Upload
croci-cordalonga
View
328
Download
5
Tags:
Embed Size (px)
Citation preview
1
UNIVERSITA’ DI CATANIAFacoltà di Medicina e Chirurgia
MANUALE DI CHIRURGIA TORACICA PER GLI STUDENTI DI MEDICINA E CHIRURGIA
DIAGNOSTICA STRUMENTALE INVASIVA DEL TORACE
Broncoscopy *Mediastinoscopy - mediastinotomy *Scalene lymphnode biopsy *Thoracentesis *Thoracoscopy *Lung biopsy *AngiographyEndoscopy *Endoscopic ultrasonography *Manometry *24 hours pHmetry *
PNEUMOTORACE
EMPIEMA
MESOTELIOMA
TNM
CANCRO DEL POLMONENSCLCSCLC
MALATTIE DEL MEDIASTINO
MediastiniteEnfisema mediastinicoGozzo mediastinicoAdenoma paratiroideoCisti malformativeTumori germinali
2
LinfoadenopatieTumori timiciTumori neurogeniTumori mesenchimali
3
DIAGNOSTICA STRUMENTALE INVASIVA DEL TORACE
1 – Indagini angiografiche
Le indagini angiografiche che possono trovare ancora oggi impiego sono essenzialmente rappresentate dalla cavografia, la cui principale indicazione è la sindrome da ostacolato deflusso nella V.C.S.I quadri radiologici di più frequente riscontro in presenza di una sindrome della V.C.S. sono rappresentati da: - uno stop brusco del mezzo di contrasto a vari livelli della V.C.S. o quadri di marcato e irregolare restringimento del lume. In questi casi è dimostrabile un ricco circolo collaterale, la cui disposizione dipende dal livello del blocco nel sistema della V.C.S. Questo reperto depone in genere per un'affezione maligna, primitiva o secondaria del mediastino. - la divaricazione o lo spostamento del sistema cavale superiore, con pareti vasali regolari ; in tali casi le caratteristiche del circolo collaterale sono in dipendenza, oltre che dalla sede del blocco, anche dalla natura e dalle modalità di sviluppo del processo occupante spazio. Tale reperto può essere suggestivo di una tumefazione di natura benigna (gozzo cervico-mediastinico).La cavografia può rendersi necessaria anche per stabilire il criterio di operabilità di un tumore localizzato in corrispondenza del margine destro del mediastino superiore. Il rilievo di un pinzettamento delle pareti venose, senza ostacolo al deflusso del mezzo di contrasto e senza evidenza di circoli collaterali, è in questi casi indicativo di una infiltrazione neoplastica della parete vasale, che controindica l'intervento chirurgico. 2- Indagini Endoscopiche
La tracheo broncoscopia trova indicazione quando gli esami radiologici non riescono a chiarire i rapporti tra un T.M. del mediastino medio e l'albero tracheobronchiale. L'indagine endoscopica permette di documentare riduzioni del calibro tracheobronchiale da compressioni ab estrinseco o vegetazioni endoluminali da processi neoplastici infiltranti.
La presenza di una eventuale fistolizzazione può essere meglio documentata dalla tracheobroncografia.La laringoscopia deve essere, invece, di utilizzazione sistematica nello studio della patologia mediastinica al fine di controllare la motilità delle corde vocali, frequentemente compromesse nella patologia tumorale.L’esofagoscopia è utile e necessario complemento dell'esofagografia nei casi in cui si siano dimostrati stenosi od
4
infiltrazioni dell'esofago, anche per la possibilità di integrare l'esame con prese bioptiche sulla lesione. 3 - Punture bioptiche L'agobiopsia delle neoformazioni mediastiniche e toraciche ha oggi un'ampia diffusione. Essa viene eseguita sotto intensificatore di brillanza o sotto guida TC, impiegando aghi di calibro adeguato da utilizzare con metodiche di aspirazione o mediante tru-cut. Il materiale prelevato viene sottoposto ad un accurato studio cito-istologico; l'associazione di metodiche immunocitoistochimiche consente di migliorare significativamente il rendimento diagnostico.
4 - Chirurgia diagnostica la diagnosi etiologica delle neoformazioni solide, che costituiscono la gran parte delle tumefazioni endotoraciche, sfugge ai metodi non chirurgici. Ne nasce la conseguenza che, nella gran parte della patologia tumorale mediastinica, la diagnosi di natura si identifica con quella istopatologica.Di conseguenza si può affermare che:- ogni massa mediastinica solida deve essere sottoposta all'esplorazione chirurgica, quando non sopravvengano controindicazioni all'intervento;- non deve essere intrapreso alcun trattamento complementare chemio e/o radioterapico, in assenza di una definizione istopatologica e di una stadiazione del processo neoplastico.Pertanto, ancora oggi, vengono correntemente impiegate le varie metodiche di chirurgia diagnostica, come la mediastinoscopia, la mediastinotomia anteriore extrapleurica, la toracoscopia e talora la toracotomia esplorativa.
MEDIATINOSCOPIA
La mediastinoscopia è una metodica strumentale cruenta da effettuare in anestesia generale e con intubazione tracheale. Permette la esplorazione diretta, palpatoria e visiva, del mediastino anteriore-superiore nello spazio compreso tra i grossi vasi e la trachea, consentendo di evidenziarne i processi patologici e di porre, con il prelievo bioptico mirato, una diagnosi istologica definitiva.
Attraverso una incisione trasversale di circa 4 cm a livello della fossa giugulare si raggiunge la trachea. Incisi gli involucri peritracheali con manovra digitale si scolla per via smussa, verso il basso, la guaina propria della trachea in modo da creare un tunnel pretracheale nel quale verrà introdotto il
5
mediastinoscopio. L’endoscopio viene fatto progredire fino alla biforcazione tracheale.Spostando delicatamente verso destra e verso sinistra l'estremità dello strumento è possibile esplorare visivamente, riconoscere e biopsare i linfonodi paratracheali alti e bassi ed i sottocarenali anteriori, nonchè‚ le eventuali masse patologiche esistenti.Le indicazioni alla mediastinoscopia sono di ordine diagnostico e stadiativo. Le indicazioni diagnostiche hanno lo scopo di definire istologicamente le linfoadenopatie mediastiniche primitive e secondarie, mentre quelle di ordine stadiativo si prefiggono fondamentalmente di documentare l'eventuale diffusione al mediastino di un carcinoma del polmone già diagnosticato.
La mediastinoscopia ha controindicazioni di ordine generale che non differiscono sostanzialmente da quelle comunement accettate per tutti gli interventi che richiedono l'anestesia generale. Le controindicazioni relative sono rappresentate da una pregressa mediastinoscopia, dall'ipertensione cavale superiore, dalla fibrosi mediastinica, dagli aneurismi dei grossi vasi.Le complicanze dell’indagine non sono né frequenti nè importanti. Vanno tuttavia ricordate le emorragie, solo eccezionalmente gravi, il pneumotorace, le lesioni bronchiali e ricorrenziali, le infezioni mediastiniche.La metodica è sempre stata di non facile apprendimento per le difficoltà legate all’insegnamento della tecnica chirurgia dal momento che solo un operatore può avere accesso al canale operativo del mediastinoscopio; recentemente l’applicazione delle tecniche video alla mediastinoscopia (video-mediastinoscopia) ha consentito di dimostrare la procedure chirurgica eliminando i rischi legati all’apprendimento (learning curve).
MEDIASTINOTOMIA ANTERIORE EXTRAPLEURICA
La mediastinotomia anteriore extrapleurica, proposta da Chamberlain nel 1966, consente di raggiungere e sottoporre a biopsia i processi patologici del mediastino anteriore-superiore, delle regioni ilari e del parenchima polmonare adiacente che non abbiano avuto un riscontro diagnostico mediante altre tecniche.
In anestesia generale e con il paziente in posizione supina si raggiunge lo spazio mediastinico attraverso una incisione nel II-III spazio intercostale di destra o di sinistra. Si penetra nel
6
piano della riflessione pleuro-mediastinica e, spostando lateralmente la pleura ed il polmone sottostanti, si reggiunge lo spazio extrapleurico retrosternale.Per questa via è possibile eseguire delle biopsie sulla masse neoplastiche del mediastino anteriore, sui linfonodi ilari e paratracheali di destra e della cava superiore. A sinistra è possibile effettuare prese bioptiche sui linfonodi ilari e paratracheali e sui gruppi linfonodali pre e sottoaortico.Recentemente alcuni AA. Hanno proposto di sostituire la tradizionale mediastinotomia anteriore sec. Chamberlain con la videotoracoscopia.Questa metodica consente infatti una visione più particolareggiata ed ingrandita delle strutture mediastiniche ipsilaterali e contestualmente una valutazione dell’intero spazio pleurico. In particolare, nell’eventualità di una patologia maligna del mediastino con concomitante versamento pleurico recidivante, la videotoracoscopia oltre a consentire uno più accurato prelievo bioptico permette di esplorare tutta la cavità pleurica ed eseguire eventualmente una pleurodesi chimica con talco.
TORACOSCOPIA –VIDEOTORACOSCOPIA-VATS
La toracoscopia è una metodica strumentale che ha apportato un notevole contributo diagnostico alla patologia mediastinica ad eziologia infiammatoria, neoplastica, cistico-malformativa e traumatica. Essa consente di esplorare la pleura viscerale e parietale, diaframmatica e mediastinica, di valutare lo stato dei tessuti e degli organi immediatamente sottostanti, ma soprattutto di eseguire prelievi bioptici mirati sulle eventuali lesioni evidenziate.Dal 1990, sull’onda innovativa della chirurgia mini-invasiva la vecchia toracoscopia ha lasciato il posto alla nuova video-toracoscopia diagnostica ed operativa che consente manovre chirurgiche eseguibili con sempre maggiore sicurezza sotto il diretto controllo della vista.La video-chirurgia toracica deve essere distinta in video-toracoscopia (VT) e chirurgia toracica video-assistita (VATS), che utilizza eventualmente una mini-toracotomia di servizio.I vantaggi della video-chirurgia toracica sono indubbiamente molteplici e variano dalla riduzione della degenza postoperatoria, dalla possibilità di operare anche pazienti con compromissione della funzionalità polmonare (CVT e FEV 1) e dai migliori risultati estetici.
La VT può essere condotta in anestesia locale o più frequentemente in narcosi con intubazione selettiva. Attraverso una incisione di 2-3 cm nel IV-VI spazio intercostale lungo l’ascellare media o anteriore, con il paziente in decubito
7
laterale sul lato sano, si introduce il toracoscopio, che altro non è se non un tubo metallico contenente un sistema ottico collegato ad una sorgente luminosa.
I problemi di ordine chirurgico legati all’utilizzazione della video-toracoscopia in patologia del mediastino riguardano la posizione del paziente e la localizzazione dei punti di introduzione dei trocars. La posizione piu’ utilizzata è il decubito laterale ma è anche possibile, secondo le esigenze, operare con il paziente in decubito supino.I punti di introduzione dei trocars, nella VATS, vengono scelti sulla base della sede anatomica della lesione. L’ottica viene generalmente introdotta attraverso un trocar posizionato sulla linea ascellare media al VI spazio intercostale. La disposizione deve essere a triangolo con la telecamera che rappresenta l’apice. La strumentazione endoscopica non differisce sostanzialmente da quella laparoscopica; tuttavia in video-toracoscopia è preferibile utilizzare stumenti (pinze, forbici etc..) di lunghezza inferiore. Il numero di trocars necessari per l’introduzione degli strumenti può variare da 2 a 5, con un diametro di almeno 10 mm. L’ideale è possedere due monitors posizionati ad entrambi i lati del paziente cosicché sia il chirurgo sia il primo assistente possono avere accesso diretto al monitor. Il secondo assistente (camera-man) e il ferrista prendono posto al lato dei primi operatori. A seconda delle necessità queste posizioni possono essere variate. La video toracoscopia è attualmente utilizzata con successo nella diagnostica e nel trattamento della patologia mediastinica ed in particolare delle cisti broncogene e pleuro-pericardiche, dei neurinomi ad estrinsecazione mediastinica, della patologia del timo, dei versamenti pericardici ed infine delle linfoadenopatie mediastiniche primitive e secondarie come staging del carcinoma del polmone. In considerazione della maggiore diffusione della video-toracoscopia, oggi la toracotomia diagnostica viene eseguita solo raramente in quelle neoformazioni che non siano aggredibili con la mediastinoscopia, con la mediastinotomia anteriore extrapleurica o con la toracoscopia.
8
BRONCOSCOPIA (1895- Kirstein - Germany)
INDICAZIONI
Diagnostica Terapeutica
severe cough atelectasisabnormal chest XR retained secretionshemoptysis lung abscesswheeze lavageunresolved pneumonia foreign bodiesabnormal sputum cytology stricturediffuse lung diseasemetastatic malignancypediatric airway obstruction
RIGIDA
Type of brochial neoplasmsmobility of surrounding structures
9
extention of endobronchial involvementsource of bleedingremoval of thick secretionsremoval of foreign body
FLESSIBILE (1967)
ConfortExamination of the tracheobronchial tree to the subsegmental levelbrushingwashingtransbronchial lung biopsyventilation during the broncoscopy
METODOAnesthesia : general or topical (preferred method)Through the nose or the mouth the broncoscopy can be passed in the trachea after inspection of the vocal cord
COMPLICANZELaryngeal lesionbleeding
BIOPSIA LINFONODO SOPRACLAVEARE
because lymphatic drainage involvement of the node of the neck by means of paratracheal nodes
METODO 4-6 cm. incision 2 cm. above and parallel with clavicle over lateral edge of steenocleido muscle. Care to avoid on the left the thoracic duct and the internal jugular vein.Indication: in pts with suspected sarcoid 80% accuracyin pts with cancer < 10% accuracy
THORACOSCOPIA (1913 - Jacobs)
INDICAZIONI
10
pneumothorax (enfisema, bullae)esuudative pleuritis (gold standard- 100% accuracy) (tbc, mesothelioma)tumours of chest wall, (mediastinum - 88% accuracy, pericardium, diaphragm)tumours of the lung (cysts, benign tumours) - 91% accuracyonly the posterior inferior pulmonary hilar lesion is visualized with difficulty.TODAY: video thoracoscopy to perform bullectomy, diverticulectomy, lung biopsy and probably more other.
METODOAnesthesia : generalthe mediastinoscope or the rigid broncoscope is passed through a small incision in the pleural cavity.
TORACENTESI
Local anesthesiaby means on a long needle the fluid can be aspirated.Protein > 3 gr/100 ml = exudate < 3 " " = transudatePredominance - of polymorphonuclear cells suggest the presence of
pyogenic infections - of lymphocytis can be neoplastic
BIOPSIA POLMONARE
Trough the broncoscopycomplication: pneumothorax (5-20%, but very few patients requires tube)
Needle biopsy (local anesthesia with fluoroscopic control)
complication: hemoptysis (6%), pneumothorax (10-30%, but very few patients requires tube), hemothorax
11
(rare) Results: some AA accuracy 96%, other 45%.
Open lung
12
ESOFAGO
MANOMETRIA 1883 Germany 1912 Cannon 1955 Code - Mayo Clinic (USA)
To evaluate disorders of esophageal motility: - pressure and motility of the Lower Esophageal Sphincter (LES)- motility of the esophageal body- pressure and motility of the Upper Esophageal Sphincter (UES)
METODOSingle catheter consisting of 3 or 4 or 5 or 6 or ... fluid-filled, perfused tubes bonded together with lateral opening placed 5 cm. apart. The catheter is passed into a empty stomach like a nasogastric tube and withdrawn slowly into the esophagus (1 cm increment).Indications to surgery *: LES pressure < 6 mmHg
Intrabdominal LES < 1 cm Total length LES < 1 cm
* De Meester 1985
ACALASIA ( Greek a=NO, Chaleis=OPENING)LES doesn't relax when the sophgael wawes arriveBODY with ipotonic and simultaneus contactions
SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO (DES)LES can be normal or achalasic, ipotonic or ipertonicBODY ipertonic and simultaneus contractions
13
PHMETRIA 24 ORE 1958 Tuttle and Grossman
1974 Johnson and De Meester
METODO
a ph alectrode is passed transnasally and positioned 5 cm above LES. A portable solid state monitor sampled and stored esophageal ph at 7 seconds interval.A reflux episode is defined as a drop in esophageal ph to less than 4 and is finished when the ph return to 4 or more.
- % ph < 4- Number reflux episodes- Number episodes lasting > 5 min.- Duration longest episode
ECO-ENDOSCOPIA- Ca . esophagus sensibility T=98%; N=80%; M=65-70%.
14
PNEUMOTORACE
Per pneumotorace (PNX) si intende la presenza di aria nel cavo
pleurico, che diviene così una cavità reale da spazio virtuale quale è
in condizioni normali, con conseguente collasso del polmone. La
causa più comune di accumulo di aria è la rottura della pleura
viscerale con lacerazione parenchimale o rottura bronchiale e
secondario air leak dal polmone; l’aria può anche derivare da rottura
dell’esofago o da una soluzione di continuo della parete toracica.
Raramente si possono accumulare gas per la presenza di
microrganismi, come avviene in alcune forme di empiema
(piopneumotorace).
Il pneumotorace può essere classificato in rapporto all’eziologia e
alle caratteristiche cliniche con cui si presenta in:
PNX spontaneo (75%), che comprende le forme primitive (65%)
che avvengono in soggetti con nessuna patologia polmonare nota
(in tal caso può essere idiopatico, se nessuna eziologia è
individuabile, o sintomatico, se rivelatore di una patologia fino ad
allora ignota) e le forme secondarie (35%) che si verificano in
soggetti con patologie polmonari già note - clinicamente o con
metodiche diagnostiche - quali BPCO (enfisema con distrofia
bollosa o enfisema diffuso, asma, fibrosi cistica), malattie
interstiziali del polmone (fibrosi polmonare, sarcoidosi,
pneumoconiosi), infezioni (batteri, ascesso, TBC e Pnumocystis
carinii soprattutto in pazienti con AIDS, idatidosi, funghi), neoplasie
o metastasi (in particolare osteosarcoma, sarcoma sinoviale,
linfoma), malattie sistemiche coinvolgenti secondariamente il
polmone (sindrome di Marfan e di Ehlers-Danlos, istiocitosi X,
linfoangiomiomatosi, collagenopatie); tra le forme secondarie va
anche annoverato il PNX catameniale (PNX con comparsa o recidiva
entro i primi tre giorni del ciclo mestruale).
L’esplorazione chirurgica nei casi di PNX spontanei ha permesso di
individuare quattro differenti stadi anatomo-patologici:
15
Stadio 1, polmone normale senza evidenza di blebs o bolle (30-
40%).
Stadio 2, polmone senza blebs o bolle ma con aderenze
pleuriche che fanno sospettare precedenti episodi di PNX (12-
15%).
Stadio 3, polmone con piccole bolle o blebs (28-41%).
Stadio 4, polmone con bolle multiple superiori a 2 cms (17-29%).
Ricordiamo che per “blebs” si intendono piccole (< 2 cms) raccolte
subpleuriche di aria originate da rottura alveolare mentre per
“bolle” si definiscono raccolte d’aria più o meno larghe all’interno
del parenchima polmonare dovute a rottura di gruppi di alveoli
confluenti e che aggettano sulla superficie pleurica viscerale.
PNX traumatico , da trauma penetrante o contusivo con rottura
bronchiale, esofagea o lacerazione del parenchima polmonare; da
barotrauma, come messo in evidenza da studi fatti su personale di
volo con precedenti episodi di PNX in cui le bolle apicali
aumentavano di volume con il decrescere della pressione
atmosferica.
PNX iatrogeno , che può essere dovuto a procedure diagnostico-
terapeutiche mal eseguite (toracentesi, biopsie polmonari trans-
bronchiali, rimozione drenaggio toracico, agobiopsia trans-toracica,
cateterismo venoso centrale, inserimento di pacemaker, ecc...) o
ad interventi chirurgici sul torace (VATS, minitoracotomie,
toracotomie maggiori); si ricorda che un tempo si attuava anche un
pnx terapeutico per facilitare la guarigione di lesioni escavative
tubercolari.
