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La vera storia di Ada e Antonio. Un film mai, ancora, girato. Un progetto di Graziano Meneghin

La vera storia di Ada e Antonio. Un film mai, ancora, girato

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La vera storia di Ada e Antonio. Un film mai, ancora, girato.

Un progetto di Graziano Meneghin

La vera storia di Ada e Antonio. Le lettere di Ada e Antonio

di Diego Marcon e Alessandra Messali

Diego Marcon, La vera storia di Ada e Antonio. La prima lettera di Antonio.

Alessandra Messali, La vera storia di Ada e Antonio. La prima lettera di Ada.

Sestri Levante. 1963. Giovedì.

Cara Ada,

scusami se questa è la prima lettera che ti scrivo dopo giorni di silenzio, ma sono state brutte settimane - sono tornate insistenti le fitte alla pancia, forse perché questa nuova commedia su cui sto lavorando è così fiacca da darmi il voltastomaco: ti prego, non insistere nel chiedermi come procedo con il lavoro, è già duro ammettere a me stesso la mediocrità della mia scrittura, non sopporto proprio doverlo fare con te. In queste brevi righe che il tempo mi lascia scriverti, vorrei potermi dimenticare del teatro, e avere parole soltanto per le tue piccole orecchie, che non bacio da troppo tempo. Le porti ancora sotto a quel cappello che abbiamo comprato a Rivoli l’inverno scorso? E’ oramai quasi un anno fa - come scivolano in fretta i mesi su questa moquette grigia! Vorrei così tanto poterti venire a trovare, Ada, e fare di nuovo assieme una gita fuori città, passeggiare lungo i portici, fermarci a fumare una sigaretta fra le statue Po e Dora, e chiacchierare: mi manca la tua voce. Ho litigato con Danilo, qualche giorno fa, per via di quelle statue. Che imbecille! Dice che tutta quanta l’architettura fascista andrebbe rasa al suolo, quell’idiota! Ne ho le palle piene di questa combriccola di coglioni con cui mi trascino oramai da troppo tempo, è la volta buona che li pianto tutti quanti in asso. Sono mesi che non li frequento più molto, non mi stupirei se tra qualche giorno decidessi di non sentire più nessuno di loro. Cammino tanto, ultimamente,

quando la pancia e il lavoro me lo lasciano fare. Ho trovato una piccola pasticceria in periferia dove fanno delle paste buonissime e la signora che tiene il bancone è di un silenzio così ospitale che quando la vado a trovare ci rimango per delle ore. Rosa, si chiama. Io bevo un caffè, mangio un dolcetto, scrivo oppure leggo il giornale - lei rimane in silenzio. Mi ha parlato soltanto una volta, mentre sfogliavo il Corriere, per chiedermi se avevo letto del cane mandato sulla Luna. Ad ogni modo non ti dirò né il luogo né il nome della pasticceria, perché mi piacerebbe portartici la prima volta che torni qui. Ada, quando sarà? Io non me la passo molto bene, lo sai, e anche un biglietto del treno in questo momento è meglio tenerselo in tasca, oppure scambiarlo con un po’ di pasta. Se tutto va bene, presto dovrei riuscire ad avere qualche soldo: Maurizio vorrebbe che fossi io a tradurre Die geteilte Stadt. L’ho incontrato oggi, dice che ne ha già parlato con l’editore e che il lavoro è in pratica già mio; io gli ho detto che dubito vorranno avermi ancora per i loro uffici, ma lui insiste; staremo a vedere.Come stai tu? Tua cugina è ancora da te e ha deciso di fermarsi a Torino, alla fine? Credo che sarebbe molto bello, quando sei con lei hai sempre uno strano sorriso - un sorriso che non conosco, ma di cui non mi è difficile notare la lucentezza. Non smettere di pensarmi forte, con quella stessa lucentezza: io la tengo qui vicina, è con la sua luce che illumino il foglio su cui ti scrivo.

