82
LA STORIA DELL’ARTE NEL NUOVO ESAME DI STATO TESTI DI TIPOLOGIA B DI AMBITO ARTISTICO PROPOSTE OPERATIVE

La storia dell'arte nel nuovo Esame di Stato

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

la storia dell’arte nel nuovo esame di stato

TesTi di Tipologia B di amBiTo arTisTico

proposTe operaTive

33587LA stORIA DELL’ARtE nEL nuOVO EsAmE DI stAtO

QuEstO VOLumE, sPROVVIstO DI tALLOnCInO A FROntE (O OPPORtunAtAmEntE PunZOnAtO O ALtRImEntI COntRAssEGnAtO), È DA COnsIDERARsI COPIA DI sAGGIO - CAmPIOnE GRAtuItO, FuORI COmmERCIO (VEnDItA E ALtRI AttI DI DIsPOsIZIOnE VIEtAtI: ARt. 17, L.D.A.). EsCLusO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, n.633, ARt. 2, 3° COmmA, LEtt. D.). EsEntE DA DOCumEntO DI tRAsPORtO.

33587_PH

1

LA stORIA DELL’ARtE nuOVO EsAmE

33587

la storia dell’arte nel nuovo esame di statoA partire dall’anno scolastico 2018-2019 per la prima prova scritta dell’Esame di Stato gli studenti potranno scegliere tra le seguenti tipologie: analisi e interpretazione di un testo letterario italiano (tipologia A); analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B); riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità (tipologia C). Questo volume offre proposte di esercitazione per la tipologia B afferenti all’ambito artistico, conformi agli esempi divulgati dal MIUR il 14 dicembre 2018.

il volume carTa + digiTale digiTale

LA stORIA DELL’ARtE nEL nuOVO EsAmE DI stAtO 9788858335871 9788857728537

Configurazione di vendita

33587_PH1_NES_arte.indd 1-2 13/02/19 14:32

IL LIBRO IN DIGITALEIn versione scaricabile (con primo accesso online) e fruibile offline.

vai su imparosulWeB.eu e registrati

se non sei ancora registrato, devi creare un profilo su www.imparosulweb.eu. Registrati inserendo le informazioni necessarie e completa l’attivazione del profilo confermando l’email che riceverai all’indirizzo di posta elettronica che hai indicato.

sblocca l’espansione online del volume

Inserisci nell’apposita maschera il codice di sblocco che trovi stampato sulla copia cartacea del libro e segui la procedura guidata.troverai tutti i materiali integrativi del volume: il collegamento al libro in digitale, tutor e palestre, video, audio e numerose altre risorse!

scarica mylim

Clicca sul pulsante libro digitale e verrai indirizzato all’area web da cui scaricare l’applicazione. Installa il programma e fai login con le stesse credenziali di Imparosulweb: il libro in digitale è ora a tua disposizione, aggiornabile in tempo reale ogni volta che ti connetti a Internet.

usa il libro in digitale

In ogni pagina i pulsanti ti guideranno alla scoperta dell’interattività: esercizi, audio e video. All’interno di myLIm potrai accedere direttamente alle risorse integrative di Imparosulweb. Con la barra degli strumenti potrai integrare il tuo libro con risorse personali e sincronizzarle su più dispositivi.

33587_PH1_NES_arte.indd 3-4 13/02/19 14:32

LA STORIA DELL’ARTENELL’ESAME DI STATO

33587_EsamediStato_bz3.indd 1 05/02/19 10:26

I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da:

CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano

e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori dal proprio catalogo editoriale. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, non essendo concorrenziale all’opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche.

Nel contratto di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all’art. 71 - ter legge diritto d’autore.

Maggiori informazioni sul nostro sito: http://www.loescher.it

Ristampe

6 5 4 3 2 1 N

2024 2023 2022 2021 2020 2019

ISBN 9788858335871

Nonostante la passione e la competenza delle persone coinvolte nella realizzazione di quest’opera, è possibile che in essa siano riscontrabili errori o imprecisioni. Ce ne scusiamo fin d’ora con i lettori e ringraziamo coloro che, contribuendo al miglioramento dell’opera stessa, vorranno segnalarceli al seguente indirizzo:

Loescher Editore Sede operativaVia Vittorio Amedeo II, 18 10121 Torino Fax 011 5654200 [email protected]

Loescher Editore Divisione di Zanichelli Editore S.p.A. opera con sistema qualitàcertificato secondo la norma UNI EN ISO 9001.Per i riferimenti consultare www.loescher.it

ContributiLa selezione dei testi e la stesura degli apparati didattici sono a cura di Chiara Perin.

Coordinamento editoriale e redazione: Rebecca ImpellizzieriProgetto grafico e videoimpaginazione: Belle Arti srl - Quarto Inferiore (BO)Copertina: Emanuela Mazzucchetti, LeftLoft - Milano/New YorkStampa: Sograte Litografia srl - Zona Industriale Regnano - 06012 Città di Castello (PG)

© Loescher Editore - Torino 2019http://www.loescher.it

33587_EsamediStato_bz3.indd 2 05/02/19 10:26

Indice

Il nuovo Esame di Stato ................................................................................................................................................................................................................ p. 5

Achille Bonito Oliva, Se l’artista crea citando altri artisti .................................................................................................... p. 7

Alessandro Del Puppo, Tante belle opere non fanno una mostra e nemmeno una nazione .............................................................................................................................................................................................................................................................. p. 9

Antonio Natali, Che pena la storia dell’arte ..................................................................................................................................................... p. 12

Arnold Hauser, Arte popolare, di massa e delle classi colte ................................................................................................ p. 14

Boris Groys, Internet è una mina antimusei ..................................................................................................................................................... p. 17

Carla Lonzi, Premessa ................................................................................................................................................................................................................................ p. 20

Clement Greenberg, Avanguardia e Kitsch ...................................................................................................................................................... p. 23

Fabrizio Lemme, I musei che fanno i numeri sono fuorilegge ......................................................................................... p. 26

Germano Celant, Arte Povera .................................................................................................................................................................................................... p. 28

Giancarlo Marmori, Pop e happening ......................................................................................................................................................................... p. 31

Gillo Dorfles, Introduzione ................................................................................................................................................................................................................ p. 34

Giulio Carlo Argan, L’attentato alla Gioconda (1974) ..................................................................................................................... p. 37

Hans Belting, Arte e realtà .............................................................................................................................................................................................................. p. 39

Harold Rosenberg, Arte e parole ......................................................................................................................................................................................... p. 42

Manifesto pittura murale ........................................................................................................................................................................................................................ p. 45

Marco Senaldi, L’attesa ........................................................................................................................................................................................................................... p. 48

Mario Cucinella, Quest’Italia che non vuole più progettare ............................................................................................... p. 50

Paolo Gasparoli, Dalla crisi nascono grandi opportunità ......................................................................................................... p. 52

Piero Manzoni, Libera dimensione ...................................................................................................................................................................................... p. 55

33587_EsamediStato_bz3.indd 3 05/02/19 10:26

4 Indice

Renato Barilli, Signora pittura ................................................................................................................................................................................................... p. 57

Salvatore Settis, Perché ci piacciono sempre di più i musei ............................................................................................... p. 59

Salvatore Settis, Architettura e democrazia ................................................................................................................................................... p. 62

Serena Vicari, La città e il futuro: modelli da cambiare, sfide da vincere ................................................... p. 64

Stefano Monti, Hotel di lusso e riqualificazione culturale ...................................................................................................... p. 67

Susan Sontag, Nella grotta di Platone ....................................................................................................................................................................... p. 70

Tommaso Montanari, La ragazza con l’orecchino di perla: marketing o conoscenza? ..... p. 73

Umberto Eco, Il critichese è pieno di pretese ................................................................................................................................................. p. 76

33587_EsamediStato_bz3.indd 4 05/02/19 10:26

5

Il nuovo Esame di Stato Cambia la disciplina dell’Esame di Stato.

Le prove scritte si riducono a due, la prima delle quali volta ad accertare la padronanza della lingua italiana e le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche dei candidati.

Alle prove scritte seguirà un colloquio orale durante il quale la commissione potrà pro-porre al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti e problemi, al fine di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline e la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale.

La prima provaNell’ambito della prima prova sono previste tre diverse tipologie. Le tipologie A (Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano) e B (Analisi e produzione di un testo argomentativo) saranno di tipo strutturato, cioè si comporranno di una prima parte di analisi e comprensione del testo e una seconda parte di produzione libera (riflessio-ne e commento a partire dalle tematiche contenute nel testo proposto).

La tipologia C, invece, sarà più simile al tradizionale «tema»: non conterrà domande di comprensione, ma potrà essere accompagnata da un breve testo di “appoggio” che fornisca spunti di riflessione per la stesura.

I candidati potranno scegliere la traccia loro più congeniale fra un ampio ventaglio di argomenti. Infatti, oltre a 2 tracce di ambito letterario della tipologia A, le 3 tracce della tipologia B e le 2 della tipologia C saranno relative a molti altri ambiti disciplinari: arte, letteratura, storia, filosofia, scienze, tecnologia, economia, società.

Vediamo qui più da vicino le caratteristiche della tipologia B, che potrà contenere testi e argo-menti di ambito artistico.

Tipologia B – Analisi e produzione di un testo argomentativoIn questo tipo di prova viene valutata la capacità di riconoscere gli snodi argomentativi di un testo di tipo saggistico o giornalistico (brani di opere editoriali, articoli di fondo di intellettuali o esperti).

La traccia proporrà un brano cui seguiranno alcune domande di interpretazione e comprensione di singoli passaggi e/o dell’insieme (per esempio: “Quali sono le sequen-ze essenziali del discorso?”, “Qual è la tesi di fondo sostenuta dall’autore?”, “A quali risorse espressive ricorre l’autore per sostenere la sua opinione?”).

La prima parte sarà poi seguita dalla richiesta di produrre un commento, nel quale i candidati esporranno le proprie riflessioni – anche sulla base delle conoscenze acquisite nel proprio percorso di studi – intorno alle tesi di fondo contenute nel brano proposto.

Verranno date alcune indicazioni circa l’articolazione del commento, come per esem-pio di rispettare una certa struttura espositiva (la presentazione iniziale o finale della tesi, la posizione degli argomenti e dei controargomenti a sostegno o a confutazione delle tesi sostenute nel brano e così via).

33587_EsamediStato_bz3.indd 5 05/02/19 10:26

33587_EsamediStato_bz3.indd 6 05/02/19 10:26

7

Achille Bonito OlivaSe l’artista crea citando altri artistiin «Repubblica», 10 maggio 2002

[…] «Da quando i generali non muoiono più sui campi di battaglia i pittori non son più obbligati a morire al loro cavalletto» (M. Duchamp). Questa dichiarazione dell’artista francese mette immediatamente a nudo la trasformazione del processo creativo, avvenuto con l’avanguardia storica che ha privilegiato il momento di elaborazione concettuale dell’opera. L’artista non attende più dalla natura la mitica ispirazione, ma assume il linguaggio come unica realtà di partenza. Quando Duchamp mette i baffi alla Gioconda di Leonardo, egli opera su una realtà artistica preesistente alla sua creazione. D’altronde più che dissacrare il mito di un’opera d’arte così famosa, egli compie un’operazione critica, una lettura viva attraverso un gesto: dimostra la natura androgina, maschile e femminile, della Gioconda. L’attributo maschile dei baffi sul volto femminile di Monna Lisa denota la mentalità dell’arte che, per definizione, rifiuta definizioni schematiche a favore di una complessità in cui concorrono elementi fantastici e riprese linguistiche. L’arte degli anni ottanta è partita dalla lezione concettuale di Duchamp e da quella pittorica di Picasso. Per realizzare opere in cui concorrono riferimenti alla storia dell’arte e posizioni creative che elaborano l’elemento citato. In Italia un gruppo di artisti ha utilizzato per il proprio lavoro il principio della citazione. Esso consiste nel riferimento a opere d’arte o a miti del passato, presi come base di partenza per poi approdare ad un’opera autonoma e personale. La citazione comporta un’idea dell’arte in cui concorrono insieme arte e critica nel senso di una ripresa non feticistica della storia dell’arte, ma mediata da una coscienza che vuole rendere attuale un’immagine del passato o un mito. Evidentemente questo è possibile, in quanto l’arte, anche quella d’avanguardia, riconosce una linea di continuità storica con la grande arte del passato. Di questa non rifiuta la complessità culturale, ammette una serie di riferimenti alla cultura alchemica e esoterica, accetta di questa la possibilità di considerare la creazione artistica come un’attività del pensiero che lega al presente idee e atteggiamenti del passato. L’arte degli anni ottanta punta sulla capacità di ricucire gli strappi provocati da una mentalità di rottura che ha caratterizzato la produzione artistica degli anni cinquanta, sessanta e settanta. Al mito di una creazione pura, che mitizza la natura come modello di libertà espressiva, gli artisti italiani, operanti nell’ambito della citazione, contrappongono il mito della cultura della storia. L’arte non può prescindere dalla storia del proprio linguaggio, in quanto l’arte è linguaggio. Questa diventa la realtà dentro cui vive celato l’artista, dentro cui egli si trova a operare. L’arte è un lavoro di proiezione in avanti, ma può partire da ciò che ha alle sue spalle, la storia dell’arte. L’artista opera in piena libertà, permettendosi di voltarsi indietro per attingere ai linguaggi del passato. Citare dunque non significa dissacrare o mancare di rispetto bensì dare all’opera una sostanza storica e un retroterra che dà all’arte una

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 7 05/02/19 10:26

8 Achille Bonito Oliva – Se l’artista crea citando altri artisti

maggiore stratificazione. L’artista ha accettato il senso della frase di Duchamp quello di non contemplare la natura ma entrare in un rapporto dialettico con la storia dell’arte che lo ha prodotto. L’elemento mentale diventa deterrente del lavoro creativo. Partire dalla storia non significa rinunciare alla creazione ma aumentare il suo peso con la presenza di riferimenti culturali che danno all’opera uno spessore ed una articolazione complessa.

Domande guida per la comprensione1 Che valore assume la citazione di Duchamp ad apertura del testo? 2 Perché secondo l’autore Duchamp ha disegnato i baffi su una riproduzione della Gio-

conda leonardesca?3 In cosa consiste il “principio della citazione” tipico della Transavanguardia?4 In che senso l’artista che cita un’opera del passato svolge un atto critico? 5 Perché Bonito Oliva considera l’arte degli anni Ottanta in contrapposizione a quanto

avveniva nei decenni precedenti?6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo argomentativo in cui sostieni o confuti la tesi dell’autore. Motiva l’opinio-ne servendoti delle tue conoscenze sulla pittura degli anni Ottanta e Novanta.

Ipotesi b: produzione poco vincolataSu massimo tre colonne esponi quale valore assume a tuo avviso la citazione di opere d’arte del passato nei social media.

40

33587_EsamediStato_bz3.indd 8 05/02/19 10:26

9

Alessandro Del PuppoTante belle opere non fanno una mostra e nemmeno una nazionein «L’Indice dei libri del mese», n. 7-8, luglio-agosto 2018, p. 5

In questi mesi c’è stata la possibilità di visitare due importanti mostre dedicate all’arte italiana del Novecento. La prima, a Milano, vanta un titolo abbastanza ridicolo (Post

Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943) verosimilmente legato agli interessi globali del gruppo Prada, che dell’evento è promotore. La mostra, curata da Germano Celant, presenta seicento tra sculture, pitture, disegni, progetti architettonici ordinati secondo un allestimento che si vuole innovativo, cioè attraverso la successione cronologica dei ventisei anni in oggetto, a ciascuno dei quali, in rigoroso ordine, sono dedicate una o più sale. Mettere le cose in quest’ordine naturalmente non è una grossa novità: lo è invece la pretesa di favorire in tal modo un altro tipo d’interpretazione: più oggettivo e meglio collegato al “contesto spaziale, sociale e politico”. Ogni sala, cioè, ambisce a raccontare quello che sarebbe “davvero” successo ricostruendo un contesto, di volta in volta fatto da: opere realizzate quello stesso anno; opere esposte quell’anno in una mostra di rilievo; opere acquistate da un museo proprio quell’anno. […] Per chiarire meglio le cose, e non stancare troppo il visitatore, talora si apre un angolo che propone una “ricostruzione parziale” con quadri e sculture “nel loro spazio storico di comunicazione”. Come lo si è fatto? È semplice: si sono prese alcune fotografie di allestimenti storici; si sono ingrandite in scala 1:1; se ne è ricavata una specie di tappezzeria per le pareti. Sopra tale fotocopia parietale sono stati appesi gli originali dei quadri che si sono rintracciati e che si è riusciti a farsi prestare. […] L’intento dichiarato è quello di controbattere così “l’idealismo espositivo”: cioè, per dirla in parole più semplici, evitare di far vedere i quadri sulle pareti nude. Nel timore di replicare l’ideologia del white cube si ricade così in qualcosa che assomiglia in maniera preoccupante alle period rooms dei musei americani. […]

La seconda mostra, curata da Luca Massimo Barbero, si può vedere a Firenze e mutua da David Griffith l’ambizioso titolo di Nascita di una nazione. Sospeso all’ingresso del piano nobile di palazzo Strozzi c’è un grande dipinto di Renato Guttuso, La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio. Al suo fianco, quattro grandi schermi rilanciano immagini sbiadite di filmati d’epoca. […] L’idea non è malvagia: in fin dei conti il quadrone di Guttuso potrebbe anche passare per una specie di Cecil B. DeMille con meno grandangolo e più comunisti. E poi, Garibaldi non spaventa più nessuno: i tempi di ferro (come li definì Cardini, anni fa) più che descritti qui sono rimossi, o meglio annegati nella melassa di una retorica nazionalpopolare.

Segue un’impeccabile infilata di sale: ma il nesso con il racconto di apertura (e con la tesi della mostra) non c’è. Ci sono invece tante belle opere. Una grande sala, tutta dipinta in un nero opaco e assorbente, con magnifici quadri di Burri, un grande Vedova

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 9 05/02/19 10:26

10 Alessandro Del Puppo – Tante belle opere non fanno una mostra e nemmeno una nazione

sullo sfondo, una superficie di ottone brutalizzata da un Fontana in gran forma. Segue una grande sala tutta bianca, con un’incredibile luce lattiginosa che va benissimo per i selfies: e infatti è piena di turisti che sorridono a fianco di un gessone immacolato di Viani, o della palla di coniglio di Manzoni. E dopo ancora c’è la sala rossa, che santifica e al tempo stesso banalizza il Sessantotto con un tripudio di quadroni con: dollari amerikani, tante falci e martello, sagome di giovani in corteo, bandiere rosse. E poi un’altra sala tutta nera, con due Italie di Fabro – quelle appese in giù, come Mussolini a Piazzale Loreto – scenograficamente sospese a metri d’altezza in un cono di luce.

Qual è, esattamente, la nazione di cui queste opere documenterebbero la nascita? A Milano si confidava nell’oggettività del regesto; qui si punta tutto all’immediatezza dell’impatto visivo. Al punto tale che quei magnifici Burri, immersi nell’oscurità e illuminati a filo di cornice somigliano in realtà a fotocolor di Burri: anzi, direi, a dei lightbox. […] Prima che di documenti, la storia dell’arte è fatta di monumenti, che dovrebbero essere interrogati bene. Stabilire dei criteri, operare delle selezioni, spiegarne le ragioni e accettare su questo la disputa. Altrimenti la materia resta inerte, un po’ come la Margherita di fuoco di Kounellis senza il fuoco (ragioni di sicurezza, immagino) o la saracinesca dell’Attico presentata come un quadro (ragioni affettive, immagino).

Tra Milano e Firenze c’è una differenza di grado, non di sostanza. Nonostante gli sforzi (anzi, proprio in ragione di essi), l’opera resta o immersa nel tessuto indifferenziato degli eventi o isolata nel valore feticistico del “capolavoro” ammirabile. Credo vi sia, in tutto questo, la presunzione di autosufficienza di un’accumulazione orizzontale di dati o verticale di capolavori. Il problema è speculare: la pseudo oggettività del “contesto” o l’esclusività della magnificenza. Due errori non fanno una storia, né la raccontano. Cosa capiranno, m’interrogo aggirandomi per le informi e caotiche sale della fondazione milanese, tutti questi inamidati hipster che (mai avrei creduto potesse accadere, miracolo dei brand globali) fanno la fila per andare a vedere le pitture di Donghi, o di Prampolini? Ho provato a chiedere, qui e lì; cortesemente, mi hanno detto che in fin dei conti funziona “perché permette a ciascuno di crearsi un proprio percorso”. È una bella soluzione, che però crea un problema ancor più grande. Forse davvero la storia dell’arte, lo sappiamo da tempo, è finita, ma da che cosa è stata sostituita, precisamente? Esiste la possibilità di un racconto alternativo? È davvero la superpotenza di Prada o dei dream team curatoriali a doversene fare carico, responsabilità comprese? C’è dunque da chiedersi se un accumulo cronologico o una sequenza di sale impeccabilmente allestite basti, di per sé, a una narrazione efficace. Secondo me no. Certo, le opere sono numerose (a Milano) e sempre belle (a Firenze), ma non dovremmo per questo accontentarci. Quale nazione, esattamente, decidono di raccontare?

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 10 05/02/19 10:26

11Alessandro Del Puppo – Tante belle opere non fanno una mostra e nemmeno una nazione

Domande guida per la comprensione1 Individua i tre blocchi in cui è suddiviso il testo, ponendoli nell’ordine corretto:

• Allestimento di Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943 a Milano• Criticità delle mostre d’arte in rapporto al lavoro dello storico dell’arte• Allestimento di Nascita di una nazione a Firenze.

2 A che punto dell’articolo si trova la tesi dell’autore? Spiegala.3 In che senso le sale della Fondazione Prada si sono trasformate in period rooms? Espo-

ni la sentenza di Alessandro Del Puppo riferendoti a esempi concreti di quel genere allestitivo.

4 Quali sono le tre operazioni basilari che secondo l’autore permettono di confrontarsi seriamente con la storia dell’arte e allestire mostre adeguate?

5 Perché l’autore non appare convinto della efficacia di un “racconto alternativo”? 6 Riassumi il testo in 250 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataDalla descrizione offertane dall’autore quale delle due esposizioni ritieni migliore? Op-pure quale genere di allestimento privilegeresti? Argomenta la risposta in un testo di massimo tre colonne.

Ipotesi b: produzione poco vincolataEsprimi la tua opinione sulla presenza nelle mostre d’arte di apparati didattici o sceno-grafici multimediali e sulla loro effettiva utilità.

33587_EsamediStato_bz3.indd 11 05/02/19 10:26

12

Antonio NataliChe pena la storia dell’artein «Artribune», 5 gennaio 2019

Vengo da una terra – la Maremma livornese – dove le battute di spirito sono più sacre delle preghiere. Qualche volta m’è occorso di pentirmi d’essermi frenato e d’averne

soffocata una, per rispetto umano o per decenza. In cuor mio condivido – non poi tanto vergognandomene – l’idea di Quintiliano, per il quale è meglio perdere un amico che il tempo d’una battuta. E però non si potrà tacere che, per lo stesso Quintiliano, ci sono circostanze in cui l’intelligenza e il buon gusto esigono che si reprimano la voglia e il piacere di buttarla in coglionella con due o tre parole secche. Il riferimento è a una vicenda nota: al cospetto della richiesta d’un archeologo d’arginare il primato degli storici dell’arte alla guida dei musei statali e nelle Soprintendenze, il ministro dei beni culturali Bonisoli è ricorso giustappunto a una battuta per alleggerire un clima in procinto di surriscaldarsi. Ascoltando le sue parole in un video, ne ho avvertito chiaro l’intento caricaturale; sicché a tutta prima mi son parse perfino fuori luogo talune critiche pesanti.