FISIOPATOLOGIA
Normalmente il cavo pleurico è uno spazio virtuale (10-27 m) in
cui è contenuto un film liquido che consente lo scorrimento della
pleura viscerale sulla parietale, durante gli atti respiratori,
mantenendole accollate tra loro malgrado le forze contrapposte
16
esercitate da un lato dalla parete toracica, che si espande verso
l’esterno, e dall’altro dalla retrazione elastica del polmone, che tende
a collassare verso l’interno; questo gioco di forze crea una pressione
endopleurica negativa rispetto alla pressione atmosferica esterna ed
alla pressione alveolare; tale pressione negativa segue anche un
gradiente verticale, con massima negatività all’apice e minima alla
base del polmone (tale gradiente è tanto più accentuato quanto
maggiore è l’altezza del soggetto e ciò giustifica l’alta frequenza di
PNX spontaneo in soggetti alti longilinei).
Quando si crea una via d’ingresso al cavo pleurico, l’aria
dall’esterno o dagli alveoli penetra all’interno di esso fino
all’annullamento della differenza pressoria, le due pleure perdono
contatto ed il polmone collassa verso l’ilo, tutto ciò causando squilibri
della meccanica ventilatoria tanto più gravi quanto maggiore è
l’entità del PNX (quando il PNX supera il 25% compare ipossiemia da
ipoventilazione).
Quando la breccia che ha consentito il passaggio di aria si richiude
per effetto della retrazione elastica del polmone, il PNX è detto
“chiuso” ed il collasso polmonare ovviamente, a seconda della
quantità di aria entrata in cavo pleurico, potrà essere parziale o
totale.
Il PNX, invece, si dice “aperto” quando sia presente una soluzione
di continuo della parete toracica attraverso la quale l’aria, libera di
entrare ed uscire dal cavo pleurico, crea un movimento pendolare del
mediastino; l’aria, infatti, entra nel cavo pleurico durante
l’inspirazione, causando uno sbandamento controlaterale del
mediastino che impedisce al polmone sano di espandersi
regolarmente, e ne esce durante l’espirazione, determinando uno
spostamento del mediastino omolateralmente che ostacola il ritorno
elastico del polmone sano controlaterale in cui resta intrappolata una
quota d’aria, tutto ciò esitando in un’insufficienza respiratoria.
Esiste infine un terzo e più grave tipo di PNX detto “ipertensivo”
in cui si crea una soluzione di continuo a “lembo” che, agendo come
17
una pseudovalvola, lascia entrare aria in cavo pleurico durante
l’inspirazione ma non ne consente l’uscita in espirazione e determina,
in tal modo, un’ipertensione endopleurica ingravescente con
progressivo sbandamento mediastinico controlaterale; lo
sbandamento comprime sempre di più il polmone controlaterale sano
con gravissime conseguenze respiratorie ed emodinamiche che
necessitano di un intervento terapeutico d’urgenza, pena l’arresto
cardiorespiratorio con morte del paziente. E’ stato infatti dimostrato
come lo stroke cardiocircolatorio non sia dovuto in tali pazienti
all’ostacolo del ritorno venoso cavale da sbandamento mediastinico,
bensì sia secondario all’insufficienza respiratoria che, determinando
un’insufficiente ossigenazione tissutale, richiede un aumento della
gittata cardiaca, non potenziabile a fronte della compressione cavale.
CARATTERISTICHE CLINICHE
La causa più comune di pneumotorace primitivo spontaneo è la
rottura di blebs o piccole bolle subpleuriche; per quanto l’esercizio
fisico, gli sforzi, la defecazione, la tosse siano fattori favorenti, la
rottura può avvenire anche a riposo. Sono principalmente soggetti di
sesso maschile, giovani ed alti con vizio del fumo; è stata descritta
una predisposizione familiare.
La presentazione clinica è ovviamente correlata all’entità del
PNX e conseguentemente al grado di collasso. Sebbene in alcuni casi
il PNX possa essere asintomatico e restare misconosciuto, i sintomi
più frequentemente riferiti sono dolore acuto (irradiato alla spalla o
all’arto superiore omolaterale), dispnea ed occasionalmente tosse
non produttiva da irritazione pleurica accompagnati da segni quali
tachicardia, sudorazione algida e possibile ipossiemia con cianosi,
fino ad un vero e proprio stato di shock.
All’esame obiettivo, che nei casi di PNX minimo sarà muto,
possono essere presenti all’ispezione un’ immobilità dell’emitorace
interessato, alla palpazione una riduzione o assenza del FVT, alla
18
percussione un iperfonesi plessica o un franco timpanismo ed
all’ascoltazione una riduzione fino all’abolizione del MV (silenzio
respiratorio).
La diagnosi di certezza si ottiene tramite un esame Rx-grafico del
torace in ortostatismo ed in due proiezioni (postero-anteriore e
laterale); piccole falde di pneumotorace misconosciute all’esame
standard possono essere svelate con Rx in espirazione o con l’esame
T.C., diagnostico nel 100% dei casi e comunque da eseguire per
svelare l’alterazione alla base del PNX.
L’esame Rx svelerà un’iperespansione dell’emitorace interessato
con slargamento degli spazi intercostali ed appiattimento del
diaframma, un’iperdiafania omolaterale da presenza di aria ed
assenza della trama bronco-vasale, il profilo del polmone collassato
riconoscibile più o meno vicino all’ilo ed uno shift controlaterale del
mediastino.
Le complicanze possibili sono in ordine di frequenza:
Recidiva. Circa il 25% dei soggetti va incontro a recidiva,
generalmente entro 2 anni ed omolateralmente e dopo un secondo
episodio il tasso di recidive sale al 50%.
Persistenza di air leak oltre le 48h dal trattamento terapeutico. Di
solito ciò avviene quando non si è avuta una completa riespansione
del polmone.
PNX iperteso. Ovviamente il paziente presenterà i segni obiettivi di
un imponente PNX con un quadro sintomatologico sovrapponibile al
PNX semplice ma molto più accentuato per il grave distress
respiratorio; è un’emergenza medico-chirurgica in cui si impone la
decompressione pleurica immediata (ago-cannule, drenaggio
toracico o qualsiasi altro strumento a disposizione).
Pneumomediastino. Tale complicanza si verifica per lacerazione
della pleura mediastinica o per dissezione dell’aria che si infiltra
attraverso i fasci bronco-vasali del parenchima polmonare; può
essere accompagnato da enfisema sottocutaneo al collo ed al viso
se il quantitativo di aria infiltratasi è di una certa entità.
19
Emotorace. Rara complicanza che risulta da rottura di piccoli vasi
localizzati in zone di adesione tra pleura parietale e viscerale.
PNX bilaterale. Generalmente non contemporaneo, se simultaneo
diviene una situazione clinica assai grave, simile al PNX iperteso,
con paziente asfittico che necessita di un trattamento in
emergenza di decompressione pleurica.
TRATTAMENTO
Le modalità di gestione di un PNX variano in relazione all’entità, al
numero di episodi (la probabilità che un PNX recidivi aumenta in
maniera esponenziale dopo il secondo episodio) ed alla malattia
sottostante.
L’approccio di tipo conservativo prevede la sorveglianza
ospedaliera per 24-48h nel caso di piccoli PNX (<20%) in pazienti
asintomatici che godano di buona salute, con follow-up clinico-
radiografico settimanale fino al completo rissorbimento. La presenza
di sintomi, di un PNX ingravescente, di un PNX iperteso, di un PNX in
un paziente con polmone controlaterale malato o la mancata
riespansione sono tutte indicazioni per l’applicazione di un tubo di
drenaggio con valvola ad acqua in boccione tipo Bulau.
A tale trattamento si può associare una terapia non chirurgica che
preservi dal rischio di recidive e consiste nella “pleurodesi chimica”,
cioè nella fusione delle due pleure tramite l’applicazione in cavo
pleurico di sostanze irritanti, tra le quali la più usata è il talco.
La terapia chirurgica prevede delle specifiche indicazioni a
seconda che si tratti di un PNX al primo o al secondo episodio; si può
porre l’indicazione chirurgica al primo episodio quando un PNX è
complicato per la persistenza di air leak per più di 3 giorni, per un
consensuale emotorace, per la mancata riespansione, per un PNX
iperteso o bilaterale o in pazienti a rischio per l’attività lavorativa
(sommozzatori, piloti, tuffatori). Si è infine propensi a trattare
chirurgicamente al primo episodio i pazienti con una singola grossa
bolla identificata all’esame TC.
20
La ricorrenza di un PNX è la più comune indicazione alla chirurgia,
sia che tale ricorrenza sia ipsilaterale che controlaterale.
La tecnica chirurgica consiste generalmente in una resezione
dell’apice polmonare (sede frequente di blebs o bolle) o in una
semplice resezione delle blebs/bolle; a queste sia associa anche una
procedura di obliterazione del cavo pleurico che può essere ottenuta
o tramite pleurectomia parietale o con metodiche di abrasione
pleurica o con insufflazione di talco. L’introduzione della chirurgia
mininvasiva di tipo video-assistito (VATS) consente oggi di trattare la
maggior parte dei pazienti limitando molto l’approccio classico con
toracotomia.
21
EMPIEMA PLEURICO
L’empiema può essere definito come un processo
suppurativo a carico delle sierose pleuriche dovuto
all’insediamento di germi che provocano un’infiltrazione di
granulociti neutrofili con formazione e raccolta nello spazio
pleurico di essudato purulento.
Fisiologicamente lo spazio pleurico è una cavità virtuale
resistente alle infezioni; pertanto, un processo infettivo,
per svilupparsi, necessita o di una carica di germi che, per
numero e virulenza, superi la predetta resistenza o di
condizioni facilitanti, quali ad esempio una raccolta di fluidi
di qualsivoglia origine nel cavo pleurico.
La presenza di un processo suppurativo comporta delle
alterazioni anatomo-patologiche a carico delle sierose
pleuriche che risultano essere reversibili nelle forme acute
ed irreversibili nelle forme croniche; è facile dedurre che le
forme acute, quando guariscano, non lasciano reliquati di
alcun tipo (ad eccezione di possibili modeste aderenze),
quando invece persistano oltre le 3-4 settimane, senza
tendenza alla guarigione, evolvono in forme croniche. La
cronicizzazione di un empiema è dovuta o ad un ritardo
nella diagnosi o ad un trattamento inadeguato (particolare
virulenza o resistenza del germe, uso di antibiotico
inadeguato, presenza di un’infezione specifica - ad es.
tubercolare o da miceti -, drenaggio improprio in fase
acuta, durante la quale deve essere precoce, declive e di
diametro sufficiente) o a continue reinfezioni (presenza di
22
fistola bronco-pleurica o di ascesso polmonare) o, infine, a
presenza di un corpo estraneo.
La American Thoracic Society divide l’evoluzione
temporale del processo empiematico in 3 stadi:
Stadio 1: fase essudativa. Caratterizzata da
essudazione delle membrane pleuriche e formazione di
un sottile strato di essudato (empiema libero); si ha
deposizione di fibrina sulle superfici pleuriche ma, per
quanto vi sia anche una precoce proliferazione angio-
fibroblastica, lo strato di essudato non è abbastanza
spesso da impedire la riespansione del polmone se e
quando svuotato il cavo pleurico.
Stadio 2: fase fibrino-purulenta. I depositi di fibrina
sulle superfici pleuriche ed in particolare sulla pleura
parietale divengono cospicui con formazione di tralci e
sacche (empiema saccato), l’essudato diviene torbido o
francamente purulento ma la pleura rimane
relativamente integra ed il polmone, sebbene meno
mobile, può essere ancora riespanso.
Stadio 3: fase di organizzazione. Dopo 3-4 settimane
la persistente infiammazione determina un’infiltrazione
massiva di fibroblasti con neoformazione di tessuto di
granulazione e deposizione di fibre collagene, a costituire
veri e propri sepimenti connettivali, su entrambi i foglietti
pleurici che si ispessiscono e, da sottili e lucenti quali
normalmente sono, divengono scabri e di colorito opaco
fino ad assumere la conformazione di lamine connettivali
- cosiddette cotenne pleuriche - dello spessore di 1-2
23
cm (si assiste perfino ad una neofomazione arteriolare,
ad opera degli angioblasti, in seno alla reazione fibrosa);
col tempo, tali cotenne, per fenomeni di sclero-jalinosi, si
irrigidiscono sempre più e tendono a coartarsi con
retrazione della parete toracica, quadro
caratteristicamente chiamato “fibrotorace”. Il polmone,
che in tale stadio è praticamente privo delle sue funzioni,
rimane “incarcerato” all’interno di tale spessa corteccia
fibrosa e non può essere riespanso se non previamente
decorticato.
Oltre al fibrotorace, più frequente complicanza dei
processi empiematici, altra complicanza possibile è il
drenaggio spontaneo che si può verificare in due
differenti modalità:
1.Empiema necessitatis, condizione in cui l’essudato
purulento si fa strada attraverso i tessuti molli della
parete toracica fino alla cute con fuoriuscita all’esterno.
2.Fistola bronco-pleurica, condizione in cui l’essudato
purulento erode la parete di un bronco e si riversa
nell’albero trache-bronchiale con fuoriscita all’esterno
(vomica).
Complicanze rare, infine, sono l’osteomielite costale o
spinale, la pericardite, l’ascesso mediastinico e il drenaggio
transdiaframmatico in cavo peritoneale.
EZIOPATOGENESI
24
Essenzialmente l’eziologia dei processi empiematici è
riconducibile a 3 gruppi principali:
1.Contaminazione pleurica da parte di focolai
suppurativi a sede in organi contigui (60%). Tra
questi ovviamente il polmone è il più frequentemente in
causa con processi polmonitici (empiema
metapneumonico, 50% dei casi come anche dimostrato
da studi recenti che hanno messo in evidenza come in
molti di quegli empiemi cosiddetti primari vi fosse alla
base un processo pneumonico subclinico), ascessi
polmonari e brochiectasie; altre fonti possibili sono il
mediastino (mediastinite da rottura esofagea post-
traumatica o strumentale iatrogena; molto raramente
linfoadeniti mediastiniche) e piuttosto infrequentemente
la loggia cervicale posteriore profonda o infezioni della
parete toracica o della colonna vertebrale. Infine si può
avere una propagazione trans-diaframmatica di un
ascesso subfrenico o di un’infezione peritoneale; la
propagazione in tale caso è dovuta al drenaggio linfatico
o, occasionalmente, a fenomeni di erosione
diaframmatica.
2.Inoculazione diretta nel cavo pleurico (35-39%). In
tal caso l’infezione avviene per inoculo diretto dei germi,
iatrogeno (interventi chirurgici sul torace, VATS,
toracentesi, tubi di drenaggio, ecc...), post-traumatico
(lesioni traumatiche aperte) o per presenza di fistola
bronco-pleurica o rottura di bolle subpleuriche.
25
3.Infezione pleurica per via ematogena (1%). In questi
rari casi il focus infettivo si trova distante dal cavo
pleurico dove giunge e si localizza per via ematogena
(fenomeno setticopiemico); esempio classico
l’osteomielite.
I microorganismi più frequentemente responsabili
dell’empiema sono lo Staphylococcus aureus, gli
Streptococchi (pneumoniae e pyogenes) e i Gram-negativi
(Pseudomonas, Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli,
Acinetobacter aerogenes, Proteus, Salmonella); di riscontro
comune sono anche gli anaerobi (Bacteroides e
Peptostreptococco) o la presenza di una flora batterica
mista. Raramente in causa sono i miceti ed il bacillo di
Koch.
QUADRO CLINICO
Nelle forme acute la sintomatologia è caratterizzata da
uno stato tossinfettivo con rialzo termico accompagnato da
tachicardia, dolore toracico, dispnea, tosse, prostrazione
con astenia intensa; per la congestione polmonare presente
può comparire emoftoe. All’esame obiettivo del torace si
rileva:
Ispezione: riduzione delle escursioni respiratorie
nell’emitorace interessato che si presenta ipomobile o
immobile.
Palpazione: riduzione o abolizione del fremito vocale
tattile.
26
Percussione: ipofonesi plessica (con possibile linea di
Damoiseau-Ellis)
Ascoltazione: murmure vescicolare lontano o abolito,
possibile la presenza di soffio bronchiale e sfregamenti
pleurici.
Nelle forme croniche il paziente continua ad avere
febbre con stato tossico generale, tosse e dispnea;
compaiono anemia, pallore, anoressia e calo ponderale,
ipoproteinemia, VES elevata. Dopo qualche settimana,
subentrato il fibrotorace, si assiste ad una deformazione del
torace con scoliosi a concavità verso il lato malato ed
abbassamento della spalla; possono infine comparire le
altre complicanze tipiche a cui si aggiungono ippocratismo
digitale ed amiloidosi epato-renale.
DIAGNOSI
La diagnosi si basa sui seguenti dati:
Segni clinici e di laboratorio (leucocitosi).
Esame Radiografico del torace che mette in evidenza
un’ipodiafania dell’emitorace interessato (con possibile
margine laterale che si innalza fino all’ascella);
possibile la presenza di livelli idroaerei per produzione
di gas da parte dei batteri. In laterale può evidenziarsi,
negli empiemi a sede postero-laterale, il segno tipico di
un’opacità posteriore a forma di D-invertita (pregnant
lady sign).
Negli empiemi saccati l’ipodiafania appare come
un’opacità simil-parenchimale.
27
Toracentesi diagnostica con estrazione di liquido
purulento su cui andrà eseguito un esame microbiologico
(con colorazione di Gram e ricerca del bacillo di Koch) e
colturale con antibiogramma.
TRATTAMENTO
Innanzitutto va instaurato un trattamento medico con
antibioticoterapia, per controllare l’eventuale infezione
primitiva alla base e terapia di supporto nutrizionale e delle
condizioni generali (una fisioterapia respiratoria è
particolarmente importante per promuovere la riespansione
del polmone, evitare l’accumulo di secrezioni e prevenire la
contrazione della parete toracica).
Essenziale per un trattamento adeguato e per prevenire
la cronicizzazione è un drenaggio adeguato del cavo
pleurico che permetta al polmone di riespandersi
(obliterando il cavo pleurico) e che oggi viene attuato con
chirurgia miniinvasiva (VATS); grazie alla VATS (Video
Assisted Thoracoscopy) si riesce ad evacuare
completamente il contenuto dell’empiema, operare
un’adeguata toilette, con rottura delle eventuali loculazioni
formatesi ed asportazione dello strato fibrinico dalla
superficie del polmone, ed inserire visivamente il tubo di
drenaggio nella posizione più appropriata.
Tale procedura può essere, inoltre, messa in atto in
anestesia locale potenziata (con sedazione più o meno
marcata), possibilità molto importante in pazienti ad alto
rischio. E’ importante che il drenaggio sia chiuso (con
28
valvola ad acqua tipo Bulau), di diametro sufficiente e
declive.
Nelle forme cronicizzate in cui, nonostante il drenaggio
del cavo empiematico, non si ottenga la riespansione del
polmone per l’avvenuta formazione di cotenne pleuriche
occorre attuare l’intervento chirurgico di decorticazione
pleurica, ossia asportazione della pleura viscerale, quando
scollabile dal polmone, rivestita dalla capsula fibrosa
dell’empiema.
29
MESOTELIOMA
Il mesotelioma è una neoplasia aggressiva che interessa
ed infiltra diffusamente la pleura, sia parietale che
viscerale; nasce infatti dalle cellule mesoteliali totipotenti o
dalle cellule sottosierose che possono dare origine a
neoformazioni a carattere epiteliale o sarcomatoso o che
spesso presentano entrambe le componenti (forma
bifasica), con una conseguente varietà di quadri istologici
che pone una certa difficoltà nel distinguere tali neoplasie
da forme sarcomatose o metastatiche da adenocarcinomi a
partenza da tubo gastroenterico, pancreas, mammella,
ovaio, polmone. L’anatomo-patologo ricorre pertanto a
tecniche di colorazione (il mesotelioma con componente
epiteliale produce una sostanza mucopolisaccaridica acida
che si colora positivamente con Alcian blue o ferro
colloidale) o di immunoistochimica e quando tali tecniche
conducano a risultati incerti, la microscopia elettronica
dirime sempre i dubbi diagnostici; caratteristica peculiare
del mesotelioma è infatti la presenza di cellule con
numerosi, lunghi e sinuosi microvilli che differenziano
nettamente tale neoplasia dagli adenocarcinomi che hanno
invece cellule con microvilli corti e dritti ricoperti da un
glicocalice sfibrato.
