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1 UNIVERSITA’ DI CATANIA Facoltà di Medicina e Chirurgia MANUALE DI CHIRURGIA TORACICA PER GLI STUDENTI DI MEDICINA E CHIRURGIA DIAGNOSTICA STRUMENTALE INVASIVA DEL TORACE Broncoscopy * Mediastinoscopy - mediastinotomy * Scalene lymphnode biopsy * Thoracentesis * Thoracoscopy * Lung biopsy * Angiography Endoscopy * Endoscopic ultrasonography * Manometry * 24 hours pHmetry * PNEUMOTORACE EMPIEMA MESOTELIOMA TNM CANCRO DEL POLMONE NSCLC SCLC

Manuale - Ch Toracica

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UNIVERSITA’ DI CATANIAFacoltà di Medicina e Chirurgia

MANUALE DI CHIRURGIA TORACICA PER GLI STUDENTI DI MEDICINA E CHIRURGIA

DIAGNOSTICA STRUMENTALE INVASIVA DEL TORACE

Broncoscopy *Mediastinoscopy - mediastinotomy *Scalene lymphnode biopsy *Thoracentesis *Thoracoscopy *Lung biopsy *AngiographyEndoscopy *Endoscopic ultrasonography *Manometry *24 hours pHmetry *

PNEUMOTORACE

EMPIEMA

MESOTELIOMA

TNM

CANCRO DEL POLMONENSCLCSCLC

MALATTIE DEL MEDIASTINO

MediastiniteEnfisema mediastinicoGozzo mediastinicoAdenoma paratiroideoCisti malformativeTumori germinali

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LinfoadenopatieTumori timiciTumori neurogeniTumori mesenchimali

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DIAGNOSTICA STRUMENTALE INVASIVA DEL TORACE

1 – Indagini angiografiche

Le indagini angiografiche che possono trovare ancora oggi impiego sono essenzialmente rappresentate dalla cavografia, la cui principale indicazione è la sindrome da ostacolato deflusso nella V.C.S.I quadri radiologici di più frequente riscontro in presenza di una sindrome della V.C.S. sono rappresentati da: - uno stop brusco del mezzo di contrasto a vari livelli della V.C.S. o quadri di marcato e irregolare restringimento del lume. In questi casi è dimostrabile un ricco circolo collaterale, la cui disposizione dipende dal livello del blocco nel sistema della V.C.S. Questo reperto depone in genere per un'affezione maligna, primitiva o secondaria del mediastino. - la divaricazione o lo spostamento del sistema cavale superiore, con pareti vasali regolari ; in tali casi le caratteristiche del circolo collaterale sono in dipendenza, oltre che dalla sede del blocco, anche dalla natura e dalle modalità  di sviluppo del processo occupante spazio. Tale reperto può essere suggestivo di una tumefazione di natura benigna (gozzo cervico-mediastinico).La cavografia può rendersi necessaria anche per stabilire il criterio di operabilità  di un tumore localizzato in corrispondenza del margine destro del mediastino superiore. Il rilievo di un pinzettamento delle pareti venose, senza ostacolo al deflusso del mezzo di contrasto e senza evidenza di circoli collaterali, è in questi casi indicativo di una infiltrazione neoplastica della parete vasale, che controindica l'intervento chirurgico. 2- Indagini Endoscopiche

La tracheo broncoscopia trova indicazione quando gli esami radiologici non riescono a chiarire i rapporti tra un T.M. del mediastino medio e l'albero tracheobronchiale. L'indagine endoscopica permette di documentare riduzioni del calibro tracheobronchiale da compressioni ab estrinseco o vegetazioni endoluminali da processi neoplastici infiltranti.

La presenza di una eventuale fistolizzazione può essere meglio documentata dalla tracheobroncografia.La laringoscopia deve essere, invece, di utilizzazione sistematica nello studio della patologia mediastinica al fine di controllare la motilità delle corde vocali, frequentemente compromesse nella patologia tumorale.L’esofagoscopia è utile e necessario complemento dell'esofagografia nei casi in cui si siano dimostrati stenosi od

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infiltrazioni dell'esofago, anche per la possibilità  di integrare l'esame con prese bioptiche sulla lesione. 3 - Punture bioptiche L'agobiopsia delle neoformazioni mediastiniche e toraciche ha oggi un'ampia diffusione. Essa viene eseguita sotto intensificatore di brillanza o sotto guida TC, impiegando aghi di calibro adeguato da utilizzare con metodiche di aspirazione o mediante tru-cut. Il materiale prelevato viene sottoposto ad un accurato studio cito-istologico; l'associazione di metodiche immunocitoistochimiche consente di migliorare significativamente il rendimento diagnostico.

4 - Chirurgia diagnostica la diagnosi etiologica delle neoformazioni solide, che costituiscono la gran parte delle tumefazioni endotoraciche, sfugge ai metodi non chirurgici. Ne nasce la conseguenza che, nella gran parte della patologia tumorale mediastinica, la diagnosi di natura si identifica con quella istopatologica.Di conseguenza si può affermare che:- ogni massa mediastinica solida deve essere sottoposta all'esplorazione chirurgica, quando non sopravvengano controindicazioni all'intervento;- non deve essere intrapreso alcun trattamento complementare chemio e/o radioterapico, in assenza di una definizione istopatologica e di una stadiazione del processo neoplastico.Pertanto, ancora oggi, vengono correntemente impiegate le varie metodiche di chirurgia diagnostica, come la mediastinoscopia, la mediastinotomia anteriore extrapleurica, la toracoscopia e talora la toracotomia esplorativa.

MEDIATINOSCOPIA

La mediastinoscopia è una metodica strumentale cruenta da effettuare in anestesia generale e con intubazione tracheale. Permette la esplorazione diretta, palpatoria e visiva, del mediastino anteriore-superiore nello spazio compreso tra i grossi vasi e la trachea, consentendo di evidenziarne i processi patologici e di porre, con il prelievo bioptico mirato, una diagnosi istologica definitiva.

Attraverso una incisione trasversale di circa 4 cm a livello della fossa giugulare si raggiunge la trachea. Incisi gli involucri peritracheali con manovra digitale si scolla per via smussa, verso il basso, la guaina propria della trachea in modo da creare un tunnel pretracheale nel quale verrà  introdotto il

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mediastinoscopio. L’endoscopio viene fatto progredire fino alla biforcazione tracheale.Spostando delicatamente verso destra e verso sinistra l'estremità  dello strumento è possibile esplorare visivamente, riconoscere e biopsare i linfonodi paratracheali alti e bassi ed i sottocarenali anteriori, nonchè‚ le eventuali masse patologiche esistenti.Le indicazioni alla mediastinoscopia sono di ordine diagnostico e stadiativo. Le indicazioni diagnostiche hanno lo scopo di definire istologicamente le linfoadenopatie mediastiniche primitive e secondarie, mentre quelle di ordine stadiativo si prefiggono fondamentalmente di documentare l'eventuale diffusione al mediastino di un carcinoma del polmone già  diagnosticato.

La mediastinoscopia ha controindicazioni di ordine generale che non differiscono sostanzialmente da quelle comunement accettate per tutti gli interventi che richiedono l'anestesia generale. Le controindicazioni relative sono rappresentate da una pregressa mediastinoscopia, dall'ipertensione cavale superiore, dalla fibrosi mediastinica, dagli aneurismi dei grossi vasi.Le complicanze dell’indagine non sono né frequenti nè importanti. Vanno tuttavia ricordate le emorragie, solo eccezionalmente gravi, il pneumotorace, le lesioni bronchiali e ricorrenziali, le infezioni mediastiniche.La metodica è sempre stata di non facile apprendimento per le difficoltà legate all’insegnamento della tecnica chirurgia dal momento che solo un operatore può avere accesso al canale operativo del mediastinoscopio; recentemente l’applicazione delle tecniche video alla mediastinoscopia (video-mediastinoscopia) ha consentito di dimostrare la procedure chirurgica eliminando i rischi legati all’apprendimento (learning curve).

MEDIASTINOTOMIA ANTERIORE EXTRAPLEURICA

La mediastinotomia anteriore extrapleurica, proposta da Chamberlain nel 1966, consente di raggiungere e sottoporre a biopsia i processi patologici del mediastino anteriore-superiore, delle regioni ilari e del parenchima polmonare adiacente che non abbiano avuto un riscontro diagnostico mediante altre tecniche.

In anestesia generale e con il paziente in posizione supina si raggiunge lo spazio mediastinico attraverso una incisione nel II-III spazio intercostale di destra o di sinistra. Si penetra nel

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piano della riflessione pleuro-mediastinica e, spostando lateralmente la pleura ed il polmone sottostanti, si reggiunge lo spazio extrapleurico retrosternale.Per questa via è possibile eseguire delle biopsie sulla masse neoplastiche del mediastino anteriore, sui linfonodi ilari e paratracheali di destra e della cava superiore. A sinistra è possibile effettuare prese bioptiche sui linfonodi ilari e paratracheali e sui gruppi linfonodali pre e sottoaortico.Recentemente alcuni AA. Hanno proposto di sostituire la tradizionale mediastinotomia anteriore sec. Chamberlain con la videotoracoscopia.Questa metodica consente infatti una visione più particolareggiata ed ingrandita delle strutture mediastiniche ipsilaterali e contestualmente una valutazione dell’intero spazio pleurico. In particolare, nell’eventualità di una patologia maligna del mediastino con concomitante versamento pleurico recidivante, la videotoracoscopia oltre a consentire uno più accurato prelievo bioptico permette di esplorare tutta la cavità pleurica ed eseguire eventualmente una pleurodesi chimica con talco.

TORACOSCOPIA –VIDEOTORACOSCOPIA-VATS

La toracoscopia è una metodica strumentale che ha apportato un notevole contributo diagnostico alla patologia mediastinica ad eziologia infiammatoria, neoplastica, cistico-malformativa e traumatica. Essa consente di esplorare la pleura viscerale e parietale, diaframmatica e mediastinica, di valutare lo stato dei tessuti e degli organi immediatamente sottostanti, ma soprattutto di eseguire prelievi bioptici mirati sulle eventuali lesioni evidenziate.Dal 1990, sull’onda innovativa della chirurgia mini-invasiva la vecchia toracoscopia ha lasciato il posto alla nuova video-toracoscopia diagnostica ed operativa che consente manovre chirurgiche eseguibili con sempre maggiore sicurezza sotto il diretto controllo della vista.La video-chirurgia toracica deve essere distinta in video-toracoscopia (VT) e chirurgia toracica video-assistita (VATS), che utilizza eventualmente una mini-toracotomia di servizio.I vantaggi della video-chirurgia toracica sono indubbiamente molteplici e variano dalla riduzione della degenza postoperatoria, dalla possibilità di operare anche pazienti con compromissione della funzionalità polmonare (CVT e FEV 1) e dai migliori risultati estetici.

La VT può essere condotta in anestesia locale o più frequentemente in narcosi con intubazione selettiva. Attraverso una incisione di 2-3 cm nel IV-VI spazio intercostale lungo l’ascellare media o anteriore, con il paziente in decubito

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laterale sul lato sano, si introduce il toracoscopio, che altro non è se non un tubo metallico contenente un sistema ottico collegato ad una sorgente luminosa.

I problemi di ordine chirurgico legati all’utilizzazione della video-toracoscopia in patologia del mediastino riguardano la posizione del paziente e la localizzazione dei punti di introduzione dei trocars. La posizione piu’ utilizzata è il decubito laterale ma è anche possibile, secondo le esigenze, operare con il paziente in decubito supino.I punti di introduzione dei trocars, nella VATS, vengono scelti sulla base della sede anatomica della lesione. L’ottica viene generalmente introdotta attraverso un trocar posizionato sulla linea ascellare media al VI spazio intercostale. La disposizione deve essere a triangolo con la telecamera che rappresenta l’apice. La strumentazione endoscopica non differisce sostanzialmente da quella laparoscopica; tuttavia in video-toracoscopia è preferibile utilizzare stumenti (pinze, forbici etc..) di lunghezza inferiore. Il numero di trocars necessari per l’introduzione degli strumenti può variare da 2 a 5, con un diametro di almeno 10 mm. L’ideale è possedere due monitors posizionati ad entrambi i lati del paziente cosicché sia il chirurgo sia il primo assistente possono avere accesso diretto al monitor. Il secondo assistente (camera-man) e il ferrista prendono posto al lato dei primi operatori. A seconda delle necessità queste posizioni possono essere variate. La video toracoscopia è attualmente utilizzata con successo nella diagnostica e nel trattamento della patologia mediastinica ed in particolare delle cisti broncogene e pleuro-pericardiche, dei neurinomi ad estrinsecazione mediastinica, della patologia del timo, dei versamenti pericardici ed infine delle linfoadenopatie mediastiniche primitive e secondarie come staging del carcinoma del polmone. In considerazione della maggiore diffusione della video-toracoscopia, oggi la toracotomia diagnostica viene eseguita solo raramente in quelle neoformazioni che non siano aggredibili con la mediastinoscopia, con la mediastinotomia anteriore extrapleurica o con la toracoscopia.

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BRONCOSCOPIA (1895- Kirstein - Germany)

INDICAZIONI

Diagnostica Terapeutica

severe cough atelectasisabnormal chest XR retained secretionshemoptysis lung abscesswheeze lavageunresolved pneumonia foreign bodiesabnormal sputum cytology stricturediffuse lung diseasemetastatic malignancypediatric airway obstruction

RIGIDA

Type of brochial neoplasmsmobility of surrounding structures

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extention of endobronchial involvementsource of bleedingremoval of thick secretionsremoval of foreign body

FLESSIBILE (1967)

ConfortExamination of the tracheobronchial tree to the subsegmental levelbrushingwashingtransbronchial lung biopsyventilation during the broncoscopy

METODOAnesthesia : general or topical (preferred method)Through the nose or the mouth the broncoscopy can be passed in the trachea after inspection of the vocal cord

COMPLICANZELaryngeal lesionbleeding

BIOPSIA LINFONODO SOPRACLAVEARE

because lymphatic drainage involvement of the node of the neck by means of paratracheal nodes

METODO 4-6 cm. incision 2 cm. above and parallel with clavicle over lateral edge of steenocleido muscle. Care to avoid on the left the thoracic duct and the internal jugular vein.Indication: in pts with suspected sarcoid 80% accuracyin pts with cancer < 10% accuracy

THORACOSCOPIA (1913 - Jacobs)

INDICAZIONI

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pneumothorax (enfisema, bullae)esuudative pleuritis (gold standard- 100% accuracy) (tbc, mesothelioma)tumours of chest wall, (mediastinum - 88% accuracy, pericardium, diaphragm)tumours of the lung (cysts, benign tumours) - 91% accuracyonly the posterior inferior pulmonary hilar lesion is visualized with difficulty.TODAY: video thoracoscopy to perform bullectomy, diverticulectomy, lung biopsy and probably more other.

METODOAnesthesia : generalthe mediastinoscope or the rigid broncoscope is passed through a small incision in the pleural cavity.

TORACENTESI

Local anesthesiaby means on a long needle the fluid can be aspirated.Protein > 3 gr/100 ml = exudate < 3 " " = transudatePredominance - of polymorphonuclear cells suggest the presence of

pyogenic infections - of lymphocytis can be neoplastic

BIOPSIA POLMONARE

Trough the broncoscopycomplication: pneumothorax (5-20%, but very few patients requires tube)

Needle biopsy (local anesthesia with fluoroscopic control)

complication: hemoptysis (6%), pneumothorax (10-30%, but very few patients requires tube), hemothorax

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(rare) Results: some AA accuracy 96%, other 45%.

Open lung

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ESOFAGO

MANOMETRIA 1883 Germany 1912 Cannon 1955 Code - Mayo Clinic (USA)

To evaluate disorders of esophageal motility: - pressure and motility of the Lower Esophageal Sphincter (LES)- motility of the esophageal body- pressure and motility of the Upper Esophageal Sphincter (UES)

METODOSingle catheter consisting of 3 or 4 or 5 or 6 or ... fluid-filled, perfused tubes bonded together with lateral opening placed 5 cm. apart. The catheter is passed into a empty stomach like a nasogastric tube and withdrawn slowly into the esophagus (1 cm increment).Indications to surgery *: LES pressure < 6 mmHg

Intrabdominal LES < 1 cm Total length LES < 1 cm

* De Meester 1985

ACALASIA ( Greek a=NO, Chaleis=OPENING)LES doesn't relax when the sophgael wawes arriveBODY with ipotonic and simultaneus contactions

SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO (DES)LES can be normal or achalasic, ipotonic or ipertonicBODY ipertonic and simultaneus contractions

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PHMETRIA 24 ORE 1958 Tuttle and Grossman

1974 Johnson and De Meester

METODO

a ph alectrode is passed transnasally and positioned 5 cm above LES. A portable solid state monitor sampled and stored esophageal ph at 7 seconds interval.A reflux episode is defined as a drop in esophageal ph to less than 4 and is finished when the ph return to 4 or more.

- % ph < 4- Number reflux episodes- Number episodes lasting > 5 min.- Duration longest episode

ECO-ENDOSCOPIA- Ca . esophagus sensibility T=98%; N=80%; M=65-70%.

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PNEUMOTORACE

Per pneumotorace (PNX) si intende la presenza di aria nel cavo

pleurico, che diviene così una cavità reale da spazio virtuale quale è

in condizioni normali, con conseguente collasso del polmone. La

causa più comune di accumulo di aria è la rottura della pleura

viscerale con lacerazione parenchimale o rottura bronchiale e

secondario air leak dal polmone; l’aria può anche derivare da rottura

dell’esofago o da una soluzione di continuo della parete toracica.

Raramente si possono accumulare gas per la presenza di

microrganismi, come avviene in alcune forme di empiema

(piopneumotorace).

Il pneumotorace può essere classificato in rapporto all’eziologia e

alle caratteristiche cliniche con cui si presenta in:

PNX spontaneo (75%), che comprende le forme primitive (65%)

che avvengono in soggetti con nessuna patologia polmonare nota

(in tal caso può essere idiopatico, se nessuna eziologia è

individuabile, o sintomatico, se rivelatore di una patologia fino ad

allora ignota) e le forme secondarie (35%) che si verificano in

soggetti con patologie polmonari già note - clinicamente o con

metodiche diagnostiche - quali BPCO (enfisema con distrofia

bollosa o enfisema diffuso, asma, fibrosi cistica), malattie

interstiziali del polmone (fibrosi polmonare, sarcoidosi,

pneumoconiosi), infezioni (batteri, ascesso, TBC e Pnumocystis

carinii soprattutto in pazienti con AIDS, idatidosi, funghi), neoplasie

o metastasi (in particolare osteosarcoma, sarcoma sinoviale,

linfoma), malattie sistemiche coinvolgenti secondariamente il

polmone (sindrome di Marfan e di Ehlers-Danlos, istiocitosi X,

linfoangiomiomatosi, collagenopatie); tra le forme secondarie va

anche annoverato il PNX catameniale (PNX con comparsa o recidiva

entro i primi tre giorni del ciclo mestruale).

L’esplorazione chirurgica nei casi di PNX spontanei ha permesso di

individuare quattro differenti stadi anatomo-patologici:

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Stadio 1, polmone normale senza evidenza di blebs o bolle (30-

40%).

Stadio 2, polmone senza blebs o bolle ma con aderenze

pleuriche che fanno sospettare precedenti episodi di PNX (12-

15%).

Stadio 3, polmone con piccole bolle o blebs (28-41%).

Stadio 4, polmone con bolle multiple superiori a 2 cms (17-29%).

Ricordiamo che per “blebs” si intendono piccole (< 2 cms) raccolte

subpleuriche di aria originate da rottura alveolare mentre per

“bolle” si definiscono raccolte d’aria più o meno larghe all’interno

del parenchima polmonare dovute a rottura di gruppi di alveoli

confluenti e che aggettano sulla superficie pleurica viscerale.

PNX traumatico , da trauma penetrante o contusivo con rottura

bronchiale, esofagea o lacerazione del parenchima polmonare; da

barotrauma, come messo in evidenza da studi fatti su personale di

volo con precedenti episodi di PNX in cui le bolle apicali

aumentavano di volume con il decrescere della pressione

atmosferica.

PNX iatrogeno , che può essere dovuto a procedure diagnostico-

terapeutiche mal eseguite (toracentesi, biopsie polmonari trans-

bronchiali, rimozione drenaggio toracico, agobiopsia trans-toracica,

cateterismo venoso centrale, inserimento di pacemaker, ecc...) o

ad interventi chirurgici sul torace (VATS, minitoracotomie,

toracotomie maggiori); si ricorda che un tempo si attuava anche un

pnx terapeutico per facilitare la guarigione di lesioni escavative

tubercolari.

