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Mark Allen Smith, "L'inquisitore"

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Il prologo del thriller d’esordio potente e di grande attualità di Mark Allen Smith, "L'inquisitore". In libreria dall'11 maggio.

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In libreria dall’11 maggio

Mark Allen Smith

L’INQUISITORE

Traduzione di Giuseppe Costigliola

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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale

ISBN 978-88-04-61376-3

Copyright © 2012 by Mark Allen Smith © 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Titolo dell’opera originale The Inquisitor

I edizione maggio 2012

www.librimondadori.it

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L’INQUISITORE

A Cathy

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PROLOGO

Il cliente era seduto in una stanza di circa sei metri quadrati e fissava un ampio specchio unidirezionale dietro cui regnava un’oscurità compatta, uniforme. Dagli altoparlanti alle pareti proveniva la registrazione di una risata nervosa continuamente interrotta da una tosse secca, ma lui non la sentiva perché si era messo i tappi per le orecchie che gli avevano lasciato. Guardò l’orologio. Le ventitré e venti. Era lì da tre ore e stava sorseggiando un altro scotch. La stanza, priva di finestre, era rivestita di legno invecchiato con rifiniture grigio chiaro e mobili di pregio. La sedia era una Arne Jacobsen, sul pavimento era steso un antico tappeto persiano. Il mobile bar cromato era pieno di liquori costosi, oltre a una bottiglia di pinot nero e una di Sancerre dentro un secchiello colmo di ghiaccio. Dal soffitto pendevano quattro lampade coniche di nickel opacizzato e le incisioni sui bicchieri da scotch di cristallo ne catturavano la luce emanando fulgidi riflessi a forma di stella. Sopra la mensola inferiore del mobile bar c’era un registratore dvd con una minuscola spia rossa lampeggiante. Il cliente era il responsabile della sicurezza di un’importante azienda statunitense di elettronica. Non era così ricco da avere familiarità con quel genere di lussi, ma i suoi datori di lavoro sì, e ora aspettavano la sua chiamata. Gli ci era voluta una settimana di indagini e contatti per

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organizzare l’incontro, in un ristorante di Little Italy, con quel boss mafioso dall’eleganza impeccabile e i gusti raffinati, Carmine Delanotte, che lo aveva sottoposto a un vero e proprio interrogatorio davanti a una bottiglia di Barolo e due doppi espressi, prima di decidersi a fornirgli il codice Internet e il nome di Geiger, nonostante fosse chiaro che quel nome era falso. Con il codice era entrato nel sito di Geiger, DoYouMisterJones.com, e utilizzando Delanotte come referente aveva rapidamente messo in atto il piano. Quella sera, qualche ora prima, il cliente aveva rapito in un garage il suo obiettivo – Matthew Gant, un addetto al settore ricerca e sviluppo dell’azienda – e, seguendo le istruzioni, lo aveva portato in quell’anonimo edificio a due piani di Ludlow Street. Quando il cliente aveva finalmente incontrato Geiger, in quella stanza, la prima cosa che aveva notato era che non sbatteva quasi mai le palpebre. Il cliente si faceva vanto del suo sangue freddo, ma Geiger era riuscito a inquietarlo. La voce calma e vellutata, la sua impassibilità, avevano completato l’opera. Aveva occhi grigi, di taglio allungato, su un viso affilato e spigoloso. Era magro ma atletico, forse perché correva o praticava qualche arte marziale. Tendeva ad assumere una postura lievemente inclinata, come se la struttura scheletrica assecondasse a suo modo la forza di gravità. In lui c’era un che di veramente strano, ma del resto cosa ci si poteva aspettare da uno che faceva quel genere di lavoro? Il cliente aveva sentito ogni sorta di storie. Che Geiger era uno squilibrato e un avanzo di galera; che era una canaglia al soldo dell’Agenzia per la sicurezza nazionale; che era il rampollo fuori di testa di una ricca famiglia e lo faceva non per soldi ma perché lo trovava eccitante. L’unico elemento ricorrente in tutte quelle versioni era che non aveva rivali. Quando si erano dati la mano il cliente si era espresso in questi termini: “Dicono che lei è il migliore, speriamo sia vero. Le informazioni che secondo noi ha sottratto Matthew valgono milioni”. Geiger lo aveva fissato con sguardo inespressivo. “Non mi occupo di speranze” aveva risposto, e se n’eraandato.

