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Macchine elettriche statiche Amedeo Andreotti - Simone Falco - Luigi Verolino

Macchine elettriche statiche - Elettrotecnica statiche-1.pdf · 3 Macchine elettriche statiche Prefazione In questo testo sono raccolte alcune lezioni sulle macchine elettriche statiche

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Macchine elettriche statiche

Amedeo Andreotti - Simone Falco - Luigi Verolino

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Indice

Prefazione

Capitolo 1Generalità sulle macchine elettriche

Capitolo 2Il trasformatore

Capitolo 3Conversione dell’energia

Capitolo 4Pile ed accumulatori

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3 Macchine elettriche statiche

Prefazione

In questo testo sono raccolte alcune lezioni sulle macchine elettriche statiche. Inparticolare, dopo l’introduzione di alcuni concetti fondamentali, è ampiamentetrattato il trasformatore, sia monofase che trifase, nel secondo capitolo; laconversione da corrente alternata a corrente continua viene presa in esame nelterzo capitolo; infine, nel quarto capitolo, viene diffusamente esaminata laconversione di energia chimica in elettrica, trattando delle pile e degliaccumulatori.

In ogni capitolo vengono offerti al lettore più attento ed interessato spunti diriflessione ed approfondimento, come, ad esempio, nell’appendice del primocapitolo in cui viene discussa la definizione di induttore in condizioni quasistazionarie.

La conoscenza dei concetti fondamentali relativi ai campi elettici e magnetici èindispensabile alla comprensione di quanto esposto: si pensi, ad esempio, ai circuitimagnetici che, in questo testo, vengono utilizzati per modellare il trasformatore, lacui spiegazione è data per acquisita. Quale riferimento per questa partepropedeutica si può considerare il volume di Campi elettrici e magnetici di questacollana.

A. A. - S. F. - L. V.Settembre 2002

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4 Macchine elettriche statiche

Capitolo 1

Generalità sulle macchine elettriche

1.1 Introduzione

1.2 Un po’ di gergo

1.3 Rendimento e perdite

1.4 Un cenno ai materiali

1.5 Principio di funzionamento dei generatori

1.6 Campo magnetico rotante

1.7 Riscaldamento delle macchine elettriche

Appendice: la tensione ai capi di un induttore

Sommario

In questo capitolo tenteremo di capire, seppure per sommi capi, come unalternatore ed un motore funzionino, quali siano i materiali più difrequente utilizzati nella costruzione delle macchine elettriche, come sidefinisca e si valuti il rendimento e quali strategie si utilizzino peraumentarlo. Queste sono solo alcune delle domande cui cercheremo didare una risposta nel presente capitolo.

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1.1 Introduzione

Scopo di questo capitolo è capire come funziona un motore elettrico, quali iprincìpi generali che consentono la trasformazione di energia meccanica inenergia elettrica. E poi, che cosa è un alternatore, come si definisce, si valuta(magari, si incrementa) il rendimento di una macchina elettrica e quali i materialipiù frequentemente utilizzati nelle cosiddette ‘costruzioni elettromeccaniche’.Come di intuisce, si tratta di argomenti dai quali qualunque studio serio dellemacchine elettriche non può prescindere. Ciò che segue ha, dunque, lo scopo difornire qualche informazione di carattere generale, comune a tutte le macchineelettriche, attirando la vostra attenzione su quelli che vengono chiamati i ‘concettidi base’, piuttosto che sui dettagli costruttivi. Tenteremo, per grosse linee, didescrivere il funzionamento dei generatori, anche detti alternatori, e dei motori,eliminando, però, tutti quei particolari costruttivi, peraltro utilissimi, ma che, seraccontati a questo stadio di apprendimento, risultano soltanto inutili distrazioni.Non preoccupatevene troppo, comunque: tutto si chiarirà, pian piano, ... stradafacendo.Di una cosa, però, siamo sicuri: una macchina elettrica è costituita da opportuniavvolgimenti, realizzati su ferro. Per questo è stata per noi un’esigenzairrinunciabile concludere questo capitolo con un’appendice nella quale si definissesotto quali condizioni la tensione ai capi di un induttore si può interpretare comeuna differenza di potenziale. Vogliamo, in altri termini, discutere quando un datoavvolgimento possa essere compiutamente descritto per mezzo di un bipoloinduttore che, come certamente ricorderete, ha lo scopo di immagazzinarel’energia magnetica.

1.2 Un po’ di gergo

Lo studio delle macchine elettriche non può essere adeguatamente intrapreso senzal’introduzione di alcuni termini che, nel seguito, useremo frequentemente. Senzaalcuna pretesa di spiegare compiutamente i dispositivi e gli apparati che quiintrodurremo, vogliamo iniziare presentando il gergo comunemente adoperatodagli esperti di macchine elettriche.In una accezione del tutto generale, chiameremo macchina elettrica unqualunque apparato che funzioni sulle basi delle leggi dell’Elettromagnetismo eche sia in grado di convertire energia meccanica in energia elettrica, ovvero direalizzare la trasformazione inversa, cioè trasformare energia elettrica in energiameccanica: questa definizione va opportunamente completata aggiungendo nelnovero delle macchine elettriche anche tutti quei dispositivi di modificare il valore

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oppure le caratteristiche di grandezze elettriche. Per rendere più esplicito quantodetto, si parla di macchina, senza aggiungere altro, ogni qual volta si ha a chefare con un dispositivo che realizzi la conversione di energia meccanica, oqualsiasi altra forma di energia, in energia elettrica: pensate, ad esempio, aigeneratori di tensione che abbiamo introdotto studiando la teoria delle reti; nonsappiamo bene secondo quali trasformazioni energetiche, ma siamo certi che sitratta di bipoli i quali, a spese di un’altra forma di energia, mettono a disposizionedel circuito a cui sono collegati una certa quantità di energia elettrica. Invece, sichiama motore un qualsiasi apparato che realizza la conversione duale, quella,cioè, che trasforma l’energia elettrica in energia meccanica.

Macchina

Energia meccanica

Energia elettrica

Energia meccanica

Energia elettrica

Motore

Figura 1.1: definizione di macchina e motore elettrico.

Le macchine elettriche vengono, poi, tradizionalmente divise in due grandi gruppi:la macchine statiche e le macchine rotanti.Le macchine statiche, così dette perché prive di parti in movimento, modificanoil valore della corrente o della tensione alternata forniti in ingresso mantenendopressoché inalterato il valore della potenza fornita in ingresso: a questa primacategoria appartiene, senza dubbio, il trasformatore.Le macchine rotanti, nelle quali è presente una parte che ruota attorno ad unasse, appartengono a tre tipi fondamentali: il tipo sincrono, che opera in regimesinusoidale e la velocità di rotazione è costante; il tipo asincrono, che funzionasempre in regime sinusoidale con una velocità di rotazione dipendente dal campomagnetico interno alla macchina e variabile con il carico; il tipo a correntecontinua, che opera in regime stazionario, poiché l’energia viene fornita oprodotta in corrente continua.Infine, una menzione particolare meritano tre dispositivi che svolgono importantifunzioni che sono chiarite dalla stessa definizione: il convertitore, che modificala frequenza delle grandezze alternate, realizzando una trasformazione dellafrequenza del segnale di ingresso oppure trasformando le grandezze alternate in

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grandezze continue; l’invertitore che trasforma grandezze continue in alternate;il raddrizzatore che converte grandezze alternate in grandezze, a valor medionon nullo, da cui si estrae una grandezza continua.

Lo schema che segue riassume in forma grafica la principali classificazioni dellamacchine elettriche date in precedenza.

Macchine elettriche

Statiche

Trasformatore

Rotanti

A corrente continua A corrente alternata

Motore Generatore Motore Generatore

Sincrono Asincrono

1.3 Rendimento e perdite

I materiali che costituiscono una macchina elettrica sono soggetti a perdite di varianatura durante il funzionamento: possono essere sia perdite nei conduttori checostituiscono gli avvolgimenti, tipicamente di rame, sia perdite nel ferro e, nelcaso delle macchine rotanti, perdite meccaniche, per attrito e ventilazione, chedevono essere tenute in debito conto. Tra poco discuteremo dettagliatamente leperdite elettriche, dedicando solo pochi cenni a quelle meccaniche. Comunque,siano elettriche o meccaniche, una macchina elettrica è sede di perdite.

• RendimentoPrima di esaminare queste perdite in qualche dettaglio, però, definiamo ilrendimento.Ogni apparato (passivo) funziona per effetto di una potenza fornita in ingresso PIN

e restituisce una potenza in uscita PUS, come schematicamente indicato in Figura1.2. La differenza

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PASS = PIN - PUS

rappresenta la potenza assorbita dall’apparecchio nel suo funzionamento.Chiameremo rendimento il rapporto tra la potenza resa in uscita e quella fornitain ingresso

η = PUS

PIN .

Generico

dispositivo

PIN

PASS

PUS

Figura 1.2: definizione del rendimento.

Questo rapporto, sempre più piccolo dell’unità, può anche essere espresso nelledue forme equivalenti

η = PIN - PASS

PIN = PUS

PUS + PASS ,

e nel seguito discuteremo in quali circostanze sia più utile usare l’una o l’altraforma. È abitudine diffusa introdurre anche il rendimento percentuale, dato da

η % = 100 PUS

PIN .

Diremo, pertanto, che un certo motore ha un rendimento η = 0.82 (o η % = 82%)intendendo che restituisce l’82% della potenza fornitagli in ingresso. Il rimanente18% viene perduto sotto forma di perdite elettriche o meccaniche.Infine, è ovvio che il rendimento è un numero sempre compreso tra zero e uno

0 ≤ η ≤ 1 ,

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dato che, essendo il dispositivo passivo, la potenza resa in uscita è necessariamentepiù piccola di quella fornita in ingresso.Uno dei problemi fondamentali che ci impegnerà non poco, durante l’intero studiodelle macchine elettriche, è la messa a punto di tutte quelle strategie checonsentano di aumentare il rendimento di una macchina. E questo, credeteci, non èun affare semplice ... come avrete modo di constatare, di qui a non molto.

• Perdite nel rameLa Figura 1.3 ha lo scopo di ricordare che un conduttore percorso da unacorrente si può approssimare con un resistore.

L

S

ρ

R = ρ LS

Figura 1.3: resistenza associata ad un filo conduttore.

Gli avvolgimenti di una macchina elettrica, che sono dei conduttori tipicamente dirame (σCu ≅ 58 MS/m), sono, dunque, sede di perdite per effetto Joule,rappresentabili per mezzo della relazione

PCu = R I2 .

Se siamo in regime stazionario, I rappresenta la corrente che passa attraverso ilresistore; in regime sinusoidale, I rappresenta, invece, il valore efficace dellacorrente. Per calcolare il corretto valore di resistenza da inserire in questaformula, è necessario considerare il numero totale di avvolgimenti sede di perdite,sia nell’indotto che nell’induttore, numero che dipende dal tipo di macchina,monofase o trifase. Cosa ciò compiutamente significhi tutto ciò, sarà chiarito piùavanti, tuttavia vale la pena precisare che il circuito induttore (anche dettocircuito di eccitazione della macchina) ha lo scopo di creare il campo magneticomediante la circolazione di corrente (anche detta di eccitazione) nei conduttori chelo costituiscono, mentre il circuito indotto raccoglie le variazioni del campomagnetico, diventando sede di tensioni e correnti indotte, che, durante ilfunzionamento della macchina, contribuiscono a determinare il campo magneticocomplessivo e l’insieme delle azioni esercitate da questo avvolgimento prende ilnome di reazione di indotto.

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10 Macchine elettriche statiche

Comunque, nel caso di conduttori di rame funzionanti con una densità di correntedi 4 A/mm2, la perdita specifica, intesa come perdita per unità di massa, è pari a40 W/kg.

• Perdite nel ferroUn materiale ferromagnetico, che talvolta indicheremo genericamente come‘ferro’, quando viene immerso in un campo magnetico variabile, finisce perriscaldarsi. Questo innalzamento di temperatura è sostanzialmente dovuto a duetipi di perdite:

le perdite per correnti parassite;le perdite per isteresi.

Prima di esaminare questi due fenomeni dissipativi, diciamo subito che essicomportano una trasformazione dell’energia del campo elettromagnetico inenergia termica, che si manifesta sotto forma di innalzamento della temperaturamedia del materiale. Ora, questa perdita di energia, che non viene utilizzata pergli scopi per i quali la macchina è stata progettata, produce un eccesso di energiatermica che rappresenta uno dei più grossi problemi per le macchine elettriche,soprattutto per quelle che devono lavorare per elevati valori di potenza, dato che,se diventasse troppo sostenuta, potrebbe danneggiare in maniera irreversibile ilcomportamento dell’intero apparato. Il buon progetto di una macchina, pertanto,non può prescindere da un adeguato sistema di raffreddamento che abbia lo scopodi ‘estrarre’ dalle parti più importanti e delicate del nostro apparato quel calore ineccesso che potrebbe risultare oltremodo dannoso.Cerchiamo, allora, di spiegare quali processi fisici sono alla base di queste perdite.

• Perdite per correnti parassiteConsideriamo il cilindro conduttore, di resistività ρ, mostrato in Figura 1.4.Questo cilindro sia immerso in un campo di induzione magnetica, uniforme nellospazio e diretto parallelamente all’asse del cilindro, descritto da un’unicacomponente che varia, nel tempo, secondo la funzione sinusoidale di pulsazione ω

B(t) = BM sen(ω t) = B 2 sen(ω t) .

In forma simbolica, questa sinusoide si può rappresentare, facendo unaconvenzione ai valori efficaci, per mezzo del numero complesso

B(t) → B = B .

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11 Macchine elettriche statiche

Fate attenzione a non confondere, nella precedente relazione, il fasore B, che è un

numero complesso, con il vettore B(t), che è un vettore reale.Immaginiamo che il conduttore sia composto da tanti tubi cilindrici coassiali dipiccolo spessore, che indicheremo con ∆r . Il generico tubo di raggio interno r,spessore ∆r e lunghezza L, può essere pensato come una spira che si concatena conil flusso Φ(t) sinusoidale, anch’esso esprimibile in forma simbolica

Φ(t) = π r2 B(t) → Φ = π r2 B = π r2 B .

L 2 r

2(r + ∆r)

ρ

B(t)

S = π a2

Figura 1.4: calcolo delle correnti parassite indotte in un cilindro conduttore.

Dalla legge dell’induzione elettromagnetica, o legge di Faraday - Neumann, è notoche nella spira si induce una forza elettromotrice, ovviamente sinusoidale,rappresentabile come

e(t) = - ddt

Φ(t) → E = - j ω Φ = - j ω π r2 B .

Questa forza elettromotrice tende a far circolare una corrente nella spira chefluisce, dunque, in circuiti circolari coassiali col cilindro. La conduttanza, offertadalla spira al passaggio della corrente, ricordando la seconda legge di Ohm, vale

∆G = L ∆r2 π r ρ

,

mentre il valore efficace della corrente che circola nella spira, trascurandol’induttanza della spira stessa, è pari a

∆I = E ∆G = E L ∆r2 π r ρ

.

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La potenza attiva ∆P

∆P = E ∆I = E2 ∆G ,

dissipata nella spira per effetto Joule e legata al passaggio di questa corrente, inforza delle precedenti espressioni, diventa

∆P = π L2 ρ

ω2 B2 r3 ∆r .

Soffermiamoci un momento a riflettere su cosa abbiamo ottenuto questa potenza:abbiamo immerso un cilindro conduttore in un campo di induzione magnetica,uniforme nello spazio e variabile sinusoidalmente nel tempo; nel conduttore, pereffetto del campo elettrico indotto, si è creata una circolazione di corrente,determinata facendo ‘a fettine’ il cilindro; per ciascuna porzione, dopo avernevalutato la conduttanza, si è calcolato la corrente e, quindi, la potenza in essadissipata. Ora, è chiaro che le quantità finite, indicate con la lettera greca ∆,possono essere considerate indefinitamente piccole, operando la sostituzioneformale della ‘∆’ con la ‘d’. Facciamo ciò allo scopo di integrare rispetto alraggio, per calcolare la potenza P, complessivamente assorbita dal cilindro:

P = π L2 ρ

ω2 B2 r3

0

a

dr = πLρ ω2 B2 a

4

8 .

Volendo mettere in evidenza la potenza PCP, dovuta alle correnti parassite, anchedette di Foucault, ed assorbita nell’unità di volume, si può anche scrivere

PCP = Pπ a2 L

= ω2 B2 a2

8 ρ , = π

2 f2 BM2 a2

4 ρ.

dove il pedice ‘CP’ sta per correnti parassite. Questa formula mette chiaramente inrisalto che la potenza per unità di volume, assorbita in un conduttore per correntiparassite, dipende dal quadrato sia della frequenza che del valore efficace delcampo. Formule diverse si possono ricavare per conduttori di forma diversa, mala precedente espressione fornisce un’indicazione del modo in cui influiscono sulleperdite alcuni parametri

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13 Macchine elettriche statiche

PCP = kCP BM2 f2 .

La costante kCP, seppur ricavata nel caso particolare di conduttore cilindrico

kCP = π2 a2

4 ρ = π S

4 ρ ,

dipende, ovviamente, dal tipo di materiale e dalla geometria che si considera. Sinoti come, mantenendo fissi tutti gli altri parametri, questa costante dipende dallasuperficie della sezione trasversa del conduttore. Ne deriva l’opportunità, quandoè possibile, di sostituire a un unico conduttore un insieme di conduttori, isolati traloro per mezzo di una vernice isolante oppure semplicemente dell’ossido che traessi si forma, aventi sezione globale equivalente, ma con sezione individualeridotta: è molto diffuso l’uso di laminati, anziché di materiali massicci.Ovviamente la laminazione va effettuata in senso parallelo alla direzione dimagnetizzazione.

Laminato Compatto

Verniceisolante

B B

Figura 1.5: materiale ferromagnetico composto da lamierini sovrapposti.

Lo spessore tipico dei lamierini dipende dalla applicazioni cui sono destinati ma è,comunque, di pochi millimetri. La Figura 1.5 suggerisce, tra l’altro, un metodoper realizzare l’impacchettamento dei lamierini.

• Perdite per isteresiSi consideri, poi, il caso, comune in tutte le macchine elettriche, di un circuitomagnetico, costituito da materiale ferromagnetico, sede di flusso variabilesinusoidalmente nel tempo. Il materiale non solo è dotato di una certa conduttivitàche determina, come abbiamo appena visto, la presenza di correnti parassite e,dunque, di una potenza perduta non trascurabile, ma è anche sede di potenzaperduta per isteresi. La Figura 1.6 rappresenta un ciclo di isteresi.

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14 Macchine elettriche statiche

Uno studio sperimentale, condotto su diversi tipi di materiali ferromagnetici,mostra che le perdite di potenza attiva PI, per unità di volume, dovute all’isteresidi un materiale sottoposto a magnetizzazione ciclica alternativa, sonoproporzionali all’area del ciclo di isteresi e possono essere espresse per mezzodella relazione

PI = kI f BMα ,

dove kI, che dipende dal tipo di materiale, rappresenta un coefficiente che dipendedal materiale, f è la frequenza, BM è il valore massimo di induzione magnetica edα, detto coefficiente di Steinmetz, è un numero reale, compreso tra 1.6 e 2, chedipende dal valore massimo dell’induzione magnetica e che va determinatosperimentalmente.

H

B

0

Figura 1.6: ciclo di isteresi.

Approssimativamente si può dire che l’esponente di Steinmetz assume i valori

α = 1.6 , per BM < 1 T ;

2 , per BM ≥ 1 T .

• Cifra di perdita

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15 Macchine elettriche statiche

Sommando le perdite per correnti parassite e per isteresi, si ottiene la perditacomplessiva nel ferro che, riferita all’unità di volume, vale

PFe = PCP + PI = kCP BM2 f2+ kI f BM

α .

Questa formula risulta, tuttavia, di non facile applicazione, data la difficoltà dicalcolo di tutti i parametri presenti, e, per caratterizzare il comportamento di undeterminato materiale riguardo alle perdite, viene spesso utilizzata anche lacosiddetta cifra di perdita, che rappresenta la potenza perduta in unchilogrammo di materiale ferromagnetico quando esso è sottoposto a un campo diinduzione sinusoidale, con frequenza di 50 Hz e valore massimo prestabilito diinduzione magnetica (che può essere di 1 T oppure di 1.5 T a seconda dei casi). Lacifra di perdita, espressa in watt al chilogrammo, è quindi il parametro piùsignificativo a rappresentare in modo sintetico la bontà del materiale sotto l’aspettodelle perdite; tecnicamente esso è l’unico parametro fornito dai produttori dimateriali magnetici, essendo di scarsa utilità pratica la conoscenza dei varicoefficienti che compaiono nelle diverse formule, tra l’altro approssimate, utiliessenzialmente per la comprensione dei fenomeni. Informazioni più complete, manon molto diffuse, sono i vari diagrammi sperimentali sull’andamento delleperdite al variare dei parametri più importanti.Per avere un’idea dell’ordine di grandezza della cifra di perdita, si ricordi chelamierini di ferro al silicio di spessore (0.35 ÷ 0.5) mm, con tenore di silicio(0.1 ÷ 5)%, hanno cifre di perdita che vanno da circa 0.8 W/kg, per bassospessore ed alto tenore di silicio, a circa 3 W/kg, per elevato spessore e bassotenore di silicio. Attualmente i materiali più usati per le costruzionielettromeccaniche hanno cifre di perdita intorno a 1 W/kg.La cifra di perdita viene generalmente riferita a lamiere nuove; nella valutazionedelle perdite nel ferro si deve tener conto di un aumento di circa il 10% perl’invecchiamento del materiale e per le lavorazioni meccaniche a cui i lamierinivengono sottoposti durante le diverse fasi di costituzione dei nuclei magnetici.

Riassumendo, i due tipi di perdite esaminate vengono normalmente indicate comeperdite nel ferro. Esse costituiscono un inconveniente non soltanto perl’abbassamento del rendimento globale della macchina, ma anche, e soprattutto,per gli effetti termici connessi con lo sviluppo di calore conseguente. La loropresenza richiede, pertanto, una serie di provvedimenti, che si possono riassumerenella laminazione e nell’uso di leghe speciali, che hanno lo scopo di mantenerleentro limiti economicamente accettabili e che esamineremo, in maggior dettaglio,più avanti.

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16 Macchine elettriche statiche

• Perdite negli isolamentiAnche negli isolamenti delle macchine elettriche vi sono delle perdite di potenzaattiva, dette perdite dielettriche. Esse sono dovute al fenomeno dell’isteresidielettrica che si ha nel funzionamento in corrente alternata: variando concontinuità la polarità della tensione agente su uno strato isolante, si verifica, inmodo analogo a quanto avviene in un condensatore reale, l’inversione ciclica delverso della polarizzazione delle molecole dell’isolante, con un conseguentemovimento di cariche elettriche che genera una dissipazione di energia elettricaall’interno dell’isolante. La perdita specifica, per unità di massa, è data dallarelazione

PDI = ω εd

E2 tan δ ,

dove ω è la pulsazione della tensione applicata, ε è la costante dielettrica delmateriale, d rappresenta la sua densità, E è l’intensità del campo elettrico agentesullo spessore di isolante considerato e tan δ è il cosiddetto fattore di dissipazionedel materiale. Queste perdite dielettriche sono dell’ordine di pochi milliwatt perchilogrammo, assai più piccole delle perdite specifiche nel ferro, e possono esseresempre trascurate nel computo della potenza totale perduta da una macchinaelettrica. Invece, esse vanno tenute in debito conto nel dimensionamento degliisolamenti al fine di evitare che riscaldamenti localizzati pregiudichino l’integritàdell’isolamento della macchina.

• Perdite meccanicheLa stima delle perdite meccaniche è assai difficile da fare analiticamente a causadella diversa natura delle stesse e viene, di solito, ricavata in manierasperimentale. Comunque, per le macchine rotanti, come i motori asincroni oppurei generatori sincroni, è necessario considerare le perdite meccaniche, ascrivibili aiseguenti motivi:

perdite per attrito nei cuscinetti di supporto nell’albero motore, dipendenti dalpeso della parte rotante e proporzionali alla velocità di rotazione;perdite per ventilazione, dovute essenzialmente all’attrito tra le parti in rotazione el’aria circostante, rappresentano il grosso delle perdite meccaniche e sonoproporzionali al cubo della velocità di rotazione;perdite per attrito tra spazzole e collettore, si verificano nelle macchine, comequelle a corrente continua, in cui, per stabilire il contatto tra due circuiti elettrici,

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17 Macchine elettriche statiche

vengono appoggiate delle spazzole conduttrici fisse su un particolare organorotante, detto collettore, e sono proporzionali alla superficie delle spazzole, allapressione sulla superficie di appoggio ed alla velocità del collettore.

