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Edgar Allan Poe Boston 1809 – Baltimora 1849 Il cuore rivelatore Genere racconto dell’orrore Tratto da «The Broadway Journal» (1845) ... e a poco a poco, lentamente, io m’ebbi fitto 1 in capo quel pensiero di togliergli la vita e di sbarazzarmi, così per sempre, di quel suo terribile occhio . Nel racconto Poe osserva gli effetti che un sentimento può avere su un uomo. Il pro- tagonista, sempre più ossessionato dal- l’occhio del suo vicino, un uomo mite e inoffensivo, giunge a commettere un orri- bile delitto. Potrebbe farla franca, se... Caratteristica del racconto è l’atmosfera inquietante, al confine tra realtà e imma- ginazione, dove razionale e irrazionale si confondono. S ul serio! Io sono nervoso, molto nervoso, e lo sono sempre stato. Ma per- ché pretendete che io sia pazzo? La malattia – è vero – ha resi più pene- tranti i miei sensi, ma non li ha logorati, non li ha distrutti! Io avevo, finis- simo, il senso dell’udito e ho intese tutte le voci del cielo e della terra. E molte anche dell’Inferno. Come potrei esser pazzo, allora? State dunque attenti e no- tate con quanta assennatezza 2 , e soprattutto, con quanta calma io posso narrar- vi tutt’intero il fatto. È impossibile stabilire in che modo quell’idea m’attraversò il cervello la prima volta. Io so solo che, una volta concepita, essa mi ossessionò giorno e notte. Un motivo preciso non c’era. La passione, ad esempio, non vi aveva per nulla la sua parte. Io amavo quel buon vecchio. Egli non mi aveva mai fatto alcun male. Non mi aveva mai offeso. Io non desideravo il suo oro. Immagino che fosse il suo occhio! Sì, era quello senz’altro! Uno dei suoi occhi era simile a quello d’un Percorsi nel racconto 2 Meraviglie e inquietanti fantasie S. Damele, T. Franzi, Passi da giganti © Loescher Editore, 2010 1. fitto: conficcato, piantato. 2. assennatezza: buon senso misto a saggezza.

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Edgar Allan Poe Boston 1809 – Baltimora 1849

Il cuore rivelatore

Genere racconto dell’orroreTratto da «The Broadway Journal» (1845)

... e a poco a poco, lentamente, io m’ebbi fitto1

in capo quel pensiero di togliergli la vita e di sbarazzarmi, così per sempre, di quel suo terribile occhio.

Nel racconto Poe osserva gli effetti che unsentimento può avere su un uomo. Il pro-tagonista, sempre più ossessionato dal-l’occhio del suo vicino, un uomo mite einoffensivo, giunge a commettere un orri-

bile delitto. Potrebbe farla franca, se... Caratteristica del racconto è l’atmosferainquietante, al confine tra realtà e imma-ginazione, dove razionale e irrazionale siconfondono.

Sul serio! Io sono nervoso, molto nervoso, e lo sono sempre stato. Ma per-ché pretendete che io sia pazzo? La malattia – è vero – ha resi più pene-tranti i miei sensi, ma non li ha logorati, non li ha distrutti! Io avevo, finis-

simo, il senso dell’udito e ho intese tutte le voci del cielo e della terra. E molteanche dell’Inferno. Come potrei esser pazzo, allora? State dunque attenti e no-tate con quanta assennatezza2, e soprattutto, con quanta calma io posso narrar-vi tutt’intero il fatto.

È impossibile stabilire in che modo quell’idea m’attraversò il cervello la primavolta. Io so solo che, una volta concepita, essa mi ossessionò giorno e notte. Unmotivo preciso non c’era. La passione, ad esempio, non vi aveva per nulla la suaparte. Io amavo quel buon vecchio. Egli non mi aveva mai fatto alcun male.Non mi aveva mai offeso. Io non desideravo il suo oro. Immagino che fosse ilsuo occhio! Sì, era quello senz’altro! Uno dei suoi occhi era simile a quello d’un

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1. fitto: conficcato,piantato. 2. assennatezza:buon senso mistoa saggezza.

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avvoltoio... un occhio d’un pallido azzurro, come velato da una membrana.Quando esso cadeva su di me a guardarmi, il sangue mi s’agghiacciava nelle ve-ne... e a poco a poco, lentamente, io m’ebbi fitto in capo quel pensiero di toglier-gli la vita e di sbarazzarmi, così per sempre, di quel suo terribile occhio.

Il problema era tutto qui. Voi credete che io sia pazzo. E i pazzi non sannodavvero quel che fanno. Avreste, invece, dovuto vedermi. E vedere ancora conquanta assennatezza mi posi al lavoro, con quanta circospezione, con quale altasapienza di commediante e, infine, con quale preveggenza! Non ebbi mai a essertanto gentile col vecchio come durante tutta la settimana innanzi il suo assassi-nio.

Ogni sera, verso la mezzanotte, io giravo la maniglia della sua porta e aprivo –ma piano, piano – un impercettibile spiraglio, e poi ancora... ancora... fintantoche non avevo aperto abbastanza da far entrare la mia testa, tutta, al di là dellaporta. Facevo passare, allora, una lanterna cieca3, la quale era perfettamentechiusa. Perfettamente chiusa, dico, tanto che non ne filtrava un solo raggio diluce. Era allora il momento di affacciare la testa. A vedere con quanta destrezzacompivo quell’operazione, voi avreste indubitabilmente riso. Io muovevo la miatesta, infatti, con una estrema lentezza. Estrema, dico, acciocché4 il sonno delvecchio non potesse in nulla venir turbato. Trascorreva, al certo, un’ora interaperché potessi passarla tutta, e puntarla innanzi quel tanto che sarebbe statosufficiente perché potessi vedere il vecchio coricato nel suo letto. Un pazzo – di-te! – sarebb’egli stato tanto prudente? E come io avevo cacciata tutt’intera la te-sta nella stanza, allora cominciavo – ma con cautela, con infinita cautela – co-minciavo a schiudere la lanterna, ma lentamente, veh! con esasperante lentez-za, perché la sua cerniera cigolava. Ed io la schiudevo quel tanto che era suffi-ciente a lasciar cadere un solo e impercettibile raggio di luce – un filo – su quel-l’occhio da avvoltoio: e per sette volte, per sette lunghissime notti, a mezzanottein punto, tornai dal vecchio, e sempre trovai ben chiuso quel suo occhio, permodo che mi fu impossibile, non che compiere, iniziare soltanto l’opera chem’ero proposto, giacché non era quel buon vecchio a eccitar la mia ira, ma quelsuo orribile, malefico occhio. E quando aggiornava5, tutte le mattine, entravospavaldo nella sua stanza e mi rivolgevo, senza veruno6 scrupolo, e lo chiamavocol suo nome, affettando7 la massima cordialità, e non mancavo mai di chieder-gli come avesse trascorsa la sua notte. Ma dunque, non siete persuasi? Egliavrebbe dovuto esser provveduto d’una sottilissima penetrazione8, perché po-tesse sospettare che ogni notte, a mezzanotte, io ero là, da lui, e guardavo, guar-davo il suo sonno.

L’ottava notte, se possibile, andai ancor più cauto che per l’innanzi9, nelloschiudere la sua porta. [...] Avevo affacciata la testa ed ero sul punto di schiude-re la lanterna, allorché il mio pollice ebbe a scivolare sul metallo della serratura,e il vecchio si drizzò sul letto. E strillò: «Chi va là?»

3. lanterna cieca: lampada a olio scher-mata in modo che non diffondesse luceall’esterno.

4. acciocché: affinché, allo scopo di. 5. aggiornava: faceva giorno.6. veruno: alcuno.7. affettando: fingendo.

8. sottilissima penetrazione: acutissimacapacità di intendere. 9. che per l’innanzi: che in precedenza.

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Io rimasi immobile, assolutamente immobile, e trattenni il respiro. Non mossiun muscolo durante un’ora e per tutto quel tempo non intesi il vecchio far l’at-to di coricarsi nuovamente. Egli era sempre seduto sul suo letto. E ascoltava.Egli ascoltava come avevo ascoltato io, e notti e notti, il rodìo dei tarli10 tra pare-te e parete.