L’insorgenza del mesotelioma è stata messa in relazione
all’esposizione all’asbesto ed in particolare alle fibre della
variante crocidolite che, per le caratteristiche di essere
ristrette e diritte, riescono agevolmente a penetrare nel
parenchima polmonare (per aspirazione attraverso le vie
30
aeree) e quindi nei vasi linfatici; sebbene non sia
documentabile una correlazione lineare tra intensità, durata
dell’esposizione ed insorgenza della neoplasia, è dato certo
che il 2-10% dei lavoratori esposti manifestano un
mesotelioma con una latenza di 20-50 anni e che soggetti a
rischio sono anche considerati i conviventi con lavoratori di
asbesto e gli abitanti nelle vicinanze delle fabbriche del
minerale. E’ importante sottolineare come, invece, il fumo
di sigaretta non costituisca fattore di rischio è ciò contrasta
con quanto accade nel cancro polmonare sul quale fumo e
asbesto giocano un ruolo sinergico.
Il picco di incidenza cade nella sesta decade di vita, con
una netta predominanza nel sesso maschile, tale peculiarità
confermando l’importanza dell’esposizione all’asbesto nelle
miniere o nelle fabbriche in cui il personale è pressoché
totalmente maschile.
CARATTERISTICHE CLINICHELa presentazione clinica del mesotelioma è insidiosa e
del tutto aspecifica e la mancanza di sintomi peculiari
determina un ritardo di 3-6 mesi tra l’insorgenza di questi e
la diagnosi. Il quadro clinico è infatti rappresentato da
versamento pleurico recidivante dopo toracentesi, dispnea
e dolore toracico; meno comunemente, a seconda dei casi,
si può riscontrare tosse, debolezza, anoressia, febbre e
raramente emottisi, raucedine, disfagia, sindrome di
Horner. Tardiva è la perdita di peso a cui si possono
accompagnare dita a bacchetta di tamburo ed
31
osteoartopatia. L’esame fisico del paziente, generalmente
muto, può mettere in evidenza nell’emitorace interessato
ottusità percussoria e riduzione del murmure vescicolare; di
rado è possibile il riscontro di linfonodi sopraclavicolari.
La presenza di anemia emolitica autoimmune,
ipercalcemia, ipoglicemia, sindrome da inappropriata
secrezione di ADH e ipercoagulabilità è attestata in
letteratura.
La diagnosi si basa su un esame Rx del torace che negli
stadi iniziali rivelerà il versamento pleurico mentre solo
tardivamente potrà svelare la presenza di masse pleuriche.
L’esame TC è invece di notevole aiuto nella diagnosi
mettendo bene in evidenza le masse pleuriche, intervallate
da sacche di versamento; il quadro TC può essere anche
rappresentato da un’irregolare e spessa cotenna pleurica
che incarcera il polmone. La linfoadenopatia mediastinica,
l’estensione del tumore nel mediastino, il coinvolgimento
del pericardio con annesso versamento pericardico e
l’invasione della parete toracica o del diaframma sono
segni di neoplasia avanzata. La TC è in pratica il più
accurato metodo non invasivo per stadiare il paziente, per
valutare la risposta alla terapia e per rilevare eventuali
recidive post-chirurgiche.
L’esame citologico del liquido pleurico viene
generalmente eseguito in fase iniziale, essendo
generalmente il versamento il primo segno a comparire;
tuttavia la positività per cellule neoplastiche si riscontra
solo nel 30-50% dei pazienti.
32
Ovviamente la VATS rappresenta oggi l’esame
mininvasivo cardine per confermare la diagnosi
consentendo un’accurata esplorazione del cavo pleurico,
l’esecuzione di biopsie mirate su cui eseguire l’esame
istologico e le metodiche di colorazione e/o
immunoistochimica; a conferma istologica ottenuta, se il
paziente è operabile si può agevolmente convertire la VATS
in toracotomia maggiore.
In diagnosi differenziale con il mesotelioma entrano le
placche pleuriche, ispessimenti appiattiti frequentemente
polifocali a carico della pleura parietale, a forma di isole del
diametro da pochi mm fino a 3-4 cm, di colore lattescente,
costitute da ammassi di tessuto sclero-jalinoso; sono
sempre caratteristiche di esposizione all’asbesto o ad altre
fibre artificiali.
STADIAZIONELe conoscenze sulla storia naturale del mesotelioma e sui
fattori prognostici che ne influenzano l’evoluzione sono
molto scarse per la bassa incidenza della neoplasia, motivo
per cui non esiste un sistema stadiativo universalmente
accettato.
La stadiazione più conosciuta maggiormente è quella
proposta da Butchart et al. 1976 e riportata a seguito che,
tuttavia, non risulta molto dettagliata:
Stadio I Tumore confinato alla pleura e alla superficie dei tessuti da essa
33
rivestiti (polmone, pericardio, diaframma)
Stadio II Tumore che infiltra la parete toracica o le strutture mediastiniche
(esofago, trachea, cuore, pleura controlaterale) o metastasi
linfonodali intratoraciche
Stadio III Tumore che infiltra il diaframma, il peritoneo e gli organi
sottodiaframmatici; invasione della pleura controlaterale; metastasi
a linfonodi extratoracici
Stadio IV Metastasi ematogene a distanza
Sono state proposte per maggior precisione numerose
altre stadiazioni di cui oggi la più accreditata è quella della
Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC) che si basa
sul sistema TNM.
I
Malattia confinata nella capsula della pleura parietale: pleura
ipsilaterale, polmone, pericardio e diaframma.
T1 N0 MO
T2 N0 M0
II All of stage I with positive intrathoracic (N1 or N2) lymph
nodes.
T1 N1 M0
T2 N1 M0
III Local extension of disease into the following: chest wall or
mediastinum: heart or through the diaphragm, peritoneum; with
or without extrathoracic or contralateral (N3) lymph node
involvement.
T3 NO MO
T3 N1 M0
T1 N2 M0
T2 N2 M0
T3 N2 M0
IV Distant metastatic disease
34
Any T N3 MO
T4 any N M0
Any T and N M1
T (Primary Tumour and Extent)
TX Primary tumour cannot be assessed
T0 No evidence of primary tumour
T1 Primary tumour limited to ipsilateral parietal or visceral pleura
T2 Tumour invades any of the following: ipsilateral lung,
endothoracic fascia, diaphragm, pericardium
T3 Tumour invades any of the following: ipsilateral chest wall
muscle, ribs, mediastinal organs or tissues
T4 Tumour extends to any of the following: contralateral pleura or
lung by direct extension, peritoneum or intra-abdominal organs
by direct extension, cervical tissues
N (Lymph Nodes)
NX Regional lymph nodes cannot be assessed
NO No regional lymph nodes metastases
N1 Metastases in ipsilateral bronchopulmonary of hilar lymph
nodes
N2 Metastases in ipsilateral mediastinal lymph nodes
N3 Metastases in contralateral mediastinal internal mammary,
supraclavicular, or scalene lymph nodes
M (Metastases)
MX Presence of distant metastases cannot be assessed
M0 No known distant metastases
M1 Distant metastasis present
TERAPIA
35
Come in tutte le neoplasie le opzioni terapeutiche nel
trattamento del mesotelioma maligno sono rappresentate
dalla chirurgia, dalla radioterapia, dalla chemioterapia e
dall’immunoterapia e dalla combinazione di queste. La
scelta ovviamente si basa sui criteri clinico-stadiativi, vale a
dire la localizzazione ed estensione del tumore e le
condizioni cliniche dei pazienti che, considerata
l’epidemiologia di tale neoplasia, sono generalmente
anziani con problematiche preesistenti. Manca comunque
un’uniformità nell’approccio terapeutico dovuta alla scarsa
presenza di studi clinici di tipo prospettico.
Valutare la radioterapia in sé non è cosa facile in
quanto solitamente si usa quale completamento alla
chirurgia o in combinazione con chemioterapia; inoltre la
necessità di irradiare tutto l’emitorace interessato non
consente di usare alte dosi per la presenza di organi
prospicienti delicati e di vitale importanza. Per tanto i
migliori risultati, per quanto non molto promettenti, con
minor danno per le strutture vitali si ottengono con dosi
inferiori di radioterapia dopo exeresi chirurgica di tutta la
massa tumorale resecabile.
Molto scadenti anche i risultati del trattamento con
chemioterapia sia combinata che con singolo agente: il
tasso di risposta si aggira intorno al 20% dei pazienti.
Lascia invece ben sperare ed ha dato nuovo impulso a
studi clinici l’impiego dell’immunoterapia con interferon-
in combinazione con cisplatino e/o tamoxifene; in
36
particolare l’uso di interferon- per infusione intrapleurica
ha dato un tasso di risposta del 56%.
La terapia chirurgica con completa resezione di tutto il
tumore visibile macroscopicamente sembra determinare un
modesto ma certo incremento della sopravvivenza; rimane
tuttavia controverso se effettuare l’intervento di
asportazione tramite una semplice pleurectomia e
decorticazione o tramite una pneumonectomia
extrapleurica (asportando cioè tutto il polmone con annessa
la pleura viscerale e parietale). Ovviamente l’asportazione
in blocco ha il vantaggio di eliminare, quando possibile,
tutto il tumore macroscopico ma il grosso svantaggio di
avere, nei migliori centri moderni specializzati in tale
problematica, un tasso di mortalità che, nella migliore delle
ipotesi e tramite un’accurata selezione dei pazienti da un
punto di vista emodinamico e respiratorio, si attesta sul 6-
15%. D’altra parte la pleurectomia con decorticazione ha un
tasso di mortalità dell’1,8% ma spesso non consente
l’exeresi completa e comunque limita molto le dosi di
radioterapia somministrabili successivamente. Tale
problematica rimane ad oggi senza risposta e devoluta alla
singola esperienza dei chirurghi operatori.
Attualmente la migliore prospettiva si basa
sull’associazione di polichemioterapia-radioterapia-
chirurgia che allunga la sopravvivenza media a 30 mesi
circa.
37
Stadiazione TNM
Una volta accertata la diagnosi cito-istologica, occorre stabilire la reale estensione
clinica intra ed extra-toracica della neoplasia.
# La definizione del fattore T risulta dal complesso di metodiche d’imaging ed
invasive (fibrobroncoscopia) già utilizzate per ottenere la diagnosi. Sono da tener
presente, tuttavia, i limiti delle metodiche d’imaging nel definire l’eventuale
sconfinamento d’organo da parte del tumore. La TAC del torace presenta una
sensibilità del 60-65% nella definizione di un’eventuale infiltrazione della parete
toracica e non è sicuramente migliore nella definizione dell’interessamento
mediastinico. La RMN non sembra offrire alcun
vantaggio rispetto alla TAC se non nello studio dei tumori del solco superiore (T. di
Pancoast). Mentre un’incertezza nella definizione dell’infiltrazione della parete
toracica non costituisce un problema chirurgico (il trattamento chirurgico del T3
parete conduce a sopravvivenze fra il 35 ed il 40%), il dubbio circa l’infiltrazione del
cellulare lasso mediastinico e degli organi in esso contenuti (grandi vasi, cuore)
dovrebbe esser risolto mediante metodica invasiva aggiuntiva. In tal caso l’esame
da effettuare è la VOS con supporto di ecografia endocavitaria che permette una
drastica riduzione del ricorso a toracotomie diagnostiche (dal 10-12% al 2-3%).
# La definizione del fattore N mediante tecniche di imaging presenta le stesse
difficoltà della definizione del T sconfinante i limiti d’organo. Mentre la definizione di
N1 non riveste particolare importanza dal punto di vista clinico, in quanto non
preclude la terapia chirurgica, ben diverso è il ruolo giocato dalla definizione di N2-3
per le implicazioni terapeutiche attualmente ad essa collegate (trattamenti
combinati includenti o no la terapia chirurgica). Nonostante i risultati ottimistici di
una meta-analisi di 44 studi, attestante un 79% disensibilità ed un 78% di
specificità, il potere predittivo sul coinvolgimento linfonodale mediastinico della TAC
è stato successivamente ridimensionato non superando una specificità del 62% ed
una sensibilità del 64% per un “cut-off” di 1cm sul diametro minore del linfonodo.
Tuttavia l’impatto clinico della scarsa sensibilità della metodica può esser limitato,
se si considera come la sopravvivenza a 5 anni, riportata dalle casistiche
chirurgiche in caso di positività post-operatoria di linfonodi non rilevati all’esame
TAC, raggiunga il 30%. Uno studio randomizzato, che ha valutato il rapporto
costo/beneficio dell’uso indiscriminato della mediastinoscopia rispetto all’impiego
solo in caso di sospetto coinvolgimento TAC, ha dimostrato nei due bracci una
differenza non significativa di interventi chirurgici oncologicamente non corretti ma
costi nettamente più elevati nel primo caso. I problemi maggiori dal punto di vista
clinico sono invece legati alla scarsa specificità della diagnostica per imaging.
Nonostante l’affermarsi di nuove tecniche di medicina nucleare, quali la tomografia
38
ad emissioni di positroni (PET - 78% di sensibilità, 81% di specificità e 89% di valore
predittivo negativo), la presenza di N2 TAC richiede, comunque, sempre una
definizione cito-istologica dell’interessamento linfonodale prima di programmare
l’iter terapeutico. Le possibilità di tale definizione sono legate all’esecuzione di
metodiche quali: ago-aspirati trans-bronchiali, agoaspirati TAC-guidati,
mediastinoscopia, mediastinotomia e VOS (con le indicazioni già riportate nel
paragrafo riguardante la diagnosi).
# Per quanto concerne la valutazione della diffusione extra-toracica (fattore M) il
comportamento clinico è decisamente influenzato dalla biologia del tumore.
a) In caso di SCLC si procederà sempre e comunque ad una stadiazione completa
della malattia mediante l’esecuzione di TAC cranio, scintigrafia ossea, ecografia
addominale e prelievo midollare bilaterale sulla cresta iliaca postero-superiore.
Solo nel caso che la malattia risulti limitata al torace (si considerano malattia
limitata gli stadi I-II-IIIa-b, con esclusione del T4 per versamento pleurico
neoplastico) ed in assenza di grossolano impegno linfonodale mediastinico alla TAC,
può esser indicata nello SCLC, l’esecuzione di diagnostica invasiva
(mediastinoscopia, VOS) per la possibile indicazione al trattamento combinato
chirurgico-chemioterapico negli stadi I e II.
b) In caso di NSCLC l’indicazione ad una stadiazione completa in assenza di una
sintomatologia suggestiva per una diffusione sistemica della malattia (comprese le
alterazioni ematochimiche riguardanti l’enzimologia epatica, la fosfatasi alcalina, la
calcemia e la fosforemia) è da porsi solamente nello stadio cIII. Eccezioni sono da
considerarsi l’istotipo adenocarcinoma in stadio cI e cII, in cui vi è indicazione
all’esecuzione almeno di una TAC encefalo (vista la frequenza di lesioni ripetitive
cerebrali) ed alcune situazioni cliniche riconosciute come fattori prognostici
negativi, quali una perdita di peso > 10% negli ultimi 2 mesi ed es. ematochimici
patologici (anemia, LDH elevato, ipoalbuminemia).
# E’ da ricordare, in ogni modo, che nel caso permangano dubbi sulla reale
stadiazione della neoplasia, nonostante tutti i presidi diagnostici considerati, come
il sistema TNM preveda l’attribuzione al tumore di uno stadio inferiore a quello
inizialmente ipotizzato e di esser conseguenti a tale scelta nella programmazione
terapeutica.
TNM
La stadiazione del carcinoma polmonare secondo il sistema TNM è un mezzo
universalmente accettato per stimare la prognosi, definire la terapia più adatta e
valutarne i risultati. Il sistema classificativo consente una descrizione
dell’estensione anatomica della malattia neoplastica in ogni particolare momento
39
della sua evoluzione, mediante la valutazione di tre parametri quali l’estensione del
tumore primario (fattore T),
il coinvolgimento linfonodale (fattore N)
e le metastasi (fattore M). Il sistema TNM, adottato per la prima volta nel 1946 e
applicato in ambito polmonare per la prima volta da Mountain nel 1974, ha subito
diverse modifiche nel corso degli anni in rapporto con il progredire al progredire
della conoscenza della storia clinica della malattia e allo svilupparsi delle tecniche
terapeutiche. L’ultima modifica proposta da Mountain e accettata nel Consensus
Meeting di Londra dell’Ottobre 1996 è riportata nei seguenti schemi. La stadiazione
patologica sarà ovviamente più precisa della stadiazione clinica e pertanto un
prefisso “p” ed uno “c” rispettivamente precederanno lo stadio attribuito a ciascun
paziente (pTNM, cTNM). Un prefisso “a” precederà lo stadio valutato
autopticamente (
40
CANCRO DEL POLMONE
Il cancro del polmone rappresenta oggi il tumore più diffuso nel sesso maschile
dopo le neoplasie della prostata e la più frequente causa di morte per patologia
neoplastica nel mondo; si contano approssimativamente 500.000 nuovi casi
all'anno, pari a circa il 15.8% dei nuovi casi di neoplasie osservati nell'uomo ed il
4.7% nelle donne.
Nonostante i numerosi contributi scientifici ed i progressi registrati,
l'incidenza è regolarmente aumentata nel corso degli anni.
L'incremento degli ultimi decenni appare ancora più drammatico se si
tiene conto che all' inizio del XX secolo tale malattia era considerata
poco comune e raramente appariva nei certificati di morte. Oggi, al
contrario delle altre neoplasie, il tumore del polmone fa registrare un
incremento annuo pari a circa lo 0.5%.
La prima osservazione di un sostanziale incremento di incidenza si
ebbe negli Stati Uniti ed in Europa Occidentale intorno ai primi anni
‘40 quasi esclusivamente nel sesso maschile; negli anni successivi
l'incremento è stato regolare in entrambi i sessi. Il tasso annuo di
mortalità tra i maschi americani è così progressivamente cresciuto:
5/100.000 nel 1930; 22.2 nel 1950, 55.9 nel 1970 e 74.9 ne1 1987;
l'incremento della mortalità tra le donne, negli stessi anni, è stato
rispettivamente di 3.0, 5.0, 12.2 e 28.5/100.000. Dal 1987 in poi il
tasso di mortalità maschile ha subito una lieve, seppur costante,
flessione. Attualmente negli Stati Uniti il cancro del polmone
rappresenta il 15% di tutti i tumori maligni (177.000 nuovi casi) ed il
25% delle cause di morte per tumore (159.000 decessi nel 1996);
l'incidenza è di circa 70 nuovi casi su 100.000 individui maschi/anno.
Il rapporto maschi/femmine è passato dal 7/1 del 1964 al 2/1 attuale,
con un incremento del 451% ed una predizione di ulteriore aumento
almeno fino al 2010. In Italia, con 35-40.000 nuovi casi all'anno, il
cancro del polmone rappresenta la prima causa di decesso per
neoplasia maligna e si rende responsabile del 29.3% delle morti per
tumore nei maschi e del 7.9% nelle femmine. La mortalità è cresciuta
41
drammaticamente negli ultimi 30 anni: i 6000 decessi registrati nel
1959 sono diventati 30.955 nel 1994, anno cui si riferiscono gli ultimi
dati ISTAT pubblicati (1997). Anche in Italia la preponderante
incidenza della neoplasia nel sesso maschile (5 a l) si è
progressivamente ridotta all'attuale rapporto di 2.5 a l. Nella
popolazione maschile si registra una stabilizzazione dei tassi di
mortalità, con una tendenza alla diminuzione nelle classi d’età più
giovani, nella popolazione femminile si osserva invece un marcato
aumento soprattutto nella fascia d'età al di sopra dei 40 anni. Anche i
tassi di mortalità documentano questa inversione di tendenza, con
riduzione per i maschi (54.6/100.000) ed incremento per le femmine
(7.7/100.000): tale dato è, con ogni probabilità, da correlare al
maggiore incremento di consumo di tabacco nel sesso femminile.
Ann Thorac Surg 2002;73:1545-51
Il picco d’incidenza si registra tra la quinta e la sesta decade di vita
ed oltre un terzo dei nuovi casi è diagnosticato in soggetti di età
superiore ai 70 anni. È interessante notare come i pazienti più
giovani, con età inferiore ai 50 anni, si presentino alla prima
osservazione con una malattia in stadio più avanzato, ma la loro
sopravvivenza complessiva è simile a quella dei pazienti più anziani,
42
lasciando supporre che il tumore del polmone non abbia
caratteristiche di maggiore aggressività nei pazienti più giovani.
Che il fumo di tabacco fosse correlato all'insorgenza del cancro del
polmone è evidente fin dai primi anni '50, con la pubblicazione dei
dati preliminari dell'ormai famoso studio effettuato su una
popolazione di medici inglesi fumatori. Da allora sono stati portati a
termine numerosi altri studi su peculiari popolazioni e con differenti
metodologie che hanno definitivamente provato tale correlazione per
ognuno dei tipi istologici.
