16
Anno XVI - n.3 Notiziario Missionario • Autorizzazione del Tribunale di Pesaro n° 393 del 4 Gennaio 1995 • Spedizione in A.P. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) Art. 1, Comma 2, DCB Pesaro (Ex Art. 2, Comma 20/C Legge n° 662/96) • In caso di mancato recapito rinviare questa pubblicazione all’Ufficio Postale Centrale di Pesaro per restituzione al mittente che si impegna a pagare la tassa corrispondente sul C.C.P. n° 350405 “... L’amore vede l’invisibile ...” La crisi finanziaria e la Chiesa pag. 11 di José M. Castillo Il tempio dei desideri pag. 6 di frei Betto Questo è un momento cruciale pagg. 4 e 5 di Marco Guzzi Gesù non è come Dio pagg. 2 e 3 di Alberto Maggi fondatore fra Bruno M. Quercetti Settembre-Dicembre 2008 Foto da “Il libro dei trent’anni” di La Repubblica 1976-2006

Notiziario Missionario 3/08

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Edizione 3 del 2008

Citation preview

Anno XVI - n.3

Notiz

iario

Miss

iona

rio •

Aut

orizz

azio

ne d

el T

ribun

ale

di P

esar

o n°

393

del

4 G

enna

io 1

995

• Sp

edizi

one

in A

.P. •

D.L

. 353

/200

3 (c

onv.

in L

. 27/

2/20

04 n

. 46)

Art.

1, C

omm

a 2,

DCB

Pes

aro

(Ex

Art.

2, C

omm

a 20

/C L

egge

n° 6

62/9

6) •

In c

aso

di m

anca

to re

capi

to ri

nvia

re q

uest

a pu

bblic

azio

ne a

ll’Uffi

cio

Post

ale

Cent

rale

di P

esar

o pe

r res

tituz

ione

al m

itten

te c

he s

i impe

gna

a pa

gare

la ta

ssa

corri

spon

dent

e su

l C.C

.P. n

° 350

405

“... L’amore vede l’invisibile ...”

La crisi finanziaria e la Chiesa

pag. 11di José M. Castillo

Il tempio dei desideri

pag. 6di frei Betto

Questo è un momentocruciale

pagg. 4 e 5di Marco Guzzi

Gesù non ècome Dio

pagg. 2 e 3di Alberto Maggi

fondatore fra Bruno M. Quercetti

Settembre-Dicembre 2008

Foto

da

“Il l

ibro

dei

tre

nt’a

nni”

di L

a R

epub

blic

a 19

76-2

006

- 2 -

“Neppure i suoi fratelli credevano in lui”di Alberto Maggi

Per molti, in passato, la Chiesa commise un errore nell’anno-verare tra i vangeli canonici anche quello di Giovanni.La diffidenza verso una teologia così diversa da quella degli altri evangelisti, con la radicale opposi-zione a ogni forma di istituzione religiosa e al tempio (Gv 4,21), e, per di più, con l’accoglienza degli eretici samaritani, non solo rendeva ripugnante per i Giudei la comunità nata dal vangelo di Giovanni, ma la faceva ritenere sospetta agli occhi della chiesa nascente.Sotto il pontificato di papa Zefirino (199-217) ci fu persino chi, come il prete romano Gaio, rigettò il vangelo attribuendolo non a Giovanni ma all’eretico Cerinto. Di fatto, il più antico commento al vangelo di Giovanni è stato scritto da Eracleone, un discepolo di Valentino, fondatore di una conosciuta setta gnostica.Il vangelo di Giovanni fu infatti accolto da gnostici ed eretici, ma visto con diffidenza dai circoli ecclesiastici più ortodossi, che sospettavano fosse un vangelo antistituzionale, che prendeva le distanze dalla struttura gerar-chica che nella Chiesa andava formandosi.La comunità di Giovanni è infatti formata da “un gregge, un Pastore” (Gv 10,16): l’esi-stenza della comunità dei credenti (gregge) contiene in sé la presenza del Signore (pastore) e forma il nuovo santuario da dove si irradia l’amore di Dio per tutta l’umanità (Gv 17,22-23).Compito della comunità-santuario è quello di andare incontro a coloro che sono stati scacciati dall’istituzione religiosa(Gv 9,22.35; 12,42; 16,2) e di accogliere quanti per la loro condizione si sentono indegni di avvicinarsi al Signore. A tutti costoro il Signore e il suo gregge fanno risuonare la parola del Pastore, che invita a unirsi in un’unica comunità nella quale i componenti non sono servi del Signore, ma suoi amici (Gv 15,15), fratelli tra loro (Gv 21,23), e dove vige un solo comanda-mento, quello dell’amore vicen-devole (Gv 13,34).Ritenuto poco idoneo a disci-plinare la vita dei credenti, quello di Giovanni fu classificato come “vangelo spirituale” già verso il 200 da Clemente d’Ales-sandria (Eusebio da Cesarea, Storia Ecclesiastica 1,6,14,7). Un vangelo celestiale ad uso e

consumo dei mistici, e non alla portata del popolo, adatto per quanti sono attratti dalle cose del cielo e non per quelli che si sporcano le mani con le cose della terra.Sicché il vangelo di Giovanni è stato accompagnato nei secoli dalla nomea di un’opera difficile, riservata come nutrimento per le persone “spirituali”, e si neutra-lizzava così l’impatto defla-grante che questo vangelo può provocare nella vita dei credenti conducendoli alla piena libertà (“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, Gv 8,32).In questo vangelo la compren-sione di Gesù viene formulata indubbiamente nella maniera più profonda di tutto il Nuovo Testamento. Se infatti gli altri evangelisti presentano Gesù come il Figlio di Dio (Mt 14,33; Mc 1,1; Lc 1,35), Giovanni è l’unico che attribuisce il termine Dio a Gesù (“Mio Signore, e mio Dio!”, Gv 20,28).