• Perdite addizionaliLe perdite addizionali sono tutte quelle perdite che si verificano nelfunzionamento di una macchina in aggiunta a quelle principali, cioè a quelleohmiche, nel ferro e meccaniche. Sono di difficile valutazione analitica e vengonodeterminate sperimentalmente, come differenza tra la potenza totale perduta e lasomma delle perdite principali. La maggior parte delle perdite addizionali èdovuta all’azione dei flussi magnetici variabili nel tempo su parti metallicheconduttrici, come le parti strutturali delle macchine, gli alberi meccanici, e cosìvia. Questi flussi determinano delle correnti parassite e, se la parte interessata haanche un comportamento magnetico, dei cicli di isteresi, con conseguente perditadi potenza attiva.

1.4 Un cenno ai materiali

Diamo, ora, qualche rapida informazione sui più comuni materiali checostituiscono le varie parti di una macchina elettrica. Di volta in volta, quando citornerà utile, approfondiremo le nozioni contenute in questo paragrafo, chefornisce, comunque, un quadro generale di riferimento per i materiali.Una classificazione dei materiali usati nelle macchine elettriche è la seguente:

materiali conduttori;materiali isolanti;materiali magnetici.

• Materiali conduttoriI conduttori più comunemente usati per realizzare gli avvolgimenti sono il rame el’alluminio. Il primo, come ricorderete, ha una resistività ρCu = 0.01724 µΩm a20 °C; il secondo presenta una più alta resistività ρAl = 0.0278 µΩm. In entrambi icasi, dovete sempre tener presente che la resistività è direttamente proporzionalealla temperatura. Altri materiali conduttori, meno adoperati nelle applicazionielettriche, sono l’argento, il bronzo, l’oro e l’ottone.

• Materiali isolantiGli isolanti, anche detti anche materiali dielettrici, vengono, d’abitudine,caratterizzati dalla rigidità dielettrica (V/m) e dalla costante dielettrica ε. Mettendo

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18 Macchine elettriche statiche

in risalto ciò che maggiormente interessa per lo studio delle macchine, gli isolantisolidi per le macchine elettriche sono catalogati in base alla temperatura massimaammessa, secondo la tabella di seguito riportata.

Classi di

isolamento

Temperatura

massima

Esempi

C oltre 180° Mica, porcellana, ceramica, vetro.

H 180° Come la classe B impregnati con resine siliconiche.

F 155° Come la classe B impregnati con collanti organici.

B 130° Fibra di vetro, amianto impregnato, mica.

E 120° Resine poliesteri, triacetato, fibre particolari.

A 105° Carta, seta, cotone impregnati.

Y 90° Carta, seta, cotone senza impregnazione.

Tra gli isolanti liquidi si citano gli oli minerali e alcuni liquidi a base di silicone.L’uso di questi isolanti ha anche lo scopo di asportare il calore eventualmentegenerato durante il funzionamento della macchina.Tra gli isolanti gassosi si citano l’aria e l’idrogeno.

• Materiali magneticiTutti i circuiti magnetici sono costituiti da materiali la cui permeabilità magneticaè molto elevata. Lo studio dei campi magnetici nella materia mostra che piùelevata è la permeabilità, migliore è l’approssimazione che consideracompletamente intrappolato nel materiale il campo di induzione magnetica, inmodo tale che la superficie che delimita la frontiera del materiale magneticodiventa un tubo di flusso dato che contiene al suo interno tutte le linee del campodi induzione magnetica B.

I materiali ferromagnetici si possono dividere nelle due seguenti categorie:materiali dolci, che hanno uno stretto ciclo di isteresi ed un’elevata permeabilitàe vengono utilizzati come nuclei di induttori o di mutui induttori o per ottenereelevati valori di induzione in campi prodotti da altri elementi; materiali duri,caratterizzati da un largo ciclo di isteresi ed usati per i magneti permanenti, sonomateriali che consentono di ottenere, in una determinata zona dello spazio, campimagnetici sufficientemente elevati senza l’intervento di circuiti elettrici.Questa suddivisione, fatta sulla base delle funzioni che si vuole attribuire almateriale, non è significativa per materiali con caratteristiche intermedie. Inoltre,

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19 Macchine elettriche statiche

al materiale da impiegare in una determinata applicazione possono essere richiestecaratteristiche particolari che, di volta in volta, esamineremo.Tra i materiali dolci si possono menzionare il ferro ‘dolce’, l’acciaio ‘dolce’, leleghe dei principali materiali ferromagnetici (ferro, cobalto e nichel) conmateriali non ferromagnetici (alluminio, cromo, rame, manganese, molibdeno,silicio, tungsteno), o composti chimici chiamati ferriti dolci.Fra i materiali duri si trovano i vari tipi di acciai temperati e variamente legati(acciai alnico, cioè legati con alluminio, nichel e cobalti, acciai al tungsteno, acciaial cobalto) e materiali ceramici sinterizzati (ferriti dure). La sinterizzazione è unprocesso termico cui viene sottoposto un sistema di particelle individuali oppureun corpo poroso, con o senza applicazione di pressione esterna; durante ilriscaldamento, le proprietà del sistema si modificano per la creazione di giunzionitra le particelle, riempiendo i vuoti esistenti tra esse.

1.5 Principio di funzionamento dei generatori

È interessante iniziare con una panoramica, anche se incompleta e parziale, delprincipio di funzionamento delle principali macchine rotanti. Queste ideeverranno, ovviamente, riprese quando si approfondiranno le singole macchinerotanti, ma è bene avere da subito un’idea del loro funzionamento.Per semplificare il problema e consideriamo un avvolgimento, composto da Nspire, posto in rotazione, con velocità angolare costante, attorno ad un asse, in uncampo magnetico uniforme, come mostrato schematicamente in Figura 1.7. L’assex - y rappresenta l’asse fisso attorno al quale ruota la spira. Come sappiamo, lalegge dell’induzione elettromagnetica prevede che, proprio a causa di questarotazione, nella spira si generi una f.e.m., che come vedremo variasinusoidalmente nel tempo. Andando più nel dettaglio, il flusso ϕ(t) collegato aduna della spire che costituisce l’avvolgimento, vale

ϕ(t) = BSPIRA

⋅ n dS = B A cos α = B A cos(ω t) [per una sola spira] ,

avendo indicato con A la superficie della spira. È bene puntualizzare che, nelloschema di Figura 1.8, il campo di induzione è fisso e la spira ruota.

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20 Macchine elettriche statiche

spira in sezione

n

B

asse dirotazione

spira

x

y

α = ω t

B

Figura 1.7: spira rotante in un campo magnetico.

Ciò vuol dire che ruota pure la normale n, solidale con la spira, e questa normaleforma con il campo di induzione magnetica un angolo α, variabile nel tempo. Èfacile convincersi che, supponendo costante la velocità angolare di rotazione,questo angolo valga proprio α = ω t. Per stabilire se avete veramente compreso,provate a rispondere alla domanda: all’istante t = 0, qual è la posizione relativa delpiano della spira e del campo? Cosa potete dire sulla posizione del versorenormale? Se non siete del tutto convinti, provate ancora in altri istanti.Allora, moltiplicando per N il valore di ϕ(t) ottenuto per mezzo dell’integrazione,non è difficile ottenere la f.e.m. complessivamente indotta

e(t) = - ddt

N ϕ(t) = N B A ω sen(ω t) [a tutto l’avvolgimento] .

Questa semplice espressione mostra con chiarezza che una f.e.m. sinusoidale si ègenerata ai capi della spira, sempre che la velocità angolare di rotazione siacostante (dove abbiamo usato questa ipotesi?), di valore efficace

E = 2π2

f N B A = 2π2

f N ΦMAX ≅ 4.44 f N ΦMAX ,

dove ΦMAX = B A rappresenta il massimo valore del flusso che si concatena con lagenerica spira dell’avvolgimento e con f = ω /2π la frequenza di rotazione. Nellapratica, l’avvolgimento è, ad esempio, messo in rotazione da alcune turbine chetrasformano in moto circolare, mettendo in rotazione un albero su cui è calettatol’avvolgimento stesso, il moto rettilineo dell’acqua di una cascata. Quale che sia ilmotore primo, se un avvolgimento ruota a velocità angolare costante in uncampo magnetico, ai suoi capi si potrà raccogliere una f.e.m. sinusoidale.

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21 Macchine elettriche statiche

Su questa idea, che approfondiremo studiando la macchina sincrona, si fonda ilprincipio di funzionamento dei principali generatori sinusoidali, anche dettialternatori. Senza voler scendere in troppi dettagli, vale la pena sottolineare ilfatto che, nella realizzazione pratica di un alternatore, si preferisce una strutturaduale rispetto a quella descritta, in cui la spira è ferma ed il campo di induzionemagnetica ruota: le formule presentate continuano a valere, dato che ciò che contaè il moto relativo tra l’avvolgimento ed il campo a creare la f.e.m. indotta.Inoltre, si tratta di una struttura cilindrica composta di due parti: lo statore, che èfisso, rappresenta la parte più esterna ed ospita due cave, nella Figura 1.8 asezione rettangolare, in cui alloggiano le spire; il rotore, che è mobile, è la partepiù interna e presenta due estremità (dette in gergo espansioni o scarpe polari)opportunamente sagomate.

Basamento

Cava

Statore

RotoreEspansione polare

Avvolgimento

ω

ω

Figura 1.8: realizzazione di un alternatore.

Il campo di induzione magnetica creato dal rotore è in moto rigido con esso e sichiude nel ferro dello statore, presentando un tipico andamento radiale nellaregione del traferro, anche detto interferro, che rappresenta la zona posta inmezzo ai due tratti di ferro dello statore e del rotore.

1.6 Campo magnetico rotante

Nel paragrafo precedente abbiamo mostrato come si possa realizzare laconversione di energia meccanica in elettrica. Ora dobbiamo farci un’idea di comepossa avvenire la trasformazione inversa, cioè stiamo per domandarci quale sia ilprincipio di base secondo cui funzionano i motori elettrici.

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22 Macchine elettriche statiche

Iniziamo con una semplice osservazione. Prendiamo in una mano una bussola,nell’altra un magnete permanente, una calamita. Avviciniamoli ed iniziamo a fargirare il magnete: si osserva che l’ago magnetico della bussola segue il magneteche è in rotazione, cioè l’aghetto segue il campo magnetico come suggerito inFigura 1.9.Domandiamoci: abbiamo costruito, seppure in maniera molto rudimentale esemplificata, un motore elettrico? La risposta è decisamente no. Abbiamosemplicemente messo a punto un sistema (trasduttore) che trasferisce l’energiameccanica impressa al magnete in altra energia meccanica, quella della rotazionedella bussola. Tuttavia, generare un campo magnetico rotante ed avere un rotore(l’ago della bussola) che segua quest’ultimo è comunque una buona idea perprogettare un motore, a patto di essere capaci di far ruotare il campo magnetico,in una maniera non meccanica.

NS

N

S

Figura 1.9: bussola posta in rotazione da una calamita.

In questo paragrafo mostreremo come si possa ottenere un campo rotante permezzo di avvolgimenti fermi: sarà una opportuna variazione delle correnti checircolano nelle spire a fare in modo che il campo magnetico ruoti ed a farfunzionare il motore. Si ricordi che, in ultima analisi, un motore elettrico è undispositivo al quale forniamo energia elettrica e dal quale raccogliamo energiameccanica. Questo è il punto centrale della faccenda su cui si basano tutti i motori,siano essi asincroni, passo - passo, a collettore, ossia la generazione di un campomagnetico rotante, che chiameremo anche campo di Ferraris. Vediamo alloracome si generi un campo magnetico rotante, seguendo lo stesso schema che ilgrande Galileo Ferraris seguiva nelle sue lezioni: cerchiamo di capire, magari inmaniera semplificata, prima il principio di base, poi vedremo come lo si possanorigorosamente formalizzare.

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23 Macchine elettriche statiche

Consideriamo la spira percorsa da corrente e mostrata in Figura 1.10. Sappiamoche il campo magnetico da essa sostenuto esibisce un complicato andamento dilinee di forza nello spazio: per rendere più leggibili alcune delle figure cheandremo a fare, rappresenteremo la spira come un sottile conduttore visto insezione, mentre del campo riporteremo il solo valore al centro della spira, che èperpendicolare al piano della spira e vale

B = µ0 N i2 a

,

essendo a il raggio della spira, costituita da N avvolgimenti. Si tratta di unamaniera comoda di rappresentare un campo il cui andamento nello spazio, comegià ricordato, è piuttosto complicato.

Bi(t)

Figura 1.10: schematizzazione del campo magnetico di una spira.

Il campo magnetico generato in corrispondenza del centro geometrico della spira èdiretto secondo l’asse delle spira stessa ed i versi della corrente e del campodovranno rispettare, comunque, la regola della mano destra (o del cavatappi, sepreferite).

• Rotazione a scattiConsideriamo, poi, tre avvolgimenti percorsi dalle correnti i1(t), i2(t), i3(t) ed icui assi di simmetria siano disposti secondo angoli relativi di 120° = 2π/3.Osservate con attenzione la Figura 1.11, divisa in quattro parti: esaminatelapartendo dalla parte in alto a sinistra, dove sono state rappresentate in manieraschematica i tre avvolgimenti.Nell’ipotesi di aver fissato un’origine dei tempi, facciamo in modo di farcircolare, diciamo per un secondo, una corrente nella sola spira 1, mentre nellealtre due non circoli alcuna corrente. Allora, per il primo secondo, il campo di

induzione magnetica sarà rappresentato dal vettore B1. Nell’intervallo 1 < t < 2

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24 Macchine elettriche statiche

circoli, invece, solo corrente nella spira 2, mentre le altre due non siano percorseda corrente. Questa volta il campo di induzione magnetica è rappresentato dal

vettore B2. Infine, per 2 < t < 3, la sola spira alimentata sia la numero 3 e, di

conseguenza, il campo è rappresentato dal vettore B3. Detto ciò facciamo ripetereciclicamente questo procedimento. Guardate di nuovo la Figura 1.12 eripercorrete in rapida sequenza i tre intervalli di tempo: nel primo secondo, il un

campo magnetico è diretto come B1, nel secondo successivo, si osserva la

scomparsa di B1 e la comparsa del campo B2, nel terzo secondo, si ha la scomparsa

di B2 e la comparsa di B3.

0 < t < 11

23

2 < t < 31

2

1

23

1

23

1 < t < 2

3

B3B2

B1

Figura 1.11: campo rotante prodotto da tre avvolgimenti.

Come varia, allora, il campo di induzione magnetica nello spazio?Il campo ruota, nonostante le spire siano ferme. Certo, non ruota con continuità,ma a scatti, ma l’idea di fondo sembra promettente. Tra non molto vedremo comefar ruotare con continuità questo campo magnetico. Per il momentoaccontentiamoci della conclusione cui siamo giunti: tre avvolgimenti, posti a 2π/3,alimentati uno per volta da tre correnti, ad esempio costanti nel tempo, cheoperino in intervalli temporali differenti, possono creare un campo di induzioneche ruota nello spazio. Ciò era quanto ci premeva di farvi comprendere bene.Quello che segue è solo qualche conto algebrico che serve ad affinare l’intuizione econsentire al campo di ruotare con maggiore ... continuità.

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25 Macchine elettriche statiche

• Rotazione continuaTorniamo ai tre avvolgimenti e cerchiamo di fare un’analisi un tantino piùaccurata. Cominciamo col supporre che le tre spire siano alimentate dalla ternatrifase, simmetrica ed equilibrata, di correnti

i1(t) = I 2 sen(ω t) ,

i2(t) = I 2 sen(ω t - 2π/3) ,

i3(t) = I 2 sen(ω t - 4π/3) .

Ricorderete che questa terna è una terna diretta che gode della proprietà secondocui la somma delle tre correnti è, istante per istante, nulla:

i1(t) + i2(t) + i3(t) = 0 , in ogni istante .

La Figura 1.12 riporta i campi sostenuti dalle tre spire; i versi dei tre vettoririportati danno informazione su come sia stato realizzato l’avvolgimento: il campoe la corrente su ciascuna spira devono essere accordati secondo la regola delcavatappi. Per determinare l’andamento temporale del campo sostenuto daciascuna spira, è bene innanzitutto ricordare il valore delle funzionitrigonometriche per gli angoli notevoli:

cos π3

= - cos 23

π = - cos 43

π = 12

; sen π3

= sen 23

π = - sen 43

π = 32

.

B1

B3

1

23

B2

x

y

Figura 1.12: i campi sostenuti dalle correnti nelle tre spire.

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26 Macchine elettriche statiche

Detto ciò, ricordando che il campo prodotto da una spira, almeno nel suo centrogeometrico (o pressappoco), è proporzionale alla corrente, possiamo scrivere

B1 = - λ i1(t) y , B2 = λ i2(t) - 32

x + 12

y , B3 = λ i3(t) 32

x + 12

y ,

in cui, come ricorderete, la costante

λ = µ0 N2 a

dipende dal numero di spire di cui è costituito l’avvolgimento (andate a rivedere laformula che descrive il campo di una spira nel suo centro geometrico). Ora, ilcampo complessivamente prodotto dalle spire è dato dalla sovrapposizione dei trecontributi, in formule:

B = B1 + B2 + B3 = λ x 32

i3(t) - 32

i2(t) + λ y - i1(t) + i2(t)2

+ i3(t)2

.

Sviluppiamo con ordine (e pazienza) i diversi calcoli. Il primo addendo,applicando le formule di addizione del seno, vale

32

i3(t) - 32

i2(t) = 32

I 2 sen ω t - 4π3

- sen ω t - 2π3

=

= 32

I 2 - 12

sen(ω t) + 32

cos(ω t) + 12

sen(ω t) + 32

cos(ω t) =

= 32

I 2 cos(ω t) .

Il secondo addendo, invece, sfruttando il fatto che la somma delle tre correnti èin ogni istante nulla, si può scrivere come

- i1(t) + i2(t)2

+ i3(t)2

= - i1(t) - i1(t)

2 = - 3

2 i1(t) .

Pertanto, il campo totale, valutato nell’origine degli assi, diventa

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27 Macchine elettriche statiche

B = 32

λ I 2 cos(ω t) x - 32

λ I 2 sen(ω t) y =

= 32

λ I 2 x cos(ω t) - y sen(ω t) = B0 x cos(ω t) - y sen(ω t) ,

in cui la costante

B0 = 32

λ I 2

è stata introdotta solo allo scopo di alleggerire la notazione. Proviamo a disegnareil vettore risultante che abbiamo ottenuto per avere un’idea di come evolva neltempo. La Figura 1.13 propone di osservare quattro istanti distanziati di un quartodi periodo T, legato alla pulsazione dalla ben nota relazione:

T = 2πω ovvero ωT = 2π .

t = 0

t = T4

t = T2

0 x

y

raggio = B0

verso di rotazione

t = 34

T

Figura 1.13: campo magnetico rotante.

L’analisi attenta di questa figura mostra che, applicato nell’origine degli assi,abbiamo un vettore, che rappresenta l’induzione magnetica e che ruota in versoorario, il cui estremo si trova su una circonferenza di raggio B0. Si può verificarein tutta generalità che il campo di induzione magnetica ruota seguendo lasuccessione delle tre fasi: dalla 1, attraverso la 2, per giungere alla 3.Detto in altri termini, dalla relazione trovata appare chiaro che l’estremo delvettore B è dotato di un moto risultante da quello di due moti armonici di ugualefrequenza ed ampiezza, su assi fra loro ortogonali, con fasi differenti di un quartodi periodo; come è noto dalla cinematica, un tale moto risultante è circolare

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28 Macchine elettriche statiche

uniforme e, nel caso in esame, ha verso orario e la sua velocità angolare è ω. Ilvettore B descrive, pertanto, un campo magnetico rotante.

Si è, dunque, verificato che tre solenoidi con assi formanti una stellasimmetrica, percorsi da una terna di correnti equilibrate, danno luogo,nell’origine degli assi, ad un campo magnetico rotante.

È poi evidente che questa conclusione vale approssimativamente anche per tutti ipunti circostanti l’origine. Vale la pena notare, infine, che, se due qualunque delletre correnti sinusoidali vengono scambiate fra loro, il verso di rotazione delcampo magnetico rotante si inverte, mantenendo inalterata la sua intensità. Perdimostrare ciò, basta ripetere i calcoli sviluppati in precedenza scambiando fraloro, ad esempio, gli avvolgimenti 2 e 3.

• Campo rotante bifaseUn’ultima osservazione prima di concludere questo capitolo introduttivo. Larelazione appena trovata

B = B0 x cos(ω t) - y sen(ω t) ,

suggerisce pure un’altra maniera di realizzare un campo magnetico rotante. Ilcampo risultante B risulta dalla composizione di due campi, uno diretto secondol’asse x del riferimento scelto, l’altro diretto come l’opposto dell’asse y.

y

x

j1(t)

j1(t)

j2(t)

j2(t)

Figura 1.14: campo rotante bifase.

Sapete già che il moto circolare uniforme può ottenersi dalla composizione di duemoti armonici, di uguale pulsazione ed ampiezza, sfasati di π/2, il primo che si

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29 Macchine elettriche statiche

sviluppa lungo un certo asse, l’altro lungo un altro asse ortogonale al primo.Pertanto, è pensabile di utilizzare due spire, alimentate dalle due correnti

j1(t) = I 2 cos(ω t) , j2(t) = I 2 cos(ω t + π/2) = - I 2 sen(ω t) ,

indicate con ‘j’ per non confonderle con le precedenti, la prima che crea un campodi induzione magnetica diretto lungo l’asse x, la seconda che sostiene un campo diinduzione magnetica diretto lungo l’asse y (a parte il segno). In questo caso, comemostrato in Figura 1.14, non essendo più sostenuto da un sistema di correntitrifasi, il campo rotante viene detto bifase.

1.7 Riscaldamento delle macchine elettriche

Le varie perdite, che accompagnano la trasformazione di energia che avviene inuna macchina elettrica, danno luogo a due effetti negativi: oltre all’impoverimentodel flusso di energia determinano anche un riscaldamento delle parti ove simanifestano. Le perdite risultano tanto più elevate, quanto più elevata è la potenzaerogata dalla macchina: da ciò segue un limite superiore a tale potenza in rapportoalle caratteristiche costruttive e di dimensionamento della macchina stessa, nondovendosi mai raggiungere temperature eccessive in corrispondenza delle partiisolanti.Questa limitazione è dovuta al degradamento delle caratteristiche meccaniche edisolanti che ogni dielettrico subisce durante il riscaldamento. La vita di unmateriale isolante è definita proprio come il periodo di tempo durante il quale lesue caratteristiche permangono superiori ad un limite, al di sotto del quale nonpuò essere più considerato idoneo alla sua funzione. Prove sperimentali mostranoche essa è tanto più breve, quanto più alta è la temperatura, secondo la leggesperimentale

vita media degli isolanti → A exp(B/T) ,

dove A e B sono costanti caratteristiche del materiale e T è la temperatura assolutadi esercizio. Discende che si potrà tollerare una temperatura di funzionamentoelevata, a patto di accettare una vita breve dell’apparecchiatura. Ad esempio, nelcaso dei missili propulsori spaziali, la vita richiesta è di pochi minuti e, pertanto, imateriali potranno essere assoggettati ad elevatissime temperature, semprelimitatamente alla loro infiammabilità o passaggio di stato. Le comuni macchineelettriche sono, invece, destinate a funzionare per decine di anni e tale deve esserela vita richiesta dei materiali isolanti: per questo, le norme CEI classificano i

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30 Macchine elettriche statiche

materiali isolanti in varie classi, per ognuna delle quali vengono stabiliti i limiti ditemperatura ammessi.La determinazione della temperatura delle diverse parti di una macchina elettricadurante il suo funzionamento è un problema assai complesso, che esula dai limitiimpostici in questa trattazione. Tuttavia, al fine di discutere alcuni aspetti diprincipio, si prenda in esame il semplice problema del riscaldamento di un corpoomogeneo, dotato di conducibilità interna molto grande, tanto da poterconsiderare che tutti i suoi punti siano alla stessa temperatura. Si supponga ancorache all’interno di esso venga dissipata una certa potenza producendo un ugualeflusso di calore Q. Se il corpo fosse termicamente isolato dall’ambientecircostante, il flusso Q produrrebbe un innalzamento continuo della temperaturadel corpo (riscaldamento adiabatico). In un generico intervallo di tempo ‘dt’, sipuò scrivere la seguente equazione di bilancio

Q dt = M c dT ,

in cui M rappresenta la massa del corpo, c è la sua capacità termica d ‘dT’l’aumento di temperatura nel tempo elementare ‘dt’. Detta allora TA latemperatura dell’ambiente, temperatura che all’istante iniziale possiede il corpo,integrando la precedente relazione, si otterrebbe

T = TA + QM c

t ,

cioè una temperatura che aumenta linearmente con il tempo.In pratica, gli scambi con l’ambiente circostante non sono nulli ed una parte delcalore prodotto nel corpo viene ceduta all’ambiente esterno: questa cessione dicalore è tanto più elevate, quanto più è grande la temperatura del corpo rispettoall’ambiente. Ciò comporta che, se il flusso Q è costante, si raggiungerà unatemperatura TMAX per la quale tutto il calore prodotto viene ceduto all’esterno. Inaltri termini, il bilancio termico va corretto secondo la relazione

Q dt = M c dT + k S (T - TA) dt ,

dove ‘k’ è il coefficiente di dispersione termica attraverso la superficie esterna ‘S’del corpo in esame. Nella ipotesi di Q costante, l’andamento della temperatura infunzione del tempo è dato dalla relazione esponenziale

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31 Macchine elettriche statiche

T = TA + Qk S

1 - e-t/τ ,

avendo introdotto, per brevità, la costante di tempo termica

τ = M ck S

.