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Durante la prima ora la stanza al di là dello specchio era rimasta al buio. Si sentivano solo gli scoppi d’ira di Matthew, spavaldo e indignato. Poi le parole di Geiger, attutite, erano giunte al cliente attraverso gli altoparlanti come richiami spettrali. “Sta’ zitto, Matthew. Non sei autorizzato a parlare.” Era il sussurro più sonoro che avesse mai sentito. Poi le luci si erano accese e attraverso lo specchio unidirezionale il cliente aveva visto Geiger appoggiato al muro in una stanza spoglia, con indosso un maglione nero e un paio di pantaloni ampi dello stesso colore. L’ambiente era interamente rivestito di linoleum bianco, e decine di faretti incassati nei muri e nel soffitto facevano risplendere le superfici. Alle pareti nord e sud, fissate a una trentina di centimetri dal soffitto, c’erano diverse piccole videocamere. Dopo un po’ la vista aveva cominciato a fare brutti scherzi al cliente, gli angoli della stanza erano spariti gradualmente finché Geiger era parso come sospeso in aria, una sagoma nera immobile su un luminoso sfondo alabastro. In mezzo alla stanza, Matthew era seduto su una vecchia sedia da barbiere di pelle rossa, con cromature scintillanti e finiture di porcellana. Era legato con catene che gli cingevano la vita, il petto, le caviglie e i polsi, e quando si muoveva gli anelli mandavano lampi di luce. Aveva il volto livido e chiazze rosse sulle guance. Era a torso nudo e scalzo. Per mezz’ora Geiger aveva fissato in silenzio Matthew, alzandosi in piedi ogni dieci minuti e facendo il giro della stanza. Zoppicava leggermente, ma in qualche modo quell’andatura era come connaturata alla cinetica del suo corpo e non sembrava una menomazione. Matthew seguiva con sguardo circospetto ogni suo movimento. Geiger aveva dato una spinta alla sedia da barbiere, che si era messa a girare lentamente su se stessa. Poi era uscito e le luci si erano spente di nuovo. Era partita una registrazione sonora che riproduceva una serie di situazioni, ciascuna della durata di qualche minuto. Il cliente aveva sentito il frastuono del traffico con clacson strombazzanti e pneumatici che stridevano... una donna stonata che canticchiava... qualcuno che strimpellava un accordo su una chitarra scordata... un telefono che squillava ripetutamente,

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smetteva e ricominciava a squillare... e infine una risata nervosa e colpi di tosse. All’inizio Matthew aveva urlato “Cazzo, Gesù Cristo!”, ma poi aveva smesso di parlare. A un certo punto il cliente si era messo i tappi per le orecchie. Le luci si riaccesero e Geiger rientrò nella stanza. Le mani dietro la schiena, si fermò accanto a Matthew, che lo fissava con malcelata rabbia. Il cliente si tolse i tappi. «Matthew» disse Geiger «chiudi gli occhi.» L’uomo si accigliò, ma poi obbedì. «Bene. Ora immagina di essere caduto in un pozzo. È buio pesto. Non si vede un accidente. L’unico rumore è il tuo respiro. Ti fa male dappertutto. Forse ti sei rotto una caviglia, o un polso.» Geiger tacque per diversi secondi, come a sincerarsi che Matthew udisse il proprio respiro nell’oscurità della sua prigione. «Per il dolore vedi delle luci lampeggiare dietro le palpebre. Senti in bocca il sapore del sangue. Allunghi le mani e cominci a tastare tutto intorno. Le pareti sono fredde e umide, lisce. Niente fessure o nicchie a cui aggrapparti. Riesci a vederti in fondo a quel pozzo, Matthew?» Il cliente sentì un brivido. Lui vedeva Matthew laggiù. «Cerchi di mantenere la calma. Ti metti a gridare aiuto. “Qualcuno mi sentirà” dici. Ma dopo un po’ ti rendi conto che forse morirai là sotto. E appena quel pensiero si affaccia alla mente, una parte di te inizia a morire. Non il corpo, lo spirito. Capisci che cosa intendo, Matthew?» «Te lo ripeto, amico, non so niente!» «Matthew, ho detto che non ti è permesso parlare. Puoi solo annuire o scuotere la testa. Ricordi?» Matthew fissò l’uomo dallo sguardo impassibile e annuì. Geiger tolse le mani da dietro la schiena; stringevano un microfono senza fili e delle cuffie, che adattò alla testa di Matthew. «Sennheiser 650» disse. «Le preferisco alle akg. Procurano un’esperienza più intensa. Chiudi gli occhi, Matthew.» Matthew obbedì, il respiro ridotto a un singulto affannoso, i globi oculari che si muovevano nervosamente sotto le palpebre.