“Dio nessuno lo ha mai visto” dichiara in maniera perentoria

Giovanni (Gv 1,18; 5,37; 6,46), invitando il credente a fissarsi solo su Gesù, “l’unico figlio, che è Dio ed è in seno al Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,16). Quando Filippo chiederà a Gesù di mostrargli il Padre, Gesù risponderà “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). Per Giovanni Gesù non è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù.L’evangelista invita il lettore a sbarazzarsi di ogni immagine o concezione di Dio che non trovi riscontri nella figura di Gesù, nella sua vita e nel suo insegna-mento.Ogni immagine di Dio, nata dalla tradizione religiosa, dalla spiritualità, che non coincide con Gesù va eliminata, in quanto incompleta, limitata o falsa.Il Dio che Gesù rivela non si può conoscere attraverso la dottrina, ma mediante le sue opere (“Credetemi: Io Sono nel Padre e il Padre è in me, se non altro credetelo per le opere stesse”, Gv 14,11).L’unico criterio di veridicità della divinità del Cristo sono le sue opere, le stesse del Padre. E le

opere di Gesù sono tutte a favore dell’uomo, della sua vita, e della sua felicità.Attraverso le tematiche della Creazione (Genesi) e della Liberazione (Esodo), Giovanni presenta Gesù come il pieno compimento delle speranze dell’antica alleanza. Il Cristo viene infatti annunciato come pienezza di vita e di luce (“In luiera la vita e la vita era la luce degli uomini”, Gv 1,4). Nella sua opera l’evangelista presenta un crescendo di questa vita e di questa luce “che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), attraverso opere che restituiscono, comunicano e arricchiscono la vita di ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione morale o religiosa.La vita-luce che Gesù trasmette, piena risposta al desiderio di pienezza di vita che ogni uomo porta in sé, si diffonde sempre più e “splende nelle tenebre” (Gv 1,5), liberando definitivamente

continua nella pagina seguente

Gesù non è come Dio

Ma quale Dio?

da “

Roc

ca”,

n. 1

5 N

ovem

bre

2008

Les

Pre

sses

de

Taiz

é

- 3 -

gli uomini dal dominio delle tenebre-morte. Questo crescendo di luce sarà a un certo momento talmente abbacinante da essere intollerabile per quelli che vivono nelle tenebre (Gv 3,20) e sono essi stessi tenebre: i capi religiosi. Saranno costoro infatti che non sopporteranno l’intensità della luce che emana da Gesù, l’uomo-Dio, “Luce del mondo” (Gv 8,12; 9,5), e urleranno a Pilato: “Toglilo! Toglilo!, Crocifiggilo!” (Gv 19,15).“Colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29) è stato tolto dal mondo dai complici di questo peccato: il figlio di Dio non è morto perché questa era la volontà del Padre, ma per la convenienza della casta sacer-dotale al potere (Gv 11,50).

Per Giovanni in Gesù, l’Uomo-Dio, si manifesta la pienezza dell’amore del Padre, un Dio-Amore che non è un rivale dell’uomo, ma suo alleato, che non lo domina, ma lo potenzia, non lo assorbe ma si fonde con l’uomo per comunicargli la pienezza della sua vita divina (Gv 17,22). Un Dio che non chiede offerte perché è lui che si offre (Gv 4,10), che non vuole essere servito perché è lui che serve gli uomini (Gv 13,14), che chiede un nuovo rapporto con lui, non già come servi, ma come figli.Questa offerta non verrà accolta, e il Cristo tanto atteso sarà rifiutato, contestato, calunniato e infine assassinato (“Venne tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto”, Gv 1,11).La volontà di Dio, che ogni uomo diventi suo figlio (Gv1,12) sarà infatti considerata una bestemmia, un crimine meritevole di morte da parte delle autorità religiose, che riget-teranno Gesù e il suo messaggio in nome della Legge divina: “Noi abbiamo una Legge, e secondo questa Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio” (Gv 19,7).Ma per l’evangelista la Legge di Dio non esiste: “Dio è Amore” (1 Gv 4,8) e l’amore non si può esprimere attraverso le leggi, ma solo con opere che comunicano vita alle persone.Tra l’amore del Padre e la Legge di Dio non è possibile alcuna conciliazione. Per Gesù la Legge invocata dai capi del popolo non è che un vuoto contenitore che nasconde la pretesa di dominio e di potere da parte delle autorità religiose: la prova è che essi non

tutto quell’insieme di credenze e di culti chiamato religione non solo non permette la comunione

con Dio ma è proprio quello che l’impedisce. Rifiutato dalla famiglia, al punto che “neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7,5), e abbandonato da gran parte dei suoi discepoli (“molti dei suoi discepoli si allontanarono e non andavano più con lui”, Gv 6,66), per le autorità giudaiche Gesù è solo un pazzo, un ossesso.Nell’accusa dei capi del popolo, che Gesù fosse un samaritano (“Non diciamo bene noi che sei un samaritano e hai un demonio?”, Gv 8,48), non è racchiuso solo il disprezzo che gli ebrei nutrivano verso questo popolo, definito stupido nella Scrittura (“quel popolo stupido che abita a Sichem”, Sir 50,26), ma la denuncia che fosse un elemento pericoloso, nemico di Dio (indemoniato) e del popolo (samaritano), che andava combattuto ed eliminato.Solo un matto, un samaritano indemoniato, poteva denunciarei capi religiosi quali figli del diavolo e assassini (Gv 8,44) e auspicare la fine dell’istitu-zione religiosa che si credeva voluta da Dio stesso. Per questo contro il Cristo si coalizzeranno tutte quelle forze che vedono