FISIOPATOLOGIA

Normalmente il cavo pleurico è uno spazio virtuale (10-27 m) in

cui è contenuto un film liquido che consente lo scorrimento della

pleura viscerale sulla parietale, durante gli atti respiratori,

mantenendole accollate tra loro malgrado le forze contrapposte

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esercitate da un lato dalla parete toracica, che si espande verso

l’esterno, e dall’altro dalla retrazione elastica del polmone, che tende

a collassare verso l’interno; questo gioco di forze crea una pressione

endopleurica negativa rispetto alla pressione atmosferica esterna ed

alla pressione alveolare; tale pressione negativa segue anche un

gradiente verticale, con massima negatività all’apice e minima alla

base del polmone (tale gradiente è tanto più accentuato quanto

maggiore è l’altezza del soggetto e ciò giustifica l’alta frequenza di

PNX spontaneo in soggetti alti longilinei).

Quando si crea una via d’ingresso al cavo pleurico, l’aria

dall’esterno o dagli alveoli penetra all’interno di esso fino

all’annullamento della differenza pressoria, le due pleure perdono

contatto ed il polmone collassa verso l’ilo, tutto ciò causando squilibri

della meccanica ventilatoria tanto più gravi quanto maggiore è

l’entità del PNX (quando il PNX supera il 25% compare ipossiemia da

ipoventilazione).

Quando la breccia che ha consentito il passaggio di aria si richiude

per effetto della retrazione elastica del polmone, il PNX è detto

“chiuso” ed il collasso polmonare ovviamente, a seconda della

quantità di aria entrata in cavo pleurico, potrà essere parziale o

totale.

Il PNX, invece, si dice “aperto” quando sia presente una soluzione

di continuo della parete toracica attraverso la quale l’aria, libera di

entrare ed uscire dal cavo pleurico, crea un movimento pendolare del

mediastino; l’aria, infatti, entra nel cavo pleurico durante

l’inspirazione, causando uno sbandamento controlaterale del

mediastino che impedisce al polmone sano di espandersi

regolarmente, e ne esce durante l’espirazione, determinando uno

spostamento del mediastino omolateralmente che ostacola il ritorno

elastico del polmone sano controlaterale in cui resta intrappolata una

quota d’aria, tutto ciò esitando in un’insufficienza respiratoria.

Esiste infine un terzo e più grave tipo di PNX detto “ipertensivo”

in cui si crea una soluzione di continuo a “lembo” che, agendo come

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una pseudovalvola, lascia entrare aria in cavo pleurico durante

l’inspirazione ma non ne consente l’uscita in espirazione e determina,

in tal modo, un’ipertensione endopleurica ingravescente con

progressivo sbandamento mediastinico controlaterale; lo

sbandamento comprime sempre di più il polmone controlaterale sano

con gravissime conseguenze respiratorie ed emodinamiche che

necessitano di un intervento terapeutico d’urgenza, pena l’arresto

cardiorespiratorio con morte del paziente. E’ stato infatti dimostrato

come lo stroke cardiocircolatorio non sia dovuto in tali pazienti

all’ostacolo del ritorno venoso cavale da sbandamento mediastinico,

bensì sia secondario all’insufficienza respiratoria che, determinando

un’insufficiente ossigenazione tissutale, richiede un aumento della

gittata cardiaca, non potenziabile a fronte della compressione cavale.

CARATTERISTICHE CLINICHE

La causa più comune di pneumotorace primitivo spontaneo è la

rottura di blebs o piccole bolle subpleuriche; per quanto l’esercizio

fisico, gli sforzi, la defecazione, la tosse siano fattori favorenti, la

rottura può avvenire anche a riposo. Sono principalmente soggetti di

sesso maschile, giovani ed alti con vizio del fumo; è stata descritta

una predisposizione familiare.

La presentazione clinica è ovviamente correlata all’entità del

PNX e conseguentemente al grado di collasso. Sebbene in alcuni casi

il PNX possa essere asintomatico e restare misconosciuto, i sintomi

più frequentemente riferiti sono dolore acuto (irradiato alla spalla o

all’arto superiore omolaterale), dispnea ed occasionalmente tosse

non produttiva da irritazione pleurica accompagnati da segni quali

tachicardia, sudorazione algida e possibile ipossiemia con cianosi,

fino ad un vero e proprio stato di shock.

All’esame obiettivo, che nei casi di PNX minimo sarà muto,

possono essere presenti all’ispezione un’ immobilità dell’emitorace

interessato, alla palpazione una riduzione o assenza del FVT, alla

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percussione un iperfonesi plessica o un franco timpanismo ed

all’ascoltazione una riduzione fino all’abolizione del MV (silenzio

respiratorio).

La diagnosi di certezza si ottiene tramite un esame Rx-grafico del

torace in ortostatismo ed in due proiezioni (postero-anteriore e

laterale); piccole falde di pneumotorace misconosciute all’esame

standard possono essere svelate con Rx in espirazione o con l’esame

T.C., diagnostico nel 100% dei casi e comunque da eseguire per

svelare l’alterazione alla base del PNX.

L’esame Rx svelerà un’iperespansione dell’emitorace interessato

con slargamento degli spazi intercostali ed appiattimento del

diaframma, un’iperdiafania omolaterale da presenza di aria ed

assenza della trama bronco-vasale, il profilo del polmone collassato

riconoscibile più o meno vicino all’ilo ed uno shift controlaterale del

mediastino.

Le complicanze possibili sono in ordine di frequenza:

Recidiva. Circa il 25% dei soggetti va incontro a recidiva,

generalmente entro 2 anni ed omolateralmente e dopo un secondo

episodio il tasso di recidive sale al 50%.

Persistenza di air leak oltre le 48h dal trattamento terapeutico. Di

solito ciò avviene quando non si è avuta una completa riespansione

del polmone.

PNX iperteso. Ovviamente il paziente presenterà i segni obiettivi di

un imponente PNX con un quadro sintomatologico sovrapponibile al

PNX semplice ma molto più accentuato per il grave distress

respiratorio; è un’emergenza medico-chirurgica in cui si impone la

decompressione pleurica immediata (ago-cannule, drenaggio

toracico o qualsiasi altro strumento a disposizione).

Pneumomediastino. Tale complicanza si verifica per lacerazione

della pleura mediastinica o per dissezione dell’aria che si infiltra

attraverso i fasci bronco-vasali del parenchima polmonare; può

essere accompagnato da enfisema sottocutaneo al collo ed al viso

se il quantitativo di aria infiltratasi è di una certa entità.

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Emotorace. Rara complicanza che risulta da rottura di piccoli vasi

localizzati in zone di adesione tra pleura parietale e viscerale.

PNX bilaterale. Generalmente non contemporaneo, se simultaneo

diviene una situazione clinica assai grave, simile al PNX iperteso,

con paziente asfittico che necessita di un trattamento in

emergenza di decompressione pleurica.

TRATTAMENTO

Le modalità di gestione di un PNX variano in relazione all’entità, al

numero di episodi (la probabilità che un PNX recidivi aumenta in

maniera esponenziale dopo il secondo episodio) ed alla malattia

sottostante.

L’approccio di tipo conservativo prevede la sorveglianza

ospedaliera per 24-48h nel caso di piccoli PNX (<20%) in pazienti

asintomatici che godano di buona salute, con follow-up clinico-

radiografico settimanale fino al completo rissorbimento. La presenza

di sintomi, di un PNX ingravescente, di un PNX iperteso, di un PNX in

un paziente con polmone controlaterale malato o la mancata

riespansione sono tutte indicazioni per l’applicazione di un tubo di

drenaggio con valvola ad acqua in boccione tipo Bulau.

A tale trattamento si può associare una terapia non chirurgica che

preservi dal rischio di recidive e consiste nella “pleurodesi chimica”,

cioè nella fusione delle due pleure tramite l’applicazione in cavo

pleurico di sostanze irritanti, tra le quali la più usata è il talco.

La terapia chirurgica prevede delle specifiche indicazioni a

seconda che si tratti di un PNX al primo o al secondo episodio; si può

porre l’indicazione chirurgica al primo episodio quando un PNX è

complicato per la persistenza di air leak per più di 3 giorni, per un

consensuale emotorace, per la mancata riespansione, per un PNX

iperteso o bilaterale o in pazienti a rischio per l’attività lavorativa

(sommozzatori, piloti, tuffatori). Si è infine propensi a trattare

chirurgicamente al primo episodio i pazienti con una singola grossa

bolla identificata all’esame TC.

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La ricorrenza di un PNX è la più comune indicazione alla chirurgia,

sia che tale ricorrenza sia ipsilaterale che controlaterale.

La tecnica chirurgica consiste generalmente in una resezione

dell’apice polmonare (sede frequente di blebs o bolle) o in una

semplice resezione delle blebs/bolle; a queste sia associa anche una

procedura di obliterazione del cavo pleurico che può essere ottenuta

o tramite pleurectomia parietale o con metodiche di abrasione

pleurica o con insufflazione di talco. L’introduzione della chirurgia

mininvasiva di tipo video-assistito (VATS) consente oggi di trattare la

maggior parte dei pazienti limitando molto l’approccio classico con

toracotomia.

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EMPIEMA PLEURICO

L’empiema può essere definito come un processo

suppurativo a carico delle sierose pleuriche dovuto

all’insediamento di germi che provocano un’infiltrazione di

granulociti neutrofili con formazione e raccolta nello spazio

pleurico di essudato purulento.

Fisiologicamente lo spazio pleurico è una cavità virtuale

resistente alle infezioni; pertanto, un processo infettivo,

per svilupparsi, necessita o di una carica di germi che, per

numero e virulenza, superi la predetta resistenza o di

condizioni facilitanti, quali ad esempio una raccolta di fluidi

di qualsivoglia origine nel cavo pleurico.

La presenza di un processo suppurativo comporta delle

alterazioni anatomo-patologiche a carico delle sierose

pleuriche che risultano essere reversibili nelle forme acute

ed irreversibili nelle forme croniche; è facile dedurre che le

forme acute, quando guariscano, non lasciano reliquati di

alcun tipo (ad eccezione di possibili modeste aderenze),

quando invece persistano oltre le 3-4 settimane, senza

tendenza alla guarigione, evolvono in forme croniche. La

cronicizzazione di un empiema è dovuta o ad un ritardo

nella diagnosi o ad un trattamento inadeguato (particolare

virulenza o resistenza del germe, uso di antibiotico

inadeguato, presenza di un’infezione specifica - ad es.

tubercolare o da miceti -, drenaggio improprio in fase

acuta, durante la quale deve essere precoce, declive e di

diametro sufficiente) o a continue reinfezioni (presenza di

Page 22: Manuale - Ch Toracica

22

fistola bronco-pleurica o di ascesso polmonare) o, infine, a

presenza di un corpo estraneo.

La American Thoracic Society divide l’evoluzione

temporale del processo empiematico in 3 stadi:

Stadio 1: fase essudativa. Caratterizzata da

essudazione delle membrane pleuriche e formazione di

un sottile strato di essudato (empiema libero); si ha

deposizione di fibrina sulle superfici pleuriche ma, per

quanto vi sia anche una precoce proliferazione angio-

fibroblastica, lo strato di essudato non è abbastanza

spesso da impedire la riespansione del polmone se e

quando svuotato il cavo pleurico.

Stadio 2: fase fibrino-purulenta. I depositi di fibrina

sulle superfici pleuriche ed in particolare sulla pleura

parietale divengono cospicui con formazione di tralci e

sacche (empiema saccato), l’essudato diviene torbido o

francamente purulento ma la pleura rimane

relativamente integra ed il polmone, sebbene meno

mobile, può essere ancora riespanso.

Stadio 3: fase di organizzazione. Dopo 3-4 settimane

la persistente infiammazione determina un’infiltrazione

massiva di fibroblasti con neoformazione di tessuto di

granulazione e deposizione di fibre collagene, a costituire

veri e propri sepimenti connettivali, su entrambi i foglietti

pleurici che si ispessiscono e, da sottili e lucenti quali

normalmente sono, divengono scabri e di colorito opaco

fino ad assumere la conformazione di lamine connettivali

- cosiddette cotenne pleuriche - dello spessore di 1-2

Page 23: Manuale - Ch Toracica

23

cm (si assiste perfino ad una neofomazione arteriolare,

ad opera degli angioblasti, in seno alla reazione fibrosa);

col tempo, tali cotenne, per fenomeni di sclero-jalinosi, si

irrigidiscono sempre più e tendono a coartarsi con

retrazione della parete toracica, quadro

caratteristicamente chiamato “fibrotorace”. Il polmone,

che in tale stadio è praticamente privo delle sue funzioni,

rimane “incarcerato” all’interno di tale spessa corteccia

fibrosa e non può essere riespanso se non previamente

decorticato.

Oltre al fibrotorace, più frequente complicanza dei

processi empiematici, altra complicanza possibile è il

drenaggio spontaneo che si può verificare in due

differenti modalità:

1.Empiema necessitatis, condizione in cui l’essudato

purulento si fa strada attraverso i tessuti molli della

parete toracica fino alla cute con fuoriuscita all’esterno.

2.Fistola bronco-pleurica, condizione in cui l’essudato

purulento erode la parete di un bronco e si riversa

nell’albero trache-bronchiale con fuoriscita all’esterno

(vomica).

Complicanze rare, infine, sono l’osteomielite costale o

spinale, la pericardite, l’ascesso mediastinico e il drenaggio

transdiaframmatico in cavo peritoneale.

EZIOPATOGENESI

Page 24: Manuale - Ch Toracica

24

Essenzialmente l’eziologia dei processi empiematici è

riconducibile a 3 gruppi principali:

1.Contaminazione pleurica da parte di focolai

suppurativi a sede in organi contigui (60%). Tra

questi ovviamente il polmone è il più frequentemente in

causa con processi polmonitici (empiema

metapneumonico, 50% dei casi come anche dimostrato

da studi recenti che hanno messo in evidenza come in

molti di quegli empiemi cosiddetti primari vi fosse alla

base un processo pneumonico subclinico), ascessi

polmonari e brochiectasie; altre fonti possibili sono il

mediastino (mediastinite da rottura esofagea post-

traumatica o strumentale iatrogena; molto raramente

linfoadeniti mediastiniche) e piuttosto infrequentemente

la loggia cervicale posteriore profonda o infezioni della

parete toracica o della colonna vertebrale. Infine si può

avere una propagazione trans-diaframmatica di un

ascesso subfrenico o di un’infezione peritoneale; la

propagazione in tale caso è dovuta al drenaggio linfatico

o, occasionalmente, a fenomeni di erosione

diaframmatica.

2.Inoculazione diretta nel cavo pleurico (35-39%). In

tal caso l’infezione avviene per inoculo diretto dei germi,

iatrogeno (interventi chirurgici sul torace, VATS,

toracentesi, tubi di drenaggio, ecc...), post-traumatico

(lesioni traumatiche aperte) o per presenza di fistola

bronco-pleurica o rottura di bolle subpleuriche.

Page 25: Manuale - Ch Toracica

25

3.Infezione pleurica per via ematogena (1%). In questi

rari casi il focus infettivo si trova distante dal cavo

pleurico dove giunge e si localizza per via ematogena

(fenomeno setticopiemico); esempio classico

l’osteomielite.

I microorganismi più frequentemente responsabili

dell’empiema sono lo Staphylococcus aureus, gli

Streptococchi (pneumoniae e pyogenes) e i Gram-negativi

(Pseudomonas, Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli,

Acinetobacter aerogenes, Proteus, Salmonella); di riscontro

comune sono anche gli anaerobi (Bacteroides e

Peptostreptococco) o la presenza di una flora batterica

mista. Raramente in causa sono i miceti ed il bacillo di

Koch.

QUADRO CLINICO

Nelle forme acute la sintomatologia è caratterizzata da

uno stato tossinfettivo con rialzo termico accompagnato da

tachicardia, dolore toracico, dispnea, tosse, prostrazione

con astenia intensa; per la congestione polmonare presente

può comparire emoftoe. All’esame obiettivo del torace si

rileva:

Ispezione: riduzione delle escursioni respiratorie

nell’emitorace interessato che si presenta ipomobile o

immobile.

Palpazione: riduzione o abolizione del fremito vocale

tattile.

Page 26: Manuale - Ch Toracica

26

Percussione: ipofonesi plessica (con possibile linea di

Damoiseau-Ellis)

Ascoltazione: murmure vescicolare lontano o abolito,

possibile la presenza di soffio bronchiale e sfregamenti

pleurici.

Nelle forme croniche il paziente continua ad avere

febbre con stato tossico generale, tosse e dispnea;

compaiono anemia, pallore, anoressia e calo ponderale,

ipoproteinemia, VES elevata. Dopo qualche settimana,

subentrato il fibrotorace, si assiste ad una deformazione del

torace con scoliosi a concavità verso il lato malato ed

abbassamento della spalla; possono infine comparire le

altre complicanze tipiche a cui si aggiungono ippocratismo

digitale ed amiloidosi epato-renale.

DIAGNOSI

La diagnosi si basa sui seguenti dati:

Segni clinici e di laboratorio (leucocitosi).

Esame Radiografico del torace che mette in evidenza

un’ipodiafania dell’emitorace interessato (con possibile

margine laterale che si innalza fino all’ascella);

possibile la presenza di livelli idroaerei per produzione

di gas da parte dei batteri. In laterale può evidenziarsi,

negli empiemi a sede postero-laterale, il segno tipico di

un’opacità posteriore a forma di D-invertita (pregnant

lady sign).

Negli empiemi saccati l’ipodiafania appare come

un’opacità simil-parenchimale.

Page 27: Manuale - Ch Toracica

27

Toracentesi diagnostica con estrazione di liquido

purulento su cui andrà eseguito un esame microbiologico

(con colorazione di Gram e ricerca del bacillo di Koch) e

colturale con antibiogramma.

TRATTAMENTO

Innanzitutto va instaurato un trattamento medico con

antibioticoterapia, per controllare l’eventuale infezione

primitiva alla base e terapia di supporto nutrizionale e delle

condizioni generali (una fisioterapia respiratoria è

particolarmente importante per promuovere la riespansione

del polmone, evitare l’accumulo di secrezioni e prevenire la

contrazione della parete toracica).

Essenziale per un trattamento adeguato e per prevenire

la cronicizzazione è un drenaggio adeguato del cavo

pleurico che permetta al polmone di riespandersi

(obliterando il cavo pleurico) e che oggi viene attuato con

chirurgia miniinvasiva (VATS); grazie alla VATS (Video

Assisted Thoracoscopy) si riesce ad evacuare

completamente il contenuto dell’empiema, operare

un’adeguata toilette, con rottura delle eventuali loculazioni

formatesi ed asportazione dello strato fibrinico dalla

superficie del polmone, ed inserire visivamente il tubo di

drenaggio nella posizione più appropriata.

Tale procedura può essere, inoltre, messa in atto in

anestesia locale potenziata (con sedazione più o meno

marcata), possibilità molto importante in pazienti ad alto

rischio. E’ importante che il drenaggio sia chiuso (con

Page 28: Manuale - Ch Toracica

28

valvola ad acqua tipo Bulau), di diametro sufficiente e

declive.

Nelle forme cronicizzate in cui, nonostante il drenaggio

del cavo empiematico, non si ottenga la riespansione del

polmone per l’avvenuta formazione di cotenne pleuriche

occorre attuare l’intervento chirurgico di decorticazione

pleurica, ossia asportazione della pleura viscerale, quando

scollabile dal polmone, rivestita dalla capsula fibrosa

dell’empiema.

Page 29: Manuale - Ch Toracica

29

MESOTELIOMA

Il mesotelioma è una neoplasia aggressiva che interessa

ed infiltra diffusamente la pleura, sia parietale che

viscerale; nasce infatti dalle cellule mesoteliali totipotenti o

dalle cellule sottosierose che possono dare origine a

neoformazioni a carattere epiteliale o sarcomatoso o che

spesso presentano entrambe le componenti (forma

bifasica), con una conseguente varietà di quadri istologici

che pone una certa difficoltà nel distinguere tali neoplasie

da forme sarcomatose o metastatiche da adenocarcinomi a

partenza da tubo gastroenterico, pancreas, mammella,

ovaio, polmone. L’anatomo-patologo ricorre pertanto a

tecniche di colorazione (il mesotelioma con componente

epiteliale produce una sostanza mucopolisaccaridica acida

che si colora positivamente con Alcian blue o ferro

colloidale) o di immunoistochimica e quando tali tecniche

conducano a risultati incerti, la microscopia elettronica

dirime sempre i dubbi diagnostici; caratteristica peculiare

del mesotelioma è infatti la presenza di cellule con

numerosi, lunghi e sinuosi microvilli che differenziano

nettamente tale neoplasia dagli adenocarcinomi che hanno

invece cellule con microvilli corti e dritti ricoperti da un

glicocalice sfibrato.