La costante termica dipende soltanto dalle caratteristiche fisiche e geometriche ecaratterizza il comportamento durante i transitori di raffreddamento o diriscaldamento: le variazioni di temperatura sono tanto più rapide, quanto minore èla costante termica.La massima temperatura raggiunta si ottiene, infine, nel limite di tempi moltograndi e vale

TMAX = TA + Qk S

,

come suggerisce la Figura 1.15.

0 1 2 3 4 5

TA

TMAX

T = TA + QM c

t

T = TA + Qk S

1 - e-t/τ

Figura 1.15: transitorio termico di riscaldamento.

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32 Macchine elettriche statiche

Appendice: la tensione ai capi di un induttore

È noto che, in condizioni stazionarie, l’integrale del campo elettrico lungo unagenerica linea non dipende dalla linea, ma soltanto dai suoi estremi: per questo, asuo tempo, questo integrale venne chiamato differenza di potenziale. Sappiamopure che, in condizioni variabili nel tempo, ciò non è più vero e la tensione nonpuò porsi nella forma di una differenza di potenziale. In altri termini, la tensionedipende, oltre che dagli estremi, dalla linea che li congiunge. Sotto opportunecondizioni, che studieremo in questa appendice, è possibile introdurre unadifferenza di potenziale anche se siamo in presenza di campi variabili.

Consideriamo un avvolgimento di N spire, come potrebbe essere quelloschematizzato in Figura A.1, di estremi A e B, sottoposto ad un campo magnetico

di induzione magnetica, lentamente variabile nel tempo, B(t).

Γ2

B(t)

Γ0 Γ1

A

B

n τ

ΓAVV

Figura A.1: avvolgimento in un campo lentamente variabile nel tempo.

L’avverbio lentamente ci ricorda che possiamo trascurare i fenomeni di correntedi spostamento, ma dobbiamo tenere in conto i fenomeni di induzioneelettromagnetica, e, quindi, scrivere l’equazione di Ampère - Maxwell nella formasemplificata

⋅ τ dl = µ0 IΓ ,

in cui IΓ è la corrente che si concatena con la linea chiusa Γ, descritta dal versoreτ, ed abbiamo trascurato il termine che descrive la corrente di spostamento.

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33 Macchine elettriche statiche

Applichiamo la legge di Faraday - Neumann, conosciuta anche come legge dellainduzione elettromagnetica, alla linea chiusa di Figura A.1, costituitadall’avvolgimento che forma la spira e da un tratto ideale esterno all’avvolgimentoche serve per collegare i morsetti. Vogliamo dimostrare che, in realtà, nelleipotesi in cui ci siamo messi, la tensione lungo una generica linea, che colleghiall’esterno dell’avvolgimento i due morsetti, è indipendente dalla linea stessa. Se lalinea è scelta opportunamente, contrariamente a quello che ci si poteva aspettare,anche in condizioni variabili nel tempo, purché lentamente, possiamo continuare adire che la tensione ai morsetti dell’avvolgimento è una differenza di potenziale.Tentiamo di capirne la ragione.I morsetti A e B sono collegati per mezzo di tratti matematici (fittizi) di linea chepartono da B e giungono fino ad A, i quali contribuiscono, insiemeall’avvolgimento, che è reale, a formare una linea chiusa, che indicheremo con Γ.Questa linea chiusa è, dunque, costituita dall’unione della linea ΓAVV, cherappresenta l’avvolgimento, e dalla linea Γ0, Γ1 oppure Γ2, genericamente Γk,rappresentante la parte esterna:

Γ = ΓAVV + Γk .

La legge dell’induzione elettromagnetica, applicata all’intera linea Γ, impone chela circuitazione del campo elettrico sia pari proprio all’opposto della derivata neltempo del flusso concatenato con la linea chiusa Γ:

⋅ τ dl = - ddt

ΦΓ .

Il segno meno è legato al fatto che la superficie SΓ, che si appoggia alla linea Γ, sisuppone orientata in modo congruente con quello assunto per Γ, rispettando laregola della ‘mano destra’. Si noti che ΦΓ rappresenta il flusso del campomagnetico che si concatena con la strana superficie a chiocciola di forma elicoidaleche ha la linea chiusa Γ come orlo.Detto ciò, l’integrale di linea presente in questa equazione può essere scomposto indue parti:

⋅ τ dl = EA-ΓAVV-B

⋅ τ dl + EB-Γk-A

⋅ τ dl .

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34 Macchine elettriche statiche

Al secondo membro si deve rispettare il verso di integrazione e ciò comporta che,per il primo addendo, si parta da A, si integri lungo ΓAVV per terminare in B,mentre, per il secondo addendo, si parta da B, si integri nel tratto di linea esternaΓk, e poi si giunga nel punto A. Ora, dato che stiamo supponendo chel’avvolgimento sia fatto di materiale buon conduttore, la cui resistività, come ènoto, tende a zero, per la legge di Ohm alle grandezze specifiche

E = ρ J ,

si capisce che il campo elettrico E in ogni punto interno del conduttore, essendoproporzionale alla densità di corrente secondo il coefficiente di resistività ρ, ètrascurabile. Quindi, tanto più un conduttore approssima il suo comportamento aquello di conduttore ideale, tanto più sarà vero che nei punti interni ad esso, ilcampo elettrico dovrà essere trascurabile. Sotto tale ipotesi, il primo integrale asecondo membro degli addendi in cui abbiamo scomposto la circuitazione delcampo elettrico, dato che si sviluppa entro il conduttore, sarà trascurabile el’unico contributo deriva dal cammino all’aperto, che si sviluppa in aria, esternoall’avvolgimento:

⋅ τ dl = EB-Γk-A

⋅ τ dl .

Ritornando alla legge dell’induzione elettromagnetica, avendo stabilito che l’interacircuitazione del campo E è pari semplicemente alla tensione del campo elettricolungo una qualunque linea esterna al conduttore che colleghi i terminali A e B,possiamo scrivere

EB-Γk-A

⋅ τ dl = - ddt

ΦΓ .

Nelle condizioni in cui ci siamo messi, la variazione temporale, cambiata di segno,del flusso concatenato con l’intera linea chiusa Γ è pari alla tensione del campoelettrico lungo una linea generica Γk che congiunge all’esterno il punto B con ilpunto A. Inoltre, cambiando il verso di orientazione di Γk, cambia anche il segnodell’integrale

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35 Macchine elettriche statiche

EA-Γk-B

⋅ τ dl = + ddt

ΦΓ .

La domanda centrale del nostro discorso è la seguente: cosa succede se cambiamola linea Γk che collega i due morsetti A e B?Per rispondere a questa domanda calcoliamo il flusso del campo di induzionemagnetica concatenato con l’intera linea chiusa Γ, che può immaginarsidecomposto in due contributi, Φ1 e Φ2:

ΦΓ = Φ1 + Φ2 .

La parte Φ1 rappresenta il flusso attraverso la superficie a spirale (se preferite, achiocciola) che costituisce le N spire, mentre Φ2 è il flusso attraverso la superficiepiana ABCD. Si noti, per inciso, che, in Figura A.2, il verso della normale allasuperficie e l’orientamento della linea di contorno rispettano, come d’abitudine, laregola della mano destra.

Γ2

B(t)

A

B

Γk

C

D

n

ΓAVV

Figura A.2: calcolo del flusso sulla superficie dell’avvolgimento.

Valutiamo, allora, questi due contributi.Il primo, Φ1, sarà pari alla somma di tutti i flussi (ϕk) attraverso le singole spiredella superficie a chiocciola:

Φ1 = ϕ1 + ϕ2 + + ϕN .

Ci si convince facilmente che, su spire sottili e fittamente avvolte, gli N flussi ϕk

sono tutti uguali tra loro e, pertanto, quest’ultima relazione diventa:

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36 Macchine elettriche statiche

Φ1 = N ϕ .

Se poi lungo il piano di una generica spira, rappresentato da solo in Figura A.3,assumiamo che il campo di induzione magnetica sia grossomodo uniformementedistribuito e pressoché perpendicolare all’area della superficie, come accade nelcaso di un solenoide molto lungo, il flusso ϕ relativo alla generica spira sarà pari a

ϕ ≅ B S .

B(t)

n

Figura A.3: flusso sulla generica spira dell’avvolgimento.

Detto ciò, è chiaro che il flusso complessivo, relativo all’intera superficie aspirale, può scriversi come

Φ1 ≅ N B S .

Vediamo, ora, quanto vale l’altro contributo Φ2. Esso può essere valutato come

Φ2 = B S⊥ ,

dove S⊥ rappresenta l’area della proiezione della superficie mistilinea ABCD sulpiano perpendicolare al vettore induzione magnetica, e, come vedremo tra unmomento, deve avere un valore dello stesso ordine di grandezza dell’area di unasingola spira, non potendo, cioè, diventare arbitrariamente grande.Confrontando i due valori di Φ1 e Φ2, si ha

Φ1

Φ2 = N B S

B S⊥ = N S

S⊥ .

Quello che è importante osservare è che, se le due superfici S ed S⊥ sono dellostesso ordine di grandezza, il rapporto tra i flussi dipende solo dal numero di spireN. Allora, se il numero delle spire è sufficientemente grande, Φ2 risulterà

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37 Macchine elettriche statiche

certamente trascurabile rispetto a Φ1 ed il flusso totale concatenato con la linea Γ èpressoché uguale al solo flusso relativo alla superficie a chiocciola

ΦΓ = Φ1 + Φ2 ≅ Φ1 ≅ N B S .

ed il flusso ΦΓ non dipende dalla particolare linea Γk che abbiamo usato percollegare i morsetti del solenoide. Ricordando che la tensione lungo la linea Γk èpari alla derivata nel tempo del flusso di ΦΓ, il quale non dipende dalla particolarelinea, non dipenderà dalla linea neppure la sua derivata, che coincide proprio conla tensione ai capi A e B. Se ne conclude che la tensione del campo elettrico

TA-Γk-B = EA-Γk-B

⋅ τ dl = TAB

non dipende dalla linea Γk che congiunge i morsetti A e B e che, nelle ipotesi di uncampo di induzione magnetica lentamente variabile nel tempo, tale tensione puòessere considerata come una differenza di potenziale, tra il potenziale del morsettoA e quello del morsetto B

TA-Γk-B = TAB = vA(t) - vB(t) .

Ogni volta che si considera un circuito come il precedente, sia esso avvolto in ariao su materiale ferromagnetico, si potrà legittimamente affermare che ai suoi capisi stabilisce una tensione v(t) variabile nel tempo, indipendente dal cammino usatoper congiungere i suoi estremi, cioè una differenza di potenziale, pari a

v(t) = ddt

ΦΓ = vA(t) - vB(t) .

Non è difficile convincersi che, anche se cambia il verso della corrente, scegliendosempre l’orientamento della normale secondo la regola della mano destra applicataalla linea Γ, quest’ultima relazione resta comunque valida.

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38 Macchine elettriche statiche

Capitolo 2

Il trasformatore

2.1 Introduzione

2.2 Il trasformatore ideale

2.3 Accoppiamento mutuo

2.4 Accoppiamento su materiale ferromagnetico

2.5 Modelli semplificati del trasformatore

2.6 Un cenno agli effetti non lineari

2.7 Condizioni e valori nominali

2.8 Rendimento

2.9 Prove sui trasformatori

2.10 Caduta di tensione

2.11 Trasformatori in parallelo

2.12 Autotrasformatore

2.13 Notizie sulla costruzione

2.14 Trasformatori per usi speciali

2.15 Trasformatori trifasi

2.16 Dati di targa

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39 Macchine elettriche statiche

2.17 La diagnostica

2.18 Simboli grafici

Appendice: sforzi elettrodinamici negli avvolgimenti

Sommario

Una notevole distanza intercorre, spesso, tra il luogo in cui l’energiaelettrica viene prodotta (la centrale) e quello in cui viene utilizzata(officine, case, vie cittadine). Questo collegamento viene realizzato permezzo di lunghi cavi, detti linee di trasmissione, che, per quantocostituiti da buoni conduttori, trasformano comunque una partedell’energia che trasportano in calore. Se il valore della correntecircolante lungo le linee fosse elevato, avremmo potenze perdute in lineanon trascurabili: si deve individuare una soluzione che le riduca.

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40 Macchine elettriche statiche

2.1 Introduzione

Il trasformatore è una macchina elettrica che consente di innalzare ed abbassare, inmaniera efficiente e senza eccessive perdite, il valore della tensione. Trattandosi diuna macchina elettrica statica, cioè senza parti in movimento, presenta rendimentielevatissimi, fino al 99%, come specificheremo meglio nel seguito. Esiste sia nellaversione monofase, sia in quella trifase. Ma che cos’è un trasformatore?Si tratta sostanzialmente di un doppio bipolo, il cui simbolo circuitale è mostratoin Figura 2.1.

+

+

−v2(t)v1(t)

i1(t)

i1(t)

i2(t)

i2(t)

Figura 2.1: simbolo circuitale del trasformatore.

Certamente ricorderete che ciò che definiva un doppio bipolo era il concetto diporta e la corrente che entra in una delle due porte è uguale a quella che esce. Se,ad esempio, il doppio bipolo è lineare e puramente resistivo, la tensione ai capi diciascuna porta è definita dalle relazioni

v1 = R11 i1 + R12 i2 ,

v2 = R21 i1 + R22 i2 ,

che mostrano chiaramente che non basta definire la corrente e la tensione ad unasola porta per studiarne il funzionamento, come invece accadeva per il semplicebipolo. Queste relazioni sono soltanto un modo di assegnare le caratteristiche:dovreste ricordare espressioni quali rappresentazioni in termini di conduttanze,rappresentazione ibrida o di trasmissione. Come, poi, si descriva il doppio bipolo‘trasformatore’ lo impareremo pian piano procedendo nella lettura. In questocapitolo, infatti, partendo dal più semplice modello di trasformatore, quello ideale,procederemo per ... successive complicazioni. Ciò vuol dire che introdurremo,man mano che la trattazione avanzerà, sempre maggiori elementi che avvicinano inostri modelli alla realtà sperimentale. In questo studio ritroveremo (ed

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41 Macchine elettriche statiche

approfondiremo) vecchie conoscenze come il doppio bipolo accoppiamento mutuo,che abbiamo introdotto come doppio bipolo durante lo studio dei circuiti.

A cosa serve un trasformatore?Per rispondere compiutamente a questa domanda, dobbiamo capire per qualemotivo ci interessa così tanto cambiare a nostro piacimento il valore della tensionee ciò è intimamente legato al ruolo che un trasformatore svolge nel complessomeccanismo della trasmissione e della distribuzione dell’energia elettrica.

A → potenza apparente

A1 = A2 A2 = A3I1 I2 I3

V1 V2 V3V2

G

T1 T2

T3

Figura 2.2: trasmissione dell’energia elettrica da una centrale alle varie utenze.

Osservate con attenzione la Figura 2.2: essa rappresenta quello che in gergotecnico si chiama diagramma unifilare e di cosa si tratti lo comprenderete fino infondo quando studieremo gli impianti elettrici. Per il momento ci basti intuire chestiamo studiando uno schema in cui è presente una centrale elettrica, indicata conG, due trasformatori, indicati con i cerchi che si incrociano e tanti carichi, dettianche utenze, quali possono essere le nostre case o gli impianti industriali, indicaticon le freccette terminali. Notate come tra i vari carichi, lungo la seconda lineadall’alto, vi sia anche un altro trasformatore. Cerchiamo di comprendere lafunzione dei due trasformatori T1 e T2.Il primo trasformatore eleva la tensione V1 fino al valore V2. Dovendo esserecostante la potenza apparente (per quel che diremo più compiutamente nel seguitodel capitolo), ciò comporta che la corrente I1 è più grande della I2. Il secondotrasformatore, invece, abbassa la tensione da V2 a V3, elevando al tempo stesso lacorrente da I2 a I3. Allora, l’energia elettrica, che viene prodotta a tensioneintermedia per motivi che vi saranno chiariti più avanti, viene innalzata per essereinviata sulle linee di trasmissione dell’energia: questo innalzamento della tensioneserve a ridurre la corrente che passa attraverso i conduttori, allo scopo diabbassare le perdite per effetto Joule. Le linee per la trasmissione dell’energiapossono essere anche molto lunghe, dato che non è raro riscontrare che il luogo di

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42 Macchine elettriche statiche

produzione dell’energia sia piuttosto lontano da quello di utilizzazione. Quando poil’energia debba essere fornita alle utenze, civili o industriali, la tensione vieneabbassata ulteriormente da un secondo trasformatore poiché, per motivi disicurezza, è meglio fornire agli utenti energia elettrica in bassa tensione.Oggigiorno, si è trovato che nelle centrali conviene produrre l’energia elettrica atensioni dell’ordine della decina di chilovolt, ad esempio 15 kV. Nelle grandi lineedi trasporto conviene utilizzare tensioni dell’ordine delle centinaia di chilovolt:tipico esempio 380 kV. Nelle sedi di utilizzazione conviene disporre di tensionidell’ordine delle centinaia di volt, tipicamente 220 V o 380 V. Addentrarsi nelleragioni di carattere tecnico ed economico di questa scelta convenienze sarebbetroppo lungo e forse impegnativo. Produzione, trasmissione e distribuzionedell’energia sono i tre capitoli fondamentali della scienza e tecnica degli impiantielettrici, il cui sviluppo è strettamente legato a importantissime questioni diconvenienza economica e di sicurezza.Solo a titolo di curiosità facciamo un cenno alla scelta dei valori più convenientiper le tensioni nelle linee di trasmissione. Per una data potenza elettrica, il costodei conduttori decresce se si abbassa il valore della corrente, e, perciò, se siinnalza la tensione. Il costo dell’isolamento (isolatori veri e propri, distanziamentotra i conduttori, altezza da terra) cresce, invece, se si innalza la tensione. Lasomma di questi due costi, che rappresenta il costo totale di primo investimentodella linea, ha dunque un valore minimo al variare della tensione, ed il valoredella tensione che corrisponde al costo minimo è proprio delle centinaia dimigliaia di volt, per una potenza trasportata intorno ai 100 MW. Il costo digestione di una linea in alta tensione, invece, non dipende dal livello di tensione difunzionamento sia esso 150 kV, 220 kV oppure 380 kV. Negli alternatori dellecentrali la questione dell’isolamento incide in misura più forte: ciò spiega il minorvalore ottimo che si ha per la tensione in sede di produzione. Presso le sedi diutilizzazione, infine, è il fattore sicurezza a limitare fortemente il valoreconveniente per la tensione, che si riduce, come già detto, a poche centinaia divolt.Riassumendo, l’energia elettrica viene prodotta a media tensione, trasmessa ad alta,smistata agli utenti in bassa. Forse non sapete neppure il significato preciso di alta,media e bassa tensione; siamo, tuttavia, certi che avete intuito il senso di ciò chevolevamo dire e questo basta ... per il momento!

2.2 Il trasformatore ideale

Per definire con completezza il trasformatore, inizieremo con un modellosemplice, detto trasformatore ideale, privo di tutte le complicazioni dei

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43 Macchine elettriche statiche

trasformatori reali, complicazioni che aggiungeremo poco per volta nei paragrafiche seguono.

+

+

v1(t) v2(t)

i2(t)i1(t)a : 1

Figura 2.3: trasformatore ideale.

Il simbolo circuitale che comunemente si usa per indicare un trasformatore idealeè mostrato in Figura 2.3. Fate attenzione alle convenzioni adottate alle due porte:per entrambe si è fatto uso della convenzione dell’utilizzatore. Le relazioni chedefiniscono questo nuovo doppio bipolo sono:

v1(t) = a v2(t) , i2(t) = - a i1(t) .

Cosa rappresenti il parametro ‘a’, un numero reale che può avere segno qualsiasi,vi sarà chiaro più avanti: ciò che ci interessa sottolineare è che esso è l’unico cheserve a definire il doppio bipolo, descritto dalle relazioni precedenti, che, a suotempo, sono state indicate come caratteristica ibrida. Il segno meno nella secondaequazione è dovuto alle convenzioni scelte alle due porte.Vale la pena notare subito che il trasformatore ideale, a differenza di quello reale,funziona anche in corrente continua: nelle relazioni assegnate, infatti, il tempocompare come un parametro che, in regime stazionario, scompare. Ora, neltrasformatore reale, la creazione di una f.e.m. indotta è legata alla legge diFaraday - Neumann e richiede, pertanto, un regime di grandezze variabili. Unpiccolo dettaglio che, però, fa una grande differenza.Cominciamo ad analizzare il significato del parametro ‘a’. Si può dire che,ammettendo per semplicità di utilizzare tensioni di porta positive,

se |a| < 1, poiché v1(t) < v2(t), si avrà un trasformatore elevatore;se |a| > 1, poiché v1(t) > v2(t), si avrà un trasformatore abbassatore.

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44 Macchine elettriche statiche

In altri termini, se |a| < 1, passando dalla porta primaria a quella secondaria, latensione aumenta (e la corrente, in valore assoluto, diminuisce). Se, invece, |a| > 1,passando dalla porta primaria a quella secondaria, la tensione diminuisce (e lacorrente, in valore assoluto, aumenta). Tuttavia, sia nel caso di innalzamento chedi abbassamento della tensione, il trasformatore ideale è trasparente allapotenza: ciò vuol dire che non ha luogo alcun assorbimento di energia neltrasformatore e tutta l’energia fornita alla prima porta si ritrova alla secondaporta. Questa proprietà si verifica facilmente. La potenza istantanea assorbita daun doppio bipolo

p(t) = v1(t) i1(t) + v2(t) i2(t) ,

in forza della definizione data di trasformatore ideale, diventa

p(t) = v1(t) i1(t) - v1(t)

a a i1(t) = 0 .

Si è soliti riassumere questo risultato dicendo che il trasformatore ideale ètrasparente per le potenze. Inoltre, appare ora ancora più evidente che, nel passaredalla porta primaria a quella secondaria, se il trasformatore è elevatore, aumentail valore della tensione ma diminuisce, in valore assoluto, quello della corrente.Viceversa, se il trasformatore è abbassatore, la tensione diminuisce e la corrente,in modulo, aumenta.Esaminiamo ancora la Figura 2.4 e tentiamo di capire come viene ‘vista’ laresistenza R, che chiude la porta secondaria. La definizione (2.2) resta semprevera, ed allora i2(t) = - a i1(t). Se osserviamo che v2(t) = - R i2(t) (il segno meno èdovuto al fatto che sul resistore abbiamo la convenzione del generatore), si avrà

v1(t) = a v2(t) = - a R i2(t) = - a R - a i1(t) = a2 R i1(t) .

Si capisce, allora, che l’avere posto una resistenza alla porta secondaria vienevisto, dalla porta primaria, come una nuova resistenza di valore a2 R, cioè laresistenza R amplificata o ridotta a2 volte.Lo stesso ragionamento si può ripetere se consideriamo, in regime sinusoidale,induttanze o capacità, o, più in generale, una generica impedenza. Da quantoprecede, non dovrebbe essere difficile mostrare che, se la porta secondaria di untrasformatore ideale, operante in regime sinusoidale, è chiusa su una genericaimpedenza di valore Z, la porta primaria ‘vede’ un’impedenza che è pari a

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45 Macchine elettriche statiche

V1

I1

= a2 Z ,

dove è chiaro che V1 e I1 sono i fasori che rappresentano la tensione e la correntealla prima porta, rispettivamente. Questa formula è conosciuta come formula deltrasporto (anche detto riporto) di una impedenza al primario e tornerà molto utilenel seguito.