Attualmente si considera che un fumatore ha un rischio di sviluppare
un cancro del polmone che va dalle 7 (per fumatori di 15 o meno
sigarette) alle 25 (per fumatori di 25 o più sigarette) volte quello dei
non fumatori. Naturalmente, a parità di altre condizioni, il rischio è
maggiore in chi comincia precocemente a fumare – è stato anche
dimostrato che più si comincia precocemente, più diventa elevato il
consumo giornaliero di sigarette – e si abbassa progressivamente nel
tempo in chi smette di fumare. Tale evidenza è ben spiegata dallo
studio di Doll e coll.: nel giro di 10 anni, a seguito di un forte calo del
consumo di sigarette da parte del 30% della popolazione di medici
oggetto dello studio, si è registrata una riduzione nell'incidenza della
mortalità non in linea con i dati dell'intera popolazione inglese.
Progressivamente, in quelli che smettono di fumare, il rischio si riduce
nel corso dei 10-15 anni successivi, con latenze sempre maggiori in
rapporto all'età di interruzione. Infatti, sebbene smettere di fumare
apporta benefici a qualunque età, si è osservato che l'età in cui si
smette di fumare è direttamente correlata al rischio di sviluppare un
cancro del polmone indipendentemente dagli anni trascorsi dal
momento della cessazione. Sebbene negli individui che smettono di
fumare a 35 anni o prima, il rischio è approssimativamente quello dei
non fumatori, dopo 20 anni circa dalla cessazione il decremento di
tale rischio sembra raggiungere un plateau per cui resta comunque
1.5-2 volte più elevato rispetto ai non fumatori.
43
Diagnosi di neoplasia
Un approccio di tipo sequenziale richiede un razionale impiego delle metodiche
diagnostiche a disposizione. Al sospetto di ca. polmonare suffragato dalla
sintomatologia riferita dal paziente, dai dati clinici raccolti nell’esame obiettivo, fa
sempre seguito un Rx torace obbligatoriamente in due proiezioni, possibilmente
confrontato con radiogrammi precedenti, e citologie dell’espettorato (almeno due,
raccolte ciascuna in almeno tre giorni). Nel caso in cui le condizioni del paziente
(performance status, età, patologie associate) permettono la programmazione di
interventi terapeutici, a tali indagini di prima linea dovrà far seguito una più
accurata definizione della natura e dell’estensione intratoracica della lesione. Ciò
richiederà l’esecuzione di una TAC torace (accompagnata sempre dagli strati
riguardanti l’addome superiore per rilevare eventuali lesioni epatiche o
surrenaliche). Le difficoltà diagnostiche sono diverse secondo la localizzazione
centrale o periferica della lesione. In entrambi i casi tuttavia non può esser
trascurata l’esecuzione di una fibrobroncoscopia che permette prelievi cito-
istologici (mirati sulle lesioni periferiche con l’aiuto delle immagini TAC od eseguiti
direttamente sotto guida radiologica) e la definizione dell’estensione
intrabronchiale. In caso di insuccesso nella tipizzazione della lesione si potrà
ricorrere soprattutto per quelle periferiche a agoaspirati Rx-TAC guidati o nel caso
di neoplasie che giungano a contatto con la parete toracica eco-guidati.
Nel perdurare dell’incertezza diagnostica è necessario ricorrere a metodi più
invasivi di natura chirurgica e/o valutare l’opportunità comunque di un intervento
chirurgico risolutivo.
In caso di lesioni medioparenchimali dal diametro superiore al centimetro, in
assenza di adenopatie mediastiniche ed in soggetti non a rischio funzionale, la
toracotomia con l’esecuzione di es. istologico estemporaneo seguito, in caso di
conferma, dall’esecuzione di un intervento di lobectomia è forse l’indicazione più
razionale.
Le lesioni periferiche sub-pleuriche di diametro fino ad 1 cm si possono avvalere
dell’asportazione mediante video-chirurgia radio-guidata che ne permette la
diagnosi. La conferma della natura neoplastica primitiva polmonare dovrà,
comunque, esser seguita da una lobectomia di completamento.
La video-toracoscopia è, inoltre, fondamentale nella diagnosi di lesioni che si
accompagnino a versamento pleurico (citologicamente negativo nei prelievi
eseguiti per toracentesi) per porre la diagnosi di eventuale interessamento pleurico
neoplastico ed ottenere, così, anche la tipizzazione della lesione.
In caso di lesioni centrali che si accompagnino o meno a adenopatie mediastiniche
la diagnosi e contemporanea stadiazione può avvenire mediante interventi invasivi
di natura chirurgica quali la:
44
# Biopsia linfonodale in caso di adenopatie che interessino le stazioni sovraclaveari,
latero cervicali ed ascellari;
# Mediastinoscopia che permette di effettuare prelievi bioptici sui linfonodi
mediastinici anteriori, paratracheali Dx fino all’angolo tracheo-bronchiale e
paratracheali Sx sovra-aortici;
# Mediastinotomia anteriore che permette prelievi su linfonodi pre-aortici;
# Video-toracoscopia (VOS) che permette di raggiungere le stazioni linfonodali non
altrimenti biopsiabili o di eseguire prelievi direttamente sul tumore nel caso di
sconfinamento su organi adiacenti (mediastino, vertebre, etc.) anche con l’ausilio
dell’ecotomografia endocavitaria.
Stato Biologico
I più frequenti tipi istologici di carcinoma broncogeno (95% di tutte le neoplasie
polmonari) includono il ca. squamoso, l’adenocarcinoma, il ca. indifferenziato a
grandi cellule (tutti compresi nella definizione anglosassone di NSCLC) ed il ca a
piccole cellule (SCLC). Negli ultimi 20 anni, anche se con differenze geografiche,
l’adenocarcinoma ha superato come frequenza, soprattutto nel sesso femminile, il
ca. squamoso divenendo il più comune tipo istologico.
# Il ca. squamoso (30%) è riconosciuto per le caratteristiche istologiche di ponti
intercellulari, per la formazione di perle cornee e per la cheratinizzazione delle
singole cellule. Interessa prevalentemente i segmenti bronchiali prossimali ed è
associato con metaplasia squamosa. Il tumore tende ad una crescita lenta ed è
stimato che siano necessari 3-4 anni per passare da un ca. in situ ad una forma
clinicamente apparente. L’evoluzione iniziale è caratteristicamente intratoracica
con una diffusione prevalente per via linfatica.
# L’adenocarcinoma (30.7%) può prendere forma in diversi sottotipi istologici:
acinoso, papillare, solido muco-secernente, bronchiolo-alveolare. Casi di
combinazione con elementi cheratinizzanti danno luogo al carcinoma adeno-
squamoso. Molti di questi tumori hanno origine periferica, con frequente
coinvolgimento pleurico; altri sono caratterizzati da una notevole componente
fibrosa che mima un’area cicatriziale. La tendenza alla diffusione,
intraparenchimale e sistemica, sia per via linfatica sia per via ematica è precoce. Il
ca. bronchiolo-alveolare (BAC) appare sempre più come entità clinico-patologica
distinta. La sua origine apparente dai pneumociti di II ordine, la crescita lungo i setti
alveolari, la sua scarsa tendenza allo sviluppo di aspetti desmoplastici o
ghiandolari, la peculiare capacità di diffusione per via aerogena e la scarsa
tendenza alla metastatizzazione a distanza costituiscono tutti elementi che
contribuiscono a diversificarlo dall’adenocarcinoma classico con cui è ancora
classificato dalla WHO. Caratteristicamente esso si può presentare in tre forme
45
cliniche: come nodulo singolo periferico, come malattia multifocale o come forma
pneumonica rapidamente progressiva che si diffonde dapprima da lobo a lobo ed
infine interessa entrambi i polmoni.
# Il ca. indifferenziato a grandi cellule (9.4%), nelle sue varianti a cellule giganti e a
cellule chiare, è assai difficilmente distinguibile dalle forme più indifferenziate
dell’adenocarcinoma e del ca. squamoso. Con l’uso della microscopia elettronica e
dell’immuno-istochimica, un sempre maggior numero di casi è attribuito a questi
ultimi istotipi con una progressiva riduzione di incidenza del ca. indifferenziato a
grandi cellule. Il suo comportamento estremamente aggressivo ricalca nei “pattern”
di diffusione quello dell’adenocarcinoma.
# Il ca. anaplastico a piccole cellule (SCLC) (18.2%) presenta caratteristiche neuro-
endocrine ed epiteliali. Le varianti istologiche proposte sono tre: oat cell, a cellule
intermedie e combinato. La letteratura non è univoca
nell’attribuire un significato prognostico ai tre sottotipi. La sede è prevalentemente
centrale con una diffusione locale e sistemica rapidissima. Data la netta differenza
di impostazione terapeutica legata ai patterns di diffusione della malattia e alla sua
prognosi, la differenziazione patologica fra SCLC e NSCLC è critica. Fortunatamente
il disaccordo fra patologi esperti riguarda solo il 5-7% dei casi. Piccoli prelievi, mal
conservati possono rendere difficile la differenziazione fra SCLC e carcinoidi,
infiltrati linfocitari o NSCLC scarsamente differenziati, specialmente in presenza di
effetto crush dovuto ad alterazioni ischemiche, artefatti del criotomo, cattiva
fissazione o difettoso campionamento. In questi casi l’immuno-istochimica può
esser di grande aiuto per le caratteristiche neuro-endocrine ed epiteliali dello SCLC.
Nel caso del permanere del dubbio (25% di fallimenti dell’immuno-istochimica) si
rende necessaria la ripetizione della biopsia.
La scelta della terapia, ad oggi, è condizionata dal punto di vista biologico
fondamentalmente dalla sola distinzione fra NSCLC, in cui la chirurgia gioco un
ruolo fondamentale, e SCLC, a elettivo trattamento chemioterapico o chemio-
radioterapico e solo secondariamente dal grado di differenziazione della neoplasia
(“grading”), peraltro molto influenzato dal giudizio soggettivo del patologo. Negli
ultimi anni, tuttavia, si sono andati evidenziando, per la migliore conoscenza del
meccanismo oncogenetico, numerosi fattori biologici con significato prognostico.
Tali caratteristiche biologiche hanno iniziato a condizionare, e probabilmente in
futuro lo faranno sempre più, la scelta del trattamento se non a creare veri e propri
nuovi tipi di approccio terapeutico. Mutazioni dell’oncogene KRAS sono registrate in
circa il 30% degli adenocarcinomi e sono associate a prognosi sfavorevole. La
constatazione che adenoca. con espressione di KRAS-mutato allo stadio I e II,
sebbene radicalmente operati, raggiungevano una sopravvivenza del solo 35% a
due anni ha condotto a studi di chemioterapia adiuvante con un modesto ma
significativo vantaggio nella sopravvivenza. Nello stesso tempo sia in campo
46
farmacologico (inibitori della farnesil:protein transferasi, dalle proteine RAS) che in
campo biologico (“gene-therapy” con “anti-sense nucleotide”) ferve la ricerca per
aprire la strada a nuove terapie che abbiano come obiettivo l’attività di tale
oncogene.
L’altra caratteristica biologica estesamente studiata è l’alterazione della funzione
del gene onco-sopressore P53, che viene trovato alterato nel 50-60% dei NSLC e in
oltre 90% degli SCLC. Mentre il significato prognostico di tale alterazione risulta
meno definito, data l’ampia distribuzione del difetto, sicuramente le aberrazioni del
gene P53 sono state per ora il maggior “target” per la “gene replacement therapy”,
per i tentativi di immuno-terapia specifica (sia attiva sia passiva) contro il prodotto
proteico del gene mutante e per la ricerca di farmaci che inibiscano le conseguenze
dell’alterazione genica.
Un ruolo ben definito nella carcinogenesi ha oramai l’induzione dell’angiogenesi che
permette al tumore una rapida crescita e la disseminazione a distanza. La conta dei
vasi neoformati con metodica immuno-istochimica ha permesso di riconoscere nella
densità della neovascolarizzazione un fattore prognostico indipendente fortemente
condizionante la storia clinica della malattia. Lo studio della neoangiogenesi potrà
in futuro influenzare la programmazione terapeutica, permettendo di individuare
gruppi ad alto rischio di recidiva e di aprire la strada a nuove modalità terapeutiche,
quando sarà provata l’efficacia nell’uomo di una classe di farmaci specifici
nell’inibire tale attività tumorale (farmaci anti-angiogenetici).
Stadiazione
Una volta accertata la diagnosi cito-istologica, occorre stabilire la reale estensione
clinica intra ed extra-toracica della neoplasia.
# La definizione del fattore T risulta dal complesso di metodiche d’imaging ed
invasive (fibrobroncoscopia) già utilizzate per ottenere la diagnosi. Sono da tener
presente, tuttavia, i limiti delle metodiche d’imaging nel definire l’eventuale
sconfinamento d’organo da parte del tumore. La TAC del torace presenta una
sensibilità del 60-65% nella definizione di un’eventuale infiltrazione della parete
toracica e non è sicuramente migliore nella definizione dell’interessamento
mediastinico. La RMN non sembra offrire alcun
vantaggio rispetto alla TAC se non nello studio dei tumori del solco superiore (T. di
Pancoast). Mentre un’incertezza nella definizione dell’infiltrazione della parete
toracica non costituisce un problema chirurgico (il trattamento chirurgico del T3
parete conduce a sopravvivenze fra il 35 ed il 40%), il dubbio circa l’infiltrazione del
cellulare lasso mediastinico e degli organi in esso contenuti (grandi vasi, cuore)
dovrebbe esser risolto mediante metodica invasiva aggiuntiva. In tal caso l’esame
47
da effettuare è la VOS con supporto di ecografia endocavitaria che permette una
drastica riduzione del ricorso a toracotomie diagnostiche (dal 10-12% al 2-3%).
# La definizione del fattore N mediante tecniche di imaging presenta le stesse
difficoltà della definizione del T sconfinante i limiti d’organo. Mentre la definizione di
N1 non riveste particolare importanza dal punto di vista clinico, in quanto non
preclude la terapia chirurgica, ben diverso è il ruolo giocato dalla definizione di N2-3
per le implicazioni terapeutiche attualmente ad essa collegate (trattamenti
combinati includenti o no la terapia chirurgica). Nonostante i risultati ottimistici di
una meta-analisi di 44 studi, attestante un 79% disensibilità ed un 78% di
specificità, il potere predittivo sul coinvolgimento linfonodale mediastinico della TAC
è stato successivamente ridimensionato non superando una specificità del 62% ed
una sensibilità del 64% per un “cut-off” di 1cm sul diametro minore del linfonodo.
Tuttavia l’impatto clinico della scarsa sensibilità della metodica può esser limitato,
se si considera come la sopravvivenza a 5 anni, riportata dalle casistiche
chirurgiche in caso di positività post-operatoria di linfonodi non rilevati all’esame
TAC, raggiunga il 30%. Uno studio randomizzato, che ha valutato il rapporto
costo/beneficio dell’uso indiscriminato della mediastinoscopia rispetto all’impiego
solo in caso di sospetto coinvolgimento TAC, ha dimostrato nei due bracci una
differenza non significativa di interventi chirurgici oncologicamente non corretti ma
costi nettamente più elevati nel primo caso. I problemi maggiori dal punto di vista
clinico sono invece legati alla scarsa specificità della diagnostica per imaging.
Nonostante l’affermarsi di nuove tecniche di medicina nucleare, quali la tomografia
ad emissioni di positroni (PET - 78% di sensibilità, 81% di specificità e 89% di valore
predittivo negativo), la presenza di N2 TAC richiede, comunque, sempre una
definizione cito-istologica dell’interessamento linfonodale prima di programmare
l’iter terapeutico. Le possibilità di tale definizione sono legate all’esecuzione di
metodiche quali: ago-aspirati trans-bronchiali, agoaspirati TAC-guidati,
mediastinoscopia, mediastinotomia e VOS (con le indicazioni già riportate nel
paragrafo riguardante la diagnosi).
# Per quanto concerne la valutazione della diffusione extra-toracica (fattore M) il
comportamento clinico è decisamente influenzato dalla biologia del tumore.
a) In caso di SCLC si procederà sempre e comunque ad una stadiazione completa
della malattia mediante l’esecuzione di TAC cranio, scintigrafia ossea, ecografia
addominale e prelievo midollare bilaterale sulla cresta iliaca postero-superiore.
Solo nel caso che la malattia risulti limitata al torace (si considerano malattia
limitata gli stadi I-II-IIIa-b, con esclusione del T4 per versamento pleurico
neoplastico) ed in assenza di grossolano impegno linfonodale mediastinico alla TAC,
può esser indicata nello SCLC, l’esecuzione di diagnostica invasiva
48
(mediastinoscopia, VOS) per la possibile indicazione al trattamento combinato
chirurgico-chemioterapico negli stadi I e II.
b) In caso di NSCLC l’indicazione ad una stadiazione completa in assenza di una
sintomatologia suggestiva per una diffusione sistemica della malattia (comprese le
alterazioni ematochimiche riguardanti l’enzimologia epatica, la fosfatasi alcalina, la
calcemia e la fosforemia) è da porsi solamente nello stadio cIII. Eccezioni sono da
considerarsi l’istotipo adenocarcinoma in stadio cI e cII, in cui vi è indicazione
all’esecuzione almeno di una TAC encefalo (vista la frequenza di lesioni ripetitive
cerebrali) ed alcune situazioni cliniche riconosciute come fattori prognostici
negativi, quali una perdita di peso > 10% negliultimi 2 mesi ed es. ematochimici
patologici (anemia, LDH elevato, ipoalbuminemia).
# E’ da ricordare, in ogni modo, che nel caso permangano dubbi sulla reale
stadiazione della neoplasia, nonostante tutti i presidi diagnostici considerati, come
il sistema TNM preveda l’attribuzione al tumore di uno stadio inferiore a quello
inizialmente ipotizzato e di esser conseguenti a tale scelta nella programmazione
terapeutica.
TNM
La stadiazione del carcinoma polmonare secondo il sistema TNM è un mezzo
universalmente accettato per stimare la prognosi, definire la terapia più adatta e
valutarne i risultati. Il sistema classificativo consente una descrizione
dell’estensione anatomica della malattia neoplastica in ogni particolare momento
della sua evoluzione, mediante la valutazione di tre parametri quali l’estensione del
tumore primario (fattore T), il coinvolgimento linfonodale (fattore N) e le metastasi
(fattore M). Il sistema TNM, adottato per la prima volta nel 1946 e applicato in
ambito polmonare per la prima volta da Mountain nel 1974, ha subito diverse
modifiche nel corso degli anni in rapporto con il progredire al progredire della
conoscenza della storia clinica della malattia e allo svilupparsi delle tecniche
terapeutiche. L’ultima modifica proposta da Mountain e accettata è del 2010 è
riportata nei seguenti schemi. (TABELLA) La stadiazione patologica sarà ovviamente
più precisa della stadiazione clinica e pertanto un prefisso “p” ed uno “c”
rispettivamente precederanno lo stadio attribuito a ciascun paziente (pTNM, cTNM).
Un prefisso “a” precederà lo stadio valutato autopticamente (aTNM).
Opzioni terapeutiche
Al termine dell’iter diagnostico, definito lo stato biologico della malattia
(tipizzazione), completato lo studio funzionale del paziente e definito lo stadio TNM,
si può procedere ad una razionale programmazione terapeutica. Idealmente,
49
l’approccio terapeutico dovrebbe esser sempre multidisciplinare coinvolgendo nella
pianificazione del trattamento le diverse competenze del pneumologo, del chirurgo
toracico, del radioterapista e dell’oncologo medico. Tuttavia tale approccio diviene
indispensabile nei casi in cui l’opzione terapeutica è più controversa.
