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Lorenzo Tibaldo - claudiana.mediabiblos.it · il coraggio di rischiare questa. iv Sono felice che un altro autore abbia sentito l’urgenza che ho sentito e sento io come altri di

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Lorenzo Tibaldo

La Rosa Bianca Giovani contro Hitler

Claudiana editricewww.claudiana.it

© Claudiana srl, 2014 Via San Pio V 15 - 10125 Torino Tel. 011.668.98.04 - Fax 011.65.75.42 [email protected] www.claudiana.it Tutti i diritti riservati - Printed in Italy

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Progetto grafico: Vanessa CuccoStampa: Stampatre, TorinoIn copertina: Sophie e Hans Scholl (© Manuel Aicher).

Scheda bibliografica CIP

Tibaldo, LorenzoLa Rosa Bianca : Giovani contro Hitler / Lorenzo Tibaldo ; prefazione di

Paolo GhezziTorino : Claudiana, 2014215 p. ; 21,5 cm. ISBN 978-88-7016-958-41. Resistenza - Germania

(22. ed.) 943.0860922 Storia. Germania. Terzo Reich, 1933-1945. Gruppi di persone

Lorenzo Tibaldo,

studioso di storia dell’Ottocento e del Novecento, in particolare del-le organizzazioni del movimento dei lavoratori e della Resistenza, per Claudiana ha pubblicato: Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nico-la Sacco e Bartolomeo Vanzetti (Torino 2008); Il viandante della libertà. Jacopo Lombardini (1892-1945), (Torino 2011); Nicola Sacco, Bartolo-meo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere (a cura di; Torino 2012); Wil-ly Jervis (1901-1944). Una vita per la libertà (Torino 20142).

L’uomo è sempre stato ammalato e lo sarà ancora. Nella vita dei popoli come in quella degli individui

guarire significa solo rendere un po’ meno ammalati. Oggigiorno la malattia dell’umanità è più visibile

che in altre epoche (Karl Barth, Come guariranno i tedeschi?).

Come ci si può aspettare che, allora, il destino conceda vittoria a una giusta causa, quando nessuno è pronto

a sacrificarsi pienamente per essa? (Sophie Scholl, Ulma, 22 maggio 1940).

Sommario

Prefazione di Paolo Ghezzi i

Il Quintetto delle trote di Schubert 9

Le faggete di Forchtenberg 27

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli 61

Osservando le stelle 85

Siate seguaci della parola con l’azione 93

Il bambino della steppa 109

Attenzione, è ebreo! 117

Un fruscio di carta 127

Resistenza 153

Evviva la libertà! 177

La verità della parola 205

Bibliografia essenziale 211

Crediti fotografici 215

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Prefazionedi Paolo Ghezzi*

Scelta felice, quella di Lorenzo Tibaldo, di cominciare la sua storia della Rosa Bianca con una pagina gioiosa – traboccante giovanile passione – di Sophie Scholl, piena di entusiasmo per un fresco ascolto del quintetto capolavoro di Schubert.

Allusione densa di significato metaforico e perfino di premo-nizione, visto che è l’ultima lettera scritta da Sophie Scholl, 21 anni, alla vigilia di essere arrestata con il fratello Hans all’Uni-versità di Monaco il 18 febbraio 1943, in quella fredda mattina invernale dove si congela e si uccide la breve storia resistenziale della Weisse Rose.

Il quintetto schubertiano si ispira a un Lied attinto al testo poetico del quasi omonimo Christian Schubart, in cui la trota è simbolo di una libertà sempre a rischio, soprattutto se in ag-guato ci sono gli ingannatori della gioventù: finché il torrente è trasparente, la trota guizza libera ed evita l’amo traditore, ma quando il pescatore intorbida le acque, finisce catturata.

Quale migliore immagine per descrivere al rovescio la pa-rabola esistenziale dei fratelli Scholl, prima irretiti nell’acqua torbida della propaganda nazista e convinti leader locali della

* Inviato del quotidiano “l’Adige” e direttore editoriale della casa editrice Il Margine, Paolo Ghezzi ha dedicato alla Rosa Bianca alcuni libri: La Rosa bianca. Un gruppo di Resistenza al nazismo in nome della libertà (San Paolo Edizioni, Cini-sello Balsamo 2006), Noi non taceremo. Le parole della Rosa Bianca (Morcelliana, Brescia 1997), Sophie Scholl e la Rosa Bianca (Morcelliana, Brescia 2003), La Rosa bianca non vi darà pace. Manuale di giovane resistenza (Il Margine, Trento 2014).

ii

Gioventù hitleriana, poi capaci di trovare la trasparenza dell’op-posizione al regime che alla gioventù tedesca aveva – parole dell’ultimo volantino – «tolto il bene più prezioso», la libertà…

Questo libro è attento nell’inquadrare storicamente e politi-camente la vicenda della Rosa Bianca, quei sei volantini che, dal giugno 1942 al febbraio 1943, presero vita a Monaco di Baviera, sullo sfondo opprimente di un regime che si presentava – scrisse lucidamente il teologo Dietrich Bonhoeffer – come una grande mascherata del Male che si manifesta come «socialmente giu-sto». In ciò rivelando ancor più la sua «abissale malvagità».

Di questo erano perfettamente consapevoli gli autori dei pri-mi quattro volantini della Rosa Bianca, cioè Hans Scholl in pri-mis e Alex Schmorell come collaboratore, quando scrivono – nel quarto volantino –: «È ben vero che si deve portare avanti con metodi razionali la lotta contro lo stato terroristico; ma chi oggi dubita ancora sulla reale esistenza di forze demoniache, non ha assolutamente capito lo sfondo metafisico di questa guerra».

