ammesso l'autonoma e successiva esperibilità della actio nullitatis, intesa in senso ampio.

Si può osservare che l'unico sostegno di questo stesso provvedimento rimangono le recenti Sezioni unite n. 1973 del 1986 che -a seguito del rifiuto di rilascio di copie di domanda di concessione edilizia, modificando la precedente linea giurisprudenziale favorevole alla natura strettamente amministrativa- escludono bensì la reclamabilità al giudice superiore, ma propendono appunto per la soluzione decisoria e per l'immediata ricorribilità ex art. 111/2 Cost.Senonchè, nonostante l’autorità delle Sezioni unite, anche questo unico sostegno si rivela assai fragile, se non sul piano dell’effettività su quello della validità argomentativa e del valore equitativo. E questo non solo perché la qualiicazione decisoria in questione avviene in relazione ad un fattispecie relativa al preteso difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della P.A., più che in relazione ad una vera e propria controversia su diritti, -ma soprattutto perché rimane l’indiscutibile fatto che sia l’idoneità al giudicato, sia l’assoluta inimpugnabilità, inopponibilità, immodificabilià del provvedimento ex art. 745 cpc (a parte la ricorribilità ex art. 111/2 Cost.) vengono dalla Cassazione anche nella specie affermate ”apoditticamente“, “in modo acritico”, “senza sforzarsi di motivarle affatto“. Se si confronta queta indubbia “apoditticità“ con il sopra richiamato stato del tutto opposto della dottrina, con la stessa lettera dell’art. 745 cp, con la stessa estrema gravità quoad iustitiam di un giudicato sostanziale su diritti prodotto dalla sola cognizione monocratica ed ultrasommaria del medesimo art. 745/3 cpc, -appare pienamente giusficata l’affermazione che segue: e cioè che in realtà con la sentenza delle Sezioni unite n. 1973 del 1986, siamo ancora una volta di fronte ad un’inaccettabile moltiplicazione delle species di un genus (= la tutela decisoria esclusivamente sommaria) in realtà inesistente. In realtà, giova insistere sul punto che i procedimenti-provvedimenti che sembrano decisori ed esclusivamente camerali e sommari, a ben vedere o sono davvero decisori ed allora sono esclusivamente camerali e sommari o sono davvero esclusivamente camerali e sommari ed allora non sono decisori. Uno dei tanti es. dei I, è quello dei procedimenti-provvedimenti decisori del giudice delegato nel fallimento. Es. dei II è appunto la specie ora in esame, parzialmente disciplinata dall'art. 745 cpc e giustamente mantenuta nell'aria non decisoria dalla dottrina pressoché unanime e dalla giurisprudenza anteriore alle Sezioni unite n. 1973 del 1986.

Segue. La preferibile natura non decisoria del procedimento dell'art. 745 cpc, il diritto alla cognizione piena ed esauriente sul diritto alla copia ed alla collazione, l'illegittimità e l'ingiustizia dell'esclusiva sommarizzazione della giurisdizione decisoria in materia

Esclusa la natura strettamente amministrativa e non giurisdizionale, l'alternativa tra giurisdizione volontaria e giurisdizione contenziosa perde rilievo pratico non appena la II viene predicata in termini ordinatori e non decisori. Se è vero infatti che a livello teorico sembra difficile non ravvisare nel rifiuto illegittimo del rilascio una vera e propria violazione di un diritto soggettivo, sembra altrettanto vero che l'esclusione della natura propriamente decisoria ed il tendenziale inquadramento nella categoria dei "provvedimenti ordinatori definitivi", fanno emergere contemporaneamente l'inapplicabilità del principio dell'assorbimento delle nullità nei mezzi di gravame e l'esperibilità della actio nullitatis. Fermo restando che "il decreto previsto dall'art. 745/3 cpc, non è sottoposto a reclamo camerale e il privato che ha diritto alla copia e alla collazione potrà sempre agire in via ordinaria per l'accertamento di questo diritto e la sanzione dell'illegittima condotta o omissione del pubblico depositario del documento".