invocano mai la Legge divina a favore del popolo ma sempre a proprio vantaggio (Gv 7,19).La Legge di Dio viene adoperata dai capi religiosi a difesa di traballanti teorie spacciate per volontà divina, per opprimere e spadroneggiare sul popolo che non può permettersi di avere altra opinione che non sia quella da loro espressa (Gv 7,48).Gesù non si rifà mai alla Legge di Dio, ma sempre all’amore del Padre. In nome della Legge, fosse pure quella divina, si possono far soffrire e anche uccidere gli uomini (Gv 16,2), in nome dell’amore del Padre si può solo alleviare la sofferenza e restituire vita a ogni persona.Le autorità avrebbero potuto tollerare un profeta riformatoredelle istituzioni religiose, un inviato da Dio per purificare il Tempio, il sacerdozio, il culto e anche la stessa Legge, ormai diventata ingarbugliata e impra-ticabile, ma Gesù no, non era accettabile.Lui non è un profeta né un inviato divino, non si muove nell’ambito del sacro, ma ne esce. Il Cristo è la manifestazione stessa di Dio tra gli uomini e non è venuto a purificare le istituzioni religiose ma a eliminarle, denunciando che

nell’uomo che si “fa uguale a Dio” (Gv 5,18) un pericolo per il loro dominio, le loro ambizioni e la loro sicurezza: sono coloro che fanno della religione il sistema per appagare le proprie frustrate ambizioni e di Dio il piedistallo al proprio desiderio di prestigio. Giovanni ha scritto il suo vangelo “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,31), assicurando che le tenebre non avranno la meglio sulla luce (“la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno sopraffatta”, Gv 1,5) e invitando ogni credente a colla-borare attivamente con colui che ha detto: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33), perché la vita sarà sempre più forte della morte.

segue dalla pagina precedente

La pazzia del Messia

E’ troppo

Les

Pre

sses

de

Taiz

é

- 4 -

Questo è un momento crucialedi Marco Guzzi

Ci sono momenti della storia in cui l’uomo è chiamato a ridisegnare i propri lineamenti, a ridefinire la propria figura, la propria identità, il suo “chi sono io?”. L’essere umano infatti è proprio quel essere che non possiede alcuna identità definita una volta per sempre, e che deve perciò ogni volta darsela questa identità, attraverso l’opera creatrice del proprio pensiero. In questa fatica millenaria esistono però momenti cruciali in cui un intero ciclo di figurazioni, e quindi di culture e di identità storiche, va a compiersi, e l’uomo si ritrova come davanti al Vuoto del proprio Mistero, che può apparirci sia come Nulla e annientamento di ogni senso, sia come Sorgente del nuovo senso che viene appunto a ri-definirci.In questi momenti cruciali l’essere umano comprende a livelli sempre più profondi di essere veramente un essere singolare e unico entro la molteplice creazione, un essere il cui essere è un movimento, una pro-creazione, alla quale egli stesso partecipa ascoltando e pensando, producendo in un certo senso il discorso che gli dice chi egli sia e che cosa sia il mondo. In questi momenti l’uomo comprende perciò la

natura verbale, linguistica e dialogica, di questa produzione di senso, di questa pro-creazione della propria identità. E comprende che questo discorso, che innanzitutto lo de-finisce di fronte al mondo e al mistero della propria provenienza, non può essere un dire da lui autonoma-mente gestito, non può essere un monologo, che non potrebbe che consolidarlo nei limiti già dati del suo essere, ma può sorgere solo da un’apertura essenziale, da un ascolto che appunto lo espone al di là dei suoi confini, al di là di tutto ciò che sa di sé, verso la Fonte sempre nuova della propria essenza. In questi momenti cioè l’uomo si scopre inter-locutore di una Rivelazione, si scopre in dialogo col Cielo, con gli Dèi, con il mondo degli spiriti, con Dio, con quel Principio che è il Verbo di Dio, la sua Parola che da sempre ci è rivolta per illumi-narci nel nostro stesso essere.In questi momenti perciò si riattiva la potenza poetica del linguaggio, la sua essenza di Appello-Risposta, di Dialogo originario, attraverso il quale di tempo in tempo l’Uomo si de-finisce in rapporto al Mondo e a Dio. Ogni cultura infatti sorge da una rivelazione poetica, da un discorso che irrompe al di là di ciò che l’uomo di quel tempo avrebbe potuto sapere e dire: così fu per i Rig-Veda, per la rivela-

zione mosaica, per il Corano, o per l’Incarnazione definitiva del Verbo di Dio in Gesù di Nazaret. Oggi noi viviamo in una fase davvero cruciale in cui sembra che tutte le figurazioni culturali del pianeta si stiano esaurendo e un’altra e nuova figurazione umana inizi a balbettare nei nostri cuori impauriti e stanchi, purificando e trans-figurando l’intero repertorio della storia. Ecco perché oggi più che mai la dimensione poetica del pensiero torna ad essere centrale, anche se vive e cresce, come sempre d’altronde, ai margini del vecchio mondo che va in frantumi, nelle periferie dell’Impero. Poetica è quindi oggi ogni attività umana che si apra al Nuovo Disegno di una umanità sempre più consa-pevole della propria essenza co-creatrice, di una umanità che diviene finalmente consapevole di essere lo strumento poetico, libero e responsabile, della stessa creazione: l’Interlocutore origi-nario di Dio: il suo Tu eterno: la realizzazione corporea della sua Sostanza: la sua immagine vivente e parlante: il suo Figlio prediletto: il suo Cristo, attraverso il quale tutte le cose sono ri-create. In tal senso è certamente più poetica l’opera di Jung nel XX secolo o di Bohr, di Gandhi o di Heidegger, piuttosto che tante versificazioni e lamentazioni in versi, prodotte da uomini imprigionati nei limiti di

