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Per Tullio De Mauro ISBN 978-88-548-4674-6 DOI 10.4399/978885484674614 pag. 265–285 (marzo 2012) L’approccio socio–semiotico alle lingue dei segni Una testimonianza P P : . Introduzione, . Due definizioni di lingua, . La definizione socio–semiotica della lingua di De Mauro, . L’incontro con la lingua dei segni, . L’analisi semioti- ca, . La negoziazione sociolinguistica e la standardizza- zione, . La rappresentazione delle lingue dei segni, . Conclusioni, . Riferimenti bibliografici, . . Introduzione Approfitto con tanto piacere e con tanto aetto di questo spazio per raccontare l’incontro tra una teoria — la teoria della lin- gua elaborata da Tullio De Mauro in tanta parte del suo lavoro scientifico — e una ricerca sul campo — la ricerca sulla lingua dei segni italiana (LIS) condotta da Virginia Volterra, Elena Piz- zuto e altri studiosi dell’Istituto di psicologia del CNR di Roma (l’attuale Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione) . Quest’incontro si è prodotto nei primi anni Novanta e ha avuto, dal mio punto di vista, due conseguenze importanti. Da una parte, esso ha permesso di mettere in luce la concre- tezza dell’ipotesi di una socialità radicale del segno linguistico . Un ringraziamento sentito ad Anna Thornton e Miriam Voghera, che mi hanno invitato a partecipare a questo omaggio; a Isabella Chiari che ha riletto e commentato una precedente stesura; a Tullio De Mauro che mi ha insegnato cos’è una lingua; e a Tommaso Russo ed Elena Pizzuto che mi hanno lasciato un’eredità che resta con me.

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Per Tullio De MauroISBN 978-88-548-4674-6DOI 10.4399/978885484674614pag. 265–285 (marzo 2012)

L’approccio socio–semioticoalle lingue dei segni

Una testimonianza

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*"++!'$": ,. Introduzione, -./ – -. Due definizioni di lingua, -.0 –1. La definizione socio–semiotica della lingua di De Mauro, -02– 3. L’incontro con la lingua dei segni, -01 – /. L’analisi semioti-ca, -03 – .. La negoziazione sociolinguistica e la standardizza-zione, -00 – 0. La rappresentazione delle lingue dei segni, -04 –4. Conclusioni, -4, – 5. Riferimenti bibliografici, -4-.

!. Introduzione

Approfitto con tanto piacere e con tanto a6etto di questo spazioper raccontare l’incontro tra una teoria — la teoria della lin-gua elaborata da Tullio De Mauro in tanta parte del suo lavoroscientifico — e una ricerca sul campo — la ricerca sulla linguadei segni italiana (LIS) condotta da Virginia Volterra, Elena Piz-zuto e altri studiosi dell’Istituto di psicologia del CNR di Roma(l’attuale Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione),.

Quest’incontro si è prodotto nei primi anni Novanta e haavuto, dal mio punto di vista, due conseguenze importanti.Da una parte, esso ha permesso di mettere in luce la concre-tezza dell’ipotesi di una socialità radicale del segno linguistico

,. Un ringraziamento sentito ad Anna Thornton e Miriam Voghera, che mihanno invitato a partecipare a questo omaggio; a Isabella Chiari che ha riletto ecommentato una precedente stesura; a Tullio De Mauro che mi ha insegnato cos’èuna lingua; e a Tommaso Russo ed Elena Pizzuto che mi hanno lasciato un’ereditàche resta con me.

-./

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-.. Paola Pietrandrea

largamente teorizzata da Tullio De Mauro; dall’altra, ha datofondamenta solide e prospettive larghe alla pratica di ricercasulle lingue dei segni, in un momento particolarmente delicatodella sua storia.

Per me, per Tommaso Russo, che all’epoca eravamo studen-ti di De Mauro impegnati ad osservare da vicino il processo diconsolidamento, di standardizzazione, di istituzionalizzazionedella LIS, assistere e in parte contribuire a quest’incontro fuun’esperienza formatrice indimenticabile e preziosissima.