NSCLC
Pazienti operabili: Stadi IA/B, II A/B, IIIA (mediastinoscopia negativa) La chirurgia, ad
oggi, offre in questa classe di pazienti, le maggiori probabilità di cura. Il trattamento
chirurgico, in centri specialistici con elevato numero d’interventi, è gravato da
morbidità accettabili e trascurabile mortalità (0-2%). La sopravvivenza a 5 anni per i
pazienti con neoplasia stadio IA e IB varia dal 70 all’80%, mentre per gli stadi IIA e
IIB dal 35 al 50%. Un’adeguata terapia chirurgica consiste usualmente
nell’esecuzione di lobectomie, bilobectomie o pneumonectomie con
linfoadenectomia mediastinica a scopo stadiativo. Le resezioni sublobari, se non
obbligate per motivi medici, sono da proscrivere per l’elevata incidenza di recidive
locali e una riduzione della % di sopravvivenza a 5 anni. Gli interventi sopra
descritti potranno esser allargati di caso in caso, secondo le necessità, all’albero
bronchiale (sleeve lobectomy o pneumonectomy) o a strutture extrapolmonari
(resezioni in blocco).Attualmente per questi stadi di malattia non è prevista
un’integrazione
terapeutica con terapie adiuvanti se non in ambito di protocolli controllati. E’
possibile che, in prossimo futuro, l’individuazione, attraverso studi biologici, di
gruppi di pazienti ad alto rischio possa portare anche in questi stadi a
standardizzare terapie combinate. Ad oggi, l’unica eccezione è rappresentata dalle
neoplasie del solco superiore (T di Pancoast) in cui è invalso l’uso di radio o chemio-
radioterapia pre-operatoria con una sopravvivenza a 5 anni del 40%.
La condotta terapeutica nello stadio IIIA è sicuramente più controversa. Tuttavia i
dati delle casistiche chirurgiche riguardo alla sopravvivenza a 5 anni degli N2
subclinici (chirurgici) presentano percentuali di cura che raggiungono il 30%
(Martini, Naruke). Pertanto, la chirurgia rappresenta un valido approccio iniziale nei
pazienti con mediastinoscopia negativa in cui l’N2 sia dimostrabile solo all’esame
patologico post-resezione. In questa categoria di pazienti la terapia chirurgica è
stata storicamente associata alla radioterapia post-operatoria ma sia i risultati degli
studi di meta-analisi pubblicati nel 1995, che hanno dimostrato l’efficacia della
chemioterapia cisplatino-basata, sia quattro ampi studi randomizzati, che hanno
confermato la superiorità della chemio-radioterapia rispetto alla sola radioterapia,
spingono alla programmazione di un trattamento adiuvante combinato. E’
auspicabile che una risposta definitiva sull’utilità della chemio-radioterapia post-
50
operatoria giunga dagli ampi studi randomizzati in corso sia in Europa (ALPI) che in
Nord-America.
Pazienti suscettibili di trattamenti integrati: Stadi IIIA (Mediastinoscopia positiva),
IIIB Ritenuti non suscettibili di terapia chirurgica, questi pazienti hanno ricevuto in
passato un trattamento radiante d’elezione. Alcune considerazioni hanno però
portato negli ultimi anni a rivedere tale atteggiamento. Gli scadenti risultati a lungo
termine della terapia radiante (sopravvivenze a 5 anni comprese fra il 3 ed il 6%
senza significativa variazione fra IIIA e IIIB), la dimostrazione di un significativo
miglioramento di tali risultati con una terapia di combinazione chemio-radioterapica
(sopravvivenze a 5 anni comprese fra l’8 ed il 16%) e la possibilità di migliorare
mediante l’esecuzione di trattamenti neoadiuvanti i risultati della terapia chirurgia
(sopravvivenza a 5 anni che da meno del 10% negli stadi IIIA-N2 hanno raggiunto il
40%) hanno posto questa categoria di pazienti al centro di un’intensa attività di
ricerca al fine di individuare il trattamento integrato più efficace (chemio-
radioterapia + chirurgia), il migliore “timing” delle diverse terapie (chemio-
radioterapia concomitanti o sequenziali) e l’ottimizzazione di ciascuna terapia
(scelta dei farmaci, delle dosi e delle frazioni radioterapiche). Pur in assenza di dati
definitivi, allo stato attuale dell’arte, può esser raccomandato quanto segue:
a) Stadi IIIA(N2) - trattamento neoadiuvante (chemio o chemio-radioterapico)
seguito nei pazienti con risposta obiettiva da trattamento chirurgico ed in quelli non
responsivi da radioterapia di completamento;
b) Stadi IIIB – trattamento chemio-radioterapico seguito da chirurgia solo in casi
selezionati.
La tendenza a rivalutare il ruolo della chirurgia in questi stadi, quando possa
ragionevolmente seguire criteri di radicalità, è legata alla constatazione derivata
dagli studi di terapia neoadiuvante che qualsiasi trattamento chemio o chemio-
radioterapico è in grado di offrire una risposta completa patologica in non più del
15% dei pazienti responsivi.
Pazienti inoperabili: Stadio IV
51
L’opzione terapeutica per questi pazienti è quella fra una terapia palliativa e una
chemioterapia eventualmente associata a radioterapia su lesioni ossee o del
sistema nervoso centrale. Innumerevoli studi hanno ormai dimostrato la superiorità
della chemioterapia nei confronti della semplice terapia di supporto ma, tuttavia, è
consigliabile una attenta valutazione del "performance status" iniziale del paziente
e della sua qualità di vita, durante l’esecuzione di una terapia che non può avere
intenti curativi. Attenzione particolare va posta ai problemi legati al controllo del
dolore (terapia antalgica, posizionamento di cateteri epidurali), all’ostruzione delle
grosse vie aeree (laser e brachiterapia), alla presenza di versamenti pleuro-
pericardici massivi (trattamenti endocavitari, confezionamento di finestre pleuro-
pericardiche con tecniche mini-invasive, shunt pleuro-peritoneali) e ai bisogni psico-
sociali del paziente e della sua famiglia (terapia domiciliare, supporto psico-
oncologico). Infine, vanno considerate alcune condizioni eccezionali che meritano
trattamenti particolari. Queste condizioni sono rappresentate dalle metastasi
uniche cerebrali e surrenaliche. Per le metastasi uniche cerebrali, soprattutto se
metacrone ad una neoplasia primitiva trattata chirurgicamente, è ormai consolidata
in letteratura l’indicazione al trattamento chirurgico con una sopravvivenza a 5 anni
che può raggiungere il 20%. Anche le metastasi cerebrali uniche sincrone ad un
tumore primitivo in stadio iniziale (SI-II) permettono un’indicazione chirurgica con
l’esecuzione di un doppio intervento (con primo tempo neurochirurgico). Meno
consolidato ma promettente è il trattamento chirurgico delle metastasi uniche
surrenaliche, incentivato in questi ultimi anni dalla possibilità d’exeresi mini-
invasive offerte dalla video-laparoscopia.
52
CARCINOMA INDIFFERENZIATO A PICCOLE CELLULE
SCLC
Il Carcinoma polmonare a piccole cellule o microcitoma è caratterizzato da alta
malignità e da un peculiare fenotipo neuroendocrino che è alla base del
comportamento clinico-biologico sostanzialmente differente dagli altri tumori
maligni polmonari.
Epidemiologia, eziologia e biologia molecolare
Rappresenta il 20-25% di tutti i tumori polmonari maligni e tra tutti
ha la prognosi peggiore (il tasso di sopravvivenza a 5 anni è inferiore
all’8%).
Tale neoplasia è il risultato di una serie di alterazioni genetiche
determinate dall’azione di sostanze esterne, tra le quali, il fattore di
53
rischio principale è costituito dal fumo di sigaretta seguito,
suppostamente, dall’esposizione all’uranio per l’effetto cancerogeno
che sembra possiedano gli isotopi derivati dal decadimento del radon.
Al momento della comparsa clinico-sintomatologica, il microcitoma ha subito
almeno 10-20 differenti mutazioni genetiche, ma, sebbene numerosi siano gli
oncogeni ed oncosoppressori individuati nel processo di trasformazione neoplastica
del cancro del polmone, difficile rimane sequenziare le tappe di tali mutazioni così
da derivarne la corrispondente cascata di eventi che conduce alla sua insorgenza.
Il fenotipo neuroendocrino è una delle caratteristiche che
differenzia il microcitoma dai Non Small Cell Lung Cancers (NSCLC) e
ne consente l’individuazione biologico-clinica attraverso le sindromi
endocrine e neurologiche ad esso correlate. A tal proposito è
importante ricordare che le cellule del sistema neuroendocrino APUD
esprimono un enzima caratteristico, l’enolasi neurono-specifica,
l’antigene di superficie Leu-7 (CD57) e la molecola di adesione delle
cellule neurali (NCAM, CD56).
Tali cellule sono presenti nella mucosa bronchiale in forma isolata o
in piccoli gruppi (corpi neuroendocrini) e sembra proprio che il
microcitoma deriverebbe dalla trasformazione neoplastica di tali
elementi (cellule di Kulchitsky), originati dalla cresta neurale,
contrariamente ai NSCLC che originerebbero da cellule di derivazione
endodermica; secondo un’ipotesi più recente, invece, sia le cellule
neuroendocrine che le altre cellule epiteliali del polmone
deriverebbero dalla stessa linea endodermica pluripotente che poi
darebbe origine anche ad un fenotipo neuroendocrino per specifiche
mutazioni durante lo sviluppo dei tumori maligni polmonari. Sembra
peraltro che non vi sia nessuna correlazione tra fenotipo
neuroendocrino e maggiore malignità del tumore, vista la presenza
del carcinoide bronchiale che, pur con medesimo fenotipo, presenta
una malignità di gran lunga inferiore.
A sostegno di quest’ultima ipotesi, non è infrequente trovare nei
tumori polmonari, compreso il microcitoma, differenti focolai di
differenziazione (ad es. squamoso, ghiandolare e neuroendocrino)
nell’ambito stesso cancro.
54
Anatomia patologica
Lo spettro delle neoplasie neuroendocrine polmonari comprende oggi i seguenti
tipi istologici che presentano una malignità crescente:
Carcinoide bronchiale (tipico): rappresenta il 2% di tutti i tumori
polmonari, non sembra correlato al fumo, colpisce
indifferentemente i due sessi con età media di 50 anni; ha di solito
una localizzazione centrale, in uno dei bronchi principali, più
raramente periferica e solo nel 5% dei casi vi è interessamento
linfonodale alla diagnosi. Istologicamente è costituito da cellule
poligonali con nuclei uniformi e rotondi, cromatina nucleare
granulare a “sale e pepe”, rari nucleoli, rare figure mitotiche e
scarso tessuto fibroso.
Carcinoma neuroendocrino ben differenziato: comprende un
gruppo di neoplasie con caratteristiche istologiche e cliniche
intermedie tra carcinoide tipico e microcitoma propriamente detto.
Tipici aspetti istologici sono l’aumentata attività mitotica, il
pleomorfismo e l’ipercromatismo nucleare con elevato rapporto
nucleo/citoplasma, aree di aumentata cellularità con
disorganizzazione strutturale e focolai di necrosi tumorale. A
seconda delle combinazioni di tali caratteristiche, della prevalenza
dell’una o dell’altra si possono individuare in questo gruppo tre
sottotipi istologici a malignità crescente: I (in passato definiti
carcinoidi periferici), II (carcinoidi atipici o maligni o a cellule
fusiformi), III (al confine con gli indifferenziati a piccole cellule).
Come il carcinoide tipico, presentano tutti scarsa sensibilità alla
terapia citotossica e radiante, pertanto la terapia d’elezione
rimane chirurgica radicale.
Carcinoma neuroendocrino a cellule intermedie o a grandi cellule:
indica quelle neoplasie difficilmente distinguibili dal III sottotipo del
gruppo precedente, in cui il termine indifferenziato si riferisce alle
dimensioni delle cellule e non al comportamento clinico, anche se
a ciò corrisponde una maggiore aggressività. L’età media di
55
insorgenza è di 65 anni e la maggior parte dei pazienti sono
fumatori, la prognosi è molto sfavorevole e la sopravvivenza a
lungo termine è solo del 10%. La terapia elettiva è chirurgica con
scarsi casi di risposta alla terapia citotossica. Generalmente sono
ad origine centrale, meno periferica e si presentano come noduli
circoscritti con aree necrotiche al taglio. L’aspetto istologico è
peculiare, di tipo organoide con periferia a palizzata o trabecolare
o a rosetta; le cellule sono poligonali, di grandi dimensioni con
basso rapporto nucleo/citoplasma, cromatina nucleare grossolana
o vescicolare e frequenti nucleoli, indice mitotico elevato e necrosi
frequente. Nel 75% dei casi vi è aneuploidia.
Carcinoma indifferenziato a piccole cellule (microcitoma): l’età
media d’insorgenza è di circa 60 anni e, nonostante l’elevata
responsività alla terapia citotossica e radiante, è clinicamente
caratterizzato dalla peggiore prognosi tra tutti i tumori polmonari
per la sua crescita esplosiva con elevata incidenza di metastasi
linfatiche ed ematogene precoci. Si presenta generalmente come
tumore centrale del bronco principale e più raramente insorge
perifericamente. Prima che ne fosse riconosciuta l’origine epiteliale
veniva chiamato sarcoma mediastinico con cellule a “chicco
d’avena” o “oat cell”. L’istologia tipica mostra una crescita diffusa
di piccole cellule rotonde od ovali con cromatina granulare a “sale
e pepe”, nucleoli rari o assenti, citoplasma scarso, mitosi frequenti
ed atipiche, componente stromale scarsa; le cellule possono
formare rosette, nidi o trabecole ed in alcuni casi possono essere
presenti cellule giganti. Le zone di necrosi sono estese. Un aspetto
comune e caratteristico è rappresentato dai depositi di DNA
basofilo intorno al tessuto elastico, specialmente a livello dei vasi
necrotici (fenomeno di Azzopardi). Una recente classificazione
della IASCL individua più precisamente tre sottotipi istologici di
microcitoma:
1. il Ca indifferenziato a piccole cellule2. il Ca misto3. il Ca combinato
56
I sottotipi misto e combinato sono meno frequenti, il primo rappresentando una
variante con mescolanza di cellule indifferenziate piccole e grandi, presente nel
4% dei pazienti, associato all’amplificazione dell’oncogene c-myc e
scarsamente rispondente alla terapia citotossica con prognosi peggiore della
forma a piccole cellule, il secondo caratterizzato invece dalla coesistenza di una
componente squamosa o adenocarcinomatosa accanto alla componente a
piccole cellule ed essendo nel complesso molto raro (2% dei microcitomi).
Sindromi paraneoplastiche
Sono frequenti e vengono causate dalla produzione da parte del tumore
di ormoni peptidici o di autoanticorpi che cross-reagiscono con le cellule
nervose. Tali sindromi si possono pertanto dividere in due gruppi,
endocrino e neurologico, le prime migliorando con il trattamento della
neoplasia, le seconde molto meno modificabili.
Sindromi di tipo endocrino Sindromi di tipo neurologico
Inappropriata secrezione di ADH S. miastenica di Lambert-EatonElevata produzione di ANP Degenerazione cerebellare
paraneoplasticaProduzione ectopica di ACTH
Encefalomielite paraneoplastica
Ipercalcemia Neuropatia sensitiva paraneoplasticaRetinopatia associata al microcitoma
Pseudo-ostruzione intestinale
Da segnalare per le alterazioni sierologiche:
Sindrome da inappropriata secrezione di ADH:
iponatriemia
ipoosmolalità sierica (<275 mOsm/kg)
elevata escrezione urinaria di Na+ (>25 mEq/L)
elevata osmolalità urinaria
i livelli di neurofisine sembrano correlare con l’estensione della neoplasia e
la risposta alla terapia
Elevata produzione di ANP:
iponatriemia meno severa
natriuria
57
ipotensione
Secrezione ectopica di ACTH:
ipokaliemia
elevati livelli di ACTH o cortisolo con perdita del ritmo
circadiano
elevata cortisoluria
Clinicamente, sebbene la maggior parte dei microcitomi sia in
grado di sintetizzare ACTH, le manifestazioni della S. di Cushing
sono rare (2.4%) e quando presenti in genere si limitano a edemi
periferici e miopatia prossimale.
Ipercalcemia:
produzione di PTH o sostanze simili, rara evenienza nei microcitomi a differenza del NSCLC.
Encefalomielite paraneoplastica e Neuropatia sensitiva
paraneoplastica:
presenza nel siero e nel liquor di autoanticorpi antinucleoproteine neuronali (anti-Hu).
Altre sindromi paraneoplastiche:
granulocitosi, molto rara
anemia emolitica microangiopatica, molto rara
trombocitosi (30-40%)
stati ipercoagulativi (10-15%)
Clinica
La preferenza del microcitoma per un bronco principale fa sì che la
tosse sia uno dei sintomi più frequenti accompagnata da dispnea,
dolore, polmonite da ostruzione, emottisi, quest’ultima meno
frequente rispetto alle attese per l’iniziale localizzazione sottomucosa
del tumore. Tra le possibili successive evoluzioni prevale
l’interessamento del mediastino che può riguardare l’infiltrazione del
nervo ricorrente (15% dei casi), del frenico (rara), dell’esofago e la
compressione-ostruzione della vena cava superiore, presente
all’esordio del 12% dei microcitomi. La sindrome da ostruzione cavale
procede da un iniziale edema e rigonfiamento del braccio destro
58
(spesso misconosciuto) alla dilatazione delle vene superficiali
dell’emitorace destro, all’edema e al rigonfiamento del volto con
comparsa di soffusione emorragica sottocongiuntivale fino a sfociare
nell’edema cerebrale ingravescente con stato confusionale, coma e
morte (wet brain syndrome).
Il versamento pleurico è presente all’esordio nel 15% dei casi, in
genere sostenuto da ostruzione linfatica provocata dal tumore a
localizzazione ilare e meno frequentemente da interessamento
pleurico neoplastico. La disseminazione retrograda per via linfatica di
cellule neoplastiche dei linfonodi mediastinici può dare un
versamento pericardico.
In più del 60% dei pazienti sono presenti metastasi a distanza sin
dalla presentazione iniziale e dalla avvenuta diagnosi che, per quanto
precocemente possa essere posta all’insorgenza dei primi sintomi, è
già tardiva per un’eventuale terapia chirurgica; le sedi più frequenti
di metastasi sono: fegato (30%), ossa (30%), midollo osseo (20%),
encefalo (<15%), linfonodi extratoracici, tessuti molli (compresi
surreni, pancreas e reni), cute.
Le recidive sono molto comuni e la sopravvivenza a 5 anni solo
dell’8%.
Diagnosi
Innanzitutto è estremamente importante un’accurata valutazione clinica che
prenda in considerazione i sintomi polmonari, l’eventuale presenza di sintomi da
interessamento cerebrale (le metastasi cerebrali sono frequentemente
sintomatiche) o epatico (frequenti alterazioni degli enzimi epatici se presenti
metastasi) e il corteo sintomatologico e laboratoristico che può essere dato dalle
sindromi paraneoplastiche.
Una semplice radiografia del torace, da eseguire immediatamente
al benché minimo sospetto, può fornire molte notizie nel microcitoma,
da integrare ovviamente con un esame T.C. torace ed addome
superiore.
La fibrobroncoscopia permette in una buona percentuale dei casi di
ottenere la diagnosi istologica.
59
Il successivo percorso diagnostico deve tendere all’accertamento
delle metastasi a distanza; ovviamente in assenza di sintomi clinici
indicativi di organi particolari si procederà basandosi sulla frequenza
dell’interessamento metastatico, cominciando pertanto ad indagare
l’apparato scheletrico (scintigrafia ossea) e l’addome (preferibilmente
T.C. ma anche ecografia) e passando poi all’encefalo (T.C. o R.M.N.).
Per quanto concerne le metastasi al midollo osseo, che possono
esistere alla presentazione della malattia nel 17-34% dei pazienti,
generalmente non si procede ad agoaspirato/biopsia osteomidollare
se non in presenza di dati clinici o laboratoristici, come l’aumento
dell’LDH e presenza di citopenia, che possano suffragarne
l’interessamento.
Da un punto di vista laboratoristico, infine, occorre sottolineare che
il microcitoma produce un’elevata quantità di polipeptidi e
glicoproteine che con la distruzione delle cellule neoplastiche
vengono immessi in circolo, le più importanti delle quali sono l’enolasi
neurono-specifica (NSE), l’antigene carcinoembrionario (CEA),
l’isoenzima BB della creatinchinasi (BB-CK), la cromogranina A (CGA),
il peptide che rilascia la progastrina (pro-GRP), la molecola di
adesione delle cellule neurali (NCAM). La concentrazione sierica di
alcune di queste sostanze, in particolare la NSE ed il CEA, correla con
la massa neoplastica, non discriminando tuttavia tra malattia toracica
ed extratoracica e rimanendo pertanto la loro utilità confinata al
controllo dell’andamento della malattia.