Poi però, a mente fredda e cioè riconducendola alla stagione attuale, quella sua risposta è anche a me suonata non solo inopportuna, ma anche perniciosa, e comunque meritevole d’esser sùbito rintuzzata da chi reputi che l’insegnamento della storia dell’arte stia toccando livelli inammissibili in un Paese dove, peraltro, i governi ipocritamente strologano sul patrimonio d’arte, additandolo come la nostra vera ricchezza. Sono già tanti, troppi, quelli che – relegando per ignoranza la storia dell’arte nell’àmbito del voluttuario – ne sviliscono e irridono l’insegnamento. Il cui attuale declino impone, appunto, di non lasciar passare indenne la frase d’un ministro dei beni culturali, il quale dice – per scherzo, s’intende – che abolirebbe la storia dell’arte e che il suo insegnamento era per lui, al liceo, una “pena”.

Anche per molti di noi, che poi storici dell’arte sono diventati, quell’insegnamento non è sempre stato appassionante; giacché al pari d’ogni altra materia, tutto o quasi è nelle mani di chi la insegna. Certo già ai tempi di Bonisoli liceale non giovava alla materia l’esser confinata nelle pieghe d’un orario tutto vòlto a privilegiare le discipline ritenute di grado superiore. Se era così quando il ministro era al liceo, figuriamoci oggi, che le ore votate al suo insegnamento vieppiù diminuiscono (financo in quelle scuole il cui indirizzo dovrebbe viceversa indurre a incrementarle). Sono però convinto che una parte di responsabilità nel degrado della disciplina rimonti al metodo critico da noi imperante. In Italia la storia dell’arte s’insegna e si divulga come fosse storia di lingua e non anche storia di pensiero: il fulcro dei ragionamenti verte cioè sullo stile, sulle relazioni formali, sulle ascendenze e sulle dipendenze. Quasi mai o molto raramente ci si preoccupa di dar conto delle trame e dei contenuti che le opere figurano. Eppure è segnatamente lì che il pensiero dell’artefice agisce.

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 12 05/02/19 10:26

13Antonio Natali – Che pena la storia dell’arte

Per cominciare ci si dovrebbe allora chiedere quale sia quell’insegnante di letteratura che nell’esegesi d’un componimento poetico ne commenti davanti ai suoi allievi gli aspetti linguistici e trascuri o addirittura ometta i concetti che le parole illustrano. Ogni docente di lettere sa bene che sono proprio i pensieri sottesi a una poesia quelli che maggiormente toccano le corde del cuore dei suoi studenti. E un dipinto – mi capita spesso di dirlo – non è forse un componimento poetico che invece d’esprimersi in parola s’esprima in figura? Ecco, io credo che in ogni opera d’arte figurativa il riconoscimento e l’esaltazione del pensiero che la informa conferisca all’opera medesima una dignità ideologica, filosofica o teologica capace di redimerla dal luogo comune d’una bellezza astratta, su cui alla fine specula l’industria culturale più rozza. E m’azzardo a presagire che gli studenti liceali, attratti e fors’anche affascinati da trame avvincenti, proveranno meno fastidio di quanto abbia dovuto sopportare il giovane Bonisoli.

Domande guida per la comprensione1 Individua la tesi di Antonio Natali e riassumila. 2 Da cosa è stata provocata la battuta del ministro Bonisoli? Perché inizialmente l’au-

tore sembra giustificarla per poi cambiare idea?3 Secondo Natali come viene considerato nell’Italia odierna l’insegnamento della storia

dell’arte? Individuane le cause e argomentale brevemente. 4 Spiega a parole tue la frase «In Italia la storia dell’arte s’insegna e si divulga come

fosse storia di lingua e non anche storia di pensiero». 5 Ritieni convincente il paragone tra dipinto e componimento poetico? Cosa vuole sug-

gerire Natali con esso?6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo di massimo tre colonne in cui spieghi se ritieni utile o meno l’insegna-mento della storia dell’arte. Argomenta la tua opinione grazie ai punti di forza, o debo-lezza, della materia.

Ipotesi b: produzione poco vincolataProva a spiegare un dipinto del Novecento a tua scelta servendoti dei suggerimenti of-ferti da Natali nel testo.

40

45

33587_EsamediStato_bz3.indd 13 05/02/19 10:26

14

Arnold HauserArte popolare, di massa e delle classi coltein «Le teorie dell’arte. Tendenze e metodi della critica moderna», Torino 1974, pp. 229-232

Arte popolare viene definita, nelle pagine che seguiranno, l’attività poetica, musicale e figurativa degli strati incolti e non urbanizzati della popolazione.

Una caratteristica innata di quest’arte è che i suoi esponenti non partecipano ad essa soltanto come soggetti ricettivi, ma per lo più anche come soggetti creativi, benché individualmente non compariscano come tali e non rivendichino nessuna paternità personale. Per arte di massa s’intende qui invece la produzione artistica o artisticheggiante conforme alle esigenze di un pubblico semicolto, principalmente urbano e incline alla massificazione. Nell’arte popolare produttori e consumatori non sono quasi distinti gli uni dagli altri, e i confini fra i due gruppi restano sempre fluidi; nell’arte di massa invece abbiamo a che fare con un pubblico artisticamente non creativo, dal comportamento assolutamente passivo e con una produzione commerciale che si uniforma rigorosamente alla domanda. Per quanto sia significativo che l’arte popolare, soprattutto la poesia popolare, nasca dal circolo dei consumatori stessi, mentre le canzoni di massa – le canzonette e i motivi di successo – provengono da poeti professionali che fanno parte delle classi più alte e continuano a dipendere da queste, tuttavia la differenza decisiva fra le due categorie consiste nel fatto che esse hanno due pubblici differenti. I portatori della canzone popolare sono gli abitanti illetterati, anche se non necessariamente incapaci di leggere, della campagna, dei villaggi e delle grosse borgate, i lettori e i compratori dei romanzi gialli e dei giornali a fumetti, del romanzo d’appendice e delle oleografie, gli strati inferiori, anche se meno rigorosamente segregati dai ceti colti, della popolazione delle città più o meno grandi. […]

I tratti negativi che distinguono l’arte popolare e l’arte di massa dall’arte superiore, l’arte delle persone colte, degli intenditori e dei conoscitori, a prima vista sembrano più marcati e più determinanti delle caratteristiche positive comuni a tutte e tre le arti. L’arte colta, autentica, rigorosa, l’arte che significa sempre un confronto con i problemi della vita e una lotta alla ricerca di un significato dell’esistenza, che si rivolge al fruitore sempre col postulato «devi cambiare la tua vita», ha poco a che fare con l’arte popolare, che non significa quasi nient’altro che gioco e decorazione, o con l’arte di massa, che non è mai più che trattenimento e perditempo. Se si pensa alle creazioni di Michelangelo o Rembrandt, Bach o Beethoven, Flaubert o Baudelaire, ci si rifiuterà di far passare per arte i motivi ornamentali e i canti dei contadini, con la loro goffaggine, o la letteratura d’evasione e la musica di successo moderne con le loro leziosaggini. E anche se forse l’arte popolare può conservare ancora qualcosa del prestigio conferitole dal romanticismo, tuttavia non si vorranno accomunare il Figaro di Mozart alla Vedova

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 14 05/02/19 10:26

15Arnold Hauser – Arte popolare, di massa e delle classi colte

allegra o il Seppellimento del conte di Orgaz all’Isola dei morti di Böcklin. Chi conosce la commozione che accompagna l’incontro con una vera opera d’arte diventa presto impaziente dinanzi a effetti troppo facili o ricattatori ed è portato facilmente ad affermare che c’è soltanto una arte, che non si può né dividere né diluire, e che ogni altra è senza valore e senza importanza.

Ciò che si deve intendere per arte non è desumibile dall’arte popolare né dall’arte di massa; il suo significato si svela soltanto al livello più alto dell’attività creativa. Ma a partire da esso abissi invalicabili si aprono apparentemente in ogni direzione. Mozart e Lehár non si possono ridurre sotto nessun denominatore comune. E tuttavia le antitesi sono collegate fra loro da numerosi passaggi; i valori si realizzano con distinzioni graduali. Le opere d’arte non sorgono nello spazio senz’aria di un mondo delle ombre; la creazione artistica è un atto dinamico-dialettico, implicato nell’insieme della vita e che si deve mettere alla prova praticamente, esso è in contatto e in collegamento con manifestazioni non artistiche e semiartistiche nel modo più svariato. Il successo dell’impresa è sempre in gioco, l’opera è esposta sempre a una deteriorazione e a una falsificazione; ma in questa posizione precaria l’artista può anche avere fortuna e con la sua leggerezza – la leggerezza del giocoliere – raggiungere lo scopo. L’arte colta comprende quasi sempre elementi dei tipi inferiori di arte. Anche l’opera d’arte più sublime vuole piacere e intrattenere ed impiega qualcosa dei mezzi e dei metodi dei prodotti artistici destinati a un pubblico meno esigente. I romantici esagerarono l’innocenza fanciullesca dell’artista, che certo non crea in modo così ingenuo e spontaneo come essi volevano; ma è certo che nel suo lavoro si mischia sempre una certa giocosità. E come non ignora i modi del fanciullo così non gli è del tutto estranea la tecnica del comune burlone. La lotta più disperata per dare un significato alla vita e l’autocritica più rigorosa nell’arte spesso sono compatibili col trattenimento più frivolo e con la più vanitosa suscettibilità.

Ogni opera d’arte contiene parti più o meno riuscite; ci sono opere d’arte immense, ma non ce n’è nessuna assolutamente «perfetta». La forma artistica prestabilita, immutabile e insuperabile – nel senso del mot juste flaubertiano – è una finzione filosofica ardita quanto l’ispirazione divina con la quale l’artista deve venire in possesso delle forme prime dell’essere. L’esperienza della perfezione non fa parte delle condizioni dell’incontro artistico. Le opere dell’arte colta stanno in contatto con l’arte popolare e con l’arte di massa spesso senza pericolo; esse si abbassano a loro o se ne staccano senza ricevere alcun danno. Perché come una canzone colta, divenendo patrimonio popolare, può essere guastata ma anche migliorata, così un’opera che vuole soltanto intrattenere può degradarsi all’estremo, ma può anche elevarsi alle regioni più sublimi dell’incanto artistico. […]

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 15 05/02/19 10:26

16 Arnold Hauser – Arte popolare, di massa e delle classi colte

Domande guida per la comprensione1 Individua i contenuti dei quattro paragrafi in cui è suddiviso il testo, ponendoli nell’or-

dine corretto:• La produzione artistica è il frutto della interazione con l’ambiente.• Origini e destinatari dell’arte popolare e di massa.• Le opere d’arte sono sempre imperfette.• Differenza tra l’arte popolare e di massa e quella colta.

2 Quale forma di espressione creativa Arnold Hauser considera davvero arte e cosa la distingue dalle altre?

3 In che senso la creazione artistica è un «atto dinamico-dialettico»? Chiarisci il signi-ficato della frase con parole tue.

4 Quale fu secondo l’autore la colpa dei romantici? A cosa è dovuta precisamente?5 Cosa può generare lo scambio tra le diverse categorie d’arte? Spiega il significato

dell’affermazione finale.6 Riassumi il testo in 300 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataSu un massimo di tre colonne sostieni oppure confuta l’esistenza di forme di espressio-ne artistica diverse a seconda del livello culturale delle persone. Basa i tuoi ragionamenti su esperienze visuali, musicali, cinematografiche, di design attuali.

Ipotesi b: produzione poco vincolataPrendi in considerazione almeno un esempio di opera d’arte che ha assunto uno statuto popolare e scrivi un testo argomentativo sulle possibilità che offrono i social media a riguardo.

33587_EsamediStato_bz3.indd 16 05/02/19 10:26

17

Boris GroysInternet è una mina antimuseiin «Il Giornale dell’Arte», numero 381, dicembre 2017

Ai nostri giorni esistono fondamentalmente due canali attraverso cui viene distribuita la produzione artistica: il mercato dell’arte e internet. Nel mercato

dell’arte gli artisti rivestono il ruolo di creatori di immagini e oggetti, di opere d’arte. Su internet gli artisti producono i «contenuti» e dunque sono definiti «fornitori di contenuti». È un cambiamento radicale nel destino dell’arte. […] Ma quali sono i contenuti che gli artisti forniscono su internet? In parte, questi contenuti consistono in rappresentazioni digitali delle opere d’arte. Questo ovviamente non è un caso particolarmente interessante. Qui abbiamo meramente a che fare con rappresentazioni digitali di opere d’arte che già circolano sul mercato dell’arte.

Molto più interessante è l’altro caso, quando gli artisti sfruttano la possibilità di produrre e distribuire arte che sia specificamente prodotta per internet. In effetti internet offre una tecnologia che rende la produzione artistica e la sua distribuzione relativamente economiche e facilmente accessibili a tutti. Potenzialmente chiunque può usare una fotocamera o una videocamera per produrre immagini, il programma Word per scriverne dei commenti e la rete internet per distribuirne i risultati su scala globale, evitando ogni genere di censura o di processo selettivo. […]

Quando gli artisti utilizzano queste combinazioni si comportano come giornalisti freelance. Ciò significa che usano mezzi di produzione e di distribuzione che sono prescritti da internet per essere compatibili con i suoi protocolli, protocolli che sono generalmente utilizzati per diffondere informazioni. In questo senso gli artisti cessano di essere dei creatori di forme. Essi diventano invece dei fornitori di contenuti, in effetti: essi documentano i contenuti che non sono proposti dai media principali. E affrontano questi contenuti in un modo in un certo senso «soggettivo» e personalizzato, da una prospettiva diversa rispetto a quella dei media principali. Il contenuto può essere una situazione già esistente che sia molto insolita o, al contrario, troppo banale per essere considerata dal giornalismo standard. Può essere una documentazione di eventi storici dimenticati o pubblicamente sedati. Ma può anche essere una situazione che è stata prodotta dagli artisti stessi, azioni, performance e processi iniziati dagli artisti e, successivamente, da loro stessi documentati. E può essere una totale «invenzione»: in questo caso il processo creativo di questa invenzione viene documentato. […]

Ora, qual è il ruolo del museo in questa costellazione? Prima di tutto bisognerebbe dire che c’è qualcosa in comune tra il mercato dell’arte e internet. Entrambi hanno una funzione commerciale e sono gestiti privatamente. Nel caso del mercato dell’arte questo è ovvio, ma è vero anche nel caso di internet. Come i mass media prima di esse le società di internet sono, di regola, private e dipendono economicamente dalla pubblicità. Di regola il contenuto fornito in quanto tale non ha valore monetario per

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 17 05/02/19 10:26

18 Boris Groys – Internet è una mina antimusei

gli utilizzatori, persegue unicamente l’obiettivo di produrre il luogo per piazzare la pubblicità. […].

Il museo contemporaneo, al contrario, non affonda le sue origini nel mercato, non nel funzionamento commerciale dell’arte, ma nella tradizione del mecenatismo pubblico. Il mecenatismo nell’arte ha una storia propria che non coincide affatto con la storia del mercato dell’arte. È una storia più politica che economica. Conosciamo la storia del mecenatismo feudale e assolutista, ma la storia del mecenatismo effettivamente pubblico e repubblicano inizia con la Rivoluzione Francese e viene perpetuato dal mecenatismo socialista dopo la Rivoluzione d’Ottobre e dal mecenatismo socialdemocratico nell’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale. Oggi questa storia continua con il mecenatismo dello Stato o di particolari regioni e città. […]

La relazione tra il museo e internet è, di norma, immaginata come una relazione tra lo spazio globale, unificato di internet e il piccolo spazio del museo e, a dirla tutta, il piccolo spazio di tutto il sistema museale. Alla luce di questo paragone si ha la sensazione che il museo dovrebbe essere rappresentato su internet, e non internet nel museo. Ma quest’immagine è fuorviante. Dopo alcuni anni di funzionamento di internet possiamo chiaramente vedere come il suo spazio non sia unificato e universale ma, piuttosto, estremamente frammentato. Naturalmente, nel suo attuale regime, tutti i dati di internet sono globalmente accessibili. Ma in effetti internet non conduce alla comparsa dello spazio pubblico universale, ma alla tribalizzazione del pubblico.

La ragione di ciò è molto semplice. Internet reagisce alle domande dell’utilizzatore, ai click dell’utilizzatore. In altre parole l’utente trova su internet solo ciò che vuole trovare. Internet è un mezzo di comunicazione estremamente narcisistico, è uno specchio dei nostri desideri e interessi specifici. Nel contesto di internet comunichiamo anche soltanto con quanti condividono i nostri interessi e i nostri comportamenti, che si tratti di comportamenti politici o estetici. Così, il carattere non selettivo di internet è un’illusione. […] Possiamo dire che per gli utenti singoli internet è l’opposto di uno spazio urbano dove siamo permanentemente obbligati a vedere cose che non necessariamente desideriamo vedere. In molti casi cerchiamo di ignorare queste immagini e sensazioni indesiderate, in molti casi esse provocano il nostro interesse, ma in ogni caso costituiscono il modo attraverso il quale noi espandiamo il nostro campo di esperienza. La stessa cosa può essere detta in merito al museo. Le scelte curatoriali ci fanno vedere cose che non sceglieremmo di vedere, persino ciò che ci è sconosciuto. Essendo, come ho già detto, un’istituzione pubblica, il museo, se funziona correttamente, cerca di trascendere la frammentazione dello spazio pubblico e di creare uno spazio universale di rappresentazione che internet non è in grado di creare.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 18 05/02/19 10:26

19Boris Groys – Internet è una mina antimusei

Domande guida per la comprensione1 Descrivi la struttura argomentativa del testo sintetizzando la tesi di Groys. 2 Individua gli attori dell’odierno sistema artistico. Riassumine le caratteristiche ser-

vendoti delle argomentazioni fornite dall’autore. 3 Spiega la definizione di artisti come “fornitori di contenuti”. In che modo costoro

possono essere assimilati a giornalisti free-lance?4 Secondo Groys quale è la differenza principale tra internet e museo? 5 Individua nel testo gli eventi storici che hanno favorito la creazione dei musei e prova

ad argomentarne i principi. 6 Riassumi il testo in 300 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataRitieni come l’autore che i musei svolgano una funzione di salvaguardia della democra-zia? Scrivi un testo argomentativo in cui sostieni o confuti questa tesi.

Ipotesi b: produzione poco vincolataEsprimi la tua posizione sull’uso dei social media a servizio dell’arte e spiega se, a tuo avviso, nell’immediato futuro essi possano sostituire i musei.

33587_EsamediStato_bz3.indd 19 05/02/19 10:26

20

Carla Lonzi Premessain Autoritratto, Roma-Bari 1969, pp. 5-9

[…] In questi anni ho sentito crescere la mia perplessità sul ruolo critico, in cui avvertivo una codificazione di estraneità al fatto artistico insieme all’esercizio di un potere discriminante sugli artisti. Anche se non è automatico che la tecnica della registrazione, di per sé, basti a produrre una trasformazione nel critico, per cui molte interviste non sono altro che giudizi in forma di dialogo, mi pare che da questi discorsi venga fuori una constatazione: l’atto critico completo e verificabile è quello che fa parte della creazione artistica. Chi è estraneo alla creazione artistica può avere un ruolo critico socialmente determinante solo in quanto fa parte di una maggioranza anch’essa estranea all’arte, e che si avvale di questo trait-d’union per trovare in qualche modo un punto di contatto. Si determina così un falso modello nel considerare l’opera d’arte: un modello culturale. Il critico è colui il quale ha accettato di misurare la creazione con la cultura dando a quest’ultima la prerogativa dell’accettazione, del rifiuto, del significato dell’opera d’arte. La nostra società ha partorito un’assurdità quando ha reso istituzionale il momento critico distinguendolo da quello creativo e attribuendogli il potere culturale e pratico sull’arte e sugli artisti. Senza rendersi conto che l’artista è naturalmente critico, implicitamente critico, proprio per la sua struttura creativa. Certo non attraverso gli schemi mentali, culturali, didascalici, professionali del critico. Però lo è, anche a livello di riflessione e non solo di operazione, sebbene non provi nessuno stimolo a rendere socialmente efficace questa sua capacità. Allora, la consuetudine con gli artisti, il parlare insieme, l’ascoltare portano alla coscienza questo fatto: non c’è critico che possa interessare l’artista in merito, proprio, del lavoro. Lo interesserà, naturalmente, moltissimo come situazione, analoga a quella di qualsiasi altra persona faccia un’esperienza artistica.

Si pensi a Vasari: un pittore accademico ufficiale, non paragonabile con gli artisti di cui ha scritto le vite. Proprio per questo, forse, ha trovato l’energia di mettersi a scrivere. Ma, francamente, è possibile che abbia detto qualcosa sugli artisti che già questi non avessero scontato, almeno nel lavoro? E quanto spessore di cultura, di schemi, di luoghi comuni e gusto del momento non ha frapposto fra loro e il pubblico. Se fosse stato possibile registrare ciò che quegli artisti dicevano nei loro discorsi quotidiani, ci sarebbe necessario leggere le Vite di Vasari per trovare un contatto con loro? Non credo; piuttosto, semmai, per trovare un contatto con l’uomo Vasari, con l’esemplare del ‘500 Vasari, con lo scrittore Vasari e la sua carica personale. […]

Magari senza esserne cosciente, il critico fa il gioco di una società che tende a considerare l’arte come un accessorio, un problema secondario, un pericolo da tramutare in diversivo, un’incognita da tramutare in mito, comunque un’attività da contenere. E come contenere? Appunto, attraverso l’esercizio della critica, che opera

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 20 05/02/19 10:26

21Carla Lonzi – Premessa

sulla falsa dissociazione: creazione-critica. Questo libro non intende proporre un feticismo dell’artista, ma richiamarlo in un

altro rapporto con la società, negando il ruolo, e perciò il potere, del critico in quanto controllo repressivo sull’arte e gli artisti, e soprattutto in quanto ideologia dell’arte e degli artisti in corso nella nostra società. Ma come si potrebbe più distinguere il vero dal falso artista, se venisse a mancare il critico, è l’interrogativo che nasce in questo caso. Tuttavia, c’è da chiedersi, prima, perché questa distinzione venga considerata così essenziale dalla società. Da dove proviene il bisogno di una garanzia? Il santo non è forse intuito per l’odore di santità che sprigiona? È possibile ipotizzare un critico della santità? Nonostante l’intermediario delle Chiese, il conteggio degli eletti esula dalle utilità di questo mondo. La convinzione del religioso è che il fenomeno esista anche misconosciuto e che questo non sia un elemento indifferente del suo valore. Perciò nessuno, sostanzialmente, rinuncia a essere santo: indipendentemente dalle religioni, la religiosità fa parte della struttura dell’umanità.

Anche l’atteggiamento estetico, l’arte, fanno parte della struttura dell’umanità, ma questa convinzione non è un patrimonio di chi si occupa d’arte: è un patrimonio riservato agli artisti. A differenza delle Chiese, le Istituzioni Culturali si sono costituite sul bisogno di offrire la quotazione spirituale di un mondo della cui salvezza non sta a loro preoccuparsi. Ecco perché anche l’arte, come ogni altra espressione umana, diventa accessibile solo in quanto oggetto di valutazione. Tramite le Istituzioni Culturali essa non appare come una responsabilità di realizzazione umana: agli «altri» è riservato il compito di consumare l’arte, di identificarsi come pubblico. In questo quadro la professione critica manifesta tutta la sua funzionalità rispetto a un Sistema. Ma perché non chiedersi se tale modo di far consumare l’arte è compatibile col senso dell’arte, con la sua vera ragion d’essere? Perché accontentarsi del ruolo di estraneità, sia pur elevato a condizione stessa del giudizio?