Un gemito sommesso mi raggiunse improvviso l’orecchio, ed era il gemitod’uno spavento mortale. [...] Sapevo ciò che in quel punto sentiva il povero ebuon vecchio, e per quanto fossi posseduto, allora, da un estremo desiderio diridere, non potei far di meno ch’esserne mosso a pietà. Sapevo ch’egli era resta-to desto fin dal momento in cui aveva udito il primo, lieve rumore. Egli s’era ri-voltolato nel letto, allora, e nel frattempo i suoi spaventi erano andati man ma-no aumentando. Aveva tentato di persuadersi che non v’era, per essi, alcun mo-tivo, ma non vi era riuscito. Egli aveva detto tra sé: non è nulla di nulla; è il ven-to che soffia nel camino, è un sorcio che ha attraversato di furia l’impiantito11, èsoltanto un grillo, che ha emesso il suo piccolo strido. E s’era sforzato d’infon-dersi coraggio mediante siffatte12 ipotesi ma le aveva trovate tutte vane. Tuttevane, poiché la Morte veniente13 gli era passata dinanzi con la sua grande ombranera, e in quella lo aveva avviluppato14. Ed era soltanto il funereo influsso diquell’ombra invisibile che gli faceva sentire – anche se egli non vedeva nulla enulla udiva – la presenza della mia testa, in quella sua camera.

Come io ebbi atteso a lungo e inutilmente ch’egli si coricasse di nuovo, mi ri-solvetti, infine, a schiudere un po’ quel mio lume, ma tanto poco ch’era quasiun nulla. E lo feci di furto15, in modo tale che voi non sapreste nemmeno imma-ginarlo, e non solo, un unico pallido raggio, un sottile filo di ragno, uscì dallafessura e andò a cadere, diritto, sull’occhio d’avvoltoio.

Ed era aperto, era spalancato; e mi bastò appena guardarlo un solo istantech’io ero già pervenuto al colmo dell’ira. Lo vidi perfettamente, lo vidi, quell’az-zurro opaco, ricoperto della schifosa membrana che m’agghiacciava il midollonelle ossa, lo vidi e null’altro vidi all’infuori di esso dacché l’istinto aveva direttol’unico sottil raggio del mio lume là, in quel punto dannato.

Non v’ho già detto che la pazzia di cui mi accusate altro non è se non iperacu-tezza16 dei miei sensi? Ebbene, un rumor sordo e soffocato e intermittente migiunse, in quel punto, all’orecchio ed esso era simile a quello che produrrebbeun orologio che sia stato avvoltolato nella bambagia. Ed io riconobbi quel rumo-re. Esso scaturiva dal cuore del vecchio, e avvenne che eccitasse la mia furia, almodo stesso che il rullo del tamburo esaspera il coraggio del soldato.

E nondimeno io seppi contenermi e non mi mossi, e rimasi immobile, e nonosavo quasi respirare, e badavo soltanto a tener ben fermo quell’unico raggio delmio lume, diritto, sull’occhio d’avvoltoio. E nel contempo la marcia infernale delsuo cuore scandiva più forti i suoi colpi, sempre più forti, diveniva precipitosa ealzava il tono, il timbro, lo alzava, lo alzava! Il terrore del vecchio doveva essereestremo! E il battito del suo cuore, diveniva più forte di minuto in minuto...

10. rodìo dei tarli: rumore prodotto dalrosicchiare dei tarli, piccolissimi paras-siti del legno.11. impiantito: pavimento di legno.

12. siffatte: simili, di quel tipo.13. veniente: che stava arrivando.14. avviluppato: avvolto strettamente.15. di furto: di nascosto.

16. iperacutezza: estrema capacità, sen-sibilità.

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[...] Pareva che quel cuore stesse per iscoppiare17. E così fui posseduto da nuo-va angoscia. Certo! Certo! Il rumore avrebbe potuto essere inteso da qualche vi-cino... No, no! L’ora del vecchio era suonata!

Spalancai il mio lume tutt’intero e mi precipitai, insieme, con un urlo fortissi-mo, nella stanza. Il vecchio non emise un grido, non un solo grido, dico. Statebene attenti? Io lo trassi giù dal giaciglio sull’impiantito, in un attimo solo, e glirovesciai addosso tutto il peso del letto. Fu allora che, accortomi d’essere ormaia buon punto nella mia opera, mi lasciai andare, infine, a ridere per la gioia. Enondimeno il suo cuore continuò ancora per qualche istante a battere ma d’unbattito sordo e velato. E io non ne fui allarmato. Attraverso il muro non lo avreb-be potuto udire nessuno: vacillò ancora, poi si spense del tutto. Il vecchio eramorto. Rimossi il letto ed esaminai il cadavere. Certo, egli era morto, morto stec-chito. Posai la mia mano sul suo cuore e ve la trattenni un qualche minuto. Nons’udiva alcuna pulsazione. Egli era morto stecchito. Il suo occhio aveva cessatoper sempre di tormentarmi.

Se ancora persistete a credermi pazzo, vi persuaderete del contrario allorchévi darò un ragguaglio delle sagge precauzioni ch’ebbi a usare per nascondere ilcadavere. La notte avanzava ed io lavoravo in fretta, ma anche in silenzio. Spic-cai18, dapprima, dal corpo, la testa. Fu poi la volta delle braccia e delle gambe.Tolsi, quindi, dall’impiantito, tre assi e nascosi il tutto tra i regoli19. Restituii, di-poi, il loro luogo alle assi, e con tale destrezza e perizia che nessun occhio uma-no – neanche il suo – avrebbe potuto avvedersi d’alcunché. Non c’era nemmenonulla da lavare, non una sola traccia di sudicio, non la minima stilla20 di sangue!Oh! s’io non ero stato bene accorto anche in quello! Un catino aveva raccoltoprudentemente il tutto. Sarebbe stata da ridere.

Come mi fui sbrigato di quel lavoro, l’orologio del campanile vicino batteva lequattro. Ma la tenebra era come a mezzanotte. Nel mentre che le ore battevano,udii picchiare all’uscio di strada. Discesi per aprire, ed ero perfettamente tran-quillo. Cosa potevo temere ormai? Entrarono tre uomini che si dissero ufficialidi polizia, e le loro maniere apparvero, nondimeno, estremamente cortesi. Unvicino aveva udito gridare nella notte, e, sorto il sospetto che un qualche delittopotesse essere stato consumato nei paraggi, ne aveva informata la polizia. I tregentiluomini erano stati, infatti, mandati a ispezionare il quartiere.

Io sorrisi: di che cosa, infatti, potevo ancora aver paura? Diedi così il benve-nuto ai tre uomini, e dissi che il grido era sfuggito a me stesso, in sogno. Dissi lo-ro che il mio vecchio amico era ancora in viaggio, e condussi, inoltre, i due a vi-sitare tutta la casa. Dissi loro di cercare e soprattutto li spronai a cercar bene. Ealla fine li condussi anche nella sua camera. Mostrai loro i suoi tesori, che eranointatti e in ordine perfetto. Nell’entusiasmo che mi possedeva, afferrai due sediee li supplicai di riposarsi lì, in quella stanza e, nella folle audacia del trionfo sicu-ro, andai a metter la mia sedia proprio sul luogo dove si trovava nascosto, taglia-to in pezzi, il cadavere della mia vittima.

17. iscoppiare: scoppiare.18. Spiccai: staccai.

19. regoli: le assi trasversali che sosten-gono il pavimento.

20. stilla: goccia.

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Le guardie parevan soddisfatte. La mia condotta pareva che li avesse del tuttoconvinti. Io, poi, mi sentivo completamente tranquillo. Sedettero, dunque, e co-minciarono a parlare del più e del meno, e a tutto io rispondevo con umore ec-cellente... ma, a un tratto, m’accorsi che stavo impallidendo e, non so come, de-siderai che se ne andassero. Cominciò a dolermi il capo, infatti, e un penetranteronzio cominciò a infastidirmi le orecchie. E nondimeno coloro restavano sedu-ti e continuavano a chiacchierare. In quel mentre il ronzio, una sorta di tintin-nio, ebbe a farsi più distinto e, per non udirlo, procurai di parlare anch’io, e diparlare il più che potevo, ma esso non si lasciò sopraffare e acquistò un carattereben preciso, e dovetti riconoscere, infine, che esso non era nelle mie orecchie.

Non c’è dubbio ch’io divenni, per allora, estremamente pallido, e badai, così,a ostinarmi nella conversazione e con foga sempre maggiore. Ma quel rumoreaumentava di minuto in minuto. Che cosa avrei potuto fare? Esso era un rumo-re sordo e soffocato e intermittente, e in tutto simile a quello che produrrebbeun orologio avvoltolato nella bambagia. Io respiravo a fatica: e gli agenti? Oh, gliagenti non lo sentivano ancora. Procurai21 di parlare più in fretta e più forte maquel rumore cresceva senza tregua. Mi tolsi22 dalla sedia e cominciai a discorre-re di futili argomenti, ma ad altissima voce e con furia, nel mentre che il rumorecresceva, cresceva a ogni minuto. Ma perché non se ne andavano? Io misuravo,su e giù, a passi pesanti, il pavimento, esasperato da quel loro contraddittorio23,ed il rumore cresceva con regolarità, con assoluta costanza. Gran Dio; che cosapotevo fare? Mi agitavo, smaniavo, bestemmiavo! Scuotevo la seggiola sullaquale m’ero dianzi24 seduto, la facevo scricchiolare sull’impiantito, ma quel ru-more aveva oramai sommerso tutto il resto, e cresceva e cresceva ancora, senzasoste, interminabilmente. E diventava più forte, sempre più forte, e gli uominichiacchieravano e scherzavano e ridevano. Ma era mai possibile che non lo udis-sero? Iddio onnipotente! No, no! Essi udivano, essi sospettavano, essi sapevano,eppure si divertivano allo spettacolo del mio terrore, così almeno mi parve e locredo tuttavia. Ma ogni cosa sarebbe stata da preferirsi a quella orribile derisio-ne. Io non mi sentivo ormai di sopportare oltre quelle loro ipocrite risa. Sentiiche mi abbisognava25 gridare o morire. E intanto, ecco – lo udite? – ecco, ascol-tate! Esso si fa più forte, più forte, e ancora più forte, sempre più forte!

