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Manuale di Diritto Commerciale. Campobasso Parte prima - L’IMPRENDITORE Capitolo primo. L’IMPRENDITORE Il sistema legislativo Il Codice Civile distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri: - l’oggetto dell’impresa ( che determina la distinzione tra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale); - la dimensione dell’impresa (in base alla quale è individuato il piccolo imprenditore e l’imprenditore medio-grande); - la natura del soggetto che esercita l’impresa (che determina la tripartizione legislativa fra impresa individuale, società ed impresa pubblica). Tutti gli imprenditori sono assoggettati a una disciplina di base comune (statuto generale dell’imprenditore). Gli imprenditori commerciali non piccoli sono assoggettati allo statuto tipico dell’imprenditore commerciale (iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la disciplina della rappresentanza commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali). La nozione generale di imprenditore È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. L’art.2082 fissa i requisiti minimi che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto all’applicazione delle norme del codice civile dettate per l’impresa e per l’imprenditore. Dallo stesso articolo si ricava che l’impresa è attività (serie coordinata di atti) caratterizzata da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni e servizi) e da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità). Requisiti art.2082: -L’attività produttiva 1

Manuale Di Diritto Commerciale PARTE 1 campobasso

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manuale di diritto commerciale pare prima l'imprenditore edizione sesta

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Manuale di Diritto Commerciale. Campobasso

Parte prima - L’IMPRENDITORE

Capitolo primo. L’IMPRENDITORE

Il sistema legislativo

Il Codice Civile distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:- l’oggetto dell’impresa ( che determina la distinzione tra imprenditore agricolo

e imprenditore commerciale);- la dimensione dell’impresa (in base alla quale è individuato il piccolo imprenditore

e l’imprenditore medio-grande);- la natura del soggetto che esercita l’impresa (che determina la tripartizione legislativa fra

impresa individuale, società ed impresa pubblica). Tutti gli imprenditori sono assoggettati a una disciplina di base comune (statuto generale dell’imprenditore). Gli imprenditori commerciali non piccoli sono assoggettati allo statuto tipico dell’imprenditore commerciale (iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la disciplina della rappresentanza commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali).

La nozione generale di imprenditore

È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. L’art.2082 fissa i requisiti minimi che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto all’applicazione delle norme del codice civile dettate per l’impresa e per l’imprenditore. Dallo stesso articolo si ricava che l’impresa è attività (serie coordinata di atti) caratterizzata da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni e servizi) e da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità).

Requisiti art.2082:-L’attività produttiva

L’impresa è attività produttiva di nuova ricchezza. E’ irrilevante che l’attività produttiva costituisca anche godimento di beni preesistenti.Questa definizione esclude dalla categoria di impresa le attività di mero godimento (attività che non dà luogo alla produzione di nuovi beni e servizi; ad es. il proprietario di immobili che ne gode i frutti concedendoli in locazione). Un’attività può costituire allo stesso tempo godimento di beni preesistenti e produzione di nuovi beni o servizi (es. albergatore). Gli atti di investimento, speculazione e finanziamento, quando siano coordinati in modo da configurare un’attività, possono dar vita ad impresa se ricorrono i requisiti dell’organizzazione e della professionalità(es. società finanziarie che erogano crediti con mezzi propri –s. di leasing-).

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È ormai opinione diffusa che la qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l’attività produttiva svolta è illecita. Vi possono essere due tipi diversi di impresa illecita:

- Impresa illegale: attività svolta in violazione di norme che disciplinano concessioni, licenze,autorizzazioni (es. attività bancaria senza la prescritta autorizzazione governativa);

- Impresa immorale: è illecito l’oggetto stesso dell’attività (es. contrabbando di sigarette,fabbricazione o commercio di droga).

L’illecito compiuto dall’imprenditore immorale è più grave rispetto a quello dell’imprenditore illegale. Questo riconoscimento dell’attività d’impresa estesa anche alle imprese illecite risponde all’esigenza di tutelare eventuali creditori di queste e di sottoporle alla disciplina fallimentare. Chi svolge attività d’impresa violando la legge non potrà avvalersi delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi.

-L’organizzazione. Impresa e lavoro autonomo

L’imprenditore crea un complesso produttivo, formato da persone e da beni strumentali (è quindi un’attività organizzata). È imprenditore anche chi opera senza utilizzare altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate (es. lavanderia a gettoni); infatti la sempre più alta fungibilità tra capitale e lavoro ha determinato che l’organizzazione imprenditoriale può essere costituita di soli capitali e del proprio lavoro intellettuale e/o manuale. La qualità di imprenditore non può essere negata sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori, sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi (capitale e lavoro proprio) non si concretizza in un complesso aziendale materialmente percepibile (es.utilizzo di soli mezzi finanziari).

La semplice organizzazione ai fini produttivi del proprio lavoro non può però essere considerata un’organizzazione imprenditoriale in quanto viene a mancare un minimo di eteroorganizzazione (presenza di un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale). In questo caso si avrà semplice lavoro autonomo, non imprenditoriale. Ad esempio la borsa degli attrezzi di un idraulico non può essere considerata una forma di capitale poiché sono solo beni strumentali al lavoro, quindi non si ritiene superata la soglia della semplice autoorganizzazione del proprio lavoro. -Economicità dell’attività e scopo di lucro

Per aversi impresa è essenziale che l’attività produttiva sia svolta con metodo economico (coprendo i costi con i ricavi, assicurando l’autosufficienza economica). In caso contrario si avrebbe consumo e non produzione di ricchezza. Perché l’attività possa definirsi economica non è essenziale il perseguimento di uno scopo di lucro. La nozione di imprenditore e unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata sia dell’impresa pubblica, e ciò implica che requisito essenziale può essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori. E l’impresa pubblica è si tenuta ad operare secondo criteri di economicità ma non è preordinata alla realizzazione di un profitto (non perseguono uno scopo di lucro). Lo stesso vale per le società cooperative e le imprese sociali.Quindi requisito minimo essenziale dell’attività d’impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro.

-La professionalità

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È l’esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva (es. non è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e di rivendita di merci). Non è richiesto che l’attività sia svolta senza interruzioni, poiché sarebbero escluse attività stagionali come alberghi e stabilimenti balneari, ma è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività. Non è richiesto che l’attività d’impresa sia unica o principale. Può costituire impresa anche un unico affare se questo comporta il compimento di operazioni molteplici e l’utilizzo di un apparato produttivo complesso. Può essere qualificato imprenditore anche chi produce beni o servizi destinati ad uso o consumo personale (imprese per conto proprio).

Imprese e professioni intellettuali

I liberi professionisti (avvocati, dottori commercialisti, notai…) non sono mai in quanto tali imprenditori. L’art.2238 stabilisce che le disposizioni in tema d’impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa (es. il medico che gestisce la clinica privata nella quale opera o professore titolare di una scuola privata nella quale insegna). Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai imprenditore.I professionisti non sono imprenditori per libera scelta del legislatore, motivo di questa esclusione è l’esistenza di specifici statuti per le diverse categorie professionali che sono già una forma di tutela per il professionista. L’esonero dei professionisti intellettuali dello statuto dell’imprenditore ha vantaggi (sottrazione al fallimento) e svantaggi (inapplicabilità della disciplina dell’azienda, dei segni distintivi e della concorrenza sleale).Il moderno esercizio dell’attività professionale, spesso caratterizzato dell’ingente investimento di capitali, ha reso ormai anacronistica la scelta politica del codice del 1942.

Capitolo secondo. LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI

A) Imprenditore agricolo e imprenditore commerciale

Il ruolo della distinzione

La distinzione è fatta in base all’oggetto dell’attività. Questa distinzione è necessaria al fine di applicare la specifica normativa.Chi è imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina prevista per l’imprenditore in generale. È esonerato dalla applicazione della disciplina propria dell’imprenditore commerciale: tenute delle scritture contabili, assoggettamento al fallimento… può invece accedere alle procedure concorsuali da sovra indebitamento, recentemente introdotte della legge 27-1-2012, n.3 per i soggetti non fallibili. L’imprenditore agricolo gode di un trattamento di favore rispetto all’imprenditore commerciale, anche grazie a incentivi e agevolazioni volti a promuovere lo sviluppo di tale settore fondamentale dell’economia.

L’imprenditore agricolo. - Le attività agricole essenziali

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L’attuale formulazione dell’art.2135 introdotta dal d.lgs. 228/2001 stabilisce che è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: -coltivazione del fondo, -silvicoltura, -allevamento di animali -e attività connesse; intendendo sia attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, che utilizzano o che possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Le attività agricole possono perciò essere distinte in due grandi categorie: -le attività agricole essenziali e -le attività agricole per connessione. Rispetto alle attività agricole tradizionali regolate nel Codice del 1942, si sono aggiunte diverse attività, il legislatore ha infatti prediletto l’opinione secondo la quale impresa agricola è ogni impresa che produce specie vegetali e animali; ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale. Quindi si deve ritenere che la produzione di specie animali e vegetali è sempre qualificabile come attività agricola essenziale anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti. Oggi sono attività agricole anche le coltivazioni fuori terra, la zootecnica svolta fuori dal fondo o utilizzando questa come mero sedimento dell’azienda (allevamenti in batteria), l’allevamento di cavalli da corsa o di animali da pelliccia. Inoltre la sostituzione del termine bestiame con il più ampio animali, fa rientrare nella definizione di impresa agricola essenziale anche l’allevamento di animali da cortile e l’acquacoltura.

(segue) - Le attività agricole per connessione

Si può essere imprenditori agricoli anche per connessione:- quando l’attività riguarda la manipolazione,conservazione, trasformazione,

commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale.

- Le attività dirette alla fornitura di beni e servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche.

Le une e le altre sono attività oggettivamente commerciali, vengono però per legge considerate agricole quando sono esercitate in connessione con una delle attività agricole essenziali. due sono le condizione:

- Connessione soggettiva: è necessario che il soggetto che la esercita sia già imprenditore agricolo. Ad eccezione delle cooperative di imprenditori agricoli ed ai loro consorzi.

- Connessione oggettiva: le attività connesse non devono prevalere per rilievo economico sull’attività agricola essenziale.