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Geiger si portò il microfono alle labbra e prese a camminare su e giù per la stanza, parlando a bassa voce. Al cliente ricordava uno di quei guru che dispensano consigli in televisione, questa volta con un solo spettatore davanti. «Mi senti chiaramente?» chiese Geiger. Matthew annuì. «Perfetto. Ora torniamo nel pozzo, Matthew. Ci sei?» Matthew deglutì, il pomo d’Adamo gli ballonzolò su egiù. Annuì di nuovo. «Bene.» La parola suonò alle orecchie del cliente come una dolce preghiera. «È importante che tu creda di essere in fondo a quel pozzo, Matthew, perché questo non è un gioco. Sei laggiù, e io sono la tua unica via d’uscita. Quello che può lanciarti una corda e tirarti su.» Appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di Matthew, che s’irrigidì. «E la sola cosa che può far scendere la corda è la verità.» Il cliente si accostò ancora di più al vetro. «Che cosa splendida, la verità. L’unica creazione perfetta dell’uomo. Quando la sento la riconosco. Non che abbia particolare intuito o perspicacia, ma ho ascoltato tante di quelle menzogne che mi accorgo subito quando qualcuno mente.» Geiger si chinò sul volto di Matthew, e il cliente vide la mascella del prigioniero contrarsi spasmodicamente. «Toscanini sosteneva di riuscire a individuare una corda di violino stonata in un’intera orchestra. Non aveva l’orecchio assoluto, ma aveva sentito milioni di note e sapeva distinguere all’istante quelle giuste da quelle sbagliate.» Geiger fece un respiro. «Quindi, Matthew, non mentirmi.» Le narici di Matthew si dilatarono come quelle di un puledro che fiuti del fumo. Geiger si avvicinò ancora di più, finché fu solo il microfono a separare le sue labbra da quelle di Matthew. «Hai sentito cosa ho detto? Non mentirmi!» A quelle parole urlate attraverso le cuffie Matthew tirò la testa all’indietro con tale violenza che il cliente pensò gli si spezzasse il collo. Spalancò gli occhi, la bocca si aprì in una cavità cavernosa e il suo lamento durò cinque secondi buoni prima di ridursi a un gemito infantile.

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Geiger girò la testa da una parte, e il cliente sentì scrocchiargli le vertebre cervicali. Poi la girò dall’altra. Altro scrocchio. Il cliente cercò di decifrarne l’espressione, ma non scorse alcuna particolare emozione su quel viso. «Matthew» riprese Geiger «devi tenere gli occhi chiusi. Smettila di piagnucolare e sta’ attento. Se ci riesci, fammi un cenno.» Matthew soffocò un gemito. Per tutta risposta mosse appena la testa, come una marionetta, poi chiuse gli occhi. «Vedi, esistono vari tipi di somministrazioni del dolore: mi riferisco alla sofferenza fisica, psichica ed emotiva. All’interno di tali categorie esistono parecchie sottocategorie. In campo fisico c’è l’udito...» Tamburellò con le nocche sul microfono e Matthew agitò violentemente la testa, spalancando di nuovo gli occhi. «Chiudi gli occhi!» Matthew urlò e Geiger gli appoggiò delicatamente i polpastrelli sulle palpebre tremanti. Quindi gli puntò il pollice a circa cinque centimetri a sinistra dello sterno. «C’è la pressione...» Irrigidì il pollice e senza alcuno sforzo apparente glielo affondò nella carne; Matthew lanciò un urlo soffocato, contorcendo il viso in una smorfia che gli scoprì i denti. Il cliente guardava, stupefatto. Si sorprese a tastarsi le costole. «C’è la semplice forza...» Geiger alzò il gomito piegato a novanta gradi. Ruotò l’avambraccio facendolo scattare come una leva azionata da una molla e assestò un colpo violento sul torace di Matthew, lasciandolo senza fiato, boccheggiante, alla disperata ricerca d’aria. «E c’è la perforazione, il taglio...» Geiger tacque. «Ma sono metodi troppo medievali per i miei gusti» proseguì. «Comunque...» Si portò la mano dietro l’orecchio e ne fece scivolare un oggetto. Era argenteo e lucente, lungo una decina di centimetri, incredibilmente sottile. «Apri gli occhi.» Matthew sollevò le palpebre. Aveva gli occhi castani iniettati di sangue.