L’insorgenza del mesotelioma è stata messa in relazione

all’esposizione all’asbesto ed in particolare alle fibre della

variante crocidolite che, per le caratteristiche di essere

ristrette e diritte, riescono agevolmente a penetrare nel

parenchima polmonare (per aspirazione attraverso le vie

Page 30: Manuale - Ch Toracica

30

aeree) e quindi nei vasi linfatici; sebbene non sia

documentabile una correlazione lineare tra intensità, durata

dell’esposizione ed insorgenza della neoplasia, è dato certo

che il 2-10% dei lavoratori esposti manifestano un

mesotelioma con una latenza di 20-50 anni e che soggetti a

rischio sono anche considerati i conviventi con lavoratori di

asbesto e gli abitanti nelle vicinanze delle fabbriche del

minerale. E’ importante sottolineare come, invece, il fumo

di sigaretta non costituisca fattore di rischio è ciò contrasta

con quanto accade nel cancro polmonare sul quale fumo e

asbesto giocano un ruolo sinergico.

Il picco di incidenza cade nella sesta decade di vita, con

una netta predominanza nel sesso maschile, tale peculiarità

confermando l’importanza dell’esposizione all’asbesto nelle

miniere o nelle fabbriche in cui il personale è pressoché

totalmente maschile.

CARATTERISTICHE CLINICHELa presentazione clinica del mesotelioma è insidiosa e

del tutto aspecifica e la mancanza di sintomi peculiari

determina un ritardo di 3-6 mesi tra l’insorgenza di questi e

la diagnosi. Il quadro clinico è infatti rappresentato da

versamento pleurico recidivante dopo toracentesi, dispnea

e dolore toracico; meno comunemente, a seconda dei casi,

si può riscontrare tosse, debolezza, anoressia, febbre e

raramente emottisi, raucedine, disfagia, sindrome di

Horner. Tardiva è la perdita di peso a cui si possono

accompagnare dita a bacchetta di tamburo ed

Page 31: Manuale - Ch Toracica

31

osteoartopatia. L’esame fisico del paziente, generalmente

muto, può mettere in evidenza nell’emitorace interessato

ottusità percussoria e riduzione del murmure vescicolare; di

rado è possibile il riscontro di linfonodi sopraclavicolari.

La presenza di anemia emolitica autoimmune,

ipercalcemia, ipoglicemia, sindrome da inappropriata

secrezione di ADH e ipercoagulabilità è attestata in

letteratura.

La diagnosi si basa su un esame Rx del torace che negli

stadi iniziali rivelerà il versamento pleurico mentre solo

tardivamente potrà svelare la presenza di masse pleuriche.

L’esame TC è invece di notevole aiuto nella diagnosi

mettendo bene in evidenza le masse pleuriche, intervallate

da sacche di versamento; il quadro TC può essere anche

rappresentato da un’irregolare e spessa cotenna pleurica

che incarcera il polmone. La linfoadenopatia mediastinica,

l’estensione del tumore nel mediastino, il coinvolgimento

del pericardio con annesso versamento pericardico e

l’invasione della parete toracica o del diaframma sono

segni di neoplasia avanzata. La TC è in pratica il più

accurato metodo non invasivo per stadiare il paziente, per

valutare la risposta alla terapia e per rilevare eventuali

recidive post-chirurgiche.

L’esame citologico del liquido pleurico viene

generalmente eseguito in fase iniziale, essendo

generalmente il versamento il primo segno a comparire;

tuttavia la positività per cellule neoplastiche si riscontra

solo nel 30-50% dei pazienti.

Page 32: Manuale - Ch Toracica

32

Ovviamente la VATS rappresenta oggi l’esame

mininvasivo cardine per confermare la diagnosi

consentendo un’accurata esplorazione del cavo pleurico,

l’esecuzione di biopsie mirate su cui eseguire l’esame

istologico e le metodiche di colorazione e/o

immunoistochimica; a conferma istologica ottenuta, se il

paziente è operabile si può agevolmente convertire la VATS

in toracotomia maggiore.

In diagnosi differenziale con il mesotelioma entrano le

placche pleuriche, ispessimenti appiattiti frequentemente

polifocali a carico della pleura parietale, a forma di isole del

diametro da pochi mm fino a 3-4 cm, di colore lattescente,

costitute da ammassi di tessuto sclero-jalinoso; sono

sempre caratteristiche di esposizione all’asbesto o ad altre

fibre artificiali.

STADIAZIONELe conoscenze sulla storia naturale del mesotelioma e sui

fattori prognostici che ne influenzano l’evoluzione sono

molto scarse per la bassa incidenza della neoplasia, motivo

per cui non esiste un sistema stadiativo universalmente

accettato.

La stadiazione più conosciuta maggiormente è quella

proposta da Butchart et al. 1976 e riportata a seguito che,

tuttavia, non risulta molto dettagliata:

Stadio I Tumore confinato alla pleura e alla superficie dei tessuti da essa

Page 33: Manuale - Ch Toracica

33

rivestiti (polmone, pericardio, diaframma)

Stadio II Tumore che infiltra la parete toracica o le strutture mediastiniche

(esofago, trachea, cuore, pleura controlaterale) o metastasi

linfonodali intratoraciche

Stadio III Tumore che infiltra il diaframma, il peritoneo e gli organi

sottodiaframmatici; invasione della pleura controlaterale; metastasi

a linfonodi extratoracici

Stadio IV Metastasi ematogene a distanza

Sono state proposte per maggior precisione numerose

altre stadiazioni di cui oggi la più accreditata è quella della

Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC) che si basa

sul sistema TNM.

I

Malattia confinata nella capsula della pleura parietale: pleura

ipsilaterale, polmone, pericardio e diaframma.

  T1 N0 MO

  T2 N0 M0

II All of stage I with positive intrathoracic (N1 or N2) lymph

nodes.

  T1 N1 M0

  T2 N1 M0

III Local extension of disease into the following: chest wall or

mediastinum: heart or through the diaphragm, peritoneum; with

or without extrathoracic or contralateral (N3) lymph node

involvement.

  T3 NO MO

  T3 N1 M0

  T1 N2 M0

  T2 N2 M0

  T3 N2 M0

IV Distant metastatic disease

Page 34: Manuale - Ch Toracica

34

  Any T N3 MO

  T4 any N M0

  Any T and N M1

T (Primary Tumour and Extent)

TX Primary tumour cannot be assessed

T0 No evidence of primary tumour

T1 Primary tumour limited to ipsilateral parietal or visceral pleura

T2 Tumour invades any of the following: ipsilateral lung,

endothoracic fascia, diaphragm, pericardium

T3 Tumour invades any of the following: ipsilateral chest wall

muscle, ribs, mediastinal organs or tissues

T4 Tumour extends to any of the following: contralateral pleura or

lung by direct extension, peritoneum or intra-abdominal organs

by direct extension, cervical tissues

N (Lymph Nodes)

NX Regional lymph nodes cannot be assessed

NO No regional lymph nodes metastases

N1 Metastases in ipsilateral bronchopulmonary of hilar lymph

nodes

N2 Metastases in ipsilateral mediastinal lymph nodes

N3 Metastases in contralateral mediastinal internal mammary,

supraclavicular, or scalene lymph nodes

M (Metastases)

MX Presence of distant metastases cannot be assessed

M0 No known distant metastases

M1 Distant metastasis present

TERAPIA

Page 35: Manuale - Ch Toracica

35

Come in tutte le neoplasie le opzioni terapeutiche nel

trattamento del mesotelioma maligno sono rappresentate

dalla chirurgia, dalla radioterapia, dalla chemioterapia e

dall’immunoterapia e dalla combinazione di queste. La

scelta ovviamente si basa sui criteri clinico-stadiativi, vale a

dire la localizzazione ed estensione del tumore e le

condizioni cliniche dei pazienti che, considerata

l’epidemiologia di tale neoplasia, sono generalmente

anziani con problematiche preesistenti. Manca comunque

un’uniformità nell’approccio terapeutico dovuta alla scarsa

presenza di studi clinici di tipo prospettico.

Valutare la radioterapia in sé non è cosa facile in

quanto solitamente si usa quale completamento alla

chirurgia o in combinazione con chemioterapia; inoltre la

necessità di irradiare tutto l’emitorace interessato non

consente di usare alte dosi per la presenza di organi

prospicienti delicati e di vitale importanza. Per tanto i

migliori risultati, per quanto non molto promettenti, con

minor danno per le strutture vitali si ottengono con dosi

inferiori di radioterapia dopo exeresi chirurgica di tutta la

massa tumorale resecabile.

Molto scadenti anche i risultati del trattamento con

chemioterapia sia combinata che con singolo agente: il

tasso di risposta si aggira intorno al 20% dei pazienti.

Lascia invece ben sperare ed ha dato nuovo impulso a

studi clinici l’impiego dell’immunoterapia con interferon-

in combinazione con cisplatino e/o tamoxifene; in

Page 36: Manuale - Ch Toracica

36

particolare l’uso di interferon- per infusione intrapleurica

ha dato un tasso di risposta del 56%.

La terapia chirurgica con completa resezione di tutto il

tumore visibile macroscopicamente sembra determinare un

modesto ma certo incremento della sopravvivenza; rimane

tuttavia controverso se effettuare l’intervento di

asportazione tramite una semplice pleurectomia e

decorticazione o tramite una pneumonectomia

extrapleurica (asportando cioè tutto il polmone con annessa

la pleura viscerale e parietale). Ovviamente l’asportazione

in blocco ha il vantaggio di eliminare, quando possibile,

tutto il tumore macroscopico ma il grosso svantaggio di

avere, nei migliori centri moderni specializzati in tale

problematica, un tasso di mortalità che, nella migliore delle

ipotesi e tramite un’accurata selezione dei pazienti da un

punto di vista emodinamico e respiratorio, si attesta sul 6-

15%. D’altra parte la pleurectomia con decorticazione ha un

tasso di mortalità dell’1,8% ma spesso non consente

l’exeresi completa e comunque limita molto le dosi di

radioterapia somministrabili successivamente. Tale

problematica rimane ad oggi senza risposta e devoluta alla

singola esperienza dei chirurghi operatori.

Attualmente la migliore prospettiva si basa

sull’associazione di polichemioterapia-radioterapia-

chirurgia che allunga la sopravvivenza media a 30 mesi

circa.

Page 37: Manuale - Ch Toracica

37

Stadiazione TNM

Una volta accertata la diagnosi cito-istologica, occorre stabilire la reale estensione

clinica intra ed extra-toracica della neoplasia.

# La definizione del fattore T risulta dal complesso di metodiche d’imaging ed

invasive (fibrobroncoscopia) già utilizzate per ottenere la diagnosi. Sono da tener

presente, tuttavia, i limiti delle metodiche d’imaging nel definire l’eventuale

sconfinamento d’organo da parte del tumore. La TAC del torace presenta una

sensibilità del 60-65% nella definizione di un’eventuale infiltrazione della parete

toracica e non è sicuramente migliore nella definizione dell’interessamento

mediastinico. La RMN non sembra offrire alcun

vantaggio rispetto alla TAC se non nello studio dei tumori del solco superiore (T. di

Pancoast). Mentre un’incertezza nella definizione dell’infiltrazione della parete

toracica non costituisce un problema chirurgico (il trattamento chirurgico del T3

parete conduce a sopravvivenze fra il 35 ed il 40%), il dubbio circa l’infiltrazione del

cellulare lasso mediastinico e degli organi in esso contenuti (grandi vasi, cuore)

dovrebbe esser risolto mediante metodica invasiva aggiuntiva. In tal caso l’esame

da effettuare è la VOS con supporto di ecografia endocavitaria che permette una

drastica riduzione del ricorso a toracotomie diagnostiche (dal 10-12% al 2-3%).

# La definizione del fattore N mediante tecniche di imaging presenta le stesse

difficoltà della definizione del T sconfinante i limiti d’organo. Mentre la definizione di

N1 non riveste particolare importanza dal punto di vista clinico, in quanto non

preclude la terapia chirurgica, ben diverso è il ruolo giocato dalla definizione di N2-3

per le implicazioni terapeutiche attualmente ad essa collegate (trattamenti

combinati includenti o no la terapia chirurgica). Nonostante i risultati ottimistici di

una meta-analisi di 44 studi, attestante un 79% disensibilità ed un 78% di

specificità, il potere predittivo sul coinvolgimento linfonodale mediastinico della TAC

è stato successivamente ridimensionato non superando una specificità del 62% ed

una sensibilità del 64% per un “cut-off” di 1cm sul diametro minore del linfonodo.

Tuttavia l’impatto clinico della scarsa sensibilità della metodica può esser limitato,

se si considera come la sopravvivenza a 5 anni, riportata dalle casistiche

chirurgiche in caso di positività post-operatoria di linfonodi non rilevati all’esame

TAC, raggiunga il 30%. Uno studio randomizzato, che ha valutato il rapporto

costo/beneficio dell’uso indiscriminato della mediastinoscopia rispetto all’impiego

solo in caso di sospetto coinvolgimento TAC, ha dimostrato nei due bracci una

differenza non significativa di interventi chirurgici oncologicamente non corretti ma

costi nettamente più elevati nel primo caso. I problemi maggiori dal punto di vista

clinico sono invece legati alla scarsa specificità della diagnostica per imaging.

Nonostante l’affermarsi di nuove tecniche di medicina nucleare, quali la tomografia

Page 38: Manuale - Ch Toracica

38

ad emissioni di positroni (PET - 78% di sensibilità, 81% di specificità e 89% di valore

predittivo negativo), la presenza di N2 TAC richiede, comunque, sempre una

definizione cito-istologica dell’interessamento linfonodale prima di programmare

l’iter terapeutico. Le possibilità di tale definizione sono legate all’esecuzione di

metodiche quali: ago-aspirati trans-bronchiali, agoaspirati TAC-guidati,

mediastinoscopia, mediastinotomia e VOS (con le indicazioni già riportate nel

paragrafo riguardante la diagnosi).

# Per quanto concerne la valutazione della diffusione extra-toracica (fattore M) il

comportamento clinico è decisamente influenzato dalla biologia del tumore.

a) In caso di SCLC si procederà sempre e comunque ad una stadiazione completa

della malattia mediante l’esecuzione di TAC cranio, scintigrafia ossea, ecografia

addominale e prelievo midollare bilaterale sulla cresta iliaca postero-superiore.

Solo nel caso che la malattia risulti limitata al torace (si considerano malattia

limitata gli stadi I-II-IIIa-b, con esclusione del T4 per versamento pleurico

neoplastico) ed in assenza di grossolano impegno linfonodale mediastinico alla TAC,

può esser indicata nello SCLC, l’esecuzione di diagnostica invasiva

(mediastinoscopia, VOS) per la possibile indicazione al trattamento combinato

chirurgico-chemioterapico negli stadi I e II.

b) In caso di NSCLC l’indicazione ad una stadiazione completa in assenza di una

sintomatologia suggestiva per una diffusione sistemica della malattia (comprese le

alterazioni ematochimiche riguardanti l’enzimologia epatica, la fosfatasi alcalina, la

calcemia e la fosforemia) è da porsi solamente nello stadio cIII. Eccezioni sono da

considerarsi l’istotipo adenocarcinoma in stadio cI e cII, in cui vi è indicazione

all’esecuzione almeno di una TAC encefalo (vista la frequenza di lesioni ripetitive

cerebrali) ed alcune situazioni cliniche riconosciute come fattori prognostici

negativi, quali una perdita di peso > 10% negli ultimi 2 mesi ed es. ematochimici

patologici (anemia, LDH elevato, ipoalbuminemia).

# E’ da ricordare, in ogni modo, che nel caso permangano dubbi sulla reale

stadiazione della neoplasia, nonostante tutti i presidi diagnostici considerati, come

il sistema TNM preveda l’attribuzione al tumore di uno stadio inferiore a quello

inizialmente ipotizzato e di esser conseguenti a tale scelta nella programmazione

terapeutica.

TNM

La stadiazione del carcinoma polmonare secondo il sistema TNM è un mezzo

universalmente accettato per stimare la prognosi, definire la terapia più adatta e

valutarne i risultati. Il sistema classificativo consente una descrizione

dell’estensione anatomica della malattia neoplastica in ogni particolare momento

Page 39: Manuale - Ch Toracica

39

della sua evoluzione, mediante la valutazione di tre parametri quali l’estensione del

tumore primario (fattore T),

il coinvolgimento linfonodale (fattore N)

e le metastasi (fattore M). Il sistema TNM, adottato per la prima volta nel 1946 e

applicato in ambito polmonare per la prima volta da Mountain nel 1974, ha subito

diverse modifiche nel corso degli anni in rapporto con il progredire al progredire

della conoscenza della storia clinica della malattia e allo svilupparsi delle tecniche

terapeutiche. L’ultima modifica proposta da Mountain e accettata nel Consensus

Meeting di Londra dell’Ottobre 1996 è riportata nei seguenti schemi. La stadiazione

patologica sarà ovviamente più precisa della stadiazione clinica e pertanto un

prefisso “p” ed uno “c” rispettivamente precederanno lo stadio attribuito a ciascun

paziente (pTNM, cTNM). Un prefisso “a” precederà lo stadio valutato

autopticamente (

Page 40: Manuale - Ch Toracica

40

CANCRO DEL POLMONE

Il cancro del polmone rappresenta oggi il tumore più diffuso nel sesso maschile

dopo le neoplasie della prostata e la più frequente causa di morte per patologia

neoplastica nel mondo; si contano approssimativamente 500.000 nuovi casi

all'anno, pari a circa il 15.8% dei nuovi casi di neoplasie osservati nell'uomo ed il

4.7% nelle donne.

Nonostante i numerosi contributi scientifici ed i progressi registrati,

l'incidenza è regolarmente aumentata nel corso degli anni.

L'incremento degli ultimi decenni appare ancora più drammatico se si

tiene conto che all' inizio del XX secolo tale malattia era considerata

poco comune e raramente appariva nei certificati di morte. Oggi, al

contrario delle altre neoplasie, il tumore del polmone fa registrare un

incremento annuo pari a circa lo 0.5%.

La prima osservazione di un sostanziale incremento di incidenza si

ebbe negli Stati Uniti ed in Europa Occidentale intorno ai primi anni

‘40 quasi esclusivamente nel sesso maschile; negli anni successivi

l'incremento è stato regolare in entrambi i sessi. Il tasso annuo di

mortalità tra i maschi americani è così progressivamente cresciuto:

5/100.000 nel 1930; 22.2 nel 1950, 55.9 nel 1970 e 74.9 ne1 1987;

l'incremento della mortalità tra le donne, negli stessi anni, è stato

rispettivamente di 3.0, 5.0, 12.2 e 28.5/100.000. Dal 1987 in poi il

tasso di mortalità maschile ha subito una lieve, seppur costante,

flessione. Attualmente negli Stati Uniti il cancro del polmone

rappresenta il 15% di tutti i tumori maligni (177.000 nuovi casi) ed il

25% delle cause di morte per tumore (159.000 decessi nel 1996);

l'incidenza è di circa 70 nuovi casi su 100.000 individui maschi/anno.

Il rapporto maschi/femmine è passato dal 7/1 del 1964 al 2/1 attuale,

con un incremento del 451% ed una predizione di ulteriore aumento

almeno fino al 2010. In Italia, con 35-40.000 nuovi casi all'anno, il

cancro del polmone rappresenta la prima causa di decesso per

neoplasia maligna e si rende responsabile del 29.3% delle morti per

tumore nei maschi e del 7.9% nelle femmine. La mortalità è cresciuta

Page 41: Manuale - Ch Toracica

41

drammaticamente negli ultimi 30 anni: i 6000 decessi registrati nel

1959 sono diventati 30.955 nel 1994, anno cui si riferiscono gli ultimi

dati ISTAT pubblicati (1997). Anche in Italia la preponderante

incidenza della neoplasia nel sesso maschile (5 a l) si è

progressivamente ridotta all'attuale rapporto di 2.5 a l. Nella

popolazione maschile si registra una stabilizzazione dei tassi di

mortalità, con una tendenza alla diminuzione nelle classi d’età più

giovani, nella popolazione femminile si osserva invece un marcato

aumento soprattutto nella fascia d'età al di sopra dei 40 anni. Anche i

tassi di mortalità documentano questa inversione di tendenza, con

riduzione per i maschi (54.6/100.000) ed incremento per le femmine

(7.7/100.000): tale dato è, con ogni probabilità, da correlare al

maggiore incremento di consumo di tabacco nel sesso femminile.