Ti voglio molto bene.Scrivimi presto.Antonio

Torino, 05 Novembre 1963

Caro Antonio,

da che il tuo nome suona in me familiare questo è il primo inverno che non trascorri a Torino. Perdonami se ho tardato a rispondere ma il problema sta nella scrittura, solamente il pensiero che sarai tu a leggere queste parole le fa risultare così banali da farmi credere che lo siano anche i miei giorni. Sara è ancora da me. La guardo ora attraversare la stanza su quelle gambette nude che non mostra mai altrimenti. Si è fermata allo specchio e con la testa un po’ inclinata sostiene una forcina tra le labbra, le braccia portano le mani dietro alla nuca in un gesto morbido, equilibrato. Una ciocca di capelli bruni scivola e si srotola lungo le spalle mentre i denti si socchiudono per accogliere il secondo fermaglio. Non capisco come è possibile che sia di sangue il legame tra noi. Non riesco a far a meno di pensare che la stessa ingenuità che la rende così graziosa sia la più vile tra le sue colpe di donna. Ha deciso che non si fermerà a Torino per gli studi, troppo pericolosa, e già immagino i suoi racconti a mia madre e agli zii una volta tornata a Milano. Anni di diplomazia famigliare andati a rotoli, già li sento insistere nel rivolermi a casa. Credo che dovrei coglierli d’anticipo, invitarli per un fine settimana, parlargli dei nostri progetti, di qui. Ho incontrato la signora Tartaglia lungo le scale e mi prega di salutarti tanto, credo che le manchino le vostre chiacchierate, il tuo “essere d’altri tempi” come dice lei. Ora ha un cane,

Laika, sì, diciamo che il nome Lessie l’avrebbe riportata ad un immaginario troppo felice per i suoi gusti, meglio una storia vera, controversa, eroica; una storia triste.

Perdona la mia reticenza e i miei capricci e scrivimi lungamente. Ti bacio oggi e ancora.

Ada

Chiavari. 1963. Lunedì.

Cara Ada,

sono di pessimo umore questa sera.Non ti ho scritto per tutti questi giorni, perché per tutti questi giorni ho insistito a scrivere la commedia, cui ho dato fuoco poco fa. Per qualche istante, quella delle fiammelle è stata l’unica luce ad illuminare la stanza. E’ nel buio che ora ti scrivo. Procedo lentamente, sfiorando con i polpastrelli i tasti della macchina da scrivere prima di batterli con forza. Sento il rumore delle lettere colpire il ferro del cilindro e l’inchiostro imprimersi sulla carta, raggrumarsi nei suoi pori e fare qui una piccola sbavatura. Sento i colpi secchi vibrare nella stanza per poi spegnersi sulla moquette, sulle coperte, sulla biancheria stesa ad asciugare. Sarà piena di errori, questa lettera! Lei stessa è forse un errore: dovrei obbligarmi a non scriverti in queste ore, e aspettare l’alba per farlo; ma non verrà alcuna alba, cuore mio - lo sappiamo bene entrambi, ed è proprio l’angolo più amichevole della notte che ce lo sussurra. Penso a Sara, a quelle piccole forcine salate. Penso alla signora Tartaglia, a come deve essere bello il cane che ha scelto per sé. Penso ai portici davanti casa tua, alla pessima idea di invitare i tuoi a passare un fine settimana da te. Eppure non riesco che a pensare che a me.Riuscirai mai a perdonarmi per questo?

Vieni qui, Ada, ho bisogno di fare l’amore con te. Vieni qui, portami sulla luna.

Antonio

Torino, 16 Dicembre 1963

Antonio caro,

finalmente una tua lettera. Non lasciarmi più in questo silenzio, mai. Non preoccuparti se non riesci a pensare che a te, scrivimi questo, una frase banale, un niente ma scrivimi ti prego e scrivimi spesso. Non sapevo più dove cercarti. Questi giorni che marciano in fila per due e il diradarsi dei nostri incontri mi hanno costretto a risiedere qui, in queste lettere che ho letto e riletto, le stesse che hanno fatto di me una donna triste e, addirittura, una scrittrice. Questo sai che non potrò mai perdonarlo! Vorrei i tuoi occhi a rispondere a questo sorriso. Io non sono in queste frasi malinconiche, sono li nella stanza a fianco alla tua a metter su un caffè mentre l’odore di bruciato esce dalle finestre che ho appena spalancato. Ti sento raccogliere la cenere da terra, sederti alla scrivania, sei più calmo adesso. Eccolo quel suono che usi far fare al foglio prima di inserirlo nella macchina, stavo aspettando quella leggera sciabolata per bussare e portarti questa tazza fumante. Sarà una lunga notte amore mio. Dobbiamo trovare un altro modo per noi perché questo, di fatto, non ci appartiene. Mio padre è venuto a trovarmi Lunedì scorso, era da anni che non lo vedevo indossare quel cappotto, dall’inverno trascorso tutti assieme ad Aosta credo, quello del 62. Era bello, pareva un capitano di marina salpato quel giorno e tornato qui a Torino per un saluto. E’ invecchiato e ha preso una decisione; vuole investire parte del suo denaro per far si che io possa viaggiare negli Stati Uniti per qualche

mese, crede che possa essere un’ottima possibilità per la mia carriera e per la mia tesi, ha già pensato a tutto e ripreso i contatti con quel suo amico professore a Yale. Io codardamente non ho risposto e di fronte a quella possibilità grandiosa riflessa nei suoi occhi, l’unico mio pensiero è stato che questo è niente rispetto a dove tu sarai in grado di portarmi. Dimmi che sarà così e continuerò a credere in questo.