I discorsi qui raccolti non sono stati fatti con l’intenzione di dimostrare quanto sopra, ma per iniziarmi a un’attività e a un’umanità verso cui mi sono sentita attratta, nello stesso tempo che trovavo ridicola la pretesa affidatami dall’Università di fare il critico di una umanità e di un’attività che non mi appartenevano. Cercare di appartenervi e vedere crollare il ruolo di critico, è stato tutt’uno. Cosa rimane, adesso che ho perso questo ruolo all’interno dell’arte? Sono forse diventata artista? Posso rispondere: non sono più un’estranea. Se l’arte non è nelle mie risorse come creazione, lo è come creatività, come coscienza dell’arte nella disposizione al bene. […]

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 21 05/02/19 10:26

22 Carla Lonzi – Premessa

Domande guida per la comprensione1 Descrivi la struttura argomentativa del testo sintetizzando la tesi di Carla Lonzi. 2 Perché l’autrice paragona la registrazione del dialogo tra interprete e artista a un atto

creativo?3 Secondo Lonzi che colpa ha la società contemporanea, e con essa la cultura ufficiale?

Perché lei vi si contrappone?4 A che proposito Lonzi cita l’esempio di Vasari? 5 Spiega la chiusa del brano. La trovi convincente in rapporto alla tesi dell’autrice? 6 Riassumi il testo in 250 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataQuale dovrebbe essere il ruolo del critico d’arte del presente? Scrivi un testo argomen-tativo in cui sostieni o confuti la tesi dell’autrice.

Ipotesi b: produzione poco vincolataIn massimo tre colonne di testo, spiega la tesi di Autoritratto in rapporto all’epoca storica nella quale è stato pubblicato e alla biografia della sua autrice.

33587_EsamediStato_bz3.indd 22 05/02/19 10:26

23

Clement GreenbergAvanguardia e Kitsch (1939)in G. Dorfles, Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto, Milano 1976, pp. 115-26

Se l’avanguardia imita i procedimenti dell’arte, il Kitsch, come vedremo ora, imita i suoi effetti. La precisione di quest’antitesi è più che calcolata; essa corrisponde e

definisce il tremendo abisso che separa tra di loro due fenomeni culturali simultanei come l’avanguardia e il Kitsch. Questa distanza, troppo grande per essere colmata da tutte le infinite gradazioni del «modernismo» divulgato e del «modernistico» Kitsch, corrisponde alternativamente ad un intervallo sociale, un intervallo sociale che è sempre esistito nella cultura formale, come in altri settori della società civilizzata, e i cui due estremi convergono e divergono in rapporto fisso rispetto alla crescente o decrescente stabilità di una società data. C’è sempre stata da una parte la minoranza dei potenti – quindi delle persone colte – e dall’altra la grande massa dei poveri e degli sfruttati, e quindi degli ignoranti. La cultura formale è sempre appartenuta ai primi, mentre gli altri hanno dovuto accontentarsi della cultura popolare e rudimentale, o Kitsch.

In una società stabile che funziona abbastanza bene da tenere in soluzione le contraddizioni tra le classi, la dicotomia culturale diviene in qualche modo confusa. Gli assiomi di pochi sono condivisi da molti; i secondi credono in modo superstizioso a ciò a cui i primi credono moderatamente. E in tali momenti della storia le masse sono capaci di provare meraviglia ed ammirazione per la cultura, non importa a che livello, dei loro maestri. Questo si applica per lo meno alla cultura plastica, che è accessibile a tutti. […]

È un luogo comune che l’arte diventi come le perle per i maiali quando la realtà che essa imita non corrisponde più nemmeno approssimativamente alla realtà accettata da tutti. Anche allora, tuttavia, il risentimento che l’uomo comune può sentire viene messo a tacere dal timore reverenziale in cui si trova verso i mecenati di questa arte. Solo quando diviene insoddisfatto dell’ordine sociale che essi amministrano, comincia a criticare la loro cultura. […] Spessissimo questo risentimento verso la cultura viene trovato dove il malcontento nei confronti della società è una insoddisfazione reazionaria che si esprime nel revivalismo e nel puritanesimo, e, ultimo fra tutti, nel fascismo. Qui si cominciano a nominare le fiaccole e i moschetti insieme alla cultura. In nome della religiosità o della salvezza della stirpe, in nome delle maniere semplici e delle solide virtù, si comincia a frantumare le statue.

Dove oggi un regime politico istituisce una politica culturale ufficiale, è per amor di demagogia. Se il Kitsch è la tendenza ufficiale della cultura in Germania, Italia e Russia, non è dovuto al fatto che i loro rispettivi governi siano controllati da filistei, ma solo perché il Kitsch è la cultura delle masse in questi paesi, come lo è in qualunque altro

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 23 05/02/19 10:26

24 Clement Greenberg – Avanguardia e Kitsch (1939)

luogo. L’incoraggiamento del Kitsch è semplicemente un’altra delle vie poco costose con cui i regimi totalitari cercano di ingraziarsi i propri sudditi. Dal momento che questi regimi non possono elevare il livello culturale delle masse – anche se lo volessero – senza giungere alla resa di fronte al socialismo internazionale, lusingheranno le masse portando tutta la cultura al loro livello. […] In verità, il guaio principale nei confronti dell’arte e della letteratura di avanguardia, dal punto di vista dei fascisti o degli stalinisti, non è che esse siano troppo critiche, ma che siano troppo «innocenti», che sia troppo difficile iniettare in esse una efficace propaganda, mentre il Kitsch è più docile a questo scopo. Il Kitsch tiene il dittatore a più stretto contatto con l’«anima» del popolo. […]

Tuttavia, se fosse concepibile che le masse chiedessero dell’arte e della letteratura di avanguardia, Hitler, Mussolini e Stalin non esiterebbero a lungo nel cercare di soddisfare una tale richiesta. Hitler è un nemico mortale dell’avanguardia, tanto sul piano dottrinale che su quello personale, eppure questo non vietò a Goebbels nel 1932-1933 di corteggiare accanitamente gli artisti e gli scrittori di avanguardia. Quando Gottfried Benn, un poeta espressionista, passò al nazismo gli fu dato il benvenuto a suon di musica, benché proprio in quel momento Hitler stesse denunziando l’Espressionismo come Kulturbolscewismus. Questo accadeva al tempo in cui i nazisti sentivano che il prestigio che l’avanguardia godeva tra le persone colte poteva essere vantaggioso per loro, e le considerazioni pratiche di questo tipo, essendo i nazisti abili politici, finirono sempre per prevalere sulle inclinazioni personali di Hitler. In seguito i nazisti si resero conto che era più pratico aderire ai desideri delle masse in materia di cultura piuttosto che a quelli dei loro finanziatori; i secondi, quando si venne al problema di conservare il potere, erano disposti a sacrificare la loro cultura come pure i loro principi morali; mentre i primi, esattamente perché il potere era stato loro tolto, dovevano essere lusingati in tutti gli altri modi possibili. Era necessario promuovere, su scala molto più grandiosa che nei paesi democratici, l’illusione nelle masse di governare. La letteratura e l’arte che esse gustano e comprendono dovevano essere proclamate le sole vere, ed ogni altro tipo doveva essere soppresso. In queste circostanze, gente come Gottfried Benn, diventano un peso morto, non importa quanto ardentemente dessero l’appoggio a Hitler, e non sentiamo più parlare di loro nella Germania nazista. […]

Il capitalismo in declino constata che qualunque cosa qualitativamente valida sia ancora capace di produrre, questa diventa quasi invariabilmente una minaccia alla sua stessa esistenza. Il progresso nella cultura, non meno che il progresso scientifico ed industriale, corrode proprio la società sotto la cui egida esso ha potuto svilupparsi. Qui, come in ogni altro problema odierno, diventa necessario citare Marx parola per parola. Oggi non guardiamo più al socialismo per una nuova cultura, come invariabilmente una ne apparirà, dal momento che abbiamo delle forme di socialismo. Oggi noi guardiamo al socialismo semplicemente per la conservazione di qualsiasi tipo di cultura vivente di cui abbiamo bisogno ora.

40

45

50

55

60

65

70

75

33587_EsamediStato_bz3.indd 24 05/02/19 10:26

25Clement Greenberg – Avanguardia e Kitsch (1939)

Domande guida per la comprensione1 Assegna a ciascuno dei sei paragrafi del testo il relativo contenuto scegliendo tra le

soluzioni sottostanti:• Kitsch come strumento di propaganda• L’equilibrio della democrazia• Contraddizioni dell’avanguardia• Dittatura delle masse • Risentimento sociale e Revival • Cultura alta e cultura bassa

2 Riassumi la tesi di Clement Greenberg.3 Definisci sinteticamente il termine “Kitsch” secondo la prospettiva dell’autore.4 Perché secondo Greenberg l’avanguardia non riesce a imporsi nei regimi totalitari?5 Ti sembra efficace la citazione finale di Karl Marx? Spiegane il significato.6 Riassumi il testo in 250 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataSu massimo tre colonne di foglio protocollo sostieni o respingi la tesi di Greenberg ba-sandoti sul successo della street art tra le persone comuni.

Ipotesi b: produzione poco vincolataAssumendo il punto di vista di Greenberg, scrivi un testo argomentativo in cui spieghi l’uso odierno di immagini a carattere politico e la distruzione di monumenti artistici da parte di vandali e bande terroristiche.

33587_EsamediStato_bz3.indd 25 05/02/19 10:26

26

Fabrizio LemmeI musei che fanno i numeri sono fuorileggein «Il Giornale dell’arte», n. 387, giugno 2018, p. 15

L’articolo 1 comma 2 del decreto legislativo 42/04 (Codice dei Beni Culturali) recita testualmente, definendo i principi ispiratori della legge, che «la tutela e la

valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della Comunità Nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura». In questa norma si possono individuare varie proposizioni, di valore pregnante e altamente significante: a. tutto il sistema dei beni culturali ruota intorno all’endiadi «tutela-valorizzazione»; b. tali funzioni hanno lo scopo fondamentale di «preservare la memoria della Comunità Nazionale e del suo territorio» nonché di «sviluppare la cultura»; c. l’endiadi lega inscindibilmente la funzione di tutela e quella della valorizzazione, rendendo inseparabili l’una dall’altra: non vi può essere tutela senza valorizzazione, non vi può essere valorizzazione senza tutela; d. lo sviluppo della cultura passa, conseguentemente, attraverso la conservazione della memoria della Comunità Nazionale e del suo territorio; e. questi ultimi due termini rappresentano, a loro volta, un’ulteriore endiadi: nella nostra cultura, a differenza dalla cultura germanica, non vi è separazione tra la tradizione nazionale (quella che i tedeschi chiamano «volk») e la struttura territoriale ove la stessa si è storicamente svolta. In un ordinamento costituzionale come il nostro, nel quale l’individuazione dello Stato si fonda sui tre elementi «territorio, popolo, governo», il volk è legato al territorio. Da queste proposizioni mi sembra si possa ricavare l’agevole corollario che la conservazione della memoria nazionale sia inseparabile dalla valorizzazione: dunque, l’aspetto didascalico del museo non può essere soppresso in nome di una sua migliore valorizzazione mercantile, sia pur mascherata come promozione della cultura. Dico questo perché oggi, in una visione nuova e manageriale del dirigere un museo, si sta affermando che pur di raggiungere il risultato di un crescente numero di visitatori, attratti da elementi del tutto svincolati dalla conservazione della memoria, quest’ultima funzione possa passare in secondo piano. Prendiamo come esempio la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea in Roma. Un tempo, essa costituiva una Soprintendenza speciale di portata non locale ma nazionale, ordinata con un criterio cronologico e territoriale. Partendo dalla constatazione che in Italia nel campo delle arti figurative anche dopo l’unificazione nazionale potevano distinguersi diverse scuole regionali ciascuna con movimenti e tendenze distinti, il visitatore poteva ricostruirsi il percorso della storia artistica del XIX e XX secolo, passando attraverso le varie sale, ove i maestri venivano raggruppati secondo affinità tematiche. Questa era preservazione della memoria nazionale. Poi, con la sciagurata iniziativa del ministro Franceschini di prevedere musei autonomi ai quali porre a capo dei direttori di incerta competenza ma di estrosa formazione, a dirigere la Galleria è stata chiamata Cristiana Collu, che l’ha totalmente rifondata

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 26 05/02/19 10:26

27Fabrizio Lemme – I musei che fanno i numeri sono fuorilegge

seguendo un percorso espositivo certamente accattivante ma molto singolare. Dei dipinti dell’Ottocento ha esposto quasi esclusivamente poche grandi tele accanto alle quali ha assemblato opere di travolgente modernità, a volte anche prestate da privati. L’effetto scioccante di vedere una grande tela di Giovanni Fattori avanti ad una installazione dell’Avanguardia o della Transavanguardia ha certamente moltiplicato il numero dei visitatori, attratti dal «novum» e dai bizzarri accostamenti, spesso assai accattivanti. Ma, in questo, in cosa consiste «la memoria della Comunità Nazionale»? L’estro della Collu, non privo di forza suggestiva, può impunemente surrogarla? Fino a che punto l’aumento del numero dei visitatori può considerarsi il risultato premiante di simili iniziative, che si pongono in manifesto contrasto anche con la legge e i suoi principi fondamentali? In un ordinamento democratico, il ministro dei Beni culturali sarebbe tenuto a dare spiegazioni e a dimostrare ai cittadini che la «preservazione della memoria della Comunità Nazionale» è fatta salva anche con le bizzarre intenzioni di un’estrosa dirigente. A me non sembra che il ministro si sia posto questo problema e lo abbia coscientemente e democraticamente affrontato. E purtroppo nulla lascia presagire che un prossimo ministro di un prossimo Governo sia più osservante della democrazia e del rispetto della legge. Non resta che fare voti augurali, ivi incluso quello di un movimento di opinione che obblighi il Ministro pro tempore ad affrontarlo e risolverlo ex professo.

Domande guida per la comprensione1 In quale punto dell’articolo si trova la tesi di Fabrizio Lemme? Riassumila.

2 Secondo l’autore l’articolo 1 comma 2 del Codice dei Beni Culturali contiene due en-diadi. Spiega il significato di questa figura retorica in rapporto all’enunciato.

3 A quale proposito, secondo l’autore, oggi si sacrificano le funzioni museali previste dalla legge? Argomenta la risposta servendoti dei dati forniti dall’articolo.

4 Cosa prevede la Riforma Franceschini e quali conseguenze comporterebbe secondo l’autore?

5 Perché Lemme ritiene il nuovo allestimento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma privo di “Memoria della Comunità Nazionale”?

6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataRitieni opportuno che i musei si allontanino dal dettato del Codice dei Beni Culturali per favorirne la fruizione da parte del pubblico o invece condividi la tesi di Lemme? Argo-menta la tua opinione riferendoti a un museo d’arte contemporanea da te visitato.

Ipotesi b: produzione poco vincolataScrivi un testo argomentativo sul significato che per te assume la “Memoria della Co-munità Nazionale” in rapporto al periodo che stiamo vivendo. Suggerisci infine come i musei d’arte potrebbero preservarla al meglio.

40

45

50

55

33587_EsamediStato_bz3.indd 27 05/02/19 10:26

28

Germano CelantArte Poverain Arte Povera, Milano 1969

Animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo dell’arte. L’artista si sente attratto dalle loro possibilità fisiche, chimiche e biologiche, e riinizia a sentire il

volgersi delle cose del mondo, non solo come essere animato, ma come produttore di fatti magici e meraviglianti. L’artista-alchimista organizza le cose viventi e vegetali in fatti magici, lavora alla scoperta del nocciolo delle cose, per ritrovarle ed esaltarle. Il suo lavoro non mira però a servirsi dei più semplici materiali ed elementi naturali (rame, zinco, terra, acqua, fiumi, piombo, neve, fuoco, erba, aria, pietra, elettricità, uranio, cielo, peso, gravità, calore, crescita, ecc.) per una descrizione o rappresentazione della natura; quello che lo interessa è invece la scoperta, la presentazione, l’insurrezione del valore magico e meravigliante degli elementi naturali. Come un organismo a struttura semplice, l’artista si confonde con l’ambiente, si mimetizza con esso, allarga la sua soglia di percezione; apre un rapporto nuovo con il mondo delle cose. Ciò con cui l’artista entra in rapporto non viene però rielaborato; su di esso non esprime un giudizio, non cerca un valore morale o sociale, non lo manipola […].

Tra le cose viventi scopre anche se stesso, il suo corpo, la sua memoria, i suoi gesti, tutto ciò che direttamente vive e così riinizia ad esperire il senso della vita e della natura, un senso che implica, secondo Dewey, numerosi contenuti: il sensorio, il sensazionale, il sensitivo, il sensibile, il sentimentale e il sensuoso. […]

È evidente però che finché si considera l’aspetto descrittivo, l’uomo, i minerali, gli animali e i vegetali hanno poco in comune; eppure tutti questi sistemi funzionano in modo simile, legati come sono a processi comuni di trasformazione. Per questo motivo l’artista, insieme all’ecologo, al biologo, allo scienziato, si interessa al comportamento dell’animato e dell’inanimato, rinuncia alla descrizione e alla rappresentazione dell’aspetto esteriore della natura e della vita (siano pure essi mass-media) e prende in considerazione gli aspetti particolari: anche quelli offerti dai microrganismi, (poco appariscenti, ma molto attivi). […]

Parimenti riscopre il suo interesse in se stesso. Abbandona la mediazione linguistica dell’immagine per vivere d’azzardo in uno spazio aleatorio. Trova insopportabile considerare l’arte come apportatrice di valori anticipatori e si adotta per scoprirsi. Rifiuta la parte del “vate”, perché diffida del padrone culturale (artista, intellettuale, ecc.) che suggerisce al servo (spettatore, pubblico, ecc.) un modello di valore. Esce dagli spazi chiusi delle gallerie dei musei (a volte, nonostante tutto, rientra), scende nelle piazze, attraversa foreste, deserti, campi di neve, per stimolare un intervento partecipativo. Distrugge la sua “funzione” sociale, perché non crede più nei beni culturali. Nega la fallacia moralistica del prodotto artistico, artefice della dimensione illusionistica della vita e del reale. Crede solo nella propria esperienza personale mentre il suo rapporto

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 28 05/02/19 10:26

29Germano Celant – Arte Povera

col mondo non avviene più attraverso le immagini analizzate e manipolate (fumetto, cinema, fotografia, ecc.) e le cose strumentalizzate a discorso (materia “per”, gesto “per”, azione “per”), ma con le immagini e con le cose; si immedesima in esse, sino a renderle parte di se stesso, sue propaggini biologiche. […]

Abolisce la sua parte di artista, intellettuale, pittore o scultore, e reimpara a percepire, a sentire, a respirare, a camminare, ad intendere, ad usarsi come uomo. Naturalmente imparare a muoversi, e ritrovare la propria esistenza non significa mimare o recitare, compiere nuovi movimenti, ma usare se stesso come materiale continuamente plasmabile. Di conseguenza: impossibilità a credere nel discorso per immagini, nella comunicazione di nuove informazioni esplicative e didattiche, nelle strutture che impongono una regolarità un comportamento, una sintassi, che si piegano ad un discorso moralistico industriale. Allontanamento quindi dagli archetipi esistenti e continuamente ricreantesi, totale avversione al discorso e aspirazione all’afasia, all’immobilità, per una progressiva identificazione di coscienza e praxis.

Prime scoperte di questa spoliazione sono il tempo finito ed infinito della vita; l’opera ed il lavoro che si identificano con la vita; la dimensione della vita come durata senza scadenza; l’immobilità come possibilità di uscire dalle circostanze contingenti per immettersi nel tempo; l’esplodere della dimensione individuale come comunione estatica e simpatetica con la natura; l’incoscienza come sistema di conoscenza del mondo, la ricerca dei turbamenti psicofisici per una vita plurisensitiva e plurilineare; la perdita di identità con se stessi, per un abbandono del riconoscimento rassicurante, che ci viene continuamente imposto dagli altri e dal sistema sociale; l’oggetto-soggetto come presenza fisica continuamente cangiante, come prova di esistenza che diventa continuità, caos, spazio e differente temporalità. “L’arte diviene”, dice Cage, “una sorta di condizione sperimentale in cui si sperimenta il vivere”. Fare arte allora si identifica con la vita ed esistere assume il significato di reinventare ogni istante una nuova dimensione fantastica, politica, estetica, ecc. della propria vita. L’importante è non giustificarsi o riflettersi nel lavoro o nel prodotto, ma vivere come lavoro, stupirsi per conoscere il mondo, essere disponibili a tutti i fatti della vita (la morte, l’illogico, la follia, la casualità, la natura, l’infinito, il reale, l’irreale, lo sviluppo, la simbiosi). Accettando infatti l’ideologia della vita ci si può esaltare sia per l’infinito che per la contingenza della vita, si può vivere la morte e morire la vita, ragionare di pazzia, e impazzire di ragione. Col pensare e percepire, fissare e presentare, sentire ed esaurire la sensazione in un evento, in un fatto, in un’idea, in un’azione, ognuno può allora diventare linguaggio ed esserlo, con i suoi gesti, le sue azioni, il suo corpo, il suo territorio, la sua memoria, la sua realtà quotidiana e fantastica.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 29 05/02/19 10:26

30 Germano Celant – Arte Povera

Domande guida per la comprensione1 Cosa intende Germano Celant con «artista-alchimista»?2 Secondo l’autore questo genere di artista che rapporto instaura con la natura?3 Con chi l’artista condivide il proprio atteggiamento di ricerca e per quale ragione?4 Secondo Celant che tipo di rapporto intercorre tra l’artista e la società? 5 Che valore assume la citazione di John Cage nella parte finale del brano?6 Riassumi il testo in 300 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataRitieni auspicabile una maggiore compromissione degli artisti con la natura? Scrivi un testo argomentativo a riguardo tenendo presente gli odierni cambiamenti climatici.

Ipotesi b: produzione poco vincolataDescrivi almeno due opere riferibili all’Arte povera che presentino elementi animali o vegetali. Su un massimo di tre colonne sostieni la loro validità, o meno, nel presente.

33587_EsamediStato_bz3.indd 30 05/02/19 10:26

31

Giancarlo MarmoriPop e happeningin La bellezza è difficile, Editori Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 209-15

Un anno fa, a un amico ch’era andato a trovarlo in studio, un vecchio dadaista degli anni venti, l’americano Man Ray, confessò non senza una certa sorpresa: «Prima

vendevo poco e ora vendo tutto a prezzo carissimo. I mercanti vengono a trovarmi. Cos’è successo?». […]

Perché i mercanti avevano ripreso a sollecitare Man Ray e a portargli via dei vecchi ferri da stiro, dei manubri d’automobile e altra rigatteria estrosamente combinata, così come oggi ricercano più che mai i famosi «ready made» di Marcel Duchamp che per primo, sin dal 1914, ebbe l’idea di trasformare un vaso da notte in scultura? La risposta alla domanda di Man Ray la può fornire il rilancio inatteso di «dada», registrato a cominciare dall’autunno dell’anno scorso sia sul piano delle quotazioni di mercato, soprattutto americano, sia sul terreno dell’inventiva. Approfittando della favorevole congiuntura, alcune gallerie parigine e alcuni mercanti si sono affrettati a esporre e commerciare tutto un bazar di oggetti, di aggeggi, di strumenti prodotti da una nuova scuola di artisti raggruppatisi tre anni orsono sotto l’insegna del «nouveau réalisme».

