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Programma Nazionale di Educazione e Competenza Continua Malattia da Virus dEll’EPatitE B Corso di aggiornamento ABSTRACT BOOK Chianciano Terme (SI) 11 - 12 - 13 Febbraio 2010 Direttori del Corso Teresa Pollicino (A.I.S.F.) Ferruccio Bonino (S.I.G.E.)

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Programma Nazionale di Educazione e Competenza Continua

Malattia da Virus dEll’EPatitE B

Corso di aggiornamento

ABSTRACT BOOK

Chianciano Terme (SI)11 - 12 - 13 Febbraio 2010

Direttori del Corso

Teresa Pollicino (A.I.S.F.)Ferruccio Bonino (S.I.G.E.)

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iNdiCE

Virus dEll’EPatitE B 5Giovanni Raimondo

PrEVENZiONE PriMaria dEll’iNFEZiONE da HBV 9Dr. Tommaso Stroffolini

tHE iMMuNE rEsPONsE tO HBV 21Carlo Ferrari

l’EPatitE aCuta da HBV 33Gabriele Missale

la Malattia da Virus dEll’EPatitE B: iNFEZiONE CrONiCa 37Giovanna Fattovich

HEPatitis B Virus aNd HCC 43Massimo Levrero, Laura Belloni, Francesca Guerrieri, Natalia Pediconi, Valeria Schinzari,

PatHOlOGY OF HEPatitis B Virus iNFECtiON 47Maria Guido

iNFEZiONE iN Eta’ PEdiatriCa 55Dr Flavia Bortolotti

iNFEZiONE OCCulta da HBV 63Teresa Pollicino

EPatitE B: Malattia di GENErE? 67Erica Villa

COiNFEZiONE HdV 71Antonina Smedile

CO-iNFEZiONE da HiV 81Raffaele Bruno

suPPrEssiVE trEatMENt iN CHrONiC HEPatitis B 85Pietro Lampertico, Mauro Viganò, Massimo Colombo

rEsistENZa aNtiViralE E tOssiCità 95Claudio Puoti

riattiVaZiONE dEll’EPatitE B iN COrsO di tEraPia CON FarMaCi BiOlOGiCi iN aMBitO GastrOENtErOlOGiCO 137Filomena Morisco, Fabiana Castiglione, Antonio Rispo, Roberto Vitale, Stefano Sansone, Nicola Caporaso.

l’iNFEZiONE da Virus B NEl PaZiENtE iMMuNOCOMPrOMEssO 141Vito Di Marco

Malattia da Virus dEll’EPatitE B: la tEraPia NEl traPiaNtO di FEGatO 153Pietro Andreone, Roberto Di Donato

Malattia da Virus dell’epatite B

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Virus dEll’EPatitE BGiovanni Raimondo

Epatologia Clinica e Biomolecolare

Policlinico Universitario di Messina

Il virus dell’epatite B (HBV) appartiene alla famiglia degli Hepadnaviridae che comprendevirus che infettano mammiferi (primati e roditori) od uccelli e che condividono con l’HBVgran parte della struttura genetica e delle modalità replicative, come pure lo spiccato tropi-smo per il fegato e la capacità  di indurre danno epatico nell’animale ospite e di dar luogoad infezioni persistenti (1). L’HBV è tra i più piccoli virus esistenti in natura ed il suo genoma è da considerarsi uno stra-ordinario esempio di compattezza strutturale ed organizzativa. Quest’ultimo è infatti costi-tuito da un DNA circolare, a doppia elica  incompleta, di appena 3.2 Kb di  lunghezza ecomprendente 4 regioni geniche in parziale sovrapposizione tra di loro: i geni pre-S/S, pre-C-

C, P e X. La regione genomica del Pre-S/S codifica per le tre glico-proteine di superficie (en-

velope): la  proteina  preS1  o  Large,  la  proteina  preS2  o  Middle e  la  proteina  S  o  Small

corrispondente all’HBsAg. La regione genomica del preC/C codifica per le proteina del nu-cleocapside o core e per l’antigene solubile “e” (HBeAg). Le altre due regioni genomiche, ilgene P ed il gene X, codificano rispettivamente per la polimerasi virale (POL) che svolgeanche funzioni di reverse transcriptasi, e per la proteina funzionale X, capace di transattivarel’espressione di numerosi geni cellulari e virali. Il ciclo riproduttivo di questo virus presenta delle caratteristiche del tutto peculiari. L’HBV,infatti, pur essendo un virus a DNA, replica come se fosse un retrovirus e cioè attraverso latrascizione inversa di un RNA pregenomico (pgRNA). Proprio come i retrovirus il DNAdell’HBV può integrarsi nel genoma delle cellule epatiche ospiti, evento questo cui si ascriveun ruolo primario nell’attività pro-oncogena del virus. Detta integrazione virale si pensa av-venga a livello di punti danneggiati (“breakpoints”) del genoma ospite. Al contrario di quantoavviene nei retrovirus, tuttavia, l’integrazione non ha alcun ruolo nel ciclo replicativo del-l’HBV che non produce alcuna proteina con attività enzimatica da integrasi, anzi il processointegrativo è verosimilmente mediato dall’azione della topoisomerasi I cellulare. Molto sche-maticamente, il ciclo vitale dell’HBV può essere suddiviso nelle seguenti tappe: (A) intera-zione del virus con siti recettoriali, ancora non noti, della cellula ospite; (B) penetrazione delvirus all’interno della cellula, (C) rilascio del genoma virale e sua conversione, all’internodel nucleo cellulare, in un DNA circolare, a doppia elica completa e chiusa in maniera cova-lente (cccDNA) (D) trascrizione del cccDNA (che funge da stampo), ad opera di una poli-merasi cellulare, per la produzione di tutti gli RNA messaggeri (mRNA) virali, incluso ilpgRNA. (E) sintesi, all’interno del nucleocapside, del nuovo DNA virale a partire dal pgRNA,ad opera della reverse transcriptasi del virus e successiva degradazione dell’RNA ad operadella RNasiH virale, (F) sintesi della catena a polarità positiva del DNA virale ed assemblag-gio dei virioni, ed infine (G) rilascio in circolo delle particelle virali complete. Il complesso e peculiare ciclo vitale dell’HBV, la sua intensa attività replicativa (possono es-sere prodotti sino a 100 miliardi di virioni al giorno) e l’incapacità della sua polimerasi dicorreggere gli “errori genetici” che possono verificarsi nel corso di ciascun ciclo replicativo,

Malattia da Virus dell’epatite B

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rende ragione della maggiore variabilità genomica di questo virus rispetto ad altri virus aDNA.  Se si considera, inoltre, che l’HBV - ed in particolare il suo cccDNA (considerato la ri-serva replicativa del virus) - può persistere a lungo termine (e forse indefinitamente) nell’or-ganismo di un soggetto infettato, si comprende come un numero anche considerevole dimutazioni genetiche, sia spontanee – insorte durante la replicazione virale - sia indotte dallapressione immunologica dell’ospite o dalle terapie antivirali, possano accumularsi nel ge-noma dell’HBV e determinare l’emergere di ceppi virali con nuove caratteristiche biologiche,mutate capacità replicative e patogenetiche.

Variabilità genetica di HBV

A tutt’oggi sono stati individuati 8 diversi genotipi di HBV (denominati con le lettere maiu-scole da A ad H) che differiscono l’un l’altro per variazioni superiori all’8% nella sequenzanucleotidica dell’intero genoma. Detti genotipi presentano una ben precisa distribuzionegeografica. In particolare, il genotipo A si trova nell’Europa Nord-Occidentale, in Nord-Ame-rica ed in Sud Africa, il genotipo D è quello nettamente predominante nel bacino mediterra-neo e nell’Europa orientale mentre nelle aree asiatiche ad alta endemia virale sono presentipressoché  esclusivamente i genotipi B e C. I restanti genotipi (E-H) hanno una prevalenzaminore ed una diffusione in aree geografiche più ristrette. Il complesso e peculiare modo di replicare dell’HBV rende ragione della maggiore variabilitàgenomica di questo virus rispetto ad altri virus a DNA.  Se si considera, inoltre, che il viruspuò persistere per decenni nell’organismo di un soggetto con infezione cronica da HBV sicomprende come singole mutazioni, sia spontanee - insorte durante la replicazione virale -sia indotte dalla pressione immunologica dell’ospite, possono nel tempo sommarsi e con-sentire l’emergere di ceppi virali genotipicamente diversi dall’originario ceppo infettante edil cui peso nella storia naturale dell’infezione da HBV può essere significativo. L’identifica-zione di mutazioni nel genoma dell’HBV è stata resa possibile dall’avvento delle tecniche diamplificazione del DNA mediante polymerase chain reaction che hanno consentito di indivi-duare varianti virali che presentano particolare rilevanza clinica. Una di queste è quella ini-zialmente riscontrata in un bambino italiano che contrasse l’infezione dalla madre nonostanteavesse già sviluppato, a seguito della profilassi vaccinale, anticorpi anti-HBs ad alto titolo eche successivamente fu isolata sia da bambini di altre aree geografiche sottoposti a profilassipassiva ed attiva contro l’HBV (14,15), sia dai trapiantati d’organo dopo profilassi con im-munoglobuline. Tale variante presenta, a carico del dominio gruppo-specifico ”a” del geneS, la sostituzione dell’aminoacido glicina in posizione 145 con l’aminoacido arginina. Questasostituzione porta alla selezione di virus mutante capace di replicare e di eludere l’azioneneutralizzante degli anticorpi anti-HBs; infatti, la variazione aminoacidica (Gly > Arg) alterala struttura conformazionale dell’epitopo immunodominante “a”, riducendone od annul-landone la capacità di legame con gli anticorpi specifici. Di interesse clinico ed epidemiolo-gico  sono  anche  le  varianti  che  presentano  mutazioni  nell’ambito  del  gene  pre-C/C.Particolarmente frequenti nei pazienti con infezione cronica e cirrosi HBV-correlata di alcunearee geografiche ad endemia medio-alta per l’infezione da HBV (bacino del Mediterraneo equindi l’Italia, Africa ed Estremo Oriente), sono le varianti della regione pre-C caratterizzatedall’incapacità di esprimere l’HBeAg. La mutazione più frequentemente riscontrata nella re-gione pre-C è rappresentata dalla sostituzione, in corrispondenza del nucleotide 1896, di

Malattia da Virus dell’epatite B

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un’adenina al posto di una guanina (G > A) che comporta la sostituzione del codone 28(TGG), che nel virus wild type codifica per il triptofano, in uno stop codon traslazionale (TAG)che blocca la trascrizione e quindi la sintesi dell’HBeAg. Altre importanti varianti virali conseguenti a meccanismi di “selezione naturale” sono quelledovute a mutazioni nelle regioni genomiche del basal core promoter (BCP), X e preS. Le mutazioni del BCP di più frequente riscontro ed apparentemente con le maggiori impli-cazioni cliniche sono quelle che determinano la sostituzione di timidina con adenina nel nu-cleotide 1762 (T1762A) e di guanina con adenina nel nucleotide 1764 (G1764A). In condizionisperimentali queste forme mutanti di HBV mostrano una più accentuata efficienza replicativarispetto alla forma senza mutazioni (wild-type). In ambito clinico, tuttavia, non è stata dimo-strata alcuna differenza nei livelli di HBV DNA circolante fra i pazienti in cui dette variantivirali si vengono a selezionare rispetto ai soggetti con infezione da virus wild-type. L’unicoeffetto delle mutazioni del BCP che è stato confermato dagli studi clinici è la “sotto-regola-zione” della produzione di HBeAg, evento questo che solitamente precede la sieroconver-sione con comparsa dell’anticorpo corrispondente (anti-HBe). Esistono dati controversi circal’impatto clinico di queste  varianti virali, in particolare riguardo al loro ruolo pro-oncogeno.Vi è comunque da ricordare che, a causa della peculiare struttura genomica dell’HBV, il BCPsi sovrappone interamente al gene X e, di conseguenza, le mutazioni T1762A e G1764A sitraducono nelle sostituzioni aminoacidiche K130M e V131I della proteina X che svolge unruolo chiave nell’azione oncogenica dell’HBV. Pertanto è possibile che le suddette mutazioneentrino in gioco non tanto per gli effetti che inducono sull’azione del core promoter, quantoper quelli conseguenti alle alterazioni prodotte nella proteina X. In questo ambito pare op-portuno ricordare che vi è evidenza che forme varianti del gene “X” individuate in HBV iso-lati da pazienti con epatocarcinoma sono in grado, quando espresse “in vitro”, di stimolarela proliferazione cellulare ed, in alcuni casi, di determinarne trasformazione tumorale dellecellule. Infezioni con virus mutati a livello della regione preS1 o, più frequentemente, preS2 possonoavere come conseguenza accumulo intra-epatocellulare di proteine preS-S difettive. In par-ticolare, mutazioni geniche che aboliscono il codone di inizio del preS2 comportano, per lepeculiarità trascrizionali dell’HBV, un eccesso di produzione di proteina preS1 che viene ac-cumulata a livello del reticolo endoplasmatico il quale accumulo comporta un blocco dellasecrezione di tutte le diverse forme di proteine di superficie. Di fatto, l’infezione da viruspreS-difettivi correla in modo significativo con la presenza di epatocarcinoma e questo indi-pendentemente dal genotipo infettante. Questi dati derivanti da studi di epidemiologia molecolare sono confermati da vari studisperimentali. In particolare, modelli di topi transgenici specificamente prodotti per esaminareil ruolo patogeno e pro-oncogeno delle proteine preS-difettive hanno evidenziato che l’ac-cumulo di dette proteine ha effetto citopatico diretto, induce infiammazione cronica ed iper-plasia rigenerativa, provoca danno ossidativo del DNA cellulare, displasia epatocitaria,rigenerazione nodulare ed infine epatocarcinoma. Riguardo le varianti genetiche dell’HBV conseguenti a mutazioni puntiformi nella regionedella trascrittasi inversa ed indotte dalle terapie con analoghi nucleot(s)idici, saranno oggettodi dettagliata trattazione in altre relazioni.

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PrEVENZiONE PriMaria dEll’iNFEZiONE da HBVDr. Tommaso Stroffolini

Clinica Malattie Tropicali - Policlinico Umberto I, Roma

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tHE iMMuNE rEsPONsE tO HBVCarlo Ferrari

Unit of Infectious Diseases and Hepatology, Laboratory of Viral Immunopathology,

Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Via A. Gramsci 14, 43100 Parma, Italy.

Corresponding author: Carlo Ferrari, M.D.

Unità Operativa di Malattie Infettive ed Epatologia Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma

Via A. Gramsci 14 - 43100 Parma, Italy.

Tel. +39-0521-703622-702762 - FAX: +39-0521-703857 - email: [email protected] - [email protected]

EarlY VirOlOGiC aNd iMMuNOlOGiC EVENts aFtEr iNFECtiONHBV remains generally quiescent for some weeks after infection with low levels of HBV-DNA in the circulation (102-104 genomes equivalents per ml) before starting an efficient andrapid replication, which can lead to plasma levels of about 109-1010 copies/ml of virus (1-5),and infection of most hepatocytes (6-8). Interestingly, in self-limited infections HBV-DNAfalls by more than 90% within 2-3 weeks after the peak of viral replication and before thepeak of the antigen-specific CD8 response and liver damage, as indicated by the rise of ALT.Therefore, a large quantity of viral DNA is apparently cleared without the need of liver celldestruction. This suggests a role in this early virus containment for innate responses that aregenerally involved in the initial containment of the virus in most infections (9). Surprisingly,however, no detectable changes in innate immune response genes have been observed in theliver of HBV infected chimpanzees in the first weeks of infection (10). This lack of inductionof innate responses prompted Frank Chisari and coll. to define HBV as a stealth virus becausepoorly sensed by the innate immune system (11). This concept has been challenged by laterstudies in the woodchuck model of infection (12), which is caused by a component of a familyof viruses closely related to HBV, called hepadnaviridae. Results show that the activation ofgenes encoding IFN-g and IL-12 was already evident within the liver of infected animals afew hours after infection with high WHV doses. These events were followed by the intra-hepatic transcription of genes associated with NK and NKT cell responses and by subsequentreduction of virus replication. This activation of the intrahepatic innate immunity was tran-sient, waining by 72 hours after infection and was unable to support the induction of adap-tive T cell responses which were activated 4 to 5 weeks later. The same conclusion that HBVis able to elicit innate responses comes from the results of in vitro experiments with liverprogenitor cells, called HepaRG, showing production of type I IFN following transfectionof HepaRG cells with a recombinant baculovirus carrying HBV genes to initiate HBV repli-cation (13). IFN production resulted in noncytopathic clearance of HBV-DNA in HepaRGcells. While these results apparently contradict the concept of stealth virus, some importantlimitations however jeopardize their relevance. First, activation of innate responses in wood-chuck infection is only transient and it is stimulated by inocula with very high viral concen-trations (12); moreover, this animal model may only partially reproduce human infection.Second, type I IFN production by HepaRG cells is stimulated by high intracellular HBV repli-cation levels (13) which likely do not reproduce the early kinetics of HBV replication in nat-ural infection.The poor ability of the innate immune system to recognize HBV is instead supported by data

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in natural human infection. First, plasma levels of a number of cytokine and chemokines,including IFN-a, quantified over time following infection were remarkably low in HBV in-fected patients as opposed to the high levels detected in the early eclipse and exponentialviral expansion phases of HIV-1 infection (14). Second, low plasma IFN-a levels and delayedNK cell activity peak were observed in a group of HBV infected patients who were studiedbefore maximal rise of viremia (15). This early and transient slowdown of NK cell activationcoincided with an enhanced expression of the immunosuppressive cytokine IL10 which mayplay a role in inhibiting early innate responses. Thus, poor expression of innate responses inHBV infection may result not only from a failure of induction but also from active suppres-sion, as also suggested by the inhibitory effect of HBV virions, HBsAg and HBeAg on IRF-3and NF-kB activation detected in vitro in liver cells, resulting in down-regulation of toll-likereceptor (TLR) 3- and 4-induced IFN-type I production and subsequent interferon stimulatedgene (ISG) expression (16). These data extend previous observations in chronic HBeAg pos-itive patients that show suppression of TLR-2 expression in liver cells and peripheral bloodmonocytes caused by HBeAg (17, 18) and low levels of TLR-1, 2, 4 and 6 messenger RNAtranscripts in PBMC of CAH patients (19). The overall scenario emerging from these studies is that the intracellular pathways of innateantiviral protection are poorly activated as a likely result of both inefficient recognition ofthe virus and active suppression by HBV, which may have developed strategies to counteractthese early innate responses. What is then responsible for the early control of HBV, if type IIFNs are not induced still remains largely elusive. A possible candidate is IL-6 which can bereleased in vitro by non-parenchimal liver cells upon infection of primary human hepato-cytes, causing control of HBV infection in this culture model in the absence of IFN induction(20). In addition, what role NK cells play at the early stages of acute HBV infection is stillpoorly understood. The delayed and defective induction of NK cell responses reported byMala Maini’s group early after infection (15) must be reconciled with the evidence that livercells express very low levels of MHC class I molecules, such that any up-regulation of cellularstress ligands able to engage NK activatory receptors should be able to easily induce localNK cell effector function and with the evidence that NK cells are extremely abundant in theliver, constituting 30-40% of intrahepatic lymphocytes (21,22). Moreover, a different kineticsof NK cell responses with rapid and efficient NK cell activation peaking before maximalHBV-DNA elevation has been reported in patients with subclinical acute HBV infectionswith HBV-DNA rise but normal ALT levels (23). While final elucidation of the role played by innate responses in initial HBV control certainlyrequires further studies, data derived from transgenic mice and from infected chimpanzeessuggest the view that once cytotoxic T lymphocytes (CTL) have reached the liver, the elimi-nation of HBV genes from the infected liver cells is primarily mediated by non cytopathicmechanisms sustained by IFN-g secretion (24,25). To what extent IFN-g secretion is sustainedby T cells and by cellular components of the innate immunity, such as NK and NKT cells,still remain controversial. Recruitment of CTL into the liver leads also to killing of infectedliver cells with subsequent release of high-mobility group box 1 (HMGB1) protein which isresponsible for attracting antigen-nonspecific PMNC into the liver (26-29). The latter cellscan in turn produce matrix-metalloproteinases (MMPs) (30,31) that can favor the recruitmentof antigen-nonspecific mononuclear cells, including NK cells, T and B cells and monocytes,

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into the liver, through remodeling of the extracellular matrix. Recruitment of mononuclearcells  is  also  facilitated by  the  chemokines CXCL9 and CXCL10 which are produced byparenchymal and non parenchymal cells of the liver in response to IFN-g (31). The final resultof this cascade of events is the amplification of liver cell damage and disease which was ini-tially triggered by HBV-specific CTL.

t CEll rEsPONsEs acute self-limited HBV infection. HBV-specific CD4- and CD8-mediated responses becomegenerally detectable a short time after the exponential increase in HBV replication, whichgenerally follows an initial phase of negative HBV-DNA lasting for about 4 to 7 weeks afterinfection (4,32). These responses are typically multispecific, Th1 oriented and much strongerthan those detectable in chronic infection (33-41). By using HLA/peptide tetramers whichallow to quantify virus-specific CD8 cells that are present among a given cellular populationand to study ex vivo some of their functional features, the frequency of circulating HBV-spe-cific CD8 cells appears to be generally high, up to 1-2% of the total CD8 cells being specificfor individual epitopes (42,43). Experiments of T cell depletion with anti-CD4 or anti-CD8 antibody injection in infectedchimpanzees show that CD8 cells are crucial for viral clearance and disease pathogenesis(32). While CD4 depletion in self-limited infection does not influence substantially HBV-DNA and ALT profiles that are similar to those of control animals, in contrast depletion ofCD8 cells alters dramatically the outcome of acute HBV infection. In the absence of CD8 cellsthe duration of maximal HBV-DNA elevation is prolonged, the onset of HBV-DNA declineand the increase in ALT are delayed, and finally the time required for eventual terminationof infection is also markedly delayed (32). Thus, although the role of NK and NK-T cells inearly viral containment is still controversial, CD8 cells are certainly essential for final andpersistent control of infection. A key role in CD8 cell recruitment into the liver is played by platelets, which can become ac-tivated as a result of vessel wall changes within the liver promoted by the inflammatory re-sponse (31,44). Platelet adhesion and activation can facilitate their interaction with CTL,which in turn could favor CTL egress from the bloodstream and their accumulation in theinfected parenchyma where their effector function can be displayed.As expected from the accepted models of T cell differentiation (45,46), when infection is suc-cessfully controlled, maturation of T cell memory occurs efficiently, as indicated by the in-creasing expression of CD127 molecules and the decline of PD-1 on HBV-specific CD8 cellsfollowing resolution of infection (41,47). CD4- and CD8-mediated responses are detectableeven decades after the acute stage of infection (36,38) and they are probably critical to keepunder tight and persistent control the traces of virus that persist, presumably for life, evenafter complete resolution of acute liver disease (48). This persistence of minute amounts ofvirus, which is frequently detectable only within the liver tissue in the absence of HBsAg,defines a condition of “latency” which has been recently defined as occult HBV infection(49,50) 

Chronically evolving acute HBV infection. While it is well known that T cell responses aredepressed once chronic hepatitis has developed, very limited data are available about the

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features of the T cell response in the acute phase of a chronically evolving infection. In par-ticular, still undefined is whether the impairment of T cell responses typical of chronic hep-atitis B is a cause of virus persistence or rather represents an effect of chronic infection.Chronic evolution is a rare event in adulthood infections when the immune system is nor-mally competent and the co-existence of co-factors at the time when infection is acquiredmay be needed to enhance the probability of virus persistence. The features of the acute stagecell-mediated immune response followed by HBV persistence have been described in detailso far only in the context of a HBV/HCV coinfection (51). In contrast to the efficient CD4 re-sponse typically observed in self-limited infections, HBV-specific CD4 responses were un-detectable in chronically evolving acute infection. CD8 responses were multispecific as inself-limited infections, but the CD8 repertoire associated with HBV persistence lacked themost dominant specificities detectable in acute patients able to control infection sponta-neously. Thus, insufficient CD4 help and a defective repertoire of HBV-specific CD8 cellsmay play a role at the early stages of infection in influencing HBV persistence. This is in linewith information derived from the woodchuck hepatitis virus infection, where infection ofadult animals is usually self-limited and neonatal infection most frequently leads to chronic-ity (65-75%)(52). Propensity to develop a chronic infection is defined in the woodchuck modelby higher viral load, lower liver inflammation, weaker CD4-mediated responses and lowertype 1 cytokine expression within the liver at the time of acute disease compared to animalswith a self-limited infection (52-56).