L’imprenditore commerciale

È imprenditore commerciale colui che esercita una o più delle seguenti categorie di attività, elencate dall’art. 2195:

- attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi (imprese industriali);

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- attività intermediarie nella circolazione dei beni (commercio);- attività di trasporto (sia di persone che di cose);- attività bancarie o assicurative; - attività ausiliare delle precedenti.

Dovrà essere considerata commerciale ogni impresa che non sia qualificabile come agricola.

B) Piccolo imprenditore. Impresa familiare

Il criterio dimensionale. La piccola impresa

Il codice civile individua la figura del piccolo imprenditore contrapponendola a quella dell’imprenditore medio-grande.Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore, ma è esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili e dall’assoggettamento al fallimento. L’iscrizione al registro delle imprese ha solo valore di pubblicità legale.

Il piccolo imprenditore nel codice civile

Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e/o dei componenti della propria famiglia (art. 2083). Quindi per avere piccola impresa è necessario:

- che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa;- il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell’impresa prevalgono

rispetto al lavoro altrui e ai capitali utilizzati.-

Il piccolo imprenditore nella legge fallimentare

La riforma del diritto fallimentare del 2006 e del 2007 ha introdotto un sistema esclusivamente basato su criteri quantitativi e monetari. Infatti non definisce più chi è piccolo imprenditore, ma individua alcuni parametri dimensionali dell’impresa, al di sotto dei quali l’imprenditore commerciale non fallisce.In base all’attuale disciplina non è soggetto al fallimento l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

- aver avuto (nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore trecentomila euro;

- aver realizzato (nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento) ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro;

- avere un ammontare di debiti (anche non scaduti) non superiori a cinquecentomila euro. Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale (per adeguarle alla svalutazione monetaria) con decreto del Ministro della giustizia.

L’impresa artigiana

La definizione dell’impresa artigiana (legge n.443-1985) è basata:- sull’oggetto dell’impresa, che può essere costituito da qualsiasi attività di produzione di beni (anche semilavorati) o di prestazioni di servizi;

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- sul ruolo dell’artigiano nell’impresa, si richiede in particolare che egli svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo, ma non che il suo lavoro prevalga sugli altri fattori produttivi.La legge del 1985 afferma altresì la qualifica artigiana delle imprese costituite in forma di società di persone, di società a responsabilità limitata e di società cooperativa, purchè ricorrano determinate condizioni.Il riconoscimento della qualifica artigiana in base alla legge quadro non basta per sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale. E’ necessario altresì che sia rispettato il criterio della prevalenza fissato dall’art.2083, per quanto riguarda l’esposizione al fallimento. In mancanza, l’imprenditore sarà artigiano ai fini delle provvidenze regionali, ma dovrà qualificarsi imprenditore commerciale non piccolo ai fini civilistici e/o del diritto fallimentare.

L’impresa familiare

È l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore: la c.d. famiglia nucleare (art. 230 bis). Non necessariamente l’impresa familiare è una piccola impresa. Il legislatore ha predisposto una tutela minima del lavoro familiare nell’impresa al fine di evitare abusi e ingiustizie largamente diffuse nel passato: sono quindi riconosciuti diritti sia sul piano patrimoniale (diritto al mantenimento, diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa, diritto sui beni acquistati con gli utili, diritto di prelazione in caso di trasferimento o divisione dell’azienda) sia sul piano amministrativo (decisioni di particolare rilievo -impiego degli utili e degli incrementi, cessazione dell’impresa,…- prese a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa). Il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare con il consenso unanime dei familiari già partecipanti. L’impresa familiare resta un’impresa individuale, l’imprenditore ha la proprietà esclusiva dei beni aziendali e il compito di provvedere alla gestione ordinaria. L’imprenditore agisce nei confronti di terzi in proprio e solo lui sarà responsabile verso questi delle relative obbligazioni di contratto. Se l’impresa è commerciale sarà esposto al fallimento.

C) Impresa collettiva e impresa pubblica

Il terzo criterio di differenziazione della disciplina delle imprese è rappresentato dalla NATURA GIURIDICA DEL SOGGETTO TITOLARE. Tre sono le figure contemplate dal legislatore:

o impresa individualeo impresa societariao impresa pubblica.

L’impresa societaria

Esistono diversi tipi di società, la società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale. Le società commerciali possono essere imprenditori agricoli o imprenditori commerciali a seconda dell’attività esercitata. (vedi in seguito)

Le imprese pubbliche

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Attività d’impresa può essere svolta anche dallo Stato e dagli altri enti pubblici. Ciò è possibile in tre diverse forme:

- servendosi di strutture di diritto privato (società, generalmente per azioni: è il caso delle società a partecipazione statale);

- enti di diritto pubblico che svolgono attività d’impresa, i cosidetti enti pubblici economici (sono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore, con una solo eccezione: l’esonero dal fallimento e dalle procedure concorsuali minori);

- svolgendo direttamente attività d’impresa avvalendosi di proprie strutture organizzative (es. le aziende municipalizzate che erogano pubblici servizi come acqua, gas e trasporti) In questi casi l’attività di impresa è secondaria ed accessoria rispetto ai fini istituzionali dell’ente pubblico.

Art.2093 dispone che nei confronti degli enti titolari di imprese-organo si applica la disciplina generale dell’impresa e quella propria dell’imprenditore commerciale, stabilendo però che sono salve le diverse disposizioni di legge. (esonerati dall’iscrizione al registro delle imprese e dalla procedure concorsuali). Dal 1990 quasi tutti gli enti pubblici economici sono stati trasformati in società per azioni a partecipazione statale (privatizzazione formale); in tempi più recenti è stata avviata la dismissione delle partecipazione pubbliche di controllo (privatizzazione sostanziale).

Attività commerciale delle associazioni e delle fondazioni

Le associazioni, le fondazioni e tutti gli enti privati con fini ideali o altruistici possono svolgere attività d’impresa. Infatti per aversi impresa è sufficiente che l’attività sia svolta con metodo economico e non necessariamente perseguendo un lucro. Questo presupposto è in linea anche se si tratta di un ente con finalità ideale. L’ente resta sottoposto a tutte le conseguenze dell’impresa commerciale, fallimento compreso. Può essere svolta in modo esclusivo (es.fondazione costituita per lo svolgimento di attività editoriale) o accessorio (es. sindacato che gestisce una casa editrice con la quale pubblica il materiale relativo all’attività del sindacato). Gli eventuali guadagni devono essere necessariamente reinvestiti e l’attività d’impresa deve essere compatibile con la finalità ideale dell’ente.

(segue) L’impresa sociale

Da tempo era avvertita l’esigenza di un quadro di regole più compiuto per le imprese gestite senza scopo di lucro in settori di utilità sociale. A ciò è stata data risposta con la nuova disciplina delle imprese sociali (d.lgs. 155/2006)Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale. Tali sono i beni o i servizi che ricadono nei settori tassativamente indicati dal decreto. Inoltre è necessaria l’assenza dello scopo di lucro (gli utili devono essere impiegati per lo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del patrimonio dell’ente). Non è possibile disporre del patrimonio dell’impresa e distribuire fondi o riserve a vantaggio di coloro che fanno parte dell’organizzazione. In caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad altre organizzazioni secondo quanto previsto dallo statuto. Il legislatore ha consentito il privilegio sul piano civilistico quello di potersi organizzare in qualsiasi forma di organizzazione privata e più imprese sociali possono formare un gruppo di imprese. La

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responsabilità patrimoniale dei partecipanti è limitata. Le imprese sociali sono assoggettate allo statuto dell’imprenditore commerciale ad eccezione del fallimento(sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa). Le imprese sociali si costituiscono per atto pubblico e nell’atto costitutivo devono enunciare l’assenza di scopo di lucro. L’atto costitutivo deve prevedere un sistema di controlli interni affidati ai revisori per i controlli contabili e ai sindaci per il controllo di legalità della gestione e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, ne sono esenti le organizzazioni che non superano i limiti dimensionali fissati dalla legge. Controlli esterni: sono soggette alla vigilanza del Ministero del lavoro, che effettua periodiche ispezioni al fine di verificare la presenza e l’osservanza delle condizioni di riconoscimento.

Capitolo terzo. L’ACQUISTO DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE

A) L’imputazione dell’attività d’impresa

Esercizio diretto dell’attività d’impresa

E’ principio generale del nostro ordinamento che gli effetti degli atti giuridici ricadono sul soggetto il cui nome è stato validamente speso nel traffico giuridico. Il criterio della spendita del nome stabilisce che è imprenditore il soggetto il cui nome è validamente speso nell’attività d’impresa. Il mandatario è un soggetto che agisce nell’interesse di un altro soggetto e può porre in essere i relativi atti giuridici sia spendendo il proprio nome (mandato senza rappresentanza) sia spendendo il nome del mandante, se questi gli ha conferito il potere di rappresentanza (mandato con rappresentanza). Mentre nel mandato con rappresentanza gli atti posti in essere dal mandatario si producono direttamente nella sfera giuridica del mandante, nel mandato senza rappresentanza il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi. Quando gli atti d’impresa sono compiuti tramite rappresentante (volontario o legale) l’imprenditore diventa il rappresentato e non il rappresentante (anche nel caso in cui quest’ultimo abbia grandi poteri decisionali).Nel nostro ordinamento è il principio formale della spendita del nome e non quello sostanziale della titolarità dell’interesse economico che domina l’imputazione dei singoli atti giuridici e dei loro effetti.

Esercizio indiretto dell’attività d’impresa. L’imprenditore occulto

L’esercizio di attività di impresa può dar luogo a dissociazione fra il soggetto a cui è formalmente imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato. È largamente diffuso l’esercizio dell’impresa tramite interposta persona. Uno è il soggetto che compie in proprio nome i singoli atti d’impresa (il c.d. imprenditore palese o prestanome). Altro è il soggetto che somministra al primo i necessari mezzi finanziari, dirige di fatto l’impresa e fa propri tutti i guadagni, pur non palesandosi come imprenditore di fronte ai terzi (il c.d. imprenditore diretto o occulto). Poiché il prestanome ha agito in proprio nome, ha acquistato la qualità di imprenditore commerciale: i creditori potranno provocarne dunque il fallimento. È altrettanto vero che, data l’insufficienza del relativo patrimonio, i creditori potranno ricavare ben poco dal fallimento del prestanome, con la conseguenza che il rischio d’impresa non sarà sopportato dal

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reale dominus ma da questi è trasferito sui creditori (soprattutto su quelli che non sono in grado di premunirsi contro il dissesto del prestanome, costringendo il reale interessato a garantire personalmente i debiti contratti in proprio nome dal primo. Rimedi:

- teoria dell’imprenditore occulto: parte della dottrina che chi esercita il potere deve rispondere degli atti compiuti (in alcuni casi anche con il proprio patrimonio).Quindi chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni con la conseguenza che è responsabile verso i creditori assieme al prestanome e in caso di fallimento dell’impresa, fallirebbe con lui.