Ann Thorac Surg 2002;73:1545-51

Il picco d’incidenza si registra tra la quinta e la sesta decade di vita

ed oltre un terzo dei nuovi casi è diagnosticato in soggetti di età

superiore ai 70 anni. È interessante notare come i pazienti più

giovani, con età inferiore ai 50 anni, si presentino alla prima

osservazione con una malattia in stadio più avanzato, ma la loro

sopravvivenza complessiva è simile a quella dei pazienti più anziani,

Page 42: Manuale - Ch Toracica

42

lasciando supporre che il tumore del polmone non abbia

caratteristiche di maggiore aggressività nei pazienti più giovani.

Che il fumo di tabacco fosse correlato all'insorgenza del cancro del

polmone è evidente fin dai primi anni '50, con la pubblicazione dei

dati preliminari dell'ormai famoso studio effettuato su una

popolazione di medici inglesi fumatori. Da allora sono stati portati a

termine numerosi altri studi su peculiari popolazioni e con differenti

metodologie che hanno definitivamente provato tale correlazione per

ognuno dei tipi istologici.

Attualmente si considera che un fumatore ha un rischio di sviluppare

un cancro del polmone che va dalle 7 (per fumatori di 15 o meno

sigarette) alle 25 (per fumatori di 25 o più sigarette) volte quello dei

non fumatori. Naturalmente, a parità di altre condizioni, il rischio è

maggiore in chi comincia precocemente a fumare – è stato anche

dimostrato che più si comincia precocemente, più diventa elevato il

consumo giornaliero di sigarette – e si abbassa progressivamente nel

tempo in chi smette di fumare. Tale evidenza è ben spiegata dallo

studio di Doll e coll.: nel giro di 10 anni, a seguito di un forte calo del

consumo di sigarette da parte del 30% della popolazione di medici

oggetto dello studio, si è registrata una riduzione nell'incidenza della

mortalità non in linea con i dati dell'intera popolazione inglese.

Progressivamente, in quelli che smettono di fumare, il rischio si riduce

nel corso dei 10-15 anni successivi, con latenze sempre maggiori in

rapporto all'età di interruzione. Infatti, sebbene smettere di fumare

apporta benefici a qualunque età, si è osservato che l'età in cui si

smette di fumare è direttamente correlata al rischio di sviluppare un

cancro del polmone indipendentemente dagli anni trascorsi dal

momento della cessazione. Sebbene negli individui che smettono di

fumare a 35 anni o prima, il rischio è approssimativamente quello dei

non fumatori, dopo 20 anni circa dalla cessazione il decremento di

tale rischio sembra raggiungere un plateau per cui resta comunque

1.5-2 volte più elevato rispetto ai non fumatori.

Page 43: Manuale - Ch Toracica

43

Diagnosi di neoplasia

Un approccio di tipo sequenziale richiede un razionale impiego delle metodiche

diagnostiche a disposizione. Al sospetto di ca. polmonare suffragato dalla

sintomatologia riferita dal paziente, dai dati clinici raccolti nell’esame obiettivo, fa

sempre seguito un Rx torace obbligatoriamente in due proiezioni, possibilmente

confrontato con radiogrammi precedenti, e citologie dell’espettorato (almeno due,

raccolte ciascuna in almeno tre giorni). Nel caso in cui le condizioni del paziente

(performance status, età, patologie associate) permettono la programmazione di

interventi terapeutici, a tali indagini di prima linea dovrà far seguito una più

accurata definizione della natura e dell’estensione intratoracica della lesione. Ciò

richiederà l’esecuzione di una TAC torace (accompagnata sempre dagli strati

riguardanti l’addome superiore per rilevare eventuali lesioni epatiche o

surrenaliche). Le difficoltà diagnostiche sono diverse secondo la localizzazione

centrale o periferica della lesione. In entrambi i casi tuttavia non può esser

trascurata l’esecuzione di una fibrobroncoscopia che permette prelievi cito-

istologici (mirati sulle lesioni periferiche con l’aiuto delle immagini TAC od eseguiti

direttamente sotto guida radiologica) e la definizione dell’estensione

intrabronchiale. In caso di insuccesso nella tipizzazione della lesione si potrà

ricorrere soprattutto per quelle periferiche a agoaspirati Rx-TAC guidati o nel caso

di neoplasie che giungano a contatto con la parete toracica eco-guidati.

Nel perdurare dell’incertezza diagnostica è necessario ricorrere a metodi più

invasivi di natura chirurgica e/o valutare l’opportunità comunque di un intervento

chirurgico risolutivo.

In caso di lesioni medioparenchimali dal diametro superiore al centimetro, in

assenza di adenopatie mediastiniche ed in soggetti non a rischio funzionale, la

toracotomia con l’esecuzione di es. istologico estemporaneo seguito, in caso di

conferma, dall’esecuzione di un intervento di lobectomia è forse l’indicazione più

razionale.

Le lesioni periferiche sub-pleuriche di diametro fino ad 1 cm si possono avvalere

dell’asportazione mediante video-chirurgia radio-guidata che ne permette la

diagnosi. La conferma della natura neoplastica primitiva polmonare dovrà,

comunque, esser seguita da una lobectomia di completamento.

La video-toracoscopia è, inoltre, fondamentale nella diagnosi di lesioni che si

accompagnino a versamento pleurico (citologicamente negativo nei prelievi

eseguiti per toracentesi) per porre la diagnosi di eventuale interessamento pleurico

neoplastico ed ottenere, così, anche la tipizzazione della lesione.

In caso di lesioni centrali che si accompagnino o meno a adenopatie mediastiniche

la diagnosi e contemporanea stadiazione può avvenire mediante interventi invasivi

di natura chirurgica quali la:

Page 44: Manuale - Ch Toracica

44

# Biopsia linfonodale in caso di adenopatie che interessino le stazioni sovraclaveari,

latero cervicali ed ascellari;

# Mediastinoscopia che permette di effettuare prelievi bioptici sui linfonodi

mediastinici anteriori, paratracheali Dx fino all’angolo tracheo-bronchiale e

paratracheali Sx sovra-aortici;

# Mediastinotomia anteriore che permette prelievi su linfonodi pre-aortici;

# Video-toracoscopia (VOS) che permette di raggiungere le stazioni linfonodali non

altrimenti biopsiabili o di eseguire prelievi direttamente sul tumore nel caso di

sconfinamento su organi adiacenti (mediastino, vertebre, etc.) anche con l’ausilio

dell’ecotomografia endocavitaria.

Stato Biologico

I più frequenti tipi istologici di carcinoma broncogeno (95% di tutte le neoplasie

polmonari) includono il ca. squamoso, l’adenocarcinoma, il ca. indifferenziato a

grandi cellule (tutti compresi nella definizione anglosassone di NSCLC) ed il ca a

piccole cellule (SCLC). Negli ultimi 20 anni, anche se con differenze geografiche,

l’adenocarcinoma ha superato come frequenza, soprattutto nel sesso femminile, il

ca. squamoso divenendo il più comune tipo istologico.

# Il ca. squamoso (30%) è riconosciuto per le caratteristiche istologiche di ponti

intercellulari, per la formazione di perle cornee e per la cheratinizzazione delle

singole cellule. Interessa prevalentemente i segmenti bronchiali prossimali ed è

associato con metaplasia squamosa. Il tumore tende ad una crescita lenta ed è

stimato che siano necessari 3-4 anni per passare da un ca. in situ ad una forma

clinicamente apparente. L’evoluzione iniziale è caratteristicamente intratoracica

con una diffusione prevalente per via linfatica.

# L’adenocarcinoma (30.7%) può prendere forma in diversi sottotipi istologici:

acinoso, papillare, solido muco-secernente, bronchiolo-alveolare. Casi di

combinazione con elementi cheratinizzanti danno luogo al carcinoma adeno-

squamoso. Molti di questi tumori hanno origine periferica, con frequente

coinvolgimento pleurico; altri sono caratterizzati da una notevole componente

fibrosa che mima un’area cicatriziale. La tendenza alla diffusione,

intraparenchimale e sistemica, sia per via linfatica sia per via ematica è precoce. Il

ca. bronchiolo-alveolare (BAC) appare sempre più come entità clinico-patologica

distinta. La sua origine apparente dai pneumociti di II ordine, la crescita lungo i setti

alveolari, la sua scarsa tendenza allo sviluppo di aspetti desmoplastici o

ghiandolari, la peculiare capacità di diffusione per via aerogena e la scarsa

tendenza alla metastatizzazione a distanza costituiscono tutti elementi che

contribuiscono a diversificarlo dall’adenocarcinoma classico con cui è ancora

classificato dalla WHO. Caratteristicamente esso si può presentare in tre forme

Page 45: Manuale - Ch Toracica

45

cliniche: come nodulo singolo periferico, come malattia multifocale o come forma

pneumonica rapidamente progressiva che si diffonde dapprima da lobo a lobo ed

infine interessa entrambi i polmoni.

# Il ca. indifferenziato a grandi cellule (9.4%), nelle sue varianti a cellule giganti e a

cellule chiare, è assai difficilmente distinguibile dalle forme più indifferenziate

dell’adenocarcinoma e del ca. squamoso. Con l’uso della microscopia elettronica e

dell’immuno-istochimica, un sempre maggior numero di casi è attribuito a questi

ultimi istotipi con una progressiva riduzione di incidenza del ca. indifferenziato a

grandi cellule. Il suo comportamento estremamente aggressivo ricalca nei “pattern”

di diffusione quello dell’adenocarcinoma.

# Il ca. anaplastico a piccole cellule (SCLC) (18.2%) presenta caratteristiche neuro-

endocrine ed epiteliali. Le varianti istologiche proposte sono tre: oat cell, a cellule

intermedie e combinato. La letteratura non è univoca

nell’attribuire un significato prognostico ai tre sottotipi. La sede è prevalentemente

centrale con una diffusione locale e sistemica rapidissima. Data la netta differenza

di impostazione terapeutica legata ai patterns di diffusione della malattia e alla sua

prognosi, la differenziazione patologica fra SCLC e NSCLC è critica. Fortunatamente

il disaccordo fra patologi esperti riguarda solo il 5-7% dei casi. Piccoli prelievi, mal

conservati possono rendere difficile la differenziazione fra SCLC e carcinoidi,

infiltrati linfocitari o NSCLC scarsamente differenziati, specialmente in presenza di

effetto crush dovuto ad alterazioni ischemiche, artefatti del criotomo, cattiva

fissazione o difettoso campionamento. In questi casi l’immuno-istochimica può

esser di grande aiuto per le caratteristiche neuro-endocrine ed epiteliali dello SCLC.

Nel caso del permanere del dubbio (25% di fallimenti dell’immuno-istochimica) si

rende necessaria la ripetizione della biopsia.

La scelta della terapia, ad oggi, è condizionata dal punto di vista biologico

fondamentalmente dalla sola distinzione fra NSCLC, in cui la chirurgia gioco un

ruolo fondamentale, e SCLC, a elettivo trattamento chemioterapico o chemio-

radioterapico e solo secondariamente dal grado di differenziazione della neoplasia

(“grading”), peraltro molto influenzato dal giudizio soggettivo del patologo. Negli

ultimi anni, tuttavia, si sono andati evidenziando, per la migliore conoscenza del

meccanismo oncogenetico, numerosi fattori biologici con significato prognostico.

Tali caratteristiche biologiche hanno iniziato a condizionare, e probabilmente in

futuro lo faranno sempre più, la scelta del trattamento se non a creare veri e propri

nuovi tipi di approccio terapeutico. Mutazioni dell’oncogene KRAS sono registrate in

circa il 30% degli adenocarcinomi e sono associate a prognosi sfavorevole. La

constatazione che adenoca. con espressione di KRAS-mutato allo stadio I e II,

sebbene radicalmente operati, raggiungevano una sopravvivenza del solo 35% a

due anni ha condotto a studi di chemioterapia adiuvante con un modesto ma

significativo vantaggio nella sopravvivenza. Nello stesso tempo sia in campo

Page 46: Manuale - Ch Toracica

46

farmacologico (inibitori della farnesil:protein transferasi, dalle proteine RAS) che in

campo biologico (“gene-therapy” con “anti-sense nucleotide”) ferve la ricerca per

aprire la strada a nuove terapie che abbiano come obiettivo l’attività di tale

oncogene.

L’altra caratteristica biologica estesamente studiata è l’alterazione della funzione

del gene onco-sopressore P53, che viene trovato alterato nel 50-60% dei NSLC e in

oltre 90% degli SCLC. Mentre il significato prognostico di tale alterazione risulta

meno definito, data l’ampia distribuzione del difetto, sicuramente le aberrazioni del

gene P53 sono state per ora il maggior “target” per la “gene replacement therapy”,

per i tentativi di immuno-terapia specifica (sia attiva sia passiva) contro il prodotto

proteico del gene mutante e per la ricerca di farmaci che inibiscano le conseguenze

dell’alterazione genica.

Un ruolo ben definito nella carcinogenesi ha oramai l’induzione dell’angiogenesi che

permette al tumore una rapida crescita e la disseminazione a distanza. La conta dei

vasi neoformati con metodica immuno-istochimica ha permesso di riconoscere nella

densità della neovascolarizzazione un fattore prognostico indipendente fortemente

condizionante la storia clinica della malattia. Lo studio della neoangiogenesi potrà

in futuro influenzare la programmazione terapeutica, permettendo di individuare

gruppi ad alto rischio di recidiva e di aprire la strada a nuove modalità terapeutiche,

quando sarà provata l’efficacia nell’uomo di una classe di farmaci specifici

nell’inibire tale attività tumorale (farmaci anti-angiogenetici).

Stadiazione

Una volta accertata la diagnosi cito-istologica, occorre stabilire la reale estensione

clinica intra ed extra-toracica della neoplasia.

# La definizione del fattore T risulta dal complesso di metodiche d’imaging ed

invasive (fibrobroncoscopia) già utilizzate per ottenere la diagnosi. Sono da tener

presente, tuttavia, i limiti delle metodiche d’imaging nel definire l’eventuale

sconfinamento d’organo da parte del tumore. La TAC del torace presenta una

sensibilità del 60-65% nella definizione di un’eventuale infiltrazione della parete

toracica e non è sicuramente migliore nella definizione dell’interessamento

mediastinico. La RMN non sembra offrire alcun

vantaggio rispetto alla TAC se non nello studio dei tumori del solco superiore (T. di

Pancoast). Mentre un’incertezza nella definizione dell’infiltrazione della parete

toracica non costituisce un problema chirurgico (il trattamento chirurgico del T3

parete conduce a sopravvivenze fra il 35 ed il 40%), il dubbio circa l’infiltrazione del

cellulare lasso mediastinico e degli organi in esso contenuti (grandi vasi, cuore)

dovrebbe esser risolto mediante metodica invasiva aggiuntiva. In tal caso l’esame

Page 47: Manuale - Ch Toracica

47

da effettuare è la VOS con supporto di ecografia endocavitaria che permette una

drastica riduzione del ricorso a toracotomie diagnostiche (dal 10-12% al 2-3%).

# La definizione del fattore N mediante tecniche di imaging presenta le stesse

difficoltà della definizione del T sconfinante i limiti d’organo. Mentre la definizione di

N1 non riveste particolare importanza dal punto di vista clinico, in quanto non

preclude la terapia chirurgica, ben diverso è il ruolo giocato dalla definizione di N2-3

per le implicazioni terapeutiche attualmente ad essa collegate (trattamenti

combinati includenti o no la terapia chirurgica). Nonostante i risultati ottimistici di

una meta-analisi di 44 studi, attestante un 79% disensibilità ed un 78% di

specificità, il potere predittivo sul coinvolgimento linfonodale mediastinico della TAC

è stato successivamente ridimensionato non superando una specificità del 62% ed

una sensibilità del 64% per un “cut-off” di 1cm sul diametro minore del linfonodo.

Tuttavia l’impatto clinico della scarsa sensibilità della metodica può esser limitato,

se si considera come la sopravvivenza a 5 anni, riportata dalle casistiche

chirurgiche in caso di positività post-operatoria di linfonodi non rilevati all’esame

TAC, raggiunga il 30%. Uno studio randomizzato, che ha valutato il rapporto

costo/beneficio dell’uso indiscriminato della mediastinoscopia rispetto all’impiego

solo in caso di sospetto coinvolgimento TAC, ha dimostrato nei due bracci una

differenza non significativa di interventi chirurgici oncologicamente non corretti ma

costi nettamente più elevati nel primo caso. I problemi maggiori dal punto di vista

clinico sono invece legati alla scarsa specificità della diagnostica per imaging.

Nonostante l’affermarsi di nuove tecniche di medicina nucleare, quali la tomografia

ad emissioni di positroni (PET - 78% di sensibilità, 81% di specificità e 89% di valore

predittivo negativo), la presenza di N2 TAC richiede, comunque, sempre una

definizione cito-istologica dell’interessamento linfonodale prima di programmare

l’iter terapeutico. Le possibilità di tale definizione sono legate all’esecuzione di

metodiche quali: ago-aspirati trans-bronchiali, agoaspirati TAC-guidati,

mediastinoscopia, mediastinotomia e VOS (con le indicazioni già riportate nel

paragrafo riguardante la diagnosi).

# Per quanto concerne la valutazione della diffusione extra-toracica (fattore M) il

comportamento clinico è decisamente influenzato dalla biologia del tumore.

a) In caso di SCLC si procederà sempre e comunque ad una stadiazione completa

della malattia mediante l’esecuzione di TAC cranio, scintigrafia ossea, ecografia

addominale e prelievo midollare bilaterale sulla cresta iliaca postero-superiore.

Solo nel caso che la malattia risulti limitata al torace (si considerano malattia

limitata gli stadi I-II-IIIa-b, con esclusione del T4 per versamento pleurico

neoplastico) ed in assenza di grossolano impegno linfonodale mediastinico alla TAC,

può esser indicata nello SCLC, l’esecuzione di diagnostica invasiva

Page 48: Manuale - Ch Toracica

48

(mediastinoscopia, VOS) per la possibile indicazione al trattamento combinato

chirurgico-chemioterapico negli stadi I e II.

b) In caso di NSCLC l’indicazione ad una stadiazione completa in assenza di una

sintomatologia suggestiva per una diffusione sistemica della malattia (comprese le

alterazioni ematochimiche riguardanti l’enzimologia epatica, la fosfatasi alcalina, la

calcemia e la fosforemia) è da porsi solamente nello stadio cIII. Eccezioni sono da

considerarsi l’istotipo adenocarcinoma in stadio cI e cII, in cui vi è indicazione

all’esecuzione almeno di una TAC encefalo (vista la frequenza di lesioni ripetitive

cerebrali) ed alcune situazioni cliniche riconosciute come fattori prognostici

negativi, quali una perdita di peso > 10% negliultimi 2 mesi ed es. ematochimici

patologici (anemia, LDH elevato, ipoalbuminemia).

# E’ da ricordare, in ogni modo, che nel caso permangano dubbi sulla reale

stadiazione della neoplasia, nonostante tutti i presidi diagnostici considerati, come

il sistema TNM preveda l’attribuzione al tumore di uno stadio inferiore a quello

inizialmente ipotizzato e di esser conseguenti a tale scelta nella programmazione

terapeutica.

TNM

La stadiazione del carcinoma polmonare secondo il sistema TNM è un mezzo

universalmente accettato per stimare la prognosi, definire la terapia più adatta e

valutarne i risultati. Il sistema classificativo consente una descrizione

dell’estensione anatomica della malattia neoplastica in ogni particolare momento

della sua evoluzione, mediante la valutazione di tre parametri quali l’estensione del

tumore primario (fattore T), il coinvolgimento linfonodale (fattore N) e le metastasi

(fattore M). Il sistema TNM, adottato per la prima volta nel 1946 e applicato in

ambito polmonare per la prima volta da Mountain nel 1974, ha subito diverse

modifiche nel corso degli anni in rapporto con il progredire al progredire della

conoscenza della storia clinica della malattia e allo svilupparsi delle tecniche

terapeutiche. L’ultima modifica proposta da Mountain e accettata è del 2010 è

riportata nei seguenti schemi. (TABELLA) La stadiazione patologica sarà ovviamente

più precisa della stadiazione clinica e pertanto un prefisso “p” ed uno “c”

rispettivamente precederanno lo stadio attribuito a ciascun paziente (pTNM, cTNM).

Un prefisso “a” precederà lo stadio valutato autopticamente (aTNM).

Opzioni terapeutiche

Al termine dell’iter diagnostico, definito lo stato biologico della malattia

(tipizzazione), completato lo studio funzionale del paziente e definito lo stadio TNM,

si può procedere ad una razionale programmazione terapeutica. Idealmente,

Page 49: Manuale - Ch Toracica

49

l’approccio terapeutico dovrebbe esser sempre multidisciplinare coinvolgendo nella

pianificazione del trattamento le diverse competenze del pneumologo, del chirurgo

toracico, del radioterapista e dell’oncologo medico. Tuttavia tale approccio diviene

indispensabile nei casi in cui l’opzione terapeutica è più controversa.