Miserabili! Ipocriti! urlai. Non fingete oltre! Confesso ogni cosa. Ma togliete,togliete quelle tavole, scoperchiate l’impiantito! È là. È là sotto! È IL BATTITODEL SUO TERRIBILE CUORE!

E. A. Poe, Racconti fantastici e del terrore, trad. it. di E. Vittorini, Casale Monferrato, Piemme, 1998

21. procurai: cercai.22. Mi tolsi: mi alzai.

23. contraddittorio: discorso in cui si so-stengono concetti diversi e contrastanti.

24. dianzi: in precedenza.25. mi abbisognava: mi era necessario.

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Edgar Allan Poe nacque a Bostonnel 1809. Figlio di attori girovaghi,rimase orfano da piccolo e si tra-sferì con la famiglia adottiva in In-ghilterra, dove compì i primi stu-di. Tornato negli Stati Uniti, fre-quentò l’università, ma ne venneespulso perché dedito all’alcol e algioco. Entrato in conflitto con ilpatrigno, nel 1829 andò a vivere aBaltimora presso una zia, che lomantenne per tutta la vita. Dopogli insuccessi dei suoi primi libridi poesie, vinse un concorso con il

racconto Manoscritto trovato inuna bottiglia (1833) e divennegiornalista. Sposò la cugina tredi-cenne Virginia, malata di tuberco-losi, che divenne il modello di tan-ti personaggi femminili delle sueopere.Tra il 1835 e il 1845 scrisse e pubbli-cò vari racconti, tra i quali La lette-ra rubata e I delitti della rue Mor-gue, che anticiparono il modernoromanzo poliziesco, Il pozzo e ilpendolo, La maschera della MorteRossa e i noti “racconti del terro-

re” (come Ligeia, La rovina dellacasa degli Usher, Il gatto nero, Ilcuore rivelatore). Il suo unico ro-manzo fu Le avventure di GordonPym (1838). La pubblicazione dellaraccolta di poesie Il corvo e altrepoesie (1845) gli aprì le porte deldefinitivo successo. Nel 1847, però,la moglie morì; lo sconforto chene seguì precipitò Poe nell’alcoli-smo e nella droga, fino a ripetutecrisi di delirium tremens che loportarono a morire nel 1849, a so-li quarant’anni.

EDGAR ALLAN POE

Analisi e interpretazioneTra normalità e folliaIl racconto presenta i principali elementi di ungiallo: un delitto, il suo esecutore, il movente, gliinvestigatori. Tuttavia ciò che interessa all’autorenon è tanto scoprire il colpevole e il suo moven-te, quanto mostrare la “psicologia malata”, le in-quietudini comuni a tanti individui.«Io sono nervoso, molto nervoso», dice di sé ilprotagonista, ma non «pazzo», «Io avevo, finissi-mo, il senso dell’udito e ho inteso tutte le voci delcielo e della terra. E molte anche dell’Inferno».Già in queste affermazioni iniziali risultano evi-denti le contraddizioni del personaggio, che ri-fiuta categoricamente di essere considerato «paz-zo», ma contemporaneamente non nasconde –anzi, si vanta – di intendere «le voci dell’Infer-no». Il confine tra logica e follia è assai sfumato enella distorta psicologia del protagonista convi-vono personalità diverse: una che descrive mi-nuziosamente i propri comportamenti con termi-ni come «assennatezza», «calma», «circospezio-ne», «alta sapienza di commediante», «preveg-genza», un’altra che compie azioni che non è ingrado di motivare, preda di un’ossessione chenon sa decifrare («Un motivo preciso nonc’era»). L’uso della prima persona rende più evidente ladistanza tra le azioni e le parole con cui vengo-no descritte; è il protagonista stesso, infatti, cheracconta gli avvenimenti, svelando via via i parti-colari di un delitto della cui inutilità ed efferatez-za sembra non essere consapevole.

I simboliDue elementi assumono nella vicenda un valoresimbolico: l’occhio e il cuore.Il protagonista non è colpito dallo sguardo, ma daun occhio del vicino, un occhio solo, «simile aquello d’un avvoltoio... un occhio d’un pallidoazzurro, come velato da una membrana». L’oc-chio lo perseguita («Quando esso cadeva su di mea guardarmi, il sangue mi s’agghiacciava nelle ve-ne»), e il protagonista ne è attratto e respinto nelmedesimo tempo, perché esso è il simbolo dellavita normale, di ciò che esiste al di fuori della suamente malata; è l’occhio dell’uomo da cui egli sisente giudicato e rifiutato e che, pertanto, decidedi cancellare con un atto di violenza.Il cuore è il simbolo stesso della sua follia. Osses-sionato dal battito del cuore del vecchio, anchedopo averlo ucciso, il protagonista è spinto acomportamenti assurdi: «Procurai di parlare piùin fretta e più forte ma quel rumore cresceva sen-za tregua. [...] Mi agitavo, smaniavo, bestemmia-vo!», fino a giungere alla completa e non richie-sta confessione, tradito dal battito del «cuore ri-velatore» che solo lui sente.

La suspensePer creare un senso di attesa e tensione emotivanel lettore, l’autore procede nella narrazione pertappe, o “gradini”, utilizzando espedienti diversi.L’ambientazione è inquietante: «Ogni sera, versola mezzanotte...», «filtrava un solo raggio di lu-

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I fatti

1. Qual è l’avvenimento centrale intorno a cuiruota l’intero racconto?

2. Quale evento inatteso, innaturale einspiegabile, costringe il protagonista a smascherarsi e a confessare?

Il colpevole

3. Quali “prove” della sua assennatezza offre il protagonista?

4. Il racconto si presenta come un soliloquio,narrato in prima persona dal protagonista, unuomo che dichiara di essere normale. Ma le sueazioni, al contrario, rivelano follia e alienazione.Quali azioni in particolare?

5. Quali sentimenti il protagonista dichiara diaver dimostrato nei confronti del vecchio?

Il movente

6. Qual è il movente del delitto?7. Perché l’occhio del vicino disturba tanto

il protagonista? Che immagine evoca in lui?8. L’uomo sa che con quell’occhio il vecchio “vede”

dentro di lui e lo giudica; scegli tra le seguentiaffermazioni quelle che ti sembrano più vicineallo spirito del personaggio e motiva le tuescelte.

Interrogare il testo

ce...», «pauroso silenzio notturno di quella vec-chia casa...»Vengono anticipati alcuni particolari significati-vi: «Non ebbi mai a essere tanto gentile col vec-chio come durante tutta la settimana precedenteil suo assassinio», «Il vecchio – lui! – non nutrivaalcun sospetto».Ci sono colpi di scena: «Un gemito mi raggiunseimprovviso l’orecchio», «un unico pallido raggio[...] andò a cadere, diritto, sull’occhio d’avvoltoio». Il finale è “a sorpresa”.

La voce narranteTra gli elementi che conferiscono forte suspense aquesto racconto, sicuramente c’è l’uso della vocenarrante: il protagonista, ricorrendo a un solilo-quio, parla in prima persona e il lettore assiste co-sì allo svolgersi degli avvenimenti attraverso l’otti-ca dell’assassino. Per ottenere un maggior coin-

volgimento, il narratore si rivolge spesso in mododiretto ai lettori/ascoltatori, utilizzando il “voi”:«Voi credete che io sia pazzo... Pensate e cercate divedermi mentre ero là... Non v’ho già detto che lapazzia di cui mi accusate...» L’assassino sa tutto epuò quindi manipolare le informazioni che via viafornisce, con l’obiettivo di dimostrare – a se stesso,prima che agli investigatori – di non essere pazzo. Quando il racconto inizia, gli avvenimenti si sonogià svolti e il protagonista-io narrante li ricostrui-sce alternando l’uso del presente e del passato re-moto o dell’imperfetto, evidenziando due pianitemporali diversi: quello attuale, in cui sta facen-do la sua deposizione, e quello passato in cui i fat-ti sono avvenuti («A quell’idea non potei far dimeno che lasciarmi sfuggire un riso sommesso.Ed egli – forse – udì, poiché si rivoltò, all’improv-viso, nel suo letto, come se stesse per ridestarsi.Voi pensate ch’io, allora, fui per ritrarmi, vero?No certo»).

a. L’uomo sa che il vecchio lo giudica malatodi mente.

b. L’uomo vede la vita negli occhi delvecchio, una vita normale che a lui è negata.

c. L’uomo non sopporta di vederequell’occhio perché sembra davvero uno sguardo da avvoltoio.

d. L’uomo pensa che, eliminando persempre quello sguardo, riuscirà a metterefine ai suoi problemi.

e. L’uomo compie l’omicidio perché sentel’odio del vecchio nei suoi confronti.