ciò che dell’umano sta morendo.Poetico è oggi solo quel pensiero, quell’opera, quel discorso che porti avanti la pro-creazione dell’umano come essere che libera-mente produce la propria nascita. Poetica è ogni conoscenza che si scopra co(n)-naissance, come diceva Claudel, co-nascita di me e del mondo ogni volta che provo a dire che cosa sia la realtà e chi sia io stesso. Poetico è oggi ogni pensiero che illumini l’essenza dinamica del darsi della verità: il suo darsi cioè solo attra-verso la pro-creazione poetica dell’uomo, come scriveva molto bene Nicolaj Berdjaev: “La verità non è un dato obiettivo: è una conquista creatrice, una scoperta dello spirito creatore, e non una conoscenza riflessa di un oggetto, dell’esistenza oggettivata. La verità non si confronta con una realtà predefinita, d’origine esterna; un tale confronto è impossibile: essa è la trasfigurazione creatrice di questa stessa realtà.”Questa è la grande rivoluzione in corso: ridisegnare l’essenza e l’autoconsapevolezza dell’uomo a questo livello di libertà e quindi di responsabilità.Qui ritroviamo i misteri cristo-logici della Nuova Umanità (libera, regale, profetica, e sacer-

continua nella pagina seguente

Il nulla che vedi è la sorgente del tuo significato

Foto

da

ww

w.li

mm

agin

efot

ocin

e.it

- 5 -

dotale) e della Nuova Alleanza tra Dio e Uomo, determinata dall’Incarnazione umana del Verbo stesso di Dio, e ritroviamo al contempo tutti i sogni migliori della modernità, le aspirazioni ad un Mondo Nuovo, ad una Scienza Nuova, ad una Tecnica Nuova, ad un uomo libero e fraterno, ad una società di uguali. Ma ritroviamo queste radici ad un livello assolutamente inedito, per cui sia il cristianesimo storico che le culture laiche della modernità vivono oggi, al di sotto di tutte le mascherate trionfalistiche, un processo sconvolgente di purifi-cazione e di ricominciamento.Rinnovare la cultura in ogni suo settore richiede perciò, a mio parere, di diventare coscienti di questo trapasso e di favorirne i processi dissolutivi-ricre-ativi. Molto infatti deve anche scomparire nella transizione in atto, e ce ne rendiamo piena-mente conto osservando in parti-colare i resti, i brandelli della nostra “civiltà letteraria”.“Infine se distruggi, fallo con attrezzi nuziali”, diceva Char. Distruggiamo cioè solo ciò che ostacoli la coniugazione in atto tra Dio e l’Uomo, e quindi tra di noi. E questi ostacoli sono innanzitutto interiori, psicologici e spirituali: sono le nostre paure ricorrenti, le nostre difese, le nostre arroganze, i nostri dubbi, i nostri riduzionismi e minima-

lismi, le nostre presunzioni e disperazioni, i nostri banalissimi sogni di “passare alla storia”. Il cristiano poeta del XXI secolo non vuole affatto passare alla storia, non gli interessano più i Sepolcri, vuole passare invece ogni volta di nuovo all’Eternità, all’esperienza dell’Eterno, già qui presente.Assolutamente niente di meno.Se vogliamo per davvero entrare attivamente nel processo in corso siamo chiamati perciò ad un lavoro continuo dentro la spelonca del nostro cuore, perché è lì che avviene il transito antro-pologico. Dobbiamo ogni giorno lasciar cadere le tante immagini mortificanti e limitanti di noi stessi e dell’essere poeti o qualsiasi altra cosa. Dobbiamo abbandonare l’estetica aristo-telica occidentale che relega la dimensione poetica al rango del verosimile, del soggettivo, dell’ar-bitrario in fondo, lasciando il territorio della verità alla scienza. Dobbiamo conquistare una sorta di semplicità folle, diventare puro silenzio, puro orecchio, flauti, canne vuote e risonanti, vele veloci al girare del Vento, varchi, ponti, pontefici del Nuovo che avanza, madri del nascente, e bimbi che succhiano il latte di una dolcezza infinita. E’ l’umiltà radicale, paradossalmente, quella che appunto non sa più nulla neppure di sé, se non ciò che oggi le viene detto e dato come pane quotidiano di sapienza, l’unica porta verso quella Nuova Regalità cui siamo chiamati.

segue dalla pagina precedente

[email protected]

È forte la preoccupazione per la degenerazione politica che il Paese sta conoscendo in questa stagione. Non lo diciamo per spirito di parte. I lettori delle nostre riviste sanno bene che non apparteniamo a nessuno schieramento politico e mai abbiamo tralasciato di rivolgere critiche, anche aspre e appas-sionate, alle diverse maggioranze che si sono alternate alla guida dell’Italia. Ci siamo sempre sforzati di confrontare decisioni, provvedimenti e scelte politiche con i valori su cui si fondano le nostre comunità, soprattutto alla luce dell’impatto che avrebbero avuto sulla vita della gente, dei poveri innan-zitutto. Se parliamo di degenerazione della politica è perché, con sempre maggiore frequenza, si determinano cambiamenti senza un confronto autenticamente democratico, senza la dovuta attenzione alle opinioni e al contributo di tutti. A cominciare dai diversi soggetti politici e sociali coinvolti nelle varie decisioni. Il parlamento è ormai svuotato delle sue funzioni: decreti e riforme passano senza confronto, senza un’approfondita e ampia discussione; questioni delicate e importanti sono, furtivamente, inseriti tra le pieghe delle leggi o assemblati in un unico provvedimento. In qualche caso, con la complice distrazione della stessa opposizione, com’è avvenuto per l’emenda-mento “salva manager”, smascherato grazie alla Gabanelli. Il cosiddetto “pacchetto sicurezza” è diventato il raccoglitore di leggi diver-sissime tra loro, che rischiano di incidere pesantemente su molti aspetti delle vita sociale. Guardato più da vicino, il “pacchetto Maroni” fa passare l’idea che gli immigrati siano solo un problema di sicurezza. E che clandestino è uguale a criminale. Cosa, questa, non solo anticostituzionale, ma immorale. Ci preoccupa, poi, il recente intervento di cinque senatori della Lega Nord per