NSCLC

Pazienti operabili: Stadi IA/B, II A/B, IIIA (mediastinoscopia negativa) La chirurgia, ad

oggi, offre in questa classe di pazienti, le maggiori probabilità di cura. Il trattamento

chirurgico, in centri specialistici con elevato numero d’interventi, è gravato da

morbidità accettabili e trascurabile mortalità (0-2%). La sopravvivenza a 5 anni per i

pazienti con neoplasia stadio IA e IB varia dal 70 all’80%, mentre per gli stadi IIA e

IIB dal 35 al 50%. Un’adeguata terapia chirurgica consiste usualmente

nell’esecuzione di lobectomie, bilobectomie o pneumonectomie con

linfoadenectomia mediastinica a scopo stadiativo. Le resezioni sublobari, se non

obbligate per motivi medici, sono da proscrivere per l’elevata incidenza di recidive

locali e una riduzione della % di sopravvivenza a 5 anni. Gli interventi sopra

descritti potranno esser allargati di caso in caso, secondo le necessità, all’albero

bronchiale (sleeve lobectomy o pneumonectomy) o a strutture extrapolmonari

(resezioni in blocco).Attualmente per questi stadi di malattia non è prevista

un’integrazione

terapeutica con terapie adiuvanti se non in ambito di protocolli controllati. E’

possibile che, in prossimo futuro, l’individuazione, attraverso studi biologici, di

gruppi di pazienti ad alto rischio possa portare anche in questi stadi a

standardizzare terapie combinate. Ad oggi, l’unica eccezione è rappresentata dalle

neoplasie del solco superiore (T di Pancoast) in cui è invalso l’uso di radio o chemio-

radioterapia pre-operatoria con una sopravvivenza a 5 anni del 40%.

La condotta terapeutica nello stadio IIIA è sicuramente più controversa. Tuttavia i

dati delle casistiche chirurgiche riguardo alla sopravvivenza a 5 anni degli N2

subclinici (chirurgici) presentano percentuali di cura che raggiungono il 30%

(Martini, Naruke). Pertanto, la chirurgia rappresenta un valido approccio iniziale nei

pazienti con mediastinoscopia negativa in cui l’N2 sia dimostrabile solo all’esame

patologico post-resezione. In questa categoria di pazienti la terapia chirurgica è

stata storicamente associata alla radioterapia post-operatoria ma sia i risultati degli

studi di meta-analisi pubblicati nel 1995, che hanno dimostrato l’efficacia della

chemioterapia cisplatino-basata, sia quattro ampi studi randomizzati, che hanno

confermato la superiorità della chemio-radioterapia rispetto alla sola radioterapia,

spingono alla programmazione di un trattamento adiuvante combinato. E’

auspicabile che una risposta definitiva sull’utilità della chemio-radioterapia post-

Page 50: Manuale - Ch Toracica

50

operatoria giunga dagli ampi studi randomizzati in corso sia in Europa (ALPI) che in

Nord-America.

Pazienti suscettibili di trattamenti integrati: Stadi IIIA (Mediastinoscopia positiva),

IIIB Ritenuti non suscettibili di terapia chirurgica, questi pazienti hanno ricevuto in

passato un trattamento radiante d’elezione. Alcune considerazioni hanno però

portato negli ultimi anni a rivedere tale atteggiamento. Gli scadenti risultati a lungo

termine della terapia radiante (sopravvivenze a 5 anni comprese fra il 3 ed il 6%

senza significativa variazione fra IIIA e IIIB), la dimostrazione di un significativo

miglioramento di tali risultati con una terapia di combinazione chemio-radioterapica

(sopravvivenze a 5 anni comprese fra l’8 ed il 16%) e la possibilità di migliorare

mediante l’esecuzione di trattamenti neoadiuvanti i risultati della terapia chirurgia

(sopravvivenza a 5 anni che da meno del 10% negli stadi IIIA-N2 hanno raggiunto il

40%) hanno posto questa categoria di pazienti al centro di un’intensa attività di

ricerca al fine di individuare il trattamento integrato più efficace (chemio-

radioterapia + chirurgia), il migliore “timing” delle diverse terapie (chemio-

radioterapia concomitanti o sequenziali) e l’ottimizzazione di ciascuna terapia

(scelta dei farmaci, delle dosi e delle frazioni radioterapiche). Pur in assenza di dati

definitivi, allo stato attuale dell’arte, può esser raccomandato quanto segue:

a) Stadi IIIA(N2) - trattamento neoadiuvante (chemio o chemio-radioterapico)

seguito nei pazienti con risposta obiettiva da trattamento chirurgico ed in quelli non

responsivi da radioterapia di completamento;

b) Stadi IIIB – trattamento chemio-radioterapico seguito da chirurgia solo in casi

selezionati.

La tendenza a rivalutare il ruolo della chirurgia in questi stadi, quando possa

ragionevolmente seguire criteri di radicalità, è legata alla constatazione derivata

dagli studi di terapia neoadiuvante che qualsiasi trattamento chemio o chemio-

radioterapico è in grado di offrire una risposta completa patologica in non più del

15% dei pazienti responsivi.

Pazienti inoperabili: Stadio IV

Page 51: Manuale - Ch Toracica

51

L’opzione terapeutica per questi pazienti è quella fra una terapia palliativa e una

chemioterapia eventualmente associata a radioterapia su lesioni ossee o del

sistema nervoso centrale. Innumerevoli studi hanno ormai dimostrato la superiorità

della chemioterapia nei confronti della semplice terapia di supporto ma, tuttavia, è

consigliabile una attenta valutazione del "performance status" iniziale del paziente

e della sua qualità di vita, durante l’esecuzione di una terapia che non può avere

intenti curativi. Attenzione particolare va posta ai problemi legati al controllo del

dolore (terapia antalgica, posizionamento di cateteri epidurali), all’ostruzione delle

grosse vie aeree (laser e brachiterapia), alla presenza di versamenti pleuro-

pericardici massivi (trattamenti endocavitari, confezionamento di finestre pleuro-

pericardiche con tecniche mini-invasive, shunt pleuro-peritoneali) e ai bisogni psico-

sociali del paziente e della sua famiglia (terapia domiciliare, supporto psico-

oncologico). Infine, vanno considerate alcune condizioni eccezionali che meritano

trattamenti particolari. Queste condizioni sono rappresentate dalle metastasi

uniche cerebrali e surrenaliche. Per le metastasi uniche cerebrali, soprattutto se

metacrone ad una neoplasia primitiva trattata chirurgicamente, è ormai consolidata

in letteratura l’indicazione al trattamento chirurgico con una sopravvivenza a 5 anni

che può raggiungere il 20%. Anche le metastasi cerebrali uniche sincrone ad un

tumore primitivo in stadio iniziale (SI-II) permettono un’indicazione chirurgica con

l’esecuzione di un doppio intervento (con primo tempo neurochirurgico). Meno

consolidato ma promettente è il trattamento chirurgico delle metastasi uniche

surrenaliche, incentivato in questi ultimi anni dalla possibilità d’exeresi mini-

invasive offerte dalla video-laparoscopia.

Page 52: Manuale - Ch Toracica

52

CARCINOMA INDIFFERENZIATO A PICCOLE CELLULE

SCLC

Il Carcinoma polmonare a piccole cellule o microcitoma è caratterizzato da alta

malignità e da un peculiare fenotipo neuroendocrino che è alla base del

comportamento clinico-biologico sostanzialmente differente dagli altri tumori

maligni polmonari.

Epidemiologia, eziologia e biologia molecolare

Rappresenta il 20-25% di tutti i tumori polmonari maligni e tra tutti

ha la prognosi peggiore (il tasso di sopravvivenza a 5 anni è inferiore

all’8%).

Tale neoplasia è il risultato di una serie di alterazioni genetiche

determinate dall’azione di sostanze esterne, tra le quali, il fattore di

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rischio principale è costituito dal fumo di sigaretta seguito,

suppostamente, dall’esposizione all’uranio per l’effetto cancerogeno

che sembra possiedano gli isotopi derivati dal decadimento del radon.

Al momento della comparsa clinico-sintomatologica, il microcitoma ha subito

almeno 10-20 differenti mutazioni genetiche, ma, sebbene numerosi siano gli

oncogeni ed oncosoppressori individuati nel processo di trasformazione neoplastica

del cancro del polmone, difficile rimane sequenziare le tappe di tali mutazioni così

da derivarne la corrispondente cascata di eventi che conduce alla sua insorgenza.

Il fenotipo neuroendocrino è una delle caratteristiche che

differenzia il microcitoma dai Non Small Cell Lung Cancers (NSCLC) e

ne consente l’individuazione biologico-clinica attraverso le sindromi

endocrine e neurologiche ad esso correlate. A tal proposito è

importante ricordare che le cellule del sistema neuroendocrino APUD

esprimono un enzima caratteristico, l’enolasi neurono-specifica,

l’antigene di superficie Leu-7 (CD57) e la molecola di adesione delle

cellule neurali (NCAM, CD56).

Tali cellule sono presenti nella mucosa bronchiale in forma isolata o

in piccoli gruppi (corpi neuroendocrini) e sembra proprio che il

microcitoma deriverebbe dalla trasformazione neoplastica di tali

elementi (cellule di Kulchitsky), originati dalla cresta neurale,

contrariamente ai NSCLC che originerebbero da cellule di derivazione

endodermica; secondo un’ipotesi più recente, invece, sia le cellule

neuroendocrine che le altre cellule epiteliali del polmone

deriverebbero dalla stessa linea endodermica pluripotente che poi

darebbe origine anche ad un fenotipo neuroendocrino per specifiche

mutazioni durante lo sviluppo dei tumori maligni polmonari. Sembra

peraltro che non vi sia nessuna correlazione tra fenotipo

neuroendocrino e maggiore malignità del tumore, vista la presenza

del carcinoide bronchiale che, pur con medesimo fenotipo, presenta

una malignità di gran lunga inferiore.

A sostegno di quest’ultima ipotesi, non è infrequente trovare nei

tumori polmonari, compreso il microcitoma, differenti focolai di

differenziazione (ad es. squamoso, ghiandolare e neuroendocrino)

nell’ambito stesso cancro.

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Anatomia patologica

Lo spettro delle neoplasie neuroendocrine polmonari comprende oggi i seguenti

tipi istologici che presentano una malignità crescente:

Carcinoide bronchiale (tipico): rappresenta il 2% di tutti i tumori

polmonari, non sembra correlato al fumo, colpisce

indifferentemente i due sessi con età media di 50 anni; ha di solito

una localizzazione centrale, in uno dei bronchi principali, più

raramente periferica e solo nel 5% dei casi vi è interessamento

linfonodale alla diagnosi. Istologicamente è costituito da cellule

poligonali con nuclei uniformi e rotondi, cromatina nucleare

granulare a “sale e pepe”, rari nucleoli, rare figure mitotiche e

scarso tessuto fibroso.

Carcinoma neuroendocrino ben differenziato: comprende un

gruppo di neoplasie con caratteristiche istologiche e cliniche

intermedie tra carcinoide tipico e microcitoma propriamente detto.

Tipici aspetti istologici sono l’aumentata attività mitotica, il

pleomorfismo e l’ipercromatismo nucleare con elevato rapporto

nucleo/citoplasma, aree di aumentata cellularità con

disorganizzazione strutturale e focolai di necrosi tumorale. A

seconda delle combinazioni di tali caratteristiche, della prevalenza

dell’una o dell’altra si possono individuare in questo gruppo tre

sottotipi istologici a malignità crescente: I (in passato definiti

carcinoidi periferici), II (carcinoidi atipici o maligni o a cellule

fusiformi), III (al confine con gli indifferenziati a piccole cellule).

Come il carcinoide tipico, presentano tutti scarsa sensibilità alla

terapia citotossica e radiante, pertanto la terapia d’elezione

rimane chirurgica radicale.

Carcinoma neuroendocrino a cellule intermedie o a grandi cellule:

indica quelle neoplasie difficilmente distinguibili dal III sottotipo del

gruppo precedente, in cui il termine indifferenziato si riferisce alle

dimensioni delle cellule e non al comportamento clinico, anche se

a ciò corrisponde una maggiore aggressività. L’età media di

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insorgenza è di 65 anni e la maggior parte dei pazienti sono

fumatori, la prognosi è molto sfavorevole e la sopravvivenza a

lungo termine è solo del 10%. La terapia elettiva è chirurgica con

scarsi casi di risposta alla terapia citotossica. Generalmente sono

ad origine centrale, meno periferica e si presentano come noduli

circoscritti con aree necrotiche al taglio. L’aspetto istologico è

peculiare, di tipo organoide con periferia a palizzata o trabecolare

o a rosetta; le cellule sono poligonali, di grandi dimensioni con

basso rapporto nucleo/citoplasma, cromatina nucleare grossolana

o vescicolare e frequenti nucleoli, indice mitotico elevato e necrosi

frequente. Nel 75% dei casi vi è aneuploidia.

Carcinoma indifferenziato a piccole cellule (microcitoma): l’età

media d’insorgenza è di circa 60 anni e, nonostante l’elevata

responsività alla terapia citotossica e radiante, è clinicamente

caratterizzato dalla peggiore prognosi tra tutti i tumori polmonari

per la sua crescita esplosiva con elevata incidenza di metastasi

linfatiche ed ematogene precoci. Si presenta generalmente come

tumore centrale del bronco principale e più raramente insorge

perifericamente. Prima che ne fosse riconosciuta l’origine epiteliale

veniva chiamato sarcoma mediastinico con cellule a “chicco

d’avena” o “oat cell”. L’istologia tipica mostra una crescita diffusa

di piccole cellule rotonde od ovali con cromatina granulare a “sale

e pepe”, nucleoli rari o assenti, citoplasma scarso, mitosi frequenti

ed atipiche, componente stromale scarsa; le cellule possono

formare rosette, nidi o trabecole ed in alcuni casi possono essere

presenti cellule giganti. Le zone di necrosi sono estese. Un aspetto

comune e caratteristico è rappresentato dai depositi di DNA

basofilo intorno al tessuto elastico, specialmente a livello dei vasi

necrotici (fenomeno di Azzopardi). Una recente classificazione

della IASCL individua più precisamente tre sottotipi istologici di

microcitoma:

1. il Ca indifferenziato a piccole cellule2. il Ca misto3. il Ca combinato

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I sottotipi misto e combinato sono meno frequenti, il primo rappresentando una

variante con mescolanza di cellule indifferenziate piccole e grandi, presente nel

4% dei pazienti, associato all’amplificazione dell’oncogene c-myc e

scarsamente rispondente alla terapia citotossica con prognosi peggiore della

forma a piccole cellule, il secondo caratterizzato invece dalla coesistenza di una

componente squamosa o adenocarcinomatosa accanto alla componente a

piccole cellule ed essendo nel complesso molto raro (2% dei microcitomi).

Sindromi paraneoplastiche

Sono frequenti e vengono causate dalla produzione da parte del tumore

di ormoni peptidici o di autoanticorpi che cross-reagiscono con le cellule

nervose. Tali sindromi si possono pertanto dividere in due gruppi,

endocrino e neurologico, le prime migliorando con il trattamento della

neoplasia, le seconde molto meno modificabili.

Sindromi di tipo endocrino Sindromi di tipo neurologico

Inappropriata secrezione di ADH S. miastenica di Lambert-EatonElevata produzione di ANP Degenerazione cerebellare

paraneoplasticaProduzione ectopica di ACTH

Encefalomielite paraneoplastica

Ipercalcemia Neuropatia sensitiva paraneoplasticaRetinopatia associata al microcitoma

Pseudo-ostruzione intestinale

Da segnalare per le alterazioni sierologiche:

Sindrome da inappropriata secrezione di ADH:

iponatriemia

ipoosmolalità sierica (<275 mOsm/kg)

elevata escrezione urinaria di Na+ (>25 mEq/L)

elevata osmolalità urinaria

i livelli di neurofisine sembrano correlare con l’estensione della neoplasia e

la risposta alla terapia

Elevata produzione di ANP:

iponatriemia meno severa

natriuria

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ipotensione

Secrezione ectopica di ACTH:

ipokaliemia

elevati livelli di ACTH o cortisolo con perdita del ritmo

circadiano

elevata cortisoluria

Clinicamente, sebbene la maggior parte dei microcitomi sia in

grado di sintetizzare ACTH, le manifestazioni della S. di Cushing

sono rare (2.4%) e quando presenti in genere si limitano a edemi

periferici e miopatia prossimale.

Ipercalcemia:

produzione di PTH o sostanze simili, rara evenienza nei microcitomi a differenza del NSCLC.

Encefalomielite paraneoplastica e Neuropatia sensitiva

paraneoplastica:

presenza nel siero e nel liquor di autoanticorpi antinucleoproteine neuronali (anti-Hu).

Altre sindromi paraneoplastiche:

granulocitosi, molto rara

anemia emolitica microangiopatica, molto rara

trombocitosi (30-40%)

stati ipercoagulativi (10-15%)

Clinica

La preferenza del microcitoma per un bronco principale fa sì che la

tosse sia uno dei sintomi più frequenti accompagnata da dispnea,

dolore, polmonite da ostruzione, emottisi, quest’ultima meno

frequente rispetto alle attese per l’iniziale localizzazione sottomucosa

del tumore. Tra le possibili successive evoluzioni prevale

l’interessamento del mediastino che può riguardare l’infiltrazione del

nervo ricorrente (15% dei casi), del frenico (rara), dell’esofago e la

compressione-ostruzione della vena cava superiore, presente

all’esordio del 12% dei microcitomi. La sindrome da ostruzione cavale

procede da un iniziale edema e rigonfiamento del braccio destro

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(spesso misconosciuto) alla dilatazione delle vene superficiali

dell’emitorace destro, all’edema e al rigonfiamento del volto con

comparsa di soffusione emorragica sottocongiuntivale fino a sfociare

nell’edema cerebrale ingravescente con stato confusionale, coma e

morte (wet brain syndrome).

Il versamento pleurico è presente all’esordio nel 15% dei casi, in

genere sostenuto da ostruzione linfatica provocata dal tumore a

localizzazione ilare e meno frequentemente da interessamento

pleurico neoplastico. La disseminazione retrograda per via linfatica di

cellule neoplastiche dei linfonodi mediastinici può dare un

versamento pericardico.

In più del 60% dei pazienti sono presenti metastasi a distanza sin

dalla presentazione iniziale e dalla avvenuta diagnosi che, per quanto

precocemente possa essere posta all’insorgenza dei primi sintomi, è

già tardiva per un’eventuale terapia chirurgica; le sedi più frequenti

di metastasi sono: fegato (30%), ossa (30%), midollo osseo (20%),

encefalo (<15%), linfonodi extratoracici, tessuti molli (compresi

surreni, pancreas e reni), cute.

Le recidive sono molto comuni e la sopravvivenza a 5 anni solo

dell’8%.

Diagnosi

Innanzitutto è estremamente importante un’accurata valutazione clinica che

prenda in considerazione i sintomi polmonari, l’eventuale presenza di sintomi da

interessamento cerebrale (le metastasi cerebrali sono frequentemente

sintomatiche) o epatico (frequenti alterazioni degli enzimi epatici se presenti

metastasi) e il corteo sintomatologico e laboratoristico che può essere dato dalle

sindromi paraneoplastiche.

Una semplice radiografia del torace, da eseguire immediatamente

al benché minimo sospetto, può fornire molte notizie nel microcitoma,

da integrare ovviamente con un esame T.C. torace ed addome

superiore.

La fibrobroncoscopia permette in una buona percentuale dei casi di

ottenere la diagnosi istologica.

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Il successivo percorso diagnostico deve tendere all’accertamento

delle metastasi a distanza; ovviamente in assenza di sintomi clinici

indicativi di organi particolari si procederà basandosi sulla frequenza

dell’interessamento metastatico, cominciando pertanto ad indagare

l’apparato scheletrico (scintigrafia ossea) e l’addome (preferibilmente

T.C. ma anche ecografia) e passando poi all’encefalo (T.C. o R.M.N.).

Per quanto concerne le metastasi al midollo osseo, che possono

esistere alla presentazione della malattia nel 17-34% dei pazienti,

generalmente non si procede ad agoaspirato/biopsia osteomidollare

se non in presenza di dati clinici o laboratoristici, come l’aumento

dell’LDH e presenza di citopenia, che possano suffragarne

l’interessamento.

Da un punto di vista laboratoristico, infine, occorre sottolineare che

il microcitoma produce un’elevata quantità di polipeptidi e

glicoproteine che con la distruzione delle cellule neoplastiche

vengono immessi in circolo, le più importanti delle quali sono l’enolasi

neurono-specifica (NSE), l’antigene carcinoembrionario (CEA),

l’isoenzima BB della creatinchinasi (BB-CK), la cromogranina A (CGA),

il peptide che rilascia la progastrina (pro-GRP), la molecola di

adesione delle cellule neurali (NCAM). La concentrazione sierica di

alcune di queste sostanze, in particolare la NSE ed il CEA, correla con

la massa neoplastica, non discriminando tuttavia tra malattia toracica

ed extratoracica e rimanendo pertanto la loro utilità confinata al

controllo dell’andamento della malattia.