La medesima tutela dichiarativa contenziosa propriamente decisoria, cioè, sempre possibile anche in riferimento alla giurisdizione volontaria ed idonea a fornire quella cognizione piena spettante ineliminabilmente ad ogni diritto controverso. Il vero problema è quello dell'alternativa tra decisorietà e non decisorietà, fermo restando che la scelta per la non decisorietà reca con sé quello che conta, vale a dire l'autonoma azione ordinaria. Ora, si deve ammettere che la pur preferibile opzione per la natura contenziosa non decisoria (ed ovviamente non esecutiva o cautelare) difficilmente può rifiutarsi di approdare a "quell'allargamento" della rammentata categoria dei "provvedimenti ordinatori definitivi", che è stato valorizzato proprio per il caso di specie dal Micheli, ma che indubbiamente presenta qualche difficoltà. E si deve anche riconoscere che l'actio nullitatis, pur se la si intende in senso lato, garantisce qualcosa di meno del normale doppio grado di merito. Rimane comunque ferma la ben più grave erroneità teorica e l'ingiustizia sostanziale di attribuire senz'altro natura decisoria al decreto dell'art. 745 cpc. Se l'ingiustizia sostanziale di una tutela decisoria settorialmente lasciata in balia di una sommaria discrezionalità inquisitoria, deformalizzata, atipica è evidente anche dal rapporto all'art. 3/1 Cost..Il ricorso straordinario inesistente e il processo dovuto ai diritti

Delimitazione ed impostazione dell'indagine

Desidero ritornare sul tema della ragionevolezza teorica e dell'opportunità pratica, de jure condendo e condito, della correlazione necessaria tra diritti soggettivi, cognizione ordinaria o comunque non sommaria e giudicato sostanziale.

La centralità, nel sistema della tutela giurisdizionale dei diritti, della cognizione ordinaria idonea al giudicato sostanziale quale punto fermo sostanzialmente accolto da tutti e da cui muovere per orientare l’indagine

Rapporto tra regola ed eccezione è certamente ancora oggi tenuto fermo da coloro che, in dottrina e in giurisprudenza, ammettono, con varia intensità ed estensione, l’esistenza di una decisoria tutela giurisdizionale contenziosa dei dirtti esclusivamente sommaria e camerale. Anche chi ritiene ancora che “tutta la giurisdizione camerale è ormai evolutivamente da intendersi come parte integrante della giurisdizione generale“ non ha mai teorizzato questa convinzione nei termini sistematici di una trasformazione dell’eccezione in regola. Se dunque l’indiscutibile primato della correlazione normale tra diritti soggettivi, cognizione ordinaria, giudicato sostanziale può essere posto come indiscutie dato di partenza, il mio attuale assunto è che oggi la dottrina dominante sia approdata a quel lido della correlazione, non solo normale, ma necessaria tra i 3 enti sopra indicati, che chi scrive ha incominciato ad affermare più di 15 anni fa.

La correlazione necessaria tra cognizione ordinaria e giudicato sostanziale sui diritti è innanzi tutto confermata dai procedimenti decisori sommari sicuramente trasformabili nella cognizione ordinaria

Come nessuno ha mai dubitato che il pilastro fondamentale del nostro ordinamento processuale è rappresentato dalle sentenze di merito idonee al giudicato sostanziale menzionate dall'art. 279 cpc, nonché da almeno quel grado di giudizio pieno in fatto ed in diritto, che emerge dall’imperfetto sistema del doppio grado e che a sua volta è controllabile in cassazione, così, allo stesso modo, nessuno ha mai dubitato che siffatto pilastro sia composto anche dai procedimenti decisori sommari conclusi da sentenze, ordinanze e decreti potenzialmente definitivi, come le sentenze dell'art. 279 cpc, e sicuramente evitabili con contestazioni introduttive della cognizione ordinaria di I grado (ad es.: convalida di sfratto, divisione giudiziale) o sicuramente opponibili con rimedi parimenti introduttivi del medesimo tipo di cognizione piena (ad es.: ingiunzione, repressione della condotta antisindacale). Analoghe considerazioni per i recenti subprocedimenti-provvedimenti anticipatori degli artt. 186-bis e ter del novellato codice di rito. La ragionevole conclusione per la natura non decisoria delle ordinanze in questione, principalmente desumibile dal regime d'instabilità evocato dal rinvio agli artt. 177 e 178 cpc, non esclude, infatti, la pienezza della tutela comunque garantita ad entrambe le parti dalla revocabilità, dall'assorbimento nella sentenza conclusiva, dall'impugnabilità della sentenza stessa, dalle repetitiones spettanti alla parte vincitrice che ha subito l'esecuzione forzata.

La costituzionalità di questa correlazione necessaria è confermata dalla Corte costituzionale innanzitutto con la giurisprudenza riaffermante il valore della trasformabilità sopraindicata ed arricchente la pienezza del contraddittorio e della prova pur in presenza di siffatta sicura trasformabilità

Il "valore della cognizione piena" è dalla Corte costituzionale ripetuto in una miriade di sentenze, dove la costituzionalità dei procedimenti-provvedimenti decisori sommari in questione è affermata proprio in virtù della loro piena trasformablità, ad iniziativa degli interessati, nella cognizione completa anche nel merito.