Nelle pagine che seguono tenterò di descrivere e storiciz-zare quest’esperienza. Riassumerò quelle che dal mio puntodi vista sono le grandi linee della teoria della lingua propostada De Mauro, una teoria incentrata intorno ad una definizionesocio–semiotica del concetto di lingua. Mostrerò che le defini-zioni di lingua sono state rare nella letteratura linguistica delXX secolo (§ -) e che, tra queste, la definizione di De Maurorisulta particolarmente solida. Prova ne è che essa è quella chemeglio permette di riconoscere lo statuto di lingua alle linguedei segni, senza imporre bizzarre forzature alla loro descrizione(§ 1). Racconterò come si è prodotto l’incontro tra questa teoriae la ricerca che si conduceva orgogliosamente presso l’Istitutodi via Nomentana agli inizi degli anni Novanta (§ 3). Dirò delleriflessioni teoriche che quest’incontro ha determinato (§ /) etenterò di mostrare come una teoria che pone la dimensionesociale al centro della definizione linguistica ha potuto fornireun osservatorio privilegiato sul “farsi” della LIS che era in corsoin quegli anni (§ .). Cercherò infine di argomentare che quelprocesso virtuoso, nel quale interagivano una teoria linguisti-ca solida, descrizioni fini della LIS, una forte consapevolezzametalinguistica dei parlanti e l’arricchimento della lingua, èun processo che, per cause esterne alla ricerca, sta rischiandod’interrompersi senza essersi davvero compiuto (§ 0).

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". Due definizioni di lingua

La definizione di lingua è un problema spesso eluso dai linguisti.Come precisa David Crystal nella sua Cambridge Encyclopediaof Language (,550 [,540]: 15.), i linguisti preferiscono dire comesono fatte le lingue piuttosto che dire cosa esse siano. E nona caso la Cambridge Encyclopedia of Language è una delle pocheenciclopedie di linguistica che dedica esplicitamente qualchepagina alla definizione della voce lingua.

Tra le rare definizioni di lingua proposte nel secolo scorsoricorderei la definizione semiotica proposta in ambito anglofo-no da Charles Hockett (,5.2, ,5.4) e divulgata dalla CambridgeEncyclopedia of Language e, in ambito francofono, la definizionestrutturale proposta da André Martinet (,5.2).

Hockett individua ,1 parametri che permettono di caratte-rizzare i sistemi di comunicazione umani e animali: (i) l’uso delcanale fono–articolatorio; (ii) la possibilità di una trasmissionelarga e di una ricezione direzionale del segnale; (iii) l’evane-scenza del segnale; (iv) la possibilità di riprodurre un messaggioall’interno dello stesso sistema; (v) il controllo totale del produt-tore nei confronti del suo messaggio; (vi) la specializzazione delsegnale (che se nelle lingue umane è usato esclusivamente perscopi linguistici, in alcuni linguaggi animali può essere usatocon altri scopi biologici); (vii) il carattere significativo del segna-le; (viii) la sua arbitrarietà; (ix) il suo carattere discreto; (x) lapossibilità di parlare di referenti temporalmente o spazialmentelontani; (xi) la produttività del linguaggio, cioè la possibilità diparlare di tutto e anche di cose di cui non si è mai parlato inprecedenza; (xii) la trasmissione del codice da parlante a parlan-te; (xiii) la doppia articolazione, la proprietà cioè di combinareun numero finito di elementi non significativi in un numeropotenzialmente infinito di elementi significativi.

Hockett classifica un certo numero di sistemi di comunica-zione umani e non umani sulla base di questi parametri e notacome i linguaggi di alcuni animali presentino alcune di questeproprietà, come la gestualità umana ne presenti altre e come le

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lingue verbali siano le sole a presentare tutte e tredici questeproprietà della comunicazione. In maniera interessante e forseun po’ circolare, Hockett propone che le lingue dei segni usatedai sordi siano in tutto e per tutto simili alle lingue verbali conl’eccezione ovviamente dell’uso del canale fonatorio e di unarelativa presenza di arbitrarietà. Le lingue dei segni sono quindi,sì, considerate da Hockett delle vere lingue, ma non allo stessotitolo delle lingue verbali.

In ambito francofono, André Martinet (,5.2) pone al cen-tro della sua definizione di lingua il suo carattere vocale (che,va detto, Martinet sottolinea meritoriamente per a6ermare lacentralità della lingua parlata rispetto a quella scritta) e la suadoppia articolazione. La centralità data da Martinet alla doppiaarticolazione — parametro che ricorre anche nella classifica-zione di Hockett, che la considera come proprietà distintivadei linguaggi dei primati e degli uomini — si spiega pensandoall’ergonomia di sistema che questa permette: gli utenti nonsono obbligati a memorizzare un numero di significanti distintipari al numero di referenti che essi vogliono codificare, ma pos-sono ricorrere alla combinazione di un numero molto ridottodi unità non significative.