Stadiazione e prognosi

L’inefficacia della terapia chirurgica nel microcitoma, per la

diffusione della malattia al momento della diagnosi e la necessità di

ricorrere, pertanto, alla terapia antineoplastica sistemica quale

terapia primaria ha da molto tempo semplificato la stadiazione del Ca

polmonare a piccole cellule in due gruppi principali, malattia limitata

(ML), quando il tumore è confinato ad un emitorace ed ai linfonodi

regionali e malattia estesa (ME), comprendente tutte le condizioni al

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di là di questi limiti; negli ultimi tempi tuttavia, in sottogruppi con

malattia molto limitata, è stato riproposto con successo l’intervento

chirurgico accanto alla terapia antineoplastica, riacquisendo così

importanza la necessità di una stadiazione TNM più dettagliata.

Tra i fattori prognostici, l’estensione della neoplasia è il più

importante, non solo differendo la prognosi tra ML e ME, ma anche,

nell’ambito della ME, la sopravvivenza si riduce con il numero delle

sedi metastatiche interessate. Tra i fattori legati al paziente, invece,

lo stato generale è il più significativo mentre condizioni associate che

sembrerebbero migliorare la sopravvivenza sono il sesso femminile e

l’età meno avanzata. La risposta alla terapia antineoplastica, infine, è

considerato un significativo fattore prognostico di sopravvivenza.

Terapia

La rapida velocità di crescita e la frequente presenza di metastasi a

distanza al momento della diagnosi rendono deludenti i risultati della

chirurgia che rimane oggi limitata solo ai pochi casi di ML, quando

cioè sia possibile un controllo locale della neoplasia. Viene comunque

sempre affiancata da terapia medica radioterapica ed antineoplastica

sistemica, che rimangono le uniche terapie in grado di allungare

parzialmente la sopravvivenza, in particolare la terapia citotossica

sistemica. Allo stato attuale, tuttavia, solo una piccola percentuale di

pazienti sopravvive a 5 anni, ciò riproponendo la necessità di nuove

terapie ed approcci.

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MALATTIE DEL MEDIASTINO

Il mediastino può essere sede di una varietà  eterogenea di processi patologici che si originano dagli organi e strutture in esso contenuti. Tuttavia per consuetudine si è soliti escludere dalla trattazione della patologia mediastinica le affezioni a carico dell'esofago, della trachea, del cuore, dei grossi vasi e dei traumi aperti e chiusi del mediastino che vengono compresi nel più ampio capitolo dei traumi del torace. Pertanto prenderemo in considerazione soltanto le affezioni infiammatorie, displastiche e neoplastiche, che interessano le altre strutture contenute nel mediastino o gli organi in esso migrati.

Malattie Infiammatorie del Mediastino

Le Mediastiniti si distinguono in acute, caratterizzate da una sepsi di tipo purulento del cellulare lasso mediastinico, ed in croniche, nelle quali l’aspetto patomorfologico è un processo cicatriziale ad evoluzione fibrotica che interessa il connettivo che avvolge gli organi mediastinici.La mediastiniti acuta è una grave malattia che di solito provoca manifestazioni eclatanti. Le cause dell’affezione possono essere varie ed includono le perforazioni dell’esofago e tracheobronchiali, le infezioni odonto stomatologiche e faringee (20-30 % di tutte le mediastiniti), le ferite penetranti del torace. L’infezione del mediastino può anche verificarsi come complicanza postoperatoria dopo interventi di chirurgia cardio-toracica ( deiscenze esofagee dopo anastomosi chirurgiche).La propagazione al mediastino di una infezione della cavità orale si accompagna alla comparsa di un grave quadro setticemico che oltrepassa i limiti del mediastino e determina una compromissione multiorgano (mediastinite discendente necrosante). Il primo caso di mediastinite discendente necrosante (MDN) secondaria ad una banale infeziore della cavità oro-faringea e della arcata dentaria fù descritta da Pearse nel 1938.In genere il fattore etiologico di questa grave patologia è lo streptocco B emolitico del gruppo C, tuttavia altri germi sono stati riscontrati come le klebsielle, lo stafilococco Brevotelle, lo pseudomonas etc.In circa 80-85% dei casi la mediastinite si riscontra in giovani di sesso maschile con una sintomatologia che è aspecifica ma che consente di pervenire ad una corretta diagnosi dopo una anamnesi accurata ed un attento esame clinico. I sintomi, tipicamente ad esordio improvviso, sono comunemente rappresentati da febbre alta, tachicardia, malessere e

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leucocitosi. E’ in genere presente intenso dolore al torace o al collo e trisma. Il dolore cervicale, quasi sempre associato ad enfisema sottocutaneo, è più frequente quando la mediastinite è secondaria ad una perforazione esofagea.La comparsa di dolore e febbre dopo un atto chirurgico od endoscopico sull’esofago è sinonimo di perforazione, finchè non è dimostrato diversamente, e costituisce indicazione ad un immediato esofagogramma. Lo studio contrastografico dell’esofago con mezzo di contrasto idrosolubile. permette di stabilire la diagnosi e di dimostrare l’esatta sede della perforazione. La radiografia del torace può confermare la diagnosi dimostrando la presenza di aria in sede cervicale o mediastinica o un idro-pneumo-torace, anche se un normale reperto radiografico non eslude la perforazione.Uno studio TC del collo e del torace nei pazienti con MDN deve essere considerata indispensabile nonostante le gravi condizioni del paziente. Esso consentirà di evidenziare, oltre all’impegno mediastinico, l’interessamento dei tessuti molli oroesofagei e l’eventuale diffusione ad uno o entrambi i cavi pleurici dell’infezione.Il trattamento della mediastinite acuta è correlato con il momento causale. Sebbene alcuni pazienti possano rispondere al solo trattamento conservativo, un tempestivo drenaggio della sede ascessuale rappresenta il mezzo più idoneo per controllare l’infezione.In presenza di una perforazione dell’esofago l’alimentazione orale deve essere immediatamente sospesa e devono essere prontamente iniziate la nutrizione parenterale totale (NPT) e l’ antibiotico terapia ad ampio spettro. Il tipo di trattamento dipende dalla valutazione dei parametri clinici e dalla esperienza del chirurgo. Secondo alcuni Autori la perforazione dell’esofago deve essere trattata chirurgicamente entro 6-8 ore dall’evento traumatico. La linea di sutura esofagea va rinforzata con un lembo peduncolato di muscolo intercostale o con un flap pleurico, pericardico o diaframmatico.Anche nella MDN il trattamento è prevalentemente chirurgico che va effettuato il più precocemente possibile in considerazione dell’alta mortalità (30-40% dei casi) tutt’oggi riferita in letteratura. Un’ ampia cervicotomia ed una toracotomia postero laterale con drenaggio del mediastino e del cavo pleurico sono le vie d’aggressione oggi più comunemente utilizzate. Il drenaggio mediastinico transcervicale o al di sotto del processo ensiforme dello sterno devono essere eseguiti solo quando il materiale purulento non oltrepassa la biforcazione tracheale ed è localizzato nel mediastino anteriore.Oggi nelle fasi iniziali dell’ infezione mediastinica può essere esaguito con successo il drenaggio mediastinico per via toracoscopica. In ogni caso il trattamento chirurgico deve

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essere integrato sia con una adeguata terapia antibiotica sia da una terapia parenterale di supporto.La mediastinite cronica è il risultato di una flogosi granulomatosa, che il più delle volte colpisce i linfonodi paratracheali e sottocarenali del mediastino superiore (mediastinite cronica circoscritta). La tubercolosi era una volta la causa più comune di questa forma di mediastinite, ma oggi l'istoplasmosi appare essere più frequente.La mediastinite cronica può rappresentare la normale evoluzione di una mediastinite acuta diffusa; tuttavia può essere anche post-traumatica, post-attinica od essere dovuta a silicosi, sclerodermia o infine a malattia di Hodgkin ad impronta particolarmente sclerotizzante (mediastinite cronica diffusa).In molti casi non è possibile riconoscere l'agente eziologico, neanche dopo prelievo bioptico mediante mediastinoscopia (mediastinite cronica idiopatica).L'intensa reazione infiammatoria provoca in genere una grave fibrosi mediastinica con compressione della vena cava superiore dell'esofago, della trachea o di un bronco principale con la comparsa dei segni e sintomi della sindrome mediastinica.Nelle forme di mediastinite cronica circoscritta è possibile attuare la terapia chirurgica, che consiste nella asportazione dei conglomerati linfonodali rinunciando ad una exeresi radicale quando le linfoadenopatie siano strettamente aderenti alle strutture vascolari e nervose del mediastino.Nella mediastinite cronica diffusa il chirurgo si trova di fronte ad un mediastino congelato che rende impossibile qualunque trattamento.

2 – GOZZO MEDIASTINICO I gozzi mediastinici (g.m.) sono tumefazioni, costituite da tessuto tiroideo patologico, il cui diametro maggiore giace al di sotto dello stretto superiore del torace per almeno 4 cm. nel paziente in decubito supino e con il collo iperesteso. Nei gozzi cervico-mediastinici lo sviluppo endotoracico del gozzo è prevalente rispetto a quello cervicale, mentre nei gozzi mediastinici veri od autonomi è assente la tumefazione cervicale ed il gozzo si estrinseca eclusivamente in sede intratoracica.E' una malattia dell'età  adulta (dai 40 ai 70 anni di età ), con una certa maggiore prevalenza nel sesso femminile.I g.m. veri si distinguono in gozzi ectopici o primitivi e gozzi migrati o secondari. Il gozzo mediastinico ectopico, di riscontro oltremodo raro, si sviluppa da noduli tiroidei ectopici ed in maniera caratteristica manca di un peduncolo parenchimale che lo collega alla tiroide cervicale. La vascolarizzazione è

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indipendente e può avvenire attraverso l'arteria tiroidea ima, l'aorta, la succlavia, la mammaria interna.Il meccanismo di formazione dei gozzi ectopici è riconducibile ad un disguido nel normale sviluppo morfogenetico della tiroide. Durante la vita intrauterina, il tronco arterioso, posto in vicinanza dell'abbozzo principale della tiroide, può trascinare con sè piccoli frammenti di tessuto tiroideo nel tragitto che compie sino a raggiungere la sua sede definitiva. Questi frammenti costituiranno le tiroidi mediastiniche ectopiche che possono coesistere con una tiroide in sede normale e restare il più spesso inattive, oppure aumentare di volume per lo stimolo iperplasiogeno determinato dall'aumentata increzione di TSH.In rapporto al loro meccanismo di formazione i gozzi mediastinici ectopici occupano, nella maggioranza dei casi, lo spazio mediastinico anteriore anche se viene ammessa la possibilità  di una localizzazione mediastinica posteriore.Il gozzo mediastinico migrato, affezione relativamente frequente, riconosce invece la sua origine nella graduale migrazione nel mediastino di uno struma dalla sua sede cervicale originaria, come è dimostrato sia dall'esistenza di un peduncolo di connessione parenchimale o fibrosa con la tiroide cervicale e, soprattutto, dall'irrorazione rappresentata dalle arterie e vene tiroidee.Una volta oltrepassato lo stretto superiore del torace, il gozzo può svilupparsi in tutte le direzioni. La maggiore distensibilità  del cellulare mediastinico attorno ai vasi venosi e la barriera rappresentata dall'arco aortico, rendono spiegazione della maggiore tendenza del gozzo mediastinico ad occupare la regione antero-superiore ed il lato destro del mediastino.

I rapporti anatomici assunti dal gozzo nella sua migrazione mediastinica condizionano il quadro clinico e la scelta della più opportuna via di aggressione chirurgica. Per tali motivi appare estremamente utile ai fini pratici la suddivisione dei g.m. basata su criteri anatomo-topografici:- gozzi previscerali o pretracheali- gozzi lateroviscerali o laterotracheali- gozzi retroviscerali, intertracheoesofagei o retroesofagei.I gozzi previscerali rappresentano la varietà  più frequente di g.m. e si approfondano nella loggia pretracheale del mediastino superiore. Nello spazio previscerale il gozzo si trova di solito posto dietro i grossi vasi venosi dai quali è separato dallo sdoppiamento della fascia cervicale media. Per tale ragione lo sviluppo retrovenoso di gran lunga il più frequente. Più rari i gozzi a sede prevascolare che occupano la loggia timica e rimangono compresi tra il tronco venoso brachiocefalico al di dietro e lo sterno al davanti.

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Il gozzo previscerale è per lo più ad estensione mediana e simmetrica, comprime la trachea dal davanti all'indietro determinandone la deformazione in senso antero - posteriore. La trachea può essere deformata a semiluna, ad ogiva, a fodero di sciabola, o a clessidra se l'estensione in senso anulare è limitata ad un breve tratto.I gozzi lateroviscerali meno frequenti di quelli pretracheali, sono a sviluppo primitivamente laterale o possono assumere tale posizione secondariamente nel corso della migrazione mediastinica.I gozzi retroviscerali costituiscono la varietà  più rara di g.m. Si originano dalla porzione posteriore di uno dei lobi tiroidei e possono accrescersi tra la trachea e l'esofago (gozzi intertracheoesofagei) o al di dietro dell'esofago (gozzi retroesofagei).Dal punto di vista istologico i g.m. sono più frequentemente del tipo colloidale e la degenerazione neoplastica si osserva soltanto nel 2-5% dei casi.Dal punto di vista clinico i pazienti affetti da g.m. si possono dividere in tre gruppi:- il primo gruppo è asintomatico (30% dei casi) ed il gozzo, che non ha raggiunto notevoli dimensioni, è scoperto accidentalmente per mezzo di una radiografia del torace;- il secondo gruppo, più raro (10% dei casi), si manifesta con sintomi da tireotossicosi;- il terzo gruppo, più numeroso, si caratterizza per I sintomi da occupazione mediastinica.Nella maggior parte dei casi la sintomatologia, che evolve in maniera lenta, è costituita da disturbi respiratori, della fonazione e da ostacolato ritorno venoso; più rari sono invece i segni di compressione sull'esofago e sulle strutture nervose adiacenti.

I disturbi della fonazione possono riconoscere la loro causa sia nella paralisi o paresi del ricorrente, come anche nello spostamento dalla linea mediana e nella torsione dell’asse laringo-tracheale come si verifica soprattutto nei g.m. previscerali a sviluppo asimettrico. Non mancano le forme che esordiscono con i segni dell'insufficienza respiratoria acuta e in tali casi l'ostruzione acuta delle vie aeree è dovuta ad un brusco aumento di volume della massa endotoracica per emorragia endocistica.La diagnostica dei g.m. si avvale di dati clinici, biologico-funzionali ma soprattutto strumentali.L'esame obiettivo è significativo nei gozzi cervico-mediastinici in quanto evidenzia la tumefazione cervicale che si affonda nel torace e presenta movimenti sincroni con il tubo laringo-tracheale. Nei g.m. veri gli unici elementi clinici che possono rivestire importanza ai fini della diagnosi di natura sono il

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rilievo anamnestico della scomparsa spontanea di un pregresso gozzo cervicale (segno della migrazione mediastinica del gozzo), la presenza di una cicatrice da intervento di tiroidectomia, la percezione palpatoria di una tumefazione affiorante al giugulo nei profondi atti espiratori e/o sotto i colpi di tosse.La sintomatologia funzionale si manifesta soltanto in circa il 10% dei pazienti con segni di ipertiroidismo.Le indagini strumentali consentono la definizione della sede, dei rapporti topografici e talora anche la diagnosi di natura della lesione.L’esame radioscopico del mediastino con intensificatore di brillanza in ortostatismo è un'indagine iniziale, che consente lo studio dinamico dell'opacità  mediastinica dimostrando la mobilità  della massa consensuale al tubo laringotracheale con gli atti della deglutizione e sotto i colpi di tosse.Nei casi più tipici di g.m. l'esame radiografico standard del torace e la tomografia lineare dimostrano un aumento dei diametri trasversali del mediastino superiore per la presenza di un'opacità  a grande asse verticale, che si estrinseca a sinistra o più frequentemente a destra, deviando controlateralmente la trachea. L'immagine generalmente omogenea, di media densità, a limiti netti, regolari, spesso lobati e talora presenta nel suo contesto delle calcificazioni.Negli strumi retroviscerali le maggiori informazioni sono fornite dagli stratigrammi laterali associati ad esofagografia. In quelli a sviluppo intertracheoesofageo l'immagine patognomonica è la diastasi esofagotracheale, mentre nei gozzi retroesofagei si evidenzia lo spostamento in avanti dell'esofago.La tomografia computerizzata (T.C.) ha reso ormai obsolete la stratigrafia e la xerotomografia. La TC consente di precisare la natura solida, cistica o mista della tumefazione, la localizzazione, l'estensione ed i rapporti con le strutture vicine, l'esistenza o meno di un piano di clivaggio ed i rapporti con le grosse strutture vascolari.La scintigrafia tiroidea con I131 o con Tc99 rappresenta l'unico metodo che consente di riconoscere con certezza la natura tiroidea di una tumefazione mediastinica. Questa indagine, tuttavia, ha valore diagnostico solo in caso di reperto positivo, mentre la sua negatività  non consente di escludere un g.m. dal momento che nel 60-70% dei casi la massa risulta captante per le turbe regressive cui va incontro durante la sua discesa nel mediastino. E' più facile che la scintigrafia risulti positiva in quei casi di g.m. che si evidenziano in pazienti tiroidectomizzati.Le indagini strumentali fin qui analizzate rappresentano gli elementi fondamentali per qualunque protocollo di studio delle tumefazioni mediastiniche di sospetta natura tiroidea. Prima dell'intervento chirurgico risulta in ogni caso opportuno

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effettuare un controllo della motilità delle corde vocali mediante l’esame laringoscopico.In presenza di una tumefazione mediastinica è sempre indicato l’intervento chirurgico e questa indicazione si pone in maniera assoluta allorquando è stata fatta diagnosi di g.m.Il principale problema nella chirurgia di questa affezione è la scelta della più opportuna via di aggressione. Nella maggior parte dei casi è possibile asportare il gozzo attraverso una cervicotomia isolata mentre in casi particolari è necessario ricorrere a vie di accesso complementari (sternotomia e/o toracotomia).La cervicotomia isolata è indicata nel trattamento dei gozzi previscerali, dei gozzi latero- o retro-viscerali quando è ancora possibile farli emergere dallo stretto toracico. Si preferisce invece associare una via di accesso complementare in presenza di compressione della vena cava superiore, quando le particolari dimensioni dello struma non ne consentono l'estrinsecazione attraverso lo stretto toracico superiore, in caso di cancerizzazione o quando il paziente è stato già sottoposto ad intervento di tiroidectomia o a terapia radiante.La chirurgia del g.m. può essere gravata da complicanze legate a lesioni accidentali di strutture anatomiche (emorragia, lesioni ricorrenziali, perforazione della trachea e dell'esofago) e a squilibri ormonali conseguenti all'exeresi del parenchima ghiandolare (ipotiroidismo, ipoparatiroidismo).

4 – ADENOMA PARATIROIDEO Gli adenomi paratiroidei si sviluppano nel mediastino anteriore e superiore nel 10% dei casi e sono spesso avvolti dal tessuto timico. Più rara è la localizzazione mediastinica posteriore, di solito nello spazio tra trachea ed esofago.La maggior parte di questi tumori sono ormonalmente attivi e la diagnosi è di solito posta in pazienti con evidenza clinica e di laboratorio di iperparatiroidismo (ipercalcemia ed aumento del paratormone, con manifestazioni urinarie ed osteo-articolari, anoressia, ipertensione arteriosa, turbe della conduzione e del ritmo cardiaco, adinamia muscolare).Le tecniche diagnostiche utilizzate per valutare i pazienti portatori di un sospetto adenoma paratiroideo mediastinico includono lo studio radiografico del torace, la scintigrafia radioisotopica con 75 Se-metionina, la T.C., l’angiografia con visualizzazione dell’arteria tiroidea inferiore e il cateterismo selettivo della vena tiroidea inferiore per il dosaggio radioimmunologico dell’ormone paratiroideo. Le possibilità del riconoscimento della localizzazione mediastinica di un adenoma paratiroideo sono recentemente migliorate con l’uso della scintigrafia mediante la tecnica del doppio tracciante

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(99m-tecnezio e 201 tallio) e sottrazione computerizzata dell'immagine.