Il mutamento di opinione intervenuto nella dottrina, presumibilmente ormai dominante, a favore della rintracciabilità, nel sistema ordinario e costituzionale, della correlazione necessaria e sopra indicata anche laddove la trasformabilità della decisoria cognizione sommaria in ordinaria o comunque non sommaria non è individuabile in modo inequivocabile a livello esegetico.

Le 3 scelte ricostruttive di questa dottrina per offrire de iure condito la dimostrazione in questione: a) ricostruzioni desommarizzanti e costituzionalizzanti di procedimenti decisori su diritti che sembrano esclusivamente sommari. È la consapevolezza ormai pienamente acquisita nella maggior parte dei procedimenti sommari presumibilmente decisori su diritti, ma non inequivocabilmente trasformabili nella cognizione piena per la via meramente esegetica,

risultano de jure condito comunque esserlo per la via esegetico-sistematica senza acrobazie particolari anche nei casi meno agevoli; b) costituzionalizzante declassazione al rango di tutela non decisoria su diritti di procedimenti esclusivamente sommari che sembrano decisori. Tale scelta ricostruttiva è il convincimento ormai parimenti raggiunto in modo pieno che sia l'imperatività normativa per lo stesso sistema ordinario della correlazione necessaria tra diritti e piena cognizione decisoria, sia il valore teorico ed equitativo di tale imperatività de jure condito e condendo, sono tali da autorizzare senza incertezza il declassamento ricostruttivo di procedimenti sommari, pur a prima vista presumibilmente decisori su diritti, a procedimenti sommari non decisori, ogni qual volta l'opposta ricostruzione esegetico-sistematica in termini di trasformabilità in cognizione piena in funzione decisoria appaia realmente impraticabile de iure condito o comunque eccessivamente acrobatica; oppure appaia in serio contrasto con le speciali finalità legislative di tutela rapida e semplificata, sacrificate senza rimedio dalla pur possibile ricostruzione in termini di cognizione piena ed inevitabilmente più lenta e complessa.

Esame delle affermazioni di principio sul sistema ordinario e costituzionale di questa dottrina ormai presumibilmente maggioritaria. Le più recenti posizioni di Fazzalari e di Tarzia

L'idea centrale rimane quella del primato del diritto soggettivo, risultante dalla sua attitudine a divenire oggetto di un giudicato sostanziale prodotto esclusivamente dalla struttura ordinaria del processo di accertamento. Viene affermata per la I volta con tutta la dovuta chiarezza e incisività la garanzia ordinaria e costituzionale, non solo del giudicato, ma dello stesso rapporto tra questo e la cognizione piena ed esauriente. Così oggi di nuovo e Fazzalari, allorché giustamente ripete che il diritto soggettivo, garantito dalla Costituzione, non è "una figura incerta e vaga, di difficile individuazione", ma continua a contrapporsi nettamente agli "interessi protetti per incidens o non protetti affatto"; -garantisce stabilmente un interesse che postula una "tutela giurisdizionale pregnante, in quanto costituisce la continuazione e realizzazione di quel vantaggio"; -implica non solo "la stabilità delle misure giurisdizionali", ma anche "un contraddittorio e una cognizione esaurienti"; -consente conseguentemente il procedimento camerale "soltanto previ adattamenti o adeguamenti che lo trasformino in un processo giurisdizionale vero e proprio, con tutte le garanzie e gli attributi inerenti". Siffatta forte riaffermazione della correlazione necessaria rintracciabile de iure condito anche nel sistema ordinario tra cognizione piena e giudicato sui diritti, si risolve -d'altra parte- in quella non meno vigorosa riproposizione del dualismo giurisdizione contenziosa e non contenziosa (volontaria, oggettiva, aut similia). Anche questo autore riafferma infatti -in I luogo- la netta distinzione tra giurisdizione camerale volontaria e giurisdizione ordinaria contenziosa; riallaccia -in II luogo- la cognizione contenziosa non camerale ed il suo rapporto con il giudicato sostanziale con la stessa garanzia costituzionale accordata attraverso gli artt. 24 e 111/2 Cost., rammenta infine l'inaccettabilità de iure condito della "proposta interpretativa di assumere il modello che qualcuno ha chiamato striminzito, degli artt. 737 ss. cpc e di arricchirlo col massimo del contraddittorio e della prova, per renderlo adeguato alla tutela dei diritti soggettivi".