-.,. Conseguenze per la linguistica delle lingue dei segni

La definizione di lingua come sistema semiotico doppiamentearticolato, proposta da Hockett e Martinet, è stata largamenteaccettata e di6usa. Ed essa ha avuto una forte influenza sullalinguistica delle lingue dei segni, che nasceva, o meglio rinasce-va, negli Stati Uniti proprio intorno agli anni Sessanta (Stokoe,5.2). Nei primi decenni della sua storia, la linguistica delle lin-gue dei segni si è impegnata innanzitutto a provare l’esistenza diuna doppia articolazione per le lingue dei segni. Il nucleo dellaproposta di William Stokoe, il padre fondatore della linguisticadelle lingue dei segni, consisteva nel considerare che i segnidelle lingue dei segni sono analizzabili in tre parametri forma-zionali: la configurazione della mano, il luogo di articolazione,

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il movimento compiuto durante l’articolazione. Per ciascuno diquesti parametri esiste un numero definito di realizzazioni checombinandosi danno luogo al segno. Questa organizzazionedel lessico era usata per mostrare l’esistenza di una somiglianzaprofonda tra la combinazione di fonemi nelle lingue verbali e lacombinazione di quelli che furono allora chiamati « cheremi »nelle lingue dei segni (Stokoe ,5.2).

Tuttavia esistono nell’organizzazione dei due sistemi alcunedi6erenze importanti e piuttosto evidenti, messe in luce co-raggiosamente innanzitutto da Penny Boyes–Braem (,54,). Icheremi dei segni non sono sempre unità puramente distintive.Accade molto spesso che una certa configurazione della manoabbia un certo significato: ad esempio una mano aperta con ledita serrate (configurazione detta “B”) può rappresentare unasuperficie piana; è il caso per esempio della configurazione Bdel segno per pavimento (Fig. ,).

Figura !. Il segno per pavimento.

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Non solo, può anche accadere che il cherema presenti unrapporto di iconicità con il suo significato; ancora una volta è ilcaso del nostro segno per PAVIMENTO: piana è la superficiedella mano, piano l’oggetto rappresentato.

Questa presenza di iconicità andava a scontrarsi con unaltro dei parametri definiti da Hockett, quello che stabiliva,appoggiandosi sulla lunga tradizione che risaliva nel Novecentofino a Saussure, che l’arbitrarietà fosse un tratto distintivo dellevere e proprie lingue.

La linguistica dei segni ha vissuto con imbarazzo il fattoche le lingue dei segni non fossero chiaramente doppiamentearticolate e che esse non fossero chiaramente arbitrarie e per de-cenni ha tentato di minimizzare o relativizzare la significativitàdelle unità minime e la loro piuttosto evidente iconicità.

#. La definizione socio–semiotica della lingua di De Mauro

La definizione di lingua proposta da De Mauro non si limitaall’enumerazione delle proprietà della lingua come esse appaio-no, ma cerca le ragioni profonde di queste proprietà. Questoapproccio, vedremo, ha fornito alla linguistica delle lingue deisegni un quadro molto semplice ed elegante che ha permes-so di dar conto della linguisticità delle lingue dei segni, senzaforzature descrittive.

Come Hockett, De Mauro (,54-, ,55,, -222) riconosce chela produttività, la capacità di poter (potenzialmente) dire tutto,contraddistingue le lingue tra gli altri codici. De Mauro si poneperò il problema di capire come le lingue possano arrivare adire tutto. E trova una risposta nel carattere indeterminato delsegno linguistico. A di6erenza di quanto accade per gli altricodici, i segni di una lingua non sono dati una volta per tutte. Iconfini del significato e del significante dei segni linguistici sonoduttili e possono essere rideterminati in qualunque momen-to. La duttilità dei segni linguistici spiega come essi possanocambiare di forma e significato, come possano estendere il loro

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significato o anche restringerlo (come accade per esempio neilessici specialistici). La condizione di questa duttilità sta nell’usodei segni. I segni linguistici possono estendere il loro significatofino ad arrivare all’autoriferimento. Grazie all’autoriferimen-to dei segni, i parlanti possono fare un uso metalinguisticodella lingua e attraverso quest’uso metalinguistico possono con-trollare, nella negoziazione sociale, la (ri)determinazione delsignificato e del significante dei segni della lingua.