Questa teoria ha incontrato scarsi consensi in quanto non ha un solido fondamento normativo ed è smentita dai principi che regolano la società di capitali. Nel nostro ordinamento il dominio di fatto di un’impresa individuale o di una società di capitali non è condizione sufficiente per esporre a responsabilità e fallimento né determina di per sé l’acquisto della qualità di imprenditore.

- per reprimere gli abusi a partire dal 2003 (art.2497) è regolata la responsabilità civile delle società o enti che esercitano un’attività di direzione e coordinamento su altre società ed abusano di tale potere in danno dei creditori e dei soci della controllata (vedi succ.)

- la più recente giurisprudenza segue la teoria dell’impresa fiancheggiatrice: se il socio di comando di una società di capitali tratti la società come cosa propria disprezzando le regole societarie, ecco che si ritiene che questi comportamenti possano dar vita ad un’autonoma attività d’impresa, sempre che vi siano i requisiti fissati dall’art.2082.

B) Inizio e fine dell’attività d’impresa

L’inizio dell’impresa

La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività d’impresa (principio di effettività). In precedenza si riteneva che l’attività iniziasse con l’iscrizione nel registro delle imprese: questa regola è stata abbandonata.E’ stabilito che si è imprenditore anche durante la fase preliminare di organizzazione in quanto è costituita da un insieme di atti di gestione indirizzati a un fine produttivo. Può essere sufficiente anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale (particolarmente qualificato) per affermare che l’attività d’impresa è iniziata (es. società alberghiera che acquista un’area fabbricabile).

La fine dell’impresa

La fine dell’impresa è di regola preceduta da una fase di liquidazione più o meno lunga, durante la quale l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e gli impianti, licenzia i dipendenti, definisce i rapporti pendenti. La fase liquidativa può ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale, che rende definitiva e irrevocabile la cessazione.In passato veniva stabilito un diverso trattamento nel caso di fine dell’impresa dell’imprenditore individuale rispetto a quello della società. Nel primo si riteneva che non era necessaria la completa definizione dei rapporti sorti durante l’esercizio dell’impresa, nel secondo non rilevava il momento di effettiva cessazione di attività di impresa bensì fosse necessaria la cancellazione dal registro delle imprese e la completa definizione dei rapporti pendenti. Questa disparità venne

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meno con la dichiarazione di incostituzionalità dell’art.10 legge fallimentare, perché non prevedeva che il termine annuale decorresse per le società dal momento della cancellazione dal registro. Questo fu il preludio per le successive modifiche. Con il d.lgs 5/2006 e il d.lgs 169/2007, il nuovo art.10 della legge fallimentare dispone che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. Per ragioni di certezza del diritto, si presume che al momento della cancellazione (condizione necessaria) l’attività d’impresa sia già terminata, ma il creditore o il pubblico ministero possono dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma. il debitore non può dimostrare di aver cessato l’attività d’impresa prima della cancellazione per anticipare il decorso di tale termine, nemmeno se si tratta di persona fisica. Per gli imprenditori persone fisiche e per le società cancellate d’ufficio, la cancellazione dal registro delle imprese non è però da sola sufficiente, si deve accompagnare all’effettiva cessazione dell’attività d’impresa mediante la disgregazione del complesso aziendale.

C) Capacità e impresa

Incapacità e incompatibilità

La capacità all’esercizio di attività d’impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi al compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito a interdizione o a inabilitazione. Il minore o l’incapace che esercita attività di impresa non acquista la qualità di imprenditore. Costituiscono semplici incompatibilità il divieto di esercizio di impresa commerciale posto a carico di coloro che esercitano determinati uffici o professioni (ad es. impiegati dello Stato, avvocati, notai). La violazione di tali divieti non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale, ma espone solo a sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in caso di fallimento.

L’impresa commerciale degli incapaci

È possibile l’esercizio di attività d’impresa per conto di un incapace da parte di rispettivi rappresentanti legali o da parte di soggetti limitatamente capaci d’agire con l’osservanza delle disposizioni dettate al riguardo.Il codice non prevede regole particolari per chi esercita attività agricola. Una specifica disciplina è prevista per l’attività commerciale (in quanto attività rischiosa). Non è possibile iniziare una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse dell’incapace, ma è consentita solo la continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale preesistente (salvo che per il minore emancipato). La continuazione dell’attività di impresa deve essere utile per l’incapace e autorizzata dal tribunale. Chi ha la rappresentanza legale del minore o dell’interdetto, può compiere tutti gli atti che rientrano nell’esercizio dell’impresa. L’inabilitato, in seguito all’autorizzazione, può esercitare personalmente l’impresa assistito dal curatore. Il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale ad iniziare una nuova impresa commerciale,acquistando la piena capacità di agire.I provvedimento autorizzativi e di revoca del tribunale sono soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese.

Capitolo quarto. LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE

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Premessa

L’imprenditore commerciale è destinatario di una peculiare disciplina dell’attività in parte comune agli altri imprenditori (statuto generale dell’imprenditore), in parte propria e specifica (statuto speciale dell’imprenditore commerciale)

A) La pubblicità legale

La pubblicità delle imprese commerciali

Il mercato richiede informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entra in contatto. Per le imprese commerciali questa esigenza è soddisfatta con l’introduzione di un sistema di pubblicità legale. È cioè previsto l’obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti relativi alla vita dell’impresa, così da rendere le informazioni accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia) ed opponibili a chiunque (conoscibilità legale). Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale previsto dal codice del 1942. Per oltre 50anni l’istituto è rimasto inoperante, l’entrata in funzione del registro era subordinato all’emanazione del relativo regolamento di attuazione. Il nuovo registro delle imprese è stato istituito nel 1993 (operativo dal ‘97) ponendo così fine al disordinato regime transitorio ed oggi è l’unico strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali. Inoltre è anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese (imprese agricole, piccole, società semplici). Il registro delle imprese è affidato alle camere di commercio ed è tenuto con tecniche informatiche.

Il registro delle imprese

Il registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la camera di commercio. L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia. Il registro è articolato in una sezione ordinaria e in tre sezioni speciali. Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori (non agricoli) per i quali l’iscrizione produce effetti di pubblicità legale:

- gli imprenditori individuali commerciali non piccoli- tutte le società tranne la società semplice- i consorzi fra imprenditori con attività esterna- i gruppi europei di interesse economico con sede in italia - gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale.

Le sezioni speciali sono:- in una sono iscritti gli imprenditori che secondo il codice civile ne erano esonerati

(imprenditori agricoli individuali, piccoli imprenditori, società semplici). Sono inoltre annotati gli imprenditori artigiani iscritto al relativo albo.

- sezione speciale delle società tra professionisti, la cui iscrizione assolve la funzione di pubblicità notizia.

- sezione speciale dedicata alla pubblicità dei legami societari di gruppo. Vi si indicano le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette.

- sezione speciale delle imprese sociali

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- sezione speciale degli atti di società di capitali in lingua straniera- sezione speciale delle start-up innovative e degli incubatori certificati

I fatti e gli atti da registrare riguardano essenzialmente gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa (dati anagrafici dell’imprenditore, ditta, oggetto, sede, inizio e fine dell’attività, …) e la struttura organizzativa della società (atto costitutivo e sue modificazioni, nomina e revoca degli amministratori, …), non è invece consentita l’iscrizione di atti non previsti dalla legge. L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma può avvenire anche di ufficio se l’iscrizione è obbligatoria e l’interessato non vi provvede, inoltre devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha sede. Prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio del registro deve controllare che la documentazione è formalmente regolare, nonché l’esistenza e la veridicità dell’atto o del fatto (regolarità formale e sostanziale), l’ufficio non può invece rilevare eventuali cause di nullità o annullabilità dell’atto. L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni pecuniarie amministrative. L’iscrizione nella sezione ordinaria ha funzione di pubblicità legale.Di regola l’iscrizione ha efficacia semplicemente dichiarativa. I fatti e gli atti soggetti a iscrizione e iscritti sono opponibili a chiunque dal momento della loro registrazione (efficacia positiva immediata). L’omessa iscrizione impedisce che il fatto possa essere opposto a terzi (efficacia negativa).In alcune ipotesi l’iscrizione è presupposto affinché l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti che per i terzi, o solo nei confronti dei terzi (es.atto costitutivo delle società di capitali e in quelle cooperative).In altri casi l’iscrizione è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico (efficacia normativa, es. società in nome collettivo e in accomandita semplice che rimarrebbero irregolari).L’iscrizione nella sezione speciale ha di regola solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia (non è di per sé opponibile ai terzi). È stato stabilito con d.lgs. 228/2001 che l’iscrizione, degli imprenditori agricoli anche piccoli e delle società semplici esercenti attività agricola, nella sezione speciale ha efficacia di pubblicità legale.

B) Le scritture contabili

L’obbligo di tenuta delle scritture contabili

Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti d’impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività. Di regola sono tenute spontaneamente dall’imprenditore (è un obbligo per l’imprenditore che esercita attività commerciale, con l’esclusione dei piccoli imprenditori). Le società commerciali (tranne la società semplice) sono obbligate alla tenuta delle scritture contabili anche se non esercitano attività commerciale. Le scritture contabili sono disciplinate anche dalla legislazione tributaria con criteri talvolta differenti rispetto al cod.civ. (es.nella legislazione tributaria quest’obbligo è esteso anche ai liberi professionisti).