+

+

v2(t)

i2(t)i1(t)a : 1

Rv1(t)

+

v1(t)

i1(t)

a2 R

Figura 2.4: trasposto al primario di una resistenza.

Mettiamo in pratica subito quel che abbiamo appreso sul riporto al primario diun’impedenza, convinti che, una volta effettuato il riporto, la rete diventa, in tuttoe per tutto, simile ad un normale circuito (tipicamente funzionante in regimesinusoidale), privo di trasformatore ideale.

Esempio 1 - La rete mostrata in figura opera in regime sinusoidale. Determinareil valore della potenza attiva assorbita dal resistore R.

R0

j(t)

a:1

i2(t)

R

C

i1(t)

LRG

Si assuma che RG = 20 Ω, R0 = 2 Ω, R = 100 Ω, j(t) = J 2 cos(ω t), J = 20 A,ω = 20 krad/s, L = 0.5 mH, C = 0.25 µF, a = 0.2.

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46 Macchine elettriche statiche

Cominciamo a calcolare il valore delle due reattanze

XL = ωL = 10 Ω , XC = 200 Ω .

Poi, usiamo il coseno per la rappresentazione dei fasori, in modo che sia

j(t) = 20 2 cos(ω t) → J = J = 20 A .

La potenza assorbita dal resistore R può essere espressa in funzione di I1 o di I2

PR = R I22 = a2 R I1

2 ,

essendo, come è ben noto, le due correnti legate dalla relazione

I1 = I2a

.

Riportando il resistore R e la reattanza XC al primario, la rete si semplifica comeindicato nello schema che segue.

XLJ RG

R0

I1

A

B

a2 R

a2 XC

Se immaginate che il resistore RG e la reattanza XL costituiscano una solaimpedenza di valore

Z = RG || jXL = j RG XL

RG + j XL = (4 + 8 j) Ω ,

la corrente I1 può essere calcolata adoperando la regola del partitore di corrente

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47 Macchine elettriche statiche

I1 = J ZZ + R0 + a2 R - jXC

.

Sostituendo i valori numerici, si conclude che

I1 = 8 (1 + 2 j) A ,

e, di conseguenza, che la potenza media (o attiva) assorbita dal resistore R sarà

PR = a2 R I12 = 1280 W .

2.3 Accoppiamento mutuo

Dopo aver parlato del trasformatore ideale, introduciamo qualche aspetto dellarealtà fisica: nella pratica tecnica, il trasformatore è costituito da due circuitimutuamente accoppiati, come quelli schematicamente indicati in Figura 2.5. Per laverità, le due spire vengono avvolte su un supporto di materiale ferromagnetico,ma di questo ci interesseremo nel paragrafo seguente.

+−

grande distanza

B

i2(t)

i2(t)

v2(t)

v2(t)

i1(t)

i1(t)

v1(t)

v1(t)+−

+−

+−

Figura 2.5: due circuiti elettromagneticamente non accoppiati ed accoppiati.

In un primo momento immaginiamo che le due spire siano a grande distanza, tantoche i campi magnetici sostenuti da ciascuna spira non interagiscano. In questasituazione, ai capi delle due spire raccoglieremo le tensioni

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48 Macchine elettriche statiche

v1 = L1 di1dt

, v2 = L2 di2dt

.

In ciò non vi è nulla di veramente nuovo: sapevamo già che ai capi di un induttorepercorso da una corrente variabile si manifesta una tensione variabile. Le duecostanti L1 e L2 sono le induttanze proprie dei due avvolgimenti e sono daritenersi quantità positive.Avviciniamo, ora, i due avvolgimenti. In questa nuova situazione, i campi prodottidalle due spire interagiranno ed alle due precedenti tensioni si sommeranno duenuovi contributi, secondo le relazioni:

v1 = L1 di1dt

+ nuovo termine dovuto alla seconda spira ,

v2 = L2 di2dt

+ nuovo termine dovuto alla prima spira .

Per comprendere appieno il funzionamento di due circuiti accoppiati dobbiamo,allora, specificare meglio che cosa rappresentino questi due nuovi contributi.Il primo circuito genera un campo magnetico variabile nel tempo il quale inducenel secondo circuito una f.e.m. variabile. Questa f.e.m. indotta produce, nelsecondo circuito, il passaggio di una corrente, la quale a sua volta produce uncampo magnetico variabile nel tempo, che, proprio perché variabile, genera nelprimo circuito una seconda forza elettromotrice, e così via. Le stesse cose possonoessere dette per il secondo circuito. Si dice che i due circuiti sono mutuamenteaccoppiati per mezzo del campo di induzione magnetica. Non tutte le linee dicampo prodotte dal primo (e dal secondo) circuito si concatenano con il secondo(o con il primo) circuito; alcune saranno ‘disperse’ nel senso che, pur essendoprodotte da uno dei due circuiti, non raggiungono l’altro. Ai fini pratici ènecessario evitare, o almeno limitare questa dispersione; pertanto, unaccoppiamento mutuo non viene realizzato in aria, ma, per quello che giàsappiamo dei circuiti magnetici, le due spire vengono avvolte, come mostrato inFigura 2.6, su un ‘buon ferro’, che ha il compito di intrappolare la maggior partedelle linee di campo induzione magnetica al suo interno. I due avvolgimentivengono, pertanto, realizzati su un materiale ferromagnetico che, a causa dellaelevata permeabilità magnetica, riesce a trattenere gran parte del campo B al suointerno, ed il ‘ferro’ diventa un tubo di flusso per questo campo. Nel prossimoparagrafo parleremo in maniera più specifica dei circuiti accoppiati su materialeferromagnetico.

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49 Macchine elettriche statiche

Nella Figura 2.6 abbiamo rappresentato anche una generico alimentatore collegatoalla porta primaria ed un carico generico collegato alla porta secondaria perricordarvi il maggiore impiego che viene fatto del trasformatore monofase.

+

+

−v1(t) v2(t)

i2(t)i1(t)

B

B

+

−N1 N2

Figura 2.6: due avvolgimenti su ‘ferro’.

Tornando al generico accoppiamento di Figura 2.5, le relazioni che lo definisconosono, pertanto:

v1 = L1 di1dt

+ M12 di2dt

,

v2 = M21 di1dt

+ L2 di2dt

.

Quando siamo in regime sinusoidale, ricordando che al posto della derivatarispetto al tempo possiamo sostituire l’operatore jω , le relazioni diventano

V1 = j ω L1 I1 + j ω M12 I2 ,

V2 = j ω M21 I1 + j ω L2 I2 .

Si noti come i valori delle due tensioni v1(t) e v2(t), al generico istante temporalet, non dipendono da quelli delle correnti allo stesso istante, ma dalle loro derivate.I coefficienti di autoinduzione L1 e L2, come sappiamo, sono positivi; quelli dimutua induzione, M12 e M21, possono essere positivi oppure negativi a seconda deiriferimenti scelti per i versi delle correnti.

Ora accade, come mostreremo tra un momento in un riquadro diapprofondimento, che

M12 = M21 = M ,

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50 Macchine elettriche statiche

cioè che le due induttanze mutue del doppio bipolo sono uguali. Questo legame èper noi molto importante in quanto porta a tre, e non quattro, i parametri checaratterizzano un doppio bipolo accoppiamento mutuo: L1, detto ancheautoinduttanza del circuito primario, L2, detto anche autoinduttanza del circuitosecondario, ed M, detta mutua induttanza. I primi due sono sempre positivi; ilterzo può assumere qualsiasi segno. Per indicare anche sullo schema grafico ilsegno di M, si adotta la convenzione mostrata in Figura 2.7.

+

L1 L2

M

v1(t) v2(t)

i2(t)i1(t)

+

+

L1 L2

M

v1(t) v2(t)

i2(t)i1(t)

+

M ≥ 0

M ≤ 0

n1

n1

n2

n2

Figura 2.7: convenzioni di segno per M.

Si osservi con attenzione la Figura 2.7: se alle due porte del doppio bipolo è statafatta, come d’abitudine la convenzione dell’utilizzatore, allora M è positivo quandoi due pallini neri sono affiancati; in caso contrario, M è da ritenersi negativo. Ilsegno del flusso di mutua induzione dipende dalla convenzione scelta per il primoe per il secondo circuito. Pertanto, anche se per il calcolo del flusso si conviene discegliere sempre come verso della normale quello che ‘vede’ il verso positivodella circuitazione in senso antiorario (terna levogira), resta ancora un grado dilibertà nella scelta delle due normali relative ai due circuiti, come è indicatosempre nella Figura 2.7.

Dimostrare che i due coefficienti di mutua induzione sono uguali non è cosasemplicissima e, per comprenderla appieno, c’è bisogno di strumenti avanzati delcalcolo differenziale. Solo un desiderio di completezza ci anima, dunque, nelriportarla qui di seguito. Partiamo dalla potenza istantanea assorbita dal doppiobipolo accoppiamento mutuo, definita dalla relazione:

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51 Macchine elettriche statiche

p(t) = v1(t) i1(t) + v2(t) i2(t) = L1 di1dt

+ M12 di2dt

i1 + L1 di1dt

+ M12 di2dt

i2 ,

Ricordando che la potenza istantanea è pari alla derivata dell’energia rispetto altempo

p(t) = dUdt

,

possiamo anche scrivere la relazione precedente in termini differenziali:

dU = p(t) dt = L1 i1 + M21 i2 di1 + L2 i2 + M12 i1 di2 .

Ma, dato che l’energia è una funzione di stato, quest’ultima relazione deve essereun differenziale esatto. Affinché ciò avvenga, occorre che le due derivate sianouguali

∂(L1 i1 + M21 i2)∂i2

= ∂(L2 i2 + M12 i1)∂i1

,

da cui discende immediatamente l’asserto

M12 = M21 = M .

Dopo aver dimostrato che, in realtà, abbiamo bisogno di un solo coefficiente chedescriva l’accoppiamento mutuo, domandiamoci se tra questi tre parametri nonesista qualche altro legame. La risposta a questa domanda ci viene, come non èdifficile rendersi conto, considerando l’energia elementare

dU = L1 i1(t) di1 + L2 i2(t) di2 + M i2(t) di1 + i1(t) di2 .

Essa può essere integrata membro a membro e fornire, a meno di una costanteadditiva di integrazione che si assume nulla, l’energia assorbita dal nostro doppiobipolo al generico istante t di funzionamento

U(t) = 12

L1 i12(t) + M i1(t) i2(t) + 1

2 L2 i2

2(t) .

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52 Macchine elettriche statiche

Ora, essendo il doppio bipolo in esame passivo, questa energia deve descrivere unaquantità che non cambia segno e risulta sempre positiva. La forma funzionalesuggerisce di porre in evidenza un termine sicuramente positivo, riscrivendolacome

U(t) = 12

L1 i12(t) 1 + 2 M

L1 i2(t)i1(t)

+L2

L1 i2

2(t)

i12(t)

.

Ciò che determina il segno dell’energia è la parte in parentesi nell’espressioneprecedente. Infatti, questa parentesi quadra può essere riscritta come un trinomiodi secondo grado in forma adimensionale (che indicheremo con y)

y = 2 U(t)

L1 i12(t)

= L2

L1 x2 + 2M

L1 x + 1 ,

in cui abbiamo chiamato x il rapporto tra le due correnti x = i2(t)/i1(t). Ora,affinché anche il secondo membro sia una quantità sempre positiva si deve avereper tutti i valori della variabile x, cioè per ogni condizione di funzionamento, cheil discriminante del trinomio non sia positivo, cioè

∆ = 4 M2

L12 - 4 L2

L1 ≤ 0 .

Avrete certamente riconosciuto nella funzione y, definita in precedenza, unaparabola, più precisamente un insieme di parabole, ad asse verticale, disegnata inFigura 2.8. Questa figura lascia intuire anche graficamente perché il discriminantedeve essere minore di zero: se così non fosse, allora per alcuni valori dellavariabile x, cioè per alcune condizioni di funzionamento, potrebbe accadere chel’energia diventi negativa, cosa che dobbiamo scongiurare per i nostri scopi.

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53 Macchine elettriche statiche

-10

0

10

20

30

0 2 4 6 8 10

∆ < 0

∆ = 0

∆ > 0x

y

Figura 2.8: energia assorbita dal doppio bipolo accoppiamento mutuo.

Detto in altri termini, dobbiamo fare in modo che l’equazione di secondo grado

L2

L1 x2 + 2M

L1 x + 1 = 0

ammetta soltanto radici complesse e coniugate, al più, reali e coincidenti, e ciò siottiene imponendo semplicemente che il discriminante non sia positivo (sia, cioè,negativo o nullo).Ora, imporre che questo discriminante sia minore di zero, equivale a dire che

M2 ≤ L1 L2

Si tratta di una condizione che deve sempre essere verificata affinché l’energia Usia, in ogni istante e per qualunque valore del rapporto tra le correnti di uscita e diingresso, una quantità positiva, al più nulla in un punto. Comunque, nel caso limiteM2 = L1 L2 si dice che siamo in condizione di accoppiamento perfetto: in talcaso esiste un valore del rapporto delle correnti per cui l’energia del campomagnetico è nulla. In questa condizione di funzionamento è evidente che i campimagnetici, sostenuti dalle due bobine, siano uguali in modulo ed opposti in versoin modo da produrre un campo risultante nullo. Se, invece, M2 < L1 L2, si dice

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54 Macchine elettriche statiche

che siamo in condizioni di accoppiamento non perfetto e l’energia presenta unminimo, la cui ordinata è positiva.

• Accoppiamento perfettoSoffermiamo, ora, la nostra attenzione su un caso particolare di accoppiamento:l’accoppiamento perfetto. Come abbiamo già detto prima, si parla diaccoppiamento perfetto quando tra i diversi parametri vale la relazione

L1 L2 = M2 ,

che si può porre, introducendo il parametro ‘a’, nella forma equivalente

L1

M = M

L2 = a .

Operando in regime sinusoidale, si ha che

V1 = j ω L1 I1 + j ω M I2 ,

V2 = j ω M I1 + j ω L2 I2 .

Dividiamo membro a membro queste due equazioni, allo scopo di considerare ilrapporto tra la tensione alla porta primaria e quella alla porta secondaria:

V1

V2

= j ω L1

j ω M I1 + M

L1 I2

I1 + L2

M I2

= L1

M = a → V1 = a V2 .

Abbiamo, in tal modo, ottenuto la prima relazione che definisce il trasformatoreideale. Ricaviamo ora la corrente I1, riscrivendo la prima equazione nella forma

I1= V1

j ω L1 - M

L1 I2 .

Siccome M = L1/a, la precedente relazione diventa

I1 = V1

j ω L1 - 1

a I2 .

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55 Macchine elettriche statiche

Questa ultima uguaglianza richiama alla memoria quella già vista neltrasformatore ideale I2 = - a I1. Ma come si osserva vi è la presenza anche di unaltro addendo che può essere interpretato come una corrente relativa alla primamaglia, che attraversa la reattanza ω L1, posta in parallelo alla porta primaria.

a : 1+

+

I1 I1 * I2

V1

I0

V2ω L1

Figura 2.9: circuito equivalente in condizioni di accoppiamento perfetto.

Osservate con cura la Figura 2.9: non dovrebbe meravigliarvi troppo che la retemostrata soddisfi l’equazione per le tensioni che definisce il trasformatore ideale eche anche la seconda, in forza della LKC, deve essere verificata

I1 = I1 * + I0 = - 1

a I2 + V1

j ω L1 .

La cosa che dovete ricordare è che si è fatto tutto ciò per capire che si passa dalconcetto di trasformatore ideale a quello più concreto dell’accoppiamento mutuo,aggiungendo alla prima maglia del trasformatore ideale una induttanza, propriocome mostrato in Figura 2.9.Si fa notare esplicitamente che, nel caso in cui l’induttanza L1 assuma valori moltoelevati, la precedente relazione approssima molto bene quella del trasformatoreideale, essendo

I1 ≅ - 1a I2 , se L1 → ∞ .

Esempio 2 - Si valutino le potenze, attiva e reattiva, erogate dal generatore ditensione nella rete di figura in regime sinusoidale.

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56 Macchine elettriche statiche

L1 L2

M

R3

R2R1

e(t)

C2

L

j(t)

j(t)

C1

B

A

+

Si assuma e(t) = E sen(ω t), E = 100 2 V, j(t) = - J cos(ω t + π/4), J = 20 A,ω = 1 krad/s, R1 = R2 = 10 Ω, R3 = 2.5 Ω, L = 5 mH, C1 = 0.1 mF, C2 = 0.4 mF,L1 = 10 mH, L2 = 2.5 mH, |M| = 5 mH.

Per applicare il metodo fasoriale, si calcolano le reattanze

X = ωL = 5 Ω , X1 = 1ωC1

= 10 Ω , X2 = 1ωC2

= 2.5 Ω , XL1 = 10 Ω

e si trasformano le sinusoidi nei fasori corrispondenti, assumendo

e(t) = 100 2 sen(ω t) → E = 100 V ,

j(t) = - 20 cos(ω t + π/4) → J = 10 2 e-jπ/4 = 10 (1 - j) A .

La condizione

L1 L2 = M2

indica la presenza di accoppiamento perfetto e la rete assegnata può esseretrasformata come indicato in figura, avvalendosi di un trasformatore idealecaratterizzato da un rapporto di trasformazione pari a

a = L1

M = M

L2 = 2 .

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57 Macchine elettriche statiche

R3

R2R1

B

Aa:1

X1

X

X2

XL1

J

J

E

+

Riportando al primario la resistenza R3 e la reattanza X2,

R30 = a2 R3 = 10 , X20 = a2 X2 = 10 ,

la rete può ulteriormente semplificarsi come mostrato nella figura seguente.

R2R1

B

A

XL1

X

E

J

J

R30

X20

X1

I

+

Dovendosi valutare la potenza complessa erogata

P = E I * = PE + j QE ,

occorre determinare la corrente I che interessa il generatore di forzaelettromotrice. Appare immediata l’opportunità di semplificare ulteriormente larete valutando l’impedenza equivalente Z “vista” dai morsetti AB, comprensivadella reattanza X1:

Z = -jX1 || R2 + jXL1 || R30 - jX20 = (5 - 10 j) Ω .

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58 Macchine elettriche statiche

R1

B

A

X

E

J

J

Z

I + JI+

Applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia, possiamo scrivere

E = R1 + jX I + Z I + J .

Dalla precedente relazione segue immediatamente che

I = E - Z JR1 + jX + Z

= (6 + 12 j) A .

La potenza è quindi data da

P = PE + j QE = 600 - 1200 j ,

da cui discende immediatamente che

PE = 0.6 kW , QE = - 1.2 kVAr .

Ritorniamo all’accoppiamento perfetto. Se, invece di usare la prima relazione,relativa alla tensione V1, per ricavare la corrente, avessimo deciso di usare laseconda

V2 = j ω M I1 + j ω L2 I2 ,

con un ragionamento del tutto analogo al precedente, avremmo potuto scrivere

I1 = - L2

M I2 + V2

j ω M = - 1

a I2 + V2

j ω a L2 = - 1

a I2 -

V2

j ω L2 .

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59 Macchine elettriche statiche

Nella Figura 2.10 riportiamo anche il circuito equivalente che corrisponde aquesta equazione: la reattanza ω L2 è posta in parallelo alla porta secondaria, e

I2 * = I2 - I0 = I2 -

V2

j ω L2 .

a : 1+

+

V2

I2I2 *I1

V1

I0

ω L2

Figura 2.10: un altro circuito equivalente in condizioni di accoppiamentoperfetto.

Il circuito equivalente di Figura 2.10, tuttavia, viene scarsamente adoperato datoche, per consuetudine, il carico viene posto in parallelo alla porta secondaria e,pertanto, conviene il circuito di Figura 2.9 per realizzare efficacemente il riportoal primario.

• Accoppiamento non perfettoAnche in questo caso partiamo dalle due relazioni che definiscono il doppio bipoloaccoppiamento mutuo e, poiché siamo in condizioni di accoppiamento nonperfetto, deve essere

M2 < L1 L2 .

Le induttanze proprie L1 e L2 sono dei numeri positivi che, dovendo soddisfare laprecedenze disuguaglianza, possiamo sempre immaginare costituite da due parti:

L1 = L1(1) + L1

(2) e L2 = L2(1) + L2

(2) ,

in cui i due contributi L1(1) e L2

(1) sono scelti in maniera tale da soddisfarel’uguaglianza

M2 = L1(1) L2

(1) .

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60 Macchine elettriche statiche

Questa scomposizione, che può apparire un mero artificio matematico, troverà unriscontro nelle applicazioni che tra breve esamineremo.Spieghiamoci con un esempio numerico. Supponiamo ci siano stati assegnati iseguenti valori:

L1 = 10 mH , L2 = 6 mH , M = 5 mH .

Come potete facilmente controllare siamo in condizioni di accoppiamento nonperfetto:

M2 = 25 µH2 , L1 L2 = 60 µH2 e M2 < L1 L2 .

Tuttavia possiamo sempre immaginare che, ad esempio, L1 sia la somma di dueinduttanze

L1 = 5 mH + 5 mH , oppure L1 = 8 mH + 2 mH .

L’importante è che la somma delle due induttanze in cui immaginiamo scompostoil valore di L1 diano, in ogni caso, per somma 10 mH. La stessa cosa potremmopensare di fare per L2.

Riassumendo, abbiamo immaginato di scomporre in due contributi leautoinduttanze della porta primaria e secondaria e le suddivisioni imposteverificano il sistema

L1(1) + L1

(2) = L1 ,

L2(1) + L2

(2) = L2 ,

L1(1) L2

(1) = M2 ,

composto da tre equazioni e quattro incognite: L1(1), L1

(2), L2(1) e L2

(2). Una incognitaè di troppo e, pertanto, possiamo fissarla a nostro piacimento: in genere, si usa

considerare L2(2) nullo, ma avremmo potuto altrettanto correttamente considerare

nullo L1(2), ed il precedente sistema si semplifica

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61 Macchine elettriche statiche

L1(1) + L1

(2) = L1 ,

L2(1) = L2 ,

L1(1) L2 = M2 .

Se provate a risolvere questo sistema, otterrete i tre valori

L1(1) = M

2

L2 , L1

(2) = L1 - M2

L2 , L2

(1) = L2 .

Ad esempio, usando i valori assegnati in precedenza, risulta il sistema

L1(1) + L1

(2) = 10 ,

L2(1) = 6 ,

L1(1) L2 = 25 ,

che fornisce i tre valori

L1(1) = 4.16 mH , L1

(2) = 5.83 mH , L2(1) = 6 mH .

Sostituendo la scomposizione appena sviluppata nella definizione del doppiobipolo, otteniamo

V1 = j ω L1

(1) + L1(2) I1 + j ω M I2 ,

V2 = j ω M I1 + j ω L2(1) I2 ,

relazioni che si possono, ovviamente scrivere nella forma equivalente

V1 = j ω L1

(1) I1 + j ω M I2 + j ω L1(2) I1 ,

V2 = j ω M I1 + j ω L2(1) I2 ,

Se nella prima relazione fosse assente il termine j ω L1(2) I1, potremmo concludere

che si tratta delle stesse equazioni del caso dell’accoppiamento perfetto. Tuttavia,l’aggiunta di questo termine comporta soltanto la piccola (ma sostanziale) modificaindicata in Figura 2.11.

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62 Macchine elettriche statiche

a : 1+

+

ω L1(2)

ω L1(1)V1 V2

I2I1

Figura 2.11: primo circuito equivalente in accoppiamento non perfetto.

Allora, quando ci troviamo in condizioni di accoppiamento non perfetto, si puòpassare dal trasformatore ideale all’accoppiamento mutuo aggiungendo in serie

alla prima porta una induttanza di valore L1(2).

Non ci resta che specificare quanto valga ‘a’. Dalla relazione (da noi imposta) chedefinisce la parte di ‘accoppiamento perfetto’

L1(1) L2 = M2

segue immediatamente che

a = L1(1)

M = M

L2 (nell’esempio a = 0.83) .

In genere, se il trasformatore è ben progettato, l’induttanza L1(2) (detta anche

induttanza longitudinale) è piccola rispetto alle altre due L1(1) e L2 (dette trasverse

o trasversali), che sono più grandi. Tra un po’ vi daremo qualche ordine digrandezza relativo. Per il momento ci basti riassumere dicendo che, conriferimento al circuito di Figura 2.11, il generico parametro longitudinale di untrasformatore è più piccolo di quello trasversale.