Si può parlare di un’arte nuova? Eliminati il pennello, la spatola, il raschino, oggi ci si limita a scegliere un oggetto nel mucchio di quelli già esistenti, a strapparlo dal «reale» della nostra civiltà meccanizzata, proprio come ai tempi di «dada», ma senza intenti polemici o caricaturali. Ci si limita a firmarlo subito o a ritoccarlo con la fiamma ossidrica, con un effetto di luce, con un colpo di martello o di tenaglia, quindi ad esporlo e a venderlo come oggetto d’arte. Astratti? Figurativi? Da un certo punto vista, questa opposizione che ha diviso gli ambienti intellettuali dalla fine della guerra ad oggi, non avrebbe più ragione di esistere. Ma il pubblico come reagisce? Il pubblico non reagisce più, reagisce solo l’élite dei collezionisti e dei mercanti. Nessuno si stupisce. Esistono al massimo momenti di perplessità, superati subito e con disinvoltura. […]

Malgrado l’aspetto spesso sgradevole e il carattere a volte posticcio di queste opere, che si scollano subito o si spaccano, tanto che alcuni acquirenti hanno già dovuto ricorrere allo stagnino, il movimento prolifera, seduce i giovanissimi e contamina alcuni artisti già affermatisi in campo astratto. Nato negli Stati Uniti, col nome di «pop art» (popular art, cioè arte popolare), subito propagandato in Europa dal critico francese Pierre Restany, che tenne a battesimo il movimento a Milano il 16 aprile 1960, prima di presentarlo nelle gallerie di Saint-Germain-des-Prés, il «nouveau réalisme» è un fatto artistico o un fenomeno di costume di cui non si può non tenere conto. Soprattutto non si può non sorprendersi di un avvenimento sino a ieri ritenuto impossibile: Parigi, o perlomeno un certo settore dell’arte parigina, si sta aggiornando sulle ultime esperienze dell’avanguardia americana. […]

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 31 05/02/19 10:26

32 Giancarlo Marmori – Pop e happening

Alcuni artisti francesi intuirono in tempo questa strana svolta nell’evoluzione o involuzione delle arti plastiche, altri si stanno allineando. I ferri arrugginiti o cromati, gli stracci, i frammenti di qualsiasi materia ingombrano molte gallerie parigine, e a volte si prova l’impressione d’entrare in un deposito di rottami. La lista di questi fabbricanti di oggetti si allunga sempre di più. César […] comprime auto con una pressa, le riduce a parallelepipedi di una tonnellata, le firma, le vende come sculture. […] Spoerri, autore di «tableaux-piège», incolla i piatti, le posate, le bottiglie, i bicchieri sporchi, i resti di cibo e i mozziconi di sigarette sulla superficie del tavolo su cui si è appena finito di mangiare. Questa tecnica la chiama «fissazione»: sostiene che Pompei, con le sue rovine sepolte per sempre dalla lava, costituisce uno degli esempi più eloquenti di fissazione spontanea. Tinguely fabbrica «metalmeccaniche», macchine assurde fatte di ferraglia e altro materiale fuori uso, apparecchi complicati, rumorosi, irritanti e perfettamente gratuiti. […]

Nessuno si sorprende o protesta. Il mercante guarda, tace o accaparra. E si direbbe che il grosso pubblico abbia smesso d’interessarsi all’arte contemporanea. È arrivato col fiato grosso fino a Picasso. Ora sembra aver rinunciato a capire. Le stravaganze d’un Yves Klein che si è agitato con le sue cravatte a farfallina, i suoi gilets originali, le sue esibizioni di «judo», apparivano inutili. Era inutile che inventasse la «Sinfonia monotona» composta su una nota sola, che vendesse il vuoto dopo averlo «esposto» in una galleria dalle pareti sgombre, che si sposasse in pompa magna: anche senza queste esibizioni di gusto anarcoide surrealista, avrebbe venduto lo stesso le sue «monocromie» rosa oro e blu. Lo stesso discorso vale per le sue «antropometrie», quadri eseguiti strusciando contro la tela delle donne nude imbrattate di colore, e infine per i quadri dipinti col lanciafiamme, ultima tecnica escogitata da questo «nuovo realista» poco prima di morire di crisi cardiaca a Parigi, il 6 giugno 1962, all’età di trentaquattro anni. […]

Perché quest’arte, oggi? Ecco cosa scrive Michel Ragon, uno dei massimi ideologi del «nouveau réalisme»: «Tanto in Europa quanto negli Stati Uniti d’America, stiamo scoprendo un nuovo significato della natura, della nostra natura contemporanea, industriale, meccanica, pubblicitaria. Alcuni artisti d’oggi sono dei naturalisti d’un genere speciale. Più che rappresentare, presentano la natura moderna. Il luogo comune, il rifiuto, l’oggetto in serie vengono strappati dal nulla della contingenza e dal regno dell’inerzia: l’artista se ne è impossessato; impossessandosene, conferisce loro una piena, completa vocazione significante...». Il dadaista Man Ray, che pressappoco fabbricava la stessa paccottiglia, è molto più spiccio e malizioso, quando parla del suo lavoro: «In arte – è solito dire – cerco solo due cose, il piacere e la libertà. Ai miei tempi lavoravamo solo perché ci divertiva lavorare. Sapevamo che quel che si faceva era invendibile. Ora invece tutto è commercio, tutto si vende». E a questo punto fa una pausa. «Tutto si vende carissimo», aggiunge.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 32 05/02/19 10:26

33Giancarlo Marmori – Pop e happening

Domande guida per la comprensione1 Individua e commenta la tesi di Giancarlo Marmori.2 Perché, secondo l’autore, il movimento del «nouveau réalisme» riscuote tanto suc-

cesso tra i giovani?3 A che scopo Marmori si sofferma sulla recente valutazione commerciale delle opere

di Man Ray?4 Che tono assume l’autore nel descrivere le opere degli artisti citati e per quale ragio-

ne?5 Quale valore assumono le due citazioni nel paragrafo finale?6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataImmagina di confrontarti con il visitatore di una mostra nouveau réaliste del 1960: spie-ga l’importanza, o il disvalore, che a tuo avviso assumono le opere degli artisti citati in quel contesto storico.

Ipotesi b: produzione poco vincolataPensi che le opere dei nouveaux réalistes siano ancora attuali? Quali oggetti impieghe-rebbero oggi gli esponenti del movimento e con quale finalità? Scrivi un testo argomen-tativo esprimendo il tuo punto di vista.

33587_EsamediStato_bz3.indd 33 05/02/19 10:26

34

Gillo DorflesIntroduzionein Oscillazioni del gusto. L’arte d’oggi fra tecnocrazia e consumismo, Torino 1970, pp. 11-13

I fenomeni di cui intendo trattare in queste brevi pagine riguardano in prevalenza quella curiosa costante – anzi dovremmo chiamarla «incostante» – psicologico-

estetica che di solito va sotto il nome di «gusto» e risultano quanto mai mutevoli, instabili, imprecisabili, soggetti a risentimenti, preferenze, umori individuali, e, già di per sé, gonfi di equivoci e di incertezze.

Sono, perciò, ben consapevole di addentrarmi in un campo minato che si presta, come pochi altri, al fraintendimento e all’incomprensione. Ma, chi voglia, come nel caso attuale, ragionare appunto di incomprensione dell’arte da parte del pubblico deve anche esporsi al rischio di restare a sua volta incompreso e di vedere le proprie opinioni accettate soltanto in un secondo tempo: quando cioè i «gusti» del suo stesso pubblico si siano sufficientemente aggiornati.

Il primo punto che vorrei chiarire, sin da queste prime righe – uno dei punti cruciali su cui intendo soffermarmi – è quello della scissione, della dicotomia (o tricotomia?) tra le diverse categorie culturali. Non abbiamo mai assistito, credo, come ai nostri giorni, ad uno scindersi dell’arte – e in genere della scienza della filosofia della cultura — a seconda di raggruppamenti culturali, piuttosto che sociali, economici, politici. Non si tratta più d’una suddivisione in classi, o in ceti socialmente più o meno evoluti ma del verificarsi di vere e proprie paratie stagne che dividono tra di loro i diversi gradini della cultura e li rendono tra di loro incomunicabili.

È opportuno, quindi, fare una precisazione circa le varie stratificazioni del gusto, che sono basate essenzialmente sulla distinzione in raggruppamenti culturali. E non c’è dubbio che questa è una sorta di distinzione non verificatasi mai per il passato.

Non mi risulta che le grandi cattedrali gotiche o i grandi cicli d’affreschi romanici o di mosaici bizantini fossero tenuti in poco conto dalle genti dell’epoca, tanto dalle classi dominanti (che le commettevano all’artista) quanto dal «popolino» che, affascinato, le contemplava e per il quale, molto spesso per ragioni pratiche (religiose, sociali, politiche) erano state fatte eseguire.

Il paragone che spesso è stato azzardato tra il fumetto odierno e le storie dell’Antico Testamento di Benozzo Gozzoli, non è poi tanto assurdo: molta arte – grande arte – del passato aveva innanzitutto una funzione narrativa, di informazione spicciola, quale oggi può avere un giornale a rotocalco. Con una sostanziale differenza: che il fumetto (e non parlo qui del sofisticatissimo fumetto tipo Jodelle, Barbarella o Valentina ma di quello più trito e triviale) possiede ben poco d’artistico, a differenza del ciclo di affreschi medievali.

Siamo giunti, allora, al punto cruciale del discorso: molto di quello che oggi si

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 34 05/02/19 10:26

35Gillo Dorfles – Introduzione

considera «arte» (la maggior parte dell’arte d’avanguardia) è destinata esclusivamente ad un’élite intellettuale, mentre quello che va in mano all’uomo della strada (e anche al grosso industriale, o haute economico-finanziaria), dell’arte non ha che l’apparenza esterna, la mascheratura.

Questa discrepanza, che assume tinte particolarmente fosche quando, dall’arte visuale, passiamo alla musica di consumo, al cinema, alla TV, alla narrativa rosa-gialla e pornografica, costituisce sostanzialmente la vera ragione per l’incomprensione dell’arte «vera» da un lato, e per le rapide oscillazioni del gusto dall’altro. Oscillazioni rese inevitabili dalla scarsa eco che le forme esasperate dell’arte d’avanguardia trovano presso i non iniziati.

Forse aveva visto giusto David Hume quando poneva le due costanti della novelty e della facility a base della comprensione e dell’apprezzamento dell’opera d’arte. Senza novità – egli affermava – non c’è interesse e non c’è richiamo da parte dell’opera; ma d’altro canto senza un po’ di facility – ossia di conoscenza anticipata dell’opera e di agevolezza a comprenderla non c’è neppure facile adesione da parte del pubblico. Il pubblico, dunque, voleva sempre il nuovo, ma un nuovo che si potesse decifrare. (E vedremo in seguito quanto queste osservazioni si apparentino a quelle basate sulle recenti estetiche derivate dalla teoria dell’informazione!).

Oggi, comunque, le cose vanno forse peggio ancora che ai tempi di Hume: il pubblico, in realtà, vuole sempre il vecchio (piuttosto del nuovo) o un nuovo che sia altrettanto facilmente comprensibile del vecchio, dove la facility sia integrale e non richieda neppure un briciolo di difficulty per essere decifrata.

Da quanto detto appare evidente come sia importante il discorso attorno all’incomprensione dell’arte moderna e alle oscillazioni del gusto che spesso la determinano. E intendo per «incomprensione» una istintiva diffidenza di fronte a buona parte delle manifestazioni più interessanti e vitali dell’arte odierna. Da parecchio tempo, ponendo mente ai fatti or ora accennati, che non credo abbiano equivalenti storici precisi, ho cercato di identificare quali fossero alcune delle cause – tecniche, sociali, etiche, politiche, psicologiche — poste alla base di questo curioso fenomeno estetico, e che potessero permettere di puntualizzare un tipico atteggiamento della nostra epoca. Non mi sarà certo possibile sviscerare, in pochi e succinti capoversi, una materia così complessa e fluida, come quella che intendo trattare, ma spero almeno di poter seminare in alcune menti indurite da una tradizione malintesa o da una cultura arrugginita, il germe d’un dubbio che permetta di guardare con maggior duttilità alle misteriose trame create dal gusto ed alle sue pericolose oscillazioni...

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 35 05/02/19 10:26

36 Gillo Dorfles – Introduzione

Domande guida per la comprensione1 Perché Gillo Dorfles ritiene il gusto una «incostante»? 2 A quali categorie culturali allude l’autore nel terzo e nei successivi paragrafi? Perché

le considera tra loro non comunicanti?3 Chiarisci con parole tue affinità e differenze tra gli affreschi di Benozzo Gozzoli e i

fumetti.4 Cosa si intende con novelty e facility? 5 Perché secondo l’autore l’arte del presente rimane incompresa dal pubblico? 6 Riassumi il testo in 250 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataImmagina di dialogare con Gillo Dorfles a proposito dei social e delle stories che vi appaiono quotidianamente. In massimo tre colonne spiega il valore dei nuovi mezzi di comunicazione nella società ricorrendo alle categorie culturali descritte dall’autore.

Ipotesi b: produzione poco vincolataScrivi un testo argomentativo sulla popolarità del vintage. Precisa, in particolare, se dal tuo punto di vista tale successo sia spiegabile attraverso le categorie di facility e difficulty.

33587_EsamediStato_bz3.indd 36 05/02/19 10:26

37

Giulio Carlo ArganL’attentato alla Gioconda (1974)in Occasioni di critica, Roma 1981, pp. 11-13

Il meccanismo psicologico degli attentati ai capolavori, prima alla Pietà in San Pietro poi alla Gioconda in missione diplomatica a Tokyo, me l’ha spiegato un illustre

psicanalista. Nell’opinione comune sono i simboli della creatività umana; la società dei consumi respinge, com’è nella sua logica, gli impulsi creativi; questi, mutando il segno da positivo in negativo, si manifestano come incontrollabili pulsioni distruttive. Il gesto iconoclastico sarebbe insomma l’espressione di una creatività frustrata, respinta nell’inconscio invece che risolta, come fa l’artista, sul piano della coscienza, in termini di valori.

Indubbiamente, nello sciagurato istante del raptus, la donna di Tokyo che ha attentato alla Gioconda si è identificata con Leonardo, oltrepassando la barriera delle censure psichiche e delle guardie armate. Ha ripreso e paradossalmente seguitato l’opera del maestro, trasponendola brutalmente nel qui-ora dell’esistenza, nell’aura di questa nostra cultura alienata, in cui l’opera creativa viene sistematicamente disdetta e scongiurata, potenzialmente quando non materialmente soppressa. Come gli anarchici della belle époque, anche quella donna voleva colpire l’idea attraverso la cosa; ma intanto, dei presenti, era la sola ad aver capito che nella cosa c’era un’idea, e che era stata vergognosamente vilipesa mandandola in visita di cortesia e di propaganda, esibita dietro cristalli blindati come un pesce raro nell’acquario.

L’idea che la donna preferiva contestare e distruggere piuttosto che vedere avvilita, era l’idea dell’autenticità dell’opera d’arte. La decisione di spedire in Giappone la Gioconda era dissennata per i pericoli obbiettivi a cui sarebbe stata esposta. Più grave, però, era il falso ideologico: la retorica del capolavoro universale (ma si vada a vedere come l’hanno sistemato nel nuovo, sciovinistico ordinamento del Louvre), lo sfoggio pubblicitario delle misure protettive, la cifra astronomica dell’inutile assicurazione.

Più offensivo ancora il falso critico, metodologico. Tutto il mondo conosce la Gioconda dalle infinite riproduzioni: le finezze dell’originale, che nessuna riproduzione può rendere, soltanto pochi specialisti possono coglierle, e neppur questi al di là di un cristallo a prova di proiettile e di dubbia trasparenza, nei pochi secondi concessi ai visitatori incolonnati. Che altro potevano acquistare, le migliaia di giapponesi che facevano la fila per ore, se non la confortante conferma che alla sorgente delle innumerevoli riproduzioni c’era davvero un originale? Come l’emozione di vedere per un momento in carne ed ossa, tra la folla, l’attrice famosa che tante volte s’è veduta sullo schermo, in nero e a colori, vestita e spogliata.

Soltanto per questo o per banali motivi di opportunità politica s’è mandato allo sbaraglio un capolavoro? Non soltanto per questo. Si sa che in epoca industriale non è il prototipo che conta, ma la serie delle sue riproduzioni: se la gente constata che la

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 37 05/02/19 10:26

38 Giulio Carlo Argan – L’attentato alla Gioconda (1974)

riproduzione meccanica è come l’originale, magari anche meglio, sarà soddisfatta nel suo orgoglio tecnologico, a maggior gloria del sistema. Ci voleva proprio la donnina col suo barattolo di vernice rossa per far capire a tutti, francesi e giapponesi (ma l’avranno capito?), che un originale è un originale e non il prototipo delle sue riproduzioni?

Non ho chiesto allo psicanalista di spiegarmi il meccanismo psicologico della concessione del prestito, ci arrivavo da me. Qui non si trattava d’inconscio ma di cattiva cultura: la solita frottola dell’arte ambasciatrice della civiltà occidentale, del culto del bello che affratella i popoli. Purtroppo, benché Duchamp fosse un grande artista francese, non ha insegnato nulla ai governanti del suo paese. Il senso critico e in certo senso metafisico, comunque metalinguistico, dei baffi e della barba scarabocchiati su una riproduzione della Gioconda l’ha indovinato, chi sa come, la donna del barattolo, con il suo gesto ultradadaista contro l’originale degradato, ridotto alla riproduzione di se stesso. Non l’hanno capito i francesi, che hanno trattato la Gioconda col cerimoniale dovuto ai capi di Stato, ma senza il rispetto e la discrezione che si debbono alle opere d’arte.

Domande guida per la comprensione1 In quale paragrafo si trova la tesi di Giulio Carlo Argan? Riassumila.2 Per quale ragione l’autore ricorre all’artificio retorico dello psicanalista?3 Cosa intende Argan con «falso ideologico»?4 Cosa intende Argan con «falso metodologico»?5 Secondo Argan che valore assume la visione della Gioconda nell’epoca industriale?

Ritieni che la sua opinione sia corretta?6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo argomentativo in cui sostieni o confuti la tesi dell’autore prendendo come esempio altri celebri attentati a opere d’arte.

Ipotesi b: produzione poco vincolataIn massimo tre colonne di testo, esprimi la tua posizione sui prestiti di capolavori del passato a mostre di livello internazionale.

40

45

50

33587_EsamediStato_bz3.indd 38 05/02/19 10:26

39

Hans BeltingArte e realtàin La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte, Einaudi, Torino 1990, pp. 21-23

È noto che alcune teorie dell’arte negano recisamente che essa abbia una relazione con la realtà. Una variante consueta consiste nella visione dell’arte come bella

illusione che maschera o trasforma la realtà. Una versione utopistica presenta invece l’arte come immagine di un possibile futuro, o promessa di felicità individuale. Ma anche le concezioni che vedono l’arte solo come realtà illusoria o proiezione di una realtà, offrono possibilità per una vera ricerca storica, poiché anch’esse interpretano la realtà, direttamente o indirettamente, positivamente o negativamente. La realtà si materializza dapprima nella mente dell’individuo che la interpreta (nel nostro caso l’artista) e poi di nuovo nella mente dell’individuo che comprende tale interpretazione e la accetta o la respinge (nel nostro caso l’osservatore). Così, la mimesis artistica esprime sempre un’esperienza della realtà. Il riferimento alla realtà si dà anche in casi di estremo camuffamento o codificazione estetici, e questo vale, per quanto in modi difficilmente prevedibili, anche per l’arte del XX secolo. Sto pensando alle pretese mistiche della cosiddetta arte astratta di rendere visibile l’invisibile e di rivelare le leggi naturali nascoste dietro le superfici percettive. Tanto Max Beckmann quando parlava di trasferire «la magia della realtà nella pittura», quanto Paul Klee quando diceva che «l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile», mettevano l’arte in rapporto con la realtà. La realtà non è mai ciò che sembra essere ad un primo sguardo. Anche l’apparente antitesi dell’astrazione l’iperrealismo, non è che una tra le strategie possibili della percezione poiché la riproduzione della realtà non è solo questione di tecnica. Neanche un mezzo che si autoproclama di documentazione oggettiva, quale la fotografia, ha mantenuto la sua promessa ed è divenuto, nelle mani e con gli occhi del fotografo, un veicolo altamente personale di interpretazione. Virtualmente si potrebbero annoverare tante valutazioni della fotografia quanti sono i modi di vedere e rappresentare il mondo.

Nel secolo XIX l’artista uscì dallo studio per osservare la natura in modo diverso da come il canone o la tradizione di bottega avevano tramandato. Ma la natura non fu l’esclusivo oggetto d’indagine: l’artista cominciò ad analizzare la civiltà contemporanea i cui aspetti urbani e industriali lo colpivano come la quintessenza del «moderno». E la vita moderna mise in gioco soggetti e temi sconosciuti alla vecchia gerarchia accademica dei generi, come per esempio la tecnologia o la metropoli.

Ma anche naturalismo e realismo, nella versione originaria di Courbet e della sua generazione, non riuscirono alla lunga a dare significato e funzione all’arte, che già stazionava ai margini della società. Ogni «riproduzione» soffriva della totale inadeguatezza o della incostanza di una realtà di cui non poteva tenere il passo. I diversi

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 39 05/02/19 10:26

40 Hans Belting – Arte e realtà

stili erano compromessi sia dal loro pluralismo che dalla loro ampollosità. Cosi nacque il desiderio di una realtà intatta e contemporaneamente di una convincente «verità» in arte che si dovesse manifestare in uno stile autentico atemporale. Le utopie sociali del modernismo si servirono delle forme di un’arte ideale. D’altro canto, la tensione tra arte e vita, tra artista e pubblico, continuò ad esistere anche quando gli artisti si ritirarono in mondi privati creati soltanto per le loro visioni personali.

Nel secolo XIX, l’arte si trovò estraniata dalla percezione ordinaria e cosi creò nuovi modi di vedere la realtà. Liberata da compiti riproduttivi e da funzioni sociali convenzionali, poté formulare una sua strategia percettiva. Ma i nuovi modi rinviavano inevitabilmente a quelli vecchi, alle banali, false e culturalmente esaurite formule per la riproduzione della realtà. Il naturalismo aderì alle promesse di obiettività delle scienze naturali, mentre il simbolismo, a sua volta, enfatizzò le distanze da tali ambizioni. Infine, rifiutando una visione del mondo statica e la prospettiva lineare, l’arte si indirizzò verso modi della visione prelinguistici e non più determinati culturalmente. Le «réalités inconnues» (Monet) sono sempre distinte da una realtà nota. Ma, sebbene tali artisti rivendicassero l’accesso ad una realtà atemporale, anche quest’ultima, in definitiva, è comprensibile solo se calata nel suo tempo. (È in tal senso che Peter Gay, nel suo libro Art and Act ha ricostruito i contesti storici di Manet, Gropius e Mondrian). I «nouveaux réalistes» cercarono di porre fine all’estraniamento dalla cultura di massa a cui era giunta la pittura astratta. Provocazioni, giochi mentali e ottici, obbligarono l’osservatore a riflettere sulla sua realtà e nello stesso tempo a riconoscere le proprie aspettative artistiche. Arte e vita, illuminandosi o negandosi reciprocamente, risultarono contemporaneamente a disposizione. La storia di questo confronto potrebbe estendersi ad libitum. Nel nostro caso tutto ciò quanto meno legittima il discorso sulla realtà ogni qualvolta si parli di arte, poiché la relazione risulta immanente alla forma dell’opera che, in quanto immagine o controimmagine, ha sempre e comunque dialogato con una riconoscibile forma di realtà. A siffatta relazione – o dialogo – si aggiunge la conoscenza di altre e precedenti enunciazioni sulla realtà che l’artista incontra nella storia dell’arte e dalle quali può mutuare correzioni o ricevere appoggio.