Il linguaggio e la struttura

9. Il protagonista è anche io-narrante degli avvenimenti.

a. A chi si rivolge durante la sua deposizione?

b. Quale effetto ottiene con tale tecnica?

a. Attenua l’effetto suspense pertranquillizzare il lettore.

b. Coinvolge il lettore nelle indagini.

c. Trascina il lettore nel vortice malato dellamente del personaggio.

d. Induce il lettore a credere alle parole delnarratore, che afferma di non essere pazzo.

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Dalla lettura alla scritturaArgomentare

15. Qual è il significato del titolo Il cuore rivelatore? Per rispondere dovrai ricercare nel testo le informazioni che il protagonista fornisce a proposito del cuore del vicino e delle circostanze in cui lo sente o l’ha sentito battere.

Scrittura creativa

16. Servendoti della tua immaginazione – che forse viene alimentata anche dalle serie televisive centratesul crimine e dalla vasta produzione di videogiochi di questo genere – immagina e scrivi in modosintetico la trama di un racconto horror che abbia come azione centrale un crimine. Ricorda di metterebene a fuoco il movente, la personalità del criminale, l’atto criminale, gli indizi e le tracce seguite dal detective, il modo in cui egli compie le indagini e quello in cui si giunge all’identificazione del criminale.

10. Qual è il momento di maggiore tensionenarrativa del racconto? Individualo e contrassegnalo con una riga a margine.

11. Perché nel racconto è particolarmenteimportante il punto di vista della narrazione?

12. Rileggi con attenzione le ultime righe del testo(da «Io non mi sentivo ormai di sopportareoltre quelle loro ipocrite risa...») e sottolineatutti i verbi.

a. In quali tempi sono espressi?

b. Come spieghi l’uso del presente indicativo?

Si tratta di un errore grammaticale o esso èindizio di ciò che avviene nella mente delprotagonista?

La suspense

13. Dividi il testo in grandi sequenze narrative checorrispondano ai “gradini” che costruiscono lavicenda e trova per ciascuna un breve titolo.

14. La prospettiva del racconto è discendente(antefatto, crimine, indagini, individuazione delcolpevole) o ascendente (crimine, rivelazionedel colpevole, ricostruzione dei fatti)?

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1. braghi: pozzanghere di fanghiglia.2. patire: sopportare, tollerare.3. ratto: veloce.

4. empivano: riempivano.5. vescica di strutto: la vescica urinariadi maiale o di bovino che veniva ripuli-

ta e fatta seccare per contenere lo strut-to, il grasso di maiale per friggere.6. svariano: danno colorazioni diverse.

Tommaso Landolfi Pico Farnese 1908 – Roma 1979

Il racconto del lupo mannaro Genere racconto del misteroTratto da Il mar delle blatte e altre storie (1939)

... essa ci costringe a rotolarci mugolandoe latrando nei posti umidi, nei braghi1

dietro ai pagliai; guai allora se un nostrosimile ci si parasse davanti!

La luna è stata fonte di ispirazione per poe-sie e canzoni, rappresentata in innumere-voli dipinti, considerata una dea da moltepopolazioni e comunque sentita come una

presenza amica, che rischiara la notte be-nevolmente, per tutti tranne che per i pro-tagonisti di questo racconto, che con la lu-na hanno qualche problema.

L’amico ed io non possiamo patire2 la luna: al suo lume escono i morti sfi-gurati dalle tombe, particolarmente donne avvolte in bianchi sudari,l’aria si colma d’ombre verdognole e talvolta s’affumica d’un giallo sini-

stro, tutto c’è da temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, in una notte diluna. E quel che è peggio, essa ci costringe a rotolarci mugolando e latrando neiposti umidi, nei braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si pa-rasse davanti! Con cieca furia lo sbraneremmo, ammenoché egli non ci punges-se, più ratto3 di noi, con uno spillo. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta lanotte, e poi tutto il giorno, storditi e torpidi, come uscissimo da un incubo infa-mante. Insomma l’amico ed io non possiamo patire la luna.

Ora avvenne che una notte di luna io sedessi in cucina, ch’è la stanza più ri-parata della casa, presso il focolare; porte e finestre avevo chiuso, battenti e spor-telli, perché non penetrasse filo dei raggi che, fuori, empivano4 e facevano so-spesa l’aria. E tuttavia sinistri movimenti si producevano entro di me, quandol’amico entrò all’improvviso recando in mano un grosso oggetto rotondo similea una vescica di strutto5, ma un po’più brillante. Osservandola si vedeva chepulsava alquanto, come fanno certe lampade elettriche, e appariva percorsa dadeboli correnti sottopelle, le quali suscitavano lievi riflessi madreperlacei simili aquelli di cui svariano6 le meduse.

«Che è questo?» gridai, attratto mio malgrado da alcunché di magnetico nel-l’aspetto e, dirò, nel comportamento della vescica.

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7. ialino: che ha l’aspetto e la trasparen-za del vetro.

8. rovellio: lavorio faticoso.9. trulli: rumorose emissioni d’aria da-gli intestini.

10. vescia: vescica.11. suffumigi: vapori.

«Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla...» rispose l’amico guardandomi conun sorriso incerto.

«La luna!» esclamai allora. L’amico annuì tacendo. Lo schifo ci soverchiava: laluna fra l’altro sudava un liquido ialino7 che gocciava di tra le dita dell’amico.Questi però non si decideva a deporla.

«Oh mettila in quell’angolo» urlai, «troveremo il modo di ammazzarla!»«No», disse l’amico con improvvisa risoluzione, e prese a parlare in gran fret-

ta, «ascoltami, io so che, abbandonata a se stessa, questa cosa schifosa farà ditutto per tornarsene in mezzo al cielo (a tormento nostro e di tanti altri); essanon può farne a meno, è come i palloncini dei fanciulli. E non cercherà davverole uscite più facili, no, su sempre dritta, ciecamente e stupidamente: essa, la ma-ligna che ci governa, c’è una forza irresistibile che regge anche lei. Dunque haicapito la mia idea: lasciamola andare qui sotto la cappa, e, se non ci libereremodi lei, ci libereremo del suo funesto splendore, giacché la fuliggine la farà neraquanto uno spazzacamino. In qualunque altro modo è inutile, non riusciremmoad ammazzarla, sarebbe come voler schiacciare una lacrima d’argento vivo».

Così lasciammo andare la luna sotto la cappa; ed essa subito s’elevò colla rapi-dità d’un razzo e sparì nella gola del camino.

«Oh», disse l’amico «che sollievo! quanto faticavo a tenerla giù, così viscida egrassa com’è! E ora speriamo bene»; e si guardava con disgusto le mani impia-stricciate.

Udimmo per un momento lassù un rovellio8, dei fiati sordi al pari di trulli9,come quando si punge una vescia10, persino dei sospiri: forse la luna, giunta allastrozzatura della gola, non poteva passare che a fatica, e si sarebbe detto chesbuffasse. Forse comprimeva e sformava, per passare, il suo corpo molliccio;gocce di liquido sozzo cadevano friggendo nel fuoco, la cucina s’empiva di fu-mo, giacché la luna ostruiva il passaggio. Poi più nulla e la cappa prese a risuc-chiare il fumo.

Ci precipitammo fuori. Un gelido vento spazzava il cielo terso, tutte le stellebrillavano vivamente; e della luna non si scorgeva traccia. Evviva urràh, gri-dammo come invasati, è fatta! e ci abbracciavamo. Io poi fui preso da un dubbio:non poteva darsi che la luna fosse rimasta appiattata nella gola del mio camino?Ma l’amico mi rassicurò, non poteva essere, assolutamente no, e del resto m’ac-corsi che né lui né io avremmo avuto ormai il coraggio d’andare a vedere; così ciabbandonammo, fuori, alla nostra gioia. Io, quando rimasi solo bruciai sul fuo-co, con grande circospezione, sostanze velenose, e quei suffumigi11 mi tranquil-lizzarono del tutto. Quella notte medesima, per gioia, andammo a rotolarci unpo’ in un posto umido nel mio giardino, ma così, innocentemente e quasi persfregio, non perché vi fossimo costretti.