Esempio 3 - Il doppio bipolo mostrato in figura opera in regime sinusoidale.Determinare la sua rappresentazione in termini di impedenze.

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63 Macchine elettriche statiche

L1 L2

M

B

Ai1(t) i2(t)i0(t)

v1(t) v2(t)R

Si assuma L1 = L2 = 20 mH, M = 10 mH, R = 20, ω = 1 krad/s.

La rappresentazione in termini di impedenze è formalmente definita per mezzodella trasformazione lineare di carattere generale

V1 = Z11 I1 + Zm I2 ,

V2 = Zm I1 + Z22 I2 ,

che, nel caso in cui il doppio bipolo si riduca ad un accoppiamento mutuo,diventano

V1 = j ω L1 I1 + j ω M I0 ,

V2 = j ω M I1 + j ω L2 I0 .

Nel nostro caso, alle due relazioni ora scritte, va aggiunta quella che esprime laprima legge di Kirchhoff al nodo A

I2 = I0 + V2

R .

Eliminando da queste relazioni la corrente I0, ci si riconduce al sistema

V1 = j ω L1 I1 + j ω M I2 - j ω M V2

R,

V2 = j ω M I1 + j ω L2 I2 - j ω L2 V2

R ,

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64 Macchine elettriche statiche

che individua una rappresentazione implicita per il doppio bipolo in esame. Dallaseconda equazione, sommando i termini in V2 al primo membro, si ricava che

V2 = jωMRR + jωL2

I1 + jωL2RR + jωL2

I2 ,

da cui discendono le due impedenze

Zm = V2

I1

I2 = 0

= jωMRR + jωL2

= (5 + 5 j) Ω ,

Z22 = V2

I2

I1 = 0

= jωL2RR + jωL2

= (10 + 10 j) Ω .

Sostituendo la tensione V2 appena trovata nella prima equazione

Z11 = jωL1 + ω2M2

R + jωL2 = (2.5 + 17.5 j) Ω .

Per controllare i calcoli sviluppati, il lettore può ottenere la matrice delleimpedenze nella via più usuale, adoperando, cioè, le definizioni

Z11 = V1

I1

I2 = 0

, Zm = V2

I1

I2 = 0

= V1

I2

I1 = 0

, Z22 = V2

I2

I1 = 0

.

È evidente che dovrà ritrovare le impedenze calcolate in precedenza.

Discutiamo, infine, brevemente il caso in cui L1(2) viene scelto pari a zero. In

questo caso, seguendo un ragionamento simile a quello appena sviluppato, non èdifficile verificare che si può adoperare il circuito mostrato in Figura 2.12.

a : 1+

+

ω L1(1)

ω L2(2)

I2I1

V1V2

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65 Macchine elettriche statiche

Figura 2.12: secondo circuito equivalente in accoppiamento non perfetto.

L’induttanza longitudinale è passata dalla porta primaria a quella secondaria.Inoltre, per quanto riguarda il valore di ‘a’ troverete che

a = L1

M = M

L2(1)

.

Nel caso generale, assumendo non nulli i quattro parametri, il doppio bipoloaccoppiamento mutuo si può schematizzare per mezzo del circuito di Figura 2.13(provate a verificarlo da soli, ripetendo ciò che avete appreso nei due precedenticasi).

a : 1+

+

I1 I2

V2V1 ω L1(1)

ω L1(2) ω L2

(2)

Figura 2.13: terzo circuito equivalente in condizioni di accoppiamento nonperfetto (nessun parametro nullo).

2.4 Accoppiamento su materiale ferromagnetico

Fatte queste premesse piuttosto generali in cui abbiamo discusso genericamente dicircuiti accoppiati, facciamo un passo avanti per rendere più concrete le cose dettee consideriamo un accoppiamento mutuo, in presenza del ‘ferro’, come quello cheavevamo disegnato in Figura 2.6.Per studiare questo nuovo oggetto, sempre in regime sinusoidale, sappiamo già dipoter utilizzare il circuito magnetico equivalente mostrato in Figura 2.14, circuitoche approssima tanto meglio la realtà, quanto più il ferro è un tubo di flusso per ilcampo di induzione magnetica.

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66 Macchine elettriche statiche

+

− +

ΦN1 I1 N2 I2

Figura 2.14: circuito magnetico equivalente.

Fissiamo l’attenzione sui due solenoidi di Figura 2.6; per essi il flusso totale sarà:

primo solenoide, fatto di N1 spire, Φ1 = N1 Φ ;

secondo solenoide, fatto di N2 spire, Φ2 = N2 Φ .

Detto ciò, applichiamo la LKT alle due porte del trasformatore:

V1 = j ω Φ1 = j ω N1 Φ e V2 = j ω Φ2 = j ω N2 Φ .

Scriviamo, inoltre, la seconda legge di Hopkinson alla maglia del circuitomagnetico di Figura 2.14

N1 I1 + N2 I2 = ℜ Φ .

Fermiamoci un momento e riassumiamo le equazioni che descrivono ilcomportamento del nostro trasformatore su ‘ferro’:

V1 = j ω N1 Φ ,

V2 = j ω N2 Φ ,

N1 I1 + N2 I2 = ℜ Φ .

Se facciamo il rapporto delle prime due equazioni del questo sistema

V1

V2

= N1

N2 = a ,

scopriamo che il parametro ‘a’ risulta completamente definito dal rapporto dellespire degli avvolgimenti primario e secondario. Se, dunque, vogliamo un

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67 Macchine elettriche statiche

trasformatore elevatore, bisogna fare in modo che il numero di spire alsecondario sia maggiore di quello al primario; per un trasformatore abbassatore,bisogna fare esattamente il contrario.Riscriviamo il sistema precedente nella forma:

V1 = a V2 (a = N1/N2) ,

V2 = j ω N2 Φ ,

I1 = - 1a I2 + ℜ

N1 Φ .

• Ferro idealeIl sistema appena scritto definisce un trasformatore ideale se vale la cosiddettacondizione di ferro ideale, per la quale la permeabilità relativa del materialeferromagnetico che costituisce il trasformatore è molto elevata, al limite µr → ∞.I materiali magnetici si dividono in tre grosse famiglie: i materiali diamagnetici,quelli paramagnetici ed i ferromagnetici. I primi due tipi sono caratterizzati dauna permeabilità relativa prossima all’unità, mentre i materiali ferromagneticihanno permeabilità relative piuttosto elevate (105 ed oltre). Ora, dal momento chela riluttanza, definita come il rapporto

ℜ = 1µ0 µr

LS

,

in cui L è lunghezza media del circuito magnetico e S la sua sezione trasversale,tende a diventare sempre più piccola, al limite nulla, quanto più aumenta lapermeabilità del mezzo. In queste ipotesi, si avrà che ℜ → 0, ovvero che lariluttanza tende a zero, dando luogo al nuovo e più semplice sistema

V1 = a V2 a = N1/N2 ,

V2 = j ω N2 Φ ,

I1 = - 1a I2 ,

che rappresenta proprio un trasformatore ideale. Rappresentiamo in undiagramma fasoriale nel piano di Gauss le equazioni del trasformatore ideale.

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68 Macchine elettriche statiche

a : 1+

+

I1 I2

Φ

I1

V1

V2

I2

V1 V2

Figura 2.15: primo e più semplice modello di trasformatore su ‘ferro’.

Spieghiamo come si è giunti a questo diagramma fasoriale. Scelto l’orientamentoper il flusso Φ, è evidente che le due tensioni V1 e V2 sono in anticipo di faserispetto ad esso di π/2; in Figura 2.15 abbiamo rappresentato come esempio untrasformatore abbassatore. L’angolo che vi è, poi, tra queste tensioni e le duecorrenti dipende dall’impedenza Z sulla quale viene chiusa la porta secondariadato che

V2 = - Z I2 .

Il segno meno deriva dal fatto che si è fatto uso della convenzione del generatoresul carico. Le due correnti I1 e I2, tuttavia, devono essere in opposizione di fase eche, nell’ipotesi di trasformatore abbassatore, la prima corrente deve essere, inmodulo, più piccola della seconda.

• Riluttanza finitaFacciamo un ulteriore passo in avanti e supponiamo di trovarci con un ferro unpo’ ‘più reale’ che abbia una riluttanza piccola, ma non nulla. Torniamo, in altritermini, alle equazioni più generali ed in tal caso dovremo tenere conto del nuovoaddendo della corrente

I1 = - 1a I2 + ℜ

N1 Φ = - 1

a I2 + ℜ

j ω N12 V1 .

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69 Macchine elettriche statiche

Questo nuovo termine si può facilmente interpretare come la corrente che passaattraverso un’induttanza, posta in parallelo alla porta primaria, e di valore

L0 = N12

ℜ .

Pertanto l’equazione può formalmente essere riproposta nella forma

I1 = - 1a I2 + I0 = - 1

a I2 + V1

j ω L0 .

Quindi si deve aggiungere alla prima maglia del trasformatore ideale unainduttanza in parallelo alla prima porta come mostrato in Figura 2.16.

a : 1+

+

I2

I1

Φ

I0

I1 *

V1

V2

V2V1

I1 I1 *

I0

I2

L0

Figura 2.16: secondo modello di trasformatore su ‘ferro’.

Il diagramma fasoriale di Figura 2.15 si complica solo per quanto riguarda lacorrente I1 che si arricchisce di un ulteriore componente che ha la stessa direzionee verso del flusso Φ, cioè è in fase con il flusso. Ciò lo si deduce dal fatto che

I0 = V1

j ω L0 = j ω N1 Φ

j ω L0 = N1 Φ

L0 .

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70 Macchine elettriche statiche

Quindi il vero fasore I1 risulterà dalla composizione di I1 * e di I0, come si deduce

dalla Figura 2.16. Si confronti, ora, il circuito equivalente riportato in Figura 2.9con quello appena costruito di Figura 2.16: cosa se ne può ricavare?Che sono identici! Ciò vuol dire che considerando una riluttanza finita il circuitoequivalente del trasformatore coincide con il caso dell’accoppiamento perfetto.Per convincercene fino in fondo, calcoliamo i parametri equivalenti del doppiobipolo, cioè L1, L2 ed M. Immaginiamo, cioè, di rappresentare il nostroaccoppiamento su ferro per mezzo del legame generale

V1 = j ω L1 I1 + j ω M12 I2 ,

V2 = j ω M21 I1 + j ω L2 I2 ,

che, se si osserva che

V1 = j ω Φ1 , V2 = j ω Φ2 ,

può essere facilmente riscritto in termini di flussi

Φ1 = L1 I1 + M I2 ,

Φ2 = M I1 + L2 I2 .

Ora, ricordando quanto abbiamo imparato sui doppi bipoli e che il flusso nel ferrovale

N1 I1 + N2 I2 = ℜ Φ ,

non è difficile ricavare i parametri che ci interessano. Cominciamo con L1:

L1 = Φ1

I1

= N1 ΦI1

= N12 I1

I1 ℜ = N1

2

ℜ , quando I2 = 0 .

Similmente per L2 risulta:

L2 = Φ2

I2

= N2 ΦI2

= N22 I2

I2 ℜ = N2

2

ℜ , quando I1 = 0 .

La mutua induttanza, infine, vale:

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71 Macchine elettriche statiche

M = Φ1

I2

= N1 ΦI2

= N1 N2 I2

I2 ℜ = N1 N2

ℜ , quando I1 = 0 .

Le ultime tre relazioni confermano in pieno l’ipotesi che avevamo intuitoguardando gli schemi equivalenti: siamo in condizioni di accoppiamento perfettoe, pertanto,

M2 = N12 N2

2

ℜ2 = L1 L2 = N1

2

ℜ N2

2

ℜ .

• Perdite nel ferroFacciamo un altro passo verso un modello più reale. Fino ad ora abbiamoipotizzato che le perdite per isteresi magnetica e per correnti parassite fossero cosìpiccole da poter essere trascurate. Tenerne conto in maniera precisa non è faciledato che esse dipendono, oltre che dal tipo di materiale ferromagnetico, anchedalla geometria, cioè dalla forma che ha il trasformatore.Si ricorda che le perdite per isteresi sono dovute all’attrito che nasce tra i varidomini di Weiss quando sono costretti a seguire un campo magnetico esterno el’area del ciclo di isteresi è proporzionale all’energia che si dissipa in un soloperiodo. Le perdite per correnti parassite, invece, sono dovute alla nascita dicorrenti elettriche nel ferro che, oltre ad essere un materiale ferromagnetico, èanche un buon conduttore. Le perdite per isteresi producono una potenza perdutaspecifica che è linearmente dipendente dalla frequenza; quelle per correntiparassite dipendono, invece, dal quadrato della frequenza.

I0

I1I1

*

Φ

V1

V2

I2

I0

R0L0

Figura 2.17: terzo modello contenente le perdite per isteresi e correnti parassite.

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72 Macchine elettriche statiche

Queste perdite si inseriscono nel circuito equivalente 2.16 considerando, inparallelo all’induttore L0, una resistenza, che, in Figura 2.17 abbiamo indicatogenericamente con R0.Nel diagramma fasoriale la I0 risulterà somma della corrente Iµ che interessal’induttore e di quella Iρ assorbita dal resistore, come mostrato in Figura 2.17.

• Induttanze di dispersioneFacciamo ora un ulteriore passo in avanti. Visto che si sta considerando un ferronon ideale dobbiamo anche valutare il fatto che le linee di flusso generate dei dueavvolgimenti non sono più tutte interne al ferro, ma che alcune di queste linee diflusso vadano perse, come mostrato schematicamente in Figura 2.18.Il flusso Φ1 che si concatena, ad esempio con il primo avvolgimento, può esserepensato come costituito da due flussi: il flusso principale N1Φ che concatenaentrambi gli avvolgimenti e di un flusso disperso Φ1D, sicché

Φ1 = N1 Φ + Φ1D .

+

i1(t)

v1(t)

campo disperso

B

B

Figura 2.18: campo disperso alla porta primaria di un trasformatore.

Similmente e con analogo significato dei simboli, alla porta secondaria possiamoporre

Φ2 = N2 Φ + Φ2D .

Ora, le tensioni alla porta primaria e secondaria, essendo pari a

V1 = j ω Φ1 e V2 = j ω Φ2 ,

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73 Macchine elettriche statiche

per quanto appena detto, possono essere riscritte nella forma equivalente

V1 = j ω N1 Φ + Φ1D e V2 = j ω N2 Φ + Φ2D .

Queste ultime due relazioni mostrano chiaramente che nel circuito equivalentedobbiamo aggiungere altre due induttanze, in serie alle porte primaria esecondaria, di valore

L1D = Φ1D

I1

, L2D = Φ2D

I2

.

Se dunque inseriamo queste induttanze in serie alla porta primaria e secondaria,otteniamo il circuito equivalente mostrato in Figura 2.19.

a : 1

+

+

+

+

I1

I0

V1 R0

Iµ Iρ

I1 *

E1 E2 V2

I2ω L1D ω L2D

ω L0

Figura 2.19: inserimento delle induttanze di dispersione.

Vale la pena notare come, in Figura 2.19, abbiamo indicato con E1 e E2 le tensionialle porte del trasformatore ideale per distinguerle da quelle in ingresso altrasformatore che, a causa delle cadute di tensione sulle due nuove induttanze didispersione, non coincidono più.Non ci resta che aggiungere due resistori, di opportuno valore R1 ed R2, in seriealle induttanze di dispersione, che tengano in debito conto delle perdite nel rame,delle perdite resistive nei due avvolgimenti, primario e secondario, per ottenere loschema circuitale di Figura 2.20, che rappresenta un trasformatore reale.

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74 Macchine elettriche statiche

a : 1

+

+

+

+

I1

I0

V1 R0

Iµ Iρ

I1 *

E1 E2 V2

I2

R1 R2

ω L0

ω L1D ω L2D

Figura 2.20: inserimento delle resistenze degli avvolgimenti.

Siamo finalmente giunti allo schema più completo, ma anche più complicato, chedescrive il funzionamento del trasformatore monofase. Per completare il nostrolavoro, dobbiamo fare il diagramma fasoriale relativo al nuovo circuitoequivalente.La Figura 2.21 riporta questo diagramma per il circuito di Figura 2.19;costruitelo con cura, verificando la posizione relativa dei diversi fasori.

Φ

I1

I0

I1 *

R1 I1

jωL1D I1V1

E1

E2

V2

R2 I2jωL2D I2

I2

Figura 2.21: diagramma fasoriale.

Soltanto due osservazioni prima di concludere questo paragrafo. Il circuito cuisiamo giunti che ‘traduce’ in rete elettrica il funzionamento del trasformatore, è,

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75 Macchine elettriche statiche

per alcune applicazioni, troppo complicato e, pertanto, il primo lavoro che ciattende è la ricerca di schemi semplificati.La seconda cosa da sottolineare riguarda la corrente I0: se osservate con cura laFigura 2.20, concluderete che essa può a buon diritto chiamarsi corrente avuoto poiché, se alla porta secondaria non vi venisse collegato alcun carico, cioèse questa porta fosse aperta, la corrente circolerebbe solo nella maglia primaria evarrebbe la relazione

I1 = I0 .

Si noti che, nella realtà, la corrente I0 è spesso, in valore efficace, molto piùpiccola della I1, così come le cadute di potenziale sugli elementi longitudinali sonomolto più piccole di V1 e di V2, rispettivamente. La Figura 2.21 deve intendersicome solo indicativa, poiché le ampiezze dei diversi fasori sono state sceltesoltanto sulla base di criteri di chiarezza grafica. Su queste ultime osservazionitorneremo nel seguito.

2.5 Modelli semplificati del trasformatore

Il circuito equivalente, riportato in Figura 2.20, risulta molto utile quando iltrasformatore cui ci si riferisce sia inserito in una rete elettrica e si vogliaanalizzare il comportamento nel suo insieme. Tuttavia, per evitare calcoli troppocomplessi, si accetta spesso di modificare questo circuito equivalente, cercando, altempo stesso, di contenere entro qualche percento gli errori dovuti allasemplificazione introdotta. Aggiungiamo ancora che non è facile, per mezzo diprove sperimentali, conoscere il valore di tutti i parametri equivalenti, nel sensoche non tutti i parametri possono essere dedotti indipendentemente. Con questepremesse, si capisce la necessità di ricorre ad un circuito semplificato, i cuiparametri siano facilmente deducibili da misure di tensione e corrente, fatte alledue porte.La schema semplificato maggiormente in uso è il cosiddetto modello a flussobloccato, mostrato in Figura 2.22: la modifica apportata, rispetto alla Figura2.20, consiste nello spostare il ramo (in gergo detto ‘cappio’) trasversale compostodal resistore R0 e dall’induttore L0 a sinistra di L1D e di R1. Questo modello vienedetto ‘a flusso bloccato’ perché la corrente Iµ, che era proporzionale al flusso

Iµ = V1

j ω L0 = j ω N1 Φ

j ω L0 = N1 Φ

L0 ,

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76 Macchine elettriche statiche

è nota quando la tensione della porta primaria è assegnata.

a : 1

+

+

+

+

I1

I0

V1 L0 R0

Iµ Iρ

I1 *

E1 E2 V2

I2L2DL1D

R1 R2

Figura 2.22: modello a flusso bloccato.

Ciò è lecito, in prima approssimazione, perché il valore efficace della corrente I0 èpiccolo, in condizioni di funzionamento normale, rispetto a quello della correnteI1, ed il fatto che ora I0 non percorra più R1 e L1D modifica poco la caduta ditensione su questi due bipoli. Se aggiungiamo, poi, che questa caduta di tensione èpiccola rispetto a V1 e E1, si intuisce perché il nuovo schema lascia praticamenteinalterate le varie grandezze presenti nel circuito equivalente.Dallo schema di Figura 2.22 è facile ottenere un ulteriore modello, rappresentatoin Figura 2.23, che si ottiene riportando al secondario le resistenze e le reattanzedi dispersione del circuito primario. Le resistenze sono state, dunque, accorpate inun’unica resistenza di valore

RT = R2 + R1

a2 ,

mentre l’induttanza complessiva è pari a

LT = L2 + L1

a2 .

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77 Macchine elettriche statiche

a : 1

+

+

+

+

I1

I0

V1 L0 R0

Iµ Iρ

I1 *

E1 E2 V2

I2LT

RT

Figura 2.23: modello a flusso bloccato con perdite tutte al secondario.

Nel circuito equivalente di Figura 2.22, pertanto, tutte le perdite ‘longitudinali’sono state riportate al secondario. Nel seguito faremo largo uso di questo modello.

2.6 Un cenno agli effetti non lineari

Chiuso il discorso sui circuiti equivalenti, è necessario sviluppare qualcheosservazione sugli effetti non lineari che possono avere luogo dato che, comecertamente ricorderete, i materiali ferromagnetici sono descritti da un legame tral’induzione ed il campo magnetico di tipo isteretico, che significa non lineare ed apiù valori.Finora abbiamo ipotizzato che il ferro adoperato nella costruzione deltrasformatore abbia un comportamento ideale, avendo supposto

B = µ H .

Anzi, abbiamo immaginato che la permeabilità magnetica fosse elevata, se nonaddirittura infinita. Rimuovere questa ipotesi non è cosa semplice: lo studio deisistemi non lineari è argomento di studio avanzato e molti gruppi di ricerca, ancheafferenti a discipline diverse, dalla termodinamica all’elettromagnetismo, stannospendendo molte energie per fare luce in un campo difficile da ... arare.Ciò che abbiamo implicitamente assunto nel nostro precedente studio è che, se latensione di alimentazione ad una porta del trasformatore è sinusoidale di assegnatafrequenza, anche tutte le altre grandezze sono sinusoidali e della stessa frequenzaimposta dal generatore. E questa è una particolarità che caratterizza in manieraforte i sistemi lineari: se il segnale di ingresso, quale esso sia, è sinusoidale, anchel’uscita lo è ed inoltre conserva la stessa frequenza dell’ingresso. Come per il

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78 Macchine elettriche statiche

regime sinusoidale, anche in questo caso si intende che il transitorio, peraltrobreve, sia terminato: qui ci riferiamo soltanto alla soluzione di regime, propriocome facemmo per l’alternata.Considerare un ferro non ideale non è facile e ci si limiterà soltanto a proporre unesperimento che possa mettere in luce una delle più importanti proprietà deisistemi non lineari. In realtà, nel caso dei materiali ferromagnetici il problema èancora più complicato per la presenza dell’isteresi. Ma questo punto verrà da noitrascurato.Consideriamo l’esperimento proposto in Figura 2.24. Il trasformatore presenta laporta secondaria a vuoto allo scopo di realizzare un induttore che, come vedremotra poco, è non lineare. I trasduttori di corrente e tensione presenti nello schemasono dispositivi elettronici che convertono i valori istantanei di corrente e tensionein segnali comprensibili dall’elaboratore elettronico. La presenza di unelaboratore elettronico rappresenta una gran comodità dato che in tal modopossiamo comodamente rappresentare sullo schermo le forme d’onda dellacorrente e della tensione.

TC

+

TT

PC

TC → Trasduttore di corrente TT → Trasduttore di tensione

i(t)

v(t)

Figura 2.24: analisi armonica di un trasformatore.

Nella Figura 2.25 sono riportate le tracce di corrente, visibili sul calcolatore, nelcaso in cui la tensione sia una funzione sinusoidale, del tipo

v(t) = VM sen(ω t) ,

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79 Macchine elettriche statiche

la frequenza sia fissa e l’ampiezza assuma i tre valori VM = (0.5, 1, 1.2) V.

-3

-2

-1

0

1

2

3

0 2 4 6 8 10

VM = 1.2 V

VM = 1 V

VM = 0.5 V

VM = 1 V

ω t

Corrente normalizzata

Figura 2.25: uscite non lineari.

Cosa si deduce da questi grafici?Osservando con attenzione la figura riportata, si comprende che, fino a quando ilvalore massimo della tensione è piccolo, la corrente ha un andamento moltosomigliante ad una funzione sinusoidale. Appena il valore massimo aumenta, laforma d’onda che la rappresenta non è nemmeno lontanamente somigliante ad unasinusoide. Più precisamente, per descrivere la corrente, avremmo bisogno non piùdi una sola funzione sinusoidale, ma di più sinusoidi, le cui frequenze sonomultipli interi della frequenza del generatore. In altri termini, la corrente èrappresentabile da una somma del tipo

i(t) = I1 sen(ω t) + I2 sen(2ω t) + I3 sen(3ω t) + ,

cioè una combinazione lineare di funzioni sinusoidali di valori massimi I1, I2, I3 epulsazioni ω, 2ω, 3ω (per la verità, nel caso del trasformatore l’ampiezza I2 ènulla: ma questo è un inutile dettaglio e, pertanto, lo trascuriamo). Proprio questaera la proprietà dei sistemi non lineari che ci premeva mettere in luce: puressendo la tensione di ingresso una funzione sinusoidale di assegnata pulsazione, lacorrente presenta più sinusoidi di pulsazioni diverse, al limite anche infinite.