5 – CISTI MALFORMATIVE Le cisti malformative non sono veri tumori ma displasie costituite da tessuti normalmente presenti nel mediastino ("disembriomi omoplastici"). Esse sono rappresentati dalla cisti broncogena, dalla cisti celomatica e dalla cisti da duplicazione.

A – Cisti broncogena La cisti broncogena prende origine da un germe embrionario distaccatosi dall'albero tracheobronchiale in via di sviluppo durante la III – IV settimana di gestazione. In relazione alla sua genesi embriologica tale cisti è pertanto indipendente dall'albero tracheobronchiale, con il quale può talvolta essere collegata mediante un peduncolo fibrovascolare che ne documenta la primitiva origine.La cisti broncogena è il disembrioma omoplastico più frequente del mediastino. Colpisce con eguale frequenza I due sessi, soprattutto nel periodo di vita compreso tra i 20 ed i 40 anni.La localizzazione più comune è il mediastino medio, a sede paratracheale, carenale ed ilare. Le cisti del mediastino posteriore, per gli stretti rapporti di contiguità  con l'esofago, vengono invece definite paraesofagee.La cisti ha forma rotondeggiante, cavità  unica, parete spessa. Il suo contenuto è per lo più mucoide, talvolta color cioccolato per la presenza di pigmento ematico (Fig.20d). La parete è tappezzata da mucosa bronchiale con cellule cilindriche o cuboidi ciliate e nel suo spessore sono presenti uno o tutti gli elementi bronchiali: muscolatura liscia, fibre elastiche, cartilagine, ghiandole di tipo bronchiale, cumuli linfoidi.Le manifestazioni cliniche sono strettamente correlate con i rapporti che la cisti contrae con l'albero tracheo-bronchiale. Le cisti paratracheali, specie se di modeste dimensioni, sono spesso asintomatiche e costituiscono un reperto radiografico del tutto occasionale.Le cisti carenali, anche se di piccolo volume, si rivelano invece precocemente con disturbi in genere di tipo compressivo-meccanico prevalentemente a carico dell'apparato respiratorio. L'azione compressiva sull'esofago è di rara osservazione.La cisti broncogena può infine manifestarsi con sintomi di tipo suppurativo dovuti all'infezione della cavità. In rari casi è descritta anche la degenerazione neoplastica.L'iter diagnostico si avvale dello studio radiologico tradizionale e della TC. L'aspetto di più frequente riscontro, evidenziabile

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con la radiografia standard del torace in duplice proiezione, è quello di un'opacità unica, omogenea, a sede mediastinica, a volte responsabile soltanto di una modesta deformazione del profilo mediastinico.La tomografia computerizzata è utile per definire la natura cistica della lesione ed i suoi rapporti con le strutture circostanti.La terapia delle cisti broncogene è chirurgica anche nel caso di pazienti asintomatici, per prevenire le possibili complicanze (suppurazione, degenerazione neoplastica). Il trattamento consiste nell'asportazione della cisti per via toracotomica o toracoscopica videoassistita. In genere è possibile eseguire l'enucleazione della cisti in maniera agevole in quanto esiste un piano di clivaggio con le strutture circostanti ; è sempre buona norma ricercare e legare accuratamente il peduncolo fibrovascolare, che talvolta congiunge la cisti con la trachea o con l'albero bronchiale. B – Cisti celomatica o pleuropericardica La cisti mediastinica da disembriogenesi del celoma pleuropericardico (30% di tutti i disembriomi omoplastici) si localizza di solito nel mediastino anteriore, in corrispondenza dell'angolo cardiofrenico destro (70% dei casi). Nonostante la genesi congenita, si osservano raramente nei bambini.Secondo l'ipotesi embriogenetica più accettata esse originano nel momento in cui le lacune craniali del celoma intraembrionale si uniscono dando luogo alla formazione della cavità  pericardica definitiva. Se una delle primitive lacune celomatiche sfugge al processo di fusione e si accresce in maniera autonoma, si formerà  una cavità  separata dal pericardio, che costituirà la cisti.Le cista celomatica ha forma rotondeggiante, raggiunge il diametro medio 8-10 cm. e la sua parete è costituita da una membrana fibrosa, sottile, trasparente ed elastica, in genere sotto leggera tensione che riproduce la struttura istologica delle sierose. La superficie esterna è di solito liscia e lucente. Il contenuto è per lo più costituito da un liquido limpido, incolore, con i caratteri del trasudato. La cisti celomatica è nella grande maggioranza dei casi asintomatica e viene scoperta accidentalmente. Il quadro clinico, quando presente, è caratterizzato da tosse stizzosa, dolore riferito alla base dell'emitorace sede della cisti e talora disturbi cardiaci, quali cardiopalmo e turbe del ritmo.Molto utile ai fini diagnostici risulta la valutazione topografica della neoformazione. Alla radiografia del torace la cisti appare come un'opacità  rotondeggiante od ovalare, a margini netti e regolari che occupa preferibilmente l'angolo cardiofrenico

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anteriore destro. In proiezione laterale l'opacità  si sovrappone su quella cardiaca.L'aspetto tomografico computerizzato di queste lesioni è spesso caratteristico: la densità è omogenea, di tipo liquido e la cisti è delimitata da un sottile cercine non distinguibile dal foglietto pericardico. L'asportazione chirurgica, oggi attuabile anche per via toracoscopica videoassistita, è l'unico mezzo terapeutico definitivo, anche se sono stati descritti casi trattati con successo mediante la semplice agoaspirazione.

C – Cisti da duplicazione La cisti da duplicazione del mediastino, detta anche cisti enterogena o duplicazione digestiva, origina da abbozzi anomali dell'intestino primitivo. Può essere localizzata ad ogni livello nel mediastino posteriore, sempre a ridosso dell'esofago in contiguità  con la sua parete. Occasionalmente è situata all'interno della muscolatura dell'esofago e talora comunica mediante un peduncolo trans-diaframmatico con lo stomaco, il duodeno od il digiuno (duplicazione toraco- addominale). Raramente la cisti è multipla e in alcuni casi è associata con duplicazioni del tratto gastroenterico o con anomalie vertebrali, soprattutto delle ultime vertebre cervicali e delle prime dorsali.La parete cistica, liscia, è composta da uno strato muscolare e da una mucosa che può riprodurre quella dell'esofago, dello stomaco, dell'intestino tenue od essere mista.Dal punto di vista clinico, escluse le forme asintomatiche, la cisti da duplicazione si rivela spesso con fenomeni di compressione sull'esofago o sull'albero tracheobronchiale. Le cisti di tipo gastrico possono esordire con complicanze ulcerative, emorragiche o perforative. E' stato descritto un solo caso di adenocarcinoma insorto su una cisti enterica del mediastino superiore.Nei rari casi associati ad anomalie vertebrali, la cisti, in continuità  con le meningi o con il midollo spinale mediante un tramite contenente elementi neurali, può provocare manifestazioni cliniche di tipo meningitico. Questo tragitto può essere pervio e in tal caso può essere evidenziato con la mielografia.L'iter diagnostico ed i principi del trattamento chirurgico sono sovrapponibili a quelli degli altri disembriomi omoplastici .

6 – TUMORI GERMINALI

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I tumori germinali si sviluppano da una cellula embrionaria totipotente contenuta nel mediastino che può dare origine a neoformazioni benigne costituite da tessuti ben differenziati (cisti dermoidi e teratomi) o a neoplasie maligne costituite da tessuti più o meno indifferenziati (seminoma, coriocarcinoma, carcinoma embrionario, tumore del sacco vitellino).Le cisti dermoidi ed i teratomi sono localizzati nel mediastino anteriore e si accrescono in modo prevalente verso uno dei due emitoraci, più spesso il destro, mentre rara è la localizzazione mediastinica posteriore. Nonostante la loro origine congenita, essi si evidenziano di solito nella età  adulta.I costituenti istologici di queste neoformazioni variano dai soli tessuti ectodermici, nella cisti dermoide, ad un insieme di tessuti di origine endodermica, ectodermica e mesodermica nelle più complesse varietà  solide (teratomi), nelle quali sono state anche evidenziate, mediante l'istochimica, cellule dotate di attività  secretiva di tipo endocrino ed esocrino. Nella maggior parte dei casi il tumore ha piccole dimensioni e viene scoperto per caso; più raramente raggiunge dimensioni tali da comprimere le strutture adiacenti o può inoltre rompersi nello spazio pleurico, nel pericardio, nell'aorta o nella vena cava. Talvolta una vomica di inclusi anomali quali peli, capelli o frammenti di materiale sebaceo, dovuta ad una fistola cistobronchiale, può aprire il quadro sintomatologico. I teratomi devono essere prontamente asportati. Le dimensioni raggiunte dal tumore e la flogosi circostante, legata all'attività  secretiva delle cellule, non sempre ne rende agevole l'enucleazione. Nel 10-20% dei casi il teratoma è maligno (teratocarcinoma). E’ stato dimostrato che non esiste una stretta correlazione tra l'età  del paziente, le dimensioni del tumore e l'incidenza di malignità. Le forme maligne hanno un decorso clinico rapidamente evolutivo con precoci segni di infiltrazione a carico degli apparati cardiovascolare e/o respiratorio con la conseguente insorgenza di un versamento emorragico. Il sospetto di un teratoma maligno rende necessaria la conferma diagnostica che si ottiene mediante l'esecuzione di un'agobiopsia per aspirazione e il dosaggio nel sangue dell’ alfafetoproteina (AFP) e del antigene carcinoembrionario (CEA) i cui livelli ematici risultano frequentemente elevati.La prima fase del trattamento del teratoma maligno è la chemioterapia con cisplatino, alla quale può seguire, una volta normalizzati i valori dei markers tumorali., quando possibile, il trattamento chirurgico.Nel mediastino si localizzano altri tumori maligni di origine embrionaria. Il seminoma, che è la forma più frequente, può essere scoperto accidentalmente o può dare segno di sè a

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causa dei sintomi dovuti alla infiltrazione del pericardio, dei vasi mediastinici, della pleura e del polmone.Il coriocarcinoma, il tumore del sacco vitellino ed il carcinoma embrionario sono neoplasie rare, estremamente aggressive e quasi mai resecabili in maniera radicale. Le prime due forme neoplastiche colpiscono prevalentemente il sesso maschile e possono dare segni di femminilizzazione con ginecomastia ed atrofia testicolare.Anche questi tumori spesso producono AFP e gonadotropina corionica umana (HCG). Pertanto le misurazioni programmate di questi markers biologici, oltre a costituire un valido elemento diagnostico, consentono di monitorizzare i risultati del trattamento.Importante ai fini terapeutici e prognostici è la distinzione istologica tra tumori di natura seminomatosa e non. I seminomi sono radiosensibili e la combinazione di exeresi chirurgica con la terapia radiante dà  una percentuale di sopravvivenza a 5 anni di circa il 75%, mentre i tumori non seminomatosi sono radioresistenti e soltanto il 2-3% dei pazienti sopravvive più di 16 mesi dopo il trattamento chirurgico.

7 – LINFOADENOPATIE

Le adenopatie di natura flogistica (sarcoidosi, tbc, istoplasmosi, toxoplasmosi) o neoplastica, primitiva o metastatica, si localizzano nel mediastino anteriore e medio costituendo un reperto radiologico accidentale o talora evidenziandosi con I segni e I sintomi della sindrome mediastinica. Dal punto di vista radiologico le linfoadenopatie mediastiniche possono manifestarsi sotto forma di grossolane opacità  che sconfinano in uno o in entrambi gli emitoraci fino ad occuparli quasi interamente o come opacità policicliche bilaterali che talora assumono un aspetto ad "ali di farfalla" od infine come opacità policiclica monolaterale. Il compito del chirurgo in queste affezioni è soprattutto quello  di ottenere una diagnosi istologica definitiva. Per raggiungere questo obiettivo le tecniche citologiche per agoaspirazione molto spesso non sono adeguate, e pertanto e necessario un generoso campione di tessuto, che si può ottenere o attraverso una mediastinoscopia o mediante una mediastinotomia anteriore sec. Chamberlain.

8 – TUMORI TIMICI

Le malattie del timo sono di frequente riscontro e comprendono principalmente l'iperplasia, la cisti e le neoplasie.

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A - iperplasia Timica

Sulla base di criteri morfologici si distinguono l'iperplasia vera e l'iperplasia linfofollicolare a cui può essere associata la miastenia gravis. L’iperplasia vera, rara, è caratterizzata dall'aumento di volume e di peso del timo con un quadro microscopico normale in relazione all'età  del paziente. L'eziologia di questa lesione, che colpisce la prima infanzia, non è chiara, sebbene alcuni Autori ritengono che essa sia secondaria ad una disfunzione dell'attività  endocrina delle cellule epiteliali.Clinicamente può essere del tutto asintomatica o causare una sindrome da occupazione mediastinica più o meno grave. In taluni casi possono essere associate epatosplenomegalia e linfoadenopatie diffuse.Nell’iperplasia linfofollicolare la ghiandola timica può avere dimensioni pressocchè normali e nella sua midollare è costante il riscontro di numerosi follicoli linfatici con centri germinali iperplastici.Questo tipo di alterazione timica è stata riscontrata in numerose malattie autoimmuni, quali la miastenia gravis, il lupus eritematoso sistemico, la sclerodermia, l'artrite reumatoide, la periarterite nodosa, la tiroidite di Hashimoto, la malattia di Behcet e la sindrome di Sjogren.Tra queste la forma più frequente è la miastenia gravis (M.G.)‚ sindrome ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da una progressiva e rapida riduzione  dell'attività  muscolare striata conseguente ad un'alterazione della trasmissione dello stimolo motorio a livello della giunzione neuromuscolare.La M.G. ha una prevalenza di 0,5-5/100.000 abitanti ed un'incidenza di 0,4/100.000; il range di età  interessato va dalla nascita alla VII decade. Il sesso femminile è più colpito di quello maschile (3-4:1). In circa 2/3 dei pazienti è possibile riscontrare una patologia timica, che è più spesso rappresentata dall'iperplasia linfofollicolare (60-90 %dei casi) e più raramente dal timoma (8,5 al 15 %).La maggior parte degli Autori inquadra la patogenesi della M.G. in una reazione complessa di tipo autoimmune e già nel 1960 Simpson metteva in evidenza con l'immunofluorescenza alti titoli di autoanticorpi antimuscolo in pazienti miastenici.La sintomatologia inizia subdolamente e quasi sempre i primi gruppi muscolari interessati dalla facile esauribilità sono quelli innervati dai nervi cranici. Tipicamente colpita‚ la muscolatura oculare estrinseca con ptosi palpebrale (Fig.25a), strabismo, diplopia. Successivamente il processo morboso si estende anche agli altri nervi cranici, compromettendo progressivamente la masticazione, la deglutizione, la mimica e

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la fonazione. La facile esauribilità  muscolare, qualora si instauri a carico dei muscoli della respirazione, comporta la comparsa di crisi di dispnea che possono sfociare nel quadro dell'insufficienza respiratoria acuta.Con il progredire della malattia, la stancabilità  si fa sempre più marcata ed i periodi di riposo necessari per la ripresa funzionale dei muscoli diventano sempre più lunghi. Esistono diverse classificazioni cliniche della M.G. Quella proposta da Osserman distingue una M.G. pediatrica, che può essere neonatale o giovanile, e una M.G. dell'età adulta, che viene classificata in 5 gruppi in base all'eventuale grado di coinvolgimento dei centri bulbari e dei muscoli respiratori:

gruppo I : oculare gruppo II : generalizzata con esordio graduale

a) senza deficit respiratorio e/o bulbare,b) con deficit respiratorio e/o bulbare;

* gruppo III: forma fulminante;* gruppo IV : con deterioramento tardivo;* gruppo V : significativa atrofia muscolare. Le metodiche diagnostiche sono essenzialmente rappresentate dall'elettromiografia e da tests farmacologici.L’elettromiografia viene eseguita con una stimolazione elettrica percutanea, ripetitiva e massimale, dei nervi ulnare e mediano a livello del polso. Le risposte sono considerate significative per M.G. se l'ampiezza dei potenziali evocati mostra un graduale decremento. I tests farmacologici possono essere di tipo scatenante (d-tubocurarina) od inibente (edrofonio). Il test inibente è più sicuro, sebbene la somministrazione dell'edrofonio può associarsi ad effetti collaterali muscarinici e nicotinici.La terapia della M.G. nelle fasi iniziali è di tipo medico e si basa sull’impiego di anticolinesterasici e corticosteroidi.Oggi si è ormai concordi nel porre precocemente indicazione alla timectomia (eseguibile anche in video-toracoscopia) in tutti i pazienti con M.G. generalizzata; tale indirizzo, invece, non esiste ancora per la forma oculare pura. La timectomia migliora la sintomatologia nel 75% dei pazienti affetti da M.G. e nel 30% dei casi si assiste ad una completa regressione dei sintomi. I pazienti con M.G. associata a timoma ottengono un miglioramento solo nel 25%dei casi.

B – Cisti timica

Il riscontro di una cisti timica costituisce un evento poco frequente, ma sufficientemente noto. Essa può svilupparsi lungo la linea di migrazione dell'abbozzo timico, dall'angolo della mandibola al manubrio sternale (cisti cervicale) e nel

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mediastino anteriore fino al diaframma (cisti mediastinica). E’più frequente nell'età  adulta, particolarmente tra i 20 ed i 40 anni, con eguale distribuzione nei due sessi.La cisti timica mediastinica ha forma ovalare o rotondeggiante e raggiunge solitamente dimensioni maggiori delle cisti cervicali, soprattutto quando hanno sede nel mediastino inferiore. Il contenuto liquido può essere limpido, torbido per la presenza di cristalli di colesterolo od emorragico. La diagnosi istologica può essere formulata esclusivamente sulla base del riscontro nella parete cistica di elementi epiteliali timici e corpuscoli di Hassal. La cisti è in genere asintomatica e viene evidenziate nel corso di esami radiologici di routine. Solo di rado può dare una sindrome da occupazione mediastinica. Lo studio radiografico, incluse la TC e la RMN, consente di porre la diagnosi generica di neoformazione cistica e di definire la sua localizzazione nel mediastino anteriore.La terapia dell'affezione è chirurgica e consiste nell'asportazione del timo.

C – Neoplasie timiche

I tumori del timo costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie attualmente suddivise, sulla base delle caratteristiche anatomo-cliniche, in tumori epiteliali, neuroendocrini, a cellule germinali, linfomi, timolipoma e timoliposarcoma. I tumori timici più frequenti sono le neoplasie epiteliali, che comprendono il timoma e il carcinoma. Il timoma è una neoplasia a lenta evoluzione, senza note citologiche di malignità  ma con capacità  di invasività locale. Può essere associato a varie sindromi quali la miastenia gravis, l'ipogammaglobulinemia, l'anemia emolitica autoimmune, il lupus eitematoso sistemico, la malattia di Cushing.Raro nei bambini, si osserva di solito nell'età  adulta e costituisce il 6-10% dei tumori primitivi del mediastino e circa 1/3 di quelli della loggia anteriore.Macroscopicamente il tumore nella maggior parte dei casi, specie nelle prime fasi di sviluppo, si presenta come una neoplasia capsulata, ben circoscritta e lobulata. La superficie di taglio è tipicamente compatta, di colorito marrone-rosaceo, sepimentata da spessi tralci fibrosi che si dipartono dalla capsula.Il timoma è composto da due tipi di cellule, epiteliali e linfocitarie e si è soliti classificare tale neoplasia in timoma a predominanza linfocitaria, misto o a predominanza epiteliale a seconda che i linfociti rappresentino rispettivamente i 2/3 o più, da 2/3 a 1/3 e meno di 1/3 della popolazione cellulare

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intratumorale. Indipendentemente dal tipo di cellularità predominante, soltanto la cellula epiteliale ha caratteristiche neoplastiche e in genere senza atipie citonucleari. Una varietà di timoma a predominanza epiteliale è caratterizzata dall'aspetto fusato delle cellule ("spindle-cell thymoma"), che determina quadri istologici simil-mesenchimali.