L’autore sceglie di far parlare spesso i giovani protagonisti del gruppo, e le citazioni dalle lettere e dai diari danno conto della loro evoluzione interiore, del lavoro preparatorio che c’è dietro le singole scelte resistenziali degli appartenenti alla Rosa Bianca.

Un lavoro compiuto in primo luogo dalla coscienza perso-nale, e poi perfezionato negli incontri di gruppo, nei dialoghi amicali che sono il tessuto connettivo della Weisse Rose, come di altre esperienze di resistenza giovanile alla dittatura nazio-nalsocialista.

Alla socializzazione imposta dalla propaganda e dalle orga-nizzazioni obbligatorie del regime, Hans Scholl e i suoi amici contrappongono una rete piccola ma tenace, profonda, di parole e di reciproche confidenze, e un continuo confronto dialettico sui temi che contano. Il tutto innervato dalla spiritualità cristia-na che si abbevera alle Sacre Scritture e che attraversa facilmente

iii

i recinti confessionali, tra gli Scholl evangelici, Willi Graf catto-lico, Alexander Schmorell ortodosso, Christoph Probst neppure battezzato ma educato a una libera ricerca dal padre appassio-nato di religioni orientali.

Ma che cosa ha spinto quei giovani credenti a passare dall’an-dersdenken, dal pensare in opposizione alla dittatura, all’azione conseguente, sia pure con i mezzi fragili e “volatili” di sei appel-li ciclostilati? La scintilla della radicalità, che accende soltanto una minoranza delle persone, mentre la maggioranza aderisce al verbo del più forte o dissente ma tace per non rischiare la propria sopravvivenza. «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non soltanto ascoltatori»: il monito dell’apostolo Giacomo scelto come impegno di vita da Willi Graf, che mai si iscriverà alla Gioventù hitleriana, è la chiave per capire.

Le voci ufficiali delle chiese (tranne qualche luminosa ecce-zione come quella del vescovo Von Galen, ora sugli altari) hanno parlato poco, nei dodici terribili anni del nazionalsocialismo al potere, e non sempre hanno parlato chiaro e forte. Spesso, inve-ce, hanno cercato gli accomodamenti, i compromessi, le media-zioni con il potere costituito, anche se illegalmente esercitato. Preti cattolici e pastori protestanti si sono opposti, sono finiti nei Lager, ma molti altri – pur se distanti dall’ideologia razzista e anticristiana del nazismo – hanno consigliato ai propri fedeli l’adattamento, la prudenza, la dissimulazione. Le chiese hanno anche fatto autocritica e chiesto perdono. Ma dopo la fine della guerra e della dittatura. Non durante. Non mentre la Rosa Bian-ca veniva recisa.

Al contrario, i martiri che testimoniano fino al sangue, come gli amici della Weisse Rose, non riescono a essere soltanto ascol-tatori, non aspettano di diventare maggioranza, dentro hanno un’urgenza che li divora, un imperativo di coerenza che li obbli-ga, e anche – nel caso degli Scholl – un senso di colpa per essere stati, da adolescenti, ingannati e a loro volta ingannatori.

Non possono tacere, vogliono convertirsi e convertire.Hanno dentro la febbre della libertà, la fede in un’altra vita,

il coraggio di rischiare questa.

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Sono felice che un altro autore abbia sentito l’urgenza che ho sentito e sento io come altri di raccontare un’altra volta la storia appassionata e appassionante della Rosa Bianca, magnifica e im-pegnativa scuola di “giovane resistenza”. Che non invecchia mai.

Riuniti lungo il fiume Meno, uomini appena reclutati presentano il saluto nazista durante la cerimonia inaugurale dei lavori di costruzione del primo

tratto dell’Autobahn tra Francoforte e Heidelberg (23 settembre 1933).

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Cara Lisa!Sto ascoltando Il Quintetto delle trote al grammofono. Vorrei es-sere anch’io una trota quando ascolto l’Andantino. Non si può fare a meno di gioire e di ridere, quasi come quando, con il cuore pesante e triste, guardi il cielo con le sue nuvole di primavera, e i rami che germogliano cullati dal vento, al luccicare del pri-mo sole. Oh, la primavera mi rende così felice! In quest’opera di Schubert si distinguono e si odorano l’aria stessa e i profumi. Si percepisce tutto il giubilo degli uccelli e delle altre creature. La ripetizione del tema con il pianoforte – oh, sì, può incantare come l’acqua fredda trasparente e spumosa1!

Sophie Scholl scrive queste righe a Monaco di Baviera il 17 febbraio 1943; mentre sta vergando quest’ultima lettera, sulla città fanno capolino i raggi di un timido sole che lotta per aprir-si un varco nel plumbeo cielo invernale e i passanti infreddoliti si affrettano per le strade.

Sophie si lascia trasportare, chiudendo ogni tanto gli occhi, dalla musica di Schubert e le immagini della melodia la condu-cono con serenità dentro se stessa, nei suoi pensieri, sorretta da quell’intreccio di musica e natura che il grande compositore sa

* In realtà, noto come La trota (Forellenquintett).1 Cara Lisa!, Monaco, 17 febbraio 1943, Hans e Sophie Scholl, Lettere e

diari, pref. di Paul Josef Cordes, trad. di Valentina Gallegati, Itacalibri, Castel Bolognese (RA) 2006, pp. 266-277 (ed. or. Briefe und Aufzeichnungen, Fischer Verlag, Frankfurt am Main 1984).