1.,. Conseguenze per le lingue dei segni

La proposta di De Mauro individua nell’uso sociale che se ne fail tratto definitorio delle lingue naturali. E quindi non imponedi estendere pregiudizialmente a qualunque sistema che vogliadirsi pienamente linguistico qualche tratto strutturale dellelingue verbali. Questo dato è molto importante per lo studiodelle lingue dei segni perché legittima teoricamente tutti quegliapprocci non « assimilazionisti » (Cuxac & Antinoro Pizzuto-2,2, Pizzuto et al. -220), gli approcci cioè che studiano lestrutture delle lingue dei segni per quello che esse sono senzavolerle necessariamente ricondurre alle strutture delle lingueverbali.

Va detto però che, nel modello di De Mauro, una dellecondizioni dell’indeterminatezza del segno linguistico è la suaarbitrarietà. Solo un segno arbitrario può cambiare il propriosignificante o estendere il proprio significato. Ora, qualunqueapproccio non assimilazionista alle lingue dei segni non puònon riconoscere la presenza importante di iconicità nella strut-tura di queste lingue. Per tentare di rispondere a questa appa-rente incoerenza, senza imporre forzature alla descrizione dellelingue dei segni, abbiamo lavorato molto, in parallelo primae congiuntamente poi, Tommaso Russo ed io (Russo -223a,-223b, Pietrandrea -222, -22-, Pietrandrea & Russo -220). Neparleremo nei §§ 3 e /.

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Da una punto di vista sociolinguistico, va sottolineato chela negoziazione sociale è considerata, nel modello di De Mau-ro, al tempo stesso come la causa e lo strumento di controllodell’indeterminatezza dei segni linguistici. Per usare una termi-nologia saussuriana, potremmo dire che la socialità del segnolinguistico è un fattore interno e non esterno alla lingua. Lalingua pertanto è vista come un oggetto sociale e non (solo)come un oggetto cognitivo.

Quest’approccio ha due conseguenze importanti, che, comeè ben noto, sono ampiamente esplorate nel lavoro scientificodi Tullio De Mauro: una conseguenza per la metodologia dellinguista e una conseguenza per la politica linguistica.

La prima e più importante conseguenza metodologicadi una definizione di lingua come oggetto sociale è che illinguista che voglia studiare come una certa lingua è fattadovrà necessariamente prendere in considerazione dei datireali: non potrà ricorrere semplicemente all’introspezionelinguistica, ma dovrà studiare produzioni autentiche reperitenell’uso sociale della lingua. Per fare questo, il linguista nonpotrà dunque prescindere dall’apparato di strumenti offertidalla linguistica dei corpora e dalla sua stretta interconnessionecon la linguistica computazionale. Questa questione si è postain tutta la sua delicatezza per lo studio delle lingue dei segni,lingue che non hanno una forma di scrittura e quindi mal siprestano ad un’analisi delle produzioni reali. Ne parleremonel § 0.

La conseguenza politica della definizione della lingua comefatto sociale sta nella considerazione dello standard. Lo standardnon può coincidere con una qualche norma astratta trasmessabrutalmente da una qualche istituzione, ma piuttosto con una pra-tica di negoziazione sociale mediata ovviamente dalle istituzioni.La considerazione dei dati reali sulla lingua dei segni e la cura perla negoziazione sociale del significato costituiscono due questioniestremamente delicate per lo studio delle lingue dei segni, chesono state affrontate con particolare rigore e consapevolezza nellaricerca sulla LIS. Ne parleremo nei §§ . e 0.

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$. L’incontro con la lingua dei segni

Nei primi anni Novanta, apparvero un certo numero di pubbli-cazioni sulla LIS, compresi alcuni imponenti dizionari (Ange-lini et al. ,55,, Romeo ,55,, Radutzky ,55-, Caselli et al. ,553).Già da qualche anno, un coraggioso gruppo di ricercatrici del-l’Istituto di Psicologia del CNR (attuale Istituto di Scienze eTecnologie della Cognizione) guidato da Virginia Volterra ave-va stabilito una sede nell’Istituto per Sordomuti “TommasoSilvestri” di via Nomentana e studiava la lingua dei segni parlatadalla comunità sorda romana, coinvolgendo nei propri studii segnanti sordi. De Mauro mi propose di prendere contattocon quel gruppo e quella comunità e di preparare una tesi dilaurea sulla LIS e in particolare sulla sua organizzazione lessi-cale. Molto presto ebbi modo di condividere le mie ricerchecon Tommaso Russo, che aveva discusso qualche mese primadi me una tesi sul nome proprio nelle lingue verbali e che perragioni diverse cominciò ad interessarsi all’uso dei nomi proprie dei segni–nome (i nomi propri attribuiti dalla comunità disegnanti) nella comunità sorda di Roma.