Stadiazione e prognosi
L’inefficacia della terapia chirurgica nel microcitoma, per la
diffusione della malattia al momento della diagnosi e la necessità di
ricorrere, pertanto, alla terapia antineoplastica sistemica quale
terapia primaria ha da molto tempo semplificato la stadiazione del Ca
polmonare a piccole cellule in due gruppi principali, malattia limitata
(ML), quando il tumore è confinato ad un emitorace ed ai linfonodi
regionali e malattia estesa (ME), comprendente tutte le condizioni al
60
di là di questi limiti; negli ultimi tempi tuttavia, in sottogruppi con
malattia molto limitata, è stato riproposto con successo l’intervento
chirurgico accanto alla terapia antineoplastica, riacquisendo così
importanza la necessità di una stadiazione TNM più dettagliata.
Tra i fattori prognostici, l’estensione della neoplasia è il più
importante, non solo differendo la prognosi tra ML e ME, ma anche,
nell’ambito della ME, la sopravvivenza si riduce con il numero delle
sedi metastatiche interessate. Tra i fattori legati al paziente, invece,
lo stato generale è il più significativo mentre condizioni associate che
sembrerebbero migliorare la sopravvivenza sono il sesso femminile e
l’età meno avanzata. La risposta alla terapia antineoplastica, infine, è
considerato un significativo fattore prognostico di sopravvivenza.
Terapia
La rapida velocità di crescita e la frequente presenza di metastasi a
distanza al momento della diagnosi rendono deludenti i risultati della
chirurgia che rimane oggi limitata solo ai pochi casi di ML, quando
cioè sia possibile un controllo locale della neoplasia. Viene comunque
sempre affiancata da terapia medica radioterapica ed antineoplastica
sistemica, che rimangono le uniche terapie in grado di allungare
parzialmente la sopravvivenza, in particolare la terapia citotossica
sistemica. Allo stato attuale, tuttavia, solo una piccola percentuale di
pazienti sopravvive a 5 anni, ciò riproponendo la necessità di nuove
terapie ed approcci.
61
MALATTIE DEL MEDIASTINO
Il mediastino può essere sede di una varietà eterogenea di processi patologici che si originano dagli organi e strutture in esso contenuti. Tuttavia per consuetudine si è soliti escludere dalla trattazione della patologia mediastinica le affezioni a carico dell'esofago, della trachea, del cuore, dei grossi vasi e dei traumi aperti e chiusi del mediastino che vengono compresi nel più ampio capitolo dei traumi del torace. Pertanto prenderemo in considerazione soltanto le affezioni infiammatorie, displastiche e neoplastiche, che interessano le altre strutture contenute nel mediastino o gli organi in esso migrati.
Malattie Infiammatorie del Mediastino
Le Mediastiniti si distinguono in acute, caratterizzate da una sepsi di tipo purulento del cellulare lasso mediastinico, ed in croniche, nelle quali l’aspetto patomorfologico è un processo cicatriziale ad evoluzione fibrotica che interessa il connettivo che avvolge gli organi mediastinici.La mediastiniti acuta è una grave malattia che di solito provoca manifestazioni eclatanti. Le cause dell’affezione possono essere varie ed includono le perforazioni dell’esofago e tracheobronchiali, le infezioni odonto stomatologiche e faringee (20-30 % di tutte le mediastiniti), le ferite penetranti del torace. L’infezione del mediastino può anche verificarsi come complicanza postoperatoria dopo interventi di chirurgia cardio-toracica ( deiscenze esofagee dopo anastomosi chirurgiche).La propagazione al mediastino di una infezione della cavità orale si accompagna alla comparsa di un grave quadro setticemico che oltrepassa i limiti del mediastino e determina una compromissione multiorgano (mediastinite discendente necrosante). Il primo caso di mediastinite discendente necrosante (MDN) secondaria ad una banale infeziore della cavità oro-faringea e della arcata dentaria fù descritta da Pearse nel 1938.In genere il fattore etiologico di questa grave patologia è lo streptocco B emolitico del gruppo C, tuttavia altri germi sono stati riscontrati come le klebsielle, lo stafilococco Brevotelle, lo pseudomonas etc.In circa 80-85% dei casi la mediastinite si riscontra in giovani di sesso maschile con una sintomatologia che è aspecifica ma che consente di pervenire ad una corretta diagnosi dopo una anamnesi accurata ed un attento esame clinico. I sintomi, tipicamente ad esordio improvviso, sono comunemente rappresentati da febbre alta, tachicardia, malessere e
62
leucocitosi. E’ in genere presente intenso dolore al torace o al collo e trisma. Il dolore cervicale, quasi sempre associato ad enfisema sottocutaneo, è più frequente quando la mediastinite è secondaria ad una perforazione esofagea.La comparsa di dolore e febbre dopo un atto chirurgico od endoscopico sull’esofago è sinonimo di perforazione, finchè non è dimostrato diversamente, e costituisce indicazione ad un immediato esofagogramma. Lo studio contrastografico dell’esofago con mezzo di contrasto idrosolubile. permette di stabilire la diagnosi e di dimostrare l’esatta sede della perforazione. La radiografia del torace può confermare la diagnosi dimostrando la presenza di aria in sede cervicale o mediastinica o un idro-pneumo-torace, anche se un normale reperto radiografico non eslude la perforazione.Uno studio TC del collo e del torace nei pazienti con MDN deve essere considerata indispensabile nonostante le gravi condizioni del paziente. Esso consentirà di evidenziare, oltre all’impegno mediastinico, l’interessamento dei tessuti molli oroesofagei e l’eventuale diffusione ad uno o entrambi i cavi pleurici dell’infezione.Il trattamento della mediastinite acuta è correlato con il momento causale. Sebbene alcuni pazienti possano rispondere al solo trattamento conservativo, un tempestivo drenaggio della sede ascessuale rappresenta il mezzo più idoneo per controllare l’infezione.In presenza di una perforazione dell’esofago l’alimentazione orale deve essere immediatamente sospesa e devono essere prontamente iniziate la nutrizione parenterale totale (NPT) e l’ antibiotico terapia ad ampio spettro. Il tipo di trattamento dipende dalla valutazione dei parametri clinici e dalla esperienza del chirurgo. Secondo alcuni Autori la perforazione dell’esofago deve essere trattata chirurgicamente entro 6-8 ore dall’evento traumatico. La linea di sutura esofagea va rinforzata con un lembo peduncolato di muscolo intercostale o con un flap pleurico, pericardico o diaframmatico.Anche nella MDN il trattamento è prevalentemente chirurgico che va effettuato il più precocemente possibile in considerazione dell’alta mortalità (30-40% dei casi) tutt’oggi riferita in letteratura. Un’ ampia cervicotomia ed una toracotomia postero laterale con drenaggio del mediastino e del cavo pleurico sono le vie d’aggressione oggi più comunemente utilizzate. Il drenaggio mediastinico transcervicale o al di sotto del processo ensiforme dello sterno devono essere eseguiti solo quando il materiale purulento non oltrepassa la biforcazione tracheale ed è localizzato nel mediastino anteriore.Oggi nelle fasi iniziali dell’ infezione mediastinica può essere esaguito con successo il drenaggio mediastinico per via toracoscopica. In ogni caso il trattamento chirurgico deve
63
essere integrato sia con una adeguata terapia antibiotica sia da una terapia parenterale di supporto.La mediastinite cronica è il risultato di una flogosi granulomatosa, che il più delle volte colpisce i linfonodi paratracheali e sottocarenali del mediastino superiore (mediastinite cronica circoscritta). La tubercolosi era una volta la causa più comune di questa forma di mediastinite, ma oggi l'istoplasmosi appare essere più frequente.La mediastinite cronica può rappresentare la normale evoluzione di una mediastinite acuta diffusa; tuttavia può essere anche post-traumatica, post-attinica od essere dovuta a silicosi, sclerodermia o infine a malattia di Hodgkin ad impronta particolarmente sclerotizzante (mediastinite cronica diffusa).In molti casi non è possibile riconoscere l'agente eziologico, neanche dopo prelievo bioptico mediante mediastinoscopia (mediastinite cronica idiopatica).L'intensa reazione infiammatoria provoca in genere una grave fibrosi mediastinica con compressione della vena cava superiore dell'esofago, della trachea o di un bronco principale con la comparsa dei segni e sintomi della sindrome mediastinica.Nelle forme di mediastinite cronica circoscritta è possibile attuare la terapia chirurgica, che consiste nella asportazione dei conglomerati linfonodali rinunciando ad una exeresi radicale quando le linfoadenopatie siano strettamente aderenti alle strutture vascolari e nervose del mediastino.Nella mediastinite cronica diffusa il chirurgo si trova di fronte ad un mediastino congelato che rende impossibile qualunque trattamento.
2 – GOZZO MEDIASTINICO I gozzi mediastinici (g.m.) sono tumefazioni, costituite da tessuto tiroideo patologico, il cui diametro maggiore giace al di sotto dello stretto superiore del torace per almeno 4 cm. nel paziente in decubito supino e con il collo iperesteso. Nei gozzi cervico-mediastinici lo sviluppo endotoracico del gozzo è prevalente rispetto a quello cervicale, mentre nei gozzi mediastinici veri od autonomi è assente la tumefazione cervicale ed il gozzo si estrinseca eclusivamente in sede intratoracica.E' una malattia dell'età adulta (dai 40 ai 70 anni di età ), con una certa maggiore prevalenza nel sesso femminile.I g.m. veri si distinguono in gozzi ectopici o primitivi e gozzi migrati o secondari. Il gozzo mediastinico ectopico, di riscontro oltremodo raro, si sviluppa da noduli tiroidei ectopici ed in maniera caratteristica manca di un peduncolo parenchimale che lo collega alla tiroide cervicale. La vascolarizzazione è
64
indipendente e può avvenire attraverso l'arteria tiroidea ima, l'aorta, la succlavia, la mammaria interna.Il meccanismo di formazione dei gozzi ectopici è riconducibile ad un disguido nel normale sviluppo morfogenetico della tiroide. Durante la vita intrauterina, il tronco arterioso, posto in vicinanza dell'abbozzo principale della tiroide, può trascinare con sè piccoli frammenti di tessuto tiroideo nel tragitto che compie sino a raggiungere la sua sede definitiva. Questi frammenti costituiranno le tiroidi mediastiniche ectopiche che possono coesistere con una tiroide in sede normale e restare il più spesso inattive, oppure aumentare di volume per lo stimolo iperplasiogeno determinato dall'aumentata increzione di TSH.In rapporto al loro meccanismo di formazione i gozzi mediastinici ectopici occupano, nella maggioranza dei casi, lo spazio mediastinico anteriore anche se viene ammessa la possibilità di una localizzazione mediastinica posteriore.Il gozzo mediastinico migrato, affezione relativamente frequente, riconosce invece la sua origine nella graduale migrazione nel mediastino di uno struma dalla sua sede cervicale originaria, come è dimostrato sia dall'esistenza di un peduncolo di connessione parenchimale o fibrosa con la tiroide cervicale e, soprattutto, dall'irrorazione rappresentata dalle arterie e vene tiroidee.Una volta oltrepassato lo stretto superiore del torace, il gozzo può svilupparsi in tutte le direzioni. La maggiore distensibilità del cellulare mediastinico attorno ai vasi venosi e la barriera rappresentata dall'arco aortico, rendono spiegazione della maggiore tendenza del gozzo mediastinico ad occupare la regione antero-superiore ed il lato destro del mediastino.
I rapporti anatomici assunti dal gozzo nella sua migrazione mediastinica condizionano il quadro clinico e la scelta della più opportuna via di aggressione chirurgica. Per tali motivi appare estremamente utile ai fini pratici la suddivisione dei g.m. basata su criteri anatomo-topografici:- gozzi previscerali o pretracheali- gozzi lateroviscerali o laterotracheali- gozzi retroviscerali, intertracheoesofagei o retroesofagei.I gozzi previscerali rappresentano la varietà più frequente di g.m. e si approfondano nella loggia pretracheale del mediastino superiore. Nello spazio previscerale il gozzo si trova di solito posto dietro i grossi vasi venosi dai quali è separato dallo sdoppiamento della fascia cervicale media. Per tale ragione lo sviluppo retrovenoso di gran lunga il più frequente. Più rari i gozzi a sede prevascolare che occupano la loggia timica e rimangono compresi tra il tronco venoso brachiocefalico al di dietro e lo sterno al davanti.
65
Il gozzo previscerale è per lo più ad estensione mediana e simmetrica, comprime la trachea dal davanti all'indietro determinandone la deformazione in senso antero - posteriore. La trachea può essere deformata a semiluna, ad ogiva, a fodero di sciabola, o a clessidra se l'estensione in senso anulare è limitata ad un breve tratto.I gozzi lateroviscerali meno frequenti di quelli pretracheali, sono a sviluppo primitivamente laterale o possono assumere tale posizione secondariamente nel corso della migrazione mediastinica.I gozzi retroviscerali costituiscono la varietà più rara di g.m. Si originano dalla porzione posteriore di uno dei lobi tiroidei e possono accrescersi tra la trachea e l'esofago (gozzi intertracheoesofagei) o al di dietro dell'esofago (gozzi retroesofagei).Dal punto di vista istologico i g.m. sono più frequentemente del tipo colloidale e la degenerazione neoplastica si osserva soltanto nel 2-5% dei casi.Dal punto di vista clinico i pazienti affetti da g.m. si possono dividere in tre gruppi:- il primo gruppo è asintomatico (30% dei casi) ed il gozzo, che non ha raggiunto notevoli dimensioni, è scoperto accidentalmente per mezzo di una radiografia del torace;- il secondo gruppo, più raro (10% dei casi), si manifesta con sintomi da tireotossicosi;- il terzo gruppo, più numeroso, si caratterizza per I sintomi da occupazione mediastinica.Nella maggior parte dei casi la sintomatologia, che evolve in maniera lenta, è costituita da disturbi respiratori, della fonazione e da ostacolato ritorno venoso; più rari sono invece i segni di compressione sull'esofago e sulle strutture nervose adiacenti.
I disturbi della fonazione possono riconoscere la loro causa sia nella paralisi o paresi del ricorrente, come anche nello spostamento dalla linea mediana e nella torsione dell’asse laringo-tracheale come si verifica soprattutto nei g.m. previscerali a sviluppo asimettrico. Non mancano le forme che esordiscono con i segni dell'insufficienza respiratoria acuta e in tali casi l'ostruzione acuta delle vie aeree è dovuta ad un brusco aumento di volume della massa endotoracica per emorragia endocistica.La diagnostica dei g.m. si avvale di dati clinici, biologico-funzionali ma soprattutto strumentali.L'esame obiettivo è significativo nei gozzi cervico-mediastinici in quanto evidenzia la tumefazione cervicale che si affonda nel torace e presenta movimenti sincroni con il tubo laringo-tracheale. Nei g.m. veri gli unici elementi clinici che possono rivestire importanza ai fini della diagnosi di natura sono il
66
rilievo anamnestico della scomparsa spontanea di un pregresso gozzo cervicale (segno della migrazione mediastinica del gozzo), la presenza di una cicatrice da intervento di tiroidectomia, la percezione palpatoria di una tumefazione affiorante al giugulo nei profondi atti espiratori e/o sotto i colpi di tosse.La sintomatologia funzionale si manifesta soltanto in circa il 10% dei pazienti con segni di ipertiroidismo.Le indagini strumentali consentono la definizione della sede, dei rapporti topografici e talora anche la diagnosi di natura della lesione.L’esame radioscopico del mediastino con intensificatore di brillanza in ortostatismo è un'indagine iniziale, che consente lo studio dinamico dell'opacità mediastinica dimostrando la mobilità della massa consensuale al tubo laringotracheale con gli atti della deglutizione e sotto i colpi di tosse.Nei casi più tipici di g.m. l'esame radiografico standard del torace e la tomografia lineare dimostrano un aumento dei diametri trasversali del mediastino superiore per la presenza di un'opacità a grande asse verticale, che si estrinseca a sinistra o più frequentemente a destra, deviando controlateralmente la trachea. L'immagine generalmente omogenea, di media densità, a limiti netti, regolari, spesso lobati e talora presenta nel suo contesto delle calcificazioni.Negli strumi retroviscerali le maggiori informazioni sono fornite dagli stratigrammi laterali associati ad esofagografia. In quelli a sviluppo intertracheoesofageo l'immagine patognomonica è la diastasi esofagotracheale, mentre nei gozzi retroesofagei si evidenzia lo spostamento in avanti dell'esofago.La tomografia computerizzata (T.C.) ha reso ormai obsolete la stratigrafia e la xerotomografia. La TC consente di precisare la natura solida, cistica o mista della tumefazione, la localizzazione, l'estensione ed i rapporti con le strutture vicine, l'esistenza o meno di un piano di clivaggio ed i rapporti con le grosse strutture vascolari.La scintigrafia tiroidea con I131 o con Tc99 rappresenta l'unico metodo che consente di riconoscere con certezza la natura tiroidea di una tumefazione mediastinica. Questa indagine, tuttavia, ha valore diagnostico solo in caso di reperto positivo, mentre la sua negatività non consente di escludere un g.m. dal momento che nel 60-70% dei casi la massa risulta captante per le turbe regressive cui va incontro durante la sua discesa nel mediastino. E' più facile che la scintigrafia risulti positiva in quei casi di g.m. che si evidenziano in pazienti tiroidectomizzati.Le indagini strumentali fin qui analizzate rappresentano gli elementi fondamentali per qualunque protocollo di studio delle tumefazioni mediastiniche di sospetta natura tiroidea. Prima dell'intervento chirurgico risulta in ogni caso opportuno
67
effettuare un controllo della motilità delle corde vocali mediante l’esame laringoscopico.In presenza di una tumefazione mediastinica è sempre indicato l’intervento chirurgico e questa indicazione si pone in maniera assoluta allorquando è stata fatta diagnosi di g.m.Il principale problema nella chirurgia di questa affezione è la scelta della più opportuna via di aggressione. Nella maggior parte dei casi è possibile asportare il gozzo attraverso una cervicotomia isolata mentre in casi particolari è necessario ricorrere a vie di accesso complementari (sternotomia e/o toracotomia).La cervicotomia isolata è indicata nel trattamento dei gozzi previscerali, dei gozzi latero- o retro-viscerali quando è ancora possibile farli emergere dallo stretto toracico. Si preferisce invece associare una via di accesso complementare in presenza di compressione della vena cava superiore, quando le particolari dimensioni dello struma non ne consentono l'estrinsecazione attraverso lo stretto toracico superiore, in caso di cancerizzazione o quando il paziente è stato già sottoposto ad intervento di tiroidectomia o a terapia radiante.La chirurgia del g.m. può essere gravata da complicanze legate a lesioni accidentali di strutture anatomiche (emorragia, lesioni ricorrenziali, perforazione della trachea e dell'esofago) e a squilibri ormonali conseguenti all'exeresi del parenchima ghiandolare (ipotiroidismo, ipoparatiroidismo).
4 – ADENOMA PARATIROIDEO Gli adenomi paratiroidei si sviluppano nel mediastino anteriore e superiore nel 10% dei casi e sono spesso avvolti dal tessuto timico. Più rara è la localizzazione mediastinica posteriore, di solito nello spazio tra trachea ed esofago.La maggior parte di questi tumori sono ormonalmente attivi e la diagnosi è di solito posta in pazienti con evidenza clinica e di laboratorio di iperparatiroidismo (ipercalcemia ed aumento del paratormone, con manifestazioni urinarie ed osteo-articolari, anoressia, ipertensione arteriosa, turbe della conduzione e del ritmo cardiaco, adinamia muscolare).Le tecniche diagnostiche utilizzate per valutare i pazienti portatori di un sospetto adenoma paratiroideo mediastinico includono lo studio radiografico del torace, la scintigrafia radioisotopica con 75 Se-metionina, la T.C., l’angiografia con visualizzazione dell’arteria tiroidea inferiore e il cateterismo selettivo della vena tiroidea inferiore per il dosaggio radioimmunologico dell’ormone paratiroideo. Le possibilità del riconoscimento della localizzazione mediastinica di un adenoma paratiroideo sono recentemente migliorate con l’uso della scintigrafia mediante la tecnica del doppio tracciante
68
(99m-tecnezio e 201 tallio) e sottrazione computerizzata dell'immagine.
5 – CISTI MALFORMATIVE Le cisti malformative non sono veri tumori ma displasie costituite da tessuti normalmente presenti nel mediastino ("disembriomi omoplastici"). Esse sono rappresentati dalla cisti broncogena, dalla cisti celomatica e dalla cisti da duplicazione.