Il Quintetto delle trote* di Schubert

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suscitare. Non immagina che le note dell’Andantino di Schu-bert saranno le ultime della sua vita: il giorno dopo, insieme al fratello Hans, sarà arrestata all’Università di Monaco mentre distribuisce volantini antinazisti davanti alle aule.

Quattro giorni dopo, con il fratello e l’amico Christoph Prob-st, morirà sotto l’implacabile e tagliente lama della ghigliottina.

La storia dei giovani della Rosa Bianca è un tentativo di squarciare il ferreo totalitarismo imposto in Germania da oltre dieci anni, quando il 30 gennaio 1933 il presidente Hindenburg affidò la cancelleria a Adolf Hitler, Führer dei nazisti2.

Sophie e Hans Scholl, Christoph Probst, Willi Graf, Hans Leipelt, Kurt Huber, Alexander Schmorell fanno parte di coloro che, con difficoltà e senza appoggi da par-te della popolazione tedesca, si oppongono alla mostruosa macchina da guerra e di sterminio del nazismo, per ridare nuova dignità al popolo tedesco.

Certamente, il nazismo, per imporre il proprio potere, usa il sistema del terrore, della violenza e di una propaganda martellante, capaci di reprimere, impaurire e convincere, ma

Hitler giunge al potere sfruttando abilmente non solo la storia pe-culiare della Germania, ma anche la crisi che ha investito l’Europa e che tocca drammaticamente anche la società tedesca.

Il primo segno, che ha lasciato profonde cicatrici, è il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919, il quale infieriva con una pace punitiva3, ritenendo i tedeschi responsabili delle devasta-

2 Cfr. William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 196211 (ed. or. The Rise and Fall of the Third Reich, 1959); Karl D. Bracher, La dittatura te-desca. Origini, strutture, conseguenze del nazionalsocialismo in Germania, il Mulino, Bologna 1973 (ed. or. Die Deutsche Diktatur. Entstehung, Struktur, Folgen des Natio-nalsozialismus, Kiepenheuer & Witsch, Köln-Berlino 1969); Klaus hildeBrand, Il Terzo Reich, Roma-Bari, Laterza, 1983 (ed. or. Das Dritte Reich, R. Oldenburg Verlag, Monaco di B.-Vienna 1979).

3 Cessione dell’Alsazia e della Lorena, delle colonie, distacco del bacino minerario della Saar, forte riduzione dell’esercito, scomparsa della flotta, pa-gamento di 269 milioni di marchi oro come riparazione dei danni di guerra.

Adolf Hitler si inchina davanti al maresciallo

Hindenburg che sta per nominarlo cancelliere

(30 gennaio 1933).

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zioni causate dalla Grande guerra, provocando un revanscismo che il nazismo saprà sfruttare fino in fondo.

La crisi politica vede venir meno quegli equilibri tra le for-ze sociali e politiche sui quali si era retta l’impalcatura della Repubblica di Weimar4. Una tensione continua tra le spinte al rinnovamento e di riforma e le resistenze delle vecchie istanze autoritarie e conservatrici, che ostacolano la democratizzazione della stato e della società tedesca nell’intento di applicare la Co-stituzione5 di Weimar, uno dei dettati costituzionali democra-tici e sociali più avanzati nell’Europa uscita dal primo conflitto mondiale.

Sul terreno sociale era già entrata in crisi, fin dal 1925, la tregua che si era concordata dal 1919 tra i sindacati e gli imprenditori. Con l’esplodere della crisi economica, ogni atteggiamento di mo-derazione dalle forze economiche viene abbandonato e il potere contrattuale dell’imprenditoria agricola e industriale si rafforza a scapito dei sindacati e dei lavoratori. Il ruolo di mediazione svolto dallo stato tra gli imprenditori e il mondo del lavoro, una delle caratteristiche importanti del sistema weimariano, viene meno, quindi le forze economiche riprendono libertà di azione.

La crisi del 19296 fa il resto, portando nel 1932, alla vigilia della presa del potere di Hitler, ad avere un lavoratore su due disoccupato.

Alcuni dati fanno riflettere sulla facile presa della propagan-da nazionalsocialista: la disoccupazione passa dal 9,7% del 1928 al 44,4% del 1932; il salario settimanale dei lavoratori tedeschi

4 Cfr. Walter laqueur, La Repubblica di Weimar. Vita e morte di una società permissiva, Rizzoli, Milano 1979 (ed. or. Weimar. A Cultural History 1918-1933, Weidenfeld and Nicolson Ltd, Londra 1974); Gian Enrico ruSconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Einaudi, Torino 1977.

5 Il 19 gennaio 1919 si tiene una consultazione nazionale per l’elezione dei deputati all’Assemblea costituente che deve redigere la Costituzione. La Costi-tuzione del Reich tedesco, nota come Costituzione di Weimar, rappresenta uno dei capisaldi del costituzionalismo moderno.

6 Giovedì 24 ottobre 1929, con il crollo della borsa di Wall Street, dopo anni di boom azionario, inizia la grande depressione, detta anche crisi del ’29. La crisi sconvolge l’economia mondiale alla fine degli anni Venti, con forti ripercussioni durante i primi anni del decennio successivo.

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da 42,20 marchi del 1929 a 21,75 del 1932; la produzione indu-striale dal valore 100 del 1928, scende a 59 del 1932, e il Partito nazionalsocialista sale dal 2,6% delle elezioni del 1928 al 43,9% delle elezioni del 19337. La stessa crescita degli iscritti al Partito nazionalsocialista è significativa: 521 iscritti nel 1925, 468.099 nel 1931, per giungere nel 1933 a 1.490.432 adesioni8.