Domande guida per la comprensione1 In quale paragrafo Hans Belting espone la sua tesi e cosa enuncia?2 Cosa si intende per «mimesis artistica»?3 Perché secondo Belting la fotografia è un «veicolo altamente personale di interpre-

tazione»?4 Spiega il rapporto tra artista e società nel XIX secolo ricorrendo alle parole dell’autore.5 Quale ruolo assume il riferimento ai «nouveaux réalistes» nella chiusa del testo?6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

40

45

50

55

60

33587_EsamediStato_bz3.indd 40 05/02/19 10:26

41Hans Belting – Arte e realtà

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataSu massimo tre colonne di foglio protocollo spiega se ritieni convincenti gli esempi arti-stici descritti da Belting e prova ad aggiungerne altri riferiti al XX secolo.

Ipotesi b: produzione poco vincolataPartendo dalla citazione di Paul Klee scrivi un testo argomentativo in cui sostieni o con-futi la tesi di Belting relativamente all’arte astratta.

33587_EsamediStato_bz3.indd 41 05/02/19 10:26

42

Harold RosenbergArte e parolein La s-definizione dell’arte, Feltrinelli Editore, Milano 1975, pp. 51-54

Un quadro o una scultura contemporanei sono una specie di centauro, fatto per metà di materiali artistici e per metà di parole. Queste ultime costituiscono l’elemento

vitale e stimolante, capace fra l’altro di far diventare artistico ogni materiale (epoxy, tubi luminosi, corde, pietre, terra). È la sostanza verbale a stabilire la tradizione visiva nella quale una certa opera va situata, a collocare ad esempio un Newman nella prospettiva dell’espressionismo astratto piuttosto che in quella del Bauhaus o dell’astrazione matematica. Ogni opera moderna è partecipe delle concezioni da cui trae origine il suo stile. La sua secrezione linguistica interpone fra essa e l’occhio una  bruma interpretativa;  il suo prestigio, il suo potere di sopravvivenza e la sua capacità di prolungare  la propria esistenza attraverso le discendenze estetiche nascono al di fuori del quasi-miraggio. Il significato storico-artistico conferito da Duchamp e dai suoi commentatori a una ruota di bicicletta ha determinato il continuo risorgere di quell’oggetto per induzione, come se si trattasse di un’Annunciazione, di un’immagine indispensabile alla vita spirituale contemporanea. La sua rinascita più recente è la Ruota di bicicletta in moto perpetuo di Marcel Duchamp dell’artista cinetico Takis.

Nel secolo scorso si credeva che eliminando dal quadro il soggetto (paesaggio, persone, scene familiari, episodi storici, simboli) si svincolasse l’immagine fissata sulla tela da ogni riferimento letterario e si aprisse la via a una corretta risposta della vista ai dati ottici. Man mano che l’arte veniva facendosi sempre più astratta, si è pensato che avesse ormai raggiunto il livello del mutismo o vi fosse stata ridotta. La mostra “Arte del reale”, allestita dal Museum of Modern Art, ha presentato le sue scelte come blocchi di realtà grezza, interamente liberata dal linguaggio; con i suoi quadri neri, Ad Reinhardt aspirava a un materiale equivalente ai silenzi del suo amico trappista Thomas Merton. L’opinione comune è stata di recente così riassunta: “L’arte moderna ha eliminato dalle tele il correlativo verbale”. Può darsi. Ma il fatto che un’opera d’arte contemporanea non abbia più un correlativo verbale è dovuto al dissolversi del suo carattere particolare in un mare di parole. Certo, il linguaggio letterario è stato bandito, e un quadro non è più considerato come metafora di un’esperienza accessibile sia alle parole che alle opere. Ma il posto della letteratura è stato preso dalla retorica dei concetti astratti.

Un quadro d’avanguardia dei nostri tempi solleva inevitabilmente nell’osservatore un conflitto fra vista e intelletto; per dirla con Thomas Hess, la nascita d’ogni movimento artistico modernista rammenta la favola del vestito nuovo dell’imperatore. Se si deve accettare un’opera rappresentativa di una nuova moda, occorre risolvere il conflitto vista/intelletto a favore del secondo termine, e cioè del linguaggio assorbito nell’opera. Di per sé, l’occhio è incapace di far breccia nel sistema intellettuale per il quale oggi

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 42 05/02/19 10:26

43Harold Rosenberg – Arte e parole

si distingue fra oggetti che sono arte e quelli che non lo sono. Data la sua primitiva funzione, che è di distinguere gli oggetti esposti in una vetrina da quelli visibili su un’autostrada, l’occhio vedrà in un Noland il disegno di un edificio e in un Judd un cumulo di bidoni metallici – finché il suo eccessivo filisteismo non soccombe al brusio delle formule che parlano di passaggi cromatici e spaziali e magari di percezione ottica  (il tutto, naturalmente, anche se l’occhio non lo vede).  Non è certo esagerato affermare che i quadri d’oggigiorno si percepiscono con le orecchie. […]

Non potendosi fare affidamento sull’occhio e sulle analogie che esso scopre nella comune esperienza, la prima regola da osservare quando si prende in esame l’arte moderna è quella di non dire mai che un dipinto o una scultura somiglia (o è) un oggetto che non sia un’opera d’arte; una scultura consistente in una tavola rossa non deve in nessun caso essere considerata come una tavola rossa, né una serie di cubi di plexiglass come un’attrezzatura da magazzino. Quando Theodore Roosevelt, in occasione dell’“Armory Show” del 1913, osservava che Il nudo che scende le scale di Duchamp gli ricordava una “coperta navajo”, commetteva un archetipico faux pas critico. L’arte è il prodotto di un cerimoniale, e trascurarne l’intelaiatura intellettuale per ridurla ai suoi elementi fisici è un gesto barbaro, come servirsi di una stola sacerdotale per spolverare; nella storia dell’imperatore tutto il succo sta nel fatto che c’era un bambino il quale, ignorante alle regole, sosteneva che l’imperatore era nudo. Come scultura, una tavola dipinta è non solo la sua sostanza materica, ma la cristallizzazione di un momento dell’incessante dibattito sulla natura dell’arte – un elemento intellettuale di cui le tavole accatastate nei depositi di legname sono prive. Inserita in questo discorso, la tavola, o un imballaggio di Christo, diviene un dato, quantunque non necessariamente profondo e desiderabile, della nostra cultura estetica. Il divieto di dichiarare ciò che un dipinto o una scultura “sono realmente”, è una conseguenza dell’aspetto verbale dell’arte moderna, e per lasciare intatta l’arte occorre aumentare continuamente il potere delle parole. Il linguaggio, separando da tutti gli altri oggetti naturali quello che indica come quadro o scultura, rafforza lo status mitico o sacrale dell’arte, senza bisogno del mito o della religione. Il tabù che proibisce di assimilare descrittivamente un dipinto a una retorica generale dell’esperienza visiva, e di riferirsi negli stessi termini a una tela a strisce e a una tovaglia a strisce, rappresenta una versione novecentesca della messa al bando della bestemmia. Per più di un secolo le correnti artistiche radicali hanno reclamato la “dissacrazione” dell’arte e la scomparsa d’ogni barriera fra questa e la vita. Simili sforzi sono destinati a fallire nella misura in cui la parola “arte” continua a riferirsi a una particolare categoria di oggetti. Indipendentemente dal carattere anti-artistico dei dipinti moderni, la loro componente verbale li separa dalle immagini e dalle cose meramente vedute, e li trasporta in un regno fondato sull’interrelazione intellettuale fra le opere d’arte. I quadri e le sculture, a prescindere dalla loro capacità di sbarazzarsi del soggetto, continuano a offrire come argomento fondamentale la storia dell’arte fattasi ormai consapevole di sé. Senza questo contenuto invisibile, l’arte non esisterebbe più, anche se certe persone, e fra esse i bambini di due anni, le nonne e i disegnatori di automobili, possono continuare a soddisfare l’impulso di rendere attraenti le cose mediante la forma e il colore.

40

45

50

55

60

65

70

75

33587_EsamediStato_bz3.indd 43 05/02/19 10:26

44 Harold Rosenberg – Arte e parole

Domande guida per la comprensione1 Assegna a ciascuno dei quattro paragrafi del testo il relativo contenuto scegliendo tra

le soluzioni sottostanti:• Ragioni e contraddizioni del procedimento critico odierno• Differenza tra l’opinione degli interpreti e quella di Rosenberg• Definizione dell’opera d’arte come prodotto letterario• Preminenza del dato intellettuale su quello visivo

2 A chi si contrappone Rosenberg e quali ragioni porta a sostegno della sua tesi?3 A che proposito l’autore ricorre alla metafora dell’imperatore nudo di Thomas Hess?4 Secondo Rosenberg quando, storicamente, l’opera d’arte inizia ad assumere un carat-

tere letterario? A quale artista spetta questo primato?5 In che senso Theodore Roosevelt ha commesso il primo faux pas critico?6 Riassumi il testo in 250 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataSu massimo tre colonne di foglio protocollo sostieni o confuta la tesi di Rosenberg. Basa le tue argomentazioni sull’esempio di opere del secondo dopoguerra che ritieni utili a proposito.

Ipotesi b: produzione poco vincolataEsprimi le tue aspettative sulla critica d’arte contemporanea individuando su quali aspetti storico-culturali essa dovrebbe soffermarsi.

33587_EsamediStato_bz3.indd 44 05/02/19 10:26

45

Manifesto pittura muralein «La Colonna» dicembre 1933, pp. 11-12

Il Fascismo è stile di vita: è la vita stessa degli Italiani. Nessuna formula riuscirà mai a esprimerlo compiutamente e tanto meno a contenerlo. Del pari, nessuna formula

riuscirà mai a esprimere e tanto meno a contenere ciò che si intende qui per Arte Fascista, cioè a dire un’arte che è l’espressione plastica dello spirito Fascista.

L’Arte Fascista si verrà delineando a poco a poco, e come risultato della lunga fatica dei migliori. Quello che fin d’ora si può e si deve fare, è sgombrare il problema che si pone agli artisti dai molti equivoci che sussistono.

Nello Stato Fascista l’arte viene ad avere una funzione sociale: una funzione educatrice. Essa deve tradurre l’etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L’arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale.

La concezione individualista dell’«arte per l’arte» è superata. Deriva di qui una profonda incompatibilità tra i fini che l’Arte Fascista si propone e tutte quelle forme d’arte che nascono dall’arbitrio, dalla singolarizazione, dall’estetica particolare di un gruppo, di un cenacolo, di un’accademia. La grande inquietudine che turba tuttora l’arte europea è il prodotto di epoche spirituali in decomposizione. La pittura moderna, dopo anni e anni di esercitazioni tecnicistiche e di minuziose introspezioni dei fenomeni naturalistici di origine nordica, sente oggi il bisogno di una sintesi spirituale superiore.

L’Arte Fascista rinnega le ricerche, gli esperimenti, gli assaggi di cui tanto prolifico è stato il secolo scorso. Rinnega soprattutto «postumi» di essi esperimenti, che malauguratamente si sono prolungati fino al nostro tempo. Benché vari in apparenza e spesso divergenti, questi esperimenti derivano tutti da quella comune materialistica concezione della vita che fu la caratteristica del secolo passato, e che a noi non solo è estranea ma riesce profondamente odiosa. La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L’attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell’affresco, facilita l’impostazione del problema dell’Arte Fascista. Infatti: sia la pratica destinazione della pittura murale (edifici pubblici, luoghi comunque che hanno una civica funzione), siano le leggi che la governano, sia il prevalere in essa dell’elemento stilistico su quello emozionale, sia la sua intima associazione con l’architettura, vietano all’artista di cedere all’improvvisazione e ai facili virtuosismi. Lo costringono invece a temprarsi in quella esecuzione decisa e virile, che la tecnica stessa della pittura murale richiede: lo costringono a maturare la propria invenzione e a organizzarla compiutamente. Nessuna forma di pittura nella quale non predomini l’ordinamento e il rigore della composizione, nessuna forma di pittura «di genere» resistono alla prova delle grandi dimensioni e della tecnica murale.

Dalla pittura murale sorgerà lo «Stile Fascista», nel quale la nuova civiltà si potrà identificare. La funzione educatrice della pittura è soprattutto una questione di

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 45 05/02/19 10:26

46 Manifesto pittura murale

stile. Più che mediante soggetto (concezione comunista), è mediante la suggestione dell’ambiente, mediante lo stile che l’arte riuscirà a dare una impronta all’anima popolare.

Le questioni di «soggetto» sono di troppo facile soluzione per essere essenziali. La sola ortodossia politica del «soggetto» non basta: comodo ripiego dei falsi «contenutisti». Per essere consono allo spirito della Rivoluzione, lo stile della Pittura Fascista dovrà essere antico e a un tempo novissimo: dovrà risolutamente respingere la tendenza tuttora predominante di un’arte piccinamente abitudinaria, che poggia sopra un preteso e fondamentalmente falso «buon senso», e che rispecchia una mentalità né «moderna» né «tradizionale»; dovrà combattere quei pseudo «ritorni», che sono estetismo dozzinale e un palese oltraggio al vero sentimento di tradizione.

A ogni singolo artista poi, s’impone un problema di ordine morale. L’artista deve rinunciare a quell’egocentrismo che, ormai, non potrebbe che isterilire il suo spirito, e diventare un artista «militante», cioè a dire un artista che serve un’idea morale, e subordina la propria individualità all’opera collettiva.

Non si vuole propugnare con ciò un anonimato effettivo, che ripugna al temperamento italiano, ma un intimo senso di dedizione all’opera collettiva. Noi crediamo fermamente che l’artista deve ritornare a essere uomo tra gli uomini, come fu nelle epoche della nostra più alta civiltà.

Non si vuole propugnare tanto meno un ipotetico accordo sopra un’unica formula d’arte – il che praticamente risulterebbe impossibile – ma una precisa ed espressa volontà dell’artista di liberare l’arte sua dagli elementi soggettivi e arbitrari, e da quella speciosa originalità che è voluta e rinutrita dalla sola vanità.

Noi crediamo che l’imposizione volontaria di una disciplina di mestiere è utile a temprare i veri e autentici talenti. Le nostre grandi tradizioni di carattere prevalentemente decorativo, murale e stilistico, favoriscono potentemente la nascita di uno Stile Fascista. Tuttavia le affinità elettive con le grandi epoche del nostro passato, non possono essere sentite se non da chi ha una profonda comprensione del tempo nostro. La spiritualità del primo Rinascimento ci è più vicina del fasto dei grandi Veneziani. L’arte di Roma pagana e cristiana ci è più vicina di quella greca. Si è arrivati novamente alla pittura murale, in virtù dei principii estetici che sono maturati nello spirito italiano dalla guerra in qua. Non a caso ma per divinazione dei tempi, le più audaci ricerche dei pittori italiani si concentrano già da anni sulla tecnica murale e sui problemi di stile. La vita è segnata per il proseguimento di questi sforzi, fino al raggiungimento della necessaria unità.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 46 05/02/19 10:26

47Manifesto pittura murale

Domande guida per la comprensione1 Quale paragrafo esprime il cuore del manifesto e cosa sostiene?2 Perché lo Stato fascista privilegiava un’arte dalla chiara «funzione educatrice»? 3 Per quale ragione la pittura murale costituiva secondo gli autori una sintesi tra tradi-

zione e modernità?4 A cosa si deve il rifiuto della pittura da cavalletto?5 In che senso l’artista deve diventare «militante»? Esprimi il concetto con parole tue. 6 Riassumi il testo in 250 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataImmagina di conversare con un pittore murale del Ventennio. Scrivi un testo argomenta-tivo in cui gli consiglieresti le tecniche per dare vita nel presente a un’arte dal carattere educativo.

Ipotesi b: produzione poco vincolataCredi che l’arte oggi possa svolgere una funzione sociale? Scrivi un testo argomentativo prendendo in considerazione il lavoro di artisti attuali a te noti, i loro mezzi d’espressio-ne e lo stile impiegato.

33587_EsamediStato_bz3.indd 47 05/02/19 10:26

48

Marco SenaldiL’attesain «Artribune», n. 46, novembre-dicembre 2018, p. 118

È difficile dire come gli storici del futuro, fra ottanta o cento anni, giudicheranno questi primi, lividi decenni del XXI secolo. Quello che oggi a noi appare enigmatico

sembrerà certo, ai loro occhi, solo l’effetto finale di dinamiche ben note. Ma, se provassimo anche noi a osservare il presente da un punto di vista per cosi dire prospettico, forse ci si potrebbe almeno liberare dalla sgradevole sensazione di trovarsi a vivere nel momento sbagliato della storia.

In tal senso, una visita nelle grandi capitali occidentali della cultura, e ai loro neo-santuari dell’arte, non può che risultare istruttiva. Tra questi, uno dei più recenti, e dei più eclatanti, è certamente la parigina Fondation Louis Vuitton, che accoglie il fortunato visitatore – reciterebbe un ipotetico dépliant – con lo sfarzo postmodernista della sua architettura a vele sovrapposte, disassate e scomposte, quasi come i frammenti di un enorme guscio fracassato, dislocati in “pose inesplose” (Battisti-Panella).

Ma l’esperienza soggettiva del visitatore-tipo è del tutto diversa. Collocato con una estrema cortesia (come tale estremamente sospetta) nel bagnomaria di una coda che si infrange contro i bastioni di un metal detector degno di un aeroporto internazionale, viene sottoposto a un delicatissimo processo penitenziale di attesa che costituisce ormai non più l’eccezione, ma la regola d’accesso a ogni sia pur minimamente noto luogo di conservazione artistica o museale. (Piccola parentesi: affrettatevi dunque a correre a visitare qualunque museuzzo provinciale, soprattutto se semisconosciuto, polveroso, mezzo dimenticato – è assai probabile che proprio lì, liberi di entrare senza coda alcuna, anzi accolti con sorpresa dall’annoiato custode, si nasconda l’incerta, ma a volte esaltante, esperienza della scoperta, se non proprio della novità, almeno della non-ovvietà.)

Alla formidabile mole dell’edificio, e dei suoi non meno formidabili apparati di controllo, corrisponde del resto una stupefacente assuefazione della folla – una disciplina quasi inquietante, che il citato storico del futuro si troverà indiscutibilmente a dover spiegare. Sicuri che lo faccia, potremmo intanto, noi miseri abitanti del presente, azzardare un paio di ragioni: da un lato, occorre considerare il potente charme seduttivo esercitato dalla ricompensa promessa, cioè la mostra stessa; dall’altro, la capacità distraente, nel frattempo storicamente intervenuta, delle nuove tecnologie. Già: perché gli stessi algoritmi che sono stati in grado di trasformare lo scarabocchio di un archistar in un edificio che si regge miracolosamente in piedi, sono anche quelli che governano quei social media che, nell’attesa di visitarlo, tutti, indistintamente, compulsano.

L’attesa, appunto: ecco il mistero che resta insoluto. Perché il minimo che si possa dire è che l’attesa ha cambiato senso. Partorita nell’atroce modernità delle trincee della

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 48 05/02/19 10:26

49Marco Senaldi – L’attesa

Prima Guerra Mondiale, come attesa dell’attacco, del bombardamento, e infine della morte, essa è transitata poi dell’attesa del nulla esistenziale, nell’eclissi antonioniana o nelle solitarie domeniche oratoriane di Paolo Conte. Ma oggi l’attesa, da noioso contrattempo, è diventata un’opportunità fortunata, una provvidenziale finestra per controllare la corrispondenza elettronica, inviare un’immagine, postare un commento, rispondere a un “amico” e, insomma, esistere un po’ anche nel mondo virtuale.

Va bene – ma: e la mostra? Ah già, quasi uno se ne dimenticava: bene, una doppia retrospettiva di Egon Schiele e di Jean-Michel Basquiat, accomunati dal triste destino di essere morti entrambi all’età così immatura di ventotto anni. Ma, nella pulizia ineccepibile dell’allestimento, nell’illuminazione impeccabile, nello sguardo attento dei guardiasala, non traspare ormai niente della loro sofferenza esistenziale, niente del loro travaglio creativo, insomma niente di niente. Nella trasparenza totale di tutta la macchina espositiva, capace di scandagliare fino in fondo alle nostre borse e borsette, quello che si dovrebbe veramente vedere, quello per cui alla fine siamo qui, si è misteriosamente eclissato. Nelle teche che racchiudono i segni sgangherati di Jean-Michel, nelle cornici che serrano i tratti dolorosi di Egon, non resta più nulla. La visibilità ha finito per coincidere con l’opacità più completa.

Tutto cancellato: come l’attesa.

Domande guida per la comprensione1 Individua la tesi di Marco Senaldi e commentala. 2 A che proposito la Fondation Louis Vuitton viene definita un «neo-santuario dell’ar-

te»?3 Quale rapporto istituisce Senaldi tra la visita ai centri per l’arte contemporanea e

l’impiego dei social media? 4 Perché secondo l’autore il contenuto dell’esposizione viene «misteriosamente eclis-

sato»?5 Spiega la chiusa dell’articolo. In che senso l’attesa risulta cancellata?6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataRitieni come Senaldi che la visita a centri e musei di arte contemporanea avvenga ormai in maniera rituale, senza che il visitatore provi alcuna suggestione estetica? Esprimi la tua opinione in un testo di massimo tre colonne.

Ipotesi b: produzione poco vincolataIndividua altri esempi di fondazioni culturali patrocinate da case di moda. In un testo argomentativo spiega che valore assume, secondo te, il ricorso al mondo dell’arte per queste aziende quanto i vantaggi, o i danni, per l’intera comunità.

40

45

50

33587_EsamediStato_bz3.indd 49 05/02/19 10:26

50

Mario CucinellaQuest’Italia che non vuole più progettarein «Il Giornale dell’Arte», n. 390, ottobre 2018, pp. 1; 8

Di fronte alla tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova è necessario capire che il tempo è importante. E che ne servirà molto. Ciò che invece è emerso finora da parte

di una politica allo sbaraglio è una fretta ingiustificata, potenzialmente pericolosa, frutto delle urgenze della stessa politica, della propaganda e della ricerca del consenso, e non invece funzionale a raggiungere l’obiettivo migliore e più utile. Una fretta che non è certo un buon servizio né ai cittadini né all’architettura, e quindi neanche al futuro nuovo ponte. Come spesso accade nel nostro Paese, ministri e amministratori si sono affannati a trovare la soluzione più rapida, quando invece sarebbe sempre opportuno attivare riflessioni serie, mettendo attorno a un tavolo persone competenti che possano fornire indicazioni in merito a modalità, strumenti e obiettivi. Un tavolo di discussione che, in questo caso specifico, dovrebbe coinvolgere anche i residenti e i cittadini, che devono partecipare e devono capire.