Per parecchi mesi la luna non ricomparve in cielo e noi eravamo liberi e leg-geri. Liberi no, contenti e liberi dalle triste rabbie, ma non liberi. Giacché non èche non ci fosse in cielo, lo sentivamo bene invece che c’era e ci guardava; soloera buia, nera, troppo fuligginosa per potersi vedere e poterci tormentare. Era

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come il sole nero e notturno che nei tempi antichi attraversava il cielo a ritroso,fra il tramonto e l’alba.

Infatti, anche quella nostra misera gioia cessò presto; una notte la luna ricom-parve. Era slabbrata e fumosa, cupa da non si dire, e si vedeva appena, forse so-lo l’amico ed io potevamo vederla, perché sapevamo che c’era; e ci guardavarabbuiata di lassù con aria di vendetta. Vedemmo allora quanto l’avesse dan-neggiata il suo passaggio forzato per la gola del camino; ma il vento degli spazi ela sua corsa stessa l’andavano gradatamente mondando12 della fuliggine, e il suocontinuo volteggiare ne riplasmava il molle corpo. Per molto tempo apparve co-me quando esce da un’eclisse, pure ogni giorno un po’più chiara; finché ridi-venne così, come ognuno può vederla, e noi abbiamo ripreso a rotolarci nei bra-ghi.

Ma non s’è vendicata, come sembrava volesse, in fondo è più buona di quan-to non si crede, meno maligna più stupida, che so! Io per me propendo a crede-re che non ci abbia colpa in definitiva, che non sia colpa sua, che lei ci è obbliga-ta tale e quale come noi, davvero propendo a crederlo. L’amico no, secondo luinon ci sono scuse che tengano.

Ed ecco ad ogni modo perché io vi dico: contro la luna non c’è niente da fare.Le più belle pagine di Tommaso Landolfi, a cura di I. Calvino, Milano, Rizzoli, 1982

12. mondando: ri-pulendo.

Tommaso Landolfi, nato a PicoFarnese, in provincia di Frosinonenel 1908, si laureò in Lingua e Let-teratura russa all’Università di Fi-renze. Alla collaborazione con di-verse riviste e quotidiani, tra cui«Il Mondo» e il «Corriere della Se-ra», affiancò l’attività di tradutto-re dal russo, dal tedesco e dal fran-cese, traducendo, tra gli altri, Go-gol’, Puskin, Novalis, Hofmann -sthal, la cui produzione gli offrìspunti importanti per la sua ope-ra. Nel 1937 uscì la prima raccoltadi racconti, Dialogo dei massimi si-stemi. Il suo interesse per il miste-

ro e il magico si rivelarono già nelprimo romanzo, La pietra lunare(1939), dove si narra la vita di unpiccolo centro di provincia nelquale si diffonde l’inquietantepresenza della stregoneria. Segui-rono diversi altri racconti tra ilfantastico e il grottesco, tra i qualila novella gotica Racconto d’au-tunno (1947), il romanzo fanta-scientifico Cancroregina (1950),che racconta di un astronauta pri-gioniero in una capsula spaziale,e i Racconti impossibili (1966). Al-tre opere sono caratterizzate dauna vena di orrore, come le raccol-

te Il Mar delle blatte (1939) e In so-cietà (1962), mentre prevalgonomotivi autobiografici in La bièredu pécheur (1953), Rien va (1963) eDes mois (1967). Fu anche poeta,critico letterario e drammaturgo.Evidente già dalle prime opere è iltema della vanità dell’agire uma-no, trattato con una apparente espesso divertita leggerezza. La va-lidità del suo lavoro venne ricono-sciuta da Eugenio Montale e daItalo Calvino, che ne curò una an-tologia nel 1982. Vinse il premioStrega nel 1975 con A caso. Morì aRoma nel 1979.

TOMMASO LANDOLFI

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Analisi e interpretazioneIl lato buffo dell’orroreLandolfi nei suoi racconti amava addentrarsi nel-la dimensione del fantastico, però in modo mol-to personale e spesso ribaltandone i termini. Èciò che avviene anche in questo racconto a pro-posito del rapporto tra la luna e i protagonisti,due amici affetti da licantropismo, fenomeno percui la luna piena trasformerebbe alcuni uominiin lupi mannari, i licantropi. Il motivo del lupomannaro, che ha origine in una forma di isteriache spingerebbe l’individuo colpito – di solito incoincidenza con la fase di luna piena – a simulareil comportamento e l’ululato del lupo, è presentenella letteratura dell’orrore, sia in quella popola-re che in quella colta, basti ricordare la novellaMal di Luna di Pirandello.Landolfi ne offre una versione molto personale:vittime non sono i lupi mannari, ma la luna. Nonsi sa come, essa è stata catturata ed è descritta pri-ma come qualcosa di ripugnante («un grosso og-getto rotondo simile a una vescica di strutto, maun po’più brillante»), poi come una sfera affumi-cata e deformata, a causa del passaggio dalla can-na del camino, percorso consacrato dalla favolisti-ca al lupo cattivo, e il riferimento non è casuale.

I temiDel racconto si possono dare diverse interpreta-zioni. A un primo livello si può notare che l’au-tore ha operato un cambiamento di connotazio-ne del fantastico: da cupo e terrificante l’ha tra-sformato in giocoso e leggero, per il divertimen-to suo e dei lettori. A una lettura più approfondita si può analizzareil rapporto tra i protagonisti, uomini tormentati,incapaci di accettare se stessi e le proprie man-chevolezze, e la luna, personalizzazione simbo-lica dei loro incubi, di cui ci si può impadronire,ma non si può distruggere. Mettono in atto uncomplicato rituale per liberarsene («... lasciamola

andare qui sotto la cappa, e, se non ci libereremodi lei, ci libereremo del suo funesto splendore...In qualunque altro modo è inutile, non riusci-remmo ad ammazzarla»), ma esso è preventiva-mente e dichiaratamente destinato al fallimento.Altrettanto si può dire per la loro aspirazione allanormalità; anche quando la luna non comparepiù in cielo, essi non sono liberi dalla loro privataossessione e sentono il bisogno di comportarsi co-me se ci fosse, anche se non sono disposti a rico-noscerlo: «Quella notte medesima, per gioia, an-dammo a rotolarci un po’ in un posto umido nelmio giardino, ma così, innocentemente e quasiper sfregio, non perché vi fossimo costretti».

La struttura e lo stile I racconti de Landolfi sono stati definiti da ItaloCalvino dei “congegni narrativi esatti”, in cuil’autore sa costruire la storia oscillando tra il sur-reale e il grottesco e soprattutto utilizzando ilmeccanismo del “non detto”. Del comportamen-to dei protagonisti, «l’amico e io», e della loro in-sofferenza verso la luna è offerta una descrizioneampia («... essa ci costringe a rotolarci mugolan-do e latrando nei posti umidi, nei braghi dietro aipagliai; guai allora se un nostro simile ci si paras-se davanti!...»), ma incompleta, in quanto non sispiega mai che sono lupi mannari. Così come nonsi dice che quel «grosso oggetto rotondo simile auna vescica di strutto» è la luna. Divenuta invisi-bile («Per parecchi mesi la luna non ricomparvein cielo e noi eravamo liberi e leggeri»), la luna èun personaggio presente quanto e più di prima(«... lo sentivamo bene invece che c’era e ci guar-dava; solo era buia, nera...»), creando un sensodi attesa verso lo scioglimento finale, quando laluna «slabbrata e fumosa, cupa da non si dire» ri-compare e, quasi con sollievo, i due protagonistiriprendono a rotolarsi nel braghi, perché «controla luna non c’è niente da fare».

I personaggi

1. Chi sono i protagonisti?2. La loro natura è affermata esplicitamente

o si desume dal testo?3. Nella storia c’è un terzo personaggio,

inanimato: di chi si tratta?

Interrogare il testoInflussi misteriosi

4. Che influenza esercita la luna sui due amici?5. Quale unica difesa può mettere in atto un loro

simile minacciato?6. Dove cercano di rifugiarsi i due amici nelle

notti di luna?

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Dalla lettura alla scritturaArgomentare

19. Qual è o quali sono, secondo te, i significati del racconto? In particolare, concentrati sulla luna e sucome essa viene considerata, rispetto ai soliti modi di rappresentarla.

Scrittura creativa

20. Prova a immaginare di essere tu il lupo mannaro che si è impossessato della sua nemica, la luna. Che cosa ne avresti fatto?

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7. Nonostante le loro precauzioni, la luna li raggiunge: precisa chi l’ha presa e descrivi il suo aspetto.