Situazione drammatica che sconvolge la società tedesca non soltanto economicamente, ma anche socialmente e cultural-mente:

Alla vigilia della nomina di Hitler circolava nel paese un senso d’impotenza, che si rispecchiava nel tasso dei suicidi per l’anno 1932, pari a più di quattro volte quello della Gran Bretagna dell’epoca, e quasi il doppio di quello degli Stati Uniti. Era larga-mente diffusa la percezione che il paese stesse sperimentando un tracollo dei valori culturali e morali. […] Il senso generale di crisi era rafforzato dalla disoccupazione di massa, che a sua volta ali-mentava il malcontento in tutte le classi sociali, anche in quelle che non ne erano minacciate direttamente9.

William Sheridan Allen spiega come a Thalburg – tranquillo centro dell’antico regno dell’Hannover, con una popolazione di circa diecimila abitanti – si possa assistere alla distruzione della democrazia, di una comunità politica, per mano dei suoi stessi abitanti che approdano in massa al nazionalsocialismo:

I cittadini che guardavano passare i disoccupati per le vie di Thalburg vedevano in loro qualche cosa di più del simbolo della catastrofe economica e potenzialmente della degradazione socia-le: la miseria dei disoccupati spesso suscitava sospetto e disgusto

7 Cfr. Enzo collotti, Nazismo e società tedesca 1933-1945, Loescher, Torino 1982, pp. 61-62.

8 Ivi, p. 110.9 Robert Gellately, Il popolo di Hitler. Il nazismo e il consenso dei tedeschi, trad.

di Giovanni Ferrara Degli Uberti, Longanesi, Milano 2002, pp. 24-25 (ed. or. Backing Hitler, Oxford University Press, Oxford 2001).

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più che compassione […] La disperazione dei disoccupati, non solo incuteva terrore e repugnanza nel ceto medio, ma distruggeva la fiducia dei lavoratori in se stessi: anni di ozio ne avevano minato lo spirito di disciplina; l’impo-tenza dei loro sindacati li lasciava esposti a dure pressio-ni economiche; gli aumenti di salario conquistati in più di un decennio erano sfumati e anche chi aveva ancora lavoro viveva nel terrore di perderlo10.

Nel novembre del 1930, Dietrich Bonhoeffer11, che si trova a New York, riceve dal fratello Klaus una lettera che fotografa in modo lucido quello che potrà accadere in Germania:

La situazione politica è cambiata profondamente da quando sei partito. Il successo del nazionalsocialismo ha convinto ampi strati della popolazione che il regime democratico abbia fallito negli ultimi dieci anni. Le con-seguenze della crisi economica mondiale vengono spiegate con motivazioni di politica interna. Si comincia a strizzare l’occhio al fascismo. Se questa ondata di radicalismo raggiunge anche la gente istruita, temo che questo popolo di poeti e filosofi sia spacciato12.

Tuttavia, se le condizioni storiche del momento sono state sicuramente un trampolino di lancio non indifferente per il na-

10 William Sheridan allen, Come si diventa nazisti: storia di una piccola città, Einaudi, Torino 1994, pp. 36, 133 (ed. or. The Nazi Seizure of Power. Experience of a Single German Town 1930-1935, Quadrangle Books, Chicago 1965).

11 Pastore e teologo luterano tedesco (1906-1945), fu membro fondatore della Chiesa confessante e protagonista della resistenza al nazismo. Coinvolto in un complotto per assassinare Adolf Hitler, venne arrestato dalla Gestapo nell’aprile del 1943 e condannato a morte. Il 9 aprile 1945, nel campo di con-centramento di Flossenbürg, fu eseguita la condanna tramite impiccagione.

12 Renate BethGe, Dietrich Bonhoeffer. Un profilo, Claudiana, Torino 2004, p. 22 (ed. or. Dietrich Bonhoeffer. Ein Profil, Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 2004).

Una casalinga adopera marchi ormai senza valore per accendere la stufa.

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zismo, non si possono disconoscere le responsabilità della stessa storia e cultura tedesca.

Scrive Bonhoeffer:

Nel corso di una lunga storia, noi tedeschi abbiamo dovuto im-parare la necessità e la forza dell’obbedienza. Vedemmo il senso e la grandezza della nostra vita nella subordinazione di tutti i desideri e i pensieri personali alla missione affidataci. […] Chi potrebbe contestare al tedesco di aver sempre espresso il massimo di audacia e di impegno esistenziale nell’obbedienza, nel compito assegnatogli, nella missione? […] Ma così egli non aveva capito il mondo; non aveva previsto che la sua disponibilità a sottomettersi e impegnare la propria vita nell’incarico ricevuto avrebbe potuto essere usata indebitamente verso il male13.

Nel 1942 egli sottolinea la drammaticità di quando l’uomo cade nella trappola di vedere dietro il male il bene:

La grande mascherata del Male ha sconvolto e confuso tutti i con-cetti etici. Che il Male si manifesti sotto l’aspetto della luce, del benvolere, dello storicamente necessario, del socialmente giusto, è un fatto semplicemente disorientante per chi viene dal nostro mondo tradizionale di concezioni etiche; per il cristiano, che vive della Bibbia, ciò è proprio la conferma dell’abissale malvagità del Male14.