Quella comunità e quella lingua costituivano, in particolarein quel momento, un osservatorio privilegiato per testare labontà del modello teorico sviluppato da De Mauro: ci si potevachiedere se la LIS fosse e6ettivamente onniformativa, se i suoisegni fossero indeterminati e autonimici, se e in che limiti essifossero arbitrari e poi se esistesse una metalinguisticità rifles-siva per la LIS e come questa fosse usata nella determinazionesociolinguistica di un qualche standard.

Tommaso ed io avemmo il privilegio di poter lavorare su questequestioni guidati per molti anni da Elena Pizzuto e Virginia Volter-ra, oltre che da Tullio De Mauro. La collaborazione fu formalizzatada un progetto congiunto CNR/Università (,55/–5.) che si chia-mava “Le lingue dei segni all’università”, che permise di introdurrel’insegnamento teorico e pratico della LIS all’Università di Roma“La Sapienza”, insegnamento che Tommaso ed io assicurammopoi, in collaborazione con Paolo Rossini, fino al -222.

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Furono anni molto belli. Le ricerche dell’Istituto si eranogià indirizzate contro l’assimilazionismo e verso uno studiodelle strutture della LIS così come sono. Si misurava coraggio-samente l’incidenza dell’iconicità nei processi di comprensione(Pizzuto & Volterra -222); si cominciava a porsi la questionedell’annotazione delle strutture vere delle lingue dei segni (Piz-zuto & Pietrandrea -22,). Il piccolo istituto di via Nomentanacostituiva all’epoca un polo di riferimento internazionale perlo studio delle lingue dei segni. La teoria di De Mauro ebbemodo quindi di riverberare non solo sullo studio della LIS, masullo studio delle lingue dei segni tout court.

%. L’analisi semiotica

L’analisi semiotica che condussi sui dizionari della LIS mostròmolto rapidamente che queste lingue si prestavano ad usi lessi-cali molto variegati, che questi usi potevano variare, che quindile lingue dei segni presentavano quella indeterminatezza seman-tica che è tipica delle lingue verbali. Non solo, l’organizzazionemorfologica del lessico della LIS (in particolare l’analisi dellecomponenti manuali, quali la configurazione della mano, il suomovimento, il luogo in cui il segno è articolato) sembrava obbe-dire agli stessi principi di economia linguistica che da Zipf (,51/)in poi sono riconosciuti come principi fondanti l’organizzazio-ne linguistica. Nella creazione lessicale della LIS si assisteva aun ricorso massiccio ad un numero ristretto di strutture morfo-logiche più semplici da un punto di vista articolatorio e moltopoco informative. Le strutture morfologiche più complesserisultavano essere utilizzate più raramente e molto specializzateda un punto di vista semantico. Questi dati quantificavano lacapacità della LIS di ottimizzare, come una qualunque linguanaturale, tra ridondanza ed economia (Pietrandrea ,55/, ,554).Le lingue dei segni presentavano quindi proprietà semiotichee caratteristiche strutturali astratte molto simili a quelle dellelingue verbali.

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Figura ". Una foglia che cade e si trasforma in un foglio di giornale.

Tuttavia, potei calcolare sul mio corpus di ,533 segni trattidai dizionari che l’incidenza di elementi iconici era molto altanella LIS: il /2% delle configurazioni e il .0% dei luoghi d’arti-colazione risultavano iconicamente motivati (Pietrandrea ,55/,,550, -22-). Questo dato, va detto, contrastava con il fatto che,benché iconiche, le strutture morfologiche della LIS fosserocomunque fortemente polisemiche: per fare un esempio, unaconfigurazione come la configurazione / che si articola conla mano aperta è spesso usata iconicamente per indicare unasuperficie piana, oppure una trasparenza, oppure il numero /,ma come già questi pochi esempi mostrano, essa è iconica epolisemica al tempo stesso (Pietrandrea -22-). Parallelamentealla mia tesi di laurea, Tommaso Russo mostrava nella sua tesidi dottorato incentrata sull’analisi di testi di diverso genere inLIS (poesia, narrazione, conferenze) che una iconicità dinami-ca, cioè creata nel discorso (Russo -223a, -223b) pervadeva leproduzioni in LIS.