8. Il narratore e l’amico non sono d’accordo sullasorte da riservare alla luna; spiega le duediverse posizioni e le rispettive motivazioni.

Attraverso il camino

9. Al passaggio della luna attraverso la canna del camino è dedicata una particolareggiatadescrizione; quali rumori emette la luna?Come si deforma il suo corpo?

10. Per essere sicuro che la luna sia uscita dalcamino, il protagonista mette in atto unaparticolare azione: quale?

11. Che cosa fanno i due amici dopo essersi liberatidalla luna?

La ricomparsa della luna

12. Come si sentono i due amici durante la sparizione della luna?

13. Qual è l’aspetto della luna, nel momento in cuiricompare?

14. In che modo la luna riacquista il suo aspetto?15. Con la ricomparsa della luna, i due amici

ritornano alle antiche abitudini?

La struttura del testo

16. Il narratore è interno o esterno? 17. Che tipo di focalizzazione è in atto

nel racconto? 18. Nel racconto fabula e intreccio corrispondono?

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Guy de MaupassantMiromesnil (Normandia) 1850 – Passy (Parigi) 1893

La pauraGenere racconto del misteroTratto da «Le figaro» (1884)

... fu come un’apparizione fantastica: dueuomini erano ritti in un bosco, attorno aun gran fuoco... e intorno ad essi, come lascena di un dramma, gli alberi verdi...

Un fatto casuale, la visione di due uominiaccanto a un fuoco, induce due viaggiatori

che si trovano su un treno a riflettere sullapaura e a raccontarsi delle “storie di paura”.

Il treno filava a tutto vapore nelle tenebre.Mi trovavo solo, di fronte a un vecchio signore che guardava dal finestrino.Nella carrozza, una carrozza della compagnia ferroviaria Paris-Lyon-Médi-

terranée proveniente senza dubbio da Marsiglia, c’era un forte odore di fenolo1.Notte illune2, senza un soffio, torrida. Non si vedevano stelle, e la ventata del

treno lanciato a tutta corsa ci gettava in viso qualche cosa di caldo, di molle,d’opprimente, d’irrespirabile.

Partiti da Parigi tre ore prima, andavamo verso il centro della Francia senzaveder nulla del paese che attraversavamo.

D’improvviso, fu come un’apparizione fantastica: due uomini erano ritti inun bosco, attorno a un gran fuoco. Li vedemmo forse un secondo: erano, ci sem-brò, due pezzenti male in arnese, rossi nel chiarore abbagliante del fuoco, confacce barbute volte verso di noi: e intorno ad essi, come la scena di un dramma,gli alberi verdi, d’un verde chiaro e lucente, i tronchi colpiti dal vivo riflesso del-la fiamma, il fogliame attraversato, penetrato, irrorato dalla luce che vi fluiva.

Poi tutto tornò nell’oscurità.Certo, fu una ben strana visione. Che cosa facevano, in quella foresta, i due

vagabondi? Perché il fuoco in quella notte soffocante?Il mio compagno di viaggio trasse l’orologio e mi disse:«Mezzanotte precisa, signore: abbiamo visto una cosa veramente singolare».Ammisi che così era, e iniziammo una conversazione, almanaccando3 chi po-

tessero essere quei due: malfattori che bruciavano qualche corpo di reato, o stre-goni che preparavano un filtro? Non è per cuocere la minestra che s’accende unfuoco di quel genere, a mezzanotte, in piena estate. Che facevano dunque?

Non sapemmo immaginare nulla di verosimile.E il mio vicino si mise a parlare... Era un vecchio del quale non mi riusciva de-

terminare la professione. Un originale certamente, istruitissimo, e, sembrava,anche un po’ squilibrato.

1. fenolo: compo-sto aromatico de-rivato dagli idro-carburi, detto an-che acido fenico.2. illune: senza lu-na.3. almanaccando:cercando di capi-re.

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Ma chi sa quali siano i savi e quali i pazzi, in questa vita nella quale la ragionedovrebbe spesso chiamarsi stupidità e la follia chiamarsi genio? Diceva:

«Sono contento di quello che ho visto. Per qualche minuto ho provato unasensazione perduta! Come doveva essere inquietante la terra, una volta, quan-do era così misteriosa! Man mano che si solleva il velo dell’ignoto, l’immagina-zione degli uomini s’immiserisce. Non vi pare, signore, che la notte sia assaivuota e d’un buio assai volgare, da quando non vi sono più apparizioni? Si diceinteriormente: “Nulla più di fantastico, più nessuna strana coincidenza: tuttol’inesplicabile è spiegato. Il sovrannaturale scema4 come un lago che un canaleprosciughi: la scienza, di giorno in giorno, allontana i limiti del meraviglioso”.

Ebbene, io, signore, appartengo alla vecchia razza, che ama credere. Appar-tengo alla vecchia razza ingenua abituata a non capire, a non cercare, a non sa-pere, assuefatta5 ai misteri che ci attorniano: la vecchia razza ingenua che si ne-ga alla semplice e netta verità. Proprio, signore: si è immiserita l’immaginazionesorprendendo l’invisibile. Oggi la terra m’appare come un mondo abbandonato,deserto e nudo: se ne sono andate le credenze che lo rendevano poetico. Quan-do esco, la notte, come vorrei rabbrividire di quell’angoscia per la quale le vec-chie donnette si fanno il segno della croce rasentando i muri dei cimiteri, e gliultimi superstiziosi fuggono dinanzi agli strani vapori palustri e ai fantastici fuo-chi fatui6! Come vorrei credere a quel qualcosa di vago e terrificante che c’im-maginiamo di sentir passare nell’ombra! Come l’oscurità della sera doveva esse-re cupa, terribile, un tempo, quando era piena di esseri favolosi, sconosciuti, va-gabondi, malvagi, dei quali non si potevano indovinare le forme, la cui appren-sione agghiacciava il cuore, la cui occulta potenza oltrepassava i limiti del nostropensiero, e la cui offesa era inevitabile!

Scomparendo il soprannaturale, anche la paura autentica è scomparsa dallaterra, poiché non si ha veramente paura che di quanto non si comprende. I pe-ricoli visibili possono allarmare, turbare, spaventare: che cos’è questo in con-fronto alla convulsione che agita l’animo quando si pensa che s’incontrerà unospettro errante, che si subirà l’abbraccio d’un morto, che si vedrà slanciarsi con-tro di noi una delle spaventevoli bestie inventate dal terrore degli uomini? Dac-ché non sono più abitate da spiriti, le tenebre mi sembrano chiare.

Lo prova il fatto che se ci trovassimo improvvisamente soli in quel bosco, piùche dall’apprensione d’un qualsiasi pericolo reale saremmo ossessionati dall’im-magine dei due esseri singolari apparsici poc’anzi nel lampo del loro fuoco».

Ripeté:«Non si ha veramente paura che di quanto non si comprende».E ad un tratto mi tornò il ricordo d’un episodio raccontatoci una domenica da

Turgenev7 in casa di Gustave Flaubert8.Non so s’egli lo abbia poi inserito in qualche suo libro.

4. scema: diminuisce fino a sparire.5. assuefatta: abituata.6. fuochi fatui: fiammelle che si posso-no vedere nei cimiteri; sono dovute aigas prodotti dalla decomposizione deicorpi.

7. Turgenev: (pron. Turghenief) Ivan Se-geevic Turgenev (1818-83), scrittore rus -so, autore di racconti, commedie e ro-manzi di carattere realistico. I romanzipiù noti sono Padri e figli e Un nido di no-bili.

8. Gustave Flaubert: scrittore francese(1821-80), che Maupassant frequentòa Parigi. Teorizzò l’“impersonalità” del-l’artista. Il suo romanzo più famoso èMadame Bovary.

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[...] Turgenev ci disse, quel giorno:«Non si ha veramente paura che di quanto non si comprende».Seduto, o piuttosto abbandonato, in un’ampia poltrona, le braccia pendenti,

le gambe allungate e inerti, la testa interamente canuta9, annegava in quel granflutto di barba e di capelli argentei che gli dava l’aspetto d’un Padreterno o d’unfiume d’Ovidio10.

Parlava lentamente, con una certa pigrizia che conferiva un incanto alle frasi,e una certa esitazione della lingua un po’ tarda11 che sottolineava l’esattezza co-lorita delle parole. L’occhio chiaro, spalancato, rifletteva, come l’occhio d’unbimbo, tutte le emozioni del suo pensiero.

Ci raccontò quanto segue.Un giorno, da giovanotto, egli cacciava in una foresta russa. Aveva cammina-

to tutto il giorno, e verso la fine del pomeriggio era giunto in riva a un calmocorso d’acqua che scorreva sotto gli alberi, tra gli alberi, pieno d’erbe galleggian-ti, profondo, limpido e freddo.