Chronic hepatitis B. The inability to control the infection and the establishment of chronicitylead to a progressive decline of the adaptive immunity with a lower number of circulatingand intrahepatic virus-specific CD8+ and CD4+ T cells (57) as well as a low and restrictedproduction of virus-specific antibodies. This contrasts with the multispecific and Th1/Tc1oriented CD4+ and CD8+ memory T cell responses that remain readily detectable for severalyears after resolution of HBV infection (36,38).Patients who develop chronic HBV infection show persistently defective CD4+ and CD8+ T cell func-tion, with a CD8 repertoire skewed towards sub-dominant epitopes (58). In patients with high levelsof HBV replication, HBV-specific T cells are almost undetectable in the circulation not only ex vivo

but also after expansion in vitro (57,58). HBV-specific T cells are compartmentalized into the liver(57,59) where they are diluted among a much greater infiltration of virus non-specific T cells whichcertainly play a crucial role in liver cell damage. Exhaustion by persistent exposure to high antigenconcentrations contributes to T cell dysfunction, as shown by the high expression of PD-1 by HBV-specific CD8 cells (41). In line with this interpretation, the intensity of the T cell response ap-pears inversely correlated to viraemia levels, with more intense HBV-specific responsesdetectable in patients with lower viral loads (41,57,58). Thus, suppression of T cell responsesis more profound in highly viremic patients (41,57,58) and seems to be at least partially over-come in the reactivation phases of infection that are typical of the natural history of anti-HBe+ chronic hepatitis B (60). Conflicting results, however, have been reported in differentstudies. In some of them, hepatitis flares have been shown to be preceded by recovery ofCD4-mediated T cell reactivity to HBV nucleocapsid antigens (61,62) and to be followed bya significant rise in IL-12 and Th1 cytokine production that can precede or occur simultane-ously with HBeAg seroconversion (61). In other studies, however, changes of T cell reactivityhave not been detected in relation to biochemical or virological reactivations of chronic hep-

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atitis B (41,59), probably owing to an insufficient frequency of immunological evaluationover time to detect relevant events or to the lack of study of the intrahepatic compartmentwhere the most important pathogenetic events are likely to occur. The possibility that T cellhyporesponsiveness to HBV antigens of chronic HBV infection is not irreversible is also sug-gested by the restoration of HBV-specific CD4 and CD8 responses in HBeAg+ patients underantiviral therapy with lamivudine (63-65). The dominant epitopes recognized by restored Tcells correspond to those identified in spontaneously resolving infections, suggesting thatthe T cell hyporesponsiveness of chronic patients is more probably related to functional in-hibition rather than to irreversible deletion of HBV-specific T cells. Hepatitis flares are alsoassociated with an increased frequency and an enhanced function of NK cells, suggesting arole for this cellular component of the innate immune response in the pathogenesis of diseasereactivations in chronic anti-HBe+ hepatitis B (66). In inactive carriers of HBV lacking evidence of liver damage and able to control infectionmore efficiently, the majority of liver infiltrating CD8 cells are HBV-specific (57). Moreover,CD8 cells present in the circulation of these patients are able to proliferate and to produceanti-viral cytokines efficiently upon antigen re-encounter. These cells are functionally com-petent and therefore differ from those detectable in highly viremic patients unable to controlthe virus, suggesting that the inactive HBV carriage is a condition in which HBV replicationis kept under control by the anti-viral effect of HBV-specific T cells, rather than a conditionof deep tolerance to HBV antigens, as believed in the past.

tHE HuMOral iMMuNE rEsPONsEThe humoral response also plays an essential role in the control of HBV infection. Antibodyproduction is critical for the neutralization of free HBV particles and for interference withvirus entry into the host cells. Protection by antibodies is most important before invasion ofthe host cells; afterwards, antibodies can contribute to limit cell to cell spread of viral particlesbut elimination of intracellular virus becomes the principal task of HLA class I restricted CTLand other effector cell types non-specifically recruited to the site of infection. Therefore, it islikely that the integrated activation of both the cellular and humoral arms of the adaptiveimmune response ultimately allows control of infection. The different components of theadaptive immune system are so interconnected that the failure of one of them clearly affectsthe expansion and protective efficacy of the others. Lack of CD4+ T cell help can impair CD8+T cell activity and antibody production (67), while the inability to mount a virus-specificCD8+ T cell response results in a level of circulating virus that cannot be cleared by antibodiesalone (68).HBV clearance is associated with production of anti-envelope antibodies (69) and sera withhigh levels of anti-viral antibodies (specific for the viral envelope) can control HBV (70).These concepts are also supported by evidence showing that vaccines containing envelopepolypeptide(s) are effective in the prevention of primary infection (71) and that administra-tion of high-titre anti-HBs immunoglobulin can prevent reinfection of liver grafts (72). Theimportance of the envelope region in eliciting neutralising antibody responses is also sup-ported by evidence showing that HBV envelope escape mutants can infect the host in thepresence of protective levels of wild-type virus-specific anti-HBs antibody (73).

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MECHaNisMs OF HBV PErsistENCEWhile several features of the innate and adaptive immune response associated with differentstages of HBV infection have been elucidated, the primary causes of HBV persistence afterinfection acquired in the adult life still remain elusive. The final outcome of infection is be-lieved to be strictly related to the type of immune response mounted by the infected host,but the primary factors responsible for determining the anti-viral efficiency of the immuneresponse remain largely speculative. Therefore, whether the weakness of the T cell responsein chronic hepatitis B represents a cause of HBV persistence or rather a simple consequenceof it is still an open issue. Certainly, this condition can further contribute to maintain viruspersistence, once HBV has eluded the initial surveillance of the immune system. This pe-ripheral blood T cell hyporesponsiveness is a real immune defect and cannot be due to T cellcompartmentalization into the liver. Although HBV-specific T cells are more easily detectablewithin the liver, their frequency is low in this compartment also where they are dilutedamong a large number of virus-non specific T cells (57,74,75). The defective T cell function is probably maintained primarily by the effect of the prolongedexposure of T and B cells to high quantity of viral antigens. HBV is typically able to producelarge quantities of subviral non-infectious particles containing envelope antigens and a se-cretory form of the nucleocapsid protein, detectable in the circulation as a soluble antigen,called HBeAg. Exhaustion by deletion or functional inactivation is likely to represent the fateof HBV-specific T cells chronically exposed to these antigens (76). Studies in animal modelsof virus infection indicate that a hyperexpression of negative costimulatory pathways, suchas the PD-1 molecule and its ligands PD-L1/PD-L2, plays a role in transducing inhibitorysignals to T cells under conditions of chronic exposure to high antigen concentrations (77,78).It is well known that T cell activation depends not only upon signals released through the Tcell receptor, but also upon additional receptor-ligand interactions which can provide cos-timulatory signals needed to achieve full T cell activation and survival (79). Induction or in-hibition of specific costimulatory pathways may be sustained by pathogen replication andsubsequent inflammation; the final balance between activating and inhibitory pathways atthe site of infection may influence the anti-viral T cell function contributing to the T cell dys-function typical of chronic viral hepatitis. The possible role of a dysregulation of costimula-tory pathways in T cell exhaustion with predominance of negative signals is confirmed inchronic HBV infection by the possibility to improve anti-viral CD4 and CD8 functions byblocking PD-1/PD-L1 engagement (41,80).Additional mechanisms to explain how persistent exposure to high antigen concentrationsand persistent inflammation can alter the T cell function include impairment of TCR signa-ling by CD3z-chain down-regulation (81) and enhanced T cell apoptosis caused by bim up-regulation (82). Interestingly, addition of L-arginine can restore CD3z expression and canimprove the T cell function (81). Since arginase activity is significantly increased in the HBVinfected livers, these results suggest that arginine depletion in the liver may have a patho-genetic role in T cell dysfunction of chronic hepatitis B. Moreover, blocking bim-mediatedapoptosis with caspase inhibitors can enhance recovery of HBV-specific CD8 cells in vitro(82).In the condition of chronic exposure to high antigen loads, HBV-specific CD8+ cells unableto bind specific HLA-tetramers have also been detected by intracellular cytokine staining

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(83). This phenotypic alteration probably reflects the ability of these CD8+ cells to escape pe-ripheral deletion by large quantities of antigen and to persist ignoring the infecting virus. In addition, HBeAg has been shown in transgenic mice to favor the production of Th2 cy-tokines and to cause preferential deletion of Th1 cells with a subsequent cytokine imbalancefavoring viral persistence (84,85). Finally, the property of exogenous HBsAg to enter the classI processing pathway (86,87) may predispose professional APC, including B cells, to immuneaggression by CD8 cells with subsequent defective production of anti-HBV antibodies andpossible T cell hyporesponsiveness (86).A key role in the pathogenesis of HBV persistence may be played also by regulatory T cells.They can be divided into natural CD4+CD25+Tregs and induced or adaptive Treg cells (88).Since regulatory T cells are able to suppress virus-specific immune responses (89,90), theirhyperactivity may represent one of the potential causes of T cell hyporesponsiveness to HBVantigens, thereby favoring viral persistence. Discordant results, however, have been reportedin chronic HBV infection with respect to frequency and suppressive capacity of CD4+CD25+T cells. Frequency of these cells seems to be particularly elevated in the peripheral blood andliver of patients with a chronic severe HBV infection (91). Increased number in the peripheralblood and the positive correlation between HBV-DNA levels and frequency of circulatingCD4+CD25+ Treg cells, supports a role for T reg cells in the pathogenesis of chronic HBVpersistence (92-95), but this conclusion is contradicted by other results showing no differencein frequency and suppressive activity of Tregs in chronic hepatitis B compared to resolvedHBV infections (96). Also the function of dendritic cells has been explored to define possible mechanisms of HBVpersistence in light of their role as a link between innate and adaptive immunity (97,98) In-fection of DC by HBV is however controversial and the described functional defects are fre-quently minimal so that no clear conclusions can be drawn about the role of DC in chronicHBV persistence (99-109)

Among the factors which can influence the degree of antiviral efficiency of early immuneresponses, the type and the quantity of the infecting virus and the genetic background of theinfected host may exert a crucial influence on the priming and maturation of the protectiveimmune response. A relationship between HBV genotypes and clinical outcome of hepatitisB has been reported but most studies have compared genotype B and C or genotypes D andA, because of their geographical distribution, indicating that genotypes A and B are generallyassociated with a more benign course of infection (110). Also different associations betweenspecific HLA alleles and outcome of infection have been described (111-113), but larger ge-netic studies are needed to better define the role of genetic predisposition in the pathogenesisof HBV infection. Thus, route of infection, quantity and type of inoculated virus, the cytokineenvironment where immune responses are primed and genetic background of the host aresome of the factors that can theoretically contribute to the initial inhibition of anti-viral adap-tive responses. Moreover, it is known that the liver is the site of T cell blast elimination (114)and that the hepatic environment is tolerogenic; in particular, presentation of soluble antigensto T cells by liver endothelial cells has been shown to induce specific T cell tolerance (115)which may contribute, in concert with other factors, to make less efficient the effector activityof the T cell response.

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Malattia da Virus dell’epatite B

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Malattia da Virus dell’epatite B

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l’EPatitE aCuta da HBVGabriele Missale

introduzioneL’infezione da HBV porta a uno spettro di diverse condizioni patologiche a carico del fegatoche vanno dall’epatite acuta, che include l’epatite fulminante, all’epatite cronica, la cirrosi el’epatocarcinoma. L’infezione acuta può essere sintomatica o asintomatica, esitare in risolu-zione o cronicizzazione. Nel nostro paese, in base ai casi notificati al Servizio EpidemiologicoIntegrato per la sorveglianza dell’Epatite Virale Acuta (SEIEVA), l’epatite acuta B rappresentail 34% delle epatiti acute virali, con un’incidenza in progressivo calo (1,6/100.000 casi nel2008) (www.iss.it/seie/). Ciò è dovuto sia al generale miglioramento delle condizioni socio-sanitarie negli ultimi anni, sia alla vaccinazione anti-epatite B obbligatoria a partire dal 1991.Circa due terzi dei pazienti con infezione acuta da HBV presentano un quadro lieve o asin-tomatico con una infezione subclinica che passa solitamente inosservata (1), questi pazientisono prevalentemente neonati e bambini. I restanti pazienti, presentano un quadro sintoma-tico con chiari segni di epatite con ittero, ipertransaminasemia, dispepsia, astenia e talvoltafebbre. Il periodo di incubazione è estremamente variabile, mediamente di 60-90 giorni, mapuò andare da 1 a 6 mesi  dipendendo con ogni probabilità dal tipo di esposizione e dall’en-tità dell’inoculo (2). L’esordio clinico è dapprima rappresentato da sintomi aspecifici come astenia e dispepsia,in questa fase è già presente l’ipertransaminasemia, elevati livelli di HBsAg e la viremia è ri-levabile, segue quindi la fase itterica con ipercromia urinaria e feci ipocoliche ed è in questafase che solitamente i pazienti giungono alla nostra osservazione. Solitamente la fase preit-terica dura circa 1 settimana e l’ittero con ipercromia urinaria circa 2 settimane, anche se que-sti periodi di tempo sono estremamente variabili da caso a caso.Il picco della viremia precede il rialzo di transaminasi come è stato possibile dimostrare sianel modello sperimentale dello scimpanzee (3, 4), che nell’uomo (5), ed è attualmente dibat-tuto se la precoce caduta della viremia ancora in presenza di bassi livelli di ipertransamina-semia sia dovuta all’azione dell’immunità innata o a meccanismi citochino-mediati, noncitopatici, messi in atto dalle prime fasi della risposta T adattativa. In ogni caso al momentodell’osservazione clinica i livelli di HBV-DNA sono bassi  e talvolta non rilevabili. Per questomotivo la viremia HBV non rappresenta un test di laboratorio di particolare utilità nell’in-quadramento diagnostico dell’epatite acuta, anche se la sua determinazione è comunque diaiuto in casi particolari come le epatiti acute ad andamento protratto ed anche nella diagnosidifferenziale delle riacutizzazioni delle epatiti croniche o delle riattivazioni che possono in-sorgere in corso o al termine di terapie immunosppressive. L’insufficienza epatica acuta si verifica in meno di un caso su cento di epatite acuta sintoma-tica. L’epatite fulminante  è clinicamente caratterizzata da una sintomatologia dispeptica piùmarcata accompagnata solitamente da astenia, febbre, talvolta addominalgie ed in particolareda alterazioni del sensorio sino al coma epatico. L’andamento clinico è comunque variabilecon forme tipiche di epatite fulminante per l’insorgenza dei segni di encefalopatia epaticaentro 2 settimane dopo l’esordio dei primi sintomi o forme cosiddette subfulminanti quandoil coma epatico insorge dopo 2 settimane (6). L’epatite fulminante rappresenta una emergenzamedica che richiede una adeguata terapia di supporto e un accurato monitoraggio clinico in

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centri specialistici che prevedano la disponibilità di un centro trapianto.Nel nostro paese come in altri paesi a bassa endemia, l’infezione acuta è solitamente sinto-matica interessando prevalentemente soggetti adulti, giovani, e la via di trasmissione ses-suale  è  la  più  comune.  Le  infezioni  sono  quindi  prevalentemente  sintomatiche  e  nellastragrande maggioranza dei casi si tratta di infezioni autolimitanti. Infatti, la cronicizzazionedi una infezione acuta è più frequente nei neonati e nei bambini dove l’infezione è spessoasintomatica. Nei paesi ad elevata endemia e con insufficienti programmi di prevenzionebasati sulla vaccinazione e sullo screening delle donne in gravidanza è ancora presente unelevato tasso di trasmissione verticale con elevati tassi di cronicizzazione. L’evoluzione versola cronicità, si verifica inoltre con una certa frequenza  anche in altre categorie di soggetticome gli anziani e i soggetti con deficit immunitario (7). Il virus B condivide la stessa viad’infezione di HIV e questo spiega la maggiore incidenza d’infezione da HBV nei soggetticon immunodeficienza acquisita dove il deficit immunitario condiziona un più elevato tassodi cronicizzazione oltre a una più severa evoluzione dell’epatite cronica (8). 

diagnosi Il tipico corso dell’epatite acuta da HBV è caratterizzato dalla presenza di HBV-DNA rileva-bile nella primissima fase, seguito dall’HBsAg e dall’HBeAg che rappresentano i primi mar-kers sierologici evidenziabili (9). L’HBsAg rimane solitamente rilevabile almeno per una 1-2settimane e la sua persistenza oltre i 6 mesi è indice di cronicizzazione. La positività del-l’HBeAg indica una attiva replicazione, tuttavia tale marcatore può essere assente nel casodi infezione da virus mutante “e”  minus o nel caso la caduta della viremia sia così rapidada non rendere possibile la sua evidenziazione nel siero. Dopo poche settimane dalla com-parsa di questi marcatori sierologici, i livelli di transaminasi AST e ALT cominciano a saliree può comparire l’ittero. L’HBeAg scompare al picco clinico della malattia, mentre l’HBsAgpersiste solitamente per buona parte della fase di malattia. Gli anticorpi diretti verso gli an-tigeni di HBV compaiono in diverse fasi. Gli anticorpi anti-HBc sono i primi ad essere rilevatied appartengono alla classe IgM e successivamente scompaiono sostituiti da titoli crescentidi anti-HBc della classe IgG. Gli anticorpi anti-HBe compaiono subito dopo la scomaparsadell’HBeAg di solito al picco clinico della malattia. Gli anticorpi diretti verso l’antigene disuperficie S (HBsAg) si sviluppano in una fase avanzata, nella fase di guarigione o convale-scenza. Si può inoltre osservare una fase transitoria caratterizzata dalla positività sia diHBsAg che di HBsAb. Gli anticorpi anti-HBs persistono a lungo dopo la guarigione rappre-sentando l’immunità verso HBV, tuttavia in un 10-15% dei soggetti con epatite acuta autoli-mitante non compare l’HBsAb con presenza solo di HBcAb, unico marcatore di precedenteinfezione. In molti altri casi la scomparsa di HBsAb avviene gradualmente nel tempo dopola guarigione persistendo HBcAb, marcatore sierologico di precedente esposizione al virus.La diagnosi di epatite acuta si base principalmente sulle IgM anti-HBc, infatti in alcuni casil’HBsAg può essere rapidamente eliminato e le IgM anti-HBc rappresentano l’unico marca-tore sierologico rilevabile in un paziente con segni clinici ed ematochimici di epatite acuta.Il rilevamento di HBsAg positivo in assenza di positività di IgM anti-HBc suggerisce la con-dizione di epatite cronica da HBV piuttosto che una infezione acuta. Tuttavia la positivitàper IgM anti-HBc può riscontrasi anche nei casi di riattivazione di una epatite cronica daHBV, ponendo problemi di diagnosi differenziale con una epatite acuta. In questi casi tutta-

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via, le IgM anti-HBc presentano solitamente basso titolo e in questa situazione come sempre,un buono scambio di informazioni tra il laboratorio e la clinica è di fondamentale importanzaper un accurato inquadramento diagnostico del paziente. Un’altra condizione che deve essereconsiderata nella diagnosi differenziale dell’epatite acuta da HBV è la riattivazione dell’epa-tite B in pazienti con infezione cronica B inattiva con immunosoppressione iatrogena. Anchein questo caso vi può essere un rialzo del titolo delle IgM anti-core come in una riattivazionespontanea di una epatite cronica, ma è anche importante l’anamnesi che di solito svela unaterapia ad azione immunosoppressiva in un paziente in cui non era nota o non era stato ade-guatamente valutato il rischio clinico di una preesistente positività per HBsAg o anche soloHBcAb.Particolari difficoltà diagnostiche possono essere rappresentate dall’infezione da virus chepresentano mutazioni nella proteina di superficie S. Si tratta di mutazioni che possono ren-dere “invisibile” l’antigene S, con conseguente falsa negatività del test deputato a rilevareHBsAg. Infatti alcuni test diagnostici costruiti con anticorpi monoclonali esclusivamente di-retti verso una regione di HBsAg detta “determinante a” possono fallire nella rilevazionedell’HBsAg sierico in presenza di singole mutazioni o più raramente delezioni in questa re-gione.

terapiaLa terapia dell’epatite acuta da HBV è principalmente una terapia sintomatica che diventauna terapia di supporto e sostitutiva nel caso di forme severe e nell’epatite fulminante, sinoal trapianto di fegato.Anche se l’epatite acuta va incontro a risoluzione spontanea, sono stati eseguiti piccoli trialrandomizzati, controllati, utilizzando lamivudina e interferone, osservando una più rapidacaduta dei livelli di HBV-DNA ma senza differenze sull’outcome clinico in termini di iper-teransaminasemia, bilirubinemia e deficit emocoagulativo utilizzando lamivudina (10), men-tre  l’utilizzo di  interferone  ricombinante non peghilato ha mostrato un  lieve vantaggiorispetto al placebo sulla durata della fase sintomatica della malattia; (11). In studi non controllati condotti in epatiti acute severe ed epatiti fulminanti utilizzandogruppi storici come controllo, si è osservato che la terapia con lamivudina può migliorarel’outcome di questi pazienti anche in termini di sopravvivenza se instaurata precocemente(12-14), quindi anche in assenza di solide basi scientifiche l’utilizzo degli analoghi nucleosi-dici è raccomandato per i pazienti con epatite acuta protratta severa ed epatite fulminante(15).

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BiBliOGraFia

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Malattia da Virus dell’epatite B

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la Malattia da Virus dEll’EPatitE B: iNFEZiONE CrONiCa

Giovanna FattovichClinica di Gastroenterologia e Dipartimento di Scienze Anestesiologiche e Chirurgiche,

Azienda Ospedale Università, Università di Verona, Verona

PuNti CHiaVE1.  L’epatite cronica B è caratterizzata da una fase precoce di elevata replicazione virale (epa-

tite cronica HBeAg positiva) e da una fase tardiva di bassa o assente replicazione virale consieroconversione da HBeAg ad anti-HBe e remissione bioumorale ed istologica di malattiaepatica (portatore cronico inattivo). Dopo sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe la mag-gior parte dei pazienti diventano portatori inattivi del virus B, tuttavia in una proporzionedi pazienti si osserva la progressione ad epatite cronica HBeAg negativa dovuta a mutantivirali che bloccano o riducono la capacità di sintesi di HBeAg (Mutanti HBeAg minus).

2.  La caratteristica più importante dell’epatite cronica HBeAg negativa è l’andamento flut-tuante delle transaminasi e della viremia con talora periodi anche prolungati di remissionebioumorale e virologica. La remissione spontanea sostenuta della malattia è molto rara.

3.  La storia naturale del portatore cronico inattivo è  benigna con sopravvivenza simile allapopolazione generale, purchè in assenza di cofattori di malattia, quali abuso di alcol, su-perinfezioni con altri virus od obesità.

4.  Le complicanze cliniche più rilevanti dell’epatite cronica B sono l’evoluzione verso la cir-rosi e l’epatocarcinoma (HCC). La progressione a cirrosi sembra essere più rapida nei pa-zienti con epatite cronica HBeAg negativa rispetto a quelli con epatite cronica HBeAgpositiva. 

5.  Il rischio di sviluppare HCC varia in modo sostanziale a seconda dell’area geografica edello stadio della malattia alla diagnosi. Il rischio di HCC  è più elevato nei soggetti coninfezione cronica da HBV di razza asiatica o africana, verosimilmente in relazione ad  unapiù precoce acquisizione dell’infezione virale e più lunga durata della malattia. Il pazientecirrotico ha un aumentato rischio di HCC rispetto al paziente con epatopatia cronica senzacirrosi.  

6.  Alti livelli di replicazione virale e attività di citolisi epatica persistenti nel tempo sono ipiù importanti fattori prognostici di progressione a cirrosi, scompenso epatico, epatocar-cinoma e morte correlata alla malattia epatica. Altri fattori predittivi di progressione dimalattia sono: l’età più avanzata alla diagnosi, il sesso maschile,  la severità della fibrosiepatica alla diagnosi e la severità della cirrosi compensata alla presentazione,  la conco-mitante infezione HBV/HDV e/o HBV/HCV  e l’abuso di alcol.

7.  La conoscenza della storia naturale e dei fattori di rischio individuale di progressionedella epatite cronica B è fondamentale per la gestione clinica del paziente, sia per il mo-nitoraggio della condizione morbosa che per le decisioni terapeutiche. 

Malattia da Virus dell’epatite B

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iNtrOduZiONELa persistenza di HBsAg per più di 6 mesi permette di diagnosticare la cronicizzazione del-l’infezione. La storia naturale dell’infezione cronica è contraddistinta da 4 fasi sulla base del-l’interazione tra virus e sistema immune dell’ospite: immunotolleranza, immuno attivazione,bassa o assente replicazione, riattivazione (1,2) .La prima fase di immunotolleranza è caratterizzata da positività per HBeAg, elevati livelli diHBV-DNA (>200,000 UI/ml ma comunemente  > 1 milione UI/ml), transaminasi normali ominimamente alterate e minimo danno epatico (epatite cronica HBeAg positiva con transaminasi

normali o minimamente elevate). Questo quadro clinico si osserva principalmente in bambinio giovani adulti provenienti da aree geografiche ad alta endemia per il virus del’epatite B(HBV) e che generalmente si infettano alla nascita o nella prima infanzia. La seconda fase di immuno-attivazione è caratterizzata dalla attivazione del sistema immuni-tario che determina la distruzione immuno-mediata degli epatociti infettati da HBV con con-seguente riduzione dei livelli circolanti di HBV-DNA, aumento dei livelli di transaminasi esignificativa necrosi e infiammazione con grado variabile di fibrosi  alla biopsia epatica. Isoggetti che acquisiscono l’infezione nella tarda infanzia, durante l’adolescenza o in etàadulta   generalmente si presentano nella  fase di  immuno-attivazione con epatite cronica

HBeAg positiva e transaminasi elevate. Una importante evoluzione della fase di immunoattivazione è la distruzione progressivadegli epatociti infettati da HBV con eliminazione di HBeAg e sieroconversione ad anti-HBee   transizione nella terza fase di bassa o assente replicazione virale (portatore cronico inattivo).La quarta fase di riattivazione è caratterizzata da HBeAg negatività con anti-HBe positività,livelli di HBV-DNA moderatamente elevati e spesso fluttuanti, transaminasi elevate e mo-derata o severa necroinfiammazione con grado variabile di fibrosi alla biopsia epatica (epatite

cronica HBeAg negativa). Sulla base della conoscenza della storia naturale dell’infezione cronica da HBV i pazientipossono essere classificati  in uno dei  seguenti quadri clinici a seconda del loro stato siero-logico: epatite cronica HBeAg positiva, epatite cronica HBeAg negativa o  portatore cronicoinattivo (tabella 1). 

EVOluZiONE CliNiCaL’evoluzione clinica dell’epatite cronica B è illustrata nella figura 1.Epatite cronica HBeag positivaIn pazienti adulti l’epatite cronica HBeAg positiva è caratterizzata da livelli di HBV-DNAsuperiori a 2,000 UI/ml (ma generalmente  > 200,000 UI/ml) ed un grado variabile di eleva-zione delle transaminasi. La durata dell’epatite cronica HBeAg positiva tipica con transami-nasi elevate può essere prolungata causando la progressione dell’epatite cronica a cirrosi,ma studi di storia naturale hanno evidenziato come la maggioranza dei pazienti vanno in-contro a sieroconversione spontanea  da HBeAg ad anti-HBe e diventano portatori croniciinattivi (3). Il tasso annuale di sieroconversione spontanea da HBeAg ad anti-HBe è del 10-15%. La sieroconversione ad anti-HBe  può essere preceduta da un  importante rialzo delletransaminasi simile all’ epatite acuta (> 1000 UI/l). Fattori associati a più elevati tassi di spon-tanea sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe sono l’età più avanzata alla diagnosi, più ele-vati livelli di transaminasi, l’HBV genotipo B (rispetto a  C) e A (rispetto a D) e la razza nonAsiatica.