Le scritture contabili obbligatorie

Art .2214 questa norma pone il principio generale che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.In ogni caso devono essere tenuti determinati libri contabili:

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- il libro giornale (registro cronologico-analitico in cui vengono indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa)

- il libro degli inventari (registro periodico-sistematico redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno; fornisce il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore e si chiude con il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite). Dal bilancio devono risultare con evidenza e verità la situazione complessiva del patrimonio (stato patrimoniale) alla fine di ciascun anno, nonché gli utili conseguiti o le perdite sofferte (conto economico) nel medesimo arco di tempo.

- gli originali della corrispondenza commerciale ricevuta e copia di quella spedita.Altre scritture sono: libro mastro (operazioni registrate sistematicamente), libro cassa (entrate e uscite di denaro), libro magazzino (entrate e uscite di merci).l’imprenditore dovrà altresì tenere i libri e le scritture contabili previste dalla legislazione tributaria.

Regolarità delle scritture contabili. Efficacia probatoria

Per garantire la veridicità delle scritture contabili è imposta l’osservanza di determinate regole formali e sostanziali nella loro tenuta (es.il libro giornale e il libro degli inventari devono essere numerati progressivamente pagina per pagina prima di essere messi in uso). Tutte le scritture contabili devono essere poi tenute secondo le norme di un’ordinata contabilità (senza spazi in bianco, senza interlinee, senza abrasioni e in modo che le parole cancellate restino leggibili). E’ tuttavia consentita la formazione e la conservazione delle scritture contabili con sistemi informatici. Le scritture contabili e la corrispondenza commerciale devono essere conservate per 10 anni. L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti. L’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore, è inoltre assoggettato alle sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento.Le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene (il terzo non può avvalersi solo della parte a lui favorevole).L’imprenditore può utilizzare le proprie scritture contabili come mezzo processuale di prova contro i terzi. Sono necessarie tre condizioni (1- scritture regolarmente tenute; 2- la controparte deve essere un imprenditore obbligato alla tenuta delle scritture contabili; 3- la controversia è relativa a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa). In ogni caso è rimesso all’apprezzamento del giudice riconoscere valore probatorio alle scritture contabili.

C) La rappresentanza commerciale

Ausiliari dell’imprenditore commerciale e rappresentanza

Di regola l’imprenditore si avvale della collaborazione di altri soggetti. Possono essere collaboratori interni,cioè soggetti stabilmente inseriti all’interno della struttura aziendale per effetto di un rapporto di lavoro subordinato che li lega all’imprenditore. Oppure possono essere soggetti esterni all’organizzazione imprenditoriale che collaborano con l’imprenditore in modo occasionale o stabile attraverso mandato,commissione, spedizione, agenzia,… (collaboratori esterni).

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Il fenomeno della rappresentanza è regolato in via dal cod. civ., è però regolato da norme speciali quando si tratti di atti inerenti all’esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcune figure tipiche di ausiliari interni: institori, procuratori e commessi che per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore (il loro potere costituisce un effetto naturale di quella determinata collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore). Chi conclude affari con uno di questi ausiliari dell’imprenditore commerciale dovrà solo verificare se l’imprenditore ha modificato (con atto espresso e reso pubblico) i loro naturali poteri amministrativi.

L’institore

Art.2203 È institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa (è il direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo). È un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del personale (vertice assoluto se è preposto all’intera impresa: in tal caso dipenderà solo dall’imprenditore, solo da lui riceverà direttive e solo a lui dovrà rendere conto del suo operato).L’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione al registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili. In caso di fallimento dell’imprenditore troveranno applicazione anche nei confronti dell’institore le sanzioni penali a carico del fallito. Ha anche un generale potere di rappresentanza, sia sostanziale che processuale. Per quanto riguarda quella sostanziale, l’institore può compiere in nome dell’imprenditore, anche in mancanza di espressa procura,tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa (gli è espressamente vietato di alienare i beni immobili del preponente).Per quanto riguarda poi la rappresentanza processuale, l’institore può stare in giudizio, sia come attore(rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa a cui è preposto. I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore (le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese). Anche la revoca della procura è opponibile ai terzi solo se pubblicata. Come ogni rappresentante, l’institore deve rendere palese (spendendo il nome del rappresentato) al terzo con cui contratta, tale sua veste, affinché l’atto compiuto e i relativi effetti ricadano direttamente sul rappresentato. In caso di danno del terzo, risponderanno nei suoi confronti solidalmente sia l’institore sia il preponente. Sarà poi questione interna a costoro stabilire su chi debba realmente ricadere il peso del debito e il regolamento dei reciproci rapporti.

I procuratori

Art.2209 i procuratori sono coloro che, in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa pur non essendo preposti ad esso. Sono ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all’institore, poiché non sono posti a capo dell’impresa o di sedi secondarie e il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa (es.direttore del settore acquisti, dirigente del personale,…). Il procuratore non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore, non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e alla tenuta delle scritture contabili. L’imprenditore non risponde degli atti compiuti dal procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso, anche se pertinenti all’esercizio dell’impresa.

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I commessi

Sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che le pongono in contatto con i terzi (es. commesso di negozio, impiegato di banca addetto agli sportelli, cameriere,…). Il loro potere è più limitato rispetto a quello di institori e procuratori: possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati. L’imprenditore può limitare o ampliare tali poteri.

Capitolo quinto. L’AZIENDA

La nozione di azienda. Organizzazione ed avviamento

L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555). (organizzazione e destinazione ad un fine produttivo)È quindi l’apparato strumentale (locali, macchinari, merci,…) di cui si avvale l’imprenditore per e nello svolgimento della propria attività. Non possono essere perciò considerati beni aziendali i beni di proprietà dell’imprenditore che non siano da questi effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività d’impresa. Viceversa la qualifica di bene aziendale compete anche ai beni di proprietà di terzi di cui l’imprenditore può disporre purché attualmente impiegati nell’attività d’impresa (locali in affitto o macchinario in leasing). E’ un complesso caratterizzato da unità funzionale per il coordinamento di fra i diversi elementi costitutivi realizzato dall’imprenditore e soprattutto per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo. I beni organizzati ad azienda consentono la produzione di utilità nuove, diverse e maggiori di quelle ricavate dai singoli beni isolatamente considerati. Il rapporto di strumentalità e di complementarietà fra i singoli elementi costitutivi dell’azienda fa si che il complesso unitario acquisti di regola un valore di scambio maggiore della somma dei valori dei singoli beni che in dato momento la costituiscono. Tale maggior valore si definisce avviamento (attitudine alla realizzazione di un profitto):- l’avviamento oggettivo è quello ricollegabile a fattori che permangono anche se muta il titolare dell’azienda, in quanto insiti nel coordinamento esistente dei diversi beni (capacità di un complesso industriale di consentire una produzione a costi competitivi sul mercato);- l’avviamento soggettivo è quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla sua abilità nel formarsi, conservare e accrescere la clientela.

La circolazione dell’azienda. Oggetto e forma

È importante stabilire in concreto se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore sia da qualificare come trasferimento di azienda o come trasferimento dei singoli beni aziendali. La distinzione non è sempre agevole, soprattutto quando l’atto di disposizione comprende solo parte dei beni aziendali. Per aversi trasferimento d’azienda non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso aziendale. È necessario, ma al tempo stesso sufficiente, che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente idoneo a essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività d’impresa.I contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione in godimento dell’azienda sono validi se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge ( art.2556) per

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il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.

La vendita dell’azienda. Il divieto di concorrenza dell’alienante

Chi aliena un’azienda commerciale deve:-divieto di concorrenza dell’alienante: astenersi, per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque, per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanza, sviare la clientela dall’azienda ceduta (se viene pattuito un termine superiore, tale termine viene ricondotto ai cinque anni). La norma tutela due opposte esigenze. Quella dell’acquirente dell’azienda di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento (soggettivo), del quale di regola si è tenuto conto nella pattuizione del prezzo di vendita. Quella dell’alienante a non vedere compromessa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo (legislativamente ritenuto)sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela. Il divieto di concorrenza è derogabile e ha carattere relativo: sussiste nei limiti in cui la nuova attività d’impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela all’azienda ceduta.Il divieto è applicabile non solo alla vendita volontaria di azienda ma altresì quando la vendita è coattiva.

(segue) La successione nei contratti aziendali

-La disciplina del trasferimento dell’azienda si preoccupa di favorire il mantenimento dell’unità economica della stessa. A tal fine è agevolato il subingresso dell’acquirente nei rapporti contrattuali in corso di esecuzione che l’alienante ha stipulato con fornitori, finanziatori, lavoratori e clienti, per assicurarsi i fattori produttivi necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa, nonché per dare sbocco ai suoi prodotti. È infatti previsto che, se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa. Nella cessione dei contratti inerenti all’esercizio dell’impresa, il consenso del terzo contraente non è più necessario per il trasferimento del contratto. Se il terzo decide di avvalersi del diritto di recesso può richiedere un risarcimento danni all’alienante dimostrando che questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente dell’azienda. Un’espressa pattuizione è necessaria solo se si vuole escludere la successione in uno o più contratti in corso di esecuzione. Nei contratti che hanno carattere personale sono necessari sia un’espressa pattuizione contrattuale fra alienante e acquirente dell’azienda, sia il consenso del contraente ceduto ai fini del trasferimento (ritorno alla disciplina del diritto comune della cessione del contratto).

(segue) I crediti e i debiti aziendali

-Se l’imprenditore ha già adempiuto alle obbligazioni a suo carico, residuerà un credito a suo favore nei confronti del terzo o un debito dell’imprenditore qualora il terzo contraente abbia integralmente eseguito le proprie prestazioni. Verranno applicati gli art.2559-2560 per i crediti e i debiti aziendali, che derogano ai principi di diritto comune in tema di cessione dei crediti e successione nei debiti. Nella successione dei crediti aziendali, la notifica al debitore ceduto o l’accettazione da parte di questi è sostituita da una sorta di notifica collettiva: l’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel

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registro delle imprese. Da tale momento la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi. Tuttavia se il debitore ceduto paga in buona fede l’alienante è liberato. Questa disciplina è circoscritta alle imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale, negli altri casi si applica la generale disciplina della cessione dei crediti.Per quanto riguarda i debiti è invece necessario il consenso del creditore: l’alienante non è infatti liberato se non risulta che i creditori vi hanno consentito. deroga a questo principio nel trasferimento di un’azienda commerciale, risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda,se essi risultano dai libri contabili obbligatori. Per quanto riguarda i debiti di lavoro, risponde l’acquirente dell’azienda, in solido con l’alienante, anche se non risultano dalle scritture contabili e anche se l’acquirente non ne ha avuto conoscenza all’atto del trasferimento. Nulla è disposto circa le sorti di tali debiti e crediti nel rapporto tra alienante e acquirente. Secondo gli orientamenti più recenti, crediti e debiti non passano automaticamente in testa all’acquirente,ma è necessaria a tal fine un’espressa pattuizione.