Un esempio di questa iconicità dinamica è nella sequenza ri-prodotta nella Figura -, tratta da una poesia in segni prodottada Giuseppe Giuranna e analizzata da Tommaso Russo (-223a,Pietrandrea & Russo -220). In questa sequenza, il segnante rap-presenta una foglia che cade da un albero e arriva a terra. Lafoglia è rappresentata dalla mano destra del segnante che articola

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una configurazione / e che discende lentamente, verso il suolo,come se fosse mossa dal vento. Il suolo è rappresentato dallamano sinistra ferma in basso che articola una configurazioneB (mano aperta e dita serrate). Quando la foglia tocca il suolo,la mano che rappresentava la foglia ruota ripetutamente versol’esterno, mantenendo la stessa configurazione /. Quella manorappresenta non più una foglia trasportata dal vento, ma un fogliodi giornale aperto dal vento. Il segnante gioca sul significantenella sua creazione poetica e gioca sulla indeterminatezza dellaconfigurazione / che solo contestualmente e solo per via di unapresupposizione di iconicità è interpretata alternativamente comeil segno per FOGLIA o il segno per FOGLIO DI GIORNALE(Russo -223a, Pietrandrea & Russo -220).

I dati che raccoglievamo nelle nostre tesi, e in particolarel’analisi di sequenze come quella appena illustrata, mostravanoche l’indeterminatezza dei segni della LIS che ne garantivacertamente l’onniformatività (che si spingeva fino alla creazionepoetica) non richiedeva necessariamente una arbitrarietà delsegno LIS; anzi, talvolta solo la presupposizione di iconicitàpermetteva di determinare il significato del segno.

Tommaso ed io spiegammo abbastanza facilmente questaapparente contraddizione mostrando che, nonostante la presen-za di quella che Simone (,552) definirebbe un’iconicità verticale(cioè una somiglianza tra referente e significante), le lingue deisegni sono caratterizzate da un’arbitrarietà radicale. L’arbitrarie-tà radicale è reperibile nel fatto che non è possibile data un’unitàarticolatoria (una configurazione, un luogo, un movimento)prevedere se e con quale significato iconico essa sarà utilizzata,e soprattutto nel fatto che il repertorio delle unità di articolazio-ne resta limitato alle forme previste da un paradigma definitodal sistema linguistico e che, indipendentemente dall’iconicità,questo paradigma è organizzato per fasci d’opposizione comequalunque paradigma di elementi articolatori delle lingue ver-bali (Martinet ,5//, Pietrandrea & Russo -220). Per spiegarequindi questa coesistenza di iconicità e arbitrarietà Tommasoed io proponemmo di rinunciare a considerare iconicità e arbi-

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trarietà come antonimi e di prevedere che esistessero sistemisemiotici come quello delle lingue dei segni profondamentearbitrari e comunque caratterizzati da una presenza importantedi quelle che, seguendo Peirce, Tommaso mi spinse a definire« ipo–icone » di immagini (Pietrandrea & Russo -220).

Per riassumere, i segni delle lingue dei segni si rivelaronoben presto dei segni linguistici secondo il modello proposto daDe Mauro, o se vogliamo vederla nell’altro senso, il modello diDe Mauro non fu messo in crisi dall’incontro con le lingue deisegni. Come precisò De Mauro stesso, partecipando nel ,555 al-° Convegno nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni a Genova(De Mauro -222), le lingue dei segni sono lingue produttive,a segni indeterminati, radicalmente arbitrari, caratterizzati dametalinguisticità riflessiva. Tommaso ed io aggiungemmo chequesti segni radicalmente arbitrari non sono necessariamentenon iconici (Pietrandrea & Russo -220).