segue: La più recente posizione di Proto Pisani, l’alternativa tra la desommarizzazione ed il declassameno sopraindicati, l’orientamento a favore

di talune ipotesi di declassamento, la residua incertezza sulla costituzionalizzazione del valore della cognizione non sommaria

[Declassamento: dei presunti procedimenti decisori sommari a procedimenti non decisori. Desommarizzazione: riguarda quei procedimenti decisori solo apparentemente sommari].Ho già rammentato altrove il profondo mutamento di impostazione sistematica in materia intervenuto in Proto Pisani in occasione del convegno di Palermo del 1989.Il pecedente favore dell’autore in questione per la ”tutela giurisdizionale differenziata“ si esprimeva come un’opzione in alternativa ed in polemica con il processo ordinario e con il (“mito del”) giudicato. Attualmente invece Proto Pisani mantiene bensì l’idea di processi anticipatori ”differenziati“, ma: a) non più come radicale e diffusa alternativa a scapito del processo ordinario, ma come mezzi di rapida tutela paralleli, che non toccano minimamene il primato della cognizione completa e del giudicato (entrambi sempre garantiti ai diritti) e che si distinguono dalla tutela decisoria sommaria (come subito vedremo, ormai anche per Proto Pisani sempre trasformabile in non sommaria) perchè non danno mai luogo al giudicato, nonché da quella cautelare; b) ed altresì come soluzione interpretativa idonea a tener ferma la regola senza eccezioni del dovuto processo ordinario per la tutela dei diritti ogni qualvolta ci si trovi di fronte a procedimenti camerali su diritti ritenuti non trasformabili in cognizione piena. Ho già ricordato come Proto Pisani possa essere contrapposto a chi scrive ed agli autori favorevoli al “principio generale“ (regola senza eccezioni della tutela giurisdizionale dei diritti), giacché nell’autore in questione residua ancora quella “incertezza in ordine al se tale principio generale sia stato costituzionalizzato o no“, che la restante dottrina ha ormai del tutto superato.

segue: La più recente posizione di Montesano, l’analoga alternativa tra desommarizzazione e declassamento, il prevalente orientamento a favore della desommarizzazione, la convinzione della costituzionalizzazione dello stesso valore della cognizione non sommaria

La garanzia costituzinale del giudicato, desumibile essenzialmente dall’art. 2909 cc, viene rintracciata dall’autore in questione nell’art. 111 Cost., più che negli artt. 24 e 3 Cost., in virtù di un’articolata argomentazione, secondo la quale art. 111: a) prevede, in particolare per l’espresso richiamo dei provvedimenti sulla libertà personale, “decisioni su diritti in funzione di loro garanzia“; b) prevede cioè che “chiunque contenda giudiziariamente su diritti non possa né evitare né vedersi inibito un giudizio che si concluda con un provvedimento atto al giudicato formale e sostanziale“, connotato da “sentenze“ formali e/o sostanziali: ba) che siano consecutive alla cognizione ordinaria del II libro cpc o sostituiscano la medesima cognizione ordinaria liberamente rinunciata; bb) che siano consecutive ad una cognizione comunque piena del tutto equiparabile a quella ordinaria o sostituiscano la medesima cognizione piena liberamente rinunciata. In sintesi, l’interpretazione dell’art. 111/2 Cost. offerta da Montesano è in piena linea con il principio della correlazione necessaria tra giudicato sui diritti e cognizione non sommaria. Le “sentenze”, anche se non formali, dell’art. 111 ricorribili in Cassazione sono quelle collegate alla cognizione non sommaria di merito, avvenuta o rinunciata. Tutto il resto, molto semplicemente, no (le sentenze “formali” non collegate, sono decreti od ordinanze “sostanziali“; i decreti e le ordinanze non collegate, non sono mai sentenze “sostanziali“).

Conferma della correlazione necessaria de iure condito sussistente senza eccezioni tra giudicato sostanziale e cognizione non sommaria ed inesistenza del c.d. ricorso "straordinario" in Cassazione ex art. 111/2 Cost.