A – Cisti broncogena La cisti broncogena prende origine da un germe embrionario distaccatosi dall'albero tracheobronchiale in via di sviluppo durante la III – IV settimana di gestazione. In relazione alla sua genesi embriologica tale cisti è pertanto indipendente dall'albero tracheobronchiale, con il quale può talvolta essere collegata mediante un peduncolo fibrovascolare che ne documenta la primitiva origine.La cisti broncogena è il disembrioma omoplastico più frequente del mediastino. Colpisce con eguale frequenza I due sessi, soprattutto nel periodo di vita compreso tra i 20 ed i 40 anni.La localizzazione più comune è il mediastino medio, a sede paratracheale, carenale ed ilare. Le cisti del mediastino posteriore, per gli stretti rapporti di contiguità con l'esofago, vengono invece definite paraesofagee.La cisti ha forma rotondeggiante, cavità unica, parete spessa. Il suo contenuto è per lo più mucoide, talvolta color cioccolato per la presenza di pigmento ematico (Fig.20d). La parete è tappezzata da mucosa bronchiale con cellule cilindriche o cuboidi ciliate e nel suo spessore sono presenti uno o tutti gli elementi bronchiali: muscolatura liscia, fibre elastiche, cartilagine, ghiandole di tipo bronchiale, cumuli linfoidi.Le manifestazioni cliniche sono strettamente correlate con i rapporti che la cisti contrae con l'albero tracheo-bronchiale. Le cisti paratracheali, specie se di modeste dimensioni, sono spesso asintomatiche e costituiscono un reperto radiografico del tutto occasionale.Le cisti carenali, anche se di piccolo volume, si rivelano invece precocemente con disturbi in genere di tipo compressivo-meccanico prevalentemente a carico dell'apparato respiratorio. L'azione compressiva sull'esofago è di rara osservazione.La cisti broncogena può infine manifestarsi con sintomi di tipo suppurativo dovuti all'infezione della cavità. In rari casi è descritta anche la degenerazione neoplastica.L'iter diagnostico si avvale dello studio radiologico tradizionale e della TC. L'aspetto di più frequente riscontro, evidenziabile
69
con la radiografia standard del torace in duplice proiezione, è quello di un'opacità unica, omogenea, a sede mediastinica, a volte responsabile soltanto di una modesta deformazione del profilo mediastinico.La tomografia computerizzata è utile per definire la natura cistica della lesione ed i suoi rapporti con le strutture circostanti.La terapia delle cisti broncogene è chirurgica anche nel caso di pazienti asintomatici, per prevenire le possibili complicanze (suppurazione, degenerazione neoplastica). Il trattamento consiste nell'asportazione della cisti per via toracotomica o toracoscopica videoassistita. In genere è possibile eseguire l'enucleazione della cisti in maniera agevole in quanto esiste un piano di clivaggio con le strutture circostanti ; è sempre buona norma ricercare e legare accuratamente il peduncolo fibrovascolare, che talvolta congiunge la cisti con la trachea o con l'albero bronchiale. B – Cisti celomatica o pleuropericardica La cisti mediastinica da disembriogenesi del celoma pleuropericardico (30% di tutti i disembriomi omoplastici) si localizza di solito nel mediastino anteriore, in corrispondenza dell'angolo cardiofrenico destro (70% dei casi). Nonostante la genesi congenita, si osservano raramente nei bambini.Secondo l'ipotesi embriogenetica più accettata esse originano nel momento in cui le lacune craniali del celoma intraembrionale si uniscono dando luogo alla formazione della cavità pericardica definitiva. Se una delle primitive lacune celomatiche sfugge al processo di fusione e si accresce in maniera autonoma, si formerà una cavità separata dal pericardio, che costituirà la cisti.Le cista celomatica ha forma rotondeggiante, raggiunge il diametro medio 8-10 cm. e la sua parete è costituita da una membrana fibrosa, sottile, trasparente ed elastica, in genere sotto leggera tensione che riproduce la struttura istologica delle sierose. La superficie esterna è di solito liscia e lucente. Il contenuto è per lo più costituito da un liquido limpido, incolore, con i caratteri del trasudato. La cisti celomatica è nella grande maggioranza dei casi asintomatica e viene scoperta accidentalmente. Il quadro clinico, quando presente, è caratterizzato da tosse stizzosa, dolore riferito alla base dell'emitorace sede della cisti e talora disturbi cardiaci, quali cardiopalmo e turbe del ritmo.Molto utile ai fini diagnostici risulta la valutazione topografica della neoformazione. Alla radiografia del torace la cisti appare come un'opacità rotondeggiante od ovalare, a margini netti e regolari che occupa preferibilmente l'angolo cardiofrenico
70
anteriore destro. In proiezione laterale l'opacità si sovrappone su quella cardiaca.L'aspetto tomografico computerizzato di queste lesioni è spesso caratteristico: la densità è omogenea, di tipo liquido e la cisti è delimitata da un sottile cercine non distinguibile dal foglietto pericardico. L'asportazione chirurgica, oggi attuabile anche per via toracoscopica videoassistita, è l'unico mezzo terapeutico definitivo, anche se sono stati descritti casi trattati con successo mediante la semplice agoaspirazione.
C – Cisti da duplicazione La cisti da duplicazione del mediastino, detta anche cisti enterogena o duplicazione digestiva, origina da abbozzi anomali dell'intestino primitivo. Può essere localizzata ad ogni livello nel mediastino posteriore, sempre a ridosso dell'esofago in contiguità con la sua parete. Occasionalmente è situata all'interno della muscolatura dell'esofago e talora comunica mediante un peduncolo trans-diaframmatico con lo stomaco, il duodeno od il digiuno (duplicazione toraco- addominale). Raramente la cisti è multipla e in alcuni casi è associata con duplicazioni del tratto gastroenterico o con anomalie vertebrali, soprattutto delle ultime vertebre cervicali e delle prime dorsali.La parete cistica, liscia, è composta da uno strato muscolare e da una mucosa che può riprodurre quella dell'esofago, dello stomaco, dell'intestino tenue od essere mista.Dal punto di vista clinico, escluse le forme asintomatiche, la cisti da duplicazione si rivela spesso con fenomeni di compressione sull'esofago o sull'albero tracheobronchiale. Le cisti di tipo gastrico possono esordire con complicanze ulcerative, emorragiche o perforative. E' stato descritto un solo caso di adenocarcinoma insorto su una cisti enterica del mediastino superiore.Nei rari casi associati ad anomalie vertebrali, la cisti, in continuità con le meningi o con il midollo spinale mediante un tramite contenente elementi neurali, può provocare manifestazioni cliniche di tipo meningitico. Questo tragitto può essere pervio e in tal caso può essere evidenziato con la mielografia.L'iter diagnostico ed i principi del trattamento chirurgico sono sovrapponibili a quelli degli altri disembriomi omoplastici .
6 – TUMORI GERMINALI
71
I tumori germinali si sviluppano da una cellula embrionaria totipotente contenuta nel mediastino che può dare origine a neoformazioni benigne costituite da tessuti ben differenziati (cisti dermoidi e teratomi) o a neoplasie maligne costituite da tessuti più o meno indifferenziati (seminoma, coriocarcinoma, carcinoma embrionario, tumore del sacco vitellino).Le cisti dermoidi ed i teratomi sono localizzati nel mediastino anteriore e si accrescono in modo prevalente verso uno dei due emitoraci, più spesso il destro, mentre rara è la localizzazione mediastinica posteriore. Nonostante la loro origine congenita, essi si evidenziano di solito nella età adulta.I costituenti istologici di queste neoformazioni variano dai soli tessuti ectodermici, nella cisti dermoide, ad un insieme di tessuti di origine endodermica, ectodermica e mesodermica nelle più complesse varietà solide (teratomi), nelle quali sono state anche evidenziate, mediante l'istochimica, cellule dotate di attività secretiva di tipo endocrino ed esocrino. Nella maggior parte dei casi il tumore ha piccole dimensioni e viene scoperto per caso; più raramente raggiunge dimensioni tali da comprimere le strutture adiacenti o può inoltre rompersi nello spazio pleurico, nel pericardio, nell'aorta o nella vena cava. Talvolta una vomica di inclusi anomali quali peli, capelli o frammenti di materiale sebaceo, dovuta ad una fistola cistobronchiale, può aprire il quadro sintomatologico. I teratomi devono essere prontamente asportati. Le dimensioni raggiunte dal tumore e la flogosi circostante, legata all'attività secretiva delle cellule, non sempre ne rende agevole l'enucleazione. Nel 10-20% dei casi il teratoma è maligno (teratocarcinoma). E’ stato dimostrato che non esiste una stretta correlazione tra l'età del paziente, le dimensioni del tumore e l'incidenza di malignità. Le forme maligne hanno un decorso clinico rapidamente evolutivo con precoci segni di infiltrazione a carico degli apparati cardiovascolare e/o respiratorio con la conseguente insorgenza di un versamento emorragico. Il sospetto di un teratoma maligno rende necessaria la conferma diagnostica che si ottiene mediante l'esecuzione di un'agobiopsia per aspirazione e il dosaggio nel sangue dell’ alfafetoproteina (AFP) e del antigene carcinoembrionario (CEA) i cui livelli ematici risultano frequentemente elevati.La prima fase del trattamento del teratoma maligno è la chemioterapia con cisplatino, alla quale può seguire, una volta normalizzati i valori dei markers tumorali., quando possibile, il trattamento chirurgico.Nel mediastino si localizzano altri tumori maligni di origine embrionaria. Il seminoma, che è la forma più frequente, può essere scoperto accidentalmente o può dare segno di sè a
72
causa dei sintomi dovuti alla infiltrazione del pericardio, dei vasi mediastinici, della pleura e del polmone.Il coriocarcinoma, il tumore del sacco vitellino ed il carcinoma embrionario sono neoplasie rare, estremamente aggressive e quasi mai resecabili in maniera radicale. Le prime due forme neoplastiche colpiscono prevalentemente il sesso maschile e possono dare segni di femminilizzazione con ginecomastia ed atrofia testicolare.Anche questi tumori spesso producono AFP e gonadotropina corionica umana (HCG). Pertanto le misurazioni programmate di questi markers biologici, oltre a costituire un valido elemento diagnostico, consentono di monitorizzare i risultati del trattamento.Importante ai fini terapeutici e prognostici è la distinzione istologica tra tumori di natura seminomatosa e non. I seminomi sono radiosensibili e la combinazione di exeresi chirurgica con la terapia radiante dà una percentuale di sopravvivenza a 5 anni di circa il 75%, mentre i tumori non seminomatosi sono radioresistenti e soltanto il 2-3% dei pazienti sopravvive più di 16 mesi dopo il trattamento chirurgico.
7 – LINFOADENOPATIE
Le adenopatie di natura flogistica (sarcoidosi, tbc, istoplasmosi, toxoplasmosi) o neoplastica, primitiva o metastatica, si localizzano nel mediastino anteriore e medio costituendo un reperto radiologico accidentale o talora evidenziandosi con I segni e I sintomi della sindrome mediastinica. Dal punto di vista radiologico le linfoadenopatie mediastiniche possono manifestarsi sotto forma di grossolane opacità che sconfinano in uno o in entrambi gli emitoraci fino ad occuparli quasi interamente o come opacità policicliche bilaterali che talora assumono un aspetto ad "ali di farfalla" od infine come opacità policiclica monolaterale. Il compito del chirurgo in queste affezioni è soprattutto quello di ottenere una diagnosi istologica definitiva. Per raggiungere questo obiettivo le tecniche citologiche per agoaspirazione molto spesso non sono adeguate, e pertanto e necessario un generoso campione di tessuto, che si può ottenere o attraverso una mediastinoscopia o mediante una mediastinotomia anteriore sec. Chamberlain.
8 – TUMORI TIMICI
Le malattie del timo sono di frequente riscontro e comprendono principalmente l'iperplasia, la cisti e le neoplasie.
73
A - iperplasia Timica
Sulla base di criteri morfologici si distinguono l'iperplasia vera e l'iperplasia linfofollicolare a cui può essere associata la miastenia gravis. L’iperplasia vera, rara, è caratterizzata dall'aumento di volume e di peso del timo con un quadro microscopico normale in relazione all'età del paziente. L'eziologia di questa lesione, che colpisce la prima infanzia, non è chiara, sebbene alcuni Autori ritengono che essa sia secondaria ad una disfunzione dell'attività endocrina delle cellule epiteliali.Clinicamente può essere del tutto asintomatica o causare una sindrome da occupazione mediastinica più o meno grave. In taluni casi possono essere associate epatosplenomegalia e linfoadenopatie diffuse.Nell’iperplasia linfofollicolare la ghiandola timica può avere dimensioni pressocchè normali e nella sua midollare è costante il riscontro di numerosi follicoli linfatici con centri germinali iperplastici.Questo tipo di alterazione timica è stata riscontrata in numerose malattie autoimmuni, quali la miastenia gravis, il lupus eritematoso sistemico, la sclerodermia, l'artrite reumatoide, la periarterite nodosa, la tiroidite di Hashimoto, la malattia di Behcet e la sindrome di Sjogren.Tra queste la forma più frequente è la miastenia gravis (M.G.)‚ sindrome ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da una progressiva e rapida riduzione dell'attività muscolare striata conseguente ad un'alterazione della trasmissione dello stimolo motorio a livello della giunzione neuromuscolare.La M.G. ha una prevalenza di 0,5-5/100.000 abitanti ed un'incidenza di 0,4/100.000; il range di età interessato va dalla nascita alla VII decade. Il sesso femminile è più colpito di quello maschile (3-4:1). In circa 2/3 dei pazienti è possibile riscontrare una patologia timica, che è più spesso rappresentata dall'iperplasia linfofollicolare (60-90 %dei casi) e più raramente dal timoma (8,5 al 15 %).La maggior parte degli Autori inquadra la patogenesi della M.G. in una reazione complessa di tipo autoimmune e già nel 1960 Simpson metteva in evidenza con l'immunofluorescenza alti titoli di autoanticorpi antimuscolo in pazienti miastenici.La sintomatologia inizia subdolamente e quasi sempre i primi gruppi muscolari interessati dalla facile esauribilità sono quelli innervati dai nervi cranici. Tipicamente colpita‚ la muscolatura oculare estrinseca con ptosi palpebrale (Fig.25a), strabismo, diplopia. Successivamente il processo morboso si estende anche agli altri nervi cranici, compromettendo progressivamente la masticazione, la deglutizione, la mimica e
74
la fonazione. La facile esauribilità muscolare, qualora si instauri a carico dei muscoli della respirazione, comporta la comparsa di crisi di dispnea che possono sfociare nel quadro dell'insufficienza respiratoria acuta.Con il progredire della malattia, la stancabilità si fa sempre più marcata ed i periodi di riposo necessari per la ripresa funzionale dei muscoli diventano sempre più lunghi. Esistono diverse classificazioni cliniche della M.G. Quella proposta da Osserman distingue una M.G. pediatrica, che può essere neonatale o giovanile, e una M.G. dell'età adulta, che viene classificata in 5 gruppi in base all'eventuale grado di coinvolgimento dei centri bulbari e dei muscoli respiratori:
gruppo I : oculare gruppo II : generalizzata con esordio graduale
a) senza deficit respiratorio e/o bulbare,b) con deficit respiratorio e/o bulbare;
* gruppo III: forma fulminante;* gruppo IV : con deterioramento tardivo;* gruppo V : significativa atrofia muscolare. Le metodiche diagnostiche sono essenzialmente rappresentate dall'elettromiografia e da tests farmacologici.L’elettromiografia viene eseguita con una stimolazione elettrica percutanea, ripetitiva e massimale, dei nervi ulnare e mediano a livello del polso. Le risposte sono considerate significative per M.G. se l'ampiezza dei potenziali evocati mostra un graduale decremento. I tests farmacologici possono essere di tipo scatenante (d-tubocurarina) od inibente (edrofonio). Il test inibente è più sicuro, sebbene la somministrazione dell'edrofonio può associarsi ad effetti collaterali muscarinici e nicotinici.La terapia della M.G. nelle fasi iniziali è di tipo medico e si basa sull’impiego di anticolinesterasici e corticosteroidi.Oggi si è ormai concordi nel porre precocemente indicazione alla timectomia (eseguibile anche in video-toracoscopia) in tutti i pazienti con M.G. generalizzata; tale indirizzo, invece, non esiste ancora per la forma oculare pura. La timectomia migliora la sintomatologia nel 75% dei pazienti affetti da M.G. e nel 30% dei casi si assiste ad una completa regressione dei sintomi. I pazienti con M.G. associata a timoma ottengono un miglioramento solo nel 25%dei casi.
B – Cisti timica
Il riscontro di una cisti timica costituisce un evento poco frequente, ma sufficientemente noto. Essa può svilupparsi lungo la linea di migrazione dell'abbozzo timico, dall'angolo della mandibola al manubrio sternale (cisti cervicale) e nel
75
mediastino anteriore fino al diaframma (cisti mediastinica). E’più frequente nell'età adulta, particolarmente tra i 20 ed i 40 anni, con eguale distribuzione nei due sessi.La cisti timica mediastinica ha forma ovalare o rotondeggiante e raggiunge solitamente dimensioni maggiori delle cisti cervicali, soprattutto quando hanno sede nel mediastino inferiore. Il contenuto liquido può essere limpido, torbido per la presenza di cristalli di colesterolo od emorragico. La diagnosi istologica può essere formulata esclusivamente sulla base del riscontro nella parete cistica di elementi epiteliali timici e corpuscoli di Hassal. La cisti è in genere asintomatica e viene evidenziate nel corso di esami radiologici di routine. Solo di rado può dare una sindrome da occupazione mediastinica. Lo studio radiografico, incluse la TC e la RMN, consente di porre la diagnosi generica di neoformazione cistica e di definire la sua localizzazione nel mediastino anteriore.La terapia dell'affezione è chirurgica e consiste nell'asportazione del timo.
C – Neoplasie timiche
I tumori del timo costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie attualmente suddivise, sulla base delle caratteristiche anatomo-cliniche, in tumori epiteliali, neuroendocrini, a cellule germinali, linfomi, timolipoma e timoliposarcoma. I tumori timici più frequenti sono le neoplasie epiteliali, che comprendono il timoma e il carcinoma. Il timoma è una neoplasia a lenta evoluzione, senza note citologiche di malignità ma con capacità di invasività locale. Può essere associato a varie sindromi quali la miastenia gravis, l'ipogammaglobulinemia, l'anemia emolitica autoimmune, il lupus eitematoso sistemico, la malattia di Cushing.Raro nei bambini, si osserva di solito nell'età adulta e costituisce il 6-10% dei tumori primitivi del mediastino e circa 1/3 di quelli della loggia anteriore.Macroscopicamente il tumore nella maggior parte dei casi, specie nelle prime fasi di sviluppo, si presenta come una neoplasia capsulata, ben circoscritta e lobulata. La superficie di taglio è tipicamente compatta, di colorito marrone-rosaceo, sepimentata da spessi tralci fibrosi che si dipartono dalla capsula.Il timoma è composto da due tipi di cellule, epiteliali e linfocitarie e si è soliti classificare tale neoplasia in timoma a predominanza linfocitaria, misto o a predominanza epiteliale a seconda che i linfociti rappresentino rispettivamente i 2/3 o più, da 2/3 a 1/3 e meno di 1/3 della popolazione cellulare
76
intratumorale. Indipendentemente dal tipo di cellularità predominante, soltanto la cellula epiteliale ha caratteristiche neoplastiche e in genere senza atipie citonucleari. Una varietà di timoma a predominanza epiteliale è caratterizzata dall'aspetto fusato delle cellule ("spindle-cell thymoma"), che determina quadri istologici simil-mesenchimali.