Sempre tua fedelissima,

Ada

Varazze, 1963, Sabato.

Cara Ada,

ho provato a chiamare la signora Tartaglia questa notte - volevo sentire la tua voce - ma forse era troppo tardi e dormiva, oppure ha avuto paura di rispondere.E’ morto Maurizio. Un incidente in strada, pare, ma ancora nessuno sa qualcosa più di questo.Sono 8 giorni che piove quasi ininterrottamente, ed è la prima volta che aspetto la primavera con così tanta apprensione.

Antonio

Genova. 1963. Domenica.

Cara Ada,

fa una valigia, e continuando a non dire nulla a tuo padre martedì prossimo prendi il treno delle 20.38 per Genova.Ti racconterò tutto quanto mi è possibile non appena ci vedremo, al momento ti chiedo soltanto di fidarti di me. So che ne sei capace, anche se tante volte questa mia testa di imbecille ti ha deluso! Non sarà la prossima un’altra di queste.Nessuno lo immaginava, ma Maurizio ha compilato un testamento, che a me riservava una busta non troppo differente da queste che uso per scriverti.Non ho idea di cosa avesse in programma, o che cosa ci attenderà, ma ti prego di assecondarmi, come io sto assecondando lui, o forse un bizzarro pensiero per cui ti chiedo di seguirmi senza ancora saperne nulla: vieni qui martedì dunque, con il treno delle 20.38 - non più tardi! - e porta con te poche cose; assieme dovremo poi raggiungere Ventimiglia.

Ti abbraccio forte e non vedo l’ora di vederti, così bella, scendere da quel treno e allungarmi la tua mano. L’aspetto.

Antonio

La vera storia di Ada e Antonio. Il testo del casting per il ruolo di Antoniodi Martina Di Iulio e Graziano Meneghin

SEGUIRE LE INDICAZIONI RIPORTATE IN QUESTO FOGLIO.

(guardando in camera)

Perché, dovrei stare qui, davanti a voi, a spiegarvi chi sono? Non c’è nulla, in me, che vi possa compiacere. Le molteplici entità, che in me vivono non possono essere così declinate...entro poche parole che mi circoscrivono. Prendete questo testo,

(riferimento al libro City Light Pockets Poets Anthology posto nel tavolo)

nella sua inutilità, esso contiene parte di ciò che sono, parte di ciò che vorrei essere.

(prendere il libro City Light Pockets Poets Anthology, aprire alla pagina 213, leggere ad alta voce la poesia Credere nell’assurdo di Harold Norse)

[ ..... ]

(posare il libro e chiuderlo. Riprendere il foglio e leggere)

Ho conosciuto Ada, pochi anni fa. Eravamo in quella fase della vita in cui le certezze hanno ancora un nome. Avevamo 20 anni, eravamo a Rivoli, lei leggeva Simone De Beauvoir, io, di fronte, avrei voluto leggere Sartre... sarebbe stato un ottimo espediente per avvicinarmi a lei. Optai invece per un gelato. Lei accettò. Vestiva di nero e portava un buffo cappello di moda a Parigi. Mi ricorderò sempre quel giorno. Mi viene in mente, inoltre, la prima volta in cui parlammo di teatro. Lei mi spiegò cosa significa recitare, io

le spiegai cosa significa essere un attore in scena.

(Pausa. Sguardo fisso in camera per qualche istante. Fermarsi. Riprendere il foglio)

Ieri ho ricevuto una sua lettera. Lei è ancora a Torino, io invece a Genova...dai miei. Fuori piove e l’inverno si fa triste. Ada mi ha raccontato della cugina, Sara, e di quel cane che è sempre fra i nostri sogni

(Pausa)

Io sogno poco a dir il vero... le ossessioni hanno preso il sopravvento su di me. Vorrei scappare da qui... ma per andare dove? Ripenso di nuovo a quel cane, che vaga disperso tra le stelle. Vorrei essere come lui e non sentirmi in colpa per ciò che ho lasciato dietro a me.