Anche secondo Karl Barth il consenso dato dai tedeschi a Hitler è fondato sulla cultura dell’obbedienza all’autori-

tà. In una delle sue conferenze, tenute all’inizio del 1945, quan-do si percepisce l’avvicinarsi della catastrofe del delirio nazista, ma ancora non se ne ha la certezza, Barth scrive che alla fine della guerra il modo migliore per aiutare il popolo tedesco è quello di metterlo nella

13 Chr. GremmelS, H.W. GroSSe, Il cammino di Dietrich Bonhoeffer verso la resistenza, Claudiana, Torino 2006, p. 47.

14 Ivi, pp. 45-46.

Durante la cerimonia per l’apertura del primo

Reichstag a prevalenza nazionalsocialista,

un cordone di poliziotti cerca di contenere la folla

esultante.

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condizione di condividere la responsabilità della condotta dei suoi affari. I tedeschi sono abituati a lasciarsi governare dall’autorità, nel quadro della gerarchia, sono abituati ad osservare le consegne che emanano dall’alto. Proprio da questa mania sono stati afflit-ti per secoli; ne sono stati afflitti a morte da dodici anni in qua, e ne devono essere liberati ad ogni costo15.

Un segno di continuità nella storia del popolo tedesco per le

[…] responsabilità che si sono assunte seguendo Bismarck, Gu-glielmo II e Adolf Hitler e obbedendo di buon grado, paziente-mente ai loro ordini […]16.

Un lungo processo di asservimento delle masse fu favorito dal prussianesimo, il quale aveva forgiato una mentalità tedesca a immagine e somiglianza del sistema politico:

Bismarck, imponendo l’unità nazionale dall’alto, col sangue e col ferro, creò dei valori fondamentali su cui doveva poggiare burocra-ticamente tutto l’edificio da lui ideato: rispetto assoluto dell’auto-rità e delle gerarchie, orgoglio di essere tedeschi, culto dell’esercito, spirito di sacrificio. Sciovinismo, militarismo e sottomissione fu-rono incoraggiati da una borghesia che, dopo il fallimento della rivoluzione del 1848, abbandonò progressivamente la sua lotta per la democrazia17.

15 Karl Barth, Come guariranno i tedeschi?, trad. di Vera Brunelli e Lino De Nicola, pref. di Giovanni Miegge, Edizione del Candeliere, Milano 1946, p. 70 (ed. or. Die Deutschen Und Wir. Wie können die Deutschen gesund werden?, Evange-lischer Verlag A.G., Zollikon-Zurigo 1945).

16 Ivi, p. 52.17 Lionel richard, Nazismo e cultura, Garzanti, Milano 1982, p. 31 (ed. or.

Le nazisme et la culture, Librairie François Maspero, Parigi 1978). Nell’Ottocen-to nacque in Germania la socialdemocrazia, che trovò vasta eco nella classe operaia, per poi espandersi in Austria, Cechia, Scandinavia e anche Italia (vedi Filippo Turati), sviluppando forme d’azione non molto diverse da quelle del laburismo britannico.

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In sostanza, Hitler attinse a piene mani tra le idee già presenti nella storia e nella cultura tedesca dell’Ottocento, ovvero

la glorificazione della guerra e della conquista; il potere assoluto dello Stato autoritario; la credenza che gli ariani, identificati con i tedeschi, fossero la razza dominatrice; l’odio per gli slavi e per gli ebrei; il disprezzo per la democrazia e l’umanesimo18.

Che Hitler sapesse toccare le corde più profonde dell’animo tedesco lo aveva già inteso Emmanuel Levinas. In un suo saggio, pubblicato nel 1934 sulla rivista “Esprit”, scriveva che

la filosofia di Hitler è rudimentale. Ma le potenze primordiali che vi si consumano fanno esplodere la fraseologia miserabile sotto la spinta di una forza elementare. Destano la nostalgia segreta dell’animo tedesco. Ben più che un contagio o una follia, l’hitlerismo è un risveglio di sentimenti elementari19.

Per Karl Barth i tedeschi si devono sentire

corresponsabili dei misfatti nazionalsocialisti, e quindi di tutti gli orrori che questo regime ha commesso in tutta l’Europa20.

Non accetta di accollare il dramma della ferocia nazista a una piccola minoranza:

Se mi domandassero quali siano i maggiori responsabili dell’evo-luzione in Germania fra il mezzo per cento di criminali ed il no-vantanove per cento di buoni cittadini, risponderei senza esitare: «i buoni cittadini»21.

18 William L. Shirer, Storia del Terzo Reich cit., p. 108.19 Emmanuel levinaS, Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, trad. di

Andrea Cavalletti, Quodlibet, Macerata 20053, p. 23 (tit. or. Quelques réflexions sur la philosophie de l’hitlérisme).

20 Karl Barth, op. cit., p. 70.21 Ivi, p. 91.

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Barth rigetta la tesi che per scongiurare il flagel-lo del nazionalsocialismo, tutto il popolo tedesco avrebbe dovuto essere formato da eroi. Al contrario,

sarebbero bastati semplici cittadini, provvisti di un pensiero politico ragionevole, e pronti ad agire, ciascuno al suo posto. La “resistenza” si sarebbe manifestata da sé. Essa sarebbe sorta in ogni fun-zionario che rifiutasse di eseguire ordini illegali od insensati, in ogni professore o maestro che fosse ri-masto semplicemente fedele alla sua missione, in ogni pastore che avesse continuato a predicare il Vangelo nella sua interezza, in ogni ufficiale ge-loso del suo onore, ligio al suo diritto ed a quello degli altri, al diritto garantito dalla costituzione. Eroismo? No; sanità civile22!