cancellare l’articolo 5 del testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo 286 del 1998): “L’accesso alle strutture sanitarie (sia ospedaliere, sia territo-riali) da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”. L’emendamento leghista è in netto contrasto con la Dichiarazione Universale dei Diritti umani e con la Costituzione italiana che, con lungimiranza, all’articolo 32 prescrive: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Se venisse accolto, gli stranieri irregolari sarebbero scoraggiati a farsi curare. Che è come attentare alla loro stessa vita. Non solo i medici sarebbero costretti a violare il “giuramento di Ippocrate” e la loro deontologia, ma di fatto si emetterebbe una “condanna a morte” per tanti immigrati fuggiti dalla fame, dalla guerra e dalla disperazione, nella speranza di incontrare da noi accoglienza e vita. Memori del monito biblico: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Esodo 22,20), ci chiediamo perché, corti di memoria, ripetiamo ancora gli stessi errori? È per questo che abbiamo deciso di unire le nostre voci per affermare il diritto alla salute per gli immigrati, scongiurando il pericolo di privarli dell’accesso alle cure sanitarie e ospedaliere d’ogni tipo.. ..Cioè, i senza voce, i senza voto, i senza terra.

padre Alex Zanotelli e don Antonio Sciortino (Direttori di Mosaico di pace e di Famiglia Cristiana)

Dalla parte dei senza voceO

per

a gr

afic

a d

i Mat

tia R

ugge

ri d

i Mad

onna

con

bam

bin

o d

ell’E

rem

o d

i Ron

zano

- 6 -

ra un luogo paradisiaco. Stavo forse sognando o ero sotto l’effetto di qualche droga assunta involontariamente?

Camminavo lentamente in una specie di Giardino dell’Eden. Non c’era il peccato né alcuno dei suoi effetti: miseria, violenza, sporcizia o paura. Tutto assolutamente clean: la luminosità delle luci, la bellezza degli oggetti, la raffinatezza high-tech dei servizi. Mi sembravano tutti felici e tutti avevano un aspetto florido. Nessuno era scalzo, sdentato, buttato sui marciapiedi o con lo sguardo minaccioso. Mi sentivo totalmente sicuro in quella piramide dorata le cui gallerie mi conducevano in nicchie di splendore. A mia disposizione le più confortevoli calzature, vestiti di colori vivaci, cappotti di lana o di pelle, camicie e abiti ben tagliati, computer di ultima generazione, macchine digitali, cellulari multiuso... Nel piano superiore raffinati manica-retti importati, dai pantagruelici sandwiches fino ai dolci, senza che si respirasse il minimo odore di grasso o che ci fossero mendicanti, gatti o cani randagi a rovistare tra i rifiuti. Tutti i preziosi oggetti erano presentati da bellissime sacerdotesse, e la contem-

plazione di tale sofisticato mecca-nismo rapiva l’anima.Nel sottofondo una delicata musica che non aggrediva le orecchie e contri-buiva alla pace dello spirito. Non c’era traffico né il fumo asfissiante dei gas prodotti dai motori. Per i viali privi di rumori e magicamente illuminati, i visitatori camminavano senza fretta, conquistati dalle meraviglie che li circondavano. Potevano salire da un piano all’altro senza il minimo sforzo; bastava che mettessero i piedi su un tappeto che li portava su senza nessuna fatica. L’ambiente era pervaso da un soave odore; tutti sembravano molto felici, liberi dall’assillo dei bambini di strada, dalla vista di individui malmessi, dalla presenza intimidatoria dei veicoli della polizia. Si vedevano esposti numerosi talismani capaci di conferire valore a chi li indossava e suscitare l’invidia altrui. Bastava pagare per uno di essi per vedere consa-crata la felicità di diventare portatori di quelle preziosità, come se il genio fosse uscito dalla lampada di Aladino. Mi affascinava la creatività degli esseri umani, non tanto perché i prodotti fossero oggetti rari; al contrario, erano strumenti per scrivere, attrezzi sportivi, materiali da taglio e di preci-

sione ottica, un’infinità di flaconi che una volta aperti sprigionavano bellezza e fascino. La differenza stava nel design modernissimo, nella forma seducente, nella capacità di rendere sofisticati oggetti semplici come un cavatappi. Ero forse in un racconto di Borges? Stavo sognando o piuttosto ero io stesso il prodotto di un sogno? Lì era come se fosse sempre domenica, momento di ozio e di distrazione; ero affascinato da quello spazio ludico che mi permetteva di evadere dalla realtà e di credermi parte del club esclusivo dei destinati al nirvana.Non volevo svegliarmi, non volevo essere espulso dal paradiso e, come Lucifero, precipitare nella routine infernale del duro lavoro, della vita mediocre, del paesaggio incolore, dell’insicurezza delle strade e dell’at-mosfera inquinata e avvelenata dalla paura. Volevo rimanere per sempre lì, protetto nel ventre acrilico di quella immensa cattedrale popolata dagli idoli della mia devozione, oggetti di culto delle mie illimitate ambizioni. Là mi sentivo vicino al cielo, al mondo di quanti erano liberi dalla sofferenza, alla sfera dei prescelti dalla fortuna. Mi sentivo riscattato da questa povera umanità che ci priva dell’incanto,

della magia, dell’universo onirico dove spariscono tutti i dolori e le angosce. Là mi venivano incontro l’Olimpo e tutti i doni capaci di innalzare una persona al di sopra dei suoi simili.Tuttavia arrivò l’ora di chiudere le vetrine e abbassare le serrande. Fui avvertito dal vigilante che i negozi avrebbero chiuso entro cinque minuti.