&. La negoziazione sociolinguistica e la standardizzazione

Benché, da un punto di vista semiotico, le lingue dei segni pos-sano essere considerate come delle vere e proprie lingue, essepresentano delle specificità sociolinguistiche che le allontana-no di molto dalle lingue verbali. Come hanno recentementemesso in luce Cuxac & Antinoro Pizzuto (-2,2), le lingue deisegni sono parlate da comunità molto piccole, disperse sul terri-torio. Queste lingue, raramente trasmesse da una generazioneall’altra (solo circa il /% dei sordi nasce da genitori sordi), sonostate per ragioni storiche stigmatizzate molto a lungo, in parti-colare in Italia. Quando, alla fine degli anni Settanta, VirginiaVolterra e i suoi collaboratori si sono avvicinati alla comunitàdi sordi romani, questi negavano di avere una lingua dei segni,poi si voltavano e segnavano fra loro. La comunità era quinditalmente priva di consapevolezza metalinguistica da non ricono-scere nemmeno l’esistenza della lingua che parlava. La ricercacondotta sulle lingue dei segni a Roma ha fin dai primi anni

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coinvolto le persone sorde attivamente nelle analisi linguistiche.Questa pratica metalinguistica ha permesso ai sordi di maturareuna coscienza tale della loro lingua da portarli nel giro di unadecina d’anni a poterla insegnare in una serie di sedi istituzio-nali. Negli anni Novanta, la LIS era già insegnata ovunque inItalia, era usata (seppur raramente) in televisione e in un grannumero di progetti educativi nelle scuole. Si poteva assisterein tutte queste sedi al “farsi” di questa lingua, alla pratica dellanegoziazione della determinazione linguistica, teorizzata da DeMauro. La LIS si arricchiva parallelamente all’arricchimentoculturale dei suoi parlanti e numerosi erano i dibattiti più omeno u7ciali tra parlanti sulla creazione e di6usione di neo-logismi tecnici usati in situazioni u7ciali. Si potevano vederesegnanti considerati “di prestigio” che si opponevano con forzaal tentativo di qualche interprete di introdurre dei neologismicalcati sull’italiano, che magari potevano risolvere un problematraduttivo particolare, ma che non rispettavano le restrizionifonotattiche della LIS.

In breve, negli anni Novanta, grazie all’impulso dato dallaricerca linguistica, la LIS si liberava da pregiudizi storici cheavevano fortemente leso la consapevolezza metalinguistica deiparlanti e una dinamica di determinazione linguistica e con-seguente standardizzazione si stava avviando. Da una partequesta mostrava la concretezza dell’ipotesi forte del modellodi De Mauro. D’altra parte, proprio l’esistenza di una cultu-ra generale influenzata da quel modello teorico, una culturacapace di riconoscere alla società intera la legittimità della ne-goziazione linguistica, dava forza e legittimità al processo distandardizzazione dal basso della LIS.

'. La rappresentazione delle lingue dei segni

Come è stato recentemente sottolineato da Cuxac & AntinoroPizzuto (-2,2), la questione della standardizzazione delle lingue

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dei segni, che ha conosciuto un impulso importante grazie allaricerca linguistica, rimane un processo incompiuto. E in questomomento forse è paradossalmente proprio a causa della ricercalinguistica sulle lingue dei segni e dei suoi limiti che questoprocesso non arriva a maturazione completa.

Rimando al bel lavoro di Cuxac & Antinoro Pizzuto (-2,2)per i dettagli, e mi limito a dire brevemente che la linguisticadelle lingue dei segni si è focalizzata storicamente sull’analisi disegni decontestualizzati, quelli rappresentati nei dizionari e chehanno costituito l’oggetto ad esempio della mia tesi di laurea(Pietrandrea ,55/). Molto più sporadica è stata l’analisi dei segniin contesto, e l’analisi delle strutture sintattico–discorsive dellelingue dei segni — mi riferisco ad analisi come quelle condotteda Tommaso Russo (cfr. § /). Questo si è verificato per dueragioni: da una parte, l’abbiamo visto, analizzare il discorso inlingua dei segni richiede necessariamente di prendere in esamela pervasiva iconicità di queste lingue; e questo va contro gliobiettivi degli approcci assimilazionisti allo studio delle linguedei segni. D’altra parte esisteva, ed in parte esiste tuttora, unproblema importante di rappresentazione del discorso segnatoche ostacola lo studio di questo livello d’analisi. Qualche siste-ma di rappresentazione dei segni decontestualizzati esiste (siveda Antinoro Pizzuto et al. -2,2 per una rassegna), mentre larappresentazione di interi testi in lingua dei segni è limitata aqualche esperienza pionieristica.