Lo stato totalitario non è giunto come un fulmi-ne a ciel sereno, ma le sue unghie hanno iniziato a penetrare nella carne della Costituzione democra-tica, obbligando così persone normali a diventare eroi «che si poterono isolare ed abbattere uno alla volta senza fatica»23, e quindi il popolo tedesco deve prendere coscienza della

responsabilità che si è assunto il 30 gennaio, non foss’altro che con la sua irresponsabilità politica24.

L’unica medicina che può guarire i tedeschi da questa ma-lattia è che

imparino ad avere un pensiero ed un’azione politica liberi, cioè responsabili25.

22 Ivi, p. 92.23 Ivi, p. 93.24 Ibid.25 Ivi, p. 71.

I berlinesi osservano un manifesto elettorale nazista raffigurante cittadini tedeschi in abiti logori, prostrati dalla crisi economica (1932).

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In sostanza, l’auspicio per i tedeschi è il seguente:

Sono stati per tanto tempo ufficiali o soldati; si dia loro l’occasio-ne di diventare cittadini26.

Accettare una presunta superiorità della cultura tedesca ha fatto germogliare e crescere nei tedeschi quel cinismo e quell’in-differenza che aprirono le porte alla politica razziale che con-dusse alla Shoah.

Il problema centrale della storia tedesca tra il 1933 e il 1945 è che la schiacciante maggioranza dei tedeschi rimase silenziosa e troppo impaurita per interrogarsi sulle sorti delle persone a loro vicine. La crescente sparizione della decenza nella vita di tutti i giorni è il problema del quale, soprattutto, si devono preoccupare i tedeschi27,

anche perché il dramma della storia tedesca non fu solo l’ab-normità dei crimini perpetrati dal nazismo, ma, anche alla luce del pensiero di Hannah Arendt,

la banalità quotidiana con la quale i cittadini ordinari rinuncia-rono alla dignità28.

Nel luglio del 1945 il vescovo Von Galen29, che con le sue pre-diche si era opposto al nazismo, rifiuta però l’idea di una corre-sponsabilità collettiva, perché

26 Ivi, p. 72.27 Wolf lepenieS, La seduzione della cultura nella storia tedesca, il Mulino, Bo-

logna 2009, p. 273 (ed. or. The Seduction of Culture in German History, Princeton University Press, Princeton 2006).

28 Ivi, p. 274.29 Consacrato vescovo della città di Münster nel 1933, Clemens August von

Galen (1878-1946) difese il diritto della chiesa alla sua azione sociale, protestò vivacemente contro la soppressione delle istituzioni religiose di assistenza e, in piena guerra, denunciò dal pulpito la pratica dell’eliminazione dei malati psichici e fisici prevista dal programma nazista di eutanasia conosciuto come Aktion T4.

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è ingiusto presentare attualmente la situazione come se l’intera Germania, e ciascuno di noi, fosse colpevole per le crudeltà che alcuni membri del nostro popolo hanno commesse. È una colpevo-lizzazione falsa e ingiusta, l’affermare che tutto il popolo tedesco è corresponsabile dei delitti commessi nelle nazioni straniere e anche qui fra noi, soprattutto nei campi di concentramento.Proprio nei campi di concentramento sono stati deportati e uccisi molti cittadini tedeschi; questo attesta con quali mezzi si impe-disse ogni resistenza nei confronti della violenza dei detentori del potere; anzi, anche ogni espressione del pensiero veniva soffocata, castigata, e resa del tutto impossibile.È un’offesa della giustizia e della carità il dichiarare tutti i te-deschi corresponsabili, e perciò degni di castigo, per questi delitti. […] È possibile raggiungere e punire in base alla legge i veri col-pevoli, gli effettivi responsabili, ma la verità e la carità devono proteggere gli altri […]30.

D’altra parte si deve tenere in considerazione, ammonisce Luciano Canfora, che

è troppo facile accusare di acquiescenza un intero popolo dimen-ticando la persecuzione sistematica di cui furono oggetto da parte nazista le strutture di partito e i quadri militanti in special modo dei socialisti e dei comunisti a partire per lo meno dall’incendio provocatorio del Reichstag, e sempre più aspramente nel seguire31.

Azione repressiva che, oltre a smantellare le formazioni po-litiche e instaurare la persecuzione dei loro militanti, significava

30 Clemens August graf von galen (a cura di Rosario F. Esposito), Un vescovo indesiderabile. Le grandi prediche di sfida al nazismo, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1985, p. 179.

31 Luciano canfora, Sulle colpe dei tedeschi, in: Thomas Kühne, Il male dentro. La comunità di Hitler: psicologia del genocidio e orgoglio nazionale, Edizioni dell’Al-tana, Roma 2013, p. 215 (ed. or. Belonging and Genocide: Hitler’s Community, 1918-1945, Yale University Press, New Haven-Londra 2010).

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portare più o meno rapidamente i potenziali avversari alla passi-vità, prima ancora che al consenso. Ed è quello che era avvenuto già in Italia tra il ’22 e il ’2932.

Un regime totalitario non riesce a sopravvivere a lungo, lo si è visto anche nel caso del fascismo italiano, nonostante il siste-ma repressivo e quello del consenso creato con la propaganda, solo per volontà di un tiranno: il totalitarismo trova forza anche da una richiesta che viene dal basso, con la rinuncia della libertà per non dover assumere, da uomini liberi, il peso della respon-sabilità.