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80 Macchine elettriche statiche

Potremmo dire che un sistema non lineare ‘crea’ frequenze diverse (multiple) daquella del segnale di ingresso.Dal punto di vista del sistema elettrico, in generale, questa creazione di frequenzeè un fenomeno indesiderato che va sotto il nome di inquinamento armonico e chepuò creare non pochi problemi alle linee di trasmissione a cui il trasformatoreviene collegato. Lo studio dettagliato di questi fenomeni, comunque, esula dailimiti impostici, pur rappresentando uno dei più bei capitoli della Matematica,conosciuto come studio delle serie di Fourier.

2.7 Condizioni e valori nominali

Le condizioni nominali di funzionamento sono quelle per le quali un trasformatoresubisce delle sollecitazioni adeguate alle caratteristiche per cui è stato primaprogettato, poi costruito. Esse vengono precisate dal costruttore proprio perevitare tutte quelle sollecitazioni per le quali il trasformatore non è statoprogettato, e vengono, d’abitudine, espresse come:

V1N , valore efficace della tensione primaria nominale ;

I1N , valore efficace della corrente primaria nominale ;

V2N , valore efficace della tensione secondaria nominale ;

I2N , valore efficace della corrente secondaria nominale ;

cos ϕ2N , fattore di potenza nominale .

Se conosciamo i parametri del circuito equivalente e i valori dei parametrinominali, possiamo ricavare altri parametri nominali, tra i quali l’impedenzasecondaria nominale

Z2N = Z2N , ϕ2N = V2N

I2N , ϕ2N ,

e la cosiddetta potenza nominale, intesa come potenza apparente secondaria incondizioni nominali

AN = A2N = V2N I2N .

Le sollecitazioni a cui il trasformatore è sottoposto durante il suo eserciziopossono essere di natura diversa e, se non sono tenute sotto controllo, possonodeterminare non pochi problemi. Qui esamineremo, in rapida sintesi, le principali.

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81 Macchine elettriche statiche

• Sollecitazioni meccanicheLe forze di attrazione e repulsione dovute all’interazione delle correnti tra le spireche compongono gli avvolgimenti producono vibrazioni contenute nei limitistabiliti.

Figura 2.26: danni per sforzi meccanici negli avvolgimenti.

Queste vibrazioni rappresentano la sorgente del normale ronzio del trasformatoree non creano eccessivi sforzi interni che, con il passare del tempo, potrebberocompromettere la compattezza meccanica della macchina.Nella appendice posta alla fine del capitolo approfondiamo l’argomento deglisforzi elettrodinamici che, se non sono tenuti sotto controllo, possono arrecaredanni molto gravi al trasformatore, come testimonia la Figura 2.26.

• Sollecitazioni dielettricheLe tensioni tra i vari punti degli avvolgimenti e del nucleo devono assumere ivalori previsti per essere correttamente sopportate dalla rigidità dielettrica deivari isolanti.

• Sollecitazioni magneticheDi esse si è già fatto cenno nel precedente paragrafo ed il flusso, o l’intensitàdell’induzione magnetica, assume un valore massimo per uno sfruttamento

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82 Macchine elettriche statiche

ottimale del ferro, senza raggiungere il limite di saturazione, che provocherebbeeccessive distorsioni nelle forme d’onda della corrente magnetizzante.

• Sollecitazioni termicheIl calore dissipato per effetto Joule negli avvolgimenti (perdite nel rame) e quellodovuto alle perdite nel ferro elevano la temperatura interna nei vari elementirispetto al valore previsto in sede di progetto.

Figura 2.27: raffreddamento in un trasformatore di grossa potenza.

Per porre rimedio a questo inconveniente, bisogna riuscire a rimuovere questocalore in eccesso. Per i trasformatori di piccola potenza, la naturale convezionedell’aria è sufficiente a tenere sotto controllo la temperatura. Tuttavia, se lapotenza cresce, è necessario rimuovere il calore in eccesso, cosa che può esserefatta aumentando la superficie di scambio termico, cioè alettando il cassone checontiene il trasformatore.Se nemmeno le alette sono sufficienti, si realizza una convezione forzata facendopassando un liquido refrigerante in tubi che avviluppano la macchina. Pertanto, ilsistema di smaltimento del calore in eccesso, considerando il tipo diraffreddamento, può essere indicato dai seguenti simboli:

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83 Macchine elettriche statiche

N sta per naturale;F sta per forzata;D sta per forzata e guidata.

Invece, considerando il tipo di refrigerante, si possono adoperare i simboli:

O per olio minerale non infiammabile;L per altro liquido non infiammabile;G per gas;W per acqua.

Figura 2.28: raffreddamento forzato per mezzo di tubi e ventola.

In tal modo, per un trasformatore di elevata potenza, la sigla ONAF indica che ilraffreddamento avviene con Olio Naturale, il cui movimento è spontaneo sottol’azione del calore, ed Aria Forzata, la quale, sospinta da ventilatori, asporta ilcalore dell’olio.

2.8 Rendimento

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84 Macchine elettriche statiche

Come abbiamo detto nel primo capitolo, per una macchina o, più in generale, perun qualunque dispositivo elettrico, uno dei parametri tecnici che ne caratterizza leprestazioni è il rendimento. Anche per il trasformatore si può definire ilrendimento come rapporto tra la potenza restituita in uscita e quella fornita iningresso

η = Potenza in uscitaPotenza in ingresso

= PUS

PIN .

Questo rapporto è, tuttavia, difficile da misurare, specialmente per i trasformatoridi elevata potenza, che possono avere rendimenti pari circa a 0.99. Non moltotempo fa, a causa della imprecisione degli strumenti di misura, poteva capitareche, disposti due wattmetri alla porta di ingresso e di uscita, un errore di misurain eccesso sulla potenza in uscita ed uno in difetto su quella in ingresso, essendoqueste due potenze praticamente coincidenti, portava ad un valore fisicamenteassurdo del rendimento, un valore maggiore dell’unità. Se, poi, a ciò si aggiungela difficoltà di avere a disposizione strumenti di misura che possano sopportare ilpassaggio di corrente e tensioni elevate, si conclude che è preferibile valutare ilrendimento in maniera indiretta, secondo la definizione:

η = PUS

PUS + PCu + PFe .

Questa relazione definisce il rendimento come il rapporto della potenza in uscita,anche detta potenza trasferita al secondario, e della potenza in ingresso, intesacome somma delle potenze perdute nel rame, nel ferro e della potenza di uscitastessa. In realtà, si tratta del rendimento convenzionale, detto così a causa dellapresenza di perdite di altro tipo quali quelle per ventilazione, magnetostrizione edelettrostrizione, non tenute in conto in questa definizione.Per valutare le diverse potenze presenti, facciamo riferimento allo schemasemplificato a flusso bloccato e con perdite tutte al secondario di Figura 2.23, esupponiamo che alla porta primaria vi sia un generatore di tensione, mentre aquella secondaria vi sia un carico generico, caratterizzato dall’impedenza

Z = Z , ϕ = Z (cos ϕ + j sen ϕ) .

La Figura 2.29 riporta lo schema che vogliamo usare per il calcolo delrendimento, uno schema che, seppur riferito ad un modello semplificato deltrasformatore, ci consentirà di fare interessanti considerazioni. Notate che, alla

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85 Macchine elettriche statiche

porta secondaria, abbiamo cambiato il verso della corrente, facendo sul carico laconvenzione dell’utilizzatore; in ciò non vi è nulla di magico: solo un cambio diverso per scrivere in maniera più compatta le formule che seguono. Segue, allora,che la potenza assorbita dal carico è pari a

PUS = V2 I2 cos ϕ .

Le perdite nel ferro, legate al resistore R0, sono

PFe = R0 Iρ2 = V1

2

R0 ,

ed, una volta assegnata la tensione alla porta primaria, sono note, almeno finquando è valido il modello di trasformatore utilizzato. In particolare, questeperdite non dipendono dalla corrente I2 della porta secondaria.

a : 1

+

+

I1

I0

V1 L0 R0

Iµ Iρ

I1 *

E1 E2 V2

I2LT

RT

+

+

−Z

Figura 2.29: schema semplificato per la valutazione delle perdite.

La potenza dissipata nel rame per effetto Joule, invece, è data da

PCu = RT I22 ,

Sostituendo queste relazioni scritte nella definizione del rendimento, si ottiene

η = PUS

PUS + PCu + PFe = V2 I2 cos ϕ

V2 I2 cos ϕ + RT I22 + PFe

.

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86 Macchine elettriche statiche

Osservate subito che non abbiamo sostituito per le perdite nel ferro nell’ultimarelazione, dato che esse dipendono esclusivamente dalla tensione primaria chesupponiamo assegnata e fissa. Molto diffuso nella pratica tecnica è riferirsi nontanto alla corrente della porta secondaria, quanto al rapporto adimensionale

α = I2

I2N ,

tra questa corrente e la corrente nominale alla stessa porta. Generalmente, ilcoefficiente α ≤ 1 e, solo per periodi limitati, si può tollerare la condizione disovraccarico α > 1. Il rendimento può, pertanto, riscriversi nella nuova forma

η = V2 I2N cos ϕ

V2 I2N cos ϕ + RT I2N2 α + PFe

α

.

Siamo, finalmente, giunti al punto nodale della trattazione. Chiediamoci:supponendo che il valore efficace della tensione secondaria V2 non cambi, comeaccade nelle principali applicazioni domestiche ed industriali, per quale valore diα il rendimento è massimo?Se supponiamo che la tensione secondaria sia fissa e non dipenda da α, il massimorendimento si raggiunge quando il denominatore D(α)

D(α) = V2 I2N cos ϕ + RT I2N2 α + PFe

α

è minimo. La parte posta nel riquadro che segue mostra come si trovi questovalore minimo.

La funzione

D(α) = V2 I2N cos ϕ + RT I2N2 α + PFe

α ,

assume il suo valore minimo per

α = αMIN = PFe

RT I2N2

.

Per verificare questa affermazione, considerata la derivata prima rispetto a α

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87 Macchine elettriche statiche

ddα

D(α) = RT I2N2 - PFe

α2 ,

possiamo affermare, ricordando che, per definizione, α è un numero positivo, chela funzione cresce se

ddα

D(α) > 0 → RT I2N2 - PFe

α2 > 0 → α > αMIM = PFe

RT I2N2

.

α0

minimo

αMIN

Ciò basta a provare che la funzione ammette il minimo predetto.

Dunque, se

α = PFe

RT I2N2

,

avremo un minimo del denominatore D(α) e questo minimo non dipende dalfattore di potenza, il cos ϕ, del carico. In corrispondenza di questo valore, ilrendimento convenzionale del trasformatore è massimo, come mostrato in Figura2.30, per disegnare la quale abbiamo assunto una potenza apparente nominale allaporta secondaria S2N = V2N I2N = 200 kVA, una potenza nominale assorbita dagliavvolgimenti di rame pari a RT I2N

2 = 2 kW ed una potenza dissipata nel ferroPFe = 1 kW. Con questi dati il rendimento diventa

η = 200 α cos ϕ200 α cos ϕ + 2 α2 + 1

,

che è proprio la funzione disegnata in figura, per un valore del fattore di potenzadel carico pari a 0.8.

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88 Macchine elettriche statiche

Si osservi che la zona in cui si raggiunge il valore massimo del rendimento èpiuttosto larga. Stesso andamento si ottiene anche cambiando il fattore di potenza;in particolare, il massimo rendimento si ottiene quando il carico è puramenteresistivo, ovvero cos ϕ = 1 e, per un’ampia classe di trasformatori commerciali, il‘largo’ massimo si ottiene attorno al valore α = 3/4.

0.6

0.65

0.7

0.75

0.8

0.85

0.9

0.95

1

0 0.5 1 1.5 2

η

α

cos ϕ = 0.8

Figura 2.30: rendimento del trasformatore al variare del parametro α.

Ponendoci nella condizione di massimo, siamo in grado di determinare la correnteche dovrebbe circolare al secondario per avere rendimento massimo. Tuttavia ciònon è sempre possibile. Tuttavia, la corrente che circola al secondario dipende dalcarico, cioè dalle richieste degli utenti, che variano continuamente. Quindi,nell’arco di una giornata il rendimento cambia in continuazione, e per tenerneconto si definisce il rendimento giornaliero, inteso come rapporto delleenergie assorbite nell’intera giornata (nelle 24 ore):

η =

V2k I2k cos ϕk ∆tk∑k

V2k I2k cos ϕk + RT I2k2 ∆tk∑

k

+ 24 PFe

,

in cui il tempo ∆tk, espresso in ore, rappresenta un intervallo di utilizzazione incui le caratteristiche della potenza prelevata sono costanti ed il significato da

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89 Macchine elettriche statiche

attribuire agli altri simboli adoperati dovrebbero risultare chiaro da quanto dettoin precedenza.La condizione di massimo per il rendimento giornaliero sarà del tutto simile aquella discussa in precedenza. Si osserva, comunque, che il rendimento va tenutoin ogni caso elevato, avendo cura che non diventi troppo piccolo: in questi casi, sipensi a un’utenza cittadina durante le ore notturne, si preferisce avere adisposizione due trasformatori, uno di grande potenza per le ore del giorno, unopiù piccolo per le ore della notte, in modo che quale dei due trasformatori sia infunzione operi sempre con una corrente secondaria prossima al valore nominale,cioè a rendimento elevato.

2.9 Prove sui trasformatori

La determinazione indiretta del rendimento comporta la conoscenza esplicita dellapotenza perduta nel ferro e nel rame. Per conoscere queste grandezze, ovverovalutare i parametri trasversali e longitudinali del circuito equivalente deltrasformatore, si usa praticare delle prove sul trasformatore: cominciamo dallaprova a vuoto.

• Prova a vuotoQuesta prova, schematicamente mostrata in Figura 2.31, viene effettuata lasciandoaperta la porta nel circuito secondario ed applicando al primario la tensionenominale V1N: il voltmetro posto in parallelo alla porta primaria serve proprio averificare che il valore efficace della tensione di alimentazione coincida con latensione nominale. In realtà, la parte di alimentazione non è così semplice: sipreferisce usare la normale rete di distribuzione dell’energia elettrica e poiadattare alle nostre esigenze il valore della tensione usando un autotrasformatore,di cui si parlerà tra poco. Comunque questo dettaglio non è essenziale per ciò chestiamo per dire e, pertanto, lo trascureremo.

+

−A

+

W+

VI2 = 0

V1N

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90 Macchine elettriche statiche

Figura 2.31: illustrazione della prova a vuoto.

Le misure fornite dall’amperometro e dal wattmetro, che indicheremorispettivamente con I0 e P0, sono in grado di fornire i valori dei parametritrasversali del trasformatore.Per capire come ciò possa realizzarsi, ricorriamo ancora una volta al modellosemplificato con le perdite resistive tutte al secondario di Figura 2.23, riprodotto,per quel che qui interessa, in Figura 2.32. Dalla misura del wattmetro e delvoltmetro si può ricavare facilmente il valore del primo parametro trasversale, ilvalore della resistenza R0

P0 = V1N2

R0 → R0 = V1N

2

P0 .

Inoltre, non è difficile determinare anche il fattore di potenza

P0 = V1N I0 cos ϕ0 → cos ϕ0 = P0

V1N I0 .

Noto l’angolo ϕ0, è poi semplice valutare la potenza reattiva Q0 e da essa lareattanza X0 = ω L0; in formule:

Q0 = P0 tan ϕ0 = V1N2

X0 → X0 = V1N

2

Q0 → L0 = V1N

2

ω Q0 .

+

I1

I0 I1 * = 0

L0 R0

Iµ Iρ

V1N

Figura 2.32: schema della prova a vuoto.

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91 Macchine elettriche statiche

Dunque, la misura illustrata in Figura 2.31 consente di determinare i parametritrasversali, R0 ed L0, di un trasformatore; in altri termini, siamo finalmente ingrado di stimare, con ragionevole approssimazione, la potenza PFe, dissipata nelferro.

• Prova in cortocircuitoPer valutare le perdite negli avvolgimenti e l’induttanza di dispersione, i cosiddettiparametri longitudinali del trasformatore, possiamo effettuare un nuovo insiemedi misure, denominato prova in cortocircuito.

V

+

−A

+

W+ I2I1N

V1CC

Figura 2.33: prova di corto circuito su un trasformatore.

Per questa prova si pone in cortocircuito la seconda porta. Si impone alla primaporta una tensione V1CC, detta tensione di cortocircuito, definita come la tensioneche, con il secondario in cortocircuito, fa circolare al primario la correntenominale. Questa tensione è di gran lunga più bassa di quella nominale V1N ebisogna fare particolare attenzione a partire da tensioni più basse di quella dicortocircuito e, poi, aumentare il valore poco per volta. Se, sempre con la portasecondaria in corto circuito, la tensione dovesse malauguratamente superare ilimiti suddetti, è ben far durare la misura il più breve tempo possibile poiché, datele elevate correnti in gioco, il trasformatore potrebbe subire danni molto seri.Anche in questa prova si utilizza un autotrasformatore, al quale abbiamo già fattocenno nella prova a vuoto, per ridurre la tensione della linea a valori più bassi.

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92 Macchine elettriche statiche

+

I0 ≅ 0

a2 LT

a2 RT

R0L0

Iµ Iρ

I1N

V1CC I1N

Figura 2.34: schema della prova in corto circuito.

Spieghiamo questa prova ricorrendo ancora una volta allo schema semplificato diFigura 2.23, adattato al caso in esame in Figura 2.34, in cui i parametrilongitudinali della porta secondaria sono stati ricondotti al primario,moltiplicandoli ovviamente per a2. Notate che i parametri trasversali sono statieliminati dallo schema dato che, essendo molto più elevati degli altri, possonoessere considerati dei circuiti aperti.Dunque, misurata V1CC grazie al voltmetro e la corrente nominale I1N per mezzodell’amperometro, la potenza misurata con il wattmetro rappresenta la potenzaattiva assorbita dagli avvolgimenti di rame

PCC = a2 RT I1N2 → RT = PCC

a2 I1N2

.

Inoltre, dalla conoscenza del fattore di potenza

PCC = V1CC I1N cos ϕCC → cos ϕCC = PCC

V1CC I1N ,

si può dedurre l’angolo ϕCC e la potenza reattiva QCC, e da essa la reattanzaXT = ω LT; in formule:

QCC = PCC tan ϕCC = a2 XT I1N2 → XT = QCC

a2 I1N2

→ LT = QCC

ω a2 I1N2

.

Dunque, la misura illustrata in Figura 2.34 consente di determinare i parametrilongitudinali, RT ed LT, di un trasformatore; in altri termini, siamo finalmente in

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93 Macchine elettriche statiche

grado di stimare, con ragionevole approssimazione, la potenza PCu, dissipata negliavvolgimenti.

Alcune considerazioni prima di terminare.La prima riguarda la simmetria dei due procedimenti di misura: riguardate quantodetto sulle due prove e scoprirete una notevole simmetria, negli schemi e nelleformule. La seconda riguarda la frequenza: un dato che abbiamo implicitamenteusato e non misurato è la frequenza. Gli schemi di misura presentati, pertanto,vanno completati con un frequenzimetro per misurare la frequenza dellegrandezze alternate, che abbiamo omesso dagli schemi al fine di renderli piùleggibili.

2.10 Caduta di tensione

Per capire quale sia il problema che vogliamo affrontare in questo paragrafo,ritorniamo allo schema approssimato, secondo Kapp, del trasformatore di Figura2.23. Nella Figura 2.35 abbiamo riprodotto questo schema di trasformatore chiusosu un carico generico.

a : 1

+

+

+

+

V1

I1 I1 *

I0

E1 E2

LT

RT

Z

I2

V2

Figura 2.35: trasformatore chiuso su un generico carico.

Osservate questa figura con attenzione: i parametri trasversi sono statirappresentati per mezzo di una generica impedenza e sul carico abbiamo fatto laconvenzione dell’utilizzatore, cambiando l’usuale verso della corrente alla portasecondaria. Niente di particolarmente complicato: dovreste essere ormai abituati aquesti cambi di convenzione, sempre collegati alla semplificazione della trattazioneche si vuole svolgere.Se la porta secondaria è a vuoto, la tensione che si misura a questa porta è proprioE2; quando, invece, è presente un carico, la tensione assume il valore V2 chedipende dal carico collegato. La caduta di tensione (∆V) è definita proprio conriferimento ai valori efficaci di queste tensioni

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94 Macchine elettriche statiche

∆V = E2 - V2 ,

e rappresenta la variazione di tensione alla porta secondaria del trasformatore nelfunzionamento a vuoto e sotto carico. Più precisamente, le norme CEI definisconocaduta di tensione industriale (c.d.t.i.) il rapporto

∆VE2

= 1 - V2

E2 ,

ovvero il suo equivalente percentuale

∆V% = 100 1 - V2

E2 .

Comunque, a parte i simboli e le definizioni, dobbiamo valutare la differenza tra imoduli delle tensioni a vuoto e sotto un generico carico. Allora, applicando laLKT alla maglia di uscita, possiamo scrivere:

E2 = V2 + RT + j ω LT I2 .

Da questa relazione tra fasori dobbiamo estrarre le informazioni relative ai valoriefficaci che ci interessano per calcolare la caduta di tensione: per fare ciò,l’abbiamo rappresentata graficamente in Figura 2.36. La costruzione che segueillustra nel piano di Gauss quanto accade nella realtà, ma non aggiungeinformazioni altre informazione alla LKT.

ϕO

A B

C

I2

V2

RT I2 j XT I2

E2

Figura 2.36: rappresentazione fasoriale della LKT alla maglia di uscita.

Iniziamo a dire che abbiamo supposto la corrente I2 in ritardo, di un certo angoloϕ, rispetto alla tensione V2, assumendo un carico di tipo ohmico - induttivo:

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95 Macchine elettriche statiche

questa ipotesi non è necessaria, ma è stata fatta per illustrare un caso abbastanzafrequente: per rendervene conto fino in fondo, adattate quanto diremo in questoparagrafo a un carico di tipo ohmico - capacitivo. Osservate che la tensione RT I2

è parallela alla corrente I2, mentre la tensione j ω LT I2 è in anticipo di π/2,sempre rispetto alla corrente. La scelta di porre V2 sull’asse reale, anche se infigura non viene riportato, è del tutto arbitraria.

Consideriamo, ora, la circonferenza di raggio E2 e facciamola passare per il puntoD del disegno. Ci rendiamo conto che la caduta di tensione è pari alla differenza:

∆V = E2 - V2 = OD - AO = AD .

Tuttavia, nei casi di maggior interesse applicativo, il segmento AD è circa pari aAC, essendo trascurabile il piccolo segmento CD. Pertanto, possiamoapprossimativamente scrivere

∆V = E2 - V2 = OD - AO = AD ≅ AC .

Ora vedrete come la semplificazione introdotta renda meno complicato il calcolodella caduta di tensione. Osservando la Figura 2.36 e ricordando le definizionidelle funzioni trigonometriche seno e coseno, non è difficile scrivere che

AC = RT I2 cos ϕ + XT I2 cos π2

- ϕ = RT I2 cos ϕ + XT I2 sen ϕ ,

essendo ϕ l’angolo di fase tra il fasore della tensione V2 e quello della corrente.

RT

XT

RT2 + XT

2

ϕ2CC

Figura 2.37: impedenza ed angolo di fase.

Se immaginate di eliminare l’impedenza di carico e di sostituirla con uncortocircuito, indicando con ϕ2CC la fase dell’impedenza RT + j XT, detto angolodi cortocircuito, aiutandovi con la Figura 2.37, potete scrivere che

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96 Macchine elettriche statiche

sen ϕ2CC = RT

RT2 + XT

2 , cos ϕ2CC = XT

RT2 + XT

2 ,

e la relazione precedente diventa

AC = RT I2 cos ϕ + XT I2 sen ϕ =

= I2 RT2 + XT

2 cos ϕ sen ϕ2CC + sen ϕ cos ϕ2CC =

= I2 RT2 + XT

2 sen(ϕ + ϕ2CC) .