Usufrutto e affitto dell’azienda

L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento.La costituzione in usufrutto di un complesso di beni destinati allo svolgimento di attività d’impresa comporta il riconoscimento in testa all’usufruttario di particolari poteri-doveri. E ciò sia per consentire all’usufruttuario di operare liberamente nella gestione dell’impresa, sia per tutelare l’interesse del concedente a che non sia menomata l’efficienza del complesso aziendale.l’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue e deve condurre l’azienda senza modificarne la destinazione e conservando l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti. L’usufruttuario può godere dei beni aziendali e ha il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione; può inoltre acquistare e immettere nell’azienda nuovi beni. Al termine dell’usufrutto, l’azienda sarà composta in tutto o in parte da beni diversi da quelli originari; è pertanto prevista la redazione di un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto, in modo da regolare la differenza fra le due consistenze in denaro. La disciplina prevista per l’usufrutto si applica anche per l’affitto di azienda per espresso rinvio operato dall’art.2562.L’affitto di azienda è contratto affatto diverso dalla locazione di un immobile destinato all’ esercizio di attività di impresa:nel primo caso, oggetto del contratto è un complesso di beni organizzati, eventualmente comprensivo dell’immobile; nel secondo caso, il contratto ha per oggetto il locale in quanto tale.Sia per l’usufrutto e sai per l’affitto si applicano gli art. 2557 (divieto di concorrenza) e l’art. 2558 (successione nei contratti aziendali). Il nudo proprietario ed il locatore sono perciò tenuti a non iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela per la durata dell’usufrutto e dell’affitto. Inoltre l’usufruttuario o l’affittuario subentrano automaticamente nei contratti aziendali per la durata dell’usufrutto o dell’affitto. Per i debiti aziendali anteriori alla costituzione dell’usufrutto o dell’affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore, salvo che per i debiti di lavoro espressamente accollati anche al titolare del diritto di godimento.

Capitolo sesto. I SEGNI DISTINTIVI

Il sistema dei segni distintivi

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In un mercato che vede la coesistenza di più imprenditori, i quali producono beni o servizi identici o similari,ricopre una grande importanza il sistema dei segni distintivi (la ditta, l’insegna e il marchio). Questi favoriscono la formazione ed il mantenimento della clientela e permettono ai consumatori di distinguere fra i varo operatori economici e quindi di operare scelte consapevoli. Gli imprenditori sono tutelati dal divieto di precludere ai concorrenti l’uso di segni similari idonei a sviare la propria clientela. Inoltre possono cedere ad altri i propri segni distintivi, monetizzando l’autonomo valore economico. I segni distintivi rispondono anche all’interesse dei terzi che entrano in contatto con l’azienda a non essere tratti in inganno sull’identità dell’imprenditore o sulla provenienza dei prodotti immessi sul mercato. Su questi interessi domina il più ampio e generale interesse a che la competizione concorrenziale si svolga in modo ordinato e leale.In generale l’imprenditore:- gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi, anche se è tenuto a rispettare determinate regole (verità, novità, capacità distintiva);- ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi (relativo e strumentale);- può trasferire ad altri i propri segni distintivi.

A) La ditta

Formazione e contenuto del diritto sulla ditta

La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore. Lo individua come soggetto di diritto nell’attività di impresa.E’ segno distintivo necessario: in mancanza di diversa scelta corrisponde col nome e cognome civile dell’imprenditore, ma può essere liberamente stabilita. La ditta originaria è quella formata dall’imprenditore che la utilizza. Deve contenere il cognome o la sigla dell’imprenditore per soddisfare il requisito della verità. La ditta derivata è quella formata da un imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore insieme all’azienda, in questo caso nessuna disposizione impone di integrarla col proprio cognome o con la propria sigla, verità puramente storica. Il principio della novità stabilisce che la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata (chi successivamente adotti ditta uguale o simile può essere costretto a modificarla con indicazioni idonee a differenziarla). Per le imprese commerciali trova applicazione il criterio della priorità di iscrizione al registro delle imprese. L’obbligo di differenziazione esiste soltanto tra imprenditori che si trovano in un rapporto concorrenziale e quindi potrebbe determinarsi confusione. La ditta si può trasferire solo insieme all’azienda.

B) Il marchio

Nozione e funzioni del marchio

Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. E’ disciplinato sia dall’ordinamento nazionale (codice civile e codice della proprietà industriale), sia da quello comunitario e internazionale (disciplinato da due convenzioni: d’unione di Parigi e l’Accordo di Madrid). Alcuni marchi producono effetti soltanto a livello nazionale (marchio nazionale), altri a livello europeo (marchio comunitario). Tali normative imperniate sull’istituto

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della registrazione del marchio, riconoscono al titolare il diritto all’uso esclusivo. Il marchio non è un segno distintivo essenziale ma, ha la importante funzione di riconoscere con facilità i prodotti provenienti da una determinata fonte di produzione e svolge un’importante funzione nella formazione e nel mantenimento della clientela. Alcuni marchi celebri godono di una tutela speciale: ad es. non possono essere riportati nemmeno su prodotti differenti da quelli cui il marchio si riferisce.

I tipi di marchio

I marchi possono essere classificati e raggruppati secondo diversi criteri:una prima distinzione si basa sulla natura dell’attività svolta;

- del marchio può servirsi il fabbricante del prodotto (marchio di fabbrica). - Il marchio può anche essere apposto dal commerciante (marchio di commercio).È possibile che alcuni beni possono riportare più marchi (di fabbricazione e/o di commercio) in quanto subiscono successive fasi di lavorazione o risultano dall’assemblaggio di parti distintamente prodotte. - Il marchio può essere utilizzato anche da imprese che producono servizi (marchio di

servizio) (ad es. a scopo pubblicitario).L’imprenditore può utilizzare un solo marchio per tutti i prodotti (marchio generale), ma può anche servirsi di più marchi per differenziare i diversi prodotti della propria impresa (marchio speciale). È possibile l’uso contemporaneo di un marchio generale e di più marchi speciali (ad es. Fiat500, Fiat Punto, ecc…) quando si vuole evidenziare al tempo stesso l’unità della fonte di produzione e la diversità dei prodotti. Il marchio può essere costituito solo da parole (marchio denominativo), da figure, lettere, cifre, disegni (marchio figurativo) o da suoni. Può anche essere costituito dalla forma del prodotto o dalla confezione dello stesso (marchio di forma o tridimensionale), non possono essere registrati come marchi le forme imposte dalla natura stessa del prodotto e quelle che danno un valore sostanziale al prodotto.Un tipo particolare di marchio è quello collettivo, titolare del marchio è un soggetto (consorzio, associazione..) che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, questo viene concesso in uso a produttori o commercianti consociati che si impegnano nella loro attività a rispettare le norme statutarie dell’ente e consentirne i relativi controlli. di regola sono utilizzati in aggiunta a quelli individuali.

I requisiti di validità del marchio

Per essere tutelato giuridicamente il marchio deve rispondere ai requisiti di liceità, verità, originalità, novità.

- Liceità: non può contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali. divieto di utilizzo dell’altrui ritratto senza il consenso dell’interessato.

- Verità: non è possibile inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.

- Originalità: il marchio deve essere originale. Deve essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati fra tutti i prodotti dello stesso genere immessi nel mercato. Non possono essere utilizzate le denominazioni generiche, le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali (salvo per i marchi collettivi) e della provenienza

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geografica del prodotto, i segni divenuti di uso comune nel linguaggio comune (lusso, extra..).

- Novità: non deve essere già stato utilizzato da un imprenditore dello stesso settore produttivo. Se marchio celebre in tutti i settori produttivi.

Il difetto di questi requisiti comporta la nullità del marchio.

Il marchio registrato

La registrazione attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio nazionale. Il diritto di esclusiva sul marchio registrato copre tutti i prodotti di fatto (identici e affini) destinati alla stessa clientela (non impedisce però che altro imprenditore registri o usi lo stesso marchio per prodotti del tutto diversi).Quando si tratti di marchi celebri, dotati di forte capacità attrattiva e suggestiva (es. Coca-Cola), l’uso di tali marchi da parte di altri imprenditori, anche per merci del tutto diverse, oltre a costituire usurpazione dell’altrui fama, può facilmente determinare equivoci sulla reale fonte di produzione: seguono conseguenze particolarmente gravi per il titolare del marchio e per il pubblico. Quindi si può vietare ai terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini. Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domanda all’ufficio brevetti e marchi (il titolare è perciò tutelato ancor prima di utilizzarlo, ad es. nella fase di lancio pubblicitario). La registrazione nazionale dura dieci anni ed è rinnovabile per un numero illimitato di volte,sempre con efficienza decennale, ed è presupposto per poter estendere la tutela del marchio in ambito internazionale.Costituisce causa di decadenza il non uso quinquennale e la volgarizzazione del marchio (è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto). Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente: il titolare del marchio, il cui diritto di esclusiva sia stato leso da un concorrente, può promuovere contro questi l’azione di contraffazione, volta ad ottenere l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti stessi, attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali è stata attuata la contraffazione. Può essere richiesto dal titolare del marchio il risarcimento dei danni.

Il marchio non registrato

L’ordinamento tutela anche chi usi un marchio senza registrarlo; si tratta di una tutela minore rispetto a quella di cui gode il marchio registrato.chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso. tutela basata sull’uso di fatto e sull’effettiva notorietà raggiunta.