Perché non dimentichiamo che il ponte Morandi, lì dove sorgeva, costituiva comunque da decenni un problema da affrontare e risolvere. Se le modalità della ricostruzione possono essere molte (da un nuovo viadotto al suo spostamento su un altro tracciato, come pure è stato suggerito, ma non recepito), niente toglie alla generosità di Renzo Piano che in qualche modo ha tolto dall’imbarazzo la politica nel gestire con tempestività una fase concorsuale (bastavano due mesi). L’obiettivo è però uno solo: avere un quartiere e una città migliori. È questo il compito più alto della progettazione architettonica. Ma in Italia l’architettura non interessa alla politica, così come non interessano la progettazione e la pianificazione urbana. Non interessano oggi così come non interessavano ai precedenti Governi.

E infatti l’Italia è un Paese che ancora attende una legge sull’architettura (e la riforma della professione), privo di procedure standard e di strumenti per affrontare le emergenze, come ha tristemente dimostrato anche la risposta ai danni del terremoto, per lo più impreparata e inefficace. Non ho mai sentito un presidente del Consiglio dei Ministri parlare di architettura. Ma questo silenzio è soltanto una delle tante dimostrazioni del fatto che in Italia l’architettura non è intesa come strumento di rappresentazione non soltanto della politica, ma più in generale della collettività e dell’intero Paese. Eppure il crollo del Ponte Morandi ha inciso fortemente sull’immagine dell’Italia nel mondo. Ma è altrettanto vero che un grande progetto potrebbe contribuire [...] e divenire simbolo di rinascita.

Quali sono, si chiedono in molti, le modalità corrette per assumere la decisione migliore in merito alla ricostruzione di quel viadotto? Non certo la fretta, dicevamo. E invece il dibattito recente si è concentrato soprattutto sui tempi, piuttosto che sui modi. Sui costruttori, piuttosto che sui progettisti e sui progetti. Il Governo ha subito pensato alla

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 50 05/02/19 10:26

51Mario Cucinella – Quest’Italia che non vuole più progettare

fase della costruzione, indicando addirittura l’impresa a cui affidare i lavori, ma non ha dedicato altrettanta attenzione (anche in termini di comunicazione a cittadini e organi di informazione) a una fase seria di progettazione (memento preliminare e fondamentale), magari attraverso un grande concorso internazionale in cui coinvolgere i migliori nomi possibili. Tutto ciò può essere realizzato soltanto attraverso una visione globale del Paese e del suo futuro, che guardi e traguardi le politiche dei prossimi decenni. Ma l’Italia è un Paese che vive costantemente in affanno, nella perenne gestione dell’emergenza. Si parla di hardware e non di software, si farfuglia, si cerca consenso immediato, si rifugge ogni atto di coraggio. È necessario un piano strategico, di medio-lungo termine, che definisca la visione complessiva sui temi delle infrastrutture, della mobilità e del paesaggio. È una questione complessa. Senza ansie da prestazione, ma anche senza l’arroganza di tanti politici egocentrici, ci si faccia aiutare. Si chiamino esperti e consulenti che facciano la loro parte per il futuro dell’Italia. Non sono mai stato personalmente indulgente nei confronti della categoria professionale degli architetti, ma la politica dovrebbe capire che proprio gli architetti hanno un grosso vantaggio: lavorano su un futuro sempre pieno di insidie e trappole, sono obbligati a proiettarsi verso il tempo del progetto realizzato, che è sempre il domani.

Diamo loro credito: sono tra i pochi rimasti, nella società civile, a guardare in prospettiva e a elaborare visioni e strategie. I politici e gli amministratori li coinvolgano e li ascoltino, perché la progettazione architettonica, urbanistica e paesaggistica possa anche in Italia essere il simbolo delle nostre competenze e capacità intellettuali e creative. L’architettura torni a essere il luogo in cui si sostanzia il sistema Paese, in cui si manifestano il suo coraggio e la fiducia in se stesso. Nonostante tutto.

Domande guida per la comprensione1 In che paragrafo si trova la tesi di Mario Cucinella e cosa enuncia? 2 Cucinella ritiene che per affrontare il problema del viadotto genovese sia fondamen-

tale instaurare un dialogo con i cittadini. Sostieni o ribatti questa posizione. 3 In che senso il crollo del ponte Morandi può diventare un simbolo di rinascita per l’Italia?4 Quale accusa l’autore rivolge al Governo e perché? 5 Spiega il vantaggio che Cucinella attribuisce agli architetti in rapporto al sistema Paese.6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo argomentativo in cui avvalli o respingi la tesi dell’autore. Motiva la tua opinione attraverso esempi emblematici di ricostruzione nel Dopoguerra.

Ipotesi b: produzione poco vincolataOltre il viadotto del Polcevera (1967), tra anni Cinquanta e Sessanta sono state inaugu-rate altre imponenti infrastrutture: il ponte sul Po nei pressi di Piacenza (1959) e l’Auto-strada del Sole (1964), per esempio. In massimo tre colonne argomenta il valore che tali opere pubbliche assumono in rapporto all’Italia del tempo e di oggi.

40

45

50

55

33587_EsamediStato_bz3.indd 51 05/02/19 10:26

52

Paolo GasparoliDalla crisi nascono grandi opportunitàin «Domus», n. 1028, ottobre 2018, pp. 86-88

“Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti e non avrete alcun bisogno di restaurarli”, scriveva John Ruskin già nel 1849. […]

Si tratta di un invito di puro buonsenso, che consentirebbe di risparmiare importanti risorse economiche, particolarmente preziose in questo momento di prolungata crisi, oltre che mantenere in buono stato di conservazione gli edifici storici garantendo la permanenza dei loro valori testimoniali.

In Italia abbiamo la fortuna (e l’onere) di possedere circa 500.000 edifici (stima probabilmente per difetto) soggetti o assoggettabili a tutela; poi i siti UNESCO, che sono anche centri storici d’intere città – Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Siena e così via –, e oltre 400 siti archeologici (la sola Pompei copre una superficie di 60 ha).

Il sistema Paese non avrà mai le risorse necessarie per restaurare tutto questo sterminato patrimonio. È allora necessario cambiare paradigma: passare, cioè, dal privilegiare costosi interventi di restauro, eseguiti a guasto avvenuto, illusoriamente ritenuti definitivi, a pratiche di manutenzione e prevenzione, attuate attraverso controlli e monitoraggi, con interventi a bassa intensità tecnologica, ma costanti e continui nel tempo.

In questi momenti e su questi argomenti, non si può non ripensare al recente, tragico crollo del Ponte Morandi di Genova e trarre, ancora una volta, un monito che però, questa volta, deve tradursi in impegni concreti.

Il lutto per la perdita di vite umane e per il grande vuoto che lascerà nel paesaggio l’assenza di un’importante infrastruttura dal valore iconico per la città di Genova non devono, non possono limitarsi come sempre ad alte grida e recriminazioni sulle mancate manutenzioni che vengono poi continuamente disattese, così come è accaduto dopo la morte del turista spagnolo nella Basilica di Santa Croce a Firenze, nell’ottobre 2017, colpito da un frammento caduto dall’alto. O dopo il collasso della Schola Armaturarum a Pompei nel 2010, e sino al crollo del 30 agosto scorso dello splendido soffitto della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami ai Fori Imperiali a Roma che, questa volta, non ha provocato vittime, ma solo per puro caso. E che dire degli infiniti, ma disastrosi, guasti a murature, intonaci, stucchi e dipinti, dovuti a mancate, banali manutenzioni delle coperture e dei sistemi di raccolta delle acque piovane?

Attività di manutenzione e prevenzione, dunque, da attivare con urgenza, con una spiccata propensione alla ‘cura’ più che all’operazione invasiva che, sulla base delle logiche del “minimo intervento” – e dirette alla conservazione del patrimonio diffuso, piuttosto che concentrate su singoli edifici ritenuti più rappresentativi – sono però in grado di contenere, controllare e prevenire i fenomeni di degrado.

Infatti, il degrado, in quanto fisiologico in un edificio già vecchio, non è da

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 52 05/02/19 10:26

53Paolo Gasparoli – Dalla crisi nascono grandi opportunità

intendersi in senso negativo: non sempre richiede interventi di tipo correttivo e, in ogni caso, si deve avere la consapevolezza che esso non sarà mai del tutto eliminabile. Secondariamente i ‘segni’ del passaggio del tempo, che si rendono evidenti con rugosità e patine, andrebbero conservati piuttosto che eliminati, in quanto conferiscono all’oggetto il valore di antichità e i caratteri di autenticità che lo rendono unico e irripetibile. L’intervento manutentivo sarà quindi diretto a gestire una condizione di ‘cronicità’ del degrado attraverso cure che saranno tanto più efficaci quanto più eseguite in modo continuo e costante: da questo punto di vista il paradigma è la conservazione delle strutture archeologiche che, sebbene defunzionalizzate, mantengono intatto il loro valore monitorio.

II tema dell’intervento di cura su un edificio antico presuppone, quindi, azioni di ‘amministrazione’ di condizioni croniche di sofferenza (degradi) che appaiono realisticamente ineliminabili del tutto. In questi casi il “prendersi cura” dell’edificio non può significare, infatti, il perseguimento d’impossibili obiettivi di definitiva ‘guarigione’, date le permanenti condizioni d’invecchiamento, ma azioni di assistenza che rendano più lento l’inevitabile declino.

I vantaggi in termini di migliore conservazione dei dati d’identità e di autenticità, secondo queste logiche, sono ovvi, ma sono rilevanti anche i vantaggi economici: i dati derivati da esperienze dimostrano che i costi delle attività di controllo e prevenzione possono essere compresi tra il 2 e il 4% all’anno del costo di restauro.

[…] A riprova si deve registrare il fatto che – per esempio, per quanto riguarda i danni dovuti a eventi sismici (a parte i costi umani per vittime e feriti) – i dati attualizzati al 2014 dicono che negli ultimi 50 anni lo Stato ha stanziato circa 120 miliardi di euro per la ricostruzione, quando ne sarebbero bastati da un terzo a un quarto per la messa in sicurezza preventiva del patrimonio. […]

Naturalmente gli approcci e le metodologie d’intervento o riparazione, sino all’integrale sostituzione, saranno differenti in relazione alle tipologie di oggetti e alla loro criticità. È infatti ovviamente differente ragionare nell’ambito della conservazione dei Beni Culturali, piuttosto che in quello della tenuta in efficienza delle infrastrutture, dove il tema della sicurezza è certo prevalente, anche se non disgiunto da quello della manutenzione […].

“Crisis is time of great opportunity” (“La crisi è un momento di grande opportunità”), disse BaraK Obama nel 2009. Il settore dispone di tutte le conoscenze, competenze e abilità necessarie e di un patrimonio straordinario da tutelare – la vera ricchezza del Paese – che, per dimensione ed estensione, sarà impossibile conservare secondo le logiche correnti: la prevenzione, con attività continue e costanti nel tempo, è davvero l’unica strategia possibile.

Occorre un vero e proprio programma di Governo, da estendere, oltre che ai Beni Culturali, agli edifici residenziali, alle scuole e agli edifici pubblici, alle infrastrutture, al sistema idrogeologico, al paesaggio: consentirà di salvaguardare vite umane, risparmiare risorse, creare occupazione qualificata e custodire la singolare bellezza del nostro Paese.

40

45

50

55

60

65

70

75

33587_EsamediStato_bz3.indd 53 05/02/19 10:26

54 Paolo Gasparoli – Dalla crisi nascono grandi opportunità

Domande guida per la comprensione1 Che valore assume la citazione di Ruskin in apertura del testo? 2 In che modo episodi recenti incentivano la discussione sul tema della prevenzione?3 A che proposito Paolo Gasparoli fa ricorso alla metafora organica?4 Come dovrebbero avvenire manutenzione e prevenzione degli edifici secondo l’auto-

re? E quali benefici recherebbero? 5 La frase di Obama riassume il senso dell’articolo o apre nuove prospettive? Motiva la

tua risposta.6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo argomentativo in cui spieghi se reputi innovativa la tesi dell’autore. Mo-tiva la tua opinione servendoti di altre opinioni teoriche del passato e del presente.

Ipotesi b: produzione poco vincolataQuale valore assume a tuo avviso la protezione del patrimonio culturale? Scrivi un ap-pello alle istituzioni pubbliche in merito alla conservazione del patrimonio indicando le tue aspettative a riguardo.

33587_EsamediStato_bz3.indd 54 05/02/19 10:26

55

Piero ManzoniLibera dimensionein «Azimuth», n. 2, 1960, p. 16

Il verificarsi di nuove condizioni, il proporsi di nuovi problemi, comportano, con la necessità di nuove soluzioni, nuovi metodi, nuove misure: non ci si stacca dalla terra

correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano: la trasformazione dev’essere integrale.

Per questo io non riesco a capire i pittori che, pur dicendosi interessati ai problemi moderni, si pongono a tutt’oggi di fronte al quadro come se questo fosse una superficie da riempire di colori e di forme, secondo un gusto più o meno apprezzabile, più o meno orecchiato. Tracciano un segno, indietreggiano, guardano il loro operato inclinando il capo e socchiudendo un occhio, poi balzano di nuovo in avanti, aggiungono un altro segno, un altro colore della tavolozza, e continuano in questa ginnastica finché non hanno riempito il quadro, coperta la tela: il quadro è finito: una superficie d’illimitate possibilità è ora ridotta ad una specie di recipiente in cui sono forzati e compressi colori innaturali, significati artificiali. Perché invece non vuotare questo recipiente? Perché non liberare questa superficie? Perché non cercare di scoprire il significato illimitato di uno spazio totale, di una luce pura ed assoluta?

Alludere, esprimere, rappresentare, sono oggi problemi inesistenti (e di questo ho già scritto alcuni anni fa), sia che si tratti di rappresentazione di un oggetto, di un fatto, di una idea, di un fenomeno dinamico o no: un quadro vale solo in quanto è essere totale: non bisogna dir nulla: essere soltanto; due colori intonati o due tonalità di uno stesso colore sono già un rapporto estraneo al significato della superficie, unica, illimitata, assolutamente dinamica: l’infinibilità è rigorosamente monocroma, meglio ancora di nessun colore (e in fondo una monocromia, mancando ogni rapporto di colore diventa anch’essa incolore?).

La problematica artistica che si avvale della composizione, della forma perde qui ogni valore: nello spazio totale forma, colore, dimensioni non hanno senso; l’artista ha conquistato la sua integrale libertà: la materia pura diventa pura energia; gli ostacoli dello spazio, le schiavitù del vizio soggettivo sono rotti: tutta la problematica artistica è superata. Non si tratta di formare, non si tratta di articolar messaggi (né si può ricorrere a interventi estranei, quali macchinosità parascientifiche, intimismi da psicanalisi, composizioni da grafica, fantasie etnografiche ecc.: …ogni disciplina ha in sé i suoi elementi di soluzione); non sono forse espressione, fantasismo, astrazione, vuote finzioni? Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere.

5

10

15

20

25

30

33587_EsamediStato_bz3.indd 55 05/02/19 10:26

56 Piero Manzoni – Libera dimensione

Domande guida per la comprensione1 In che parte del testo si trova la tesi di Piero Manzoni? Spiegala. 2 Che tono assume il testo e per quale ragione?3 Perché l’autore ricorre a domande dirette?4 Contro chi si scaglia Manzoni? Quale alternativa propone? 5 Cosa intende Manzoni con l’espressione «l’infinibilità è rigorosamente monocroma»?

Chiariscila in riferimento al suo lavoro artistico. 6 Riassumi il testo in 100 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataAssumi il punto di vista di un pittore astratto e figurativo e ribatti a Manzoni in massimo due colonne di testo.

Ipotesi b: produzione poco vincolataServendoti delle tue conoscenze sull’arte del secondo Dopoguerra, scrivi un testo argo-mentativo sul rapporto dell’artista con la società.

33587_EsamediStato_bz3.indd 56 05/02/19 10:26

57

Renato BarilliSignora pitturain «Artribune», 12 dicembre 2017

In genere vengo considerato il critico delle coppie bipolari, sulla scorta dell’insegnamento del Wölfflin, a cominciare dalla più celebre, del chiuso contro

l’aperto. Ma se ne possono ricavare tante altre, cosa che ho fatto, forse addirittura con abuso di una simile procedura. Se ora qualcuno mi chiedesse di indicarne una in atto, direi senza esitazione che si sta procedendo verso una ri-materializzazione dei procedimenti dell’arte o, diciamo pure la parola, ricompare in scena sua maestà la pittura, tanto che mi ronza per il capo di organizzare da qualche parte una rassegna, rivolta a casi di giovani protagonisti, intitolata proprio Bentornata, signora pittura. Ho menzionato un’infinità di volte il celebre “triangolo” dichiarato da Joseph Kosuth, in cui è l’essenza dello spirito del ’68, ovvero la famosa “morte dell’arte”. Il che poi voleva dire, semplicemente, che si doveva abbandonare la pittura. “Volete riferirvi a una sedia?”, diceva il messaggio kosuthiano. “Avete tre modi leciti: prendere la sedia e porla nell’opera, seguendo la modalità del ready made duchampiano. Oppure ne date una foto, la più semplice e povera possibile. O infine ne mettete in mostra la definizione linguistica rubata da qualche dizionario. Ma per favore, non affaticatevi a proporne un qualche trattamento pittorico”.

Ora questa modalità deve essere riammessa, seppure con tanti correttivi, e pure strizzando l’occhio alle operazioni precedenti. Per esempio, volete, voi giovani, fornire davvero delle immagini dipinte? Entrate in gara con quanto offrono le migliori foto, che hanno tutto il diritto di proseguire nel loro esercizio, si pensi ai casi di Nan Goldin e David LaChapelle. Su questo terreno può rinascere addirittura un “combattimento per un’immagine”, così da ricordarci che l’Impressionismo si era dichiarato ufficialmente nello studio del fotografo Nadar. Quanto alla scrittura, conviene abbandonare i brutti, anestetici caratteri del nostro misero alfabeto, guardare con ammirazione i sistemi di scrittura di Paesi extra-occidentali, che in effetti sono pittografici, pieni di curve, circonvoluzioni, fioriture. O magari ricordare le preziose miniature medievali, come in effetti facevano i writer newyorchesi al seguito di Rammellzee. Inoltre questa risorgenza pittorica non se ne deve stare abbarbicata al quadro, ma mirare ai grandi spazi, farsi wall painting, basta che sappia evitare gli stereotipi conformisti e ripetitivi di tanti street artist. Non lascerei certo cadere le mostruose realizzazioni di Damien Hirst, Jan Fabre, Urs Fischer, è un piacere vederle in piazze e musei, ma, dovessi dare un premio alla migliore apparizione dell’anno, andrebbe ai ritratti che David Hockney ha proposto a Ca’ Pesaro, e magari nella menzione ci sta pure una più giovane inglese quale Chantal Joffe.

5

10

15

20

25

30

33587_EsamediStato_bz3.indd 57 05/02/19 10:26

58 Renato Barilli – Signora pittura

Domande guida per la comprensione1 In quale paragrafo si trova la tesi di Renato Barilli? Riassumila. 2 A che proposito l’autore cita le opere di Joseph Kosuth?3 Quale rapporto viene istituito tra immagine pittorica e fotografica?4 Perché l’artista di oggi dovrebbe preferire i sistemi di scrittura extra-occidentali?5 Di quale genere pittorico l’autore auspica il ritorno? 6 Riassumi il testo in 100 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataSu massimo tre colonne di testo spiega se, come l’autore, ritieni opportuno un maggior impegno degli artisti nella pittura. Oppure confutane la posizione difendendo le ragioni di quanti preferiscono approcci più sperimentali.

Ipotesi b: produzione poco vincolataEsprimi le tue preferenze sull’arte del presente prendendo a modello opere d’arte che per contenuto o tipologia hanno riscosso grande attenzione mediatica.

33587_EsamediStato_bz3.indd 58 05/02/19 10:26

59

Salvatore SettisPerché ci piacciono sempre di più i museiin «Repubblica», 8 gennaio 2017

Certo non tutto, in queste statistiche, è facilmente interpretabile: nella classifica delle regioni, l’Abruzzo all’ultimo posto è forse effetto di una ricostruzione post-

terremoto in perpetuo stand by, ma come mai la Liguria è al penultimo posto? Ovvio che siano in testa Lazio, Campania, Toscana e Piemonte (quest’ultimo grazie al successo del Museo Egizio); ma come mai il Friuli sorpassa il Veneto con le sue mete di primissima qualità, a cominciare da Venezia? E come si spiega che la Calabria, nonostante i Bronzi di Riace, figuri agli ultimi posti? Per non dire che manca la Sicilia, una lacuna che si spiega con la devoluzione dei beni culturali alla regione (agosto 1975). Il ministro di allora (Spadolini) doveva essere ben distratto per accettare la sottrazione della più vasta regione d’Italia (certo non l’ultima per patrimonio culturale) al ministero fondato pochi mesi prima. Ma questa è una spiegazione meramente burocratica: non era proprio possibile, d’intesa con la Sicilia, includere anche i suoi dati in un bilancio di fine anno come questo? Potremmo leggere prima o poi statistiche più ampie che includano in tutta Italia non solo (come queste) i musei statali, ma anche quelli comunali o privati? Nonostante queste domande, il quadro è positivo, anche perché più visitatori vuol dire più introiti, e Franceschini ha assicurato che «queste risorse preziose torneranno interamente ai musei secondo un sistema che premia le migliori gestioni e al contempo garantisce le piccole realtà». Più difficile è andare d’accordo col ministro quando interpreta la crescita dei visitatori come un successo della sua riforma. Incentrata sul divorzio fra tutela e valorizzazione, essa dà un ruolo privilegiato ai “super-musei”, con direttori selezionati con procedura speciale, ma comporta un marcato disinvestimento sulle Soprintendenze territoriali, sempre più povere di personale e di risorse anche se sempre più cariche di incombenze, dalle autorizzazioni paesaggistiche all’archeologia preventiva. Il ministro canta vittoria, ma concentrandosi sui musei li tratta come un sistema a sé, un arcipelago di isole ritagliate dal territorio nazionale. Anzi, tra i siti archeologici cita solo quelli già assimilati a un “super-museo” (Pompei, Paestum) o quella porzione di Roma (Colosseo e Fori) che intende scorporare dalla Soprintendenza per farne un’entità a parte, dato che vi si concentrano visitatori e introiti.

Parlando solo dei musei statali, escludendo dal computo quelli siciliani perché sono etichettati come regionali, puntando sui musei ma non sul territorio, il ministro si comporta come l’amministratore delegato di un’azienda che abbia per filiali i super-musei e, sì, una rete di «piccole realtà», più che come l’interprete primario dell’obbligo costituzionale di tutela del «paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione» (art. 9). Ma lo stesso fatto che in questo incremento di visitatori «la parte del leone la gioca senza dubbio il nostro patrimonio archeologico» è un forte indizio che bisognerebbe guardare le cose da un’ottica più lungimirante: perché archeologia vuol

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 59 05/02/19 10:26

60 Salvatore Settis – Perché ci piacciono sempre di più i musei

dire contesto territoriale. Nessuno può credere seriamente che i visitatori dei musei ci vadano per rendere omaggio, quasi fosse un referendum, alla riforma Franceschini. La peculiarità del patrimonio culturale italiano è la sua diffusione capillare sul territorio, la perfetta osmosi fra il “piccolo” e il “grande”, fra i musei e le città, l’identità di paesaggio e tessuto storico-artistico, il radicamento al suolo di una stratificazione millenaria che non si esprime solo nei siti visitabili, ma nei dati archeologici (a rischio) che potrebbero spiegarli meglio.