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Epatite cronica HBeag negativaL’epatite cronica HBeAg negativa è sostenuta da ceppi virali capaci di replicare ma con spe-cifiche mutazioni nella regione pre-core e core che impediscono la produzione dell’HBeAg(4). La selezione di questi mutanti virali è influenzata dal genotipo. L’epatite cronica HBeAgnegativa è pertanto più frequente in Italia e nel bacino mediterraneo dove prevale il genotipoD, e in Asia dove sono frequenti sia il genotipo B che C . La caratteristica più importante del-l’epatite cronica HBeAg negativa è l’andamento fluttuante delle transaminasi e della viremia(da 2000 a 20 milioni UI/ml) con talora periodi anche prolungati di remissione bioumoralee virologica. La remissione spontanea sostenuta della malattia è molto rara.Portatore cronico inattivoUna definizione accurata del portatore cronico inattivo implica più controlli nel tempo: sog-getto HBeAg negativo, anti-HBe positivo con  bassi livelli di HBV-DNA (< 2000 UI/ml) oHBV-DNA non rilevabile, transaminasi costantemente nella norma ed esclusione clinica estrumentale di danno epatico. Studi di storia naturale in pazienti di razza caucasica hannodimostrato che i portatori cronici inattivi hanno una prognosi benigna dopo 20-30 anni diosservazione con sopravvivenza simile alla popolazione generale, purchè in assenza di co-fattori di malattia quali abuso di alcol, superinfezioni con alti virus od obesità  (5). Nellamaggior parte dei casi la condizione di portatore cronico inattivo può durare tutta la vita.La sieroconversione spontanea da HBsAg ad anti-HBs  può avvenire con un tasso annualepari a circa l’1%. Fattori prognostici di perdita di HBsAg sono l’età più avanzata e la sostenutaremissione bioumorale durante l’osservazione. Dopo eliminazione di HBsAg la prognosi èeccellente, ma persiste il rischio di sviluppo di epatocarcinoma (HCC) in quei pazienti concirrosi o concomitante infezione HBV/HCV e/o HBV/HDV al momento della perdita diHBsAg. In una percentuale di portatori cronici inattivi si può verificare una riattivazione vi-rale spontanea o indotta da immunosoppressione farmacologia con ricomparsa di HBeAg opiù frequentemente con transizione in epatite cronica HBeAg negativa. E’ stato stimato chel’incidenza annua di progressione da portatore cronico inattivo ad epatite cronica HBeAgnegativa sia  dell’1- 3%.Progressione a cirrosi e sue complicanze Recenti  revisioni degli studi disponibili di storia naturale dell’epatite cronica B hanno valu-tato i tassi di progressione a  cirrosi, HCC, scompenso e mortalità correlata alla malattia epa-tica ed hanno evidenziato importanti differenze tra studi condotti in Asia rispetto a quellicondotti in Occidente  (2,6) Tra i pazienti con epatite cronica HBeAg positiva l’incidenza annua di evoluzione a cirrosi èrisultata essere 2% in studi condotti in Asia e 4% in studi condotti in Europa. Il più basso ri-schio di cirrosi osservato negli studi condotti in Asia rispetto a quelli condotti in Occidentepotrebbe essere spiegato dall’inclusione di una sostanziale proporzione di soggetti con infe-zione cronica da HBV nella fase di immunotolleranza e con evidenza di minima progressionedi fibrosi epatica ai controlli istologici eseguiti nel tempo (7)..La progressione da epatite cronica a cirrosi sembra essere più rapida nei pazienti con epatitecronica HBeAg negativa rispetto a quelli con epatite cronica HBeAg positiva. Questo dato èin accordo con la visione generale che l’epatite cronica HBeAg negativa rappresenti una fasetardiva nella storia naturale dell’infezione cronica e che i pazienti con epatite cronica HBeAgnegativa abbiano una più lunga durata di malattia. Nell’epatite cronica HBeAg negativa l’in-

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cidenza annua di cirrosi è risultata essere 3% in studi condotti in Asia e 10% in studi condottiin Europa. l rischio di sviluppare epatocarcinoma varia in modo sostanziale a seconda dell’area geo-grafica e dello stadio della malattia alla diagnosi. Il rischio di epatocarcinoma è più elevatonei soggetti HBsAg positivi asiatici o africani rispetto ai caucasici, indipendentemente dallaseverità della malattia epatica, verosimilmente per una più precoce acquisizione dell’infe-zione in epoca perinatale o prima infanzia, più lunga durata della malattia e/o esposizionea carcinogeni ambientali. Il rischio inoltre è più elevato nei pazienti con cirrosi rispetto aquelli senza cirrosi epatica. Nei soggetti con  cirrosi compensata da HBV l’incidenza annuadi HCC è risultata essere 4% in Asia e 2% in  Europa e Stati Uniti.  Nel paziente che si presenta con cirrosi compensata da HBV il rischio a 5 anni  di morte cor-relata alla malattia epatica è del 15% circa. Dopo il primo episodio di scompenso epatico laprognosi peggiora notevolmente con elevati  tassi di mortalità.iNdiCatOri di PrOGNOsiFattori virali, dell’ospite e fattori esterni possono influenzare la prognosi della epatite cronicaB (1,2,6,8).  La persistenza di elevati livelli di replicazione del virus B (> 2000 UI/ml) e di at-tività di citolisi epatica  durante l’osservazione sono i fattori predittivi più importanti di pro-gressione a  cirrosi  e  sue  complicanze  (HCC,  scompenso e morte  correlata  alla malattiaepatica). La riduzione sostenuta di replicazione virale prima della comparsa di cirrosi con-ferisce una prognosi favorevole. Nei  pazienti con cirrosi da virus B  la persistente soppres-sione della replicazione virale si associa ad un basso rischio di sviluppo di epatocarcinomae di mortalità correlata alla malattia epatica.L’età più avanzata alla diagnosi (> 40 anni), il sesso maschile,  la severità della fibrosi epaticaalla diagnosi e la severità della cirrosi compensata alla presentazione,  la concomitante infe-zione HBV/HDV e/o HBV/HCV  e l’abuso di alcol sono ulteriori importanti fattori progno-stici  di  progressione  di  malattia.  Nei  pazienti  con  cirrosi,  la  concomitante  infezioneHBV/HCV o HBV/HDV aumenta il rischio di HCC (da 2 a 3 volte rispetto ai pazienti consingola infezione) come pure l’abuso di alcol (da 2 a 4 volte rispetto ai pazienti astinenti dal-l’alcol). Poche informazioni sono disponibili circa  il ruolo prognostico di uso abituale di mo-derate quantità di alcol.  Una storia famigliare di HCC  e l’esposizione a tossine ambientali,quali l’aflatossina, in aree ad alta endemia  per HBV sono ulteriori importanti fattori di rischiodi HCC.Il ruolo dei genotipi di HBV e così pure della combinazione di più fattori virali (HBV geno-tipo, mutanti e carica virale)  sul rischio di sviluppo di cirrosi epatica o HCC è stato studiatoin particolare in paesi asiatici, ove prevalgono i genotipi B e C. Alcuni studi longitudinalihanno riportato un’aumentata incidenza di cirrosi o HCC nei pazienti infettati da genotipoC, in particolare  in associazione alle mutazioni “basal core promoter”,  rispetto al genotipoB. Ulteriori studi sono necessari per chiarire il ruolo prognostico di altri genotipi di HBV,come pure di altri fattori virali, quali la concomitante  infezione da HIV dopo introduzionedella terapia antiretrovirale di combinazione (HAART). Vi è una crescente evidenza del ruolo prognostico di comorbidità prevenibili o curabili, qualila sindrome metabolica, il diabete e obesità. 

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Tabella 1. Profili sierologici dell’infezione cronica da virus B

Fase alt HBeag anti-HBe HBV-dNa iu/ml

Immuno                 Normali o                Positivo     Negativo    Livelli molto elevati   > 200.000 - 20 bilioni tolleranza               minimamente                                 elevate

Epatite cronica      Persistentemente    Positivo     Negativo    Livelli elevati              >2000 - 2 bilioniHBeAg positiva    elevate                                                      Epatite cronica      Elevate e spesso      Negativo   Positivo      Livelli moderati,         >2,000 - 20 milioni HBeAg negativa   fluttuanti                                                         spesso fluttuanti

Portatore cronico  Normali                   Negativo   Positivo      Livelli bassi o              < 2,000inattivo                   non rilevabile

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HEPatitis B Virus aNd HCCMassimo Levrero, Laura Belloni, Francesca Guerrieri,

Natalia Pediconi, Valeria Schinzari, Dipartimento di Medicina Interna Sapienza Università - Roma

and Rome Oncogenomic Center CRS - Regina Elena Cancer Center – Rome

HBV infection is a major etiological factor in the development of primary liver cancer, oneof the most frequent fatal malignancies in the world whose incidence is rising in many coun-tries. Recent estimates attribute to HBV >50% of HCC cases worldwide. Lifetime risk of de-veloping HCC is estimated to be 10- to 25-fold greater for chronic HBV carriers, as comparedwith non-infected populations, and risk of HCC has been shown to be increased even in pa-tients with occult HBV infection and after hepatitis B surface antigen (HBsAg) clearance (El-Serag,  2004;  Pollicino  et  at.,  2004).  High  HBV  replication  associates  with  the  risk  ofdeveloping HCC whereas the influenced of viral genotype or specific mutations arising dur-ing chronic infections is still matter of discussion. The prevalence of T 1762/A1764 mutationin the basal core promoter increases with the progression of liver disease and is significantlyassociated with the development of HCC, in both genotypes B and C (Kao et al., 2003). ThisT1762/A1764 mutation can be detected in plasma up to 8 years before HCC diagnosis andcan be considered a predictive biomarker (Kuang et al., 2004).

2. direct and indirect roles of HBV Malignant transformation occurs after a long period of chronic liver disease, frequently as-sociated with cirrhosis, suggesting a nonspecific mechanism triggered by the host immuneresponse. Chronic inflammation of the liver, continuous cell death, and consequentcell pro-liferation  might  increase  the  occurrence  of  genetic  alterations  and  the  risk  of  cancer(Nakamoto et al., 1998). Long-term expression of the regulatory protein X and the large en-velope protein LHBs, is thought to participate in the tumourigenic process. Like several viraloncoproteins, the X protein behaves as a transcriptional transactivator: it activates transcrip-tion from the HBV enhancers/promoters and from the promoters of different cellular genesincluding oncogenes, cytokines and growth factors (Murakami, 1999). Furthermore, the Xprotein interacts with different cellular partners relevant to cell transformation, such as p53,DDB1, Crml, proteasomal subunits, CREB/ATF transcription factors and nuclear transcrip-tional co-regulators. HBx has been shown, by chromatin immunoprecipitation (ChIP) exper-iments to bind both the viral minichromosome (Belloni, 2009) and the promoter regions ofcellular genes (Cougot, 2007), to promote transcription of CREB target genes by promotingthe recruitment of the histone acetyl-transferase CBP  (Cougot, 2007) and to favour the relo-calization of the DNA methyltransferase DNMT3 from some genes to others (Zheng 2009).Although X has no direct transforming activity, it may act as a co-factor in different modelsof hepatocarcinogenesis (Terradillos et al., 1997). For surface glycoproteins, it has been shownin transgenic models that inappropriate expression of the large envelope protein has the po-tential to be directly cytotoxic to the hepatocyte and may initiate a cascade of events that ul-timately progress to malignant transformation (Chisari et al., 1989). A direct role of the virusis supported by the ability of HBV DNA to integrate into the genome of infected cells in

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about 80% of human HBV-related HCCs (Brechot et al., 1980). Integration of viral DNA mightconfer a selective growth advantage on targeted cells, leading to the onset of pre- neoplasticnodules, or provide an additional step in tumour progression. Although HBV DNA inte-grates at multiple “random” sites on various chromosomes (Matsubara and Tokino, 1990),cellular genes involved in cell signalling or growth control are more often targeted by HBVintegration and some of these (i.e. telomerase) may represent preferential target sites for viralintegration (Paterlini-Brechot et al., 2003). Integrated viral sequences are defective for repli-cation but they can contribute in trans to the tumourigenic phenotype through the produc-tion of truncated X proteins or Pre-S/S proteins that activate oncogenic pathways (Hildt etal., 2002). 

3. Genetic and epigenetic alterations in HBV-related HCC Several oncogenic pathways are known to be deregulated in HCC, including the p53, RB,and Wnt/b-catenin pathways (Thorgeirsson & Grisham 2002). In HCCs, p53 gene is mutatedin about 20% of cases, with important variations in the mutational rate between tumours ofdifferent geographical location. A hotspot mutation affecting p53 at codon 249 was originallydescribed in HCCs from regions with high prevalence of HBV infection and high levels ofdietary aflatoxins, and it is considered as a hallmark of aflatoxin B1. Genome-wide analysisof genetic alterations in HCC has showed that genetic alterations are not randomly distrib-uted in tumors but are closely associated in clusters. These studies have identified two mainmechanisms of hepatocarcinogenesis and allowed the classification of HCCs in subsets ofgenetically and molecularly homogeneous tumors. HBV infection is closely related with anhigher  chromosome  instability  together  with  TP53  and  AXIN1  mutations  (Laurent-Puig,2001). Genomic instability in HBV-related HCCs is due to both viral DNA integrationand the activity of the X protein. The second pathway, defined by the presence of β-cateninmutations and chromosome 8p deletion in a context of lower chromosome instability is as-sociated with the absence of HBV infection (Laurent-Puig 2001).A genome-wide transcrip-tomic analysis of well annotated HCCs from the same Group (Boyault, 2007) identified sixsubgroups of HCC (termed G1–G6) associated with specific clinical and genetic characteris-tics. G1 and G2 tumors were both related to HBV infection and displayed frequent activationof the PI3K/AKT pathway but differed for the overexpression of genes expressed in fetalliver and controlled by parental imprinting (G1) and the frequent mutation of the PIK3CAand TP53 genes (G2). Deregulation of micro RNA expression have been recognized as im-portant mediators of HBV and HCV infection as well as liver disease progression and HCCdevelopment. Differences between HCV- and HBV-related HCC associated miRNAs areemerging. miR143, miRlet-7a, miR34 and miR-19 are upregulated in HBV-related HCC andpromote the more aggressive biological phenotype of HBV-related HCCs (Zhang, 2009; Ura2009). The expression patterns of microRNAs in liver tissue differ between men and womenwith hepatocellular carcinoma. Finally, miR26 expression in low in HBV-related HCCs andlower in man than in women and associate with poor survival and response to adjuvanttherapy with interferon alfa (Ji, 2009). Finally, epigenetic mechanisms such as hypermethy-lation of promoters containing CpG islands have been shown to frequently modify gene ex-pression patterns in HCC.  A number of tumour suppressor genes, including pl6INK4A,SOCS-1, APC, RASSF1A, GSTP1, E-Cadherin, ASSP1 and ASSP2 are silenced by DNA methy-

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lation in a large proportion of liver tumours, and this process often starts at preneoplastic(cirrhotic) stages (Calvisi, 2007). A higher rate of promoter methylation for specific genessuch as pl6INK4A, E-Cadherin, ASSP1 and AASP2 has been observed in HBV-related tu-mours compared to non- viral tumours (Zhao, 2010). Thus, the mechanisms that operate dur-ing chronic HBV infection appear to select specific pathways for malignant transformationof infected cells.

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Malattia da Virus dell’epatite B

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PatHOlOGY OF HEPatitis B Virus iNFECtiONMaria Guido

Università degli Studi di Padova

Padova

e-mail: [email protected]

suMMarYLiver damage in hepatitis B virus (HBV) infection is related to the phase, route, and age ofinfection and it includes the whole spectrum of acute and chronic hepatitis. HBV is not di-rectly cytopatic and the damage is immune mediated.Acute hepatitis is characterized by necro-inflammatory lesions in the lobule, with a variabledegree of portal inflammation. During acute hepatitis a liver biopsy is rarely performed, butan “acute pattern” may reflect HDV superinfection, re-activation of chronic hepatitis (mainlyanti-HBe+) or concomitant causes of liver damage, such as drug injury. In chronic hepatitis, portal inflammation (mainly lymphocytes) is always seen, with a vari-able degree of lobular necro-inflammation and of fibrosis. The inflammatory infiltrates ismainly composed of CD4-positive T cells. Severity of damage depends on the phase of virusinfection. In the immune tolerant phase, necro-inflammatory lesions are usually mild, whilethe most severe damage is observed during the immune clearance phase.  Seroconversionto antiHBe is followed by improvement of necro-inflammation, regardless of its severity dur-ing the HBe-positive phase. Hepatocyte may show intense cytoplasm eosinophilia (so calledground glass cells), reflecting the presence of  HBV surface antigen (HBsAg). Ground glassappearance of hepatocyte is not specific of HBV infection and the presence of HBsAg shouldbe confirmed by immunohistochemistry.Large cell dysplasia (now called Large Cell Change [LCC] may be observed in 13–32% ofchronic hepatitis B. Although there is no definitive consensus on the pre-neoplastic natureof LCC, prospective studies have demonstrated LCC as an important predictor identifyinga subset of patients with a higher risk of hepatocellular carcinoma development.   HBsAg and HBcAg may be identified in liver tissue with immunostain. Patterns of HBsAgand HBcAg expression correlate with the phase of infection. In chronic hepatitis, HBsAg maybe seen  in the cytoplasmic and/or membrane and diffuse membranous expression is usuallyassociated with  active viral replication. HBcAg expression may be nuclear and/or cytoplas-mic. The inactive carrier state is usually characterized by the presence of HBsAg in clustersof hepatocytes and by a negative stain for HBcAg.  

KEY POiNts

• Liver damage in HBV hepatitis is due to immune mediated mechanisms rather than to adirect viral effect

• Pathological findings reflect age, route, and phase of viral infection• Seroconversion to anti-HBe is associated with improvement of necro-inflammation

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iNFEZiONE iN Eta’ PEdiatriCaDr Flavia Bortolotti

Fondazione L. Forin Onlus - PADOVA - [email protected]

Indirizzo per corrispondenza: Dr F Bortolotti - Via L. Sugana 4 35100 Padova

suMMarYDespite the availability of hepatitis B vaccine for more than 25 years and the implementationof   successful vaccination campaigns in many endemic areas, HBV infection remains  a globalhealth care problem. The contribution of children to the  pool of HBV carriers is remarkable:in highly endemic areas  infection is frequently acquired from the infected mother at birth(perinatal infection). An estimated 90% of perinatally infected children become chronic HBVcarriers with high levels of circulating HBV DNA and  little liver damage (immune tolerance).Loss of tolerance and exposure to cofactors of liver damage in adulthood may lead to poten-tially severe liver disease. Conversely only 20% of children infected in the first 5 years of lifein areas of intermediate endemicity (postnatal infection) become chronic HBV carriers withbiochemical and histological features of liver damage (immuno active phase). Few of thesecases will develop cirrhosis early in life after an acute onset while more than  90% will be in-active HBV carriers by the age of 20 years. Therapy of chronic hepatitis B remains a majorclinical challenge. Substantial advances have been made in the past decade with the devel-opment of potent antiviral agents. The approach to these new  treatments must be evaluatedcautiously in the pediatric  patient. 

KEY POiNts

1.  L’infezione da HBV ha una diffusione globale con aree ad alta, intermedia e bassa ende-mia. Campagne vaccinali altamente efficaci che includevano tutti i nuovi nati sono stateallestite in molte aree endemiche ed hanno ridotto sensibilmente la prevalenza di infe-zione negli ultimi 20 anni, in particolare nell’età pediatrica. Tuttavia per varie ragioni l’in-fezione da HBV è ancora un problema socio-sanitario a livello mondiale.

2.  Nelle aree endemiche l’infezione viene acquisita spesso alla nascita (infezione perinatale)o nei primi anni di vita (infezione postnatale). L’infezione perinatale  ha un tasso di cro-nicizzazione del 90% e induce uno stato di tolleranza al virus, con HBeAg positivo, elevatilivelli di replicazione dell’HBV DNA e ALT normali. L’infezione postnatale è caratterizzatada attività immunologica  responsabile di  danno epatico di variabile entità associato a li-velli medio-bassi di HBV DNA.

3.  La storia naturale dell’epatite B nel bambino presenta caratteristiche diverse nei soggetticon infezione perinatale e in quelli con infezione postnatale. Nel bambino cinese, “proto-tipo” della tolleranza, la  fase  HBeAg positiva può durare  qualche decennio. Dopo lasieroconversione ad anti-HBe preferibilmente nell’adulto, può complicarsi non di radocon cirrosi ed HCC.

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4.  Nel bambino caucasico infettato dopo la nascita non esiste oppure è probabilmente moltobreve la fase di tolleranza, per cui l’esordio è quello tipico della attività immunologica. Iltasso annuo di seroconversione  ad anti-HBe è superiore al 10%  e la fase di inactive carrierpost-sieroconversione decorre per lo più non complicata. La cirrosi è rara e, se recente,può regredire.

5.  La terapia è oggetto di discussione (se trattare, chi, quando e come) date le caratteristichedella storia naturale e i limiti dei farmaci disponibili. Sono in fase di elaborazione  lineeguida per la sperimentazione dei farmaci antivirali nel bambino.

iNFEZiONE iN Eta’ PEdiatriCa

introduzioneL’infezione cronica da HBV  è tuttora un problema socio-sanitario di  primaria importanzaper la sua diffusione ubiquitaria, e per il carico di  morbilità e mortalità a cui si associa.1 L’in-fezione pediatrica contribuisce in modo significativo al mantenimento del bacino dei porta-tori cronici di HBV  in virtù del fatto che tanto più precoce è il contagio, tanto più frequenteè  l’evoluzione cronica dell’infezione.  In effetti, nelle aree geografiche ad elevata endemia(prevalenza di HBsAg nella popolazione generale  >8% ), come il Sud-Est asiatico, il bambinoviene per lo più infettato alla nascita da madre HBeAg positiva (trasmissione perinatale), ediventa portatore cronico di infezione nel 90% dei casi 2-3. Nelle aree ad endemia intermedia(prevalenza di HBsAg   2-7%) l’infezione, acquisita nei primi anni di vita per lo più da con-tagio familiare (trasmissione postnatale), cronicizza nel 20-30% dei casi, mentre nelle aree abassa endemia (prevalenza di HBsAg  <2%) è il  5%  degli adolescenti ad essere esposto alrischio di evoluzione cronica . Questo scenario è cambiato radicalmente in molte aree endemiche negli ultimi 20 anni perla scoperta di un vaccino anti-epatite B di grande efficacia da destinarsi ai soggetti maggior-mente esposti all’infezione e a tutti i nuovi nati.4-5 Nel 1984, prima della vaccinazione di tuttii neonati e dei bambini fino alle scuole elementari, la prevalenza di HBsAg  a Taiwan era di9.8% nei soggetti al di sotto dei 15 anni.5 Dieci anni dopo era scesa ad 1.3%. L’Italia è statouno  dei primi Paesi ad introdurre la vaccinazione di tutti i nuovi nati, a partire dal 1991. Neè conseguito un drammatico calo della prevalenza di HBsAg nei bambini e negli adolescenti6,tuttavia il reservoir di infezione viene mantenuto dai bambini adottivi o immigrati che pro-vengono da aree non coperte da adeguata profilassi. Questa “nuova” popolazione di infettipuò essere eterogenea sia sotto il profilo clinico, che per distribuzione dei genotipi virali, epuò richiedere quindi al pediatra un supplemento di attenzione. 

l’infezione cronica e le sue fasi L’infezione  cronica da HBV è caratterizzata da diverse fasi7, non necessariamente sequenzialiche nel bambino possono presentare  alcuni aspetti peculiari. La fase iniziale (fase di tolleranza) dell’infezione si osserva abitualmente nei bambini coninfezione perinatale, caratterizzata da elevata replicazione  del virus  wild type con livelli diviremia fino a ≥ 108--1010 cp/ml, HBeAg positività e ALT normali. Questa fase termina di so-

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lito dopo anni o decenni in cui il danno epatico rimane modesto pur in presenza di altissimilivelli di viremia. La seconda fase (fase di attività immunologica) è caratterizzata dall’au-mento dell’ALT con riduzione dei livelli di HBV DNA. Il bambino infettato dopo la nascitaviene di solito all’osservazione in questa fase e si ignora se vi sia mai stata una precedentesia pur breve tolleranza. Con la sieroconversione da HBeag ad anti-HBe  inizia   la fase defi-nita stato di portatore di infezione inattiva, caratterizzato da ALT normali e HBV DNA a li-velli <2000IU/l  (104 cp/ml). La quarta fase dell’infezione cronica (fase dell’epatite HBeagnegativa) fa seguito alla persistenza o alla selezione di un mutante virale che non produceHBeAg. L’epatite HBeAg negativa e’ rara  nel bambino mentre è la più frequente forma diinfezione cronica da HBV nell’adulto in Italia e in molti altri paesi.Il decorso spontaneo dell’epatite cronica B è condizionato da diversi fattori virali, dell’ospitee ambientali. Il loro ruolo nel determinare la durata delle singole fasi e la transizione da unafase all’altra, è solo parzialmente noto.

la storia dell’infezione perinatale. Il “prototipo”  dell’infezione perinatale è il bambino ci-nese che viene contagiato alla nascita dalla madre HBeAg positiva e sviluppa le caratteristi-che del soggetto tollerante 8-9. Infatti il dosaggio della viremia mette in evidenza valori moltoelevati(108-1010 cp/ml) di HBV DNA. Questa condizione tende a persistere durante l’infanzia el’adolescenza dato che il tasso annuo di sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe è inferioreal 2%  nei bimbi fino a 3 anni e sale al  4-5 %  nelle età successive, cosicché circa il 20% soltantodei bambini tolleranti elimina HBeAg entro i 20 anni 9. Quando la  sieroconversione avvieneprima dell’età adulta lo stato di portatore inattivo di HBsAg rimane stabile 10, almeno per iprimi 10 anni di osservazione e solo il 5% dei casi presenta occasionalmente lieve e transitorioaumento dei livelli di HBV DNA  (>104cp/ml ) o fluttuazioni di ALT comunque inferiori adue volte la norma. Questa osservazione suggerisce che nell’età adulta altri fattori, inclusala maggiore durata dell’infezione, possano concorrere all’evoluzione sfavorevole della ma-lattia. In una casistica di 174 bambini HBeAg positivi residenti in Canada ma di diverseetnie11, seguiti per un periodo medio di 4.5 anni  si osservava che la percentuale di sierocon-versione ad anti-HBe era del 24% nei bambini cinesi (preferibilmente infettati alla nascita earruolati all’età media di 2 anni, 60% con ALT <2xn) ma del 44% negli altri soggetti con storiadi infezione post-natale. Tuttavia per i bambini cinesi  la probabilità cumulativa di sierocon-versione ad anti-HBe  era del 75%  dopo 13 anni di osservazione. Poiché molti pazienti eranoadottivi, gli Autori suggerivano che anche la nutrizione e la cura delle eventuali infezionipoteva aver influito significativamente sullo stato immunologico dei soggetti. La clearance di HBsAg nel paziente infettato alla nascita è rara e si attesta su 0.6% all’anno15

Che cosa succede dei pazienti pediatrici che diventano adulti HBeAg positivi? Dovremmocercare una risposta nell’ambito delle casistiche di giovani adulti descritte in Cina. Uno studioprospettivo di 240 giovani (età media 27 anni) con epatite cronica B a transaminasi normaliregistra 85% di sieroconversioni ad anti-HBe  tra i 20 e i 39 anni12; durante un follow-up di6.8 anni dalla sieroconversione vi è stata una ripresa di malattia nel 15% dei casi (2.2% rateannuo) e un’evoluzione a cirrosi in 5.4 % (0.5% casi all’anno). Sono stati segnalati diversi fattori  che possono ritardare la sieroconversione ad anti-HBe nelpaziente tollerante, oltre alla elevata viremia e ai bassi livelli di ALT: la presenza di genotipoC13, e la pubertà più tardiva.14