Il trasferimento del marchio

Il marchio è trasferibile e può essere trasferito (monetizzazione del valore commerciale dello stesso) sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo (c.d. licenza di marchio). Si può effettuare il trasferimento o concesso in licenza, senza che sia necessario il contemporaneo trasferimento dell’azienda. E’ inoltre riconosciuta l’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva, quindi lo stesso marchio può essere utilizzato in contemporanea dal titolare originario e da uno o più concessionari, che immettono sul mercato prodotti dello stesso genere con lo stesso marchio ma con diversa fonte di provenienza (franchising, merchandising..). Il licenziatario deve

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utilizzare il marchio solo per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a quelle dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente.

C) L’insegna

Nozione e disciplina

L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale. Essa non potrà essere uguale o simile a quella già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione. L’insegna dovrà essere lecita, veritiera e originale.Nulla è disposto per il trasferimento dell’insegna, ma è pacifico che il diritto può essere trasferito.

Capitolo settimo. OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI

Le creazioni intellettuali

Le opere dell’ingegno (idee creative in campo culturale) e le invenzioni industriali (idee creative nrl campo della tecnica) sono le creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento.Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore, mentre le invenzioni industriali possono formare oggetto del brevetto per invenzioni industriali, del brevetto per modelli di utilità o della registrazione per disegni e modelli. Istituti regolati dal cod. civ. e dal cod. della proprietà industriale.

A) Il diritto d’autore

Oggetto e contenuto del diritto d’autore

Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il modo e la forma di espressione. Tali opere sono protette indipendentemente dal loro pregio, tuttavia devono avere “carattere creativo”: originalità oggettiva. Fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera, non deve essere stata necessariamente divulgata fra il pubblico. La tutela è sia morale, sia patrimoniale.fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera, non è invece necessario che sia stata divulgata fra il pubblico.Diritto morale: rivendica nei confronti di chiunque la paternità dell’opera: pubblicazione, modifiche varie etc.. Diritto irrinunciabile, inalienabile, non si perde con la cessione dei diritti patrimoniali e possono essere esercitati anche dai congiunti dopo la morte dell’autore.Diritto patrimoniale: diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera in ogni forma e modo, originale o derivato. Ha durata limitata, di 70 anni dopo la morte dell’autore.

Trasferimento del diritto di utilizzazione economica. Tutela

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Il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi, sia a causa di morte.Contratti previsti per lo sfruttamento economico:

- contratto di edizione: autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del diritto di pubblicare per la stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso;

- contratto di rappresentazione: autore cede non in esclusiva il solo diritto di rappresentazione un pubblico di opere destinate a tal fine.

Il diritto d’autore è protetto con sanzioni civili, amministrative pecuniarie e penali. Le opere dell’ingegno godono di una protezione circoscritta al territorio nazionale e sono esposte alla concorrente utilizzazione abusiva da parte di terzi in altri Stati. Ci sono delle Convenzioni per estendere in ambito territoriale la tutela del diritto d’autore.

B) Le invenzioni industriali

Oggetto e requisiti di validità

Le invenzioni industriali sono idee creative che appartengono al campo della tecnica. Sono la soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Il diritto si acquista tramite la concessione del brevetto da parte dell’Ufficio Italiano brevetti e marchi. Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale:

o invenzioni di prodotto (nuovo prodotto materiale)o invenzioni di procedimentoo invenzioni derivate (sviluppo di una precedente invenzione).

Non possono essere oggetto di brevetto ciò che già esiste in natura e l’uomo si limita a percepire oppure una nuova teoria, non sono inoltre brevettabili i software, i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano e animale.I trovati devono avere determinati requisiti di validità per poter formare oggetto di brevetto:

o leciti; o nuovi quelle non ricomprese nello stato della tecnica; o devono implicare un’attività inventiva (per una persona esperta nel campo);o devono avere un’applicazione industriale il trovato deve poter essere

fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola.

L’invenzione brevettata

La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale che patrimoniale. L’inventore ha sempre diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione e tale diritto morale acquista per il solo fatto dell’invenzione. L’inventore ha il diritto di conseguire il brevetto che ha funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto all’utilizzazione economica in esclusiva del trovato.Il brevetto per invenzione industriale è emesso dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, sulla base di una domanda corredata dalla descrizione accurata (perché ogni persona esperta nel ramo possa attuarla) dell’invenzione. Il brevetto per invenzioni industriali dura 20 anni dalla data di deposito della domanda e non c’è possibilità di rinnovo. Il diritto di esclusività si può perdere per nullità del brevetto o decadenza dello stesso. Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e

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trarne profitto nel territorio dello Stato. L’esclusiva di commercio si esaurisce con la prima immissione in circolazione del prodotto brevettato. Se l’invenzione riguarda un nuovo metodo o processo di produzione (invenzione di procedimento), l’esclusiva copre solo la messa in commercio del prodotto identico a quello direttamente ottenuto con il nuovo metodo o processo. Il brevetto è liberamente trasferibile sia fra vivi sia mortis causa indipendentemente dal trasferimento dell’azienda. Sui brevetti possono essere costituiti diritti reali di godimento o di garanzia; il titolare del brevetto può concedere licenza d’uso dello stesso.L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali e possono essere esercitate azioni di contraffazione nei confronti di chi sfrutti abusivamente l’invenzione. Il titolare del brevetto ha in ogni caso diritto al risarcimento dei danni comprendente sia il danno morale sia quello patrimoniale. Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di esclusiva solo sul territorio nazionale. L’esclusiva può essere conseguita anche in altri stati ed alcuni trattati internazionali agevolano il conseguimento di tale risultato. Brevetto autonomo e unitario è il brevetto unitario europeo, rilasciato dall’Ufficio europeo di Monaco, istituito dai regolamenti sulla base di una procedura di cooperazione rafforzata fra gli stati membri alla quale però l’italia non ha aderito.

L’invenzione non brevettata

L’inventore può anche non brevettare il proprio trovato, e anche per le invenzioni non brevettate è riconosciuta una sia pur limitata tutela anche a chi abbia utilizzato un’invenzione senza brevettarla. Quindi chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella propria azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda di brevetto può continuare a sfruttare l’invenzione nei limiti del preuso. Può altresì trasferire tale facoltà ma solo insieme all’azienda.

C) I modelli industriali

Modelli di utilità. Disegni e modelli

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali. I modelli sono distinti in a) modelli di utilità e b) disegni e modelli.I modelli di utilità sono nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità a macchine, strumenti, utensili e oggetti d’uso.I disegni e modelli sono invece nuove idee destinate a migliorare l’aspetto dei prodotti industriali (industrial design).I modelli industriali riguardano la foggia funzionale o estetica dei prodotti. La tutela dei modelli industriali continua a fondarsi sull’istituto della brevettazione. Il brevetto per i modelli di utilità dura 10 anni, rispetto ai 20 delle invenzioni industriali.La durata del brevetto per i disegni e modelli è di 5 anni dalla domanda, ma può essere prorogata fino a 25 anni. Disegni e modelli sono anche tutelati dal diritto d’autore quando presentino carattere creativo e valore artistico.

Capitolo ottavo. LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

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Concorrenza perfetta e monopolio

Contemporanea presenza sul mercato di numerose imprese in competizione tra loro, nessuna delle quali sia singolarmente in grado di condizionare il prezzo delle merci vendute. Questo è il modello ideale di funzionamento del mercato: la concorrenza perfetta (ideale perché spinge verso una riduzione dei costi e dei prezzi di vendita; assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive; stimola il progresso tecnologico e l’accrescimento dell’efficienza produttiva).La concorrenza perfetta è appunto solo un modello ideale e teorico. Nei settori strategici della produzione la tendenza è verso un regime di mercato sempre più lontano dalla concorrenza perfetta. Si vengono così spesso a creare situazioni di oligopolio (mercato caratterizzato dal controllo dell’offerta da parte di poche grandi imprese). Gli imprenditori riescono a sfruttare questa situazione stipulando intese volte a limitare la reciproca concorrenza, arrivando anche al punto da controllare l’intera offerta di un dato prodotto(monopolio di fatto). La salvaguardia del regime di concorrenza non può prescindere da una preclusione delle situazioni limitative della concorrenza, che vanno tenute sotto controllo per evitare che degenerino in situazioni monopolistiche.Fissato il principio guida della libertà di concorrenza (art.41 Cost.) La legge italiana:- consente limitazioni legali della libertà di concorrenza per fini di utilità sociale ed anche la creazione di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;- consente limitazioni negoziali della concorrenza;- assicura l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale. Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza è stato sprovvisto di una normativa antimonopolistica. Questa lacuna è stata parzialmente colmata dalla disciplina antitrust dettata dai trattati istitutivi della CEE, riguardanti però solo le pratiche che possono pregiudicare il regime concorsuale del mercato comune europeo. Con la legge 287/1990, recante norme per la tutela della concorrenza del mercato, si è affianca alla normativa comunitaria anche una normativa antimonopolistica italiana.

A) La legislazione antimonopolistica

La disciplina italiana e comunitaria

La disciplina comunitaria è volta a preservare la struttura concorrenziale del mercato comunitario e reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio fra stati membri.Questo principio è recepito anche dalla legislazione antimonopolistica italiana, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali che incidono sul mercato italiano.Con la legge 287/1990 è stato istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica generale, adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari ed irroga le sanzioni amministrative e pecuniarie previste dalla legge. La competenza dell’autorità garante è inoltre estesa anche al settore bancario, essendo state di recente abrogate le competenze della Banca d’Italia in materia. La disciplina italiana ha tuttavia carattere residuale.

(segue) Le singole fattispecie

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Tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria:- intese restrittive della concorrenza: sono comportamenti concordati tre imprese, anche

attraverso organismi comuni (consorzi, associazioni di imprese), volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato. Non tutte le intese anticoncorrenziali sono vietate. Sono vietate le intese che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare, in maniera consistente, il gioco della concorrenza all’interno del mercato (le intese vietate sono nulle ad ogni effetto). Il divieto di atti intese anticoncorrenziali rilevanti non ha carattere assoluto, l’autorità può concedere esenzioni temporanee, purchè si tratti di intese che migliorino le condizioni di offerta del mercato e producono un sostanziale beneficio per i consumatori.

- abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese: (eccezion fatta per i mezzi di comunicazione di massa) vietato è solo lo sfruttamento abusivo di tale posizione con comportamenti capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva. Ad un’impresa in posizione dominante è vietato di: imporre prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.

- Oggi è vietato nell’ordinamento nazionale anche l’abuso dello stato di dipendenza economica nel quale si trova un’impresa cliente o fornitrice rispetto ad un’altra anche in posizione non dominante sul mercato. Per dipendenza economica s’intende la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi (valutata tenendo conto anche delle reali possibilità per la parte che ha subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti); il patto con cui si realizza l’abuso è nullo ed espone al risarcimento dei danni.

- concentrazioni: si ha quando: due o più imprese si fondono dando così luogo ad un’unica impresa (concentrazione giuridica); due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica (concentrazione economica); due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune. Le concentrazioni costituiscono un utile strumento di ristrutturazione aziendale e non sono di per sé vietate in quanto rispondono all’esigenza di accrescere la competitività delle imprese, diventano però illecite e vietate quando danno luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato (solo per le concentrazioni di grandi dimensioni). E’ stabilito che le operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di fatturato, a livello nazionale o comunitario, devono essere preventivamente comunicate all’autorità italiana o alla commissione europea, che provvederanno ad autorizzarle o vietarle. Se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita o se le imprese non si adeguano, sono previste pesanti sanzioni pecuniarie inflitte dall’Autorità.

B) Le limitazioni della concorrenza

Limitazioni pubblicistiche e monopoli legali

La libertà di iniziativa economica privata e la conseguente libertà di concorrenza sono libertà disposte nell’interesse generale e non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

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Sia la costituzione che il cod. civ. consentono che tali libertà possano essere compresse e limitate dai poteri pubblici.L’interesse generale può legittimare la soppressione della libertà di concorrenza attraverso la costituzione di monopoli pubblici (in settori predeterminati dalla stessa Costituzione: servizi pubblici, fonti di energia,…), oggi tendono a ridursi mal conciliandosi con i principi ispiratori dell’UE e con la legge antimonopolistica nazionale.Quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale, il legislatore si preoccupa di tutelare gli utenti contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista.Per chi opera in regime di monopolio sono previsti due obblighi:- l’obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni;- l’obbligo di rispettare la parità di trattamento tra i diversi richiedenti.

Limitazioni convenzionali della concorrenza

(art.2596) La libertà individuale di iniziativa economica e di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. E’ consentita la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza e detta nel contempo una disciplina di carattere generale:il patto che limita la concorrenza deve essere approvato per iscritto, ed è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o ad un determinato tipo di attività e ha una durata massima di cinque anni.Le clausole limitative della concorrenza devono ritenersi vietate quando ricadono nel divieto di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante.Costituiscono esempi classici di questo fenomeno i cartelli, i consorzi anticoncorrenziali, i contratti con i quali più imprenditori possono prevedere impegni reciproci di vario tipo.

C) La concorrenza sleale

Libertà di concorrenza e disciplina della concorrenza

La libertà di iniziativa economica implica la presenza sul mercato di più imprenditori in competizione fra loro per conquistare il potenziale pubblico di consumatori e conseguire il maggior successo economico. Nel perseguimento di questi obiettivi ciascun imprenditore gode di ampia libertà di azione e può porre in essere le strategie che ritiene più proficue, non solo per attirare clienti ma anche per sottrarli alla concorrenza. Infatti il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela non è un danno ingiusto e quindi non è risarcibile. Tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa e anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti. Basta il cosiddetto danno potenziale.È necessario distinguere fra comportamenti concorrenziali leali e comportamenti sleali. Questa esigenza è soddisfatta dalla disciplina della concorrenza sleale (art.2598-2601). Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi della correttezza professionale; gli atti che non soddisfano questo requisito (il legislatore ne individua alcune categorie tipiche) vengono considerati di concorrenza sleale. La repressione e la sanzionabilità di questi atti dipende solamente dal fatto che l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda. È tutelato anche l’interesse generale a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del pubblico e non siano tratti in inganno i destinatari finali della produzione: i consumatori. Per tutelare le esigenze di questi è stata introdotta nel Codice del

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consumo una disciplina contro tutte le pratiche commerciali scorrette, che secondo i principi di correttezza e buonafede, possono indurre il consumatore medio ad assumere le decisioni commerciali che altrimenti non avrebbe preso. Con tali interventi è stato introdotto un controllo amministrativo affidato all’autorità garante della concorrenza e del mercato, una disciplina statale della pubblicità ingannevole o comparativa.Punti salienti della disciplina legislativa in tema di pubblicità ingannevole: la pubblicità deve essere palese, veritiera, corretta, nonché chiaramente riconoscibile come tale.È ingannevole qualsiasi pubblicità che in qualunque modo indice in errore o può indurre in errore le persone alle quali è rivolta e possa pregiudicare il loro comportamento economico o ledere un concorrente. Ogni interessato può chiedere che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta illecita e che ne siano eliminati gli effetti. Ambito di applicazione della disciplina della concorrenza sleale:La disciplina della concorrenza sleale regola i rapporti di coesistenza sul mercato fra imprenditori concorrenti. Per la sua applicazione, sono necessari due presupposti:1) la qualità di imprenditore sia del soggetto che pone in essere l’atto di concorrenza vietato, dia

del soggetto che ne subisce le conseguenze il soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale può essere esclusivamente un imprenditore.

2) L’esistenza di un rapporto di concorrenza economica fra i medesimi i soggetti attivo e passivo devono offrire nello stesso ambito di mercato beni o servizi destinati a soddisfare lo stesso bisogno dei consumatori o bisogni similari o complementari.

Gli atti di concorrenza sleale.

Art. 2598 definisce i comportamenti di concorrenza sleale:a) atti di confusione ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un

concorrente. Molteplici sono le tecniche che possono essere poste in atto e il legislatore ne individua 2 in particolare:

1. uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi usati legittimamente da altri imprenditori concorrenti

2. imitazione servile: riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui. L’imitazione deve riguardare elementi formali non necessari ma allo stesso tempo caratterizzanti.

b) Atti di denigrazione e appropriazione di pregi altrui diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito e l’appropriazione dei pregi degli altri concorrenti. Comune a entrambe le fattispecie è il falsare gli elementi di valutazione comparativa del pubblico, con denigrazione e vanteria.

o denigrazione: divulgazione di notizie screditatrici e pubblicità iperbolica o appropriaz. pregi: pubblicità parassitaria (mendace attribuzione di pregi) e

pubblicità per riferimento (credenza che i propri prodotti siano simili a quelli di un concorrente con uso di espressioni come tipo, modello etc.).

Costituisce atto di concorrenza sleale ogni altro mezzo non conforme ai princìpi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.Altri atti di concorrenza sleale sono:

- pubblicità menzognera: falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad alcun concorrente. Illecita è anche la pubblicità menzognera non specificamente lesiva di un determinato concorrente.

- Concorrenza parassitaria: sistematica imitazione delle altrui iniziative imprenditoriali.

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- Boicottaggio economico: rifiuto ingiustificato di un’impresa in posizione dominante di fornire i propri prodotti a determinati rivenditori, in modo da escluderli dal mercato.

- Dumping: è la vendita sottocosto.- Storno di dipendenti: la sottrazione ad un concorrente di dipendenti o collaboratori

autonomi qualificati attuata con mezzi scorretti.- Violazione di segreti aziendali: rivelazione a terzi delle informazioni aziendali segrete.

Sanzioni:La repressione degli atti di concorrenza si fonda su due tipi di sanzioni:a) l’inibitoria diretta ad ottenere una sentenza che accerti l’illecito concorrenziale, ne inibisca

la continuazione per il futuro e disponga a carico della controparte provvedimenti reintegrativi necessari per far cessare gli effetti della concorrenza sleale.

b) Risarcimento dei danni il concorrente leso potrà anche chiedere il risarcimento dei danni. La colpa del danneggiante si presume una volta accertato l’atto di concorrenza sleale. Ci può essere la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a spese del soccombente.

L’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa dall’imprenditore o dagli imprenditori lesi. I singoli consumatori o le associazioni che li rappresentano NON sono legittimari a promuovere la repressione della concorrenza sleale.

Capitolo nono. I CONSORZI FRA IMPRENDITORI

Nozione e tipi

“Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina e lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. (art. 2602)La nuova ampia definizione legislativa comporta che il consorzio è oggi schema associativo tra imprenditori idoneo a comprendere 2 distinti fenomeni della realtà:

consorzi anticoncorrenziali consorzio costituito al fine prevalente o esclusivo di disciplinare – limitandola – la reciproca concorrenza sul mercato fra imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari (consorzio con funzione anticoncorrenziale). Puro contratto limitativo della reciproca concorrenza.

consorzi di coordinamento per conseguire un fine parzialmente o totalmente diverso ovvero per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Il consorzio rappresenta anche (o solo) uno strumento di cooperazione interaziendale, finalizzato (anche o esclusivamente) alla riduzione dei costi di gestione delle singole imprese consorziate.

Consorzi e concorrenza: i consorzi anticoncorrenziali sollecitano controlli volti ad impedire che per loro tramite si instaurino situazioni di monopolio di fatto contrastanti con l’interesse generale. Quelli di cooperazione conservano e accrescono la competitività tra le imprese, favoriscono la sopravvivenza delle piccole e medie imprese. Sono guardati con favore dal legislatore che ne agevola la costituzione ed il funzionamento.

Divisione rilevante sul piano civilistico:a. consorzi con (sola) attività interna il compito si esaurisce nel regolare i rapporti

reciproci fra i consorziati e nel controllare il rispetto di quanto convenuto.

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b. consorzi con (anche) attività esterna le parti prevedono l’istituzione di un ufficio comune (art. 2612), destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle imprese consorziate.