Nonostante l'assenza di caratteristiche citologiche di malignità , il timoma può presentare la tendenza all'invasività locale (timoma invasivo) e più raramente alla metastatizzazione a distanza (timoma metastatizzante). E' estremamente importante ai fini prognostici una precisa valutazione del grado di invasività della neoplasia che si basa sull'integrazione dei dati radiologici con quelli macroscopici ed istologici. Partendo da questi criteri Masaoka ha proposto una stadiazione che distingue 4 stadi:- stadio I: assenza di invasione della capsula;- stadio II: invasione microscopica della capsula od invasione macroscopica del tessuto adiposo mediastinico o della pleura mediastinica;- stadio III: invasione dei tessuti circostanti (polmone, pericardio, grossi vasi mediastinici); - stadio IVa: disseminazione pleurica o pericardica, - stadio IVb: metastasi a distanza. Le metastasi extratoraciche (linfonodi cervicali, scheletro, encefalo, fegato, ecc.) hanno un'incidenza estremamente bassa, che è inferiore al 5% dei casi, mentre più frequente è il riscontro di localizzazioni secondarie nelle superfici pleuriche, viscerale o parietale. E' controverso se queste localizzazioni pleuriche siano da interpretare come vere e proprie metastasi o come impianti cellulari mediati dal liquido pleurico.La sintomatologia del timoma è quanto mai varia ed è strettamente correlata alle dimensioni della neoplasia e al grado di dislocazione e di invasione delle strutture contigue. I tumori di diametro inferiore ai 5 cm. sono in genere asintomatici e rappresentano un reperto radiografico occasionale. Con l'aumentare delle dimensioni della neoplasia si possono manifestare i segni e i sintomi della sindrome mediastinica. Il quadro clinico può anche esordire con i sintomi della miastenia gravis.La diagnosi di timoma, oltre che sull'esame clinico, basata sullo studio radiologico. Le moderne metodiche diagnostiche (TC e RMN) hanno reso ormai inutili il pneumomediastino e le indagini angiocontrastografiche. Tuttavia lo studio radiologico convenzionale (fluoroscopia e radiografia standard del torace) svolge ancora un ruolo importante come indagine di primo livello, potendo evidenziare una anormalità del profilo mediastinico in oltre il 90% dei casi. La radiografia
77
convenzionale ha invece scarsa utilità nel valutare l'eventuale coinvolgimento delle strutture mediastiniche e quindi il carattere invasivo della neoplasia.In presenza di anormalità del profilo radiologico del mediastino o di miastenia gravis è fondamentale la valutazione con T.C. o R.N.M., che consentono di evidenziare tumori anche di piccole dimensioni e di valutare l'invasione delle strutture adiacenti. La neoplasia in genere si presenta come un'immagine ovalare e ben circoscritta a carico del mediastino anteriore, con caratteristiche densitometriche simili a quelle del timo e può contenere calcificazioni e/o aree cistiche. L'eventuale invasività, che deve essere sempre sospettata in presenza di notevoli dimensioni della neoformazione, è confermata dalla scomparsa delle normali linee di demarcazione interviscerali, meglio studiabili con sezioni a strato sottile. L’invasività dei timoma può essere ulteriormente investigata mediante la cavografia e la ecocardiografia, che consentono di valutare l'eventuale coinvolgimento della V.C.S. o delle cavità cardiache.La diagnosi di natura è in ogni caso affidata alla valutazione istologica, che si ottiene o mediante una biopsia incisionale attraverso una mediastinotomia anteriore o mediante prelievi agocitobioptici. Con questa seconda metodica la lettura dei preparati può porre notevoli problemi di diagnosi differenziale con le altre neoplasie mediastiniche e timiche ed in primo luogo con i linfomi. Per dirimere il dubbio diagnostico sono di grande ausilio le metodiche immunocitochimiche (perossidasi-antiperossidasi, ABC, antigene epiteliale di membrana). Il trattamento chirurgico del timoma è sempre indicato sia nelle forme capsulate che nelle forme invasive. La timectomia deve essere totale e può essere eseguita attraverso una cervicotomia con sternotomia parziale o attraverso una sternotomia mediana longitudinale totale. La toilette della loggia timica deve essere accurata per evitare di lasciare isolotti di parenchima ghiandolare che potrebbero essere causa di insuccesso della terapia chirurgica.Nelle forme invasive un'exeresi allargata alle strutture coinvolte (pericardio, pleura, polmone, vena cava, vena brachiocefalica) può ottemperare ai criteri di radicalità oncologica, mentre nelle forme non asportabili trova comunque indicazione una demolizione chirurgica citoriduttiva. La radioterapia è sempre indicata in queste forme invasive e da alcuni Autori è utilizzata anche preoperatoriamente. La sopravvivenza globale di tutti i pazienti sottoposti la timectomia è pari all'80% a 5 anni e al 75% a 10 anni. I timomi in stadio I mostrano i migliori dati di sopravvivenza a distanza (a 5 e 10 anni rispettivamente dell'89% e dell'86%); gli stadi II e III presentano sopravvivenze sovrapponibili a 5 e
78
10 anni ( 71% e 62% rispettivamente), mentre nello stadio IVa e IVb le sopravvivenze sono rispettivamente del 59% e del 39%. I timomi misti hanno la prognosi peggiore.Il carcinoma timico definisce i tumori derivati dall'epitelio timico con caratteristiche citologiche di franca malignità. E' una neoplasia molto rara, a rapida evoluzione, con spiccata tendenza all'invasività locale e alla diffusione metastatica a distanza.Macroscopicamente non è evidente una capsula ben definita, la superficie di taglio si presenta grigiastra e gommosa e sono frequenti aree di emorragia. Istologicamente si distinguono diverse varietà : il carcinoma squamoso linfoepitelioma-simile, il cheratinizzante, il basalioide, il carcinoma timico a cellule chiare, il carcinoma sarcomatoide ed il carcinoma mucoepidermoide.Frequenti sono i segni e i sintomi della sindrome mediastinica, mentre rara è l'associazione con la M.G.I tumori timici neuroendocrini sono rappresentati dal carcinoide e dal microcitoma. Entrambi questi istotipi secondo alcuni Autori potrebbero originare dal sistema APUD. Il carcinoide è costituito da "nidi" di cellule neoplastiche separati da uno stroma fibrovascolare; i bordi cellulari sono indistinti, il citoplasma lievemente eosinofilo e granulare, i nuclei rotondi con cromatina regolarmente distribuita e nucleoli non evidenti. Il microcitoma differisce dal carcinoide per lo scarso citoplasma, per le mitosi molto più numerose e per l'assenza dei nidi cellulari.Questi tumori si manifestano clinicamente con i sintomi e i segni da dislocazione delle strutture mediastiniche, che sono espressione dell'alta invasività. Più raramente la comparsa di metastasi nei linfonodi cervicali, nello scheletro, nella cute e nel fegato può costituire la prima manifestazione clinica di un carcinoide timico, che in circa il il 30% dei casi si associa con la sindrome di Cushing.I tumori neuroendocrini non alla chemioterapia e alla radioterapia, per cui il loro trattamento, quando possibile, è chirurgico.Il timolipoma o lipoma del timo è un tumore raro, benigno, che deriva dal connettivo fibroadiposo e si osserva più frequentemente nei bambini e nei soggetti giovani. Ha l’aspetto della massa adiposa e si accresce tra gli elementi del mediastino senza infiltrarli. La variante maligna, il timoliposarcoma, è eccezionale.
9 – TUMORI NEUROGENI
I tumori neurogeni (T.N.) colpiscono con egual frequenza i due sessi e costituiscono il 30-40% dei tumori mediastinici dell'età pediatrica ed il 20% di quelli dell'adulto. Il loro comportamento
79
biologico differisce con l’età: nell’infanzia il 50 % di questi tumori è maligno mentre nell’adulto la percentuale di malignità non supera il 20 % dei casi.I T.N. si localizzano prevalentemente nel mediastino posteriore, specie lungo le docce costovertebrali e solo raramente nel mediastino anteriore o medio.I T.N. prendono origine dagli elementi della cresta neurale e possono essere suddivisi in tre gruppi: - tumori che derivano dalle cellule di rivestimento dei nervi periferici: neurofibromi, neurinomi (o neurilemmomi) e neurosarcomi; - tumori che derivano dalle cellule del sistema nervoso autonomo: ganglioneuromi, ganglioneuroblastomi ed neuroblastomi; - tumori che derivano dalle cellule del sistema paragangliare: paragangliomi e feocromocitomi. Il neurofibroma è un tumore benigno che può presentarsi sia come lesione unica che nell'ambito della neurofibromatosi di von Recklinghausen (malattia ereditaria con trasmissione autosomica dominante). Istologicamente il tumore‚ caratterizzato da fasci di cellule allungate, con nuclei densi, disperse nel contesto di fasci di collagene e materiale mucoide. Il neurorinima o neurilemmoma o schwannoma che origina dalle cellule di Schwann, è un tumore capsulato, di forma per lo più ovoidale che alla superficie di taglio presenta un colorito roseo-biancastro. Le caratteristiche istologiche sono rappresentate da una crescita plessiforme, con cellule di aspetto fusato disposte in fasci intrecciati, spesso distribuiti a costituire un caratteristico quadro a palizzata che in alcune zone assume un andamento più vorticoso: le mitosi risultano rare e fasci fibrillari separano le cellule (tipo A di Antoni). In una piccola percentuale di neurinomi il quadro istologico è meno ordinato e le cellule hanno una distribuzione più lassa e dispersa (tipo B di Antoni).La tipizzazione istologica del neurinoma può risultare complicato in presenza di atipie nucleari, specie nei tumori di vecchia data ed in questi casi può essere utile l'impiego di colorazioni immunocitochimiche con anticorpi anti-proteina S 100, che colorano tipicamente le cellule di Schwann.Il neurosarcoma, variante maligna del neurinoma e del neurofibroma è caratterizzato dall'elevata incidenza nelle prime due decadi di vita e dalla prognosi infausta.Il ganglioneuroma è un tumore del tutto differenziato, benigno, più frequente nei bambini soprattutto dopo i 5 anni. Il ganglioneuroblastoma, variante parzialmente differenziata di ganglioneuroma, è un tumore per lo più benigno, ma talora può esordire con la presenza di metastasi e avere il comportamento maligno del neuroblastoma.
80
Il neuroblastoma è un tumore altamente maligno che si osserva più comunemente nei bambini al di sotto dei due anni. La sua localizzazione mediastinica è molto rara. Il paraganglioma o chemodectoma mediastinico può essere localizzato nelle docce costo-vertebrali, originandosi dai paragangli prossimi alla catena del simpatico, oppure si sviluppa nel mediastino anteriore e medio dai paragangli dell’arco aortico. Ha dimensioni variabili, assume di solito una forma grossolanamente ovoidale ed è dotato di una sottile capsula fibrosa. Al taglio il suo colorito è giallo-grigiastro e la superficie può essere uniforme od irregolare per la presenza di aree emorragiche e di tralci fibrosi che sepimentano il parenchima. L’aspetto microscopico è caratterizzato dal riscontro di nidi di cellule epitelioidi, rotondeggianti, uniformi, a nucleo ipercromatico, con citoplasma abbondante, eosinofilo e finemente granulare immerse in uno stroma vascolare Il feocromocitoma‚ un tumore cromaffine funzionante del sistema nervoso simpatico, deve la sua denominazione all’ affinità per i sali di cromo, con i quali il tessuto tumorale reagisce e si colora. Esso produce grandi quantità di catecolamine, soprattutto norepinefrina, e si sviluppa nel 90 % dei casi nelle ghiandole surrenali e solo nel 2% dei casi nel mediastino.In circa la metà dei casi il paraganglioma ed il feocromocitoma sono maligni e si manifestano clinicamente con i segni dell’invasione locale e delle metastasi a distanza (polmoni, scheletro, fegato, reni, linfonodi e cervello. Dal punto di vista clinico, in più del 90% dei casi i T.N. si accrescono in maniera asintomatica e vengono scoperti occasionalmente nel corso di un'indagine radiografica del torace condotta per altre cause. Solo nel 10 % dei casi l’esordio clinico è dovuto alla comparsa di una sintomatologia neurologica periferica da compressione o all’insorgenza di una sindrome mediastinica più o meno conclamata in rapporto al comportamento biologico del tumore. Il neuroblastoma può essere associato con una peculiare sindrome neurologica, l’encefalopatia mioclonica o sindrome degli occhi danzanti, che si manifesta con atassia cerebellare e polimioclonia. Questa sindrome, che può essere il primo sintomo di un neuroblastoma occulto, talora regredisce dopo l'asportazione del tumore.Elevati livelli di VIP sono talora riscontrabili nei pazienti affetti da neurofibroma mentre in quelli in cui è presente un ganglioneuroma si associano alti tassi di VMA responsabili della comparsa di ipertensione arteriosa persistente od episodica, iperidrosi, palpitazioni, diarrea intensa, distensione addominale, squilibrio idroelettrolitico grave.
81
In circa il 10% dei casi I T.N. si estendono alla doccia paravertebrale, attraverso il forame di coniugazione, all'interno del canale vertebrale, assumendo in sezione un caratteristico aspetto “ a clessidra” (“dumbell tumor”). Tale tipo di crescita provoca la comparsa di sintomi da compressione midollare, rappresentati da parestesie, astenia e paraplegia. Le metodiche diagnostiche più impiegate nello studio dei tumori neurogeni sono le indagini radiologiche convenzionali, la TC e la RMN.La radiografia standard del torace consente di definire la sede paravertebrale della massa mediastinica e di visualizzare i forami vertebrali.La T.C. evidenzia nelle forme benigne un'opacità rotondeggiante, a contorni netti, generalmente rotondeggiante e densità omogenea, che deforma la pleura mediastinica paraspinale e non si modifica nella sua morfologia con i cambiamenti di postura. L’aspetto polilobato, la scomparsa dei contorni netti che diventano sfumati e le immagini di lesione ossea a focolaio sono invece suggestivi di un T.N. maligno.Nelle forme a clessidra la T.C. è un eccellente mezzo per accertare le anormalità dei forami intervertebrali. I rapporti tra T.N. e midollo spinale sono invece meglio valutabili con la R.M.N., che dimostra perfettamente sul piano spaziale l’invaione dello speco e l’eventuale coinvolgimento meningeo.L'esecuzione di agoaspirati con ago sottile sotto amplificatore di brillanza o sotto guida TC consente di pervenire, in una percentuale molto alta dei tumori neurogeni, ad una diagnosi citologica circostanziata.Nei feocromocitomi la diagnostica si avvale anche del dosaggio delle catecolamine urinarie e dell’impiego della scintigrafia con I131 metaiodobenzilguanidina (MIBG). Il trattamento ideale dei T.N. mediastinici prevede la loro asportazione chirurgica in genere attraverso una toracotomia postero-laterale classica. La semplice enucleazione, eseguibile anche per via toracoscopica videoassistita, o la enucleoresezione ampia nelle forme maligne, con verifica istologica al congelatore dei margini di resezione, rappresentano gli interventi chirurgici più comunemente eseguiti. Nei tumori a clessidra la componente intraspinale della neoplasia deve essere trattata contemporaneamente alla porzione intratoracica al fine di evitare la possibile insorgenza di gravi complicanze. L'exeresi di questi tumori viene in genere eseguita mediante una duplice incisione, una per la laminectomia vertebrale ed una per la toracotomia, utilizzando una equipe pluridisciplinare costituita da neurochirurghi e chirurghi toracici.
82
Il neuroblastoma, infine, è sensibile alla combinazione di exeresi chirurgica, radio e chemioterapia
10 – TUMORI MESENCHIMALI
I tumori mesenchimali sono di raro riscontro nel mediastino ed includono i lipomi, i fibromi e le rispettive varietà maligne, i tumori di origine muscolare e vascolare.I lipomi del mediastino si localizzano nel 90% dei casi nel mediastino anteriore e in special modo nell'angolo cardiofrenico destro. Colpiscono con maggiore frequenza le età comprese tra i 30 ed i 50 anni e la loro incidenza è uguale nei due sessi.Possono essere distinti in diffusi e circoscritti. Nelle forme diffuse il tessuto adiposo non è capsulato e permea lo spazio fra gli organi mediastinici, predilegendo di solito la parte superiore del mediastino. I lipomi circoscritti o veri sono invece rivestiti da una sottile capsula connettivale traslucida, in genere ben scollabile dalle strutture circostanti. Possono essere totalmente intratoracici (lipoma mediastinico puro), oppure estrinsecarsi anche al di fuori della cavità toracica (lipoma misto mediastino-parietale, mediastino-cervicale e mediastino-addominale). Il lipoma mediastinico non dà segni della sua presenza, in quanto tende a modellarsi sugli organi mediastinici più che a comprimerli, per cui la sua scoperta costituisce spesso un reperto accidentale.L'aspetto radiologico di questi tumori è in genere caratteristico in quanto si estrinsecano prevalentemente da un solo lato del mediastino ed hanno una radiopacità inferiore agli altri tumori mediastinici.Alla T.C. la minore densità del grasso rispetto a quella delle masse parenchimatose e dell'acqua permette di distinguere agevolmente le neoformazioni adipose dalle cisti a contenuto liquido e dalle masse a struttura solida. Poichè la TC non è in grado di specificare la natura maligna o benigna della massa lipomatosa, è sempre consigliabile eseguire l'asportazione chirurgica. I tumori vascolari e linfatici, anch'essi molto rari, si localizzano nel mediastino anteriore e non prediligono alcun gruppo di età. Comprendono l'emangioma, l'emangioendotelioma, l'emangiopericitoma e il linfangioma.L’emangiopericitoma rappresenta l'espressione neoplastica più tipica del pericita, entità cellulare identificata da Zimmermann nel 1923, che circonda le cellule endoteliali dei capillari e delle venule e che si trova nel compartimento della membrane basale.
83
In circa il 60% dei casi l'emangiopericitoma mediastinico è del tutto asintomatico mentre nella restante parte dei casi si manifesta con i sintomi della sindrome mediastinica.L'esame radiografico, la TCe la RMN consentono di precisarne la localizzazione e l’estensione nonchè le sue relazioni con le strutture anatomiche adiacenti.La terapia consiste in un'ampia asportazione della lesione per via toracotomica, eventualmente integrata dal trattamento radiante. Il linfangioma colpisce più frequentemente l’età pediatrica e si configura come una tumefazione cistica multiloculare, mal delimitabile, a parete sottile ed a contenuto liquido. La forma ad estrinsecazione cervico-mediastinica è la più frequente (10% dei casi) e può manifestarsi con sintomi respiratori acuti da compressione delle vie aeree a livello dello stretto superiore del torace. Patognomonico è l'aumento di volume della porzione cervicale del tumore in coincidenza con l'incremento della pressione mediastinica (pianto), che fa risalire verso l'alto il contenuto liquido.La forma puramente mediastinica, a differenza di quella cervicale, decorre per lo più in maniera del tutto asintomatica e la povertà del quadro clinico è da mettere in relazione alla scarsa consistenza della neoformazione ed all'accrescimento preferenziale verso il parenchima polmonare. Nelle localizzazioni mediastiniche posteriori sono stati descritti segni neurologici da compressione midollare. Più rara è la segnalazione di emangiomi, emolinfangiomi di forme maligne quali l’emangioendotelioma
SINDROME MEDIASTINICA
Quando un processo patologico giunge a comprimere o ad
infiltrare gli organi mediastinici, l'esame obiettivo potrà
evidenziare alcuni dei segni della sindrome mediastinica.
La fase più importante dell'esame fisico di un paziente in cui si
sospetta l'esistenza di un processo occupante spazio nel
mediastino è la ricerca dei circoli collaterali o degli altri segni
fisici che si evidenziano in caso di ostacolato deflusso ematico
nel sistema della V.C.S. .
84
In caso di blocco al di sopra dello sbocco dell'azygos nella
V.C.S., il sangue refluo dalla testa e dagli arti superiori può
raggiungere la V.C.S. al di sotto dello stop attraverso un circolo
collaterale profondo(e pertanto non visibile all’ispezione del
paziente) costituito dalle vene del plesso vertebrale e delle
vene intercostali che sono tributarie rispettivamente
dell’azygos e dell’emiazygos, che mantengono libero il loro
inosculo nella V.C.S.
Quando l'ostacolo è situato a livello della confluenza azygos-
cavale, si viene a creare un circolo collaterale del tipo cava
superiore-cava inferiore che è in parte profondo ed in parte
superficiale. Il circolo collaterale profondo è rappresentato
dalle vene intercostali, dalle vene azygos ed emiazygos, dalle
mammarie interne, dalle epigastriche e dalle vene iliache
attraverso le quali il sangue giunge nella V.C.I. Il circolo
collaterale superficiale è bene evidente nel torace e
nell’addome ed è costituito dalle vene sottocutanee
addominali alte e toraciche attraverso le quali il sangue
raggiunge con flusso invertito le vene intercostali ed
epigastriche
Quando lo stop cavale è posto al di sotto dello sbocco
dell'azygos nella V.C.S., è evidente un discreto circolo
collaterale sottocutaneo distribuito prevalentemente nelle
regioni laterali del torace. Anche in questa evenienza I circoli
collaterali sono di tipo superficiale e profondo e seguono le
85
stesse vie che si vengono a creare in caso di ostruzione situata
a livello dello sbocco dell’azygos. In entrambe le evenienze
compare edema della parte superiore del tronco e degli arti
superiori, per il quale il paziente assume un aspetto
caratteristico (collo proconsolare di Stokes, edema a
mantellina).
86