Il tempio dei desideridi frei Betto

E

da “

Koi

noni

a” n

.9/2

008

Imm

agin

i da

arch

ivio

ww

w.s

ahar

awi.i

t 20

08

- 7 -

Breve storia dei frati Servi di Maria di Benassi, O’Dir, Faustini

Nell’anno 1233 ...n Lombardia, in Emilia, a Venezia ed anche nel regno di Sicilia e, in maniera diversa, in gran parte d’Italia, furono

promosse pie manifestazioni, talvolta non prive di colorazione politica, che miravano a combattere l’eresia ed a rinnovare i costumi. Qualche cronista del tempo e poste-riore chiamò quell’anno “allelu-iatico” o del “grande Alleluja” anche perché i predicatori dell’epoca, al termine delle loro esortazioni o delle lodi a Dio che invitavano a celebrare, ripetevano tre volte l’esclamazione Alleluja. Una tradizione consolidata fa risalire all’anno 1233 l’origine dell’Ordine dei Servi di Maria. A dare lustro a quella data all’interno dell’Ordine contribuì il fatto che uno dei suoi massimi santi, Filippo Benizi (m. 1285), era nato a Firenze proprio nell’anno 1233. I documenti disponibili, comunque, fissano nel decennio 1230-1240 l’origine dell’Ordine, nato dalla comune vocazione di sette uomini adulti, fiorentini. Si tratterà del primo - e sino ad oggi dell’unico - Ordine religioso maschile sorto nella Chiesa cattolica non ad opera di uno o due fondatori, bensì di un gruppo, i “sette Fondatori” che saranno canonizzati alla maniera di uno solo da Leone XIII nel 1888. L’origine dell’Ordine fu ampiamente narrata in un documento scritto quasi ottant’anni più tardi, e cioè nel 1317-1318 circa, e che porta il nome di Legenda de origine Ordinis fratrum Servorum Virginis Mariae (= Legenda sull’origine dell’Ordine dei Servi della Vergine Maria). Da notare che il termine Legenda non va inteso come di voluta narrazione immaginaria, bensì come di narra-zione degna di essere letta a edifica-zione spirituale.Tuttavia, poiché esistono anche documenti autentici e veritieri anteriori a questa Legenda, è possibile con l’una e con gli altri ripercorrere i momenti salienti dell’itinerario spirituale dei sette Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria e dell’origine dell’Ordine stesso. Apriamo una breve parentesi e guardiamo alla situazione politica, economica e religiosa di Firenze nella prima metà del Duecento.

Firenze nella prima metàdel DuecentoLa storia di Firenze dal 1200 al 1250 ci presenta una città che vede raddoppiata la sua popolazione urbana, passata da 40 a 80 mila abitanti.Viene costruita una seconda cinta di mura ed i “quartieri” si trasformano

chica) rivendicavano il diritto non solo all’esercizio della povertà indivi-duale, ma anche di quella collettiva. Nell’ambito dell’ortodossia cattolica si tengano presenti alcune date: nel 1206 Domenico di Caleruega, fondatore dei Domenicani, predica nel sud della Francia; nel 1208 Durando di Huesca, fondatore dei Poveri cattolici, si riconcilia con la Chiesa; nel 1209 Francesco d’Assisi comincia la sua predicazione itine-rante, impalmando quella povertà che - come dice Dante - “privata del primo marito / millecent’anni e più dispetta e scura / fino a costui si stette senza invito”. Nel 1211 Francesco è a Firenze. Nei decenni successivi Si costitui-scono gruppi laici che si qualificano soprattutto come “poveri”.Al momento dell’origine dell’Ordine dei Servi di Maria la presenza di movimenti religiosi a Firenze è intensa. “Terra di monaci, gode da lungo della presenza di quelli locali e stranieri, fautori a loro tempo di austera vita eremitica e di riforma: Camaldolesi, Vallombrosani,

Cluniacensi abitano tra le mura, mentre i Cistercensi verranno a stabilirsi a Badia a Settimo solo il 17 giugno 1236... Dei nuovi movimenti, gli Umiliati si fissano a San Donato a Torri solo nel 1239...; i Minori, dopo un primo contatto con la città nel 1209, prendono dimora presso l’ospedale di s. Gallo... nel 1218, passando nel 1228 a s. Croce; i Predicatori, giunti nel 1219, ricevono nel 1221... la chiesetta di s. Maria Novella; le Povere Dame sono a Monticelli dal 1218 e le Domenicane a s. Iacopo a Ripoli dal 1229. Il gruppo dei fratelli e sorelle della Penitenza di Firenze è... uno dei più importanti d’Italia. Tali movimenti servono da contro-proposta alla numerosa comunità di Patarini o Albigesi i quali, con a capo un vescovo, estendono la loro opera di propaganda in tutto il centro Italia: la loro opposizione alle gerarchie ecclesiastiche, la loro