L'art.111/2 Cost., unitamente agli artt. 3 e 24 Cost., garantisce la pienezza della tutela giurisdizionale dei diritti, garantendo in particolare il giudicato sostanziale, la sua correlazione necessaria con almeno un grado di cognizione completa anche in fatto, il successivo controllo ordinario di legittimità in Cassazione, in funzione di una nomofilachia "soggettiva", che "assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge" in occasione della tutela decisoria dei diritti. Questi precetti costituzionali sono stati e rimangono sostanzialmente rispettati dal sistema ordinario, con la conseguenza che, a ben vedere e nonostante talune incertezze della Corte costituzionale, né in passato, né oggi è emerso ed emerge vero spazio, non solo per la c.d. applicazione "diretta", ma neppure per l'unica corretta "applicazione" possibile dello stesso art. 111 Cost., che è quella della pura e semplice eventuale dichiarazione di incostituzionalità di una legge ordinaria non rispettate i precetti in questione. Circa la "applicazione" tout court, basta il rinvio alla presente indagine, che ha confermato l'insussistenza nel sistema ordinario di procedimenti decisori su diritti esclusivamente sommari e non ricorribili in via ordinaria in Cassazione e che ha messo di nuovo in evidenza come le "sentenze" dell'art. 111/2 Cost. siano bensì anche le ordinanze ed i decreti con sostanza di sentenza, ma quando non solo decidono su diritti, ma siano anche contemporaneamente consecutive alla cognizione non sommaria o siano opponibili con rimedi introduttivi della cognizione non sommaria (ad es.: il decreto dell'art. 28 Statuto dei lavoratori) o siano impedibili con contestazioni introduttive della condizione non sommaria (ad es.: l'ordinanza di convalida di sfratto).I decreti, le ordinanze, le stesse sentenze in senso formale, anche se apparentemente "decidono su diritti", non sono in realtà decisori su diritti e non hanno pertanto bisogno della cognizione piena e del ricorso ordinario in Cassazione ex art.360 cpc, garantito costituzionalmente ex art. 111/2 Cost.. In questi casi rimane assodato che non è in alcun modo configurabile un ricorso "straordinario" in Cassazione ex art. 111/2 Cost.. In altri termini, anche in questi casi o c'è il ricorso ordinario perchè la legge lo vuole anche fuori della decisorietà sui diritti sostanziali (come ad es. avviene con la sentenza idonea al giudicato solo formale dell'art. 730 cpc), o non c'è perché la legge non lo vuole, come nel caso dell'art. 618 cpc, e non vuole in armonia con l'art. 111/2 Cost., che garantisce (non in via di "applicazione diretta") il ricorso ordinario solo in funzione decisoria dei diritti sostanziali. Con la conclusione assai semplice che nel nostro sistema ordinario e costituzionale il ricorso "straordinario" in Cassazione non esiste o, se si preferisce, è il figlio illegittimo di una quarantennale "applicazione diretta" assai sconveniente.

Diritti soggettivi e garanzia della cognizione ordinaria e del giudicato

I diritti fondamentali e la loro non assoggettabilità alla revisione dell'art. 138 della Costituzione

In relazione alla problematica oggetto della mia relazione, possono ormai essere individuati diversi punti fermi.Primo punto: il primato, la centralità, nel nostro sistema ordinario e costituzionale, dei fondamentali diritti soggettivi. Credo di poter dire che questi diritti ci spettano con certezza per quel "patto giurato fra uomini liberi", di cui parla Calamandrei. Patto, che è la roccia su cui è fondata saldamente la nostra Costituzione e, in I luogo, la sua I parte, dedicata proprio a questi diritti non degradabili, non modificabili. Appunto: fondamentali e inviolabili. Sostanzialmente sottratti allo stesso procedimento di revisione dell'art. 138.

La giurisdizione contenziosa idonea al giudicato sostanziale sui diritti e status quale cardine centrale del nostro ordinamento

Il II punto fermo del coessenziale ed altrettanto inviolabile "principio della separazione-diffusione dei poteri", parimenti garantito dalla nostra Costituzione. Appunto: il primato della giurisdizione "in senso proprio", vale a dire il primato della giurisdizione contenziosa idonea al giudicato sostanziale, nel quadro della tripartizione dei poteri ed in relazione alla tutela dei diritti fondamentali non revisionabili. Intendo riaffermare nell'ambito della classica tripartizione dei poteri, il primato della giurisdizione fonte di giudicato come attività estranea alle funzioni dello Stato-apparato, come "giudizio di valore" espresso dal "puro concretarsi dell'ordinamento nella sua universalità".