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Complicanze dell’infezione perinataleComplicazioni severe quali lo sviluppo di epatite cronica HBeAg negativa, di cirrosi ed epa-tocarcinoma sono rare in età pediatrica. A Taiwan l’incidenza di HCC prima della vaccina-zione era di 0.7 casi/100.000 bambini tra 6 e 14 anni e si è ridotta a 0.3 casi dopo le campagnevaccinali. In uno studio prospettivo di 426  bambini cinesi con infezione cronica da HBV solo2 (incidenza 32/100.000 anni persona) sviluppavano HCC16. Erano maschi, con storia di pre-coce seroconversione ad anti-HBe  e sviluppo di cirrosi. In 51 casi di HCC descritti nel 1987a Taiwan il 74% era associato a cirrosi incluso il 95% dei bambini con meno di 9 anni 17. la storia dell’infezione postnatale. Se ne può considerare “prototipo” il  bambino caucasicoche si infetta nei primi anni di vita , specialmente in ambito familiare, ed è in grado di svi-luppare già subito una risposta immunitaria anche se solo parzialmente efficace18. E’ unbambino HBeAg positivo,  con aumento variabile di ALT e con livelli di HBV DNA tra 105 e108 cp/ml. 19-21 Può avere una storia di epatite acuta nel 10% dei casi o presentarsi per sintominon-specifici (20-30%) L’istologia epatica mostra segni di infiammazione e necrosi di variabileentità. La fase cronica è asintomatica e la sieroconversione ad anti-HBe avviene con un tassoannuo di 14-16 % nei primi 10 anni di follow-up20-21. Nello studio di coorte di Padova, durato29 anni20, è descritto l’esito dell’epatite cronica B senza cirrosi in 85 bambini caucasici doposieroconversione ad anti- HBe. Durante un periodo di osservazione mediamente di 15 anniil 95% dei casi è rimasto portatore asintomatico di infezione ed HBV DNA è divenuto indo-sabile con PCR nel 45% dei casi seguiti. La clearance di HBsAg si è mantenuta su livelli di1% anno. Una favorevole evoluzione dell’epatite B è stata confermata in altre casistiche Eu-ropee 22,23. Complicanze dell’infezione postnatale.Sono rare. Nello studio di coorte di Padova il 6% dei bambini sperimentava la persistenzadi danno epatico o presentava una riattivazione delle replicazione virale dopo sieroconver-sione ad anti-HBe . Fattori come la tossicodipendenza o la gravidanza emergevano dalla sto-ria di questi pazienti. Già nel 1986 in una serie di 292 bambini HBsAg positivi arruolati aPadova e Genova si evidenziò una prevalenza di cirrosi del 3.4%: tutti 10 i pazienti eranomaschi, 8 con esordio  acuto o sintomatico, di cui 3 con epatite delta24. Nessuno evolveva adHCC nei 10 anni di osservazione. Nella coorte di Padova il 3% dei  pazienti con epatite cro-nica B ha sviluppato cirrosi mentre  in una coorte di 108 bambini a Napoli23 si è osservato unsolo caso in 12 anni di follow-up (1.7%). Tutti gli studi suggeriscono che la cirrosi sia la con-seguenza di  una breve fase HBeAg positiva con importante danno epatico in pazienti pre-feribilmente maschi. Può evolvere ad HCC ma anche regredire a modesta fibrosi, comerecentemente osservato25.  Considerazioni terapeuticheGli aggiornamenti sulla storia naturale dell’epatite B acquisita in epoca perinatale o post-na-tale hanno evidenziato come in entrambe queste forme vi possa essere un’evoluzione sfavo-revole sia pure di proporzioni e tempi diversi: nell’infezione perinatale le complicanze siverificano preferibilmente nell’età adulta, per lo più dopo i 30 anni, mentre nell’infezionepostnatale la cirrosi è un evento tendenzialmente precoce. L’obiettivo della terapia è in en-trambi i casi quello di prevenire la progressione di malattia mediante la soppressione stabiledella replicazione virale.Non vi sono linee guida per la terapia dell’epatite B aggiornate e dedicate espressamente al

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bambino, ma vi sono numerose “reviews, workshops e raccomandazioni di esperti”.26-30 cheprendono in considerazione la storia naturale dell’epatite pediatrica per proporre ragionevoliindicazioni al trattamento.  I farmaci sperimentati nel bambino sono stati iFN, lamivudina e adefovir: i primi due sonostati usati abbastanza ampiamente dopo l’approvazione da parte dell’ FDA e rappresentanodue diversi tipi di approccio al trattamento dell’epatite B. iFN è un costituisce una terapiacostosa e disagevole (iniettiva),  ma di breve durata e senza comparsa di resistenze. L’IFN viene somministrato alla dose di 5-6 MU/m2 tre volte la settimana per 4/6 mesi e larisposta al trattamento viene misurata a sei mesi dallo stop-terapia. I primi trials condotti inbambini cinesi con ALT normali davano risultati scoraggianti: 3% dei pazienti rispondevaall’IFN e solo il 13 % all’IFN preceduto da prednisone.31 Nei bambini con infezione postnatalela clearance di HBeAg si verificava  nel 26-40 % dei casi trattati con IFN e  in 11-13 % dei casinon trattati con una differenza statisticamente significativa 32-34. I fattori predittivi di rispostaerano ALT≥ 2xN, livelli bassi di viremia e aspetti istologici di attività di malattia.  L’efficaciaa lungo termine dell’ IFN nell’infezione postnatale è stata indagata in uno studio di 107 bam-bini o adolescenti trattati  e in 59 controlli non trattati seguiti per 5 anni 35. Il tasso di siero-conversione ad anti-HBe era 31% e 13.5%, rispettivamente, nei trattati e nei controlli 12 mesidopo lo stop terapia, ma 60 e 65 % rispettivamente, a 5 anni dall’inizio dello studio. Da notarecome il 25% dei pazienti trattati avesse eliminato HBsAg al termine dei cinque anni di os-servazione, contro nessuno dei casi non trattati. In uno studio recente di bambini e giovaniadulti cinesi con ALT basali maggiori di 80 IU/l e bassi livelli di HBV DNA  21 pazienti ve-nivano trattati per 6 mesi con IFN e 21 rimanevano senza trattamento: la percentuale di clea-rance di HBeAg a 12 mesi e a 6 anni dalla fine della terapia era  sovrapponibile  nei duegruppi di soggetti 36 , mentre il  9% dei  casi trattati contro 4% dei non-trattati eliminavaHBsAg. Questi risultati suggeriscono che l’interferone abbia semplicemente accelerato l’iterspontaneo dell’infezione e della malattia.L’IFN ha effetti collaterali significativi e relativamente frequenti (fino al 90% dei casi). Du-rante la terapia con IFN è stato anche descritto un ritardo della crescita che tuttavia persistefino a pochi mesi dopo lo stop-terapia. la lamivudina è un analogo nucleosidico assunto per via orale alla dose di 3mg/kg die; hapochi effetti collaterali, è più economica, ma può indurre la selezione di ceppi virali resistential farmaco già dopo un anno di terapia. Quanto alla percentuale di risposta completa, connegativizzazione di HBV DNA e normalizzazione di ALT, i risultati ottenuti con la lamivu-dina  in monoterapia sono simili a quelli ottenuti con IFN. L’efficacia e la sicurezza della la-mivudina sono state valutate in due ampie casistiche multicentriche nel corso di uno studiorandomizzato placebo-controllo pubblicato nel 2002. Il primo studio 37 includeva 286 bambiniHBeAg positivi, 191 assegnati al trattamento e 95 considerati come placebo. Il tasso di rispo-sta a 52 settimane era 23% nei casi trattati e 13 % nei controlli  non trattati. Un’estensione diquesto studio 38 dimostrava che la frequenza di mutanti virali resistenti al farmaco era  19 %alla fine delle 52 settimane di trattamento ma di 64% dopo tre anni. La comparsa di mutanteinduce una ripresa della replicazione virale e del danno epatico (breaktrough) mentre l’in-terruzione della terapia può rendersi responsabile di  picchi di  ALT che richiedono un mo-nitoraggio attento dei pazienti. La combinazione lamivudina-IFN ha dato risultati controversi. In uno studio pilota 23 bam-

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bini con infezione da HBV perinatale e ALT normali o lievemente alterate sono stati trattaticon la singola lamivudina per 8 settimane e successivamente con una combinazione di la-mivudina e IFN per 10 mesi: 5 casi (22%) hanno sieroconvertito anti-HBe e 4 di essi hannoeliminato anche HBsAg, tanto da suggerire che anche i bambini con infezione perinatale pos-sono beneficiare della terapia39.L’adefovir ha mostrato livelli di risposta sostenuta sovrap-ponibili  a  quelli  della  lamivudina  ed  è  in  grado  di  suscitare  resistenza.40 Altri  farmaciantivirali sono oggetto di sperimentazione nel bambino.in base alle esperienze attuali chi dovrebbe essere trattato?Un meeting di consenso europeo sul trattamento dei bambini HBeAg positivi tenutosi nel1997 suggeriva di ricorrere alla terapia (allora solo IFN standard) nei bambini HBeAg positivie HBV DNA positivi, di eta’ superiore a 2 anni, con ALT≥ 2x N 41.Nel 2007  le linee guida AASLD42 suggerivano di prendere in considerazione la terapia (IFNo lamivudina) in bambini sopra i 2 anni, con ALT≥ 2xN, HBeAg positivo, con HBV DNA ≥105 cp/ml, e segni istologici di attività. Questi  parametri sono gli stessi che si osservano allasieroconversione spontanea, pertanto i pazienti da candidare andranno seguiti almeno alcunimesi con più controlli per verificare l’andamento bioumorale e sierologico spontaneo. Non ci sono indicazioni alla terapia dei pazienti immunotolleranti che dovrebbero essere se-guiti periodicamente e presi in considerazione in caso di aumento dell’ALT.  Prospettive Il vaccino per l’epatite B non solo previene l’epatite fulminante, ma anche la cirrosi e l’HCC.La vaccinazione rimane quindi il cardine per far fronte all’infezione da HBV e alle sue con-seguenze, anche se a livello internazionale si richiederanno probabilmente molti anni ancoraper risolvere i problemi socio-economici relativi alle campagne vaccinali. Nel frattempo èimportante monitorare i bambini con infezione cronica, provvedere con i farmaci disponibileal trattamento dei pazienti con malattia particolarmente attiva, verificare la sicurezza a lungotermine dei farmaci in uso  nell’adulto e supportare  trials terapeutici  adeguati  per disegnoe numerosità  del campione.

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Malattia da Virus dell’epatite B

iNFEZiONE OCCulta da HBV Teresa Pollicino

Epatologia Clinica e Biomolecolare, Dipartimento di Medicina Interna

Policlinico Universitario di Messina

L’infezione occulta da virus dell’epatite B (Occult B Infection, OBI) è caratterizzata dalla per-sistenza a lungo termine dei genomi virali all’interno del tessuto epatico (ed in alcuni casianche nel siero) di individui negativi per l’antigene di superficie dell’HBV (HBsAg). Tale infezione, identificata sin dalla seconda metà degli anni ’70, è stata studiata con maggioraccuratezza nell’ultimo decennio grazie alla disponibilità di tecniche di biologia molecolaresempre più sensibili e specifiche che hanno permesso di definire alcuni dei suoi aspetti viro-logici, dimostrarne la diffusione ubiquitaria ed il possibile ruolo in alcuni ambiti clinici. Tut-tavia, ancora oggi, le problematiche legate all’OBI rappresentano uno degli argomenti piùdibattuti nell’intero ambito delle epatiti virali. A marzo 2008 si è svolto il primo meeting internazionale interamente dedicato all’OBI cheha riunito un folto e prestigioso gruppo di esperti (virologi, clinici e trasfusionisti) i qualihanno redatto un documento conclusivo (gli “Statements from the Taormina expert meetingon occult hepatitis B virus infection”) pubblicato ad ottobre dello stesso anno sulla rivistaJournal of Hepatology  e che stabilisce i principi basilari dell’OBI.La base molecolare dell’infezione occulta risiede nel caratteristico ciclo cellulare dell’HBVed in particolare in quella fase che vede la conversione del genoma virale (di circa 3,2 Kb dilunghezza) in una struttura a DNA circolare a doppia elica completa, legata in maniera co-valente e detta cccDNA (cccDNA = covalently closed circular DNA). Il cccDNA è, pertanto,una forma molecolare intermedia del ciclo replicativo dell’HBV, capace di persiste nel nucleodella cellula ospite come un vero e proprio mini-cromosoma e che funge da stampo per la tra-scrizione di tutti gli mRNA virali. La stabilità e la persistenza a lungo termine delle molecoledi cccDNA -  insieme alla lunga emivita degli epatociti - fa in modo che l’infezione virale,una volta instauratasi, possa persistere anche per tutta la vita.  L’OBI sembra essere dovuta essenzialmente ad una forte soppressione della replicazione vi-rale e dell’espressione genica del virus la cui variabilità è comparabile a quella dei genomidi HBV estratti dai soggetti con epatite B cronica manifesta. I meccanismi responsabili del-l’inibizione delle attività dell’HBV rimangono tuttora poco conosciuti, i dati disponibili sug-geriscono che la risposta immune dell’ospite, la co-infezione con altri agenti infettivi e fattoriepigenetici possano giocare un importante ruolo nell’indurre lo “stato occulto” di HBV. Asupportare il ruolo del sistema immunitario, in particolare della risposta cellulo-mediata,contribuiscono almeno due evidenze: (a) la persistenza di una forte risposta T cellulare virus-specifica anche a distanza di anni dalla “risoluzione” dell’infezione (verosimilmente dovutaal perdurare della produzione di una minima quantità di antigeni, tanto esigua da esserenon rilevabile, ma comunque sufficiente a mantenere una risposta efficace); (b) la possibilitàche, in condizioni di immunosoppressione, si verifichi una riattivazione dell’infezione oc-culta con la ricomparsa del tipico profilo sierologico dell’infezione da HBV in atto. Entrambequeste evidenze supportano l’ipotesi che nell’OBI si realizzi una sorta di equilibrio efficacefra virus ed immunità dell’ospite.

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In considerazione di ciò si è stabilito di definire come infezione occulta vera un’infezione incui l’HBV è fortemente inibito nella sua capacità replicativa e nella sua espressione genica ecome infezione occulta falsa un’infezione determinata da virus mutanti a livello del gene S, sìda determinare il mancato riconoscimento dell’HBsAg da parte degli anticorpi anti-HBs uti-lizzati dai kit commerciali. Sulla base del profilo virologico, i pazienti con OBI possono esseredistinti in OBI-sieropositivi (anti-HBc- e/o anti-HBs-positivi) ed OBI-sieronegativi (anti-HBc-ed anti-HBs-negativi) ed in entrambi i casi l’HBV DNA serico, quando è possibile indivi-duarlo, è presente in quantità minime, solitamente inferiori a 200 UI/ml. Ad oggi non esiste una metodica valida e standardizzata per la diagnosi del virus B occulto,esistono invece diverse tecniche più o meno sensibili. Il più corretto approccio metodologicoper l’individuazione di tale virus è l’analisi di estratti di DNA epatico. Tuttavia, bisogna con-siderare che la disponibilità di estratti di tessuto epatico dipende dall’esecuzione di un’ago-biopsia epatica, che, come è ovvio, non può essere eseguita in un numero considerevole disoggetti. Inoltre un’importante raccomandazione, emersa dal meeting di Taormina, riguardai campioni biologici da esaminare che debbono essere raccolti, conservati e poi esaminatinelle condizioni ottimali previste per le indagini. In atto i campioni ematici rappresentano,in molte circostanze, il substrato “obbligato” per lo studio dell’OBI. Infatti, la stragrandemaggioranza dei dati disponibili sull’infezione occulta da HBV deriva da studi effettuatianalizzando campioni di sangue ed utilizzando procedure tecniche abbastanza diverse intermini sia di specificità che di sensibilità e, di conseguenza, i risultati ottenuti sono statispesso contraddittori. Attualmente,  il gold standard per l’identificazione dell’HBV occulto è l’analisi di estratti delDNA effettuata mediante una tecnica di doppia amplificazione in PCR e l’utilizzo di primers

specifici per almeno tre differenti regioni genomiche dell’HBV. Solo nei casi in cui i test bio-molecolari non possano essere effettuati si può utilizzare la po-sitività dell’anticorpo anti-HBc quale marcatore surrogato di OBI allo scopo di identificarepossibili portatori di detta infezione in caso di donazione di sangue od organi e quando unaterapia immuno-soppressiva deve essere intrapresa. In questo contesto, è importante ricor-dare che una percentuale rilevante di casi di OBI sono HBV siero-negativi e che i test per laricerca dell’anti-HBc possono dare risultati falsamente positivi.La letteratura scientifica dimostra che la diffusione dell’infezione da HBV occulto è ubiqui-taria a livello mondiale e la sua distribuzione riflette la generale prevalenza dell’HBV nellevarie aree geografiche; è ormai generalmente accettato che i pazienti portatori di HCV costi-tuiscano la categoria di individui con maggior prevalenza di infezione occulta (circa un terzodei soggetti HCV positivi residenti nel bacino del Mediterraneo, proporzione che diventaancora più elevata nelle aree dell’Est Asiatico). In generale, tutte le categorie di pazienti a ri-schio di infezioni a trasmissione parenterale (tossicodipendenti, emodializzati, HIV-positivi)sono state ampiamente valutate per la presenza di infezione occulta, sebbene con il raggiun-gimento di risultati talora divergenti.L’infezione occulta da HBV costituisce un argomento di grande attualità ed interesse soprat-tutto in ragione del considerevole impatto clinico, che la vede potenzialmente coinvolta inquattro evenienze: trasmissione dell’infezione da HBV, riattivazione acuta dell’infezione,contributo all’evoluzione di malattia epatica associata ad altra causa di danno del fegato (inparticolare infezione da HCV), ruolo nello sviluppo dell’epatocarcinoma (HCC).

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EPatitE B: Malattia di GENErE?Erica Villa

Gastroenterology Unit, University of Modena and Reggio Emilia

Via del Pozzo 71, 41100 Modena

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SUMMARY

La storia naturale dei rapporto dell’infezione da  HBV con il suo ospite naturale è decisa-mente più sfavorevole per l’uomo che per la donna. Durante tutto il corso della storia natu-rale si osserva un aumento progressivo del rapporto maschio/femmina che tocca il suomassimo nell’HCC dove esso può arrivare fino a 5-7:1. Anche se non è ben chiarito il modo con cui gli estrogeni determinano  un aumento del ri-schio di sviluppo di HCC nell’uomo,  essi hanno un ruolo sicuramente importante nell’au-mentare il rischio di sviluppo di HCC.  Nella donna gli estrogeni hanno un effetto protettivose l’esposizione si attua in tempi fisiologici  ma che questo può invertirsi se l’esposizione ini-zia troppo presto nella vita.

KEY POINTS• Lo sbilanciato rapporto maschi/femmine (con prevalenza maschile) è una caratteristica

presente in tutto il mondo• Questo rapporto sbilanciato è presente in tutti gli stadi della malattia cronica di fegato as-

sociata all’epatite B e aumenta con il progredire della malattia• Specificamente per l’infezione da HBV il ruolo dei recettori per gli estrogeni e soprattutto

di quelli modificati nell’esone 5 potrebbe essere estremamente importante nella carcino-genesi epatica essendo dimostrata un’interazione specifica con HBx.

RELAZIONESono numerosi i dati relativi all’impatto del “genere” (inteso ovviamente come “gender”)nella storia naturale dei soggetti con infezione cronica da virus dell’Epatite B (HBV). I primidati relativi a questa caratteristica sono ormai storici (ma ancora non smentiti, anzi se maiulteriormente confermati)  e risalgono a studi di Blumberg che ipotizzò, nel lontano 1979,che vi fosse una maggiore percentuale di soggetti HBsAg-positivi per una sorta di selezionenaturale in negativo in utero degli embrioni di sesso femminile (1). Va detto che questa ipo-tesi, che rimane in larga parte un’ipotesi e non è stata dimostrata se non in modo indiretto,rimane tuttavia l’unico dato ostile che la natura avrebbe riservato al sesso femminile in rela-zione  ai  rapporti  con  l’HBV  perché  per  tutto  il  resto,  la  storia  naturale  dei  rapportoHBV/ospite è decisamente più sfavorevole per l’uomo che per la donna.

Distribuzione epidemiologicaLa prevalenza del sesso maschile sia nell’ambito della condizione di portatore cronico asin-tomatico che di paziente con epatite cronica, cirrosi epatica od HCC è sbilanciata fra sesso

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maschile e sesso femminile. Nell’ambito del portatore cronico asintomatico, il rapporto frasesso maschile e quello femminile è già all’incirca di 2:1 (2) per poi crescere gradualmentefino a diventare di 3-4:1 nelle malattie epatiche croniche (3,4)  e anche di 7:1 nel caso dell’HCCassociato all’infezione da HBV (4).Questo dato epidemiologico è comune a tutto il mondo: non vi sono aree in cui non si osserviquesta sbilanciata distribuzione fra i due sessi. 

Correlazione con lo stato di malattia ed il suo andamentoCome si è visto dal dato epidemiologico, non solo vi è uno sbilanciato rapporto fra maschi efemmine nella condizione di portatore cronico asintomatico ma questa sproporzione au-menta  rapidamente nel corso della storia naturale di malattia. Di nuovo, curiosamente, que-sto sbilanciamento è presente in tutto il mondo. Sono state fatte diverse ipotesi per cercaredi spiegare il fenomeno del progressivo aumento della percentuale di soggetti di sesso ma-schile nel corso della storia naturale (che è più spiccata nell’infezione da HBV  ma che si ve-rifica anche nelle altre condizioni ad eziologia non virale e nell’infezione da HCV): sono staticonsiderati soprattutto stile di vita (alimentazione, abuso di alcool, abuso di altre sostanzee farmaci), altri fattori di rischio (co-infezioni), l’assetto ormonale; sono state formulate di-verse ipotesi ma non si è arrivati ad una dimostrazione effettiva del possibile meccanismoalla base di questo dato.

Sviluppo di HCC e sessoNon è chiaro cosa porti allo sbilanciamento che era menzionato precedentemente: un datocerto anche se non è chiara la ricaduta è la marcata alterazione dell’equilibrio ormonale chesi viene a creare nel paziente con cirrosi epatica (maggiormente ma non esclusivamente  adeziologia alcoolica) tanto da arrivare ad una “femminilizzazione” anche fenotipica del pa-ziente (5-6). I meccanismi  alla base di queste alterazioni sono  molteplici e possono esserericondotti ad un alterato metabolismo ormonale  dovuto alla malattia di fegato; ad insuffi-cienza dell’asse ipotalamo/pituitario/asse gonadico, un diretto effetto tossico di sostanze(quali ad esempio l’alcool) sulle gonadi .Sono stati studiati estensivamente anche i recettori ormonali a livello epatico (soprattutto irecettori per gli estrogeni: alfa e beta): tuttavia, nonostante questi recettori abbiano un ruolofunzionale nel fegato, il loro ruolo nel favorire o mantenere la carcinogenesi non è chiaro.Sicuramente, lo scarso effetto delle terapie anti-estrogeniche classiche come il Tamossifenesuggerisce che almeno per quanto riguarda ER alfa classico il ruolo nello sviluppo tumoralesia scarso.  Diverso è il possibile ruolo del recettore alfa variato (ERa d5) che deriva da untrascritto deleto nell’esone 5 del gene per il recettore degli estrogeni (7). La sua presenza nelfegato è stata dimostrata sia nel fegato cirrotico che in quello tumorale, soprattutto nel ma-schio (8, 9) e sicuramente le forme tumorali con maggiore presenza del trascritto deleto hannoun comportamento più aggressivo ed una crescita più veloce delle altre.  Di estremo interesseun recente studio di Han e collaboratori (10) che ha studiato l’interazione fra il recettore pergli estrogeni alfa classico, quello  deleto e la proteina x dell’HBV mettendo in evidenza cheHBx e ERad5  hanno un effetto additivo sull’inibizione del  signaling degli estrogeni verosi-milmente attraverso un reclutamento dell’istone deacetilasi 1 (HDAC1). Questo dato po-trebbe avere un’estrema rilevanza poichè sono già in fase di studio in vivo farmaci con azioneinibente le HDAC quali la  Tricostatina [11].

Malattia da Virus dell’epatite B

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Un dato aggiuntivo che può completare l’interpretazione dei dati di connessione HCC edestrogeni è quello che è stato studiato nelle donne in relazione ai fattori riproduttivi. Unestensivo studio di Yu e collaboratori (4) ha evidenziato dati molto interessanti: un aumentataesposizione agli estrogeni durante la vita adulta (sia che questo avvenga attraverso un au-mentato numero di gravidanze  oppure una ritardata menopausa) diminuisce il rischio disviluppo di HCC. Questo indipendentemente dallo stato di portatore di HBV o di HCV delladonna in questione. Quello che è però molto interessante (e che si applica solo alle donneportatrici di HBsAg) è l’aumento di oltre 6 volte del rischio di sviluppo di  HCC in relazionead un menarca precoce: questo una volta di più suggerisce che l’elemento chiave nell’inter-pretazione del ruolo degli estrogeni nel favorire lo sviluppo di HCC è l’equilibrio fra espo-sizione  in  tempi  ed  in modi  fisiologici  e  quella  invece  che  si  viene  a  creare  per  tempieccessivamente precoci o con modalità eccessive (come per l’uomo) per condizioni di con-comitante malattia (12).

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BiBliOGraFia aGGiOrNata

1. Blumberg BS. Sex differences in response to hepatitis B virus. I. History. Arthritis Rheum. 1979;22:1261-6.2. Manno M, Camma C, Schepis F, Bassi F, Gelmini R, Giannini F, Miselli F, A Grottola A, Ferretti I, Vecchi C,

De Palma M, Villa E. Natural history of chronic HBV carriers in northern Italy: morbidity and mortalityafter 30 years. Gastroenterology. 2004;127:756-63.

2. Villa E,   Baldini GM, Pasquinelli C, Melegari M, Cariani E, Di Chirico G, Manenti F. Risk factors for hepa-tocellular carcinoma in Italy. Male sex, hepatitis B virus, non-A non-B infection, and alcohol. Cancer. 1988;62:611-5. 

4. Yu MW, Chang HC, Chang SC, Liaw YF, Lin SM, Liu CJ, Lee SD, Lin CL, Chen PJ Lin SC, Chen CJ. Role ofreproductive factors in hepatocellular carcinoma: Impact on hepatitis B- and C-related risk. Hepatology.2003 ;38:1393-400

5. Farinati, F., De Maria, N., Marafin, C., et al.  Hepatocellular carcinoma in alcoholic  cirrhosis: is sex hormoneimbalance a a pathogenetic factor. Eur. J. Gastroenterol. Hepatol. 1995¸7, 145-50 

6. Nagasue, N., Ogawa, Y., Yukaya, H., Ohta, N., Ito, A.. Serum levels of estrogens and testosterone in cirrhoticmen with and without hepatocellular carcinoma. Gastroenterology 1985¸88, 768-772.