Il cacciatore fu colto da un bisogno imperioso di gettarsi in quell’acqua traspa-rente. Si svestì e si lanciò nella corrente. Era un giovanotto grande e grosso, ro-bustissimo, e nuotatore ardito.

Si lasciava galleggiare lentamente, tranquillo nell’animo, sfiorato dall’erbe edalle radici, felice di sentir scivolare leggermente le liane contro la sua carne.

D’improvviso una mano gli si posò sulla spalla. Egli si voltò con uno scatto escorse un essere spaventoso che lo guardava avidamente.

Somigliava a una donna o a una scimmia. Aveva una faccia enorme, rugosa,che faceva smorfie e rideva. Due cose innominabili, due mammelle di certo, legalleggiavano davanti, mentre i capelli smisurati, arruffati, arrugginiti dal sole,le circondavano il viso e le sventolavano sulla schiena. Turgenev si sentì trafig-gere dalla schifosa, glaciale paura delle cose sovrannaturali.

Senza riflettere, senza pensare, senza comprendere, si mise a nuotare dispera-tamente verso la riva. Ma il mostro nuotava ancora più veloce e gli toccava ilcollo, la schiena, le gambe, dando in piccole risatine di gioia. Pazzo di spavento,il giovanotto raggiunse finalmente la riva e si slanciò nel bosco a tutta velocità,senza nemmeno pensare a riprendere gli abiti e il fucile.

Un essere spaventoso lo seguì, correndo come lui e sempre brontolando. Altermine delle forze e paralizzato dal terrore, il fuggiasco stava per cadere, quan-do un fanciullo che custodiva alcune capre accorse armato di frusta, e si mise acolpire l’orrenda bestia umana che fuggì gridando di dolore. Turgenev la videsparire tra i cespugli, simile alla femmina di un gorilla.

Era una povera pazza che da più di trent’anni viveva in quel bosco della cari-tà dei pastori, e passava metà del giorno nuotando nel fiume.

Il grande scrittore russo concluse:«Mai nella mia vita ebbi tanta paura, semplicemente perché non avevo capito

che cosa potesse essere quel mostro».

9. canuta: coi capelli bianchi.10. Ovidio: Publio Ovidio Nasone (43 a. C.- 17/18 d. C.), poeta latino, autore delle

Metamorfosi, in cui spiega le mitiche tra-sformazioni avvenute dall’epoca delCaos fino a quella di Cesare.

11. tarda: lenta.

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6Il racconto di intrattenim

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S. Damele, T. Franzi, Passi da giganti © Loescher Editore, 2010

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Il mio compagno di viaggio, al quale avevo ripetuto l’avventura, annuì: non siha paura che di quanto non si comprende.

«Già, non si ha paura che di quanto non si comprende. Non si prova vera-mente quell’orrenda convulsione dell’animo che si chiama spavento se nonquando alla paura si mescola un po’ del terrore superstizioso dei secoli passati.Anche io ho provato questo spavento in tutto il suo orrore, e per una cosa tantosemplice, tanto sciocca che oso appena raccontarla.

«Viaggiavo in Bretagna, solo soletto, a piedi. Avevo percorso il Finistère12, lelande desolate, le terre nude dove il giunco è l’unica cosa che cresce accanto agrandi pietre sacerdotali, pietre magate13. Il giorno prima avevo visitato la sini-stra punta del Raz14, questa fine del vecchio mondo dove si battono eternamen-te due oceani: l’Atlantico e la Manica. Avevo la mente piena di leggende, di sto-rie lette o raccontate a proposito di quella terra di credenze e di superstizioni.

«E camminavo da Penmarch verso Pont-l’Abbé15, di notte. Conoscete Pen-march? Un lido piatto, piatto senza eccezione, bassissimo, più basso del mare, sidirebbe. Lo si vede dovunque, grigio e minaccioso, quel mare irto di scogli bavo-si come bestie infuriate.

«Avevo pranzato in una bettola di pescatori, e ora camminavo sulla strada di-ritta, fra due lande. Era buio fitto.

«Di quando in quando, simile a un fantasma eretto, una pietra druidica16 sem-brava mi guardasse passare; e a poco a poco mi sentivo invadere da una vaga ap-prensione: di che? Proprio, non lo sapevo. Vi sono certe sere nelle quali ci pared’essere sfiorati da spiriti: l’anima rabbrividisce senza ragione, il cuore palpitanel timore confuso di quel qualcosa d’invisibile ch’io rimpiango tanto. Quellastrada mi sembrava lunga, lunga, e interminabilmente deserta.

«Nessun rumore fuorché il fragore dei flutti, lontano, alle mie spalle: e a trat-ti quel rumore monotono e minaccioso sembrava vicinissimo, così vicino chepareva le onde mi fossero alle calcagna e corressero attraverso i campi con la lo-ro fronte di schiuma: e io avevo voglia di fuggire, di fuggire a gambe levate persottrarmi ad esse. Il vento, un vento basso che soffiava a raffiche e faceva fi-schiare i giunchi intorno a me. E per quanto camminassi veloce, avevo freddoalle braccia e alle gambe: un brutto freddo d’angoscia.

«Oh, come avrei voluto incontrare qualcuno!«Era così buio che ora distinguevo appena la strada.«E d’improvviso davanti a me, lontanissimo, udii rotolare qualche cosa. Pen-

sai: “To’, una carrozza”. Poi non udii più nulla.«Un momento dopo percepii distintamente lo stesso rumore, più vicino. Non

vedevo nessun lume, però; ma dicevo tra me: “Non hanno fanale. C’è da stupir-sene, in questo paese di selvaggi?”

«Il rumore s’interruppe ancora una volta, poi riprese. Era troppo esiguo per-ché si trattasse d’una carretta: e d’altronde non udivo il trotto del cavallo, cosache mi stupiva, perché la notte era calma.

«Cercai: “Che cosa sarà?”

12. Finistère: regione della Francia, al-l’estremità occidentale della Bretagna.13. magate: toccate dalla magia.

14. punta del Raz: promontorio dellaBretagna.15. Penmarch... Pont-l’Abbé: località del-

la Bretagna.16. pietra druidica: pietra sacra per idruidi, i sacerdoti degli antichi celti.

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«S’avvicinava veloce, velocissimo! Certo, udivo soltanto una ruota: nessunoscalpitio di zoccoli o di piedi: nulla. Di che cosa si trattava?

«Era vicino, vicinissimo: mi gettai in un fosso con un movimento di pauraistintiva e vidi passare accanto a me una carriola che correva... sola... nessuno laspingeva... già... una carriola... sola... Il cuore mi balzava con tanta violenza chem’accasciai sull’erba e ascoltai turbinare la ruota che s’allontanava, che se neandava verso il mare.

«Non osavo più alzarmi, né camminare, né fare un movimento: perché, se lacarriola fosse ritornata, se mi avesse inseguito, sarei morto di terrore. Stentai alungo per riprendermi: e feci il resto della strada con tale angoscia nell’animoche il minimo rumore mi troncava il respiro.

«Non è sciocco, tutto ciò? Ma che paura! Riflettendo, più tardi, ho compreso:senza dubbio, un ragazzo, scalzo, spingeva la carriola: io, invece, cercavo la testad’un uomo ad altezza normale! Voi mi capite... quando si ha già in mente unbrivido di soprannaturale... una carriola che corre... da sola... Che paura!»

Tacque un istante, poi riprese:«Vedete, signore, noi stiamo assistendo a uno spettacolo curioso e terribile:

questa invasione del colera!«Sentite l’odore del fenolo di cui queste carrozze sono sature?... vuol dire

ch’esso è presente, chissà dove. Bisogna vedere Tolone in questo momento. Ah,davvero si sente ch’è presente, lui. E non è già la paura d’una malattia che faimpazzire quella gente. Il colera è un’altra cosa, è l’Invisibile, è un flagello d’altritempi, dei tempi passati, una sorta di Spirito malefico che ritorna e che ci stupi-sce quanto ci spaventa poiché, almeno così sembra, appartiene alle età scompar-se. I medici mi fanno ridere, col loro microbo. Non è un insetto quello che terro-rizza gli uomini al punto che si buttano dalla finestra; è il colera, è l’essere ine-sprimibile e terribile venuto dal fondo dell’Oriente.

«Attraversate Tolone: nelle sue strade si balla. Perché ballare in questi giornidi morte? Nella campagna, in vicinanza della città, si lanciano fuochi d’artificio,si accendono fuochi di gioia: le orchestrine suonano ariette allegre in tutte lepasseggiate pubbliche.