Contratto di consorzio. L’organizzazione consortile

- Le parti: unico requisito richiesto è che sia stipulato tra imprenditori- Forma e contenuto: è un contratto formale, deve essere formato per iscritto, a pena di nullità (art. 2603). Essenziale è la determinazione dell’oggetto del consorzio, degli obblighi assunti dai consorziati e degli (eventuali) contributi in danaro. - Durata: è per sua natura un contratto di durata. Può essere liberamente fissata dalle parti, ma una previsione al riguardo non è necessaria. Nel silenzio il contratto è valido dieci anni.- Ammissione di nuovi consorziati: contratto tendenzialmente aperto. E’ possibile la partecipazione di nuovi imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti gli attuali consorziati. Le condizioni di ammissione devono però essere predeterminate nel contratto. Indicazione non essenziale se il contratto nulla prevede al riguardo è da ritenersi che il consorzio abbia struttura chiusa. Nuovi imprenditori potranno aderire solo con il consenso di tutti i consorziati. - Recesso ed esclusione: Il contratto può sciogliersi limitatamente ad un consorziato, per volontà di questi (recesso) o per decisione degli altri consorziati (esclusione). Le cause in entrambi i casi devono essere indicate nel contratto e causa tipica di esclusione può essere l’inadempimento agli obblighi consortili. Anche questa però non è clausola essenziale del contratto. Se nulla è pattuito opererà pur sempre la causa di esclusione prevista dall’art. 2610. L’esclusione potrà sempre essere deliberata in caso di gravi inadempienze.- Liquidazione della quota: al consorziato receduto o escluso competerà la liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo patrimoniale consortile.- Scioglimento del consorzio: le cause sono elencate nell’art. 2611 che consente lo scioglimento con delibera maggioritaria dei consorzi quando sussiste giusta causa. In mancanza da decidere all’unanimità.

Carattere strutturale essenziale è la creazione di un’organizzazione comune, cui è demandato il compito di attuare il contratto assumendo e portando ad esecuzione le decisioni a tal fine necessarie. Organizzazione che può avere rilievo solo interno o anche nei confronti dei terzi, ma che in ogni caso non può mancare. Bisogna dunque determinare quali siano gli organi preposti all’attuazione del contratto, nonché le rispettive funzioni e le modalità di funzionamento. Di regola: presenza di un organo con funzioni deliberative composto da tutti i consorziati (assemblea) e di un organo con funzioni gestorie ed esecutive (organo direttivo).

Assemblea: disciplina sintetica. Le delibere “relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio sono prese col voto favorevole della maggioranza dei consorziati”. (art. 2606) Per quelle adottate a maggioranza è poi previsto che esse possano essere impugnate entro 30 giorni davanti all’autorità giudiziaria dei consorziati (assenti o dissenzienti) se non prese in conformità della legge o del contratto. (art. 2606)

Organo direttivo: funzione tipica è quella di controllare l’attività dei consorziati al fine di accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte. (2605) Ulteriori compiti sono rimessi all’autonomia contrattuale.

I consorzi con attività esterna

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Hanno specifica disciplina integrativa rispetto ai precedenti. Essa prevede per i consorzi destinati a svolgere attività con i terzi un ufficio a tal fine istituito (art. 2612). Disciplina che trova fondamento sia nell’esigenza di regolare i rapporti patrimoniali consorzio-terzi, sia nel carattere tipicamente imprenditoriale dell’attività di tali consorzi.

Pubblicità legale: è previsto un regime di pubblicità legale destinato a portare a conoscenza dei terzi i dati essenziali della struttura consortile. Un estratto del contratto di consorzio deve essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese entro 30 giorni dalla stipulazione a cura degli amministratori. A tale forma di pubblicità sono soggette le modificazioni degli elementi iscritti. Vanno redatte le situazioni patrimoniali annuali osservando le norme previste per il bilancio di esercizio.

Rappresentanza: il contratto deve specificare le persone a cui è attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio e i relativi poteri. Dati che devono essere iscritti nel registro delle imprese. Il consorzio può essere chiamato in giudizio (rappresentanza processuale passiva) nelle persone del presidente e del direttore, anche se la rappresentanza (sostanziale e processuale) è attribuita ad altre persone (art. 2613).

Fondo consortile: è un fondo patrimoniale costituito dai contributi iniziali e successivi dei consorziati e dai beni acquistati con tali contributi. Esso è elevato a patrimonio autonomo rispetto al patrimonio dei singoli consorziati. E’ destinato a garantire il soddisfacimento dei creditori del consorzio e solo da questi è aggredibile fin quando dura il consorzio.

Obbligazioni consortili: art. 2615. La norma distingue trao Obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti : es. spese degli

uffici e degli impianti, risponde esclusivamente il consorzio ed i creditori possono far valere i loro diritti solo sul fondo consortile. Sanzioni penali per gli amministratori.

o Obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati : maggiormente tutelati sono i terzi in questo caso. Rispondono solidalmente sia il consorziato sia il fondo consortile. In caso di insolvenza del consorziato interessato, il debito dell’insolvente si ripartisce fra tutti gli altri consorziati in proporzione delle loro quote funzione di garanzia del fondo consortile.

Le società consortili

Consorzi e società sono istituti nettamente diversi. Il consorzio svolge attività esclusivamente interna, manca l’esercizio in comune di un’attività economica (attività d’impresa) da parte dei consorziati che è elemento essenziale delle società. La distinzione è più sottile quando il consorzio svolge attività con i terzi. In questo caso si hanno fenomeni associativi comuni: carattere imprenditoriale e il fine di realizzare attraverso tale attività un interesse economico.

Scopo consortile: la qualità di imprenditori di tutti i partecipanti del consorzio e lo stretto nesso funzionale che esiste tra l’attività del consorzio e l’attività svolta dai singoli imprenditori consorziati.

FUNZIONE TIPICA di un consorzio (con attività esterna) è quella di produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate. L’intento tipico non è ricavare un utile ma usufruire dei beni e servizi prodotti e messi a loro disposizione in modo da conseguire un vantaggio patrimoniale diretto sotto forma di minori costi sopportati o di maggiori ricavi conseguiti.

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Scopo mutualistico: molto più affine allo scopo consortile. Anche l’impresa mutualistica tende a procurare un vantaggio patrimoniale diretto sotto forma di risparmio di spesa o di un maggior guadagno personale.

Società consortili: tutte le società lucrative, ad eccezione della società semplice, possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati dall’art. 2602, cioè gli scopi di un consorzio. Chi li debba disciplinare però è dibattuto ancora oggi. Disciplina mista? In mancanza di specifiche disposizioni di legge o dell’atto costitutivo troverà integrale applicazione la disciplina legale del tipo societario prescelto.

Il gruppo europeo di interesse economico

GEIE Gruppo Europeo di Interesse Economico: nuovo istituto giuridico predisposto dall’Unione Europea per favorire la cooperazione fra imprese appartenenti a diversi stati membri, rimuovendo gli ostacoli delle diversità delle singole legislazioni nazionale.

o Fonti normative: la disciplina base è fissata dal regolamento comunitario 25/7/1985 n. 2137, direttamente applicabile in tutti gli stati membri. Ciascun legislatore nazionale ha poi provveduto ad emanare specifiche norme integrative.

o Struttura: struttura e funzione del Geie in larga parte coincidono con quelle dei consorzi di cooperazione con attività esterna. Parti del contratto costitutivo del gruppo possono essere solo persone fisiche o giuridiche che svolgono un’attività economica. Non è però necessario che si tratti di imprenditori. E’ necessario che almeno due membri abbiano l’amministrazione centrale e/o esercitino la loro attività economica in stati diversi della Comunità. L’istituto non può essere utilizzato per forme di cooperazione fra imprese nazionali. E’ un organismo associativo a rilievo esterno.

o Funzione: finalità del gruppo è quella di agevolare e di sviluppare l’attività economica dei suoi membri. La sua attività deve perciò necessariamente collegarsi, con funzione ausiliaria, a quella dei partecipanti. Il gruppo non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso.

- Costituzione il contratto costitutivo del Geie deve essere redatto per iscritto a pena di nullità. Deve essere indicato: denominazione del gruppo, sede, oggetto, nome dei membri, durata. Il contratto è soggetto a pubblicità legale nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ( efficacia dichiarativa) e poi in quella delle Comunità Europee. Poi si deve procedere con l’iscrizione nel registro delle imprese (efficacia costitutiva).

- Nullità: cause del contratto costitutivo del gruppo sono quelle previste dai singoli ordinamenti nazionali. La nullità è sanabile.

- Organizzazione: rimessa all’autonomia privata. Sono espressamente previsti due organi: organo collegiale ed organo amministrativo.

- Assemblea: le decisioni più importanti debbono essere prese all’unanimità. Ciascun membro dispone di un solo voto.

- Amministratori: gestione affidata ad uno o più amministratori, nominati con il contratto costitutivo del gruppo o con decisione dei membri.

- Rappresentanza: poteri degli amministratori fissati dal contratto. Solo ad essi spetta per legge la rappresentanza del gruppo verso i terzi.

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- Scritture contabili: deve tenere quelle previste per gli imprenditori commerciali indipendentemente dalla natura commerciale o meno dell’attività esercitata.

- Profitti e perdite: profitti risultanti dall’attività sono considerati direttamente profitti dei membri e ripartiti fra gli stessi secondo la proporzione prevista nel contratto o, nel silenzio, in parti uguali. Con lo stesso criterio i membri contribuiscono a coprire l’eccedenza delle uscite rispetto alle entrate del Geie.

- Responsabilità: la disciplina non prevede la formazione obbligatoria di un fondo patrimoniale iniziale. Delle obbligazioni di qualsiasi natura assunte dal Geie rispondono solidalmente ed illimitatamente tutti i membri del gruppo oltre a questo con il proprio patrimonio.

- Nuove ammissioni: L’ammissione di nuovi membri deve essere decisa all’unanimità e l’unanimità è necessaria anche per l’efficacia della cessione della quota di partecipazione, sia ad un terzo sia ad un altro membro.

- Recesso ed esclusione: le cause in entrambi i casi devono essere fissate nel contratto. Il recesso è sempre possibile se sussiste giusta causa o con accordo unanime degli altri componenti. Sono esclusi di diritto: il componente che perda i requisiti soggettivi per la partecipazione, il membro insolvente. Chi cessa ha diritto alla liquidazione del valore della sua quota di partecipazione.

- Scioglimento: cause obbligatorie sono lo scadere del termine, il conseguimento dell’oggetto o la sopravvenuta impossibilità, il venir meno della pluralità dei membri o della diversa nazionalità degli stessi.

- Fallimento: ne è esposto nel caso di insolvenza.

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