7. Fuqua SA, Fitzgerald SD, Chamness GC, Tandon AK, McDonnell DP, Nawaz Z, O’Malley BW, McGuireWL. Variant human breast tumor estrogen receptor with constitutive transcriptional Activity. Cancer Res.1991; 51,105-9.

8. Villa E, Camellini L, Dugani A, Zucchi F, Grottola A, Merighi A, Buttafoco P, Losi L, Manenti F. Variant estro-gen receptor messenger RNA species detected in human primary hepatocellular carcinoma. Cancer Res.1995; 55,498-500.

9. Villa E, Dugani A, Moles A, Camellini L, Grottola A, Buttafoco P, Merighi A, Ferretti I, Esposito P, MiglioliL, Bagni A, Troisi R, De Hemptinne B, Praet M, Callea F, Manenti F. Variant liver estrogen receptor transcriptsalready occur at an early stage of chronic liver disease. Hepatology 1988; 27, 983-8.

10. Han J, Ding L, Yuan B, et al. Hepatitis B virus X protein and the estrogen receptor variant lacking exon 5 in-hibit estrogen receptor signaling in hepatoma cells. Nucleic Acids Res. 2006; 34,3095-106.

11. Ganslmayer M, Ocker M, Zopf S, Leitner S, Hahn EG, Schuppan D, Herold C. A quadruple therapy syner-gistically blocks proliferation and promotes apoptosis of hepatoma cells. Oncol Rep. 2004; 11,943-50.

12. Villa E. The role of estrogen in liver cancer. Women’s Health (Lond Engl). 2008;4:41-50.

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COiNFEZiONE HdVAntonina Smedile

S.C.D.U. Divisione di Gastroenterologia ed Epatologia,

Laboratorio di Fisiopatologia Epatica e Digestiva

A.S.U. San Giovanni Battista e Dipartimento di Medicina Interna,

Università degli Studi di Torino

Summary

Il virus dell’epatite delta (HDV)  è stato scoperto da oltre un trentennio ( 1977).  Il virus è stato clonato e sequenziato nel 1986 e  classificato nella famiglia dei “Deltaviridae”di cui rappresenta l’unico genere “Deltavirus”  fino adesso identificato. L’origine del virusdelta rimane ancora un mistero.   Sono stati descritti  8 genotipi variamente abbinati ai diversigenotipi del virus HBV sulla base della distribuzione geografica. La confezione HDV/HBVda recenti stime epidemiologiche dopo una riduzione significativa negli anni ’90 rimane sta-bile introno al 8-13% in Italia ed Europa. Tra i principali fattori di rischio emersi negli anni’80 nel periodo epidemico come la tossicodipendenza per e.v.  e le trasfusioni di sangue, ogginuove modalità emergenti di diffusione sono state descritte come le pratiche estetiche (pier-cing, tatuaggi, chirurgia ) e promiscuità sessuale. Foci epidemici causa di epatiti fulminantesono ancora oggi descritti nei paesi dell’Est- Europa (Russia, Romania) e dell’America Latina(Ecuador, Venezuela, Peru’).I casi di epatite acuta delta sono drasticamente diminuiti in parallelo ai casi di infezione acutada HBV e alla riduzione dei fattori di rischio principali. I nuovi casi incidenti sono registrati in giovani, stranieri, provenienti da aree ad alto rischioper infezione da HBV con una confezione HDV/HBV spesso attiva per entrambi i virus.         I casi prevalenti di  epatite cronica  e  cirrosi delta appartengono ad una coorte di pazientiselezionati e sopravissuti al picco epidemico. Nel tempo questi pazienti hanno sviluppatouna cirrosi e le sue complicanze, molti sono stati trapiantati con successo, e pochi sponta-neamente o trattati con IFN hanno eliminato l’HBsAg.

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Key-Points

Il virus delta (HDV) è un virus ad RNA, il genotipo HDV-1 è quello prevalente in Italia. Sonostati identificati nel mondo 8 diversi genotipi variamente abbinati con i genotipi del virusHBV. I genotipi del virus delta correlano con 

forme cliniche a decorso benigno (HDV-2) mentre il  genotipo HDV-3  associato al genotipo HBV-F  correla con forme a decorso  fulminante.

L’infezione da virus dell’epatite delta (HDV) ha registrato una significativa riduzione dal1983 (picco dell’epidemia delta)  al 2005. Studi epidemiologici recenti in Italia ed in Europadocumentano una stabilità della prevalenza dell’anticorpo anti-HDV (10-15%) in portatoricronici di HBV. 

I principali fattori di rischio per l’acquisizione dell’infezione HDV sono l’uso di sostanze stu-pefacenti, la coinfezione con HIV, la promiscuità sessuale, e la provenienza da aree geogra-fiche ad elevata endemia per HBV. I nuovi casi incidenti di confezione HDV/HBV sonodescritti in soggetti giovani, stranieri, con una infezione attiva per entrambi i virus. 

L’infezione HDV è causa di epatite acuta, oggi drasticamente in riduzione,  talvolta a decorsofulminante (foci attivi sono ancora presenti in America Latina),  epatite cronica, cirrosi epaticacon le sue complicanze ed HCC.

La diagnosi d’infezione HDV si basa sull’impiego di markers indiretti (anti-HDV, IgM anti-HDV)  e diretti  (HDV-RNA, HDAg nel fegato). I livelli di HDV-RNA sono utili nel monito-raggio della risposta alla terapia antivirale. Monitoraggi periodici dei markers HDV e HBV(IgM anti-HBc, livelli HBV-DNA) sono necessari per documentare forme floride per  en-trambi i virus. Utile il recente impiego dei livelli di HBsAg nel monitoraggio della terapiaantivirale.

La terapia prolungata on IFNs standard o IFN-peghilati o con analoghi nucleosid(t) ici hacambiato solo in pochi casi la storia naturale dell’epatite cronica delta che rimane ad oggiuna causa importante di cirrosi epatica giovanile . 

I pazienti con cirrosi delta trapiantati hanno una sopravvivenza a 10-15 anni del 98%. La pro-filassi pre-trapianto con lamivudina e/o altri antivirali, in cirrotici delta con  alti livelli diHBV-DNA, seguita dalla profilassi combinata con HBIg nel post-trapianto, rappresenta  unaconsolidata strategia di successo per la prevenzione della reinfezione. 

Biologia ed Origine del Virus HdV

Il virus dell’epatite delta (HDV)  è stato scoperto da oltre un trentennio ( 1977).  Il virus è stato clonato e sequenziato nel 1986 e  classificato in accordo con la tassonemia

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virale nella famiglia dei “Deltaviridae”  di cui rappresenta l’unico genere “Deltavirus”  finoadesso identificato. La particella virale, composita per la presenza dell’antigene di superficie(HBsAg)  del virus HBV,  ha un diametro di 37 nm,  contiene nel suo interno una singola mo-lecola di RNA di 1.7 Kb, che codifica per una singola proteina, l’antigene delta (HDAg). Lareplicazione del virus HDV si esplica   con un modello simile descritto nel mondo virologicovegetale  (viroidi e virus satelliti) e a piccole strutture genomiche ad RNA considerate ance-strali come i” Ribozimi” capaci di replicare in autonomia utilizzando i sistemi cellulari del-l’ospite. Sulla origine del virus delta sono state ipotizzate varie ipotesi che tendono ad unaevoluzione convergente o ad una origine distinta tra HDV ed i viroidi del mondo vegetale.L’analisi genetica delle regione meglio conservata, l’HDAg, ha portato alla distinzione di 8diversi genotipi (HDV-1- 8)  caratterizzati da una omologia di sequenza all’interno del sin-golo genotipo dell’81-89% e del 27-34% di divergenza tra i diversi genotipi. I genotipi delvirus HBV (HBV-A- F)  nella coinfezione HDV/HBV variano a seconda della diversa diffu-sione geografica. 

Epidemiologia e Modalità di diffusione

Le attuali stime indicano che i portatori cronici di HBV nel mondo sono circa  400-450 milioni.In Italia,  le recenti stime derivate da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con-ferma un dato di circa 900.000 portatori cronici  di HBV. Il  9- 10% di questi portatori cronicipresenta una coinfezione HDV/HBV. Possibile una  sottostima dell’attuale reale diffusionedell’infezione HDV per mancata disponibilità  dei tests diagnostici, limitata  per ovvie ragionicommerciali a pochi laboratori di ricerca. Inoltre in questi ultimi anni l’infezione da HCV eHBV hanno monopolizzato  l’interesse clinico e terapeutico dei clinici.L’infezione da virus delta è stata di tipo epidemico negli anni “70-“80 in relazione all’ elevatapresenza di portatori cronici d’infezione HBV  (2-3% ) in Italia.Nei paesi industrializzati la diffusione del virus HDV, come per il virus HBV, è stata favoritadall’uso di terapie parenterali e trasfusioni di sangue. Un secondo picco epidemico di rile-vanza sociale è stato  correlato alla tossicodipendenza per endovena nelle regioni del Nord-Italia mentre per il Sud-Italia alle scarse condizioni igienico-sanitarie e alle famiglie numeroseche hanno contribuito a diffondere a mantenere un fertile focolaio d’infezione HDV.I casi incidenti di epatite acuta delta da una recente rilevazione dell’osservatorio nazionaledelle epatiti acute virali (SEIEVA) è diminuita passando dal picco registrato nel 1993 di  2.8casi/milioni di abitanti, al 1.7 e al recente dato di 0.5 casi/milioni di abitanti nel 2004. Tra ifattori di rischio emergenti i nuovi stili di vita dei giovani come le pratiche estetiche (piercing,tatuaggi, chirurgia estetica)  e la diffusa promiscuità sessuale.

diagnosi

La diagnosi d’infezione delta si basa sulla determinazione in un soggetto HBsAg positivo dianticorpi diretti contro l’antigene delta (HDAg) di classe IgG (anti-HDV IgG) e IgM (anti-HDV IgM) e sulla ricerca diretta del genoma virale (HDV-RNA) nel siero con metodiche dibiologia molecolare per valutare la presenza o assenza di replicazione virale . I tests sierolo-

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gici di cui esistono kits commerciali,   si sono rilevati utili per lo studio dell’epidemiologiaHDV negli anni  ’70-80, periodo di massima diffusione dell’HDV in Italia. L’epatite acutadelta presenta 2 pattern di acquisizione primaria noti come confezione (HBV/HDV) e supe-rinfezione (HBsAg/HDV). Negli anni ’80 con la clonazione e sequenziamento del genomaHDV sono stati allestiti i primi tests molecolari per la ricerca dell’HDV-RNA nel siero. Questitests si sono evoluti nel tempo con il progressivo incremento di sensibilità  infatti,  per la ri-cerca dell’HDV-RNA sono state costruite sonde a cDNA , RNA (riboprobe) e quindi RT-PCR, fino alla recente messa a punto in-house qtPCR. Alla determinazione dell’HDV-RNA nelsiero, è seguita una ricerca di epidemiologia molecolare  basata sulla sequenza del genomaHDV nella sua regione più conservata, quella dell’antigene delta che ha portato a   confron-tare le sequenze del genoma HDV isolati  da foci epidemiologici ed aree diverse allargandocosi la tipizzazione dei genotipi HDV.   In Italia, Europa e USA il genotipo prevalente è il ge-notipo HDV-1, gli altri genotipi sono stati descritti in Oriente (genotipo HDV-2,  HDV-4), ge-notipo  HDV-3  in  Sud-America  e,  genotipo  HDV-5,  HDV-6,  HDV-7  ,  HDV-8  in  AfricaOccidentale e Centrale .La determinazione dell’ HDV-RNA è utile nella diagnosi dell’epatite acuta e cronica delta,nella terapia e monitoraggio. Gli studi virologici sulla confezione e superinfezione hannodocumentato nel decorso delle diverse fasi dell’infezione che la comparsa del genoma HDV-RNA, antigene delta nel fegato e nel siero come le prime spie dell’infezione cui segue la pro-duzione di anticorpi di classe primaria  IgM (anti-HDV IgM) di breve durata e di classe IgG(anti-HDV IgG)  con persistenza nel tempo. Tali eventi precoci spesso sfuggono alla diagno-stica nell’uomo ma sono stati ben studiati e caratterizzati nell’animale da esperimento e nelmodello umano del trapianto di fegato. La viremia HDV-RNA è stata misurata nelle diverseespressioni cliniche di infezione e malattia HDV-correlata. La prevalenza dell’HDV-RNA nelsiero misurata su un campione di 120 portatori cronici di HBsAg  è stata del 58%  nell’epatitecronica attiva (43/74), del 61% nei pazienti con epatite acuta delta (17/28) ed è risultata as-sente in 18 pazienti con risoluzione spontanea dell’epatite acuta e nei portatori sani d’infe-zione delta. Successivamente la prevalenza di  attiva replicazione in pazienti con epatitecronica delta è stato condotto con HDV-RNA assays più sensibili ( full-lenght cDNA, Ribo-probe)  raggiungendo percentuali nel siero dell’80-90% . La messa a punto di un RT-PCRassay per HDV-RNA ha oggi sostituito le obsolete metodiche di ibridizzazione con probesradioattivi ed ha ulteriormente incrementato i livelli di sensibilità consentendo un HDV-RNA assay semiquantitativo. Nello studio Italiano condotto dalla Dott.ssa Niro su 43 pazienticon epatite cronica delta, l’HDV-RNA misurato con tecnica PCR-nested  è stato riscontratonel  98 % dei pazienti.Una applicazione clinica della ricerca della  viremia HDV-RNA è stata nel valutare la rispostavirologica alla terapia con antivirali negli studi già condotti negli anni ’80 e 90’con l’Interfe-rone standard. Recentemente nei pazienti con epatite cronica delta la clearance dell’HDV-RNA nel siero rappresenta l’obiettivo primario di  nuovi trials  con IFN-pegilati e analoghinucleosidici . Il test RT-PCR HDV-RNA oggi disponibile  è utile per le sue caratteristiche ditest semiquantitativo per valutare in nested-PCR l’avvenuta eradicazione al termine dellaterapia e nella valutazione della risposta sostenuta virologica dopo 6 mesi dalla sospensionedella terapia.La recente messa a punto di una qtPCR HDV-RNA trova applicazione nella valutazione dei

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livelli viremici pre-terapia, nel monitoraggio in corso di terapia per valutare la cinetica viraleed identificare precocemente soggetti responder o non responder alla terapia.

L’epatite cronica HdV/HBV 

Le attuali stime indicano che i portatori cronici di HBV nel mondo sono circa  400-450 milioni.In Italia,  le recenti stime derivate da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con-ferma un dato di circa 900.000 portatori cronici  di HBV. Il  9- 10% di questi portatori cronicipresenta una coinfezione HDV. Le recenti stime potrebbero in parte sottostimare la preva-lenza dell’attuale diffusione dell’infezione HDV per una “distrazione diagnostica”  avvenutain questi ultimi anni in cui l’infezione da HCV e HBV sono state oggetto di maggiore interesseclinico e terapeutico.Tuttavia come rilevato in due recenti studi nazionali condotti  in tempi diversi (aa 2001 e2006/2007), la prevalenza della coinfezione HDV/HBV dopo una riduzione significativa re-gistrata negli anni di picco della epidemia delta dal 28% negli anni ’80 al 16% degli anni ’90,l’attuale riscontro nei portatori cronici di HBV è rimasta   stabile intorno al 9.7% e al 14.3%.L’epatite cronica da coinfezione HDV/HBV viene studiata con le  stesse metodiche di inda-gini non invasive (esame clinico, funzionalità epatica, ecografia addome superiore, elasto-grafia epatica)  o invasive (biopsia epatica, ricerca HDAg nel fegato) per la diagnosi di epatitecronica o cirrosi istologica virale. Importante associare sempre la valutazione  quantitativaper HBV per documentare una  attività o remissione virologica per il virus HBV e la ricercadell’IgM anti-HBc con prelievi seriati per la possibilità di forme floride per entrambi le infe-zioni virali o reciprocamente inibenti. La specifica attività virologica in corso di monitoraggioconsente di poter valutare il ruolo patogenetico del singolo virus e la scelta terapeutica otti-male. La biopsia epatica nella diagnosi dell’epatite cronica delta ha sempre evidenziato formeistologiche con una severa attività di malattia spesso ad evoluzione fibrotica (cirrosi) già allaprima diagnosi rispetto alle  altre epatiti croniche virali. A differenza del virus dell’epatite Be C dove non esiste una precisa correlazione tra i livelli di transaminasi ed entità del dannoepatico valutato istologicamente, per l’infezione delta l’attività delle transaminasi  correlaspesso con la  severità del danno epatico a livello istologico. Non esistono ad oggi  dati dimonitoraggio dell’epatite cronica delta con il fibroscan ma si ritiene il suo utilizzo utile perseguire nel tempo l’evoluzione fibrotica delle nuove infezioni in considerazione del ridottouso della biopsia epatica. Recentemente sono stati presentati studi clinici di storia naturale della confezione HDV/HBVche hanno messo in evidenza aspetti clinici noti ed emergenti della malattia delta. I dati sonostati analizzati in base ai differenti periodi di osservazione, epidemico (1980-90) e successivo(1991-2005/8). Negli anni della massima diffusione dell’infezione delta sono stati riportatinumerosi casi di epatite acuta delta (HDV/HBV coinfezione) con clearance virale di en-trambe le infezioni nel 90% dei pazienti mentre i casi di superinfezione sono tutti evoluti inepatite cronica. L’epidemia delta in quegli anni colpiva soggetti maschi, giovani, drogati,molti sono deceduti per epatite fulminate. Superato il picco epidemico i casi di epatite cronicae  cirrosi sono oggi più numerosi con una coorte selezionata di pazienti in età avanzata, trat-tati in passato con cicli ripetuti di IFNs, la cui prognosi correla con la presenza di cirrosi e

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l’età avanzata alla prima diagnosi.In un recente studio condotto in Spagna,  Buti et al, su una coorte di 158 pazienti con epatitecronica HDV/HBV seguiti per un folllow-up di 158 mesi  hanno dimostrato che il 72% ri-maneva stabile, 18% sviluppava una cirrosi scompensata, 3% sviluppava HCC e l’8% elimi-nava l’antigene HBsAg. Nello studio italiano di Niro et al, periodo di osservazione 1991-2005,sono stati inclusi 188 pazienti di cui il 43 % con ECA e il rimanente dei pazienti  presentavagià all’inclusione  una epatite cronica attiva  fibrotica/cirrotica, il 33% dei pazienti associavauna replicazione significativa per HBV (HBV-DNA>2.000 UI/mL). La metà dei pazienti erastata trattata con multipli cicli di IFNs e solo pochi pazienti avevano ricevuto terapia antivi-rale con analoghi nucleosidici (lamivudina). Durante il periodo di follow-up di 7.8+- 4.1 anni,21 pazienti con ECA sono evoluti in cirrosi. Dei127 pazienti cirrotici, 42 si sono scompensatie 17 (9%) hanno sviluppato HCC . Nel periodo di monitoraggio,  38 sono stati trapiantati, 11sono deceduti in lista di attesa e 10 pazienti sono in trattamento per scompenso e terapiadell’HCC. Gli studi di sopravvivenza liberi da eventi clinici  a 5 e 10 anni hanno documentatoper l’epatite cronica una sopravvivenza del 96.8% e 81.9%  mentre per la cirrosi del 83.4% edel 59.4% (p<0.01).  Nello studio italiano di Romeo et al, in presenza di replicazione attivaper HDV  il rischio di progressione in cirrosi o di sviluppare HCC è del 4% e 2.8%  / anno.Nella gerarchia delle cause di scompenso sono stati registrati in ordine l’HCC, l’ascite, l’itterocome espressione di insufficienza epatica ed eleggibilità per il trapianto di fegato. La confezione multipla HDV/HBV/HCV è stata documentata nell’8% dei casi in Italia e nel30-40% in Germania e Spagna,  con un rischio elevato in soggetti giovani, dediti alla  tossi-codipendenza per ev.

terapia

L’obiettivo della terapia nelle epatiti croniche virali è l’eradicazione dell’infezione con loscopo di evitare la progressione dell’epatite cronica in cirrosi e/o prevenire le  complicanzedella cirrosi epatica. La terapia dell’epatiti virali ha subito uno sviluppo significativo negliultimi venti anni. La terapia con Interferone alfa degli anni ‘80 è stata sostituita dalla più ef-ficace terapia di combinazione con Interferone alfa e Ribavirina. Negli ultimi 10 anni sonostati introdotti nuovi tipi di Interferone a lento rilascio (interferone alfa e beta Peghilato) chein combinazione con la Ribavirina hanno ulteriormente aumentato l’efficacia terapeutica emigliorato la tollerabilità. La terapia di combinazione di Peg-IFN (Peg-alfa-2b o Peg-alfa-2à)e Ribavirina è stata pertanto addottata come standard di terapia per l’epatite C. L’interferoneè stato il farmaco utilizzato con relativo successo anche nelle due  diverse forme  di epatiticroniche B come l’epatite cronica HBeAg-positiva e la forma più comune HBeAg-negativa.In questi ultimi anni nuovi e potenti farmaci antivirali per il virus HBV sono stati introdotticon successo. Sono farmaci della classe dei nucleosid(t)ici  di cui la Lamivudina è stato ilprototipo. Ad oggi per il trattamento dell’epatite cronica B sono disponibili e prescrivibilimolti farmaci di recente introduzione (Adefovir, Entecavir, Tenofovir, Truvada) ed altri sonoin fase di studio sperimentale. Il successo terapeutico di questi ultimi anni, ha consentitoanche nell’ambito della terapia dell’epatite cronica delta di sperimentare nuovi approcci te-rapeutici. Da sottolineare tuttavia come già negli anni ’80 i pazienti con epatite cronica delta

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trattati per 12 mesi con Interferone alfa raggiungevano tassi di risposta sostenuta scarsi omodesti (<15%) ed un levato tasso di recidiva virologica alla sospensione dell’IFN dimo-strando cosi’ una difficoltà al trattamento di questi pazienti. Molecole diverse dall’IFN sonostate sperimentate nell’infezione delta ma con nulla o scarsa  efficacia terapeutica. Lo studiopiù completo di valutazione di efficacia dell’IFN alfa monoterapia è stato quello condottosu un gruppo di pazienti di origine sarda,  giovani, ex-tossicodipendenti,  con attività di ma-lattia, in trattamento per 12 mesi e con una risposta sostenuta (SVR) virologica del 70%.  L’in-troduzione degli IFN-peghilati ha portato recentemente al loro impiego anche per la terapiadell’epatite cronica delta. Uno studio eseguito su una coorte di pazienti italiani  trattati conIFN-Peghilato alfa-2b monoterapia verso Peg-IFN in combinazione con ribavirina per un pe-riodo di 18 mesi ha dimostrato una risposta sostenuta del 18-21%, con eradicazioni virali ot-tenute anche in fase di monitoraggio. Questo risultato è da considerare non trascurabile inconsiderazione di più fattori come il fallimento finora dei precedenti farmaci, la tipologiadei pazienti  non-responder a precedenti cicli di IFNs e la presenza di una epatite cronica  infase avanzata di fibrosi o cirrosi istologica, fattori da sempre considerati negativi per la ri-sposta alla terapia. Le successive esperienze di terapia nell’epatite cronica delta sono stateanche dirette verso l’utilizzo di farmaci specifici per il virus HBV con il razionale di inibiretotalmente la sua replicazione anche se non significativa, considerando che con metodichequantitative i livelli viremici di HBV possono talvolta raggiungere valori soglia di patogeni-cità (HBV-DNA >2.000 UI/ml). La lamivudina è stato il primo farmaco utilizzato nell’ambitodi uno studio europeo randomizzato condotto su un numero adeguato di pazienti con epatitecronica delta della durata di 12 mesi senza evidenza di eradicazione virale. Alcuni casi spo-radici di epatite cronica delta sono stati trattati anche con Adefovir ed Entecavir con anologhirisultati. La clevudina (L-FMAU)  sperimentata con successo per il virus HBV,  nel modelloanimale della marmotta ha dimostrato la capacità di ridurre anche la sintesi dell’antigene disuperficie del virus HBV e con questo meccanismo svolgere un ruolo inibitorio per la for-mazione di particelle virali delta. Tuttavia il farmaco è stato sospeso per l’impiego nell’uomo.Nuovi stimoli ci vengono dai pazienti coinfettati con HIV e trattati per lungo periodo conanaloghi. In questi pazienti è stata documentata dopo anni (>5 anni) una caduta significativadei livelli di HBsAg che potrebbero indirettamente influire sulla formazione delle particelledelta complete.  La particolare organizzazione genomica del virus HDV ha portato a considerare approcciterapeutici diversi come strategia di target e diretti a contrastare specifiche sequenze nelcorso del peculiare processo di replicazione del virus. Sono stati sperimentati in vitro oligo-nucleotidi antisenso per il virus HBV capaci di alterare funzioni specifiche  del virus B  maindispensabili per la replicazione del delta. La prenilazione è un  processo di modificazionespecifica dei lipidi, l’antigene delta possiede un sito di prenilazione la cui modificazione ini-bisce l’assemblaggio di particelle virali. La particolare attività ribozimica del delta,  unicovirus umano capace di attività autocatalitica del suo RNA, e la recente scoperta di un suospecifico meccanismo  di  adattore  di attivazione e spegnimento (on/off adapter; SOFA)della replicazione rappresentano future ed entusiasmanti strategie di terapia.       

trapianto

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L’epatite cronica delta è presente  con prevalenze variabili in tutto il mondo. Nel Nord-Ame-rica cosi come in Europa ed in Italia il 10-15 % dei pazienti con cirrosi epatica HBV correlatapresentano una confezione HDV. La cirrosi epatica da HDV rappresenta ad oggi circa il 10-15 % delle indicazioni al trapianto di fegato in cirrotici HBV positivi. In Italia, per ragioniepidemiologiche e di ricerca questa forma di cirrosi epatica è stata meglio studiata e curata.Le prime indicazioni al trapianto di fegato per le forme di cirrosi avanzata risalgono agliinizi degli anni ’80 con tassi di recidiva elevati (>60%)  per una non appropriata protezionecon immunoglobuline anti-HBs. Con il miglioramento delle strategie di prevenzione dellarecidiva di infezione B dopo il trapianto con l’immunoprofilassi passiva a lungo termine, iltasso di recidiva è stato drasticamente ridotto al 9-10%,  fino ad essere completamente an-nullato nelle recenti casistiche di trapianto. La cirrosi delta costituisce una privilegiata indi-cazione al trapianto per gli ottimi risultati a distanza che la fanno considerare la miglioreindicazione tra le cirrosi virali. La sopravvivenza  a 10-15 anni dei cirrotici delta trapiantatiraggiunge il 98% in casistiche di trapianto raccolte in Italia e Francia. La profilassi pre-tra-pianto con lamivudina in cirrotici delta con attività virologica per il virus HBV e la profilassicombinata con HBIg nel post-trapianto rappresentano una consolidata strategia di successoper la terapia e la prevenzione della reinfezione delta. 