Nonostante l'assenza di caratteristiche citologiche di malignità , il timoma può presentare la tendenza all'invasività locale (timoma invasivo) e più raramente alla metastatizzazione a distanza (timoma metastatizzante). E' estremamente importante ai fini prognostici una precisa valutazione del grado di invasività  della neoplasia che si basa sull'integrazione dei dati radiologici con quelli macroscopici ed istologici. Partendo da questi criteri Masaoka ha proposto una stadiazione che distingue 4 stadi:- stadio I: assenza di invasione della capsula;- stadio II: invasione microscopica della capsula od invasione macroscopica del tessuto adiposo mediastinico o della pleura mediastinica;- stadio III: invasione dei tessuti circostanti (polmone, pericardio, grossi vasi mediastinici); - stadio IVa: disseminazione pleurica o pericardica, - stadio IVb: metastasi a distanza. Le metastasi extratoraciche (linfonodi cervicali, scheletro, encefalo, fegato, ecc.) hanno un'incidenza estremamente bassa, che è inferiore al 5% dei casi, mentre più frequente è il riscontro di localizzazioni secondarie nelle superfici pleuriche, viscerale o parietale. E' controverso se queste localizzazioni pleuriche siano da interpretare come vere e proprie metastasi o come impianti cellulari mediati dal liquido pleurico.La sintomatologia del timoma è quanto mai varia ed è strettamente correlata alle dimensioni della neoplasia e al grado di dislocazione e di invasione delle strutture contigue. I tumori di diametro inferiore ai 5 cm. sono in genere asintomatici e rappresentano un reperto radiografico occasionale. Con l'aumentare delle dimensioni della neoplasia si possono manifestare i segni e i sintomi della sindrome mediastinica. Il quadro clinico può anche esordire con i sintomi della miastenia gravis.La diagnosi di timoma, oltre che sull'esame clinico, basata sullo studio radiologico. Le moderne metodiche diagnostiche (TC e RMN) hanno reso ormai inutili il pneumomediastino e le indagini angiocontrastografiche. Tuttavia lo studio radiologico convenzionale (fluoroscopia e radiografia standard del torace) svolge ancora un ruolo importante come indagine di primo livello, potendo evidenziare una anormalità del profilo mediastinico in oltre il 90% dei casi. La radiografia

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convenzionale ha invece scarsa utilità  nel valutare l'eventuale coinvolgimento delle strutture mediastiniche e quindi il carattere invasivo della neoplasia.In presenza di anormalità del profilo radiologico del mediastino o di miastenia gravis è fondamentale la valutazione con T.C. o R.N.M., che consentono di evidenziare tumori anche di piccole dimensioni e di valutare l'invasione delle strutture adiacenti. La neoplasia in genere si presenta come un'immagine ovalare e ben circoscritta a carico del mediastino anteriore, con caratteristiche densitometriche simili a quelle del timo e può contenere calcificazioni e/o aree cistiche. L'eventuale invasività, che deve essere sempre sospettata in presenza di notevoli dimensioni della neoformazione, è confermata dalla scomparsa delle normali linee di demarcazione interviscerali, meglio studiabili con sezioni a strato sottile. L’invasività dei timoma può essere ulteriormente investigata mediante la cavografia e la ecocardiografia, che consentono di valutare l'eventuale coinvolgimento della V.C.S. o delle cavità  cardiache.La diagnosi di natura è in ogni caso affidata alla valutazione istologica, che si ottiene o mediante una biopsia incisionale attraverso una mediastinotomia anteriore o mediante prelievi agocitobioptici. Con questa seconda metodica la lettura dei preparati può porre notevoli problemi di diagnosi differenziale con le altre neoplasie mediastiniche e timiche ed in primo luogo con i linfomi. Per dirimere il dubbio diagnostico sono di grande ausilio le metodiche immunocitochimiche (perossidasi-antiperossidasi, ABC, antigene epiteliale di membrana). Il trattamento chirurgico del timoma è sempre indicato sia nelle forme capsulate che nelle forme invasive. La timectomia deve essere totale e può essere eseguita attraverso una cervicotomia con sternotomia parziale o attraverso una sternotomia mediana longitudinale totale. La toilette della loggia timica deve essere accurata per evitare di lasciare isolotti di parenchima ghiandolare che potrebbero essere causa di insuccesso della terapia chirurgica.Nelle forme invasive un'exeresi allargata alle strutture coinvolte (pericardio, pleura, polmone, vena cava, vena brachiocefalica) può ottemperare ai criteri di radicalità oncologica, mentre nelle forme non asportabili trova comunque indicazione una demolizione chirurgica citoriduttiva. La radioterapia è sempre indicata in queste forme invasive e da alcuni Autori è utilizzata anche preoperatoriamente. La sopravvivenza globale di tutti i pazienti sottoposti la timectomia è pari all'80% a 5 anni e al 75% a 10 anni. I timomi in stadio I mostrano i migliori dati di sopravvivenza a distanza (a 5 e 10 anni rispettivamente dell'89% e dell'86%); gli stadi II e III presentano sopravvivenze sovrapponibili a 5 e

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10 anni ( 71% e 62% rispettivamente), mentre nello stadio IVa e IVb le sopravvivenze sono rispettivamente del 59% e del 39%. I timomi misti hanno la prognosi peggiore.Il carcinoma timico definisce i tumori derivati dall'epitelio timico con caratteristiche citologiche di franca malignità. E' una neoplasia molto rara, a rapida evoluzione, con spiccata tendenza all'invasività  locale e alla diffusione metastatica a distanza.Macroscopicamente non è evidente una capsula ben definita, la superficie di taglio si presenta grigiastra e gommosa e sono frequenti aree di emorragia. Istologicamente si distinguono diverse varietà : il carcinoma squamoso linfoepitelioma-simile, il cheratinizzante, il basalioide, il carcinoma timico a cellule chiare, il carcinoma sarcomatoide ed il carcinoma mucoepidermoide.Frequenti sono i segni e i sintomi della sindrome mediastinica, mentre rara è l'associazione con la M.G.I tumori timici neuroendocrini sono rappresentati dal carcinoide e dal microcitoma. Entrambi questi istotipi secondo alcuni Autori potrebbero originare dal sistema APUD. Il carcinoide è costituito da "nidi" di cellule neoplastiche separati da uno stroma fibrovascolare; i bordi cellulari sono indistinti, il citoplasma lievemente eosinofilo e granulare, i nuclei rotondi con cromatina regolarmente distribuita e nucleoli non evidenti. Il microcitoma differisce dal carcinoide per lo scarso citoplasma, per le mitosi molto più numerose e per l'assenza dei nidi cellulari.Questi tumori si manifestano clinicamente con i sintomi e i segni da dislocazione delle strutture mediastiniche, che sono espressione dell'alta invasività. Più raramente la comparsa di metastasi nei linfonodi cervicali, nello scheletro, nella cute e nel fegato può costituire la prima manifestazione clinica di un carcinoide timico, che in circa il il 30% dei casi si associa con la sindrome di Cushing.I tumori neuroendocrini non alla chemioterapia e alla radioterapia, per cui il loro trattamento, quando possibile, è chirurgico.Il timolipoma o lipoma del timo è un tumore raro, benigno, che deriva dal connettivo fibroadiposo e si osserva più frequentemente nei bambini e nei soggetti giovani. Ha l’aspetto della massa adiposa e si accresce tra gli elementi del mediastino senza infiltrarli. La variante maligna, il timoliposarcoma, è eccezionale.

9 – TUMORI NEUROGENI

I tumori neurogeni (T.N.) colpiscono con egual frequenza i due sessi e costituiscono il 30-40% dei tumori mediastinici dell'età  pediatrica ed il 20% di quelli dell'adulto. Il loro comportamento

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biologico differisce con l’età: nell’infanzia il 50 % di questi tumori è maligno mentre nell’adulto la percentuale di malignità non supera il 20 % dei casi.I T.N. si localizzano prevalentemente nel mediastino posteriore, specie lungo le docce costovertebrali e solo raramente nel mediastino anteriore o medio.I T.N. prendono origine dagli elementi della cresta neurale e possono essere suddivisi in tre gruppi: - tumori che derivano dalle cellule di rivestimento dei nervi periferici: neurofibromi, neurinomi (o neurilemmomi) e neurosarcomi; - tumori che derivano dalle cellule del sistema nervoso autonomo: ganglioneuromi, ganglioneuroblastomi ed neuroblastomi; - tumori che derivano dalle cellule del sistema paragangliare: paragangliomi e feocromocitomi. Il neurofibroma è un tumore benigno che può presentarsi sia come lesione unica che nell'ambito della neurofibromatosi di von Recklinghausen (malattia ereditaria con trasmissione autosomica dominante). Istologicamente il tumore‚ caratterizzato da fasci di cellule allungate, con nuclei densi, disperse nel contesto di fasci di collagene e materiale mucoide. Il neurorinima o neurilemmoma o schwannoma che origina dalle cellule di Schwann, è un tumore capsulato, di forma per lo più ovoidale che alla superficie di taglio presenta un colorito roseo-biancastro. Le caratteristiche istologiche sono rappresentate da una crescita plessiforme, con cellule di aspetto fusato disposte in fasci intrecciati, spesso distribuiti a costituire un caratteristico quadro a palizzata che in alcune zone assume un andamento più vorticoso: le mitosi risultano rare e fasci fibrillari separano le cellule (tipo A di Antoni). In una piccola percentuale di neurinomi il quadro istologico è meno ordinato e le cellule hanno una distribuzione più lassa e dispersa (tipo B di Antoni).La tipizzazione istologica del neurinoma può risultare complicato in presenza di atipie nucleari, specie nei tumori di vecchia data ed in questi casi può essere utile l'impiego di colorazioni immunocitochimiche con anticorpi anti-proteina S 100, che colorano tipicamente le cellule di Schwann.Il neurosarcoma, variante maligna del neurinoma e del neurofibroma è caratterizzato dall'elevata incidenza nelle prime due decadi di vita e dalla prognosi infausta.Il ganglioneuroma è un tumore del tutto differenziato, benigno, più frequente nei bambini soprattutto dopo i 5 anni. Il ganglioneuroblastoma, variante parzialmente differenziata di ganglioneuroma, è un tumore per lo più benigno, ma talora può esordire con la presenza di metastasi e avere il comportamento maligno del neuroblastoma.

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Il neuroblastoma è un tumore altamente maligno che si osserva più comunemente nei bambini al di sotto dei due anni. La sua localizzazione mediastinica è molto rara. Il paraganglioma o chemodectoma mediastinico può essere localizzato nelle docce costo-vertebrali, originandosi dai paragangli prossimi alla catena del simpatico, oppure si sviluppa nel mediastino anteriore e medio dai paragangli dell’arco aortico. Ha dimensioni variabili, assume di solito una forma grossolanamente ovoidale ed è dotato di una sottile capsula fibrosa. Al taglio il suo colorito è giallo-grigiastro e la superficie può essere uniforme od irregolare per la presenza di aree emorragiche e di tralci fibrosi che sepimentano il parenchima. L’aspetto microscopico è caratterizzato dal riscontro di nidi di cellule epitelioidi, rotondeggianti, uniformi, a nucleo ipercromatico, con citoplasma abbondante, eosinofilo e finemente granulare immerse in uno stroma vascolare Il feocromocitoma‚ un tumore cromaffine funzionante del sistema nervoso simpatico, deve la sua denominazione all’ affinità per i sali di cromo, con i quali il tessuto tumorale reagisce e si colora. Esso produce grandi quantità di catecolamine, soprattutto norepinefrina, e si sviluppa nel 90 % dei casi nelle ghiandole surrenali e solo nel 2% dei casi nel mediastino.In circa la metà dei casi il paraganglioma ed il feocromocitoma sono maligni e si manifestano clinicamente con i segni dell’invasione locale e delle metastasi a distanza (polmoni, scheletro, fegato, reni, linfonodi e cervello. Dal punto di vista clinico, in più del 90% dei casi i T.N. si accrescono in maniera asintomatica e vengono scoperti occasionalmente nel corso di un'indagine radiografica del torace condotta per altre cause. Solo nel 10 % dei casi l’esordio clinico è dovuto alla comparsa di una sintomatologia neurologica periferica da compressione o all’insorgenza di una sindrome mediastinica più o meno conclamata in rapporto al comportamento biologico del tumore. Il neuroblastoma può essere associato con una peculiare sindrome neurologica, l’encefalopatia mioclonica o sindrome degli occhi danzanti, che si manifesta con atassia cerebellare e polimioclonia. Questa sindrome, che può essere il primo sintomo di un neuroblastoma occulto, talora regredisce dopo l'asportazione del tumore.Elevati livelli di VIP sono talora riscontrabili nei pazienti affetti da neurofibroma mentre in quelli in cui è presente un ganglioneuroma si associano alti tassi di VMA responsabili della comparsa di ipertensione arteriosa persistente od episodica, iperidrosi, palpitazioni, diarrea intensa, distensione addominale, squilibrio idroelettrolitico grave.

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In circa il 10% dei casi I T.N. si estendono alla doccia paravertebrale, attraverso il forame di coniugazione, all'interno del canale vertebrale, assumendo in sezione un caratteristico aspetto “ a clessidra” (“dumbell tumor”). Tale tipo di crescita provoca la comparsa di sintomi da compressione midollare, rappresentati da parestesie, astenia e paraplegia. Le metodiche diagnostiche più impiegate nello studio dei tumori neurogeni sono le indagini radiologiche convenzionali, la TC e la RMN.La radiografia standard del torace consente di definire la sede paravertebrale della massa mediastinica e di visualizzare i forami vertebrali.La T.C. evidenzia nelle forme benigne un'opacità rotondeggiante,  a contorni netti, generalmente rotondeggiante e densità  omogenea, che deforma la pleura mediastinica paraspinale e non si modifica nella sua morfologia con i cambiamenti di postura. L’aspetto polilobato, la scomparsa dei contorni netti che diventano sfumati e le immagini di lesione ossea a focolaio sono invece suggestivi di un T.N. maligno.Nelle forme a clessidra la T.C. è un eccellente mezzo per accertare le anormalità dei forami intervertebrali. I rapporti tra T.N. e midollo spinale sono invece meglio valutabili con la R.M.N., che dimostra perfettamente sul piano spaziale l’invaione dello speco e l’eventuale coinvolgimento meningeo.L'esecuzione di agoaspirati con ago sottile sotto amplificatore di brillanza o sotto guida TC consente di pervenire, in una percentuale molto alta dei tumori neurogeni, ad una diagnosi citologica circostanziata.Nei feocromocitomi la diagnostica si avvale anche del dosaggio delle catecolamine urinarie e dell’impiego della scintigrafia con I131 metaiodobenzilguanidina (MIBG). Il trattamento ideale dei T.N. mediastinici prevede la loro asportazione chirurgica in genere attraverso una toracotomia postero-laterale classica. La semplice enucleazione, eseguibile anche per via toracoscopica videoassistita, o la enucleoresezione ampia nelle forme maligne, con verifica istologica al congelatore dei margini di resezione, rappresentano gli interventi chirurgici più comunemente eseguiti. Nei tumori a clessidra la componente intraspinale della neoplasia deve essere trattata contemporaneamente alla porzione intratoracica al fine di evitare la possibile insorgenza di gravi complicanze. L'exeresi di questi tumori viene in genere eseguita mediante una duplice incisione, una per la laminectomia vertebrale ed una per la toracotomia, utilizzando una equipe pluridisciplinare costituita da neurochirurghi e chirurghi toracici.

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Il neuroblastoma, infine, è sensibile alla combinazione di exeresi chirurgica, radio e chemioterapia

10 – TUMORI MESENCHIMALI

I tumori mesenchimali sono di raro riscontro nel mediastino ed includono i lipomi, i fibromi e le rispettive varietà maligne, i tumori di origine muscolare e vascolare.I lipomi del mediastino si localizzano nel 90% dei casi nel mediastino anteriore e in special modo nell'angolo cardiofrenico destro. Colpiscono con maggiore frequenza le età comprese tra i 30 ed i 50 anni e la loro incidenza è uguale nei due sessi.Possono essere distinti in diffusi e circoscritti. Nelle forme diffuse il tessuto adiposo non è capsulato e permea lo spazio fra gli organi mediastinici, predilegendo di solito la parte superiore del mediastino. I lipomi circoscritti o veri sono invece rivestiti da una sottile capsula connettivale traslucida, in genere ben scollabile dalle strutture circostanti. Possono essere totalmente intratoracici (lipoma mediastinico puro), oppure estrinsecarsi anche al di fuori della cavità toracica (lipoma misto mediastino-parietale, mediastino-cervicale e mediastino-addominale). Il lipoma mediastinico non dà  segni della sua presenza, in quanto tende a modellarsi sugli organi mediastinici più che a comprimerli, per cui la sua scoperta costituisce spesso un reperto accidentale.L'aspetto radiologico di questi tumori è in genere caratteristico in quanto si estrinsecano prevalentemente da un solo lato del mediastino ed hanno una radiopacità  inferiore agli altri tumori mediastinici.Alla T.C. la minore densità del grasso rispetto a quella delle masse parenchimatose e dell'acqua permette di distinguere agevolmente le neoformazioni adipose dalle cisti a contenuto liquido e dalle masse a struttura solida. Poichè la TC non è in grado di specificare la natura maligna o benigna della massa lipomatosa, è sempre consigliabile eseguire l'asportazione chirurgica. I tumori vascolari e linfatici, anch'essi molto rari, si localizzano nel mediastino anteriore e non prediligono alcun gruppo di età. Comprendono l'emangioma, l'emangioendotelioma, l'emangiopericitoma e il linfangioma.L’emangiopericitoma rappresenta l'espressione neoplastica più tipica del pericita, entità  cellulare identificata da Zimmermann nel 1923, che circonda le cellule endoteliali dei capillari e delle venule e che si trova nel compartimento della membrane basale.

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In circa il 60% dei casi l'emangiopericitoma mediastinico è del tutto asintomatico mentre nella restante parte dei casi si manifesta con i sintomi della sindrome mediastinica.L'esame radiografico, la TCe la RMN consentono di precisarne la localizzazione e l’estensione nonchè le sue relazioni con le strutture anatomiche adiacenti.La terapia consiste in un'ampia asportazione della lesione per via toracotomica, eventualmente integrata dal trattamento radiante. Il linfangioma colpisce più frequentemente l’età  pediatrica e si configura come una tumefazione cistica multiloculare, mal delimitabile, a parete sottile ed a contenuto liquido. La forma ad estrinsecazione cervico-mediastinica è la più frequente (10% dei casi) e può manifestarsi con sintomi respiratori acuti da compressione delle vie aeree a livello dello stretto superiore del torace. Patognomonico è l'aumento di volume della porzione cervicale del tumore in coincidenza con l'incremento della pressione mediastinica (pianto), che fa risalire verso l'alto il contenuto liquido.La forma puramente mediastinica, a differenza di quella cervicale, decorre per lo più in maniera del tutto asintomatica e la povertà  del quadro clinico è da mettere in relazione alla scarsa consistenza della neoformazione ed all'accrescimento preferenziale verso il parenchima polmonare. Nelle localizzazioni mediastiniche posteriori sono stati descritti segni neurologici da compressione midollare. Più rara è la segnalazione di emangiomi, emolinfangiomi di forme maligne quali l’emangioendotelioma

SINDROME MEDIASTINICA

Quando un processo patologico giunge a comprimere o ad

infiltrare gli organi mediastinici, l'esame obiettivo potrà 

evidenziare alcuni dei segni della sindrome mediastinica.

La fase più importante dell'esame fisico di un paziente in cui si

sospetta l'esistenza di un processo occupante spazio nel

mediastino è la ricerca dei circoli collaterali o degli altri segni

fisici che si evidenziano in caso di ostacolato deflusso ematico

nel sistema della V.C.S. .

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In caso di blocco al di sopra dello sbocco dell'azygos nella

V.C.S., il sangue refluo dalla testa e dagli arti superiori può

raggiungere la V.C.S. al di sotto dello stop attraverso un circolo

collaterale profondo(e pertanto non visibile all’ispezione del

paziente) costituito dalle vene del plesso vertebrale e delle

vene intercostali che sono tributarie rispettivamente

dell’azygos e dell’emiazygos, che mantengono libero il loro

inosculo nella V.C.S.

Quando l'ostacolo è situato a livello della confluenza azygos-

cavale, si viene a creare un circolo collaterale del tipo cava

superiore-cava inferiore che è in parte profondo ed in parte

superficiale. Il circolo collaterale profondo è rappresentato

dalle vene intercostali, dalle vene azygos ed emiazygos, dalle

mammarie interne, dalle epigastriche e dalle vene iliache

attraverso le quali il sangue giunge nella V.C.I. Il circolo

collaterale superficiale è bene evidente nel torace e

nell’addome ed è costituito dalle vene sottocutanee

addominali alte e toraciche attraverso le quali il sangue

raggiunge con flusso invertito le vene intercostali ed

epigastriche

Quando lo stop cavale è posto al di sotto dello sbocco

dell'azygos nella V.C.S., è evidente un discreto circolo

collaterale sottocutaneo distribuito prevalentemente nelle

regioni laterali del torace. Anche in questa evenienza I circoli

collaterali sono di tipo superficiale e profondo e seguono le

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stesse vie che si vengono a creare in caso di ostruzione situata

a livello dello sbocco dell’azygos. In entrambe le evenienze

compare edema della parte superiore del tronco e degli arti

superiori, per il quale il paziente assume un aspetto

caratteristico (collo proconsolare di Stokes, edema a

mantellina).

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