La giurisdizione contenziosa idonea al giudicato, la sua correlazione necessaria con la cognizione ordinaria, la previsione di questa correlazione necessaria nel sistema ordinario vigente

L'accennato primato della giurisdizione decisoria si esprime, sia nel sistema ordinario, sia in quello costituzionale, nella regola della correlazione necessaria tra giudicato sostanziale su diritti o status e cognizione ordinaria e che questa regola è vigente nel diritto positivo perché valida, giusta e tutt'altro che priva di effettività. Affermo, in II luogo, che la stessa effettività della regola della correlazione necessaria appena enunciata è fondata anche e innanzitutto sulla giurisprudenza della Corte costituzionale. Su questa rintracciabilità, innanzitutto nel sistema ordinario, della regola, ricordo che è sintetizzata nelle norme basilari del giudicato formale e sostanziale (artt. 324 cpc e 2909 cc), dove la previsione del normale rapporto tra preesistito giudizio ordinario, sentenza, giudicato, è estensibile fino a ricomprendervi le ipotesi di cognizione decisoria cameralsommaria variamente suscettibili di trasformazione nel normale rito di cognizione piena a seguito di opposizione o di contestazione introduttiva del I grado ordinario concluso da sentenza appellabile (ingiunzione, convalida di sfratto, ecc.); che questa

regola non è smentita dalla rintracciabilità –come sostiene la Cassazione- di giudizi decisori su diritti cameralsommari e non trasformabili nel senso sopra indicato, perché questa pretesa decisorietà esclusivamente discrezionale, deformalizzata, inquisitoria non esiste e non ha bisogno di scomodare il ricorso "straordinario" dell'art. 111/2 Cost..Almeno dal 1989 in poi, data del XVII Convegno dei processualcivilisti italiani, la dottrina di gran lunga dominante è orientata in questo senso e ha già artcolatamente operato in via interpretativa sia la giusta declassazione dei procedimenti esclusivamente cameralsommari solo apparentemente decisori, sia la giusta “costituzionalizzazione“ dei procedimenti realmente decisori solo in apparenza esclusivamente cameralsommari.

La previsione di questa correlazione necessaria nel sistema costituzionale

Siffatto sistema ordinario è a sua volta pienamente armonico con quello costituzionale, posto che anche la nostra Costituzione, le sue norme, il suo sistema, nel fondamentale quadro della separazione-diffusione dei poteri, non solo postula la garanzia del giudicato, ma soprattutto per il combinato disposto degli artt. 3, 24 e 111 stabilisce inequivocabilmente la stessa garanzia della correlazione necessaria tra il giudicato medesimo e la cognizione piena ed esauriente. Rilevo così che innanzitutto la dottrina ormai dominante è giustamente favorevole a intendere la garanzia costituzionale dell'azione, della difesa, della motivazione, della sentenza ricorribile in cassazione, non come garanzia di un "minimo" di contraddittorio e di impugnabilità, ma come garanzia del "massimo" viceversa possibile in materia. Dal combinato disposto dell'art. 24/1 e /2, con l'art. 111/2 emerge che questo massimo di tutela giurisdizionale, è garantito dalla Costituzione in I luogo a tutti i titolari di qualsiasi diritto o status, è espresso essenzialmente da un processo concluso da sentenza ricorribile in Cassazione. Nella logica sopraccennata, l'art.24 rinvia alle varie strutture e funzioni giurisdizionali individuate e individuabili per siffatto bisogno di tutela giurisdizionale, nessuna esclusa, e per l'appunto sinteticamente indicate come "la" tutela giurisdizionale e come "il" diritto inviolabile alla difesa. Si può in definitiva sostenere ragionevolmente che la Costituzione postula una direttiva in questo senso al legislatore ordinario, al giudice, all'interprete; un rinvio ai livelli di maturazione e di consapevolezza in proposito rintracciabili nella società e nell'ordinamento "vivente". L'art. 24 impone, in altri termini, una incessante ricerca del massimo di tutela-difesa possibile nel rispetto dei metodi e dei contenuti desumibili da tutta la Costituzione e, per il tramite della Corte costituzionale valuta al contempo i risultati di questa ricerca, sancendone la costituzionalità o meno. L'art. 111 per conto suo àncora questa ricerca incessante al "nucleo solido" del processo sui diritti a cognizione piena. La postulazione costituzionale di almeno un grado di completo accertamento di merito in funzione decisoria, oltre al controllo di legittimità, è il "nucleo solido" non suscettibile di eccezioni, imposto dallo stesso sistema ordinario vigente e per l'appunto "costituzionalizzato".