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Malattia da Virus dell’epatite B

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CO-iNFEZiONE da HiV Raffaele Bruno

Responsabile ambulatorio di Epatologia

U.O.Malattie Infettive e Tropicali Dipartimento di Malattie Infettive Fondazione IRCCS

Policlinico San Matteo - Pavia Università degli Studi di Pavia

Il virus dell’epatite B (HBV) condivide con il virus dell’ immunodeficienza umana (HIV) lemedesime vie di trasmissone. Per questo la coinfezione è frequente e colpisce il  2-9% deipazienti HIV+. L’infezione da HIV ha un significativo effetto sulla storia naturale dell’infe-zione da HBV determinando una frequenza più elevata di cronicizzazione dell’infezioneacuta, una minore incidenza di sieroconversione s/anti s ed e/anti e nei portatori di HBsAg,una maggior frequenza di riattivazione nei pazienti anti s positivi con importante deplezionedei CD4. Inoltre nei pazienti HIV positivi con esposizione parenterale è più frequente la coin-fezione da altri virus epatite (HCV ed HDV). Il corrente impiego di analoghi nucleosidici adattività anti HBV nella terapia di combinazione anti HIV,  può determinare l’insorgenza dimutazioni nel genoma virale il cui impatto sulla storia naturale dell’infezione da HBV è davalutare. Pertanto la complessità del paziente ha sollecitato gli esperti del settore a fornirealla comunità medica che si occupa di questi pazienti delle linee guida di gestione della coin-fezione HIV_HBVLe linee guida dell’EACS  (European AIDS Clinical Society) sulla gestione clinica dei pazienticon coinfezione da HIV e virus epatitici rispondono alla necessità di offrire, con un aggior-namento dei dati scientifici, indicazioni per assicurare ai pazienti il più elevato livello di curapossibile.Basate essenzialmente sullo short statement della prima European Consensus Conferencedel 2005 e, in parte, sulle raccomandazioni dell’HCV-HIV International Panel del 2007, sonomotivate dalla disponibilità di nuovi farmaci anti-HBV e dall’urgenza di rallentare o arrestarela progressione della malattia epatica nella popolazione dei pazienti HIV positivi.Sfortunatamente molti degli interrogativi sollevati nell’ambito della coinfezione HIVHBVrestano irrisolti per la scarsità di trial clinici randomizzati e per la complessità dovuta al fattoche diversi farmaci utilizzati per trattare l’epatopatia da virus B o alcuni antiretrovirali perl’HIV sono attivi nei confronti di entrambi i virus e un loro uso inappropriato può favorirel’emergenza di farmacoresistenza.Dopo questa doverosa premessa, le linee guida EACS (figura 1) propongono per il pazientecon epatite o cirrosi da virus B e indicazione alla terapia anti-HIV (CD4 < 350 cell/mm3) op-pure nei pazienti già in terapia HAART le seguenti raccomandazioni nei:  pazienti con HBV-DNA  >  2000  IU/ml  senza  resistenza  a  lamivudina  (3TC):  regime  HAART  contenentetenofovir (TDF) più 3TC o emtricitabina (FTC) pazienti con HBV-DNA > 2000 IU/ml con re-sistenza a lamivudina (3TC): sostituzione di 1 NRTI con TDF o aggiunta di TDF, se fattibilee appropriato per il mantenimento della soppressione dell’HIV. In caso di intolleranza a TDF(es. malattia renale), può essere opportuno impiegare entecavir (1 mg/die) pazienti con HBV-DNA < 2000 IU/ml, regime HAART a scelta. Alcuni esperti sostengono che qualsiasi pazientecoinfetto con indicazione alla HAART dovrebbe ricevere TDF più 3TC oppure FTC, a meno

Malattia da Virus dell’epatite B

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che non tolleri TDF paziente con cirrosi: regime HAART contenente TDF più 3TC oppureFTC. In caso di progressione verso lo scompenso epatico, i pazienti devono essere avviatialla consultazione presso un centro trapianti.Le linee guida sottolineano che è preferibile l’impiego di TDF più 3TC o FTC per prevenirelo sviluppo di farmacoresistenza a 3TC, che nei pazienti coinfetti presenta tassi pari al 50%dopo 2 anni di terapia. Inoltre, a oggi, non c’è evidenza che l’impiego di TDF nei pazienticon replicazione di HBV in atto si associ a sviluppo di mutazioni di resistenza.Aggiungono, infine, che i dati osservati nei pazienti monoinfetti suggeriscono che il tratta-mento con adefovir e 3TC rallenti l’emergenza di resistenza. Infine, puntualizzano che lamancanza di dati impedisce di dare una risposta alla possibilità di aggiungere entecavir aTDF nei pazienti con soppressione parziale dell’HBV DNA.

Considerazioni conclusiveIn passato, il processo decisionale medico risentiva di un ambiente sociale e culturale am-piamente dominato dall’opinione e dal trasferimento delle conoscenze degli esperti, capacidi influire sul pensiero, l’insegnamento e la pratica clinica. Il livello di evidenza clinica erarelegato, in genere, alla descrizione del caso, o di una serie di casi, sulla base di informazioniretrospettive o osservazionali.Solo negli ultimi decenni si è progressivamente assistito ad un cambiamento dei criteri cheregolano le decisioni in ambito medico, sostenuto dal crescente interesse per le linee-guida.Una definizione ampliamente accettata di linee guida è quella dell’Institute of Medicine(USA), secondo cui le linee-guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, prodotteattraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere qualisiano le modalità assistenziali più appropriate in determinate situazioni cliniche.Le lineeguide tendono principalmente a migliorare la qualità, l’appropriatezza ed la costo-efficaciadegli interventi sanitari, nonché a fornire strumenti educativi.Purtroppo, in molte circostanze manca l’evidenza dell’elevata qualità del dato per sostenerele raccomandazioni delle linee guida. In tal caso, l’opinione degli esperti torna ad essere do-minante. Il ricorso obbligato da parte dei membri del panel al parere degli esperti - quando,ad esempio, mancano dati provenienti da studi clinici randomizzati - comporta un metodo,i cui limiti sono facilmente comprensibili e ben conosciuti: per quanto illuminato, il pareredegli esperti non è esente da errori.Alcune affermazioni delle linee guida EACS risentono di questo approccio. E’ il caso, in par-ticolare, dell’impiego di Peg-interferone nei pazienti non candidabili alla terapia HAART,per cui il parere degli esperti integra la disponibilità di dati ottenuti con interferone in seriedi pochi pazienti e non provenienti da studi randomizzati controllati.Inoltre, dalla recente dimostrazione dell’attività di telbivudina anche nei confronti di HIVderiva che adefovir resta l’unico farmaco utilizzabile nei pazienti non eleggibili a terapia an-tiretrovirale, con tutti i rischi che un farmaco poco potente anche se con una buona barrieragenetica comporta in pazienti con cariche virali molto alte.Un altro aspetto a cui accennano le linee guida EACS, senza dare risposta definitiva, è lapossibilità di anticipare la terapia antiretrovirale anche in quei pazienti con alto numero diCD4.In conclusione, appare del tutto evidente che per alcuni argomenti la medicina si rifà a solu-zioni che sono pre “evidence based therapy”.

Malattia da Virus dell’epatite B

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Successivamente alla pubblicazione delle linee guida EACS, hanno visto la luce diversi do-cumenti contenenti raccomandazioni sul trattamento dell’epatite cronica B, la cui redazioneè stata stimolata dalla recente disponibilità di nuovi farmaci. Diverse di queste linee guida,tra cui quelle Italiane, hanno incluso raccomandazioni sulla gestione terapeutica della coin-fezione HIV/HBV (1-3). Più recentemente, ad aprile 2009 sono state pubblicate le raccoman-dazioni del Department of Health and Human Services (DHHS) per la prevenzione ed iltrattamento delle infezioni opportunistiche in soggetti adulti ed adolescenti con infezioneda HIV, che hanno incluso un lungo capitolo sulla confezione HIV/HBV, mentre è stata pub-blicata sul sito della British HIV Association (BHIVA) la proposta di documento sulla gestionedelle coinfezioni da virus dell’epatite nei soggetti con infezione da HIV.Tra queste linee guida, quelle Italiane sono state pubblicate nell’agosto 2008 ed hanno segnatouna discontinuità rispetto alle linee guida precedenti. Come per i soggetti senza coinfezioneda HIV, l’indicazione al trattamento è basata sullo stadio di malattia e sul profilo virologicoe biochimico del paziente. Per i soggetti con epatite B occulta, l’indicazione è ad una sorve-glianza della possibile riattivazione soprattutto in  presenza di importante immunodepres-sione e/o di sospensione dei farmaci anti-HBV.Per il soggetto portatore inattivo di HBsAg, il trattamento anti-HBV non trova indicazione,mentre viene sottolineata la necessità di evitare terapie anti-HIV che contengano lamivudinao emtricitabina come unici farmaci anti-HBV.Per quanto riguarda i soggetti con epatite cronica, le raccomandazioni si articolano in 2 sce-nari: i soggetti con CD4 > 500 e senza indicazione ad HAART ed i soggetti in HAART. Per-tanto una prima differenza tra le linee guida italiane e le linee guida EACS è nella scelta delcut off per l’indicazione alla HAART nella coinfezione che viene spostato a 500 CD4. Le no-vità sono date dal ruolo dello stadio di malattia che rende mandatario il trattamento dellamalattia da HBV in soggetti con fibrosi avanzata, nei quali è assolutamente controindicatosospendere la terapia anti HBV anche come parte di una HAART. Sono state segnalate alter-native a tenofovir (adefovir) ed a lamivudina/emtricitabina (entecavir) nei soggetti per iquali questi farmaci non sono indicati come parte del regime HAART, mantenendo comun-que l’indicazione ad una terapia di combinazione. Viene anche fornito il riferimento ad unalgoritmo di follow up dei soggetti in terapia con analoghi nucleosidici/ nucleotidici , cheprevede un adattamento della terapia in assenza di risposta primaria, in presenza di rispostasubottimale o di breakthrough. In questi casi, sono state date anche una serie di indicazionisulle eventuali terapie di seconda linea o di soluzioni da adottare in presenza di intolleranzaai farmaci a doppia attività anti-HBV ed anti-HIV. Inoltre, viene suggerito come parere diesperti l’impiego dell’interferone, anche in combinazione con antivirali orali in tutti i soggettiHBeAg+ con CD4 > 350, per ottenere la sieroconversione e una cautela nel monitoraggio deiflare di epatite in soggetti con malattia epatica e da HIV avanzata, suggerendo anche unapossibilità di terapia della sola epatite B in assenza di indicazioni immediate alla HAARTper abbassare la viremia di HBV nei soggetti con cirrosi avanzata. La maggior parte di questiconcetti sono stati successivamente ripresi dalle linee guida dell’European Association forthe Study of the Liver (EASL), del DHHS e fanno parte anche delle proposte delle raccoman-dazioni della BHIVA. In conclusione, anche se le linee guida EACS consentono una gestionemolto semplificata della coinfezione HBV/HIV che tende a prescindere dal dato istologico,le linee guida italiane e quelle pubblicate successivamente hanno sottolineato l’importanza

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della conoscenza del dato istologico sia per porre l’indicazione alla terapia anti-HBV nei sog-getti non candidati ad HAART sia per selezionare i soggetti in cui la terapia anti-HBV è damantenere, anche se esistono esigenze che portano alla sospensione dei farmaci a dupliceazione anti-HBV ed anti-HIV.

riFEriMENti BiBliOGraFiCi

1.  Rockstroh JK, Bhagani S, Benhamou Y, et al. European AIDS Clinical Society (EACS) guidelines for the cli-nical management and treatment of chronic hepatitis B and C coinfection in HIV-infected adults. HIV Me-dicine (2008), 9, 82-88.

2. Alberti A, Clumeck N, Collins S, et al. Short statement of the first European Consensus Conference on thetreatment of chronic hepatitis B and C in HIV-coinfected patients. J Hepatol 2005; 42: 615-624.

3. Soriano V, Puoti M, Sulkowski M, et al. Care of patients coinfected with HIV and hepatitis C virus. 2007updated recommendations from the HCV/HIV International Panel. AIDS 2007; 21:1073-1089.

4. Carosi G and Rizzetto M. Treatment of chronic hepatitis B: recommendations from an Italian workshop.DigLiver Dis. 2008 Aug; 40(8):603-17.

5. EASL Clinical Practice guidelines.Management of chronic hepatitis B. J Hepatology 2009; 50: 227-42.6. Sorrell MF, Belongia EA, Costa J, et al.National Institutes of Health Consensus Development Conference7. Statement: management of hepatitis B. Ann Intern Med. 2009; 150:104-10.8. Guidelines for Prevention and Treatment of Opportunistic Infections in HIV-Infected Adults and Adole-

scents. Recommendations from CDC, the National Institutes of Health, and the HIV Medicine Associationof the Infectious Diseases Society of America MM WR 2009; 58 RR4.

9. Brook G, Main J, Nelson M, et al., on behalf of the BHIVA Hepatitis Working Group British HIV Associationguidelines for the management of coinfection with HIV-1 and chronic hepatitis B or C 2009. Consultationdraft. http://www.bhiva.org/files/file1031815.pdf last visit July 25th 2009.

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Malattia da Virus dell’epatite B

suPPrEssiVE trEatMENt iN CHrONiC HEPatitis BPietro Lampertico, Mauro Viganò, Massimo Colombo

A.M. and A. Migliavacca” Center for Liver Disease, First Division of Gastroenterology,

Department of Medicine, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,

Mangiagalli e Regina Elena, University of Milan, Milan, Italy

The goal of therapy of chronic hepatitis B (CHB) is the persistent suppression of HBV repli-cation aimed to improve quality of life and survival by halting progression of liver damageand preventing development of liver-related complications. HBV infection is inhibited eitherby a short-term, 48-week, course of pegylated interferon (Peg-IFN) or by the long-term ad-ministration of nucleos(t)ide analogues (NUCs) like lamivudine, adefovir, telbivudine, en-tecavir and tenofovir. Therapy with NUCs must reduce and maintain HBV DNA below the lower limit of detectionof real-time PCR assays (10-15 IU/ml), to ensure a degree of virological suppression that willthen lead to biochemical remission, histological improvement, and prevention of complica-tions and to reduce the risk of drug-resistance development. Long-term inhibition of HBVreplication by NUCs therapy may achieve fibrosis and cirrhosis regression, prevention ofclinical decompensation but is challenged by the emergence of drug-resistant mutants withrates that differed according to the drugs. Viral resistance is higher in first generation NUCssuch a lamivudine, intermediate in second generation drugs such as adefovir and telbivu-dine, and lower in the newly developed third generation NUCs, like entecavir and tenofovir. However, long-term NUCs treatment cannot completely eradicate HBV infection, due to thepersistence of covalently closed circular DNA (cccDNA) in the nucleus of infected hepato-cytes and probably none of the drugs available today, given as a monotherapy, may suppressviral replication in all patients forever. Only close monitoring of serum HBV DNA levels andthe pro-active management, with the early addition of a non cross-resistant drug, in patientswithout complete virological response or in patients with virological breakthrough, may fur-ther increase the results of therapy. The tolerability and the safety profile of oral antiviralagents used as long-term monotherapy or in combination remains an important issue for alltreated patients.

treatment of HBeag positive chronic hepatitis BFinite duration treatment with NUCs is achievable for HBeAg-positive patients who developHBe seroconversion on treatment, however, duration is unpredictable prior to therapy as itdepends on when HBe seroconversion occurs. For all the other patients without HBe sero-conversion, long-term treatment with NUCs is necessary. Although the effects of variousNUCs on serum HBV DNA levels may not be directly comparable because of different assaysused, there are substantial differences in the potency of antiviral agents in reducing serumHBV DNA levels, but these do not translate into differences in HBeAg seroconversion, atleast within the first year of therapy.During lamivudine (LMV) treatment, 36-40% of patients achieve a virological response andup to 20% seroconvert to anti-HBe after 1 year of therapy. Serological response increases withprolonged treatment reaching 27%, 40%, 47% and 50% at year 2, 3, 4 and 5, respectively (1-

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4). However, long-term LMV monotherapy selects for resistant strains harbouring specificmutations in the HBV polymerase gene, i.e. M204I/V as a primary mutation and L80, L180M,V173L as the most relevant secondary mutations (5-8), at rates that increase from 20% after1  year  to  peak  70%  after  5  years  of  drug  therapy  (4,9).  Prolonged  LMV  therapy mayfavourably affects disease progression and development of HCC, however, in patients de-veloping LMV-resistance this favourable effect is declining (10). To date, the beneficial effectsof LMV appear to be offset by the development of LMV-resistance and recent current guide-lines do not recommended its use anymore (11). For adefovir (ADV) treatment, virological and serological response rates are 21% 12%, re-spectively,  after one year (12). Prolonged therapy with ADV in HBeAg positive subjects re-sulted in viral load below 103 copies/ml in 28% at year 1, 45% and 56% at year 2 and 3. Ratesof HBeAg-loss increased to 42% and 52%, and HBeAg seroconversion rates increased to 29%and 43% at year 2 and 3. Genotypic resistance is reported as 6%, durability of HBeAg sero-conversion may be around 90% (13).One year of Entecavir (ETV) leads to undetectable HBV DNA in 67% of patients and to 21%of HBeAg seroconversion. HBeAg seroconversion was maintained during the first year post-treatment in 70% of patients treated for 48 weeks, but no consolidation ETV therapy was in-cluded in the design of the trial (14). ETV showed a continuous viral decline in patients withdetectable HBV DNA beyond week 48 and HBeAg seroconversion rates increase (15,16). In 146 HBeAg-positive patients treated with ETV monohterapy (ETV 0.5 mg/day for thefirst year and then 1 mg/day) for 5 year, 94% showed a virological response, 23%  serocon-verted to anti-HBe and 1.4% cleared HBsAg (17). Resistance emerged at rates of 1.2% after 5years of ETV monotherapy (17,18).One year treatment with telbivudine (LdT) resulted in 60% of patients having undetectableHBV DNA, with 22% of HBeAg loss (19), however, after 2 years of LdT, 22% of NUCs-naïveHBeAg-positive patients developed resistance (20). One year course of TDF achieved a virological response in 74%, HBeAg loss in 21% andHBsAg seroclearance in 3% of patients (21). In a 3-year follow-up study of TDF, 214 patients(80%) of the initial enrolled cohort were still under observation (22). In an intent-to-treatanalysis, 71% of patients had full suppression of HBV DNA (< 400 copies/ml), with similarefficacy in patients who received TDF monotherapy for the entire study and those whostarted on ADV and later switched to TDF (72% vs 71%, respectively). In a per-protocol analy-sis, 95% of participants in the ongoing TDF arm and 91% in the ADV-to-TDF arm achievedundetectable HBV viral load, 34% of patients achieved HBeAg loss and 26% experiencedHBeAg seroconversion, 8% experienced HBsAg loss. Thirty-one patients with continuedHBV viremia added emtricitabine between 72 and 144 weeks, and 17 achieved undetectableviral load by week 144. None of the patients had neither a confirmed 0.5 mg/dl increase inserum creatinine nor a decrease in creatinine clearance < 50 ml/min as none of the patientshad evidence of drug resistance mutations. The durable antiviral activity, good safety andtolerability of TDF was also demonstrated in a 3-year study compared TDF and ADV in Asia.87% of Asian patients had undetectable serum HBV DNA by polymerase chain reactionassay, however the rates of patients achieving HBeAg seroconversion did not increase duringtreatment (17% and 19% at 1- and 3-year, respectively) and none of the patient had HBsAgloss (23).

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Overall, the antiviral potency expressed by the reduction in serum HBV DNA levels differsamong the anti-HBV agents (highest with TDF, ETV and LdT, intermediate with LMV andlowest with ADV, but these differences do not translate into different HBeAg seroconversionrates, at least within the first years of therapy. With NUCs, HBsAg loss is rare (< 2% afterone year of treatment), similar to the rate observed in the natural history of the disease. 

treatment of HBeag negative chronic hepatitis BOne year therapy with LMV achieved a virological response in 70% of patients, but LMV-re-sistant strains emerged at the rate of approximately 20% per year. By year 5, up to 70–80%of patients have become resistant to LMV, many of these patients experiencing clinical andhistological progression of the underlying liver disease (10,24-27). Due to the high probabilityof resistance, despite its high safety record, LMV monotherapy is not currently consideredas an optimal first-line therapy for CHB patients (11). Five years of ADV monotherapy in naïve HBeAg-negative patients showed nearly 70% ofpatients with HBV DNA <1,000 copies/ml and normal ALT levels (28). In the face of few(5%) patients with a HBsAg loss, ADV treated patients were at the risk of genotypic resistance(rtN236T and/or rtA181V/T mutations), virological resistance, defined as >1 log reboundcompared to on-treatment nadir, and clinical resistance, defined as virological and biochem-ical rebounds, which are 29%, 20% and 11%, respectively (28,29). Drug withdrawal in patientswith persistent undetectable HBV DNA by PCR assays, results in a virological relapse oc-curring in all patients, although approximately 70% of them could maintain serum levels ofHBV DNA below 10,000 copies/ml and ALT levels within the normal range for at least 12-18 months (30). Because of the significant resistance rates over long-term monotherapy andthe suboptimal virological response, ADV monotherapy is no longer considered as a first-line therapy of choice (11).In a 2-year study of LdT 600 mg/day for the treatment of nucleoside-naïve HBeAg-negative(31), 82% of patients achieved undetectable HBV DNA by PCR assay and 78% had ALT nor-malized, but genotypic resistance to LdT developed in 9% of patients. A retrospective, sub-group analysis showed that patients with HBV DNA <7 log copies/ml at baseline and <400copies/ml at week 24 benefit most from Ldt monotherapy, showing high rates of virologicalprimary response with low rates of resistance (2%) after 104 weeks of therapy (32,33). In 185HBeAg-negative patients treated with LdT, 84% of patients had undetectable viral load and91% had normal ALT levels over four years (34). Given the significant rates of resistance after2 years of monotherapy, current international guidelines do not recommend LdT as an opti-mal first line therapy for patients with chronic hepatitis B (11). One-year of ETV 0.5 mg/day achieved undetectable HBV DNA by PCR assay in 90% ofNUCs-naïve HBeAg-negative patients with normalization of ALT and improved histologyin 78% and 70% of patients, respectively (35). Virological rebound and genotypically con-firmed drug resistance occurred in 2% and 0% of the patients, only. After the first year oftherapy, virological responders. i.e. the vast majority of patients included in the study, with-drew from ETV, and viral replication resumed in all. Among the few who continued treat-ment for 2 (25 patients) and 3 years (16 patients), virological response was maintained (36).After long-term ETV therapy, the majority of patients with undetectable HBV DNAachievedan improvement in fibrosis score and 10 of the 57 patients with baseline bridging fibrosis

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and cirrhosis demonstrated at least a 1 point improvement in Ishak fibrosis score at the timeof the long-term biopsy. (37).In an Italian study of 376 NUC-naive patients in field practice, mostly HBeAg-negative, 2years treatment with ETV provided high rates of virological suppression (96% of patientswith undetectable serum HBV DNA by polymerase chain reaction assay) with 11% of partialvirological responders after 1-year of treatment and without viral resistance development(38). A US study in 153 patients treated with ETV over a 3-year period showed a response rateshighest in patients who had never been treated before and in HBeAg-negative patients; infact in HBeAg-negative patients response rates were 90%, 96%, and 100% over 12, 24, and 36months (39). Recently, among 16 patients with decompensated cirrhosis treated with ETV, 5developed lactic acidosis. All patients who developed lactic acidosis had severely impairedliver function (MELD > 22), lactic acidosis was lethal in one but resolved in the other casesafter drug withdrawal (40). After this report the use of ETV should be applied cautiously inpatients with severe liver damage and high baseline MELD scores. In a randomized, open-label study in 195 patients with chronic hepatitis B infection and de-compensated cirrhosis (16 as a mean pre-treatment MELD score, 45% HBeAg-negative andapproximately one third previously exposed and resistant to LMV) ETV 1 mg was comparedto ADV 10 mg daily. At week 48, ETV demonstrated greater viral suppression compared toADV and was associated with clinical benefits including improved survival: 57% of patientson  ETV  achieved  an  undetectable  viral  load,  compared with  20%  of  patients  on ADV(p<0.0001). At week 48, MELD score had a 2.6 points decline for patients treated with ETVcompared with 1.7 points for patients treated with ADV. The overall safety profile was com-parable across the two treatments. By week 48, 5% of ETV recipients, but none of the ADVrecipients had achieved HBsAg loss. A greater than 0.5 increases of serum creatinine frombaseline were observed in 17% and 24% of patients treated with ETV and ADV, respectively.Although the study design did not include prospective measurements of serum lactate levels,the retrospective analysis of the 22 patients with baseline MELD score ≥22 (15 on ETV and 7on ADV) identified only one case of lactic acidosis in an ETV-treated patient who requiredno treatment and resolved on continued ETV treatment (41). Long-term resistance data inHBeAg-negative patients are not available, but the promising low resistance rates in HBeAg-positive partial responders, provide strong evidence that ETV monotherapy may controlviral replication in most of the HBeAg-negative patients for many years (17,18). This drug isthe prototype of a third generation NUC for naive patients, as it couples high potency andhigh genetic barrier to resistance. In a 3-year follow-up study of TDF, 328 patients (87%) of the initial enrolled cohort were stillunder observation (42). In an intent-to-treat analysis, 87% of HBeAg-negative patients hadfull suppression of HBV DNA (< 400 copies/ml), with similar efficacy in patients who re-ceived TDF monotherapy for the entire study and those who started on ADV and laterswitched to TDF (88%). In an per-protocol analysis, 99% of participants in the ongoing TDFarm and 100% in the ADV-to-TDF arm achieved undetectable HBV viral load. Three patientswith continued HBV viremia added emtricitabine at or after week 72, and all achieved un-detectable viral load by year 3 and no patients experienced HBsAg loss during treatment.None of the patients had neither a confirmed 0.5 mg/dl increase in serum creatinine nor a

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decrease in creatinine clearance < 50 ml/min as none of the patients had evidence of drugresistance mutations. For its high potency and high genetic barrier to resistance coupled withlower cost, tenofovir is considered one of the ideal candidate to long-term suppressive ther-apy (11).  In a study that assessed the safety and tolerability of TDF, Emtricitabine plus TDF and ETVin decompensated liver disease, 65% of the 112 patients were HBeAg negative (43). After 48weeks of treatment the proportions of patients achieving HBV DNA < 400 copies/ml weresimilar: 71%, 88%, and 73%, respectively as the rates of confirmed kidney impairment: 9%,7%, and 5%, respectively. No patient cleared HBsAg. Long-term de-novo combination has the potential advantage of increased efficacy and lowerresistance rates compared to monotherapy but also the cons of increased cost, poorly knownsafety, and reimbursement rules for selected countries. At present, de-novo combination oftwo third generation NCUS is not a recommended strategy for NUCs-naive patients.   