«E questo perché Egli è lì, perché lo si sfida, non già il Microbo ma il Colera, esi vuol essere spavaldi di fronte a lui come di fronte a un nemico nascosto che ciattende in agguato. È per lui che si balla, si ride, si grida, s’accendono quei fuo-chi, si suonano quei valzer: per lui, lo spirito che uccide e che sentiamo presentedovunque, invisibile, minaccioso, come uno di quegli antichi geni del male che isacerdoti barbari esorcizzavano...»

G. de Maupassant, Racconti fantastici, trad. it. di E. Bianchetti, Milano, Mondadori, 1983

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Guy de Maupassant nacque a Mi-romesnil, in Normandia, nel 1850.Fino all’età di tredici anni visse trail mare e un entroterra lussureg-giante, appassionandosi di natu-ra e di sport da praticare all’aper-to. La sua educazione cominciòpresso il seminario a Yvetot, da cuifu cacciato per il suo razionali-smo, e terminò al liceo di Rouen,dove si dimostrò uno studentemolto dotato, dedicandosi anchealla poesia e prendendo parte ad alcune rappresentazioni filo-drammatiche.Nel 1870 si arruolò come guardiae assistette alla sconfitta france-se, che evocherà più tardi in nu-merose novelle. Nel 1871 lasciò laNormandia e giunse a Parigi dovelavorò per dieci anni come impie-gato presso il Dipartimento Nava-le. Lo scrittore Gustave Flaubert,

amico d’infanzia della madre, loprese sotto la sua protezione e fa-vorì il suo debutto nell’ambito delgiornalismo e della letteratura. Acasa di Flaubert incontrò il ro-manziere russo Ivan Turgenev, ilfrancese Émile Zola e molti deiprotagonisti della scuola realistae naturalista. Dopo i primi versi ebrevi operette teatrali, una novel-la, Palla di sego, apparsa nel 1880,ebbe un notevole successo, che gliaprì le porte dell’alta società, raf-figurata in molte delle sue operesuccessive. Iniziò anche a compie-re numerosi viaggi, che lo porta-rono in Algeria, Italia, Gran Breta-gna, Sicilia, tornando da ciascunocon un nuovo volume. Gli anni compresi tra il 1880 e il1891 furono quelli di più intensolavoro, con oltre trecento novelle,sei romanzi e opere teatrali. Nel

1881 pubblicò il suo primo volumedi racconti dal titolo La Maison Tel-lier, seguiti dai Racconti della bec-caccia (1883), Racconti del giorno e della notte (1885) e dal raccontodi viaggio La vita errante (1890);tra i romanzi i più importanti so-no Una vita (1883), Bel Ami (1885),Forte come la morte (1889), Il no-stro cuore (1890).Negli anni successivi la sua salutesi deteriorò, nonostante una costi-tuzione apparentemente robu-sta; il suo equilibrio mentale en-trò in crisi e manifestò stati alluci-natori accompagnati da una co-stante paura della morte. Nel1892, in seguito a un tentativo disuicidio, venne internato in unaclinica a Passy, dove morì nel 1893,all’età di quarantatré anni. È se-polto nel cimitero di Montparnas-se a Parigi.

GUY DE MAUPASSANT

Analisi e interpretazioneIl tema centraleTema ricorrente nei racconti dei due viaggiatori enelle circostanze che li hanno generati è la pau-ra. Un’immagine improvvisa, «due pezzenti ma-le in arnese, rossi nel chiarore abbagliante delfuoco», induce il più anziano dei viaggiatori a ri-cordare il mondo di un tempo, quando la scarsitàdelle conoscenze lasciava posto all’ignoto, «... aquel qualcosa di vago e terrificante che c’imma-giniamo di sentir passare nell’ombra!» Con lascomparsa del soprannaturale, egli afferma, èscomparsa l’immaginazione e soprattutto «lapaura autentica», poiché «non si ha veramentepaura che di quanto non si comprende». Que-st’ultima frase racchiude la chiave per capire ilconcetto di paura presente nel testo ed è utilizza-ta dall’autore come strumento per legare tra loroi ricordi dei due viaggiatori. Nei racconti la paura trova una sua personifica-zione in personaggi come la spaventosa donnadel fiume, in oggetti come la carriola che correda sola, o, infine, nel Colera, la malattia simbolodi morte che per tanto tempo ha terrorizzato gli

uomini. Ciò che accomuna i suoi diversi volti èche corrispondono a qualcosa «che non si com-prende».

L’ambienteIngredienti fondamentali delle storie di paura so-no l’ambiente e l’atmosfera e, nel ricrearli, Mau-passant è veramente un maestro.Il treno su cui si trovano i due viaggiatori «... fila-va nelle tenebre». Attorno ai «due pezzenti malein arnese», gli alberi sembrano creare «la scena diun dramma». L’avventura del cacciatore avvienein un ambiente solitario, un fiume «profondo,limpido e freddo», circondato da un bosco deser-to. Il viaggiatore in Bretagna è solo, cammina nel«buio fitto» e sente «grigio e minaccioso, quel ma-re irto di scogli bavosi come bestie infuriate» e ilvento «che soffiava a raffiche e faceva fischiare igiunchi». La cupa atmosfera, creata ad arte, spie-ga perché sia così difficile interpretare fenomeniche, in altre circostanze, probabilmente non su-sciterebbero alcuna paura.

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I personaggi

1. Dove si trovano gli osservatori all’inizio del racconto?

2. In quale momento del giorno i viaggiatorihanno la strana visione?

L’apparizione

3. Quali elementi dell’apparizione attiranol’attenzione dei viaggiatori?

4. Che spiegazioni ipotizzano i viaggiatori perspiegare il comportamento dei due vagabondi?Che cosa escludono?

5. Di che cosa si lamenta l’anziano compagno di viaggio?

Racconti nel racconto

6. Per rendere più credibile il racconto che ricorda,l’autore introduce alcuni riferimenti alla suavita reale. Di quali riferimenti si tratta?

7. Chi è l’autore del racconto fatto a casa di Flaubert?

8. Chi è l’autore del secondo racconto?

La storia del cacciatore

9. Nell’episodio che racconta, dove si trovaTurgenev? In che momento del giorno?

10. Chi incontra il cacciatore? Descrivine l’aspetto.11. Qual è la reazione del cacciatore?12. Che cosa ha realmente spaventato il

cacciatore?

a. Una povera pazza.

b. Un mostro immaginario.

c. Il non aver capito che cosa potesse esserequel mostro.

La storia dell’anziano viaggiatore

13. In quale ambiente si svolge la storia raccontata dal viaggiatore? Quali elementi lo impensieriscono?

14. Il viaggiatore viene spaventato da un rumore.Precisa:

a. di che rumore si tratta.b. chi lo produce.

c. che spiegazione ne dà il viaggiatore.

Una conclusione imprevista

15. Secondo il viaggiatore, a Tolone c’è un terribilenemico. Precisa:

a. di che cosa si tratta.

b. quale indizio è presente sul treno.

c. come reagiscono le persone.

La struttura del racconto

16. Chi è il viaggiatore-io narrante della parteiniziale del racconto?

17. Chi è l’io narrante del racconto fatto nella casadi Flaubert?

18. In che modo Turgenev prende le distanze da sestesso protagonista della storia?a. Dichiara che si tratta di un personaggio

di fantasia.

b. A volte passa dalla prima alla terzapersona.

c. Usa sempre la terza persona.

Interrogare il testo

Storie nella storiaLa costruzione del racconto procede per gradi,creando nel lettore un senso di incertezza su do-ve la narrazione lo stia portando.Nella parte iniziale, una scena improvvisa e ra-pida – è vista da un treno che corre velocemen-te – viene presentata come inspiegabile. Servetuttavia come pretesto per suscitare il sospettoche stia accadendo qualcosa di terribile («mal-fattori che bruciavano qualche corpo di reato, o

stregoni che preparavano un filtro?») e lasciareil lettore col fiato sospeso fino al finale a sor-presa, quando viene offerta una possibile spie-gazione, tutt’altro che tranquillizzante: si ac-cendono fuochi per sfidare un nemico terribile,il colera. Nel frattempo, però, l’attenzione dellettore è stata tenuta accesa da altri due raccon-ti, in cui l’apparente inspiegabilità dei fatti hasuscitato un profondo terrore nei protagonisti ecoinvolto il lettore nel misterioso meccanismoche genera la paura.

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Sequenza Sintesi

Il viaggio in treno

Il cacciatore

Un rumore nella notte

Il colera

Dalla lettura alla scritturaArgomentare

19. L’anziano viaggiatore afferma: «Non si ha veramente paura che di quanto non si comprende». Sei d’accordo con la sua affermazione? Commentala esponendo le tue considerazioni in merito.

Riassumere le sequenze

20. Il racconto è composto da alcune macrosequenze, indicate nella seguente tabella con brevi titoli.Completala con la sintesi dei fatti (fabula) corrispondenti a ciascuna.