Il riconoscimento di questa correlazione necessaria da parte della dottrina dominante e il disconoscimento da parte della Cassazione

Comoglio riafferma oggi il primato delle garanzie costituzionali nel loro significato "forte" di garanzie dinamiche di "effettività" del godimento dei diritti fondamentali, in grado di incidere concretamente nell'evoluzione delle istituzioni processuali, attraverso

l'individuazione di "concetti-base" dedotti autonomamente dal sistema costituzionale; chiarisce che, le dinamiche garanzie di tutela del singolo si armonizzano con quelle generali di struttura dell'ordinamento giudiziario postulando un "modello-base" di processo, che appare come modello di processo "equo", "corretto", "giusto", caratterizzato dalle essenziali strutture normative per l'appunto sintetizzabili anche nella formula della correlazione necessaria tra decisorietà e cognizione ordinaria; critica conseguentemente in modo severo la giurisprudenza consolidatosi in Cassazione a partire dalle Sezioni unite n. 2593 del 1953 sulla cameralsommarizzabilità del giudizio sui diritti a condizione che vi si applichi -in modo "diretto" e "sostanzialista"- l'art. 111/2. L'attuale dottrina dominante, ben rappresentata da Comoglio, non solo disapprova gli sconfinamenti addirittura paradossali operati dalla Cassazione in materia di ricorso "straordinario", ma giunge a ritenere che "in gran parte fondate" le critiche rivolte contro la stessa tradizionale applicazione del ricorso ai provvedimenti sommari ritenuti, insieme, decisori e non trasformabili in almeno un grado di giudizio di merito ordinario.

Il riconoscimento della medesima correlazione necessaria da parte della Corte costituzionale

Il punto fermo centrale delle presenti considerazioni è la rintracciabilità nella giurisprudenza costituzionale di un sicuro orientamento a favore della correlazione necessaria più volte richiamata.Non possso che procedere per rapidi cenni, richiamando i 2 filoni principali rintracciabili in seno alla giurisprudenza della Corte, che ha preso in esame la congruità soprattuto in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. dei procedimenti-provvedimenti civili decisori rintracciabili nel sistema ordinario e variamente caratterizzati da strutture cameralsommarie.

La giurisprudenza della Corte costituzionale relativa ai procedimenti sommari decisori inequivocabilmente trasformabili in cognizione ordinaria. La I casistica riguarda strutture procedimentali tipo in giunzione, convalida di sfratto, opposizioni-impugnazioni dello stato passivo fallimentare, aut similia. Qui la correlazione necessaria è fuori discussione, è essenziale osservare che la Corte ha ha sempre fondato la costituzionalità dei limiti del contraddittorio e della prova variamente caratterizzanti la I fase necessaria cameralsommaria proprio sulla "trasformabilità" di questa I fase in giudizio ordinario a libera iniziativa del contro interessato, avendo cura di migliorare in guisa sempre più che garantista l'effettività di questa trasformabilità stessa (conoscenza effettiva del dies a quo, congruità effettiva dei termini perentori, ecc.); ed avendo altresì cura di migliorare la difesa nelle stesse fasi cameralsommarie (es. obbligo dell'audizione dell'imprenditore prima della dichiarazione di fallimento).La recente sentenza n.160 del 1995 sulla costituzionalità della struttura sommaria della I fase del procedimento di adozione sintetizza assai bene quanto ho finora detto in questa I casistica, perchè, per un verso, rammenta che gli artt. da 1 a 16 della L. n. 184 del 1983 prevedono un giudizio bensì camerale, ma pur sempre caratterizzato dal contraddittorio con i genitori e dalla possibilità della difesa tecnica, per altro verso, rammenta che le defaillances di difesa delle prime 2 sottofasi non ordinarie, dovute alle esigenze d’urgenza, sono comunque compensate dalla pienezza della cognizione provocabile con l’opposizione dell’art. 17, introduttiva del normale iter ordinario.

La giurisprudenza della Corte costituzionale relativa ai procedimenti sommari decisori non inequivocabilmente trasformabili in cognizione ordinaria. La garanzia del "massimo"