Prevention and treatment of NuC-resistance Resistance to NUCs can be delayed or prevented by careful selection of patients to be treated,administration of de-novo combination therapy, use of third generation NUCs as first linetherapy and early adaptation of antiviral therapy in partial responders. In the search for pre-dictors of resistance to improve the cost-effectiveness of HBV therapy a relationship betweenresidual viral load at week 24 of developing resistance at week 48 or 96 has been demon-strated (44). According to the EASL HBV Clinical Practice Guidelines, partial virological re-sponders (PVR) to NUCs are patients with more than 1 log decline of viremia compared tobaseline but still detectable serum levels of HBV DNA by real-time PCR assay (>10-15 U/ml)at week 24 or 48, depending on the genetic barrier of the anti-HBV drug (11). The clinical relevance of NUCs PVR relates to the high risk these patients face of developingresistance to long-term anti-HBV treatment, particularly when first (LMV) and second gen-eration (LdT, ADV) drugs are involved. Conversely, for PVR on third generation NUCs likeETV and TDF, carrying a lower risk of resistance to long-term monotherapy, the associationbetween residual viremia at week 48 and secondary treatment failure during follow-up hasnot been fully established (11). Despite the strong rationale for adapting antiviral therapy, atleast for selected NUCs, evidence-based algorithms for rescuing these patients have not beengenerated, apart from expert opinions. Patients with undetectable HBV DNA at week 24 of LMV or LdT have a negligible (5%) riskof LMV-R  in  the  following 18 months. LMV and LdT therefore should be continued asmonotherapy only in those patients who achieve undetectable HBV DNA at week 24 pro-vided that a regular HBV DNA monitoring is established to early identify the emergence ofresistance and start an appropriated rescue strategy (45,46). Patients with a detectable viremiaa week 24, have a greater risk of developing LMV and LdT resistance, requiring early adap-tation of antiviral therapy by either switching to a more potent antiviral agent or adding-onwith another analog with a different resistance profile. Since these two strategies have notbeen evaluated either independently or head-to-head in large studies, it is very difficult toprovide an evidence based indication on which strategy is better to treat patients with a par-tial virological response to LMV or LdT. To further reduce the yield of PVR at week 24, EASLClinical Practice Guidelines recommend LdT to be started as monotherapy in those patients

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with baseline viremia below 6 log10 IU/ml, only (11). For patients on ADV monotherapy,PVR at week 48 has been associated to a 50% chances of developing resistance in the follow-ing 3 years, suggesting a rescue therapy for all PCR positive patients to prevent resistance(11). De-novo combination might represent the best approach for highly viremic patients, toincrease the antiviral efficacy while rescuing the risk of resistance, as suggested by studiesin HIV patients. Finally, probably the best strategy to prevent resistance is to start with potentand high genetic barrier drugs and ETV and TDF monotherapies are expected to significantlyreduce to risk of drug resistance in clinical practice during long term administration.  In the cases of resistance, the drug for rescuing a response to therapy should be selected onthe basis of its in vitro cross resistance profile. Nucleoside analogues such as LdT and ETVare not fit for treating LMV-R since they share a similar resistance profile. By converse, theresistance pattern of the nucleotide analog ADV or TDF offer a chance for suppressing LMV-R strains. Two studies assessing the 5-year efficacy of LAM+ADV in lamivudinre-resistantpatients, showed approximately 90% of virological response and 1% of ADV resistance, con-firming the benefit for this combination. As a general rule, a nucleotide analog is recom-mended to rescue for HBV resistance in patients treated with nucleoside analogues, whereasa nucleoside analog is recommended for a nucleotide-related resistance. EASL HBV ClinicalPractice Guidelines recommend TDF as the nucleotide of first choice for the rescue of nucle-oside resistant strains (11) because it is more potent, safer and cheaper than ADV.  

ConclusionLong-term treatment with oral anti-HBV agents represents the therapeutic option for themajority of HBV patients who require treatment. With first and second generation NUCs,such as LMV, ADV and LDT, the achievement of high initial on-therapy biochemical and vi-rological response rates is later eroded by the occurrence of viral resistance during therapyprolongation and only the “early add-on” strategy after the occurrence of the fist virologicalbreakthrough maintain viral control and prevent clinical decompensation but not the devel-opment of hepatocellular carcinoma in cirrhotic patients (47,48). Third-generation NUCs, like ETV and TDF, represent the first-line treatment options, as theymay inhibit HBV replication in most HBV patients for a long time, as monotherapies. Nev-ertheless the use of the more potent agents with better resistance profile which have becomethe treatment of choice, the optimal strategy for oral anti-HBV therapy with the best long-term cost/benefit ratio has not been completely clarified. To date, the choice of a long-termNUCs therapy requires careful selection of candidates, early adaptation of a therapeutic strat-egy in case of a primary non-response or a partial response, surveillance for possible safetyissues, and ascertainment of good compliance. 

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riattiVaZiONE dEll’EPatitE B iN COrsO di tEraPia CON FarMaCi BiOlOGiCi iN aMBitO GastrOENtErOlOGiCO.

Filomena Morisco, Fabiana Castiglione, Antonio Rispo, Roberto Vitale,

Stefano Sansone, Nicola Caporaso.

Gastroenterologia, Università di Napoli, “Federico II.

SUMMARY È ben noto che è possibile osservare riattivazione dell’epatite B in pazienti sottoposti a terapiaimmunosoppressiva per malattie onco-ematologiche o per trapianto d’organi. La diffusionedella terapia immunosoppressiva in vari ambiti della medicina e lo sviluppo dei nuovi trat-tamenti con farmaci biologici hanno esteso il campo di interesse anche ad altri settori comela reumatologia, la dermatologia e la gastroenterologia.In ambito reumatologico le linee guida suggeriscono di effettuare uno screening virologicoprima di somministrare immunosoppressori biologici e di valutare la possibilità di attuareil trattamento antivirale e/o la profilassi prima e fino a 6 mesi dopo la sospensione della te-rapia immunosoppressiva.In campo dermatologico e nei pazienti con IBD non esistono specifiche linee guida. Allo statoattuale vengono applicate per similitudine le stesse modalità di approccio descritte  per i pa-zienti onco-ematologici.  

KEY POINTS   

-    L’epatite B può riattivarsi in corso di terapia immunosoppressiva-  Gli immunosoppressori biologici trovano attualmente largo impiego in ambito reumato-logico, dermatologico e nelle malattie infiammatorie croniche intestinali 

-   Sebbene non esistano specifiche linee guida di comportamento è opportuno che tutti i pa-zienti candidati a terapia biologica eseguano uno screening virologico prima di iniziare iltrattamento immunosoppressivo    

RELAZIONEÈ ben noto che è possibile osservare riattivazione dell’epatite B in pazienti sottoposti a terapiaimmunosoppressiva per malattie onco-ematologiche o per trapianto d’organi. La frequenzadi riattivazione registrata in queste specifiche situazioni varia dal 20 al 50% e una significativapercentuale di casi può avere decorso fulminante (1)Negli ultimi anni sono stati realizzati diversi studi sull’argomento che hanno valutato il pos-sibile ruolo profilattico e terapeutico dei farmaci antivirali e sono state elaborate specificheraccomandazioni delle società scientifiche di epatologia (AASLD, EASL e AISF)La diffusione della terapia immunosoppressiva in vari ambiti della medicina e lo sviluppodi nuovi ed efficaci trattamenti con farmaci biologici hanno reso questo problema semprepiù frequente e rilevante, estendendo il campo di interesse anche ad altri settori della medi-

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cina, come la reumatologia, la dermatologia e le malattie infiammatorie croniche intestinali(IBD).Un crescente numero di studi e case-report è stato pubblicato negli ultimi anni, ma non sonoancora disponibili studi sistematici sull’argomento e comunque resta da chiarire e definirela corretta gestione clinica di questi pazienti (2-3)In ambito reumatologico la casistica è abbastanza limitata, e sono riportati solo 11 casi di pa-zienti con infezione cronica da virus B trattati con Infliximab (4-5). Differentemente in ambitodermatologico, non esistono dati della letteratura nonostante il largo impiego di tali farmaci,specie per la terapia della psoriasi. Per i pazienti reumatologici esistono solo linee generali di comportamento che suggerisconodi effettuare uno screening pre-trattamento con la determinazione di HBsAg, anti-HBs, anti-HBc e nei soggetti HBsAg+ con la ricerca dell’HBV-DNA. Nelle infezioni B attive (attive re-plica  virale  e  transaminasi  aumentate)  è  indicata  la  terapia  con  farmaci  antiviraliindipendentemente dal trattamento con immunosoppressori biologici. Nei soggetti HBsAg+con malattia inattiva è indicata la profilassi antivirale 2-4 settimane prima di iniziare e finoa 6 mesi dopo la sospensione del trattamento con immunosoppressori (6).Pochissime informazioni sono disponibili in letteratura circa il rischio di riattivazione del-l’epatite B in pazienti con IBD, malattie che spesso  e frequentemente necessitano di tratta-menti anche prolungati immunoppressori. Non sembrano determinare problemi le classiche terapie immunosoppressive con cortico-steroidi, azatioprina, metotrexate, ciclosporina, mentre sembra di rilievo il rischio di riatti-vazione  dell’epatite B in pazienti sottoposti a terapia con farmaci biologici.Al momento sono stati riportati 7 case-report di pazienti HBsAg+, trattati con Infliximab as-sociato o meno ad altri immunsoppressori; di questi, 6 pazienti hanno avuto una riaccensionedella malattia da virus B (incremento dei valori delle transaminasi accompagnato da aumentodei livelli di DNA sierico), viceversa nell’unico paziente che aveva effettuato profilassi conlamivudina non sono stati registrate alterazioni clinico laboratoristiche suggestive di riatti-vazione dell’epatite B (7-12).L’unico lavoro sistematico sull’argomento, ma ancora pubblicato solo in abstract, è quello diLoras et al (13), che raccoglie le riattivazioni avvenute in 7/13 pazienti HBsAg+ e affetti daIBD, trattati con diverse terapie immunosoppressive. Cinque di queste riattivazioni hannomostrato andamento severo-fulminante.  Da notare, altresì, che la maggioranza delle riatti-vazioni osservate sono state segnalate in pazienti che effettuavano  terapia con 2 farmaci im-munosoppressori in associazione.Sebbene non esistano al momento specifiche linee guida per i pazienti con IBD, è raccoman-dabile, in tutti i pazienti candidati a terapia con farmaci biologici, effettuare uno screeningsierologico per HBV con la determinazione di HBsAg, anti-HBs, anti-HBc e nei soggettiHBsAg+ o anti-HBC isolato, con la ricerca dell’HBV-DNA.

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l’iNFEZiONE da Virus B NEl PaZiENtE iMMuNOCOMPrOMEssO.

Vito Di Marco

introduzione L’HBV non è un virus direttamente citopatico ed è quindi possibile, in corso di infezione,avere un’attiva replicazione virale senza un evidente danno epatico. Il sistema immunitariogioca un ruolo chiave nel decorso e nella cronicizzazione dell’infezione. In corso di infezioneacuta la clearance del virus B è determinata  dall’immunità non-specifica, che attraverso leT cellule natural killer e la produzione di citochine riduce la replicazione virale senza deter-minare necrosi cellulare e dall’immunità HBV-specifica, che attraverso l’attivazione delle cel-lule infiammatorie e di alcune citochine determina la citolisi e la necrosi delle cellule epaticheinfette. La cronicizzazione dell’infezione e del danno epatico sono dovuti al fallimento diuna pronta e vigorosa risposta immunitaria contro gli antigeni del virus B. (1). Il sistema im-mune dell’ospite ha quindi un ruolo chiave nella progressione dell’infezione primaria edanche nell’induzione, mantenimento e/o estinzione del danno epatico. 

Eventi immunologici in corso di terapia citotossica e immunosoppressivaI farmaci citotossici ed immunosoppresivi utilizzati per la terapia dei tumori solidi o mielo-linfoproliferativi stimolano la replicazione del virus B e possono determinare una epatiteacuta o la riattivazione di una malattia cronica preesistente. In alcuni casi la riattivazionepuò essere severa e può determinare una epatite acuta itterica o una insufficienza epatica.(2-5). Gli studi sui meccanismi immunologici hanno chiarito che il danno epatico secondarioalla riattivazione virale è un processo in due tempi. La terapia citotossica e/o immunosop-pressiva stimola direttamente la replicazione del virus B e determina un incremento dei livellisierici di HBV-DNA, della concentrazione sierica dell’HBsAg e dell’HBeAg e con un notevoleincremento degli epatociti infettati. Dopo la riduzione o la sospensione della terapia, la re-staurazione delle funzioni immunitarie determina una rapida citolisi immuno-mediata degliepatociti infettati con conseguente “flare” delle transaminasi. (6).  In corso di chemioterapiala riattivazione dell’HBV può manifestarsi in due fasi diverse, durante il trattamento (in re-lazione all’intensa soppressione immunologica, cui si associa una forte replicazione virale e,talvolta, la comparsa di epatite fulminante in forma fibrosante colestatica), oppure dopo lafine della terapia, perché nella fase d’immuno-ricostituzione la risposta immune può indurreuna riattivazione epatitica, a decorso più o meno grave, a seconda della condizione basaledel fegato e di possibili concause di danno.

definizioniLe definizioni virologiche e cliniche dell’ epatite da HBV hanno un particolare impatto sulladiagnosi, prevenzione e terapia (tabella 1). L’infezione cronica da HBV è definita conclamatanei portatori dell’antigene di superficie (HBsAg) ed occulta nei soggetti HBsAg-negativi conevidenza di HBV DNA intraepatico e/o sierico.Portatori conclamati del virus B (HBsag-positivi). Tra i portatori conclamati, in accordocon le definizioni internazionali, si possono individuare due diverse categorie:

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1. portatori attivi, identificati dalla positività per l’HBeAg o l’anti-HBe e da HBV DNA ≥ 5log copie/ml (corrispondenti a circa 17,200 UI/ml, secondo le più recenti standardizza-zioni). Questa condizione è associata a malattia nella gran maggioranza dei casi ,

2. portatori inattivi, caratterizzati dalla persistente normalità delle transaminasi, dalla pre-senza degli anticorpi anti-HBe, associati a livelli viremici inferiori a < 5 Log copie/ml.Nella maggioranza di questi soggetti il dato istologico, quando disponibile, non evidenziauna malattia epatica significativa. (7,8).

Portatori occulti del virus B (HBsag-negativi). In questi soggetti la rara determinazione diHBV DNA sierico con tecniche anche molto sensibili e la frequente presenza di marcatori dipregresso contatto con il virus B (antiHBc ± antiHBs), induce a considerare tutti i soggettiantiHBc-positivi (anti-core) come potenziali portatori occulti. Non esistono, invece, deter-minanti sierici nella minoranza (20% circa) di soggetti portatori occulti negativi per tutti imarcatori (9).Nei portatori (occulti o conclamati) di HBV sono ritenuti significativi i seguenti eventi viro-logici:1.  nei soggetti anti-core (HBsAg-negativi): la ricomparsa dell’HBsAg (sieroconversione),2.  nei portatori conclamati inattivi (HBsAg-positivi): la comparsa di una viremia signifi-

cativa ( ≥5 log), che si associa a comparsa di danno epatico legato al virus B,3.  nei portatori conclamati attivi (HBsAg-positivi): la persistenza di una viremia significa-

tiva ( ≥5 log), in quanto frequentemente associata a progressione del danno epatico legatoal virus B,

4.  l’incremento di almeno un logaritmo della concentrazione nel siero dell’HBV DNA, ri-spetto al nadir, riconfermato in 2 controlli seriali, come indice di riacutizzazione virale(rebound), in tutte le categorie virologiche (10).

tabella 1: categorie virologiche

Portatore attivo Portatore attivo Portatori occulti

(anti-HBc positivi)

HBsag Positivo Positivo Positivo

HBV-dNa nel siero ³ 5 log < 5 log Negativo

(> 90% dei casi)

anti-HBc positivo positivo positivo

anti-HBs negativo negativo Negativo o positivo

Malattia epatica Presente assente assente

(> 90% di casi) (> 50% dei casi)

le dimensioni del problema HBV – neoplasie - chemioterapia La riattivazione dell’HBV durante o dopo chemioterapia è una delle principali cause didanno epatico nei pazienti con tumori solidi o ematologici. Negli ultimi anni l’aumento dellecondizioni d’immunosoppressione dovute ad un più ampio utilizzo di farmaci chemiotera-

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pici e all’introduzione negli schemi terapeutici di farmaci innovativi, come gli anticorpi mo-noclonali, ha riportato alla ribalta la problematica delle riattivazioni da HBV. Le manifesta-zioni cliniche si osservano prevalentemente nei portatori conclamati di HBV, ma possonomanifestarsi, anche se con meno frequenza, nei portatori d’infezione “occulta” di HBV.Lo spettro clinico della riattivazione di HBV varia dall’ epatite asintomatica all’insufficienzaepatica. La prognosi dei pazienti può essere influenzata dalla gravità della riattivazione daHBV e modificata dall’interruzione del trattamento chemioterapico a causa della riattiva-zione da HBV. La frequenza e la gravità della riattivazione da HBV in corso di chemioterapia dipende dadiversi  fattori:1.  l’incidenza e la prevalenza dei tumori solidi e delle neoplasie ematologiche;2.  la prevalenza dei carrier attivi e inattivi di HBV (vedi le definizioni) e la prevalenza del-

l’infezione occulta da HBV tra i pazienti sottoposti a chemioterapia (vedi la definizione);3.  l’impiego farmaci citotossici che possono indurre una profonda immunosoppressione;4.  l’impiego di alte dosi di cortisone durante la chemioterapia che può determinare immu-

nosoppressione;5.  le dosi e la durata della chemioterapia;6.  il numero di cicli di chemioterapia e la loro periodicità;7.  la sopravvivenza dei pazienti con neoplasie; 

• incidenza e prevalenza dei tumori solidi ed ematologici in italia.In Italia sono diagnosticati quasi  300.000 nuovi tumori ogni anno, oltre 160.000 tra gli uominie circa 130.000 tra le donne (11). Tra questi oltre 150.000 nuovi casi sono tumori solidi  (tabella2). I 4 tumori più frequenti (tumore della mammella, tumore del polmone, tumore del colone tumore della prostata) hanno un’incidenza cumulativa di oltre 100.000 nuovi casi /anno.Per i tumori diagnosticati in fase precoce, che praticano una adeguata terapia chirurgica euna corretta radioterapia e/o chemioterapia la prognosi è buona e i pazienti hanno una lungaaspettativa di vita. Oltre il 60% dei pazienti con tumore della prostata, tumore della mam-mella e tumore del colon-retto hanno una aspettativa di vita superiore a 5 anni. Tra le neo-plasie ematologiche i linfomi sono i più comuni. Ogni sette linfomi diagnosticati, sei sonolinfomi non Hodgkin e uno è un linfoma di Hodgkin. I linfomi non Hodgkin rappresentanoil 2,9% di tutti i tumori diagnosticati tra gli uomini e il 3,2% tra le donne, mentre il linfomadi Hodgkin rappresenta sia tra gli uomini sia tra le donne lo 0,5% di tutti i tumori. Il mielomamultiplo rappresenta l’1,2% di tutti i tumori diagnosticati tra gli uomini e l’1,3% tra le donne.Infine, le leucemie rappresentano un composito gruppo di tumori e tra queste  le forme piùfrequenti sono la leucemia linfatica cronica (33,5% del totale delle leucemie), la leucemia mie-loide acuta (26,4%), la leucemia mieloide cronica (14,1%) e la leucemia linfatica acuta (9,5%).Negli ultimi anni le leucemie hanno rappresentato il 2,1% di tutti i tumori diagnosticati tragli uomini e il 2,0% tra le donne. Per quanto riguarda gli andamenti nel tempo, l’incidenzadelle neoplasie ematologiche è in crescita mentre la mortalità è in diminuzione, trend chesuggerisce un miglioramento progressivo della sopravvivenza per queste forme neoplastiche(12).

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Tabella 2: incidenza delle principali neoplasie in Italia (stima per il 2006)  

Nota: tabella riprodotta dal sito www.registri-tumori.it 

• Prevalenza di infezione da HBV in pazienti con neoplasie. Lo studio di riferimento sulla prevalenza dell’infezione da HBV (HBsAg positivo) in

pazienti con neoplasie è quello pubblicato da CG Alexopoulos nel 1999 che valuta la preva-lenza dei pazienti HBsAg positivi prima della chemioterapia citotossica (13) Lo studio è statocondotto in Grecia dove la prevalenza di HBsAg è sovrapponibile a quella dell’Italia o al-meno a quella delle regioni meridionali. Lo studio riportava una prevalenza di carrier diHBsAg del 5.4% tra i 1.008 pazienti con un’età media di 58 anni (tabella 3). La prevalenza diHBsAg variava tra il 3% e il 7% nei pazienti con tumori solidi e arrivava al 12% circa nei pa-zienti con linfomi. Tra i pazienti con tumore del polmone che erano quasi tutti di sesso ma-schile e verosimilmente di età più avanzata la prevalenza di HBsAg era del 6.9%, mentre trale donne con tumore della mammella del 3%. In un altro studio condotto in Cina su 625 pa-zienti la prevalenza di HBsAg nell’intero gruppo era del 12% con un picco di oltre il 20% neisoggetti con linfomi.(14) La prevalenza dell’infezione da HBV sembra essere più alta nei pa-

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zienti con la diagnosi di linfoma. Uno studio condotto su una coorte italiana di 400 pazienticon linfomi (15) riporta una prevalenza di HBsAg positività dell’8.8%, mentre un altro arti-colo (16) riporta una prevalenza del 27% in una serie di 586 pazienti con linfomi non Hodgkina cellule B e a cellule T residenti nel Sud della Cina dove la prevalenza dell’infezione da HBVnella popolazione generale è sicuramente molto elevata. Questo ultimo studio mette a con-fronto la prevalenza dell’infezione da HBV nei pazienti con linfomi e in un gruppo di con-trollo  di  oltre  1000  pazienti  con  altri  tumori  e  conclude  che  l’infezione  da  HBV  erasignificativamente più frequente nei pazienti con linfomi non Hodgkin a cellule B. Infineuno studio pubblicato recentemente riporta un rischio di circa 3 volte superiore di sviluppodi linfomi non Hodgkin in una vasta coorte di soggetti con infezione da HBV rispetto ad unacoorte di confronto senza infezione (17). Queste alte prevalenze di portatori cronici di HBVtra i pazienti con linfoma, tenendo conto della relativa prevalenza nella popolazione generaledi riferimento, porta a pensare ad un ruolo patogenetici diretto dell’HBV nello sviluppo dialcune forme di linfomi. In tutti i 4 studi citati la prevalenza della positività per anti-HBc erasuperiore al 40%. Anche questa alta prevalenza di un markers sierologico di infezione occultada HBV suggerisce un ruolo patogenetico dell’HBV nello sviluppo di alcune forme tumoralie in ogni caso spiega la possibilità di riattivazioni virali nei pazienti che non hanno una in-fezione conclamata da HBV. 

tabella 3: prevalenza di HBsag nei pazienti con neoplasie

CG alexopoulos (13) Y Yeo (14)

tipo di neoplasia Numero di HBsag + Numero di HBsag +

pazienti (%) pazienti (%)

Polmone 231 6.5 83 10

Mammella 261 3.0 182 11

Gastro-intestinali 170 4.1 160 12

Linfomi (HL e NHL) 113 12.4 85 20

Tratto uroteliale 86 4.7

Capo e cello 16 12.3 44 5

Gynecologic 85 4.7 30 13

Altri 46 0 38 24

tOtalE 1008 54 (5.3%) 626 70 (12%)

Fattori di rischio associati alla riattivazione i HBV nei pazienti con neoplasie sottoposti a

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chemioterapia               Diverse caratteristiche cliniche, alcune variabili virologiche e l’impiego di alcunifarmaci citotossici si associano ad un maggior rischio di riattivazione dell’HBV (18).  I fattori valutati sono:-  l’età e il sesso maschile che verosimilmente sono legati alla più alta prevalenza di HBsAg

positività tra i pazienti maschi di età avanzata;-  il tipo e lo stadio del tumore: i linfomi, i tumori polmonari e tutti i tumori in stadio avan-

zato possono accentuare l’ immunosoppressione e rappresentano un rischio per la riatti-vazione virale nei soggetti HBsAg positivi; 

-  l’uso di farmaci steroidi: sicuramente la somministrazione di farmaci steroidi ad alte dosiutilizzati come antiemetici in corso di chemioterapia accentuano l’immunosoppressionee aumentano il rischio di riattivazione dell’infezione da HBV (19);  

-  l’uso di antracicline e 5-fluorouracile e l’uso di anticorpi monoclonali ((antiCD20, an-tiCD52), 

-  la funzione epatica all’inizio della chemioterapia: è chiaro che i pazienti con epatite cronicae ancor di più i pazienti con cirrosi ed epatocarcinoma con una funzione epatica compro-messa  (valori alterati di albumina e bilirubina  o  score di Child-Pugh  avanzato ) hannoun rischio maggiore di avere una epatite acuta severa o uno scompenso della malattiaepatica in corso di riattivazione da HBV. 

-  Lo status virologico: la positività per HBeAg e la presenza di HBV-DNA nel siero sono 2fattori che indipendentemente aumentano il rischio di riattivazione dell’infezione da HBVe di epatite acuta severa (20).  

Frequenza di riattivazione dell’HBV in pazienti con tumori solidi sottoposti a terapia ci-totossica.I dati disponibili in letteratura consentono di valutare la frequenza della riattivazione del-l’infezione da HBV nei soggetti con neoplasie solide tra il 20% e il 56% (21-25). I dati cumu-lativi di 5 studi che comprendono 429 pazienti con tumori solidi sottoposti a chemioterapiasistemica riportano delle percentuali di riattivazione tra 20 e 37% mentre altri 2 studi che in-cludono 50 pazienti con tumore della mammella riportano una frequenza di riattivazionefino al 56% (tabella 2).  In ematologia la frequenza di riacutizzazione appare maggiore ri-spetto ad altri ambiti oncologici, in relazione all’entità dell’immunosoppressione. Il rischiodi riacutizzazione è valutato tra il 21% e il 67% con una mediana 50% e con una mortalitàmedia del 20%. I principali indicatori prognostici sfavorevoli sono il sesso maschile, l’età gio-vanile, la presenza di alterati valori delle transaminasi e la storia di diversi cicli di chemio-terapia. L’entità del rischio in relazione alla condizione di portatore attivo o inattivo non èchiaramente determinabile dalla letteratura disponibile. Il rischio sembra  incrementato dal-l’uso di anticorpi monoclonali (antiCD20, antiCD52), con possibilità di riacutizzazione a di-stanza di 12-36 mesi dall’ultima somministrazione del farmaco, in particolare nei portatoriattivi, ma anche nei soggetti anti-HBc positivi (26,27). 

Malattia da Virus dell’epatite B

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tabella 4. Frequenza di riattivazione del virus di epatite B in pazienti con tumori solidisottoposti a chemioterapia.