Se vogliamo trattare come adulti gli italiani che visitano i musei, dobbiamo pensare che lo fanno perché sempre più consapevoli di questa trama minuta. Perciò il ministro non dovrebbe sbandierare i musei mentre le Soprintendenze territoriali sono abbandonate al loro destino, con risorse finanziarie e umane peggio che insufficienti. Dovrebbe sapere che l’instabilità provocata dalla sua raffica di riforme non giova al funzionamento delle istituzioni, e che musei e Soprintendenze, in piena simbiosi, vanno intesi come enti di ricerca territoriale. Dovrebbe correggere gli aspetti più pesantemente burocratici delle sue riforme, per esempio la separazione amministrativa dei musei “minori” dai loro contesti territoriali, o i massicci trasferimenti degli archivi delle Soprintendenze (strumento essenziale di tutela), ma anche di depositi, laboratori di restauro e tecnici dedicati. Dovrebbe tenere in conto che i 500 nuovi funzionari in corso d’assunzione sono una goccia nel mare, forse un decimo del fabbisogno risultante dai pensionamenti di questi anni. Dovrebbe aver ben chiaro che il progettato frazionamento del territorio di Roma sforbiciandone ad arbitrio le aree più ricche di visitatori e d’introiti è contrario alle esigenze della tutela e a quelle della ricerca, moltiplica burocraticamente le competenze nella stessa città e rende più arduo il dialogo con il Comune per un accordo sugli sterminati beni culturali della città (il maggior centro archeologico del mondo). Roma è, anzi, la cartina di tornasole delle intenzioni del ministro. Colosseo e Fori non sono un “parco archeologico”, sono un pezzo di città da integrare pienamente nel tessuto dell’Urbe recuperandone l’unità di storia e di vita. È quel che ha detto il vicesindaco Bergamo, prendendo atto dell’unicità di Roma e del suo immenso potenziale, ed è difficile che il ministro non sia d’accordo. Un unico riferimento ministeriale per il dialogo con il Comune, Roma come laboratorio, dai grandi musei alle più minute emergenze. Dove mai si può immaginare un progetto più stimolante?

Domande guida per la comprensione1 Individua la struttura argomentativa del testo.2 Perché Settis non considera obiettive le statistiche relative alla frequentazione dei

musei italiani?3 Quali effetti, secondo l’autore, provoca la riforma Franceschini?4 A che proposito viene citato l’Articolo 9 della Costituzione e come si lega alla tesi di

Settis?5 Perché l’autore conclude l’articolo con una domanda diretta? 6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

40

45

50

55

60

65

33587_EsamediStato_bz3.indd 60 05/02/19 10:26

61Salvatore Settis – Perché ci piacciono sempre di più i musei

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataSu massimo tre colonne di foglio protocollo spiega se sei d’accordo con la tesi di Settis e come incentiveresti la visita delle piccole realtà museali.

Ipotesi b: produzione poco vincolataScrivi un testo argomentativo sulla funzione che a tuo avviso devono assumere i musei nella vita della cittadinanza.

33587_EsamediStato_bz3.indd 61 05/02/19 10:26

62

Salvatore SettisArchitettura e democraziaPaesaggio, città, diritti civili, Torino 2017, pp. 75-76

Secondo una valutazione delle Nazioni Unite, oggi un settimo della popolazione mondiale, cioè un miliardo di esseri umani, vive in bidonvilles o shanty towns che

di città non meritano nemmeno il nome; in alcuni Paesi (come l’Etiopia o l’Uganda), le «città» sono al 90 per cento composte di quartieri-slums. Fra la megalopoli e la baraccopoli si è venuta a creare una perversa continuità. Al polo opposto a questo si situano le gated communities, quartieri per benestanti, separati dal resto della città da cinte murarie, spesso sorvegliate non solo da inservienti, ma da guardie armate. Le mura urbane, che separavano la città dalla campagna, sono diventate mura intraurbane, che materializzano il processo di autosegregazione delle classi abbienti, assai restie a mescolarsi con altri strati sociali. Un termine di recente fortuna, privatopia, segnala il paradosso di questa nuova tendenza urbana: l’idea di utopia, che fu propria delle comunità «perfette» e che incluse di solito forme di uguaglianza fra gli abitanti, viene essa stessa privatizzata, si trasforma nel progetto (tutt’altro che utopico) di controllare lo spazio in cui si vive assicurando qualità dei servizi e protezione da incursioni degli «altri» (gli immigranti, i poveri...)

Introdotto da Evan McKenzie in un libro del 1994 di egual titolo, il termine privatopia si applica a quelle che, con terminologia più circospetta, vengono chiamate in America Common Interest Housing Developments (cids), che secondo alcuni sarebbero nei soli Stati Uniti non meno di centotrentamila: quasi trenta milioni di persone organizzate secondo «governi privati» da cui dipendono polizia, nettezza urbana, illuminazione e manutenzione delle strade. Di conseguenza, chi vive in queste comunità «si allontana dalla forma corrente della democrazia liberale e promuove una versione esclusiva e riduttiva della cittadinanza che comporta gravi conseguenze per le libertà civili» (Mc Kenzie).

Le gated communities, con la loro tipica privatization for the few, si stanno diffondendo anche in Europa (specialmente in Gran Bretagna e Francia), e così anche le favelas che, ai margini di città in incerta espansione, formano il tessuto dei neouniversi suburbani. Non sempre favelas e gated communities appartengono a mondi separati: qualche volta, al contrario, si toccano, come in un eloquente esempio brasiliano, dove dall’alto dei balconi fioriti, dalle piscine, dai campi da tennis si può gettare uno sguardo sul sottostante universo dei poveri. Analogamente, La zona di un film del 2008 del messicano Rodrigo Plá è una gated community di ricchi, a ridosso di una bidonville i cui abitanti penetrano nella «zona» solo quando un uragano apre una crepa nel muro di confine: il confine sociale interno alla città ha bisogno, per incrinarsi, di una calamità naturale.

Megalopoli e new urban divisions sono due facce della stessa medaglia: mentre la città invade il paesaggio, nell’una e nell’altro s’insedia un’implacabile suburbanizzazione

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 62 05/02/19 10:26

63Salvatore Settis – Architettura e democrazia

del mondo. La transizione da città a paesaggio, che perfino nelle città murate non era vissuta come barriera, ma piuttosto come una sorta di cerniera, cede il passo a feroci confini intraurbani, caratterizzati dalla mercificazione dello spazio in estensione (la megalopoli) e in altezza (il vertical sprawl dei grattacieli, che Vittorio Gregotti ha chiamato «grattacielismo»). Si moltiplicano gli spazi dell’esclusione, bombe a orologeria nell’orizzonte della democrazia.

Domande guida per la comprensione1 Descrivi la struttura argomentativa del testo sintetizzando la tesi di Settis. 2 Definisci la privatopia riportando altri esempi oltre a quello qui delineato. 3 Perché le gated communities vengono equiparate a dei «governi privati»? 4 Perché secondo l’autore megalopoli e new urban divisions sono «due facce della stessa

medaglia»?5 Consideri efficace la chiusa del brano? Commentala.6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo di massimo tre colonne spiegando se condividi o meno la tesi di Salvatore Settis. Basa la tua argomentazione su esempi di grandi città moderne.

Ipotesi b: produzione poco vincolataScrivi un testo argomentativo spiegando se le categorie delineate dall’autore sono appli-cabili alla tua città e suggerisci a urbanisti e architetti gli aspetti da migliorare affinché essa diventi più democratica.

40

33587_EsamediStato_bz3.indd 63 05/02/19 10:26

64

Serena VicariLa città e il futuro: modelli da cambiare, sfide da vincerein «Domus», 25 ottobre 2018

Se guardiamo alle città oggi, ci colpiscono le dinamiche che riguardano il rapporto tra queste nel sistema urbano più generale, da un lato, e dall’altro i processi attivi

al loro interno.Cominciamo con uno sguardo ai rapporti tra le città. La prima dinamica che vedo è

una dinamica di competizione: le città competono tra di loro per attirare investimenti, perché non si ha più molta fiducia nei modelli di sviluppo endogeni, quindi basati sulle forze locali, ma ci si affida sempre più a modelli di sviluppo legati a investimenti, tecnologie, risorse materiali e immateriali che vengono dall’esterno. Si tratta di un modello di sviluppo che privilegia le politiche che favoriscono l’attrattività della città. […] Certo, se guardiamo a Milano vediamo una città in crescita e che si posiziona oggi tra le città vincenti nel panorama europeo. Abbiamo una crescita della popolazione dopo anni di declino, con l’ingresso di 50.000 giovani che sono venuti magari a Milano per l’Università e poi hanno deciso di rimanere perché trovano lavoro; oppure guardiamo agli 8 milioni di turisti che l’anno visitata l’anno scorso. Questi successi però mi sembra siano dovuti più a politiche che hanno migliorato la qualità della vita dei cittadini e offerto possibilità nuove, che a qualsiasi politica di attrazione. Il modello Milano insomma cerca di tenere insieme sviluppo e inclusione sociale e non sacrificare sull’altare della competizione tra città la sua tradizionale attenzione ai ceti sociali meno abbienti. La dinamica della competizione tende ad aumentare le differenze tra città, gli squilibri territoriali, mentre sarebbe opportuno stimolare una crescita distribuita nei suoi benefici a tutto il sistema sociale, urbano e non.

Per quanto riguarda invece le città al loro interno vediamo una prima dinamica importante che riguarda i cambiamenti della struttura sociale delle singole città. Parlo della crescita delle disuguaglianze e della polarizzazione sociale che sono esito della globalizzazione economica. Si tratta di una dinamica che interessa particolarmente le grandi città in generale e le città italiane in particolare tra le città europee; ricordiamo che il nostro Paese ha uno dei livelli più elevati di disuguaglianza sociale in Europa. Se come diceva Bertrand Russell la coesione sociale è una necessità non si vede come la città possa resistere coesa a fronte di disuguaglianze così forti; queste producono infatti potenziali di conflittualità e di disgregazione che non possono essere sottovalutati poiché minano le condizioni di base per qualsiasi sviluppo. La grande sfida è quindi contrastare i processi che producono disuguaglianza con politiche che da un lato proteggano i gruppi sociali più deboli e dall’altro preservino la classe media. […] Per Milano mantenere nella città un tipo di lavoro che non sia dequalificato e che possa attirare quella che viene chiamata la classe creativa, i talenti, vuole dire preoccuparsi

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 64 05/02/19 10:26

65Serena Vicari – La città e il futuro: modelli da cambiare, sfide da vincere

del benessere dei suoi cittadini e di alimentare l’innovazione nei settori del design, della moda, della pubblicità, ma anche alcuni settori all’avanguardia della tecnologia e nelle bioscienze, in modo che questi talenti rimangano in città e vengano a Milano invece di andare in una altra città europea. Produrre uno sviluppo diverso, più equilibrato e generatore di maggiore occupazione vuole dire scegliere un modello che dia spazio alla innovazione sociale, cioè a tutte quelle pratiche che sorgono su iniziativa di gruppi di cittadini e piccoli imprenditori per rispondere a bisogni che lo Stato, con la contrazione del Welfare e le politiche di austerità, non riesce più a soddisfare. […]

Una seconda dinamica che osserviamo e che va contrastata è quella del progressivo disancoraggio del luogo in cui viviamo e del conseguente disimpegno rispetto alla vita collettiva. […] Abbiamo appartenenze magari multiple e virtuali a comunità di pratiche ma queste non possono supplire né ci mettono al riparo dal senso di isolamento e solitudine rispetto al luogo in cui viviamo. L’appartenenza a una comunità e la solidarietà che ne deriva sono invece elementi necessari, soprattutto in quest’epoca globalizzata, per la costruzione di identità stabili e la riduzione dell’incertezza. […] Costruire o ricreare un senso di appartenenza e di inclusione nella comunità, coinvolgere, fare città in questo senso, è quindi un passaggio fondamentale per evitare la disgregazione del tessuto sociale, ma anche di quello economico. 

La terza dinamica riguarda la progressiva differenziazione degli abitanti delle nostre città. Le esigenze di integrazione sono rese oggi più complesse dalla presenza nelle nostre città di popolazioni sempre più eterogenee e diverse per cultura, religione e stili di vita. La diversità è sempre stato un attributo dell’urbano e della sua intrinseca vocazione alla innovazione e creatività, ma oggi assistiamo a un crescendo di orientamenti negativi a questo riguardo, mentre le politiche non riescono a risolvere i problemi di disuguaglianza, frammentazione e segregazione che la diversità porta con sé. La ricerca di un equilibrio passa attraverso la predisposizione di misure che mettano a valore i benefici che derivano dal vivere in città cosmopolite e multiculturali.

Infine, non si può parlare di città e del loro futuro senza confrontarsi con il tema della loro sostenibilità nel tempo. Già oggi le città del mondo consumano l’80% dell’energia globale e producono il 75% delle emissioni di CO2, gli sforzi verso la sostenibilità saranno vittoriosi o sconfitti nelle grandi metropoli dove si stima che vivrà dal 70 all’80% della popolazione nel 2050. Un’urbanizzazione sostenibile richiede uno sviluppo compatto, orientato ai trasporti pubblici, alla riconversione degli spazi, ad ambienti adatti a pedoni e ciclisti, all’inclusione di obiettivi e criteri ecologici nelle linee guida e nelle politiche di governo. Sono quindi necessari nuovi modelli di sviluppo e più ampi quadri di orientamento delle politiche che tengano conto della sfida della sostenibilità.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 65 05/02/19 10:26

66 Serena Vicari – La città e il futuro: modelli da cambiare, sfide da vincere

Domande guida per la comprensione1 L’autrice individua cinque diverse sfide urbane da vincere: definiscile e commentale.2 In cosa si differenzia il modello Milano da quello delle altre città? Ciò depone a suo

favore? 3 Perché, secondo Serena Vicari, in Italia disuguaglianza e polarizzazione sociale sono

più acute che negli altri Paesi europei?4 A che proposito l’autrice parla di disancoraggio dalla propria città e dalla vita collettiva? 5 Cosa intende Vicari con «città sostenibile»? 6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataArgomenta almeno una delle dinamiche urbane individuate dall’autrice calandola nel contesto della tua città e dell’intera Penisola.

Ipotesi b: produzione poco vincolataPer la prima volta nel 2018 Milano si è posizionata in testa alla classifica delle provincie con la migliore qualità della vita. Individuane i punti forti e spiega in un testo di massimo tre colonne cosa ti aspetti dalle politiche urbane del futuro imminente.

33587_EsamediStato_bz3.indd 66 05/02/19 10:26

67

Stefano MontiHotel di lusso e riqualificazione culturalein «Artribune», 15 luglio 2017

Troppo spesso, in Italia, quando si parla di “riqualificazione culturale” si indicano processi piuttosto lontani da questo concetto. […] Come fare, allora, per dare

vita a riqualificazioni davvero culturali, coinvolgendo soggetti pubblici, privati e la collettività?

È ora di fare chiarezza. Da sempre in Italia ci sono valide realtà imprenditoriali attive nel settore immobiliare che riescono a trasformare edifici caduti in disuso oppure non pienamente valorizzati in immobili estremamente attrattivi ed eleganti, soprattutto rivolti a un comparto luxury e spesso trasformati in strutture ricettive di alto prestigio. Sebbene questa attività abbia innegabilmente dei risvolti positivi per il turismo, operazioni di questo genere non rappresentano attività di riqualificazione culturale. […]

Facciamo un esempio: prendiamo un immobile di pregio architettonico, situato in una posizione potenzialmente strategica per i flussi turistici di una grande città ma che, per i più svariati motivi, non rappresenta una priorità per la proprietà (che può essere pubblica o privata).

Allo stato attuale, il modus operandi ricorrente nel nostro Paese prevede che venga effettuata una di queste due operazioni: riqualificazione (pseudo) culturale e riqualificazione immobiliare.

La prima è quella tipica degli spazi dati in concessione ad associazioni, enti non profit, ecc. e spazia dalla realizzazione di “centri polifunzionali” alla creazione di sedicenti “hub” […].

La seconda è un’operazione più netta e definita: che sia una delle Società di Gestione del Risparmio di Cassa Depositi e Prestiti o che sia una società privata (anche se la differenza è poca, a dire il vero), un soggetto acquista l’immobile, lo riqualifica e lo rivende.

A ben vedere, né l’una né l’altra rappresentano dei casi di rigenerazione urbana culturale. La prima è il retaggio di un “mito” che trasforma gli spazi inutilizzati in tante “cantine ufficializzate” che dovrebbero ospitare un nuovo “Steve Jobs” o “Bill Gates” e ricreare una Silicon Valley in miniatura, che nella maggior parte dei casi finisce semplicemente a produrre un po’ di autoimpiego, qualche connessione di network e basta.

L’altra è un’operazione immobiliare in senso stretto, che restituisce alla città un immobile valorizzato, che può essere attrattivo per il turismo di lusso, ma che non si distanzia molto (sul piano concettuale) dalle operazioni immobiliari che per anni hanno contraddistinto il nostro Paese sulle coste più amate dai turisti stranieri […] o da quelle che hanno reso Venezia una sorta di parco a tema per i vari russi, cinesi, giapponesi.

La riqualificazione urbana richiede che ci siano ben altri processi, ma tutto ciò non

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 67 05/02/19 10:26

68 Stefano Monti – Hotel di lusso e riqualificazione culturale

accade per motivi molto banali: questi passaggi “costano”. Costano in termini di risorse economiche, in termini di tempo […], e in termini di risorse umane e relazioni politiche.

È sicuramente un costo, ad esempio, il tentativo di coinvolgere attivamente la cittadinanza, che espone l’imprenditore (sia pubblico che privato) a un duplice fattore di rischio: tempo e dissenso programmatico […].

Così come è un costo il tentativo di realizzare un progetto di lungo periodo che “partendo” dall’immobile riesca a coinvolgere anche le infrastrutture legate al quartiere (strade, illuminazione, mobilità, ecc.) per il quale è necessario ci sia un “patto” tra le differenti forze politiche che si impegnano a portare avanti il progetto così come approvato anche a seguito di cambio di giunta.

Sono ancora costi quelli rappresentati dal ricorso a professionisti esterni, che curino gli aspetti strategici della riqualificazione così come la parte di visual, la promozione turistica, la creazione di iniziative per i cittadini, le campagne social e ancora i rapporti con le soprintendenze, con gli uffici comunali, con tutti i ritardi e i rallentamenti che la macchina burocratica comporta.

Come uscire da questa impasse […]? Basta ripensare i processi e il ruolo del settore “pubblico” a seconda delle contingenze: nel caso l’immobile in possesso sia appartenente alla pubblica amministrazione, l’assegnazione dovrebbe avvenire sulla base di “analisi di mercato” ben realizzate, premiando “iniziative innovative rispetto al contesto” e legare l’assegnazione a indicatori definiti (o anche proxy) tra le varie proposte […].

L’assegnazione, inoltre, dovrebbe essere il punto di partenza e non di arrivo del processo: con l’assegnazione l’affidatario si impegna a mantenere un elevato livello qualitativo dell’offerta, mentre l’amministrazione si impegna a realizzare interventi “strutturali” in grado di rendere l’immobile “cool”.

Caso contrario, invece, per quelle operazioni immobiliari prettamente private: in questo caso si potrebbe immaginare l’istituzione di una speciale “agenzia” che si occupi di massimizzare le “esternalità positive” delle operazioni di questo tipo.

In che modo? L’agenzia pubblica una mappa della città in cui potenzialmente può avere interesse a investire; riceve tutte le operazioni immobiliari in corso e decide (sempre sulla base di criteri oggettivi) di intervenire come “investitore esterno” per alcuni di essi: il suo ruolo non sarebbe quello di entrare come capitale di rischio o come assistenza nell’acquisto dell’immobile, quanto piuttosto quello di “coprire” eventuali costi derivanti dal processo aggregativo, quelli legati alla creazione di contenuti culturali all’interno dell’immobile, quello di migliorare la mobilità del quartiere o l’illuminazione, ecc. ecc.

In questo modo gli imprenditori avranno sempre maggiore interesse a investire in quelle strutture che presentano elementi culturali o in operazioni culturali (conviene in termini di ritorno economico), il pubblico avrebbe un veicolo per indirizzare al meglio le proprie iniziative di riqualificazione infrastrutturale e la collettività potrebbe trarne sicuramente un maggior vantaggio.

In questo modo, si potrebbe assistere (usando un termine che piace tantissimo agli italiani) a un percorso di rigenerazione “diffusa”. Ma forse è chiedere troppo.

40

45

50

55

60

65

70

75

33587_EsamediStato_bz3.indd 68 05/02/19 10:26

69Stefano Monti – Hotel di lusso e riqualificazione culturale

Domande guida per la comprensione1 Individua i tre blocchi in cui è suddiviso il testo, ponendoli nell’ordine corretto:

• Suggerimenti per le amministrazioni• Stato del problema: riqualificazione culturale o edilizia• Analisi dei costi

2 Spiega che ruolo assume il paragrafo in apertura in rapporto al resto dell’articolo.3 Per quale ragione le riqualificazioni di edifici abbandonati si rivolgono principalmente

al “comparto luxury”?4 Cosa intende Stefano Monti con “cantine ufficializzate” e come si inseriscono nel

processo di riqualificazione?5 L’autore dà alcuni consigli pratici per cambiare la politica odierna della riqualificazio-

ne: individuali e commentali brevemente. 6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataScrivi un testo argomentativo sostenendo o respingendo la tesi di Monti. Basa la tua opinione su esempi di palazzi storici che a tuo avviso sono stati recuperati in maniera positiva o negativa.

Ipotesi b: produzione poco vincolataSu massimo tre colonne di foglio protocollo spiega come valorizzeresti un edificio stori-co a tua disposizione.

33587_EsamediStato_bz3.indd 69 05/02/19 10:26

70

Susan SontagNella grotta di Platonein Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Torino 1992 [1ed. 1978], pp. 8-12

Negli ultimi tempi, la fotografia è diventata una forma di divertimento diffusa quasi quanto il sesso e il ballo, il che significa che, come quasi tutte le forme d’arte di

massa, non è esercitata dai più come arte. È soprattutto un rito sociale, una difesa dall’angoscia e uno strumento di potere.