di difesa in relazione al giudicato sono, d'altra parte, pienamente confermati dall'esame della giurisprudenza costituzionale relativa al II filone precedentemente richiamato, riguardante le sentenze che sembrano aver operato sulla base della garanzia "minima", ma che si limitano a dichiarare che la pretesa esclusiva struttura cameralsommaria dei procedimenti de quibus è solo apparente. La dottrina dominante ha già da tempo dimostrato che i procedimenti realmente decisori non sono mai esclusivamente sommari perché i testi legislativi si esprimono sempre con parole o silenzi che non impediscono mai l'individuazione di normative salvaguardanti la cognizione piena e riservanti la cameralsommarietà a momenti procedimentali non preclude enti siffatta cognizione approfondita.È veramente favorevole la Corte alla garanzia “minima“ del processo decisorio civile, riducibile, al limite, a una sola fase di merito cameralsommario più il ricorso straordinario dell’art. 111? Il sia pur rapido richiamo delle più significative decisioni in materia smentisce siffatto orientamento.La sentenza n. 22 del 1973 sugli artt. 28-30 L. n. 79 del 1942, sulle ingiunzioni a favore degli avvocati, giudizio apparentemente solo sommario e non “trasformabile“ in cognizione ordinaria, respinge il sospetto di incostituzionalità osservando che siffatta trasformabilità vicevera sussiste, posto che ”nell’effettiva sua applicazione, attraverso una provvida elaborazione giurisprudenziale, la normativa ha infatti assunto contenuto non divergente dalle linee fondamentali del processo civile in aderenza allo spirito dell’art. 24“. Per la Corte costituzionale, lo “spirito dell’art. 24“ evoca le “linee fondamentali” della cognizione ordinaria e che questa rintracciata anche all’interno del procedimento disciplinato dalla L. n. 749 del 1942.La sentenza n. 202 del 1975 sull’originario art. 9 della legge sul divorzio e sulla revisione dei contributi, espungendo l’incisione “assunte informazioni“, ha espunto la parte del testo che ”non consentiva il normale esercizio della facoltà di prova”. Tale sentenza, lungi dall’avallare la teoria del ”minimo” di garanzia di difesa, è fortemente protesa verso il “massimo”, vale a dire verso la correlazione necessaria. Non diversamente per le 2 recenti e fondamentali sentenze n. 543 e n. 573 del 1989 sull’appello nel divorzio, tacitamente ”deciso in Camera di consiglio“ a norma dell’art. 4/12, L. n.74 del 1987. Qui molto semplicemente, la Corte respinge il sospetto “riempiendo” la laconica formula appena richiamata con “l’applicabilità di quelle norme che disciplinano l‘appello nel processo ordinario, come per es. quella sull’appello incidentale e sulla specificità dei motivi d’appello“, quella sulla pienezza del contraddittorio e della prova.Se si vuole un'ultima prova di tutto ciò, basti considerare che la stessa Corte costituzionale non ha esitato ad optare per la qualificazione non decisoria del procedimento sommario realmente non trasformabile in cognizione ordinaria, anche allorché questa attribuzione di natura volontaria o comunque non contenziosa è contrastata dalla Cassazione.

Il profondo valore della correlazione necessaria tra giudicato e cognizione ordinaria e le incertezze della Corte costituzionale nel settore delle procedure concorsuali

Che tutto ciò poi risponda a una profonda esigenza di civiltà, è ovvio, sol che si pensi a che cosa accadrebbe dei diritti se fossero dati in preda a una giustizia davvero solo sommaria, camerale, a "forma libera".

Ascarelli ha splendidamente ricordato che il processo è democrazia perché nel processo di formulazione della norma particolare (la sentenza) si riflette e si risolve la tripartizione dei poteri e il processo di formazione della norma generale (la legge). E il processo democratico di formazione della norma particolare-sentenza, vale a dire della cosa giudicata, è solo e soltanto il processo di cognizione ordinario.

Immodificabilità della garanzia costituzionale della cognizione ordinara idonea al giudicato e prospettive di riforma

L’inaccettabile cameralizzazione del processo civile operata dalla Corte di Cassazione a partire dal 1953 e l’attuale approdo dellle sezioni unite al giudizio in camera di consiglio come “contenitore neutro“

Qualsiasi cameralizzazione, collegata al giudicato ed inidonea a “trasformarsi“ prima o poi nella cognizione ordinaria, viola irrimediabilmnte la garanzia costituzionale della separazione dei poteri, rendendo priva di senso sia la stessa pur declamata inviolabilità dei diritti fondamentali, sia la stessa non meno declamata autonomia ed indipendenza della magistratura e della giurisdizione dal potere esecutivo.Una delle più sgradevoli manifestazioni della multiforme inattuazione della nostra Carta costituzionale è quella inaugurata nell’ormai lontano 1953 dalla suprema Corte di Cassazione, con la sentenza delle sezioni unite n. 2593 sugli artt. 28 e 30 della L. n. 794 del 1942 sugli onorari degli avvocati e dei procurator, approdata attualmente -sempre in insanabile contrasto con il combinato disposto degli artt. 24 e 101/2 e con gli stessi principi fondamentali del sistema ordinario, emergenti in I luogo dagli artt. 2907 cc e 324 cpc- nella sentenza n. 7170 del 1996 delle sezioni unite sul giudizio cameralsommario come contenitore neutro bon à tout faire.