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«Sai cos’è questo?» Matthew fissò l’oggetto che Geiger teneva tra pollice e indice, poi scosse la testa. Il cliente si sorprese ad annuire. Aveva avuto l’ernia del disco, e aveva provato di tutto pur di stare meglio. Sapeva cos’era. «Si usa in agopuntura. La sua funzione principale è bloccare gli impulsi che il cervello riconosce come dolorosi e impedire che si propaghino lungo i canali nervosi. Ma può anche produrre dolore.» L’ago gli scintillava fra i polpastrelli come la minuscola spada di un soldatino. «Nel mio lavoro si verificano circostanze ironiche che non si può fare a meno di notare.» Quel commento pronunciato senza alcuna sfumatura umoristica o di minaccia fece drizzare i peli sulla nuca al cliente. Con la mano libera Geiger afferrò Matthew per i capelli. Questi si lasciò sfuggire un breve grido – non una reazione al dolore, ma un lamento involontario quando si rese conto di cosa stava per accadere – e Geiger gli infilò abilmente l’ago nella nuca fra le vertebre cervicali. Matthew non sussultò e continuò a fissare il volto implacabile di Geiger. «Il fatto è che l’essere umano ha una struttura molto vulnerabile. Questo ago è più leggero di una piuma, Matthew. La lacrima di un bambino in equilibrio sulla punta lo piegherebbe.» Geiger mosse lievemente l’ago, e Matthew lanciò una serie di urla acute. Poi lo tolse, e le urla cessarono. Sulle guance di Matthew scorrevano le lacrime, l’uomo respirava affannosamente e ansimava. «C’è anche la manipolazione delle articolazioni, l’applicazione di calore e freddo intensi, l’ingestione forzata di liquidi. Sai, Matthew, potrei lavorare su di te per giorni senza usare mai lo stesso metodo.» Geiger tolse le cuffie a Matthew e le appoggiò a terra insieme al microfono. «Quanto alla sofferenza psichica, ritengo che la tua sensibilità alle stimolazioni fisiche non renda necessario addentrarsi in tale campo. Per quello che concerne la sofferenza emotiva, nel tuo dossier leggo che sei single, libero da legami, figlio unico, e i tuoi genitori sono morti, per cui non vedo particolari vantaggi a

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utilizzarla. Non ci crederai, Matthew, ma sei un ragazzo molto fortunato.» Il cliente avrebbe voluto che Geiger pestasse Matthew per fargli vuotare il sacco e darci un taglio. Così avrebbe fatto le sue brave telefonate e sarebbe tornato a casa. Ma quando lo aveva conosciuto aveva capito che le cose non sarebbero andate in quel modo. «Non ti farò domande, Matthew, perché non sei ancora pronto a dire la verità, e non voglio che tu menta.» «Chiedimi quello che ti pare, maledizione. Non... non posso dirti quello che non so, cazzo.» «È vero» convenne Geiger. «Non ha alcuna importanza, ma è vero.» Il cliente sentì una morsa allo stomaco. E se Matthew fosse sincero? Se fosse stato qualcun altro a sottrarre le informazioni del settore ricerca e sviluppo? Tutte le circostanze erano contro di lui, ma... «Il pozzo, Matthew» riprese Geiger. «Sei in fondo al pozzo, chiudi gli occhi.» Geiger agitava le mani lungo i fianchi, muovendo continuamente le dita. Mentre lo guardava, il cliente si chiese se seguisse uno schema; sembrava quasi che stesse suonando un pianoforte invisibile. «Bene. Sei lì da un po’, e quando si rimane immobili per lunghi periodi la mente ne risente. Il buio e la claustrofobia incidono sulla percezione, sulla nozione del tempo, sulla consapevolezza di se stessi. Si crea uno stato in cui le emozioni perdono i loro contorni. Il dolore cede il posto alla paura. La speranza si affievolisce, lo sconforto diventa un compagno fedele. A quel punto inizi a capire chi sei davvero, la portata e i limiti della tua forza.» Geiger s’inginocchiò davanti a Matthew. «E ti ritrovi cambiato, Matthew, ridotto a livello molecolare. È l’ultimo avviso.» Geiger chiuse gli occhi, massaggiandoseli con il pollice e il medio. Compiva gesti misurati, precisi. «Adesso faremo una breve pausa. Rimani nel pozzo.» Da una tasca tirò fuori una fascia di seta nera e bendò Matthew. «Un’altra cosa, Matthew. Ho imparato che, una volta provato un certo tipo di dolore, il timore di riprovarlo è