Conservare il ricordo delle gesta di singoli individui, intesi come membri di una famiglia (o di qualche altro gruppo), è la più antica utilizzazione popolare della fotografia. Da almeno un secolo la fotografia delle nozze è parte integrante della cerimonia quanto le formule verbali prescritte. Le macchine fotografiche accompagnano la vita della famiglia. Secondo un’inchiesta sociologica condotta in Francia, la maggior parte delle famiglie ne possiede una, ma una famiglia con bambini ha due volte più probabilità di possederne almeno una che non una famiglia senza bambini. […]

Attraverso le fotografie, ogni famiglia si costruisce una cronaca illustrata di se stessa, un corredo portatile di immagini che attestano la sua compattezza. Non ha molta importanza quali attività vengano fotografate, purché si facciano e si tesaurizzino le foto. […]

Le fotografie, oltre a dare all’individuo il possesso immaginario di un passato reale, lo aiutano a impadronirsi di uno spazio nel quale vive insicuro. Di conseguenza, lo sviluppo della fotografia s’accompagna a quello di una delle più tipiche attività moderne, il turismo. Per la prima volta nella storia, grandi masse di persone abbandonano regolarmente, per brevi periodi, il loro ambiente abituale. Sembrerebbe loro innaturale partire per un viaggio di piacere senza portarsi una macchina fotografica. Le fotografie dimostreranno in modo indiscutibile che il viaggio è stato fatto, che il programma è stato attuato, che il divertimento è stato raggiunto. […]

La fotografia è diventata uno dei principali meccanismi per provare qualcosa, per dare una sembianza di partecipazione. Un’inserzione pubblicitaria a piena pagina mostra un gruppetto di persone accalcate che sbirciano dalla fotografia. Tutti, tranne uno, paiono sbalorditi, eccitati, sconvolti. Quello che ha un’espressione diversa ha una macchina fotografica accostata all’occhio; sembra padrone di sé e quasi sorride. Mentre gli altri sono spettatori passivi e palesemente allarmati, il possesso di una macchina ha trasformato una persona in qualcosa di attivo, in un voyeur: soltanto lui domina la situazione. Che cosa guardano queste persone? Non lo sappiamo. Ma non ha importanza. È un evento, qualcosa che val la pena vedere, e quindi fotografare. Il testo dell’inserzione, in caratteri bianchi sulla scura parte inferiore della fotografia, che sembrano il messaggio di una telescrivente, comprende soltanto sei parole: «…Praga…Woodstock…Vietnam…Sapporo…Londonderry…LEICA». Le speranze soffocate,

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 70 05/02/19 10:26

71Susan Sontag – Nella grotta di Platone

le stravaganze giovanili, le guerre coloniali e gli sport invernali sono la stessa cosa: ciò ché li assimila è la macchina fotografica. Il fotografare ha instaurato con il mondo un rapporto voyeuristico cronico che livella il significato di tutti gli eventi.

Ma una fotografia non è solo il frutto di un incontro tra un evento e un fotografo; è un evento in sé, e con diritti sempre più perentori – di interferire, di invadere o di ignorare quello che succede. Anche il nostro senso di situazione è oggi articolato dagli interventi della macchina fotografica. La loro onnipresenza suggerisce persuasivamente che il tempo è fatto di eventi interessanti, di eventi che val la pena fotografare. Ciò a sua volta autorizza a pensare che qualsiasi evento, una volta avviato, qualunque siano le sue coordinate morali, ha bisogno di un completamento, perché possa venire al mondo qualcos’altro, e cioè la fotografia. Una volta concluso l’evento, continuerà a esistere la sua immagine, conferendo all’evento stesso una sorta d’immortalità (e d’importanza) che altrimenti non avrebbe avuto. Mentre nel mondo persone reali uccidono se stesse o altre persone reali, il fotografo, dietro il suo apparecchio, crea un nuovo minuscolo elemento di un altro mondo: il mondo delle immagini, che promette di sopravvivere a tutti noi.

Fotografare è essenzialmente un atto di non intervento. L’orrore di certi «colpi» memorabili del fotogiornalismo contemporaneo, come le immagini del bonzo vietnamita che tende la mano verso la lattina di benzina o del guerrigliero bengalese che sta baionettando un collaborazionista legato, deriva in parte dalla plausibilità che ha assunto, nelle situazioni in cui il fotografo può scegliere tra una fotografia e una vita, la scelta della fotografia. Chi interviene non può registrare, chi registra non può intervenire. Il grande film di Dziga Vertov, L’uomo con la macchina da presa (1929), ci dà l’immagine ideale del fotografo come individuo perpetuamente in movimento, come uno che, in un panorama di eventi disparati, si sposta con tale agilità e rapidità che diventa assolutamente impossibile un suo qualsiasi intervento. La finestra sul cortile (1954) di Hitchcock ci dà l’immagine complementare: il fotografo, interpretato da James Stewart, ha con la sua macchina un intenso rapporto con un evento solo perché si è rotto una gamba ed è immobilizzato su una sedia a rotelle; questa immobilità temporanea gli impedisce di agire su ciò che vede e rende ancor più importante scattare fotografie. Anche se incompatibile con un intervento fisico, l’usare una macchina fotografica è comunque un modo di partecipare. La macchina può essere un osservatorio, ma il fotografo è qualcosa di più di un osservatore passivo. Come il voyeurismo sessuale, è un modo, per lo meno tacito ma spesso esplicito, di sollecitare ciò che sta accadendo perché continui ad accadere. Fare una fotografia significa avere interesse per le cose quali sono, desiderare che lo status quo rimanga invariato (almeno per tutto il tempo necessario a cavarne una «buona» foto), essere complici di ciò che rende un soggetto interessante e degno di essere fotografato, compresa, se l’interesse consiste in questo, la sofferenza o la sventura di un’altra persona.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 71 05/02/19 10:26

72 Susan Sontag – Nella grotta di Platone

Domande guida per la comprensione1 Individua i sei blocchi in cui è suddiviso il testo, ponendoli nell’ordine corretto:

• Fotografia come evento• Importanza della fotografia nel contesto familiare• Fotografia come atto di non intervento• Fotografia come voyerismo• Fotografia come rito sociale• Fotografia e turismo

2 Quale dei diversi significati attribuiti dall’autrice alla fotografia include anche gli altri? Per quale ragione?

3 Sontag sostiene che la fotografia aiuti l’individuo a impadronirsi del proprio passato come dello spazio in cui vive. Argomenta con parole tue.

4 Perché il fotografo viene paragonato a un voyeur? 5 A che proposito Sontag si riferisce a L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov e

La finestra sul cortile di Hitchcock?6 Riassumi il testo in 300 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataRitieni che le tesi dell’autrice rimangano valide anche in un’epoca dominata dalle imma-gini come la nostra? Esponi il tuo punto di vista in massimo tre colonne.

Ipotesi b: produzione poco vincolataPartendo dall’idea di fotografia contenuta nell’ultimo paragrafo, scrivi un testo argo-mentativo sull’importanza o meno che a tuo avviso assume il fotogiornalismo.

33587_EsamediStato_bz3.indd 72 05/02/19 10:26

73

Tomaso MontanariLa ragazza con l’orecchino di perla: marketing o conoscenza?in «Il fatto quotidiano», 11 febbraio 2014

Una galleria d’arte contemporanea di Bologna – la Spazio Testoni – ha appena inaugurato una mostra di interpretazioni contemporanee della Ragazza con

l’orecchino di Perla, il capolavoro di Vermeer trionfalmente esibito poco lontano, a Palazzo Fava. Uno degli artisti invitati a partecipare, Giovanni de Gara, mi ha chiesto di spiegargli perché fossi contrario a questa clamorosa operazione di marketing: e ha deciso di incorniciare ed esporre in quella mostra proprio la mail con la quale gli ho risposto.

Così facendo, Giovanni ha interpretato il proprio ruolo di artista come quello del bambino che dice “il re è nudo”. È questa, infatti, la più antica e misteriosa funzione degli artisti: dire la verità.

E la verità – ha scritto Tony Judt – «la verità spiacevole, nella maggior parte dei casi, è di solito che ti stanno mentendo».

In questo caso, la menzogna è che l’esibizione del dipinto di Vermeer abbia qualcosa a che fare con la cultura. In effetti, non c’è nulla di culturale in tutto questo: si tratta solo dello spostamento materiale di un’opera unito a una abilissima operazione commerciale. Senza una ricerca, un progetto scientifico, un senso intellettuale: un qualunque valore aggiunto di conoscenza.

Come ogni altra opera d’arte del passato, la Ragazza con l’orecchino di perla può giocare un ruolo davvero positivo nella nostra esperienza culturale in due casi: se la conosciamo nel contesto del suo museo (la Mauritshuis), della sua città (l’Aja), del suo paese (l’Olanda); oppure se la conosciamo in una mostra che ne ricostruisca il contesto artistico, e ne aumenti dunque la comprensione scientifica, rendendocela accessibile senza tradire né le ragioni della scienza né quelle della comunicazione.

L’aspetto più perverso di questa operazione, invece, è proprio  l’isolamento del ‘capolavoro’, la sua ‘assolutizzazione’, e cioè, letteralmente, lo scioglimento di ogni suo legame (artistico, storico, culturale in senso lato). Con il quadro di Vermeer sono esposte a Bologna altre opere provenienti dallo stesso museo: ma tutta la comunicazione punta su quell’unico dipinto, che anche grazie alla sua fortuna letteraria e cinematografica viene trasformato in una specie di seconda Monna Lisa, un’icona senza tempo e senza senso.

Sarebbe interessante chiedersi perché la Mauritshuis assecondi un’operazione così marcatamente trash. E una risposta è che quel museo, dal 1995, non è più dello stato olandese: è stato privatizzato. E quando un’istituzione come un museo smette di essere al servizio esclusivo di una comunità e inizia a inseguire anche scopi di mercato, come il profitto, la produzione di conoscenza cessa di essere l’unica bussola.

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 73 05/02/19 10:26

74 Tomaso Montanari – La ragazza con l’orecchino di perla: marketing o conoscenza?

Anche se ogni incontro diretto con un’opera d’arte è un’occasione preziosa, dovremmo quindi guardare a questa operazione con lo stesso scetticismo con cui ci difendiamo dal martellamento pubblicitario che subiamo ogni giorno. Tutti i giornali, tuttavia, dicono esattamente il contrario, ed esaltano l’evento senza manifestare alcun dubbio: forse anche a causa dell’enorme quantità di pubblicità che gli organizzatori hanno acquistato dagli stessi giornali.

Questo è il punto più delicato: e non solo per la storia dell’arte, come dimostra per esempio il caso Stamina. Il conformismo mediatico ci abitua a giudicare la qualità in base al consenso, e ad acquisire il consenso tramite una qualche forma di marketing fondata su elementi irrazionali ed emotivi che hanno a che fare con i meccanismi del desiderio. È per questo che una diffusa retorica oppone le «emozioni» alla conoscenza, che viene guardata con sospetto e screditata con ogni mezzo.

Esibire la Ragazza con l’orecchino di perla (ma anche la Gioconda, o il David di Michelangelo) come una reliquia magica, isolata ed irrelata, non ha nulla a che fare con la conoscenza. E anche se ci sono in fila centinaia di migliaia di persone tutto questo ha anche poco a che fare con un’emozione autentica, spontanea, non indotta.

Possiamo non vedere il problema, sul momento: tutto, anzi, congiura perché non lo vediamo. Ma, sul medio e poi sul lungo periodo, gli alberi si riconosceranno dai frutti: il marketing produce clienti, inconsapevoli e tendenzialmente infantili, mentre la conoscenza aiuta a formare cittadini consapevoli, disposti a lavorare alla propria maturazione.

Le chiese di Bologna rigurgitano di opere d’arte non meno emozionanti, e che si possono vedere gratuitamente. E l’Aja è molto vicina: la Ragazza con l’orecchino di perla non scappa. Dunque, non ingrossiamo le lunghe file degli accalappiati: non andiamo a vedere la mostra bolognese.

Proviamo invece a ribaltare il paradigma: visitiamo luoghi culturali gratuiti, e possibilmente a  chilometro zero, cioè presenti sui nostri itinerari quotidiani. Una simile scelta equivale ad aprire gli occhi: ad accendere la luce nella casa in cui abitiamo da anni al buio perché non abbiamo mai avuto il desiderio di vederla. Ed equivale anche a essere cittadini, e non clienti; visitatori e non consumatori; educatori di noi stessi e non contenitori da riempire. Si risparmiano tredici euro: ma si guadagna molto di più.

Domande guida per la comprensione1 In quale paragrafo si trova la tesi di Tomaso Montanari? Riassumila. 2 Quali circostanze, secondo l’autore, consentono di fruire meglio di un’opera d’arte?3 Cosa si intende con «assolutizzazione» del capolavoro?4 Individua le ragioni alla base della mostra e argomentale ricorrendo ai dati forniti

dall’autore.5 Ritieni convincente la chiusa dell’articolo? Esponi l’invito rivolto da Montanari al let-

tore.6 Riassumi il testo in 150 parole circa.

40

45

50

55

60

65

33587_EsamediStato_bz3.indd 74 05/02/19 10:26

75Tomaso Montanari – La ragazza con l’orecchino di perla: marketing o conoscenza?

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataPer quale ragione la comunicazione della mostra a Palazzo Fava si è concentrata solo su La ragazza con l’orecchino di perla? Scrivi un testo argomentativo spiegando se condividi o meno la posizione di Montanari.

Ipotesi b: produzione poco vincolataRacconta su massimo tre colonne di testo la tua idea di mostra perfetta anche basandoti su manifestazioni da te visitate recentemente e ritenute esempi positivi o negativi.

33587_EsamediStato_bz3.indd 75 05/02/19 10:26

76

Umberto EcoIl critichese è pieno di pretesein «L’Espresso», n. 31, 3 agosto 1980, pp. 46-50

Le annotazioni che seguono valgono come istruzioni per un presentatore di cataloghi d’arte (d’ora in poi Pdc). […]Come si diventa Pdc? Purtroppo è facilissimo. Basta fare una professione intellettuale

(richiestissimi fisici nucleari e biologi), possedere un telefono intestato a proprio nome e avere una certa rinomanza. La rinomanza viene così calcolata: deve essere in estensione geografica superiore all’area di impatto della mostra […] e in profondità inferiore all’estensione delle conoscenze culturali dei possibili acquirenti dei quadri […]. Naturalmente bisogna essere avvicinati dall’artista richiedente, ma questo non è un problema: gli artisti richiedenti sono in numero maggiore dei potenziali Pdc. […] Quando ha accettato, il Pdc dovrà individuare una delle motivazioni che seguono.

A. Corruzione (rarissima, perché, come si vedrà, si possono suscitare motivazioni meno dispendiose). B. Contropartita sessuale. C. Amicizia: nelle due versioni di effettiva simpatia o impossibilità di rifiuto. D. Regalo di un’opera dell’artista […]. E. Effettiva ammirazione per il lavoro dell’artista. F. Desiderio di associare il proprio nome a quello dell’artista: favoloso investimento per intellettuali giovani, l’artista si affannerà a divulgarne il nome in innumerevoli bibliografie nei cataloghi successivi, in patria o all’estero. G. Cointeressenza, ideologica, estetica o commerciale nello sviluppo di una corrente o di una galleria d’arte. Quest’ultimo è il punto più delicato a cui non può sottrarsi neppure il Pdc più adamantinamente disinteressato. Infatti un critico letterario, cinematografico o teatrale, che esaltino o che distruggono l’opera di cui parlano, incidono abbastanza poco sulla sua fortuna. […] Il Pdc invece, con il suo stesso intervento, contribuisce a far salire le quotazioni di tutta l’opera dell’artista, talora con sbalzi da uno a dieci. […]

Ecco perché, nella misura in cui il Pdc vuole salvare la propria dignità e amicizia, l’evasività è il fulcro dei cataloghi di mostre. Esaminiamo una situazione immaginaria, quella del pittore Prosciuttini che da trent’anni dipinge fondi ocra con sopra, al centro, un triangolo isoscele azzurro con la base parallela al bordo sud del quadro, cui sovrappone in trasparenza un triangolo scaleno rosso, inclinato in direzione sud-est rispetto alla base del triangolo azzurro. Il Pdc dovrà tenere conto del fatto che, a seconda del periodo storico, Prosciuttini avrà intitolato il quadro, nell’ordine dal 1950 al 1980: “Composizione”, “Due più infinito”, “E=Mc2”, “Allende, Allende, il Cile non si arrende”, “Le Nom du Père”, “A/traverso” “Privato”. Quali sono le possibilità (onorevoli) di intervento per il Pdc? Facile se è un poeta: dedica una poesia a Prosciuttini. Per esempio: “Come una freccia – (ahi! crudele Zenone!) – l’impeto – di altro dardo – parasanga tracciata – di un cosmo malato – di buchi neri – multicolori”. La soluzione è di prestigio, per il Pdc, per il Prosciuttini, per il gallerista, per l’acquirente.

5

10

15

20

25

30

35

33587_EsamediStato_bz3.indd 76 05/02/19 10:26

77Umberto Eco – Il critichese è pieno di pretese

La seconda soluzione è riservata solo a narratori, e assume la forma della lettera aperta a ruota libera: “Caro Prosciuttini, quando vedo i tuoi triangoli mi ritrovo a Uqbar, teste Jorge Luis… Un Pierre Menard che mi propone forme ricreate in altra età, don Pitagora della Mancha. […]” Eccetera.

Più facile il compito di un Pdc di formazione scientifica. Egli può partire dalla persuasione (peraltro esatta) che anche un quadro è un elemento della Realtà: basta quindi che parli di aspetti molto profondi della realtà, qualsiasi cosa si dica, non si mentirà. Per esempio: “I triangoli di Prosciuttini sono dei grafi. Funzioni proposizionali di concrete topologie. Nodi. Come si procede da un nodo Un altro nodo? […] L’arte è matematica. Tale il messaggio di Prosciuttini”. […]

Un’altra possibilità esisteva tra il 1968 e, diciamo, il 1972. L’interpretazione politica. Osservazioni sulla lotta di classe, sulla corruzione degli oggetti infangati dalla loro mercificazione. L’arte come rivolta contro il mondo delle merci, triangoli di Prosciuttini come forme che si rifiutano di essere valori di scambio, aperti all’invettiva operaia, espropriata dalla rapina capitalistica. […]

Tutto quanto detto sinora vale però per il Pdc che non fa il critico d’arte di professione. La situazione del critico d’arte è invece, come dire, più critica. Dovrà pure parlare dell’opera, ma senza esprimere giudizi valutativi. La soluzione più comoda consiste nel mostrare che l’artista ha lavorato in armonia con la visione del mondo dominante, ovvero come oggi si dice, con la Metafisica Influente. Qualsiasi metafisica influente rappresenta un modo di rendere ragione di ciò che c’è. Un quadro appartiene indubbiamente alle cose che ci sono e tra l’altro, per infame che sia, rappresenta in qualche modo ciò che c’è (anche un quadro astratto rappresenta ciò che potrebbe essere o che è nell’universo delle forme pure). Se per esempio la metafisica influente sostiene che tutto ciò che è, altro non è che energia, dire che il quadro di Prosciuttini è energia, e rappresenta l’energia, non è una menzogna: al massimo è un’ovvietà, ma un’ovvietà che salva il critico, e fa felici Prosciuttini, il gallerista e l’acquirente. […]

Insomma, e per concludere, la regola aurea per il Pdc è descrivere l’opera in modo che la descrizione, oltre che ad altri quadri, possa applicarsi anche all’esperienza che si ha guardando la vetrina del salumaio. Se il Pdc scrive: “nei quadri di Prosciuttini la percezione delle forme non è mai adeguamento inerte al dato della sensazione, Prosciuttini ci dice che non c’è percezione che non sia interpretazione e lavoro, e il passaggio dal sentito al percetto è attività, prassi, essere-nel-mondo come costruzione di Abshattungen ritagliate intenzionalmente nella polpa stessa della cosa-in-sé”, il lettore riconosce la verità di Prosciuttini perché corrisponde ai meccanismi in base ai quali riconosce dal salumaio una mortadella da una insalata russa. Il che stabilisce, oltre a un criterio di fattibilità ed efficacia, anche un criterio di moralità: basta dire la verità. Naturalmente c’è modo e modo.

40

45

50

55

60

65

70

33587_EsamediStato_bz3.indd 77 05/02/19 10:26

78 Umberto Eco – Il critichese è pieno di pretese

Domande guida per la comprensione1 Individua la tesi di Umberto Eco e commentala. 2 Spiega perché l’autore ha impiegato un tono parodistico per descrivere l’attività del

critico d’arte. 3 Perché secondo Eco tra 1968 e 1972 il critico d’arte aveva a disposizione anche un’in-

terpretazione politica?4 Cosa si intende con “Metafisica Influente”? 5 In che rapporto si pone la chiusa del testo rispetto al corpo? Commentala e spiega se

la ritieni convincente. 6 Riassumi il testo in 200 parole circa.

Produzione: commento argomentativoIpotesi a: produzione vincolataIl critichese è pieno di pretese è stato pubblicato nell’agosto 1980. Scrivi un testo argo-mentando l’articolo in base alle vicende dell’arte italiana del periodo e ai suoi critici di riferimento. Specifica se condividi o meno la tesi di Eco.

Ipotesi b: produzione poco vincolataUmberto Eco ha spiegato cosa distingue un intellettuale che si dedica occasionalmente alla scrittura d’arte da un critico di professione. Su un testo di massimo tre colonne tu precisa invece le differenze tra un interprete militante e uno storico ed esponi verso chi va la tua preferenza.

33587_EsamediStato_bz3.indd 78 05/02/19 10:26

IL LIBRO IN DIGITALEIn versione scaricabile (con primo accesso online) e fruibile offline.

vai su imparosulWeB.eu e registrati

se non sei ancora registrato, devi creare un profilo su www.imparosulweb.eu. Registrati inserendo le informazioni necessarie e completa l’attivazione del profilo confermando l’email che riceverai all’indirizzo di posta elettronica che hai indicato.

sblocca l’espansione online del volume

Inserisci nell’apposita maschera il codice di sblocco che trovi stampato sulla copia cartacea del libro e segui la procedura guidata.troverai tutti i materiali integrativi del volume: il collegamento al libro in digitale, tutor e palestre, video, audio e numerose altre risorse!

scarica mylim

Clicca sul pulsante libro digitale e verrai indirizzato all’area web da cui scaricare l’applicazione. Installa il programma e fai login con le stesse credenziali di Imparosulweb: il libro in digitale è ora a tua disposizione, aggiornabile in tempo reale ogni volta che ti connetti a Internet.

usa il libro in digitale

In ogni pagina i pulsanti ti guideranno alla scoperta dell’interattività: esercizi, audio e video. All’interno di myLIm potrai accedere direttamente alle risorse integrative di Imparosulweb. Con la barra degli strumenti potrai integrare il tuo libro con risorse personali e sincronizzarle su più dispositivi.

33587_PH1_NES_arte.indd 3-4 13/02/19 14:32

la storia dell’arte nel nuovo esame di stato

TesTi di Tipologia B di amBiTo arTisTico

proposTe operaTive

33587LA stORIA DELL’ARtE nEL nuOVO EsAmE DI stAtO

QuEstO VOLumE, sPROVVIstO DI tALLOnCInO A FROntE (O OPPORtunAtAmEntE PunZOnAtO O ALtRImEntI COntRAssEGnAtO), È DA COnsIDERARsI COPIA DI sAGGIO - CAmPIOnE GRAtuItO, FuORI COmmERCIO (VEnDItA E ALtRI AttI DI DIsPOsIZIOnE VIEtAtI: ARt. 17, L.D.A.). EsCLusO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, n.633, ARt. 2, 3° COmmA, LEtt. D.). EsEntE DA DOCumEntO DI tRAsPORtO.

33587_PH

1

LA stORIA DELL’ARtE nuOVO EsAmE

33587

la storia dell’arte nel nuovo esame di statoA partire dall’anno scolastico 2018-2019 per la prima prova scritta dell’Esame di Stato gli studenti potranno scegliere tra le seguenti tipologie: analisi e interpretazione di un testo letterario italiano (tipologia A); analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B); riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità (tipologia C). Questo volume offre proposte di esercitazione per la tipologia B afferenti all’ambito artistico, conformi agli esempi divulgati dal MIUR il 14 dicembre 2018.

il volume carTa + digiTale digiTale

LA stORIA DELL’ARtE nEL nuOVO EsAmE DI stAtO 9788858335871 9788857728537

Configurazione di vendita

33587_PH1_NES_arte.indd 1-2 13/02/19 14:32