in “sestieri”. Firenze batte moneta propria, prima la moneta di argento poi il finissimo fiorino d’oro a 24 carati - divenuto ben presto la più quotata moneta del grande commercio internazionale del tempo.Le guerre con Siena e Pisa, le scomu-niche che i papi scagliano contro l’imperatore e chi gli si accoda, la lotta agli eretici, non impediscono alla città del giglio di portare avanti un commercio sempre più fiorente.Le arti o corporazioni ufficiali superano la ventina: ci sono quelle maggiori dei giudici e notai, dei banchieri e venditori di stoffe, dei cambiavalute, della lana, di Por santa Maria (o della Seta), dei medici e degli speziali, dei pellicciai; ci sono le arti medie dei rigattieri, dei fabbri, dei macellai, dei calzolai, degli scalpellini; le arti minori dei negozianti di vino, degli alber-gatori, dei mercanti d’olio, di sale e formaggio, dei conciatori di pelli, dei costruttori di carrozze e di armi, dei lavoratori del rame, dei forgiatori di metalli vari, dei mercanti di legname, dei fornai e dei panettieri.La concorrenza tra corporazioni od arti affini era spietata; di qui la tendenza di ciascuna arte ad avere un determinato monopolio e ad evitane di avere magazzini in comune con altre corporazioni.Gelose dell’indipendenza di Firenze, ma soprattutto della propria, le arti o corporazioni maggiori - specie quelle dei banchieri e della lana - erano di tendenza guelfa. Senza dubbio, nella prima metà del Duecento, Firenze era città viva e vivace; lo scontro tra Federico II ed i papi, tuttavia, non si giocava sulla sua testa ed a leggere dei riflessi di questa lotta tra papato ed impero in Firenze, si direbbe che la città, nei suoi elementi di maggior spicco sapeva trarre vantaggio dalle alterne vicende. I più accorti, ed anche i più saggi, se stavano con il papa cercavano di non inimicarsi l’imperatore, e quando la scelta era inevitabile, poteva aver buon giuoco una rispettosa distanza da Firenze dei contendenti.Se non si tien conto di questo benessere di Firenze, non si capisce perché i molti fermenti religiosi che vanno affermandosi nella città in questo periodo, abbiano in comune un severo richiamo alla povertà, cioè a colei “che con Cristo pianse in su la Croce”. Infatti, sia i movimenti ereticali - contro i quali arrivano senza soste condanne e scomuniche - sia quelli che intendevano collocarsi sulla linea di fedeltà alla dottrina della Chiesa, avevano questo in comune: il richiamo alla penitenza nella povertà. I Valdesi, i Catari, i Patarini, gli Umiliati (questi, prima della loro riconciliazione con la Chiesa gerar-

I sette Fondatori dell’OrdineI

continua nella pagina seguente

da

Cal

end

ario

200

9 d

i Fio

renz

o G

obb

o: V

ince

nzo

Gal

lop

pi,

I Set

te S

anti

Fond

ator

i, S

canz

ano

(Na)

- 8 -

svalutazione del posto occupato nell’opera di salvezza dall’umanità di Cristo e dalla maternità divina della Vergine, spingono i gruppi laici ortodossi fiorentini a dichiara-tamente sostenere questi aspetti” (F. A. Dal Pino).

L’avvio a Cafaggio e ilritiro a Monte SenarioDel periodo domestico e civile dei sette Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, la Legenda de origine ricorda soprattutto quelle doti morali e spirituali, che il documento considera come predisposizioni alla futura scelta religiosa. La loro decisione di abbandonane famiglia, attività, professione e di ritiransi a vita comune in penitenza, povertà e preghiera viene dalla tradizione datata al giorno 15 agosto 1233.

Certamente il luogo del loro primo ritiro fu Cafaggio, subito oltre le mura di Firenze, oltre la Porta di Balla. Cafaggio sorgeva dove attual-mente si trova uno dei più presti-giosi conventi dell’Ordine, quello della ss.ma Annunziata.Il ritiro dei Sette dalla vita pubblica e la loro radicale opzione religiosa, suscitò scalpore, tanto che al nuovo romitorio aff luivano visitatori e seguaci. I Sette (conosciamo con certezza soltanto il nome di due di loro, Bonfiglio e Alessio, ma sono correnti anche se incerti, i nomi dei rimanenti, e cioè Amadio, Bonagiunta, Manetto, Sostegno e Uguccione), appoggiati dal vescovo di Firenze Ardingo e desiderosi di meditare più a fondo sulla loro scelta di vita, si ritirano nella solitudine di Monte Senario, una cima a 800 metri s.1.m., a 18 chilometri da Firenze. Non si può escludere che a consigliare il ritiro sul monte fosse il momento critico a Firenze per i guelfi. Comunque il trasferi-

mento dei Sette a Monte Senario va collocato intorno al 1245, quasi nel periodo in cui a Firenze svolgeva la sua missione il domenicano s. Pietro da Verona, strenuo difensore dei diritti del papa, estimatore dei Sette e sinceramente devoto della Vergine. La tesi sostenuta dallo storico di Firenze R. Davidsohn, secondo il quale i fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria sarebbero stati faziosi sostenitori di una politica inquisito-riale repressiva di Pietro da Verona, non è suffragata da alcuna prova.Dal momento del loro ritiro a Monte Senario, il convento omonimo rimarrà nell’Ordine dei Servi di Maria un punto di riferimento essen-ziale; tanto che anche oggi Monte Senario viene considerato da tutti i membri dell’Ordine il simbolo ed il richiamo concreto delle origini. Qui sono conservate anche le reliquie dei sette Fondatori. L’asperità del luogo, appena attenuata dalle migliorate vie di accesso, sembra richiamare l’essenziale esigenza della fedeltà

alle origini.