Lo ricorda bene, in una delle sue pagine, George L. Mosse, il quale non condivide l’assunto

comune alla maggior parte delle teorie relative al totalitarismo, secondo cui il capo manovra le masse mediante la propaganda e il terrore: il libero atto di volontà sarebbe incompatibile con la prassi totalitaria […] Anche il concetto assai diffuso secondo il quale il fascismo dominava per mezzo del terrore va modificato. Piuttosto, esso si reggeva su un fragile consenso. I successi tangi-bili, la capacità di mediare e di procedere gradatamente, uniti all’abilità della cultura fascista nel far vibrare corde sensibili, fuse italiani e tedeschi in questo consenso, che indubbiamente fu più saldo in Germania che in Italia. Hitler, tutto sommato, ebbe in comune con i suoi concittadini una fede nazional-patriottica, mentre i suoi successi in politica interna ed estera furono molto più spettacolari delle imprese di Mussolini33.

Per tutti questi motivi

il consenso popolare fu, perciò, indispensabile all’esercizio effetti-vo di quel potere. Hitler non fu un tiranno imposto alla nazione, ma in larga misura, e fino a poco tempo prima della conclusio-

32 Ibid.33 George L. moSSe, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, Bari-

Roma 1982, p. 153 (ed. or. Masses and Man. Nationalist and Fascist Perceptions of Reality, Howard Fertig, New York 1980).

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ne della guerra, un leader sostenuto dall’appoggio delle masse: le dimensioni di questa popolarità determinarono le possibilità di espansione del suo potere personale34.

Dietrich Bonhoeffer lo indica con lucidità già nel 1933, agli albori del potere del nazionalsocialismo:

Si può dire in effetti che abbia luogo uno straordinario trasferi-mento di diritti. Il singolo sa di essere legato ad un’ubbidienza incondizionata al capo. Egli si annulla realmente, è strumento in mano al capo, non è lui responsabile, ma il capo; nella sua fede, al capo egli affida la responsabilità ultima […] Il singolo rinuncia a favore del capo. Il capo è individualità, personalità, come non è permesso a nessun altro. Il rapporto di colui che è guidato a colui che guida è dato dal trasferimento a quest’ultimo del proprio diritto. È questa una forma di collettivismo, che si capovolge in un individualismo potenziato. Perciò non viene soddisfatto il vero concetto di comunità, che si fonda sulla responsabilità, sul reci-proco essere responsabili […] Il capo sta a una distanza inaudita da chi lo segue ma – e questo è appunto decisivo – è capo solo in quanto eletto dai seguaci, in quanto uscito da loro; egli riceve autorità solo da loro, dal basso, dal popolo35.

La delega, la rinuncia a esporsi in prima persona, spoglia l’individuo della sua partecipazione alla vita collettiva, priva la stessa comunità di una democrazia partecipata e consapevole, diventando facile strumento nelle mani del tiranno e correspon-sabile dei suoi misfatti.

Il totalitarismo si nutre e si espande grazie ai germi che pro-lificano all’interno di un popolo, quando il senso di responsabi-lità è debole, e questi germi si nutrono della mediocrità. Scrive ancora Bonhoeffer in carcere:

34 Ian KerShaw, Hitler e l’enigma del consenso, Laterza, Roma-Bari 20002, pp. 237-238 (ed. or. Hitler, Longman Group UK Limited, Londra 1991).

35 AA.VV., La Rosa Bianca. Per la libertà dello spirito e l’onore dell’uomo, a cura di Matteo Perrini, Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Brescia 19993, pp. 62-63.

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operando dall’interno, sono come gli invisibili germi patogeni del-la consunzione, che, pur rimanendo nascosti, condannano alla rovina una giovane, fiorente vita. Non sono solo più pericolosi dei violenti in grande, ma anche più robusti, più tenaci, più dif-ficili da colpire. Sfuggono fra le dita, quando li si vuol afferrare, perché sono sguscianti e vili. E inoltre sono come un’infezione contagiosa. Se uno di questi violenti in piccolo ha succhiato alla sua vittima la forza vitale, contemporaneamente l’ha contagiata con il proprio spirito; colui che fino a quel momento era stato solo vittima della violenza, appena ha in mano un minimo di potere si vendica per quello che ha subito. Ma tale vendetta – questo è il più terribile – non si compie sul colpevole, ma a sua volta si ritorce su vittime incolpevoli e indifese, e così all’infinito, finché tutto è contagiato e avvelenato e non si può più frenare la dissoluzione36.

Profetiche anche le parole di Romano Guardini:

L’uomo finisce per perdere la fede nella sua aspirazione alla libertà, perde la sua forza di affermare questa aspirazione sotto pressione dell’istinto, dell’utilità del potere e allora egli è, dal di dentro, maturo per la dittatura37.

D’altra parte, le idee di Hitler e dei seguaci del nazismo non erano una novità. Quando il 5 gennaio 1919 a Monaco di Ba-viera viene fondato il nucleo originario del Partito nazista, è già evidente che il terreno di coltura è quello dell’antisemitismo, del nazionalismo, dell’antiparlamentarismo38, così come le idee de-liranti di Hitler sono conosciute, tenendo conto che il suo Mein Kampf 39 è del 1925: c’era stato tutto il tempo per conoscerle.

Tuttavia, lo stato totalitario voluto da Hitler si inserisce in quelle condizioni che lo aiutano a salire al potere e a consolidar-

36 Ivi, pp. 66-67.37 Ivi, p. 68.38 Cfr. Il programma della NSDAP del 24 febbraio 1920, in Enzo collotti,

Nazismo e società tedesca (1933-1945), Loescher, Torino 1982, pp. 29-32.39 Adolf hitler, Mein Kampf (La mia battaglia), La Sentinella d’Italia, Mon-

falcone 1997 (rist. anastatica).