Sostituendo questa ultima relazione nella definizione della caduta di tensione,possiamo, finalmente, scrivere

∆V ≅ AC = = I2 RT2 + XT

2 sen(ϕ + ϕ2CC) .

Questa formula è utile per valutare la caduta di tensione e, quindi, per studiarequando la ∆V è nulla. Si verifica, facilmente, che la ∆V è nulla nel caso di circuitoaperto alla porta secondaria, quando la corrente I2 è nulla, oppure

∆V = 0 → sen(ϕ + ϕ2CC) = 0 → ϕ = - ϕ2CC .

Ora, dato che, come suggerisce la Figura 2.37, l’angolo di cortocircuito alsecondario vale

ϕ2CC = arctan RT

XT ,

concludiamo pure che la caduta di tensione è nulla in corrispondenza dell’angolodi fase

ϕ = - arctan RT

XT .

Riassumendo, dato un carico Z, supposto, per esempio, di tipo ohmico - induttivo,abbiamo tracciato il grafico della caduta di tensione, abbiamo calcolato una suabuona approssimazione, dalla quale abbiamo dedotto quando essa si annulla: siannulla, ovviamente, quando il carico alla porta secondaria è un circuito aperto,ma si annulla anche quando la porta secondaria è chiusa su un carico particolare,

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97 Macchine elettriche statiche

in grado di sostenere un ritardo della corrente rispetto alla tensione proprio pariall’angolo - ϕ2CC, l’opposto dell’angolo di cortocircuito al secondario.

Questo era un risultato davvero imprevedibile? Non era del tutto imprevedibile sericordate la condizione di adattamento di un carico ad un generatore reale inregime sinusoidale.Come vedremo nel volume dedicato agli impianti elettrici, il problema del calcolodella caduta di tensione è un problema generale che viene risolto secondo le stessemodalità descritte in questo paragrafo.

2.11 Trasformatori in parallelo

Per capire perché è conveniente disporre due trasformatori in parallelo,consideriamo una linea di distribuzione dell’energia elettrica, che per semplicitàimmagineremo monofase, per mezzo della quale si debba alimentare un genericocarico, come illustrato in Figura 2.38.

a' a"

linea primaria

linea secondaria

+

+

−V2

V1

Z

Figura 2.38: parallelo di due trasformatori.

È opportuno non affidare il servizio di utenza ad un unico trasformatore per duemotivi: in primo luogo perché in caso di guasto o manutenzione di uno dei duetrasformatori interviene il secondo a garantire la continuità del servizio; insecondo luogo, richiamando alla memoria quanto detto a proposito del rendimentodei trasformatori, per cui è opportuno fare lavorare il trasformatore con unacorrente prossima a quella nominale, si conclude immediatamente che, nelle ore diminor richiesta, la notte ad esempio, è utile far lavorare il solo trasformatore piùpiccolo, posto in parallelo al trasformatore più grande, che opera nelle ore dimassimo carico.

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98 Macchine elettriche statiche

Per i motivi appena esposti, bisogna studiare questo tipo di collegamento conl’intento di comprendere quali siano le migliori condizioni di esercizio e qualicaratteristiche debbano possedere i due trasformatori per essere postiefficientemente in parallelo.

a:1+

+

+

RT

XT

+

+

V1 V2E2

V2E2 = V1a

ZT

Figura 2.39: circuito equivalente visto dal secondario.

Cominciamo col dire che ognuno dei due trasformatori può essere schematizzatocome mostrato in Figura 2.39. Ciò discende dal solito modello semplificato diKapp in cui si è considerato la sola maglia di uscita, riportando però al secondariola tensione di ingresso che vale, appunto

E2 = V1a

.

Interessiamoci solo dei secondari dei nostri trasformatori e della ‘linea secondaria’a cui sono collegati. Il nostro parallelo può, dunque, essere rappresentato comeindicato in Figura 2.40.Quando l’interruttore è chiuso i due trasformatori sono collegati al carico; nelcaso contrario, funzionano a vuoto. Allora, onde evitare sprechi inutili, la primacosa da imporre è che non vi sia circolazione di corrente quando la lineasecondaria è aperta. Quindi la corrente a vuoto, che circola quando l’interruttore èaperto, deve essere nulla. In questa situazione le correnti varranno:

IZ = 0 , IA = - IB = EA - EB

ZA + ZB

.

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99 Macchine elettriche statiche

+

+

EA = V1

a'EB = V1

a"

ZA ZB

Z

IA IBIZ

Figura 2.40: circuito equivalente del parallelo di due trasformatori.

Affinché la corrente IA sia nulla, occorre che

EA = EB → V1

a' = V1

a" → a' = a" = a .

In altri termini, se vogliamo porre due trasformatori in parallelo, la prima cosa dicui dobbiamo preoccuparci è che i rispettivi rapporti di trasformazione sianouguali; qualora non lo fossero, pagheremmo il prezzo di una corrente non nulla acarico non collegato. Ora, ammesso pure che i due trasformatori rispettino questacondizione, una volta che l’interruttore colleghi il carico generico alla rete,dobbiamo richiedere che entrambi i trasformatori funzionino a pieno carico,cioè nessuno dei due lavori in condizioni di basso rendimento.Visto che EA = EB, il circuito equivalente di Figura 2.40 può essere ulteriormentesemplificato, in accordo con il teorema di Thévenin, secondo quanto mostrato inFigura 2.41.

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100 Macchine elettriche statiche

+

A C

V1a

ZA

ZB

IA

IB Z

IZ

Figura 2.41: rete semplificata per lo studio del parallelo di due trasformatori.

Funzionare a pieno carico significa che nei trasformatori deve circolare unacorrente prossima a quella nominale, che è proprio la corrente per la quale iltrasformatore è dimensionato e per la quale si ha un rendimento vicino a quellomassimo. Ora, tra le impedenze ZA e ZB, che sono coincidenti con le impedenze dicortocircuito (se consideriamo, come già abbiamo fatto, i parametri trasversalicoincidenti con un circuito aperto), dobbiamo richiedere che sussista la relazione

VAC = ZA IAN = ZB IBN → ZA

ZB

= IBN

IAN

.

In altri termini, le impedenze di corto circuito devono risultare inversamenteproporzionali alle correnti nominali. Questa condizione può anche essere,ovviamente, interpretata dicendo che i due trasformatori devono avere la stessatensione di cortocircuito. Inoltre, dato che il rapporto tra le potenze apparentiassorbite dai due trasformatori vale

VAC IAN

VAC IBN = IAN

IBN = ZB

ZA ,

dobbiamo fare in modo che la corrente del carico IZ si ripartisca tra i duetrasformatori nello stesso rapporto che sussiste fra le rispettive potenze apparentinominali.In conclusione, ad un trasformatore più grande si collega in parallelo untrasformatore più piccolo, che può intervenire in caso di guasto del più grande, eviceversa, e, nelle ore di minore richiesta, si può staccare il più grande e farelavorare soltanto il più piccolo. In tal modo, riusciamo a non far usurare il piùgrande e far lavorare con maggiore rendimento il più piccolo. Risulta chiaro,

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101 Macchine elettriche statiche

infine, che si possono collegare in parallelo anche due trasformatori di ugualpotenza.

2.12 Autotrasformatore

Quando non esiste svantaggio nel fatto che il primario e il secondario di untrasformatore siano isolati e contemporaneamente il rapporto di trasformazione èapprossimativamente contenuto tra 1 e 3, allora è vantaggioso economicamentefare una sostanziale modifica nella struttura degli avvolgimenti, come indica laFigura 2.42. La figura indica che in questo caso vi è un solo avvolgimentoconcatenato con il nucleo magnetico N, costituito ad esempio da un pacco dilamierini, e questo avvolgimento costituisce il primario. Il secondario è quicostituito semplicemente da una parte dell’avvolgimento primario medesimo,quello che fa capo ai morsetti 2 e 2'. Il rapporto di trasformazione è anche inquesto caso vicino al rapporto spire, ovvero al rapporto fra il numero delle spiredell’intero avvolgimento e quello interessato dalle derivazioni secondarie chefanno capo ai morsetti 2 e 2'. Le più usuali applicazioni di questiautotrasformatori si possono trovare negli impieghi domestici, nei laboratori, maanche nelle reti in alta oppure altissima tensione come regolatori della tensione.

+

− −

+

N1

1

1'

2

2'

V1

V2

Figura 2.42: schema di principio di un autotrasformatore.

Con il termine autotrasformatore si intende indicare un trasformatore costituitoda un unico avvolgimento, una parte del quale è comune al primario ed alsecondario. Alla stregua dei trasformatori ordinari, possono essere sia abbassatoriche elevatori e lo schema di funzionamento è quello di Figura 2.43.

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102 Macchine elettriche statiche

+

−−

+

N1

N2 V2Z

I2

I1

IC

V1

Figura 2.43: autotrasformatore collegato a un carico generico.

Il numero totale di spire è pari a N1, le spire al secondario sono N2, mentre lespire attraversate in esclusiva dalla corrente primaria sono N1 - N2. La corrente IC

è la corrente che interessa il tratto comune di spire.Nella Figura 2.43 si sono trascurati, per semplicità, i parametri longitudinali etrasversali ed è stata assunta la convenzione dell’utilizzatore sul carico. Leequazioni che descrivono il funzionamento dell’autotrasformatore, posto

a = N1

N2 ≥ 1

e facendo la convenzione del generatore alla porta secondaria, sono

V1 = a V2 , I2 = a I1 .

La prima uguaglianza definisce l’accoppiamento; la seconda si ricava considerandoil circuito magnetico equivalente (Figura 2.44).

+

−+

N1 - N2 I1

N2 IC

Φ

ℜ = Lµ S

Figura 2.44: circuito magnetico equivalente di un autotrasformatore.

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103 Macchine elettriche statiche

Applichiamo la seconda legge di Hopkinson:

N1 - N2 I1 + N2 IC = ℜ Φ .

Dato che

IC = I1 - I2 ,

l’ultima relazione diventa:

N1 - N2 I1 + N2 I1 - I2 = ℜ Φ → N1 I1 = N2 I2 + ℜ Φ ,

che, nell’ipotesi di riluttanza del ferro trascurabile, fornisce la relazione richiesta.

• Risparmio in potenzaLa differenza fondamentale fra un trasformatore ed un autotrasformatore consistenelle perdite per effetto Joule, che per l’autotrasformatore sono inferiori rispettoa quelle di un normale trasformatore; ciò giustifica la convenienza del suoimpiego quando sussistano le condizioni accennate in precedenza. Infatti, seconsideriamo un trasformatore con N1 spire di resistenza R1 alla porta primaria eN2 spire di resistenza R2 alla porta secondaria, le perdite resistive, quelle cheabbiamo chiamato perdite ohmiche nel rame, valgono

PTR = P1 + P2 = R1 I12 + R2 I2

2 .

Nel caso di un autotrasformatore, alla porta primaria vi sono N1 - N2 spire cherappresentano una resistenza di valore

R1A = N1 - N2

N1 R1 ,

che assorbe una potenza pari a

P1A = R1A I12 = N1 - N2

N1 R1 I1

2 = 1 - N2

N1 P1 = 1 - 1

a P1 .

Già da questa relazione si vede con chiarezza che la potenza dissipata da unautotrasformatore alla prima porta è solo un’aliquota della corrispondente potenza

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104 Macchine elettriche statiche

assorbita da un trasformatore. Per renderci conto sino in fondo, se consideriamoun rapporto di trasformazione a = 1.25, la potenza dissipata al primario sarà:

P1A = 0.2 P1 ,

un quinto di quella che dissiperebbe un normale trasformatore.Lo stesso discorso si può ripetere per la porta secondaria, in cui abbiamo N2 spirepercorse dalla corrente IC:

R2A = V2

IC

= V2

I1 - I2

= V2

1a I2 - I2

= a1 - a

V2

I2

= a1 - a

R2 .

Allora, la potenza assorbita alla porta secondaria vale

P2A = R2A IC2 = a

1 - a R2 I2

2 1 - 1a

2 = P2 1 - 1

a .

Come si deduce con chiarezza dalle due potenze calcolate

PAT = PCu(autotrasformatore) = 1 - 1a

PCu(trasformatore) = 1 - 1a

PTR .

Quest’ultima relazione dimostra che si può avere una diversa potenza assorbita, atutto vantaggio dell’autotrasformatore se il rapporto di trasformazione è prossimoall’unità. Se il rapporto di trasformazione inizia ad aumentare, diventando adesempio a = 3, si ha PAT = 0.6 PTR, il guadagno diminuisce rapidamente.In quel che precede abbiamo, per semplicità, trascurato gli effetti induttivi dei dueavvolgimenti. Il discorso, ovviamente, si può ripetere per la reattanza, ottenendolo stesso risultato.

• Risparmio in volume di conduttoreSe indichiamo con L1 la lunghezza di un solenoide di N1 spire, è chiaro che lalunghezza del solenoide della porta primaria di una autotrasformatore vale (lasezione dei fili è ‘S’ in entrambe le situazioni):

L1A = L1 N1 - N2

N1 = 1 - 1

a L1 .

Di conseguenza, il volume di rame necessario per realizzare queste N1 - N2 spire è

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105 Macchine elettriche statiche

Volume1A = L1A S = 1 - 1a

L1 S = 1 - 1a

Volume1T ,

ed il risparmio di rame è evidente.Per la seconda parte del solenoide, il discorso è un po’ diverso. Infatti, poichéragioniamo a parità di lunghezza L dei solenoidi, dalla relazione prima dimostratatra le resistenze

R2A = a1 - a

R2 ,

discende immediatamente che

ρ LS2A

= a1 - a

ρ LS2T

→ S2A = 1 - 1a

S2T .

Anche in questo secondo caso, dunque, a parità di lunghezza, possiamo usare, nelcaso dell’autotrasformatore, una sezione più piccola, cioè abbiamo un risparmio involume di rame usato.In definitiva, vale, come in precedenza, la relazione

VolumeCu (autotrasformatore) = 1 - 1a

VolumeCu (trasformatore) .

• Trasparenza per la potenza complessaAnche l’autotrasformatore è un doppio bipolo trasparente alla potenza complessa.Questa proprietà, che è tipica del trasformatore, è presto verificata. Dalla suadefinizione discende, infatti, che

P1 = V1 I1 *

= a V2 1a I2

* = P2 = PP (potenza passante) .

Questa potenza passante è la potenza rispetto a cui viene, in genere, dimensionatoun trasformatore normale. Ma per l’autotrasformatore vanno fatte considerazioniulteriori. Infatti, è rispetto alle potenza impegnate

P1-2 = V1 - V2 I1 *

= V1 I1 *

1 - 1a

= Pp 1 - 1a

dalle N1 - N2 spire ,

PC = V2 IC *

= V2 I2 *

1 - 1a

= Pp 1 - 1a

dalle N2 spire in comune ,

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106 Macchine elettriche statiche

che vanno dimensionate la parte superiore e inferiore di un autotrasformatore.Queste potenze, essendo piccole se ‘a’ è prossimo a uno, consentono dimensionipiù piccole dell’autotrasformatore. Diventando sempre minore la richiesta dipotenza nei due tratti, per svolgere il suo compito, un autotrasformatore avràbisogno di immagazzinare sempre meno energia nei campi magnetici generati dasolenoidi, cosa che comporta un uso più contenuto sia del rame che del ferro.Dalle precedenti considerazioni sorge spontanea la domanda: ma, se si risparmiarispetto alle perdite resistive, se si risparmia in rame e in ferro, allora perché nonusare sempre l’autotrasformatore?In primo luogo, tutti i vantaggi esaminati risultano sempre più piccoli al cresceredel rapporto di trasformazione ‘a’. Ma, cosa più importante, la mancanza diisolamento tra primario e secondario mette un contatto ‘fisico’ la prima linea dialimentazione (rivedete quanto detto a proposito del parallelo dei trasformatori)con la seconda linea di utilizzazione, collegamento non sempre accettabile perchécausa di danni alle persone e di guasti di impianto.

Gli autotrasformatori non devono essere usati per l’alimentazione di elettroutensiliportatili, come trapani, mole, saldatrici, o di lampade da usarsi in luoghi umidi,per i quali le norme antinfortunistiche prescrivono una tensione di funzionamentonon maggiore di 50 V, fornita dal secondario di un trasformatore avente il centrocollegato ad una buona terra, in modo da limitare a 25 V la tensione cui puòessere sottoposto l’operatore a seguito di un contatto accidentale tra involucroesterno dell’apparecchio e parti in tensione. Le norme antinfortunistiche emanatedal CEI prevedono, inoltre, il collegamento a terra dell’involucro esternodell’apparecchio, così come il collegamento a terra di qualsiasi custodia o carcassadi macchine o di impianti elettrici, mediante un conduttore di terra in rame, disezione non inferiore alla sezione di alimentazione. Si raccomanda vivamentel’applicazione rigorosa e costante di queste norma la cui trasgressione comporta,purtroppo, quotidianamente elettrocuzioni spesso mortali.Prima di concludere questo paragrafo dobbiamo fare un cenno ad uno strumentoampiamente usato nella pratica professionale e di laboratorio. Si tratta di unparticolare autotrasformatore, detto Variac, che ha una rapporto ditrasformazione ‘a’ nell’intervallo 1 ÷ 3, che è costituito da un avvolgimentodisposto su un nucleo ferromagnetico toroidale. La tensione primaria vieneapplicata, nel caso di un trasformatore abbassatore ad esempio, ai morsetti dellaestremità dell’avvolgimento complessivo; la tensione secondaria viene prelevatatra uno dei due morsetti precedenti e in contatto strisciante la cui posizionedetermina il rapporto di spire e, dunque, il rapporto di trasformazione.

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107 Macchine elettriche statiche

2.13 Notizie sulla costruzione

Per ragioni tecnologiche e per motivi connessi al rendimento ed alle tensioni dicortocircuito, un trasformatore non è quasi mai realizzato come rappresentato inFigura 2.6. In primo luogo, il nucleo non è realizzato in ferro massiccio, ma ècostituito da pacchi di lamierini in lega di ferro e silicio, con una percentuale disilicio nella misura dal 3% al 5%, ad alta permeabilità magnetica e bassa cifra diperdita (0.5 - 1.5) W/kg, dello spessore che va da qualche decimo fino ad unmillimetro. Sappiamo che le perdite nel ferro per correnti parassite dipendonodelle dimensioni della sezione normale alle linee di flusso, ed in questo caso dalquadrato dello spessore dei lamierini; la misura di 0.35 mm, che è stata assunta,rappresenta un compromesso tra la necessità di avere, da un lato, un costo diproduzione non troppo alto, come pure una discreta resistenza meccanica, edall’altro perdite nel ferro relativamente basse. Generalmente le perdite peristeresi e le perdite per correnti parassite stanno fra loro rispettivamente nelrapporto da 3:1 a 4:1. Le forme di nucleo più diffuse sono a colonna (Figura2.45), o corazzato (Figura 2.46).

1

1'

2

2'

Figura 2.45: nucleo a colonna.

Per ottenerle, i lamierini sono tranciati opportunamente in più pezzi, verniciaticon una sostanza isolante e successivamente accostati in modo che il piano dilaminazione sia parallelo alle linee di flusso.

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108 Macchine elettriche statiche

12

1'2'

Figura 2.46: nucleo corazzato.

La sezione trasversale delle porzioni verticali dei nuclei, dette colonne, è di formaquadrata, rettangolare oppure a gradini, inscritta in un cerchio con il massimo diarea utile: come esempio di sezione a gradini osservate la Figura 2.47.La sezione trasversale delle porzioni orizzontali, dette gioghi, è generalmenterettangolare. I lamierini sono pressati con forza per mezzo di legature, morsepressa - pacchi o bulloni passanti, opportunamente isolati.

Figura 2.47: sezione di una colonna di trasformatore.

Gli avvolgimenti sono generalmente disposti intorno alle colonne in modo darendere il valore assoluto del coefficiente di accoppiamento quanto più possibilevicino al valore limite 1. Il coefficiente di accoppiamento, definito come ilrapporto

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109 Macchine elettriche statiche

- 1 ≤ k = ML1 L2

≤ 1 ,

è un numero reale, in valore assoluto minore dell’unità, che rappresenta unamisura del grado di accoppiamento di due circuiti. Quando |k| = 1, si è incondizioni di accoppiamento perfetto.In ogni caso, le disposizioni tipiche sono le due seguenti:

a) disposizione concentrica, nella quale gli avvolgimenti sono montati con lostesso asse ma con diametro diverso, come in Figura 2.48;

1

1'

22'

Figura 2.48: disposizione concentrica.

b) disposizione alternata, nella quale gli avvolgimenti, suddivisi in bobineparziali di forme discoidale, hanno diametri uguali e sono montati sullo stessoasse, con bobine appartenenti al primario ed al secondario alternativamentedisposte lungo le colonne, come mostrato in Figura 2.49.

1

1'

2

2'

Figura 2.49: disposizione alternata.

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110 Macchine elettriche statiche

Ovviamente, nell’uno e nell’altro caso, gli avvolgimenti sono opportunamentedistanziati sia per questioni di isolamento, sia per lasciare il posto al passaggio difluidi refrigeranti: si ricorda, infatti, che sia gli avvolgimenti, sia il circuitomagnetico sono sede di perdite, con conseguente generazione di quantità di caloreche devono essere smaltite per evitare che la temperatura raggiunga valori tali dadanneggiare l’isolamento. Nel caso di piccoli trasformatori (potenze fino a qualchedecina di chilovoltampere) e per basse tensioni, il fluido refrigerante èsemplicemente l’aria. Viceversa, per potenze maggiori e per tensioni elevate siricorre all’olio minerale per trasformatori, il quale unisce alle proprietà termichenotevoli ed efficaci proprietà elettriche (elevata rigidità). In quest’ultimo caso iltrasformatore è posto in un cassone per il contenimento dell’olio, il quale potràavere superfici esterne lisce, nel caso di minori potenze, superfici alettate oppure atubi, nel caso di potenze maggiori, ed addirittura potrà avere scambiatori di caloread aria oppure ad acqua, per potenze superiori a qualche megavoltampere.

2.14 Trasformatori per usi speciali

In questo paragrafo passeremo in rapida rassegna alcuni tipi molto usati ditrasformatori che, per l’uso che se ne fa, hanno assunto caratteristiche costruttiveparticolari.

• Trasformatori di misuraSulle grandi linee di trasmissione dell’energia elettrica vi è spesso la necessità dieffettuare la misura di tensioni e correnti il cui valore efficace è ampiamentesuperiore al limite offerto dal fondo scala degli strumenti comunementedisponibili. Nel caso delle medie e delle alte tensioni, poi, si aggiungono ancheproblemi di sicurezza. È opportuno, quindi, ricorrere all’ausilio di trasformatoridal rapporto di trasformazione particolare per riportare entro limiti ‘ragionevoli’tensioni e correnti troppo elevate per effettuare direttamente le misure.In generale i trasformatori di misura hanno caratteristiche particolari necessarieper rendere la misura quanto più fedele possibile al dato ‘vero’. I carichi alsecondario sono in genere rappresentati da strumenti di misura, amperometri confondo scala massimo 5 A e voltmetri con fondo scala massimo di 0.5 kV. Talitrasformatori in genere possono essere di corrente TA e di tensione TV.

Trasformatori di corrente TASi tratta di un trasformatore monofase, illustrato in Figura 2.50, con il primariocollegato in serie con la linea sulla quale circola la corrente da misurare, mentre il

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111 Macchine elettriche statiche

secondario è chiuso su un amperometro. Il rapporto di trasformazione risulta ‘indiscesa’ per la corrente ed ‘in salita’ per la tensione.

A

Linea primaria

Figura 2.50: inserzione di un TA.

In realtà la misura non è così semplice poiché, se ci riferiamo ad un trasformatorereale

I1 = - 1a I2 + I0 ,

la presenza della corrente a vuoto I0 può falsare la proporzionalità tra correnteprimaria e secondaria e può introdurre un errore nella misura del valore efficacedella corrente. Sempre a causa della corrente a vuoto, le due correnti, primarie esecondarie, non sono in fase e ciò causa anche un errore di angolo che può esserefonte di non poche incertezze nel calcolo della potenza sulla rete, per laconoscenza della quale bisogna conoscere lo sfasamento tra corrente e tensione.Quindi per rendere trascurabili tali errori occorre rendere trascurabile lacorrente a vuoto, ad esempio usando al secondario sempre lo stesso amperometrosi può tarare la scala dello strumento in modo da tenere, in qualche misura, inconto l’errore. Esistono anche TA trifasi.

Trasformatori di tensione TVOsservate con attenzione la Figura 2.51.