Tipo di tumore Regime chemioterapico Numero Frequenza delladi pazienti riattivazine  di HBVHbsAg +

Tumori solidi  Chemioterapia sistemica 429 20 - 37%

Tumore della Chemioterapia sistemica 50 41 - 56%

mammella

Chemioterapia sistemica

o

Epatocarcinoma Chemioterapia trans-arteria 218 25 - 36%

epatica

o

TACE

strategie di trattamento.Con il termine di profilassi si indica il trattamento con farmaci antivirali dei portatori croniciinattivi di HBV (vedi definizione) o con infezione occulta da HBV, con l’obiettivo di prevenirela  riattivazione dell’HBV e la riacutizzazione epatitica. La profilasi può essere :1. universale, se applicata all’intera popolazione a rischio potenziale (portatori cronici inattivie/o soggetti anti-HBc positivi ), 2. mirata, nel caso in cui l’inizio della terapia è subordinata alla comparsa nel siero di mar-catori d’infezione (HBV-DNA e/o HBsAg) in assenza di una riacutizzazione epatitici; E’ invece definita terapia la cura dell’epatite B, manifesta nei portatori attivi o insorta a se-guito della ripresa infettiva in soggetti originariamente portatori inattivi o anti-HBc posi-tivo.

terapia della riattivazione da virus B in corso di chemioterapia.Negli ultimi anni sono stati sviluppati dei farmaci analoghi nuclosidici o nucleotidici ( lami-vudina, adefovir, entecavir, tenofovir) che sono in grado di sopprimere la replicazione delvirus B. La lamivudina, un analogo nucleosidico, si è dimostrata efficace sia nei pazienti conepatite cronica HBeAg positiva che nei pazienti con epatite cronica HBeAg negativa (28,29).L’efficacia del farmaco è limitata dall’emergenza di mutazioni virali che si evidenziano me-diante ricerca delle mutazioni degli amminoacidi nel motivo YMDD del gene della polime-rasi  dell’HBV  con metodiche  di  PCR  (mutazioni  genotipiche)  e/o  si  esprimono  con  laricomparsa di elevati livelli sierici di HBV-DNA e l’aumento  delle transaminasi nei pazientitrattati per lunghi periodi (30). Questo fenomeno limita l’efficacia del farmaco nei pazienticon malattia cronica di fegato (10,31). L’Adefovir è disponibile ed è attivo in caso di riattiva-zioni dell’HBV e in caso di resistenza alla terapia con Lamivudina.L’uso della lamivudina durante le riattivazioni virali in corso di chemioterapia è stato ripor-tato in diversi singoli casi o piccole serie di pazienti fin dal 1999 (32).  I primi studi osserva-

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zionali hanno dimostrato che la somministrazione di lamivudina (100 mg/die per os) al mo-mento della riattivazione dell’epatite B (aumento dei valori delle transaminasi e dell’HBV-DNA sierico) riduce  l’intensità e la durata dell’epatite in una parte dei pazienti (33-35).  Altristudi  (36-40) hanno dimostrato che i pazienti trattati con lamivudina fin dall’inizio dellachemioterapia non presentano riattivazioni virali, mentre oltre il 30% dei pazienti non trattatipresenta una riattivazione con “flare” epatitico che in alcuni casi è stato grave o mortale. Neipazienti con linfoma, la profilassi antivirale è più efficacia quando la lamivudina è sommi-nistrata fin da una settimana prima dell’inizio della chemioterapia (early pre-emptive the-rapy) rispetto alla somministrazione solo in caso di  incremento dei livelli di HBV-DNAsierico (deffered pre-emptive therapy) (41). 

Esperienze nelle varie categorie virologiche.1. Portatore attivo. In ambito onco-ematologico la terapia con lamivudina delle forme attiveappare efficace, mentre l’inizio della terapia antivirale all’insorgenza di manifestazioni cli-niche mantiene una mortalità residua del 20%, probabilmente in relazione alle condizionibasali ed alla latenza di trattamento (42).2. Portatore inattivo. In studi retrospettivi la lamivudina si è dimostrata efficace nella profi-lassi della riacutizzazione dell’epatite (0-9% rispetto al 25-85% dei non trattati) e nell’unicostudio prospettico l’epatite si è manifestata nel 5% dei trattati e nel 24% dei controlli. L’uti-lizzo universale della profilassi è risultato superiore alla strategia mirata (iniziata solo al mo-mento  del  riscontro  di  elevati  valori  di  HBV  DNA  che  venivano  determinati  con  unmonitoraggio bimensile), sia in termini di sopravvivenza che di riacutizzazione epatitica (0%vs.53%, P=0.002) (41).3. Pazienti anti-core (HBsag-negativi). Non esistono, al momento, dati relativi all’ambitooncologico riferiti a questa categoria virologica (che può raggiungere il 20-30% nelle aree amedia endemia ed il 70-80% in aree ad alta endemia). In ambito ematologico, invece, su untotale di 176 pazienti anti-core descritti in letteratura, la sieroconversione è stata riscontrata in21 soggetti (12%) in corso di chemioterapia convenzionale, associata o meno al trapianto,con percentuali del 4-30% durante la chemioterapia e del 14-50% in corso di autotrapianto.In corso di autotrapianto l’epatite B si è manifestata a maggiore distanza dall’intervento (6-52 mesi, mediana 19 mesi), rispetto ai portatori conclamati (mediana 2-3 mesi) e nessuno deipazienti descritti è deceduto per l’epatite B (in 7 casi era stata attivata terapia con lamivudinaal momento della riacutizzazione). Di questi pazienti, 9 sono rimasti HBsAg postivi duranteil follow-up, mentre gli altri casi hanno perso l’HBsAg (1). La recente introduzione di anti-corpi monoclonali anti-linfociti B e T (anti-CD20 e antiCD52), usati da soli o in associazionealla chemioterapia, ha portato alla segnalazione di 6 casi di sieroconversione in soggetti anti-core, in 3 dei quali si è avuta l’insorgenza di una forma fulminante mortale, nonostante laterapia con lamivudina attivata al momento dell’evento (42).

indicazioni Le indicazioni sotto riportate rappresentano le conclusioni della  “ Single Topic Focus onprophylaxis and therapy of hepatitis B in  immuno-compromised patients” organizzatadall’AISF  a Torino  a maggio 2005 e aggiornata a maggio 2007 (43). 1. Nel portatore attivo si ritiene utile la terapia che è finalizzata al controllo della malattia

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sia durante che dopo la chemioterapia. Pertanto nei pazienti con epatite cronica da virus B,il trattamento deve essere prolungato dopo la fine del trattamento chemioterapico e gestitocome nei pazienti immunocompetenti con malattia cronica da HBV. 2. Nel portatore inattivo, invece, appare indicata la profilassi universale, da proseguire pertutta lafase di terapia, sino ad almeno 12 mesi dalla fine della chemioterapia e/o 6 mesi dalla im-muno-ricostituzione. Nei pazienti con linfoma sottoposti a terapia immunosoppressiva conanticorpi monoclonali la durata della profilassi rimane, però, ancora dibattuta e richiedestudi prospettici. In ogni caso si raccomanda di proseguire la profilassi antivirale fino 18mesi dopo la sospensione della terapia immunosoppressiva e di pianificare il monitoraggiodella viremia dopo la sospensione, per la pronta diagnosi e ripresa del trattamento in casodi riacutizzazione.3. Nei soggetti anti-core (HBsAg-negativi), in campo oncologico, oppure in corso di terapie ema-

tologiche giudicate a basso rischio, si consiglia il monitoraggio dell’HBsAg ogni 2-3 mesi e l’at-tivazione della profilassi mirata o della terapia in caso, rispettivamente, di sieroconversione

o riacutizzazione epatitica. Alla luce dei dati disponibili il ricorso alla determinazione dell’HBVDNA con tecniche di amplificazione, durante e dopo le terapie immunosoppressive, finaliz-zato all’attivazione della profilassi mirata rimane, invece, dibattuto in relazione alla tempi-

stica ed alla durata del monitoraggio, ai costi ed all’interpretazione clinica.. Difatti, se da un latola comparsa di viremia sierica identifica con sicurezza il portatore occulto (restringendo, diconseguenza, la popolazione a rischio potenziale), la frequenza di monitoraggio risulta almomento non determinata e non sempre la comparsa di minimi livelli viremici in soggettiimmunodepressi si associa alla riacutizzazione clinica (44). Di conseguenza nel caso in cui si

prospetti un’intensa immunosoppressione (chemioterapia con fludarabina, regimi dose-sense,trapianto allogenico, trapianto autologo mieloablativo, induzione delle leucemie acute, uti-lizzo di ripetuti cicli con monoclonali), specie in ambito ematologico, si consiglia una profilassi

universale, specie nei soggetti con segni d’epatopatia cronica e/o positivi per l’HBV DNAserico e/o per gli anticorpi antiHBe al baseline (43). 

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Malattia da Virus dEll’EPatitE B: la tEraPia NEl traPiaNtO di FEGatO

Pietro Andreone, Roberto Di DonatoDipartimento di Medicina Clinica, Università di Bologna

SommarioNei pazienti con malattia da HBV terminale gli analoghi nucleos(t)idici e le immunoglobulineanti-HBV (HBIg) hanno consolidato l’indicazione al trapianto di fegato e migliorato la so-pravvivenza del ricevente e del graft. La Lamivudina è stato il primo analogo nucleosidico disponibile e rappresenta ancora unodei farmaci più utilizzati nel “setting” trapiantologico in quanto molti dei nuovi farmaci di-sponibili (a parte l’Adefovir) non sono stati direttamente valutati in questo ambito. Il loroutilizzo, pur essendo diffuso, soprattutto per il trattamento delle resistenze, rimane nell’am-bito della prescrivibilità “off label”. La combinazione di Lamivudina ed HBIg è ancora il trattamento di riferimento per la profi-lassi post-trapianto in assenza di resistenze. L’utilizzo di basse dosi di HBIg per via intra-muscolare è diventato il trattamento di riferimento in sostituzione delle alte dosi per viaendovenosa. Lamivudina e HBIg in monoterapia o in combinazione hanno permesso di rendere sicuroanche il trapianto con fegati provenienti da donatori anti-HBc-positivi.

IntroduzioneL’indicazione al Trapianto di Fegato (OLT) per i pazienti con insufficienza epatica terminaleHBV-relata si è notevolmente consolidata, negli ultimi anni, grazie alla disponibilità di pre-sidi terapeutici più numerosi ed efficaci. Critico è stato il ruolo delle Immunoglobuline anti-HBV (HBIg) grazie alle quali è stato pos-sibile ridurre in modo significativo il tasso di recidiva post-OLT dell’infezione da virus B1;successivamente, con l’introduzione di farmaci antivirali come la Lamivudina e l’Adefovir,si è avuta la disponibilità di farmaci efficaci sia per la profilassi che per il trattamento dellarecidiva.La combinazione delle HBIg con gli analoghi nucleos(t)idici, ha ridotto dunque il rischio direcidiva e di re-infezione del graft a meno del 10%.

La gestione del paziente in lista per trapianto di fegatoL’obiettivo cardine che occorre prefiggersi nel trattamento dei pazienti con insufficienza epa-tica terminale da HBV (complicata o meno da HCC) e candidati ad OLT, è la riduzione e/ol’abbattimento della carica virale. Come è noto infatti, il rischio di recidiva è notevolmentemaggiore se al momento del trapianto la carica virale è ≥ 20.000 IU/ml.2 Inoltre il trattamentoantivirale nel paziente con cirrosi scompensata andrebbe iniziato indipendentemente dal va-lore della viremia dal momento che, una soppressione virologica duratura, si associa ad unaprognosi migliore3 e può ritardare o addirittura eliminare, la necessità della sostituzionedell’organo4,5.

Malattia da Virus dell’epatite B

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Ovviamente durante questo periodo va monitorato il paziente ed esclusa la comparsa di unaresistenza farmacologica alla terapia, definita dall’aumento della viremia di un logaritmo ri-spetto al nadir raggiunto durante il trattamento. 6 In questo caso è necessario cambiare il re-gime  terapeutico, affiancando al  farmaco già  in uso, un altro che  sia efficace anche neiconfronti del ceppo resistente.3

La Lamivudina è stato il primo farmaco ad essere utilizzato nei pazienti con cirrosi HBVscompensata, è in genere ben tollerata, possiede un buon profilo di sicurezza ed è altresì notoche, alla dose di 100 mg/die, stabilizza o migliora la funzione epatica.7 Tuttavia il suo utilizzoa lungo termine si accompagna spesso ad un progressivo incremento del tasso di resistenzafarmacologica (15-25% dopo 12 mesi fino al 60-65% dopo 4 anni)8 a cui segue un break-through virologico e biochimico.7,9 Alla luce di questi dati, la monoterapia con Lamivudinanon può essere più considerata la scelta terapeutica primaria, fra i pazienti con cirrosi HBVin fase di scompenso.L’Adefovir è un analogo nucleotidico efficace sia contro il virus dell’HBV “wild type” checontro i ceppi Lamivudino-resistenti.8  Pur presentando in monoterapia un tasso di resistenzaminore della Lamivudina, quest’ultima può realizzarsi anche nel 30% dei casi trattati a 5anni dall’inizio della terapia.10 Altre limitazioni alla monoterapia con Adefovir sono costituitedalla sua scarsa potenza e dalla sua nefrotossicità.11,12 In questo caso, se non occorre abbattererapidamente la viremia ovvero se è prevedibile un periodo superiore a 6 mesi fra l’iniziodella terapia antivirale ed il trapianto, può risultare efficace e razionale l’impiego combinatodell’Adefovir (10 mg/die)  e della Lamivudina.L’Entecavir è un antivirale più efficace e potente della Lamivudina o dell’Adefovir  poiché èin grado di azzerare molto rapidamente l’HBV-DNA, presenta un eccellente profilo di far-maco-resistenza, sembra avere un’efficacia ed una sicurezza eguale sia fra i pazienti naïvecon epatite cronica HBV-relata che fra i pazienti naïve con fibrosi avanzata o cirrosi8,12,13 edinfine il suo utilizzo non è gravato dal rischio di comparsa di effetti nefrotossici. Pertantoviene già raccomandato come farmaco di prima linea alla dose di 0.5 mg/die per il tratta-mento dei pazienti con cirrosi HBV scompensata,14 ma non è ancora stato approvato con taleindicazione nei pazienti con insufficienza epatica terminale e candidati al trapianto, dal mo-mento che mancano informazioni sulla sua sicurezza e tollerabilità a lungo termine ed anchesul tasso di carcinogesi durante il periodo di trattamento.Il Tenofovir è l’ultimo analogo nucleotidico approvato per il trattamento dell’epatite cronicaHBV-relata ed è efficace sia per i pazienti naïve che per quelli con resistenza alla Lamivu-dina.15,16,17,18 Inoltre, sebbene sia necessario un follow-up più lungo, non sono note delle resi-stenze-farmacologiche fino alla 96° settimana di trattamento.16,17 Per tale motivo anche ilTenofovir, come l’Entecavir, viene raccomandato dalle linee guida EASL per il trattamentodell’epatite B,14 come farmaco di prima linea anche per i pazienti con cirrosi scompensata,sebbene manchino dati sulla sua sicurezza derivanti un periodo di osservazione più lungoe benché la sua assunzione sia gravata dal rischio di potenziali effetti nefrotossici. E’ neces-sario quindi disporre di ulteriori trials clinici prima che possa essere largamente utilizzatonei pazienti in lista per il trapianto.In conclusione, nel paziente naïve, andrebbe preferita l’associazione fra Adefovir e Lamivu-dina se il tempo di attesa previsto fra l’inizio della terapia ed il trapianto è  >6 mesi, dal mo-mento che in questo caso la potenza virale è un fattore meno critico mentre è più importante

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utilizzare una combinazione di farmaci ad alta barriera genetica. Nel caso in cui occorra ab-battere molto rapidamente la viremia HBV, ovvero se il tempo di attesa medio fra l’iniziodella terapia ed il trapianto è <6 mesi, possono trovare indicazione i farmaci ad elevata po-tenza come l’Entecavir o il Tenofovir, che, al momento attuale, hanno una prescrivibilità “off-label”.  Nei pazienti con farmaco-resistenza si raccomanda invece il seguente approccio terapeutico:

1) Resistenza alla Lamivudina• aggiunta di Tenofovir in caso di una differenza di tempo fra l’inizio della terapia edil trapianto <6 mesi

• aggiunta di Adefovir o Tenofovir (in presenza di alta carica virale) in caso di una dif-ferenza di tempo fra l’inizio della terapia ed il trapianto >6 mesi

2) Resistenza all’Adefovir• Aggiunta di  Entecavir* o switch a Tenofovir* (se risposta sub-ottimale all’Adefovir)

3) Resistenza all’Entecavir• Aggiunta di Tenofovir* in caso di una differenza di tempo fra l’inizio della terapia edil trapianto <6 mesi

• Aggiunta di Tenofovir o di Adefovir in caso di una differenza di tempo fra l’iniziodella terapia ed il trapianto >6 mesi

4) Resistenza alla Lamivudina ed Adefovir• Combinazione di Tenofovir ed Entecavir 

* Farmaci per i quali non è stata dimostrata la sicurezza di impiego nell’ambito del Trapianto di Fegato e per iquali la prescrivibilità è off-label

La profilassi della reinfezione nel post-trapiantoL’utilizzo degli analoghi nucleos(t)idici in combinazione con HBIg ha permesso di ridurredrasticamente il tasso di reinfezione del graft19,20,21,22. Inizialmente venivano somministrateHBIg ad alte dosi con l’obiettivo di mantenere il titolo anti-HBs >500 IU/L alla prima setti-mana,  >250 IU/L dalla seconda alla dodicesima settimana ed infine >100 IU/L dalla tredi-cesima settimana.23,24

Dal momento che le HBIg solo raramente determinavano un’eradicazione dell’HBV, era ne-cessaria una profilassi condotta per un periodo di tempo indefinito con una conseguente ele-vazione dei costi delle cure post-trapianto. La strategia più efficace per ridurre la spesa dellaterapia profilattica, dovrebbe essere basata sulla personalizzazione del dosaggio delle HBIgstimato dai livelli sierici di anti-HBs.1,25,26 Un altro approccio che è stato più recentemente va-lutato è l’utilizzo delle HBIg somministrate per via intramuscolare a dosi più basse rispettoalla somministrazione endovenosa: tale approccio, riservato per ora a pazienti trattati in pre-cedenza con analoghi nucleos(t)idici e con HBIg e.v., consente una riduzione dei costi deltrattamento, evita il ricorso a strutture ospedaliere o assistenziali, migliora la compliance delpaziente essendo gravato da un minor numero di effetti collaterali ed infine si associa ad unbasso rischio di recidiva di infezione (3.4%) a 5 anni di follow-up.27,28,29,30

L’immunoprofilassi in monoterapia con HBIg è, ad oggi, non più consigliata per l’elevato ri-schio di recidiva legata alla comparsa di “escape mutants” ed andrebbe pertanto riservata agruppi selezionati di pazienti, come quelli con viremia costantemente negativa pre-trapiantoe mai trattati con  analoghi nucleos(t)idici.2,31

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La profilassi condotta con la Lamivudina in monoterapia è stata valutata, ma successiva-mente abbandonata a causa dell’alto rischio di recidiva HBV a 2 anni dal trapianto e dal-l’evoluzione clinicamente sfavorevole osservata in alcuni pazienti, per questo motivo non èattualmente più consigliata.32,33,34

Non esistono degli studi condotti sulla monoprofilassi con Adefovir, sebbene sia prevedibile,in base ai dati rilevati nei pazienti trattati con questo analogo pre-trapianto10, che tale opzionepossa associarsi alla comparsa di mutanti resistenti. Studi ulteriori sono invece richiesti sul-l’eventuale efficacia in monoterapia profilattica dell’Entecavir o del Tenofovir e sulla loropotenziale tossicità renale anche in considerazione del frequente utilizzo di immunosoppres-sori come gli inibitori della calcineurina.La terapia combinata con Lamivudina ed HBIg è stata proposta con l’intento di ridurre i costie di migliorare l’efficacia della profilassi; la sua efficacia e superiorità sono state dimostratesia nei confronti della monoterapia con HBIg che in quella con Lamivudina, sia in termini direcidiva che in quelli di sopravvivenza globale post-trapianto.35,36  Una variazione a questaefficace associazione, che è stata successivamente valutata, è la sospensione delle HBIg pro-seguendo con una monoterapia con Lamivudina: i risultati emersi da due piccoli trial ran-domizzati37,38 sono  stati  inizialmente  incoraggianti,  ma  ad  un’osservazione  più  lunga,emergeva un tasso di recidiva di infezione del 20% a 7 anni.39 

E’ stata anche valutata la validità della combinazione fra Lamivudina ed Adefovir, dopo l’in-terruzione delle HBIg, senza che si sia osservato, dopo un follow-up mediano di 21 mesi,alcun episodio di recidiva ed ottenendo un miglioramento della qualità di vita del pazienteed una riduzione dei costi.40 In futuro andrà anche valutata l’efficacia di farmaci nuovi, po-tenti e costosi come l’Entecavir ed il Tenofovir, anche in relazione al rapporto costo/beneficiorispetto a quello della combinazione fra Lamivudina ed HBIg.Un’ulteriore possibilità profilattica che è stata esplorata, è la vaccinazione anti-HBV dopo iltrapianto; il razionale è quello di stimolare la produzione endogena di anti-HBs che sostitui-scano, in maniera spontanea e naturale, le HBIg; tuttavia il tasso di produzione anticorpaleè risultato molto variabile verosimilmente a causa dei diversi criteri metodologici adottati,dell’utilizzo di variabili definizioni di risposta anticorpale ed infine delle differenti prepara-zioni e dosi di vaccino somministrate.41,42,43,44

La gestione della recidiva di infezione nel post-trapiantoLa recidiva di infezione da HBV nel post-trapianto è definita dalla ricomparsa di HBsAg nelsiero e dalla presenza di livelli di HBV-DNA quantificabili e spesso si associa ad una ripresadella malattia epatica. In un 10% dei casi di recidiva compare una particolare forma di epatiteaggressiva, denominata “epatite fibrosante-colestatica”, in cui si assiste ad un massivo ac-cumulo intra-epatico di antigeni virali che esercitano un danno citotossico diretto; questaforma ha un rischio molto elevato di evolvere verso l’insufficienza epatica del graft ed è piùcomune proprio nei primi mesi post-trapianto.Nella recidiva HBV con infezione “de novo” occorre associare Lamivudina ed Adefovir, con-siderando il basso rischio di resistenza e l’elevata barriera genetica dell’associazione. In caso di resistenza alle HBIg ed alla Lamivudina, va sospesa l’assunzione delle prime edaggiunto l’Adefovir (o il Tenofovir se la carica virale è molto alta, sebbene sia scarsa la lette-ratura sulla sua efficacia nei pazienti trapiantati). L’associazione fra Lamivudina ed Adefovir

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iniziata dopo la comparsa di resistenza alla Lamivudina stessa, determina la negativizzazionedell’HBV-DNA in più del 95% dei pazienti e la probabilità di resistenza cumulativa è del 2%dopo 144 settimane.45

La presenza di resistenza alle HBIg ed all’Adefovir, suggerisce di sospendere le HBIg e diaggiungere la Lamivudina ( oppure l’Entecavir se la carica virale è molto elevata). Infine incaso di resistenza alla Lamivudina, all’Adefovir ed alle HBIg, oltre all’interruzione di que-st’ultime, occorre cercare di ridurre la viremia, associando Tenofovir ed Entecavir.

Il trapianto da donatori anti -HBc positiviLa necessità di soddisfare la crescente richiesta della lista d’attesa per trapianto di fegato, haportato all’utilizzo di fegati marginali come quelli dei donatori anti-HBc positivi.In una recente review pubblicata su J of Hepatol, Cholongitas et al.46 hanno valutato il rischiodi recidiva dell’infezione da HBV dopo trapianto di organi provenienti da questo tipo di do-natori e l’efficacia della profilassi.Il tasso di positività anti-HBc fra i donatori di fegato varia notevolmente in relazione allaprevalenza dell’infezione da HBV nel paese preso in esame e si eleva notevolmente, fino adoltre il 50%, nelle aree endemiche.47

Il principale limite all’utilizzo di fegati da donatori anti-HBc positivi è il rischio di sviluppareuna infezione de novo da HBV nel post-trapianto, che risulta essere ulteriormente incremen-tato dalla concomitante terapia immunosoppressiva in atto nel ricevente. La principale indicazione all’utilizzo di fegati anti-HBc positivi, è il trapianto su riceventiHBs-Ag positivi, dal momento che questi necessiterebbero in ogni caso di una profilassi dilunga durata; dalla letteratura presa in esame, gli autori affermano che il tasso di reinfezionemedio è solo del 10%, considerando un follow-up mediano di 19-42 mesi, e che la sopravvi-venza mediana varia dal 67% al 100%. L’immunoprofilassi suggerita in questo caso è quellacombinata con HBIg e Lamivudina.Secondariamente il fegato anti-HBc positivo andrebbe allocato in riceventi anti-HBc positivie/o anti-HBs positivi; in particolare la presenza di anticorpi anti-HBs conferisce un’eccellenteprotezione dal rischio di infezione de novo (<2%) e per questi pazienti non occorre alcunaprofilassi specifica. Viceversa per un ricevente anti-HBc positivo ma anti-HBs negativo è con-sigliata una terapia con Lamivudina e la stessa profilassi viene suggerita per i riceventi anti-HBc negativi ed anti-HBs positivi. CL’ultima categoria di pazienti che possono ricevere un organo anti-HBc positivo sono quelliche non hanno segni di un pregresso contatto con l’HBV. In questa categoria di pazienti (HBVnaïve), la profilassi con Lamivudina è fondamentale, in quanto riduce da circa il 50% al 3.4%il rischio di infezione de novo.Il tasso di infezione potrebbe essere ulteriormente abbattuto utilizzando una combinazionedi HBIg e Lamivudina, ma l’elevato costo delle prime è eccessivo rispetto al guadagno intermini di prevenzione dalla reinfezione con Lamivudina in monoprofilassi (0% vs 3.4%).

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Key Points1)  L’introduzione degli antivirali ha ridotto la necessità di trapianti per cirrosi HBV-relata

ed ha inoltre migliorato l’outcome dei pazienti sottoposti a trapianto2)  La disponibilità di differenti farmaci antivirali ha consentito di ottenere un’ottimale ge-

stione delle resistenze farmacologiche3)  La combinazione fra Lamivudina ed Immunoglobuline  anti-HBV (HBIg) rappresenta an-

cora il presidio terapeutico più efficace per la profilassi della recidiva da HBV nel post-trapianto

4)  La combinazione di farmaci antivirali ed HBIg permette un’ottimale allocazione dei fegatianti-HBc-positivi

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Malattia da Virus dell’epatite B

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Malattia da Virus dell’epatite B

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