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potente quasi come la sua stessa percezione. Credo che finirai per essere d’accordo con me.» Geiger uscì dalla stanza e le luci si spensero di nuovo. Dopo qualche istante la porta della stanza di osservazione si aprì e Geiger entrò. Senza guardare il cliente, si diresse verso il mobile bar, si versò un bicchiere d’acqua e bevve. «Sono un po’ preoccupato» disse il cliente. «È la persona giusta?» Geiger annuì. «È sicuro?» Geiger annuì di nuovo. «Come fa a saperlo?» «L’ho spiegato a Matthew.» Posò il bicchiere vuoto. «Stava ascoltando, no?» «Sì... Toscanini. Ma perché non ha ancora confessato?» «Non è ancora il momento della liberazione. Ci arriverà presto.» «Il momento della liberazione?» Geiger annuì ancora, quasi controvoglia. «Matthew teme più ciò che accadrebbe se confessasse di ciò che potrebbe accadere se non lo facesse. Per lui, al momento, la realtà della tortura è preferibile alla possibilità della morte. Ma le cose cambieranno.» Il cliente si chiese a cosa somigliasse Geiger quando sorrideva, se mai lo faceva. «Non lo vogliamo morto» disse. «Ci interessa solo a chi ha venduto le informazioni.» Geiger lo fissò con quei suoi occhi dalle palpebre immobili. «Ma lui non lo sa.» Poi uscì. Il cliente sospirò e tornò a guardare lo specchio e il nero abisso. Dagli altoparlanti si diffuse la voce suadente di Geiger su ali frementi di angeli. «Matthew, sei nel pozzo? Puoi rispondermi.» La voce di Matthew suonò come carta vetrata su legno grezzo. «Sì.» «Bene.» Poi Matthew cominciò a gridare. Un suono così forte che usciva dalle casse stridente e distorto. Gli angeli si dispersero. Il cliente si voltò e prese i tappi per le orecchie.

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IL THRILLER

Un antieroe enigmatico e dal fascino indiscutibile, al centro di una storia dal ritmo

implacabile: L’Inquisitore è un thriller d’esordio potente e di grande attualità.

La storia di Geiger è una pagina vuota, il suo passato è avvolto nel mistero. Ma lui ha un

dono che pochi possiedono: riconosce una menzogna nell’istante in cui la sente. E nel suo

settore, il recupero informazioni, questa è una dote impagabile perché la verità è la merce

più preziosa sul mercato. I suoi clienti – multinazionali, governi o il crimine organizzato –

contano sulla sua leggendaria abilità di ottenere sempre quello che vuole, anche dai

soggetti più riluttanti. Meticoloso e superprofessionale, diversamente dai concorrenti,

Geiger di rado fa scorrere sangue. Usa invece tecniche di interrogatorio particolari,

soprattutto psicologiche, per spingere chi ha di fronte a un punto in cui il dolore cede il

posto alla paura, perché solo in quel momento smetterà di mentire. Una delle regole del suo

codice etico è di non lavorare mai con i bambini. Ma un giorno è proprio un ragazzino di

dodici anni, Ezra, che gli viene portato chiuso dentro a un baule dal suo ignaro socio Harry

Boddicker. Qualcosa non quadra. Il cliente non è chi dice di essere e Geiger decide senza

esitazioni di seguire il suo istinto e salvare a tutti i costi il bambino: lo prende con sé e

scappa, mettendosi inevitabilmente in grave pericolo. Ma se Geiger e Harry non scoprono

in fretta perché il cliente è così ansioso di impadronirsi dei segreti del ragazzo, diventeranno

loro stessi le vittime di un nemico senza scrupoli. Ciò che Mark Allen Smith riesce a fare

con assoluta maestria è guadagnarsi la simpatia del lettore nei confronti di Geiger,

L’AUTORE Mark Allen Smith ha lavorato molti anni per la televisione e il cinema come sceneggiatore,

produttore e giornalista investigativo, oltre che autore di documentari.

Vive a New York e questo è il suo primo romanzo.