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112 Macchine elettriche statiche

Linea primaria

V

Figura 2.51: inserzione di un TV.

I trasformatori di tensione vengono inseriti in parallelo sulla linea della quale sivuole conoscere la tensione. Anche i trasformatori di tensione indipendentementedal rapporto teorico di trasformazione, sono caratterizzati da un rapportoeffettivo fra la tensione di ingresso e quella di uscita dipendente dalle specifichecondizioni di impiego. Il rapporto nominale è anche in questo caso quello fornitodal costruttore. A causa della non idealità del trasformatore, così come per il TA,anche la misura con il TV è affetta da un errore di rapporto e di angolo chedipendono dalla caduta di tensione nella resistenza e sulla reattanza equivalenti deltrasformatore; le tensioni primarie e secondarie non sono né perfettamente in fase,né in opposizione di fase ed il loro rapporto non coincide con il rapporto di spire.Per ridurre gli errori occorre ridurre le resistenze interne, aumentando la sezionedei conduttori e ridurre le reattanze di dispersione.Esistono anche TV trifasi.

Un uso simultaneo di un TA e di un TV consente il collegamento ad un wattmetroper la misura della potenza.La Tabella che segue indica i modi di inserzione, funzionamento e protezioni deitrasformatori di misura.

TA TVInserzione sulla linea Primario in serie Primario in derivazione

Funzionamento Quasi in corto circuito: alimenta

un’impedenza molto bassa.

Quasi a vuoto: alimenta

un’impedenza molto elevata.

Protezioni Valvole di tensione, mai

fusibili

Fusibili sul primario e sul

secondario

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113 Macchine elettriche statiche

Le protezioni sono dispositivi speciali, il cui approfondimento avverrà quandostudierete gli Impianti Elettrici, capaci di proteggere il circuito qualora le tensionio le correnti assumessero valori tali da danneggiare i suoi diversi componenti.

• Trasformatori di potenzaHanno il compito di innalzare la tensione all’uscita delle centrali elettriche daivalori tipici di produzione dell’ordine di decine di chilovolt a centinaia dichilovolt, allo scopo di ridurre la corrente sulle linee e, quindi, la dissipazioneenergetica.

• Trasformatori di isolamento o separatoriSi tratta di trasformatori a rapporto unitario che hanno l’unica funzione di evitareche un carico sia metallicamente collegato alla rete di alimentazione.

• Trasformatori a flusso dispersoSono particolari trasformatori usati per saldatura, per giocattoli e per impianti alneon. Sono dotati di un’elevata impedenza interna che li protegge in caso dicortocircuito. La dispersione del flusso con cui si ottiene l’alta impedenza internaè realizzata per mezzo di un giogo di dispersione che consiste in una colonna dimateriale ferromagnetico, dotata di due traferri, in grado di ruotare.

• Trasformatori a corrente costanteNell’illuminazione stradale è importante mantenere costante la corrente al variaredel carico, consistente in uno o più corpi illuminanti posti in serie: per questoscopo vengono adoperati i trasformatori a corrente costante. Alla rottura di unalampada, il circuito non si interrompe, ma il trasformatore deve adeguare lapropria tensione di uscita per mantenere costante la corrente. L’aumento perqualche istante della corrente di carico, causato dalla diminuzione delle lampade,comporta un aumento della forza di repulsione tra gli avvolgimenti e ciò produceuna variazione della reattanza di dispersione. La f.e.m. e la corrente, a causa dellavariazione di questa reattanza, si riportano ai valori stabiliti.

• Trasformatori a più avvolgimentiPresentano un primario e più secondari a diversi valori di tensione.

• Trasformatori a preseHanno la possibilità di variare la tensione di uscita, oppure di ingresso, spostandola connessione dei conduttori.

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114 Macchine elettriche statiche

• Adattatori o traslatori di impedenzaTale trasformatore ha lo scopo di permettere a generatori di piccola potenza difunzionare in condizioni di adattamento, o quasi. Ciò vuol dire trasferire lamassima potenza attiva del carico, e una potenza reattiva più piccola possibile, allimite nulla. Per fare ciò, si collega il generatore al primario di trasformatore conun rapporto di trasformazione tale da realizzare l’adattamento dell’impedenza delcarico.

2.15 Trasformatori trifasi

Tutto lo sviluppo di questo capitolo è incardinato sul trasformatore monofase; nondobbiamo dimenticare, tuttavia, che l’energia elettrica viene prodotta dageneratori trifasi per essere trasmessa e distribuita su linee elettriche trifasi.Quindi, una volta capito come funziona il trasformatore, è opportuno fare uncenno per capire come funziona un trasformatore trifase. Nella realtà, al fine dirisparmiare energia, la tensione di uscita dei generatori delle centrali diproduzione viene innalzata fino a diverse centinaia di chilovolt grazie atrasformatori trifasi allo scopo di ridurre in maniera proporzionale le correntisulla linea. Si ricordi infatti che le perdite resistive vanno con il quadrato delvalore efficace della corrente, per cui, abbassando le correnti sulle linee, siriducono tali perdite. Giunta poi in prossimità delle utenze, la tensione vienenuovamente abbassata ai livelli di utilizzazione. Tutto ciò si realizza per mezzo ditrasformatori trifasi.È ovvio che, per trasformare un sistema trifase di tensioni e correnti, si puòricorrere a tre trasformatori monofasi indipendenti, uno per ogni fase, con gliavvolgimenti primari fra loro collegati a stella o a triangolo, e così pure isecondari, oppure si può ricorrere a un trasformatore trifase propriamente detto,avente un unico circuito magnetico con un opportuno numero di rami fra lorointerconnessi, e gli avvolgimenti sempre collegati come già detto.

• Circuiti magneticiSe un trasformatore trifase è connesso in un sistema equilibrato e simmetrico, tuttele terne di grandezze omogenee in esso presenti sono tali da avere, istante peristante, somma zero, ovvero sono rappresentabili in regime sinusoidale da ternesimmetriche di vettori. Ciò dunque accade per i tre flussi principali, cheindicheremo con Φ1, Φ2 e Φ3, per i quali vale la relazione

Φ1 + Φ2 + Φ3 = 0 .

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115 Macchine elettriche statiche

Nella Figura 2.52 e nelle successive, i rami del circuito magnetico sono statirappresentati con linea a tratto e punto, mentre gli avvolgimenti elettrici, allaporta primaria ed a quella secondari, ad essi concatenati vengono indicati con unasola spira: il tutto per ragioni di semplicità grafica.

1 2 3

3'2'1'

Φ1 Φ2 Φ3

Figura 2.52: trasformatore a tre colonne.

La Figura 2.52 rappresenta schematicamente un trasformatore trifase con nucleo(o circuito magnetico) cosiddetto a tre colonne. La Figura 2.53 rappresenta,invece, un analogo trasformatore con nucleo a cinque colonne, detto anchecorazzato. Sempre per semplicità, gli avvolgimenti sono ora indicati senzacollegamenti fra loro.Nel nucleo a tre colonne l’annullamento della somma dei tre flussi è imposto dallastruttura stessa del circuito magnetico, anche se il sistema non è equilibrato esimmetrico, qualora si trascuri l’eventuale piccolo flusso che si può chiudereattraverso l’aria fuori dalle colonne. Nel nucleo a cinque colonne, invece, questarelazione di annullamento non è generalmente verificata se il sistema trifase non èequilibrato e simmetrico, ed è proprio per questa circostanza che le particolariproprietà del nucleo a cinque colonne sono talvolta preferite.

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116 Macchine elettriche statiche

1 2 3

3'2'1'

Φ3Φ2Φ1

Figura 2.53: trasformatore corazzato.

Mediante l’analogia fra circuiti elettrici e circuiti magnetici, si può comprenderefacilmente che un nucleo a tre colonne è analogo ad un circuito elettrico concollegamento stella - stella senza neutro, mentre un nucleo a cinque colonne èpressoché analogo a un circuito elettrico con collegamento stella - stella conneutro; in quest’ultimo caso l’analogia è ovviamente approssimata, perché la retemagnetica di Figura 2.53 ha addirittura sei nodi anziché due, tuttavia si intuisceche le colonne laterali estreme svolgano la funzione del neutro.In verità, per la perfetta simmetria di tutte le grandezze presenti nei trasformatoritrifasi, anche le riluttanze equivalenti viste dai flussi Φ1, Φ2 e Φ3 dovrebberoessere uguali fra loro: ciò non accade nel nucleo a tre colonne, ove la colonnacentrale presenta riluttanza minore di quelle laterali che hanno in serie i gioghi;ciò non accade neppure nel nucleo a cinque colonne, ove esiste addirittura una retemagnetica più complessa, seppure non equilibrata; gli squilibri, dovuti allaineguaglianza delle riluttanze magnetiche, costituiscono un problema di secondaapprossimazione agli effetti elettrici, se si pensa che le riluttanze sono comunquepiccole. Volendo un nucleo perfettamente equilibrato nelle riluttanze, essodovrebbe assumere la forma di Figura 2.54 e la colonna centrale AB, che svolge lafunzione di neutro, potrebbe essere assente o presente.

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117 Macchine elettriche statiche

1

2

3

3'

2'

1'

A

B

Φ1

Φ2

Φ3

Figura 2.54: trasformatore a tre colonne con ‘neutro’.

• Collegamenti fra avvolgimentiGli avvolgimenti primari e quelli secondari possono essere collegati in variomodo. Schemi tipici di collegamento sono, ad esempio:

avvolgimenti primari collegati a stella e secondari collegati a stella;avvolgimenti primari collegati a triangolo e secondari collegati a triangolo;avvolgimenti primari collegati a triangolo e secondari collegati a stella;avvolgimenti primari collegati a stella e secondari collegati a triangolo.

I collegamenti degli avvolgimenti primari vengono indicati da una letteramaiuscola, ad esempio, D per il collegamento a triangolo e Y per il collegamento astella, mentre i collegamenti degli avvolgimenti secondari sono indicati da unalettera minuscola, ad esempio, d oppure y.Le terne delle tensioni concatenate, primarie e secondarie, possono essere, quindi,sfasate tra loro. Tale sfasamento viene assegnato in termini di gruppo, g, pari allosfasamento, ritardo espresso in gradi, delle tensioni concatenate secondarie rispettoalle tensioni concatenate primarie, diviso 30°. Gli schemi di collegamentoraccomandati dalle norme CEI sono i gruppi 0, mostrato in Figura 2.55, e 11,mostrato in Figura 2.56.

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118 Macchine elettriche statiche

Dd0

A

B

C a

b

c

A B C a b c

Yy0

A

B

C a

b

c

A B C a b c

Figura 2.55: gruppo 0 (spostamento angolare 0°).

Dy11

A

B

C a

b

c

A B C a b c

Yd11

a

b

c

A

B

C

A B C a b c

Figura 2.56: gruppo 11 (spostamento angolare 330°).

Tuttavia, le stesse norme CEI consigliano anche i gruppi 5, riportato in Figura2.57, e 6, schematizzato in Figura 2.58. Se il collegamento è a stella, può esistereo meno il conduttore neutro.

Spesso accade che il collegamento degli avvolgimenti primari o secondari di untrasformatore trifase possono essere eseguiti all’esterno dell’involucro deltrasformatore stesso, presso la cosiddetta morsettiera.

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119 Macchine elettriche statiche

Dy5

A

B

C

a

b

c

A B C

a b c

Yd5

a

b

c

A

B

C

A B C

a b c

Figura 2.57: gruppo 5 (spostamento angolare 150°).

Dd6

A

B

C

a

b

c

A B C

a b c

Yy6

A

B

C

a

b

c

A B C

a b c

Figura 2.58: gruppo 6 (spostamento angolare 180°).

In tal caso gli estremi di ciascun avvolgimento sono saldati ciascuno a un bullonecome indica la Figura 2.59. Il collegamento può essere eseguito inserendoopportunamente piastrine metalliche fra i bulloni e serrandole con dadi filettati;con simili dadi si collegano anche i conduttori di partenza o di arrivo della lineaelettrica. Le Figure 2.59b e 2.59c mostrano i collegamenti rispettivamente a stellaed a triangolo.

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120 Macchine elettriche statiche

Linea Linea

a)

b)c)

Figura 2.59: morsettiera.

Poiché in condizioni nominali è fissata la tensione ai capi di ogni avvolgimento,strettamente legata al flusso concatenato, cambiando il collegamento da triangolo astella e viceversa, si può variare la tensione concatenata in linea nel rapporto da 1a 3 o viceversa, e mantenere così il flusso al valore nominale previsto. Ciò valesia per il primario, sia per il secondario. Vale la pena accennare anche al fatto chetalvolta l’avvolgimento primario e/o secondario su una colona di un trasformatoretrifase è suddiviso in due sezioni che si possono collegare in serie o in parallelo.È opportuno segnalare che talvolta gli avvolgimenti primari e/o secondari possonoessere collegati secondo uno schema cosiddetto a zigzag (simbolo Z per ilprimario, z per il secondario). Tale collegamento è riportato in Figura 2.60.

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121 Macchine elettriche statiche

Figura 2.60: collegamento a zig - zag.

A titolo di esempio, si riporta lo schema Dz6.

a

b

c

A

B

C

A B C

a b c

Figura 2.61: lo schema Dz6.

• Circuiti equivalenti e loro interpretazioniPoiché nella maggioranza dei casi i trasformatori trifasi si usano in sistemisimmetrici ed equilibrati, si può fare riferimento al circuito equivalente relativo auna singola fase, ritenendo che per altre fasi il circuito equivalente sia identico, aparte l’angolo di fase di tutte le grandezze in esso rappresentate, che subisce unincremento di ± 2π/3. Come schemi completi o semplificati si usano così tuttiquelli che abbiamo indicato nei precedenti paragrafi.

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122 Macchine elettriche statiche

È bene precisare che il circuito equivalente di una fase si riferisce generalmenteper convenzione a un singolo avvolgimento (o serie, o parallelo di due sezioni diavvolgimento nel caso dello zigzag e simili); che poi il collegamento degliavvolgimenti sia a stella oppure a triangolo verrà precisato a parte. Pertanto, nelcircuito equivalente la coppia di grandezze V1 ed I1, o V2 ed I2, indicherannoancora, rispettivamente, quelle del primario o del secondario e saranno unatensione stellata ed una corrente di linea, a seconda che il collegamento sia atriangolo oppure a stella.Tutte le potenze che si leggono nel circuito equivalente, potenza entrante alprimario, perdite nel ferro, perdite nel rame, potenza uscente al secondario,devono essere moltiplicate per 3 al fine di ottenere le corrispondenti potenzecomplessive nel trasformatore trifase.

2.16 Dati di targa

Un trasformatore è definito da una serie di dati specifici, che vengono riportatisulla targhetta metallica ad esso collegata; ad esempio, sulla targa si può trovare ilcontrassegno CEI, il nome del costruttore ed il numero di identificazione.Generalmente i dati specifici sono i seguenti, anche se non sono sempre tuttiriportati sulla targa.

• Numero delle fasi e tipo di collegamentoSe monofase, basta questo aggettivo; se trifase, si deve dire come sono collegati gliavvolgimenti, cioè se essi sono a stella, a triangolo oppure a zigzag, indicati con lelettere maiuscole, Y, D e Z, per il primario, con le lettere minuscole, d, y, z, peril secondario. A queste due lettere segue un numero intero (gruppo) che indicaconvenzionalmente lo sfasamento (ritardo) in gradi e diviso per 30° della tensioneconcatenata secondaria rispetto alla corrispondente primaria, quale vienedeterminato dai collegamenti indicati prima.

• Tensione nominale primaria e secondariaPer i trasformatori monofase, le tensioni nominali V1N e V2N sono definite. Perquelli trifasi esse sono sempre intese come tensioni concatenate, qualunque siail collegamento effettuato fra gli avvolgimenti; se è prevista una commutazione dicollegamenti, si indicano i valori nominali relativi a ciascun collegamento, tenendopresente che la tensione nominale relativa ad un singolo avvolgimento ha un unicovalore fisso.

• Corrente nominale primaria e secondaria

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Per i trasformatori monofasi, le correnti nominali I1N e I2N sono definite. Perquelli trifasi esse sono sempre intese come correnti di linea, qualunque sia ilcollegamento effettuato fra gli avvolgimenti; se è prevista una commutazione dicollegamenti, si indicano i valori nominali relativi a ciascun collegamento, tenendopresente che la corrente nominale relativa a un singolo avvolgimento ha un unicovalore fisso.

• Potenza nominaleEssa è intesa come potenza apparente nominale resa, cioè uscente dalsecondario in condizioni nominali; per un trasformatore monofase essa è

A2N = V2N I2N ,

mentre per un trasformatore trifase è

A2N = 3 V2N I2N .

• Fattore di potenza nominaleEsso è da intendersi come cos ϕ2N; con questo dato e con i precedenti si deduce lapotenza attiva nominale resa. Dato il trasformatore con le sue resistenze ereattanze, conoscendo V2N I2N e cos ϕ2N, le grandezze nominali primarie V1N e I1N

(ed eventualmente il cos ϕ1N) risultano dipendenti dalle secondarie.

• Frequenza nominaleEssa è generalmente fN = 50 Hz per gli impianti di terra ferma in Europa. Perimpianti a bordo di aeromobili la frequenza nominale è sovente fN = 400 Hz. Per itrasformatori che alimentano gli altoparlanti si ha poi tutta una gamma difrequenze: quelle tipiche della voce umana o degli strumenti musicali.

• Rapporto spireEsso coincide con il rapporto fra le tensioni del primario e del secondario a vuoto,oppure con il rapporto fra le correnti secondaria e primaria in cortocircuito.

• Tensione di cortocircuitoEssa è stata definita in precedenza e la stessa definizione vale anche per itrasformatori trifasi.

• Rendimento in condizioni normali

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Il suo valore può variare da 0.90, nel caso di trasformatori di piccola potenza, a0.995, per quelli di grande potenza.

• Natura del servizioPuò accadere che un trasformatore debba funzionare con tensioni e correntinominali continuative, ovvero per tempo indefinito, arbitrariamente lungo; latarga indica allora ‘per servizio continuativo’. Può invece accadere, come quandosi alimentano saldatrici, puntatrici o cucitrici, che il trasformatore debbafunzionare in servizio con tensioni e correnti nominali per un periodo di tempo TS

relativamente breve, alcuni secondi o minuti, seguito da un altro periodo T0 difunzionamento a vuoto. In tal caso il trasformatore si dice adatto per serviziointermittente e si definisce rapporto di intermittenza la quantità

r = TS

TS + T0 .

La targa riporta il valore nominale rN di questo rapporto. Se, pur con tensioni ecorrenti nominali, un trasformatore per sevizio intermittente funziona con r > rN

o addirittura con r = 1, cioè in servizio continuativo, esso può raggiungeretemperature pericolose per la buona conservazione dei suoi materiali componenti.

Per concludere, si ricorda che non devono essere mai superati i valori nominalidella tensioni, delle correnti, ed eventualmente del rapporto di intermittenza, perfar in modo che le perdite nel ferro e nel rame, separatamente, non superino irispettivi valori limite. Il non superare semplicemente la potenza nominale noncostituisce ovviamente di per sé una sufficiente garanzia.

2.17 La diagnostica

Anche se il trasformatore è una macchina caratterizzata da malfunzionamenti nonmolto frequenti, è possibile rilevare un aumento della temperatura dell’olio: ciòpuò dipendere da sovraccarico oppure da una cattiva ventilazione.Se la macchina risultasse rumorosa, bisogna controllare il serraggio dei dadi sulnucleo oppure il valore dell’induzione alla quale il trasformatore sta operando,induzione che potrebbe risultare eccessiva.Il cortocircuito tra spire o tra avvolgimenti fa intervenire il relè Buchholz cheviene usato proprio per questo scopo e che è posto sopra il trasformatore,intervenendo quando la macchina, a causa di cortocircuiti interni, sviluppa gas.L’intervento del relè avviene in due fasi: con la prima si avvisa acusticamente

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l’operatore della presenza del guasto; con la seconda, se il guasto continua, iltrasformatore viene scollegato.

2.18 Simboli grafici

Negli schemi dei circuiti elettrici è consueto usare segni grafici particolari perindicare i trasformatori monofasi e trifasi. La Figura 2.62a indica untrasformatore monofase, mentre in 2.62b viene indicato uno trifase con unparticolare tipo di collegamento (triangolo - stella con neutro).

a) b)

Figura 2.62: simboli grafici per trasformatori.

La Figura 2.63a indica un autotrasformatore monofase, mentre la Figura 2.63brappresenta un autotrasformatore trifase: si osservi che negli autotrasformatoritrifasi non esistono varietà di collegamenti.

a) b)

Figura 2.63: simboli grafici per autotrasformatori.

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Appendice: sforzi elettrodinamici negli avvolgimenti

Quando gli avvolgimenti di un trasformatore sono percorsi da elevate correnti, trale varie spire possono manifestarsi delle azioni elettrodinamiche che, se non sonotenute sotto controllo, possono danneggiare, o comunque alterare, ilfunzionamento della macchina. In questa appendice vogliamo tracciare una lineache può aiutare chi volesse determinare questi sforzi.Consideriamo un conduttore rettilineo di lunghezza L, percorso dalla corrente i.Sappiamo che, se questo filo viene immerso in un campo esterno B, esso risente diuna forza, mostrata in Figura A.1, data dalla relazione

F = i L τ × B ,

dove τ è un vettore unitario (versore) diretto come il filo ed orientato secondo ladirezione della corrente.

B

F

Figura A.1: filo percorso da corrente in un campo magnetico.

Detto ciò, prendiamo in considerazione due fili rettilinei e paralleli, percorsi dallecorrenti i1 e i2, posti ad una certa distanza D. Il primo conduttore sostiene nellospazio circostante un campo magnetico ed il modulo del vettore induzionemagnetica, valutato in corrispondenza nei punti del secondo conduttore, si puòcalcolare per mezzo della formula

B1 = µ0 i1

2πD .

In questo campo si trova immerso il secondo conduttore che, per un tratto dilunghezza L, sarà sollecitato dalla forza

F2 = i2 B1 L = µ0 L2πD

i1 i2 .

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D

i1 i2

D

i1 i2

a) b)F2F1 F1 F2

Figura A.2: azioni elettrodinamiche tra due fili percorsi da corrente.

Questa espressione stabilisce che la forza elettrodinamica che agisce tra dueconduttori è proporzionale al prodotto delle correnti che li attraversano. Se i dueconduttori sono attraversati dalla stessa corrente, la precedente relazione stabilisceche la forza che agisce tra i conduttori è proporzionale al quadrato della corrente.Inoltre, quanto detto con riferimento al campo prodotto dal primo filo può essereripetuto in maniera duale per quello sostenuto dal secondo. Tuttavia, se le duecorrenti hanno lo stesso verso, come in Figura A.2a (dove con il punto abbiamoindicato due correnti che escono dal foglio del disegno), i due fili sirespingeranno; invece, se le due correnti, come in Figura A.2b (dove con la croceabbiamo indicato una corrente che entra dal foglio del disegno), hanno versocontrario, i due fili si attrarranno.Ricordiamo che 1 A equivale alla corrente che deve circolare nei due fili distantiun metro affinché si attraggano con una forza 2 ⋅ 10-7 N.Anche un avvolgimento, percorso da corrente, genera un campo magnetico e,quindi, le varie spire che costituiscono gli avvolgimenti di un trasformatore sonosoggette ad una azione elettrodinamica mutua. In particolare, consideriamo trespire contigue; quella centrale, la spira 2 di Figura A.3, verrà attratta sia da quellasuperiore, la spira 1, che da quella inferiore, la spira 3. Dunque, queste azionielettrodinamiche tra spire contigue tendono ad equilibrarsi.

1

2

3

F1

F3

Figura A.3: forze esercitate sulla spira centrale.

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Tuttavia gli avvolgimenti dei trasformatori sono fatti in maniera concentrica(riguardate la Figura 2.48): attorno ad una colonna sono avvolti sia gliavvolgimenti del primario che del secondario, e le correnti in esso circolano inversi opposti. Si intuisce, allora, che il pacco di spire più esterno tende adallargarsi, mentre quello più interno a contrarsi sulla colonna. In realtà, i duepacchi di spire, lavorando in regime sinusoidale, finiscono per sollecitarsivicendevolmente a sforzi di compressione e di trazione.Queste considerazioni fanno comprendere perché l’avvolgimento deve poterecontare su appoggi sufficientemente robusti, tali da poter sopportare queste azionielettrodinamiche che, ad esempio in caso di cortocircuito, possono causare anchela distruzione del trasformatore.