(Pausa lunga)

(cit. da Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini / Sicilia di Jean Marie Straub & Danièle Huillet)

“C’è una parte di me che avrebbe voluto acquisire un’altra cognizione e sentirsi diversa con qualcosa di nuovo nell’anima. Darei tutto ciò che possiedo pur di sentirmi in pace con gli uomini come uno che non ha nulla da rimproverarsi. Non perché io abbia qualcosa di particolare da rimproverarmi... niente affatto... ma non mi sembra di essere in pace con gli altri. Vorrei avere una coscienza fresca, che mi chiederebbe di compiere altri doveri, non i soliti, altri, dei

nuovi doveri più alti, verso gli uomini perché a compiere i soliti...non c’è soddisfazione e si resta come se non si fosse fatto nulla... scontenti di sé, delusi”.

(prendere il libro di Brecht Scritti Teatrali, aprire alla pagina 233, leggere le parole sottolineate in Ricerca del nuovo e del vecchio)

[...]

(posare il libro, chiuderlo, rimetterlo sul tavolo. Riprendere il foglio)

Ecco cosa vorrei dirti, Ada.

(pausa)

Ricordati inoltre che non sono i sogni a dar vita al desiderio, ma è quest’ultimo a vivere in noi e ad accompagnarci dove tutto s’avvera. Vieni qui, Ada, ho bisogno di fare l’amore con te. Vieni qui, portami sulla luna.http://www.ilpost.it/2015/03/31/manzoni-fumetto-fausto-gilberti/la-merda-dartista-spiegata-ai-ragazzi-10/

La vera storia di Ada e Antonio. Il testo del casting per il ruolo di Ada

di Martina Di Iulio e Graziano Meneghin

SEGUIRE LE INDICAZIONI RIPORTATE IN QUESTO FOGLIO.

(Prendere il foglio e leggere ad alta voce)

È’ incredibile come sia cambiata in questi anni la mia vita.Dalla ragazzina al parco, che leggeva Simone de Beauvoir, mi sembrano passati secoli.Rileggo i miei diari, riascolto la mia voce e mi rendo conto di quale sia il disincanto a riscoprirla, oggi. Non sono più una bambina e, sebbene dapprima il mio legame con Antonio fu dettato dall’interesse verso qualcosa di nuovo, sconosciuto, adesso so di essere cresciuta.Subito dopo il nostro primo incontro annotavo:

(pausa, prendi il diario, aprilo sull’annotazione 1, leggila ad alta voce)

[...]

(chiudi il diario, riprendi il foglio e leggi ad alta voce)

Ripenso a quando, ancora pochi giorni fa, parlavo di mia cugina Sara: “la stessa ingenuità che la rende così graziosa è la più vile tra le sue colpe di donna”, dicevo. Forse sono io però ad essere davvero ingenua.

(pausa di qualche secondo)

Ricordo inoltre il giorno in cui conobbi in un parco a Rivoli, Antonio... fu lui a salvarmi da quella superficialità piccolo-borghese che ho sempre disprezzato.

La mia infanzia e la mia adolescenza erano trascorsi senza urti... d’un tratto mi parve che nella vita si fosse prodotta una rottura decisiva. L’immagine che ritrovo di me stessa, alle soglie dell’età della ragione, è quella di una bambina ordinata, felice e discretamente petulante. Ora passo molto meno tempo a preoccuparmi di me. Sogno talvolta, ma un unico sogno vorrei davvero fare: quel sogno che mi conduce, di nuovo, fra le sue braccia. Ripenso a quei giorni in cui lui era qui con me a Torino; segnavo, in questo diario, ogni frase che lui diceva. Ogni sua parola era una piccola ossessione per me. Un giorno, ad esempio, annotai:

(pausa, prendi il diario, aprilo sull’annotazione 2, leggila ad alta voce)

[...]

(chiudi il diario, riprendi il foglio e leggi)

Ebbene, quella stessa terra oggi mi è ostile. Torino è sempre più fredda, le giornate sembrano più corte e ripetitive. Forse il tempo dei sogni è arrivato, forse il tempo della vita se ne è già andato. Voglio seguire quel cane, quello dei giornali e domani, al telefono, gli dirò:

(guardando in camera)

Sono pronta. Possiamo andare. Metterò quel buffo cappello che indossavo al parco quella volta... e tu mi offrirai di nuovo un gelato. Sarà tra le stelle? che strana idea...

La vera storia di Ada e Antonio. Tre manifesti

di Alessandro Fogo, Marco Tescari, Fabio Valerio Tibollo

Alessandro Fogo, La vera storia di Ada e Antonio. Un manifesto.

Marco Tescari, La vera storia di Ada e Antonio. Un manifesto.

Fabio Valerio Tibollo, La vera storia di Ada e Antonio. Un manifesto.