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lo. Nel contempo – oltre ad avere l’appoggio della destra radica-le, la protezione e il sostegno della borghesia di Monaco e delle autorità politiche e militari della capitale bavarese – Hitler aveva saputo coltivare con attenzione e intelligenza quegli elementi culturali a lui utili presenti nel popolo tedesco40.

Non bisogna dimenticare che il primo obiettivo dei nazisti, quando giungono al potere il 30 gennaio 1933 con la nomina di Hitler a cancelliere, è la repressione e la soppressione di ogni forma di opposizione. Il percorso è veloce e determinato: il 28 febbraio, il presidente Hindenburg, prendendo come pretesto l’incendio del Reichstag (il Parlamento tedesco), causato dagli stessi nazisti per poi attribuirlo ai comunisti, promulga le leggi eccezionali. Queste sospendono le garanzie costituzionali, met-tono sotto tutela la stampa e i partiti, limitano le libertà politiche e civili dei cittadini tedeschi. Il 23 marzo, con lo scioglimento del Parlamento e con la «Legge dei pieni poteri», il governo ha le mani libere, con facoltà di legiferare, mo-dificare la Costituzione e approvare trattati internazionali. Il 14 luglio il Partito nazista viene proclama-to unico partito politico del Reich. Non sono passati neppure sei mesi dalla salita al potere di Hitler.

Nell’instaurazione e nel conso-lidamento del nazismo un posto importante è occupato, quindi, dall’efficiente quanto spietata mac-china repressiva che i nazisti orga-nizzano in poco tempo.

C’è un altro aspetto non secondario: le forze conservatrici pensano di utilizzare Hitler per i loro obiettivi, come è accadu-to anche in Italia per il fascismo, per poi sbarazzarsene in un secondo momento. Il Partito del Centro Cattolico è sacrificato

40 Cfr. Jan KerShaw, op. cit.

Sotto la sorveglianza delle SA, oppositori del regime sono costretti a cancellare scritte antinaziste dalle mura di un edificio.

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dall’avvicinarsi del cattolicesimo – seppur con delle eccezioni – al regime nazista, per poi essere divorato dallo stesso mostro che ha contribuito a far crescere, anche perché per molti (partiti bor-ghesi e conservatori, la chiesa stessa) il pericolo principale non è Hitler, bensì il marxismo, e in Europa, e anche negli Stati Uniti, non pochi sono stati coloro che hanno visto nel nazismo non soltanto il male minore, ma la trincea contro «il pericolo rosso».

Infine, gli stessi partiti di sinistra commettono gravi errori e una loro grande debolezza è la divisione tra comunisti e social-democratici.

Opporsi al nazionalsocialismo non è facile, perché il pensie-ro è plasmato dal peso di una ferrea propaganda che penetra in ogni aspetto della vita delle persone – dalla scuola al tempo li-bero –, e questo, accanto alla feroce repressione, porta a creare

l’isolamento sociale attorno a chi la pensa diversamente. Ricorda Geor-ge J. Wittenstein, che solo marginal-mente prese parte all’attività della Rosa Bianca:

Nelle scuole i bambini venivano esortati a denunciare perfino i propri genitori, se questi pronunciavano delle frasi negati-ve nei confronti di Hitler o dell’ideologia nazista. Anche un mio cugino adolescen-te, per esempio, minacciò di denunciare suo padre; riuscii a malapena a dissua-derlo facendogli notare che egli stesso sa-rebbe finito abbandonato se suo padre fosse stato arrestato e incarcerato41.

41 www.olokaustos.org. L’intervista è tratta da una conferenza di George J. Wittenstein, Memories of the White Rose.

Bambini tedeschi leggono il libro Il fungo velenoso, pubblicato dal regime

allo scopo di instillare l’antisemitismo già in tenera età.

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La stessa vita privata non ha garanzie di spazi di libertà: si fa molta attenzione a parlare apertamente, anche con chi si cono-sce o con gli stessi parenti non prossimi.

Josef Stone testimonia in prima persona che

non ci si poteva fidare neanche dei vicini perché non si sapeva che cosa avrebbero potuto farti: persone che una volta avevano frequentato casa tua, mostrandosi gentili e amichevoli42.

La diffidenza, che scolora nella paura, è molta. In ogni singo-lo caseggiato il partito ha un suo funzionario, il guardiano del caseggiato (portiere), che ufficialmente

aveva l’incarico di garantire il benessere dei residenti del proprio caseggiato, ma in realtà doveva sorvegliare, registrare e riferire le attività, le conversazioni e i commenti di ogni persona, oltre alle sue frequentazioni. Nemmeno la privacy in casa propria era garantita: era molto comune coprire il telefono con un copriteie-ra o un cuscino, come preoccupazione contro l’ascolto indebito mediante “cimici”. Non era neppure possibile sapere quale corri-spondenza fosse stata segretamente aperta. Ricordo benissimo un evento accaduto in un cinema: qualcuno che era seduto alcune file davanti a me fu portato via dalla Gestapo. Pareva che avesse espresso un commento negativo nei confronti di Hitler durante il precedente notiziario. Chiunque l’avesse sentito, per compiere un dovere patriottico, doveva aver informato la polizia segreta43.

42 Eric A. JohnSon, Karl-Heinz reuBand, La Germania sapeva. Terrore, genoci-dio, vita quotidiana. Una storia orale, Mondadori Milano 2008, p. 53 (ed. or. What We Knew. Terror, Mass Murder, and Everyday Life in Nazi Germany, Basic Books, New York 2005).

43 www.olokaustos.org. L’intervista è tratta da una conferenza di George J. Wittenstein, Memories of the White Rose.

Sophie Scholl (© Manuel Aicher).