Di conseguenza la ricerca linguistica che tende a concen-trarsi sull’analisi dei segni decontestualizzati riflette solo unaparte delle strutture e degli usi delle lingue dei segni e questarappresentazione parziale ostacola, secondo Cuxac & AntinoroPizzuto, la maturazione presso i segnanti della piena consapevo-lezza dell’uso che essi fanno della loro lingua in contesto, dellestrutture, altamente iconiche, che essi impiegano per produrrediscorsi in lingua dei segni.

La relazione stretta tra l’acquisizione di una piena consape-volezza metalinguistica da parte dei segnanti e lo sviluppo diun sistema di rappresentazione completo delle lingue dei segni,

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sistema che permetta anche una scrittura delle lingue dei segni— oltre che una semplice trascrizione — è un problema crucialeper il futuro della linguistica delle lingue dei segni.

Tra le esperienze pionieristiche in questo campo, spicca laricerca appassionata condotta da Elena Pizzuto negli ultimi anni.In collaborazione con Paolo Rossini, Elena Pizzuto ha creatol’équipe SignWriting, un’équipe di ricercatori sordi e udenti,di dottorandi sordi e udenti, alla quale si è associata IsabellaChiari, altra allieva di De Mauro con una grande esperienza dilinguistica dei corpora e di linguistica computazionale-.

Il lavoro dell’équipe ha portato ad un adattamento del siste-ma del Sign Writing, elaborato per la rappresentazione dell’A-merican Sign Language da Valerie Sutton (,555 [,55/]). Questosistema permette una rappresentazione iconica del testo segna-to che è stata utilizzata con una buona ergonomia, con tempirapidi di apprendimento e con tempi rapidi di realizzazione,per la trascrizione di testi in LIS, ma anche per la scrittura ditesti in LIS. Oltre a poter trascrivere campioni da analizzare,i sordi che apprendono questo sistema possono agevolmenteprendere appunti, scrivere testi, cartoline, lettere direttamen-te nella loro lingua. Rimando alle numerose pubblicazioni delgruppo per i dettagli (Antinoro Pizzuto et al. -224, -2,2, Pizzutoet al. -22., Gianfreda et al. -225).

Questa esperienza, non ancora compiuta, è comunque cru-ciale per apprezzare dal vivo le interrelazioni profonde che lega-no una visione sociale della lingua, i metodi usati dal linguista,l’arricchimento della lingua stessa e la crescita dei parlanti.

-. Fanno parte dell’équipe Paolo Rossini, Giulia Petitta, Alessio Di Renzo,Claudia S. Bianchini, Tommaso Lucioli, Luca Lamano, Barbara Pennacchi, GabrieleGianfreda, Isabella Chiari.

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(. Conclusioni

In quest’articolo ho voluto portare la testimonianza dell’incon-tro tra l’importante teoria della lingua elaborata da De Mauroe l’altrettanto importante pratica di ricerca sulla LIS condotta aRoma.

Non so dire esattamente quale sia stata la direzione di que-sta interazione: se la pratica abbia confermato la teoria o se lateoria abbia indirizzato la pratica. Forse è inutile dirlo e forse, avederla adesso a tanti chilometri e tanti anni di distanza, que-st’incontro ha semplicemente il sapore di quella scuola romanadi linguistica che ha avuto tantissimi meriti e forse l’unico tortodi non essersi autorappresentata come tale e con forza.

C’è da aggiungere che questa storia, almeno per ora, finiscemale. Tommaso Russo ed Elena Antinoro Pizzuto sono scom-parsi precocemente, con loro Daniela Fabbretti, che lavoravain ambito psicolinguistico sulle lingue dei segni e sui sistemidi notazione dei segni. Personalmente, sono stata indotta adoccuparmi di cose diverse dalle lingue dei segni già all’iniziodel mio dottorato. La crisi drammatica della ricerca italiananon permette di finanziare in maniera dignitosa le ricerchedella seconda generazione degli allievi di Elena Pizzuto, né diincoraggiarli con prospettive di impegno scientifico di lungorespiro. Il rischio che questa importante eredità vada dispersaè concreto. Ed è anche per questo che ho voluto portare que-sta testimonianza, perché possa conservarsi in un importantevolume, dedicato ad un importante studioso, il ricordo di unpezzetto di un percorso di ricerca che è stato fondamentaleper la comunità dei sordi, per la crescita della loro lingua e perun gruppo di ricercatori appassionati. Magari ci saranno tempimigliori in cui questa eredità potrà essere raccolta da qualcunocon più facilità.

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Paola PietrandreaUniversità degli Studi “Roma Tre”