Da monte Senarioverso il mondoAlcuni documenti inequivocabile degli anni 1249-1251 pervenuti sino a noi aiutano a tracciare un primo quadro della vita iniziale dell’Ordine. Trascriviamo la concisa sintesi del Dal Pino: “La comunità cui si rivolge (nel 1249), con il primo atto conosciuto ad essa relativo, il cardinal legato di Innocenzo IV, Ranieri Capocci, del titolo di s. Maria in Cosmedin, appare già costituita da priore e frati stanziati presso una chiesa dedicata alla Vergine, sul Monte Senario, e comunemente chiamati “Servi di s. Maria”. Il cardinale la prende sotto la protezione della Sede apostolica, conferma la concessione già ad essa fatta dal vescovo diocesano Ardingo di osservare la Regola di s. Agostino e costituzioni confacenti, le permette di accogliere, quali nuovi membri, persone libere prove-nienti dal secolo e di ritenere quelle già ricevute, concede che chiunque abbia fatto in essa professione non possa trasferirsi altrove se non per abbracciare un genere di vita più austero e con lettere testimoniali del priore. Il18 febbraio dell’anno Seguente il card. Pietro, del titolo di s. Giorgio in Velabro, successore nella legazione, concede al priore e frati sacerdoti del Monte di assolvere dalla scomunica, incorsa per avere aderito a Federico II, i laici che volessero professare la loro regola di vita; con altra lettera dello stesso giorno, inviata al vescovo di Siena Bonfiglio, gli chiede di concedere agli stessi Servi della beata Maria la licenza e la prima pietra per costruire “de novo”, su fondo proprio, una chiesa fuori Firenze. Il vescovo esegue il mandato scrivendo in data 17 marzo, a “fra Bonfiglio, priore del predetto luogo di Monte Senario”. L’acquisto del terreno per la costruzione di detta chiesa avviene in Cafaggio, presso Firenze, il 10 luglio di quell’anno, ad opera di Enrico di Baldovino; le formalità dell’atto di acquisto dimostrano la volontà di Bonfiglio e compagni di attenersi ad uno stretto regime di povertà anche comunitaria. Tale impegno di povertà, evidente anche in altre donazioni di terreni e case di quegli stessi anni, è ratificato con un atto a carattere capitolare - il primo giunto fino a noi - emesso il 7 ottobre 1251 - nel quale sono esplici-tamente nominati, dopo fra Figliolo o Bonfiglio, priore del Monte, altri diciannove frati, primo dei quali fra Alessio”. Questo “atto di povertà”, per il rigore che lo distingue, conferma che questa prima comunità dell’Ordine aveva una chiara impronta di vita fraterna e, per il luogo scelto (Monte Senario), un indirizzo eremitico-

segue dalla pagina precedente

continua nella pagina seguente

Breve storia dei frati Servi di Maria

da

Cal

end

ario

200

9 d

i Fio

renz

o G

obb

o: C

arlo

Mar

atta

, M

adon

na d

ella

Res

urre

zion

e, S

enig

allia

, C

hies

a d

i S.M

artin

o

- 9 -

segue dalla pagina precedente

contemplativo o, se si vuole, monastico.L’approvazione pontificia indiretta contenuta nelle ricordate lettere dei due cardinali, sarà confermata da papa Alessandro IV il 23 marzo del 1256 con la bolla Deo grata.Sembra chiaro, tuttavia, che il favore incontrato dai primi Servi di Maria presso i cardinali legati di Innocenzo IV nella lotta contro Federico II, fosse motivato e dalla loro totale ortodossia e da un certo allineamento sulle posizioni della s. Sede in materia politica. In altre parole, o per estrazione sociale e politica o per collocazione contin-gente, la prima comunità dei Servi si muoveva in campo guelfo. Sono certamente anteriori al 1236 i conventi di Siena, di Città di Castello, di Sansepolcro, oltre che di Firenze (Cafaggio) e di Monte Senario.

Il generalato di San Filippo BeniziNonostante il promettente avvio ed il Sostegno ricevuto da Pietro da Verona, i Servi incontrano tali diffi-coltà che sembra compromessa la loro stessa sopravvivenza. Protagonista del periodo più burra-scoso dell’Ordine dei Servi alle sue origini fu s. Filippo Benizi da Firenze, entrato nell’Ordine una ventina d’anni dopo la scelta compiuta dai sette Fondatori e morto nel 1285, probabilmente prima di quasi tutti i Sette.Ma per capire questa vicenda occorre avere presenti due estremi cronologici importanti: l’anno 1215 e l’anno 1274. Nel 1215, sotto il pontificato di Innocenzo III, era stato celebrato il Concilio Lateranense IV. Nel 1274, sotto il pontificato di Gregorio X, viene celebrato il Concilio Lionese II.Entro questi due estremi crono-logici sorgono anche Domenicani e Minori Francescani. Perché questi due Concili sono tanto importanti per la storia dell’Ordine? E presto detto.Tra gli aspetti del Concilio Lateranense IV (1215), oltre quello preminente della lotta all’eresia, era anche la preoccupa-zione di mettere ordine tra i molti movimenti religiosi che pullulavano un po’ ovunque nella Chiesa. La politica unificatrice di Innocenzo III non poteva tollerare che alla curia romana sfuggisse il controllo di questi movimenti. Orbene, il canone, ossia la disposizione numero tredici del Concilio Lateranense IV, stabiliva perentoriamente che chiunque, singolo o gruppo, inten-desse darsi alla vita religiosa, dovesse scegliere una forma già esistente ed approvata dall’autorità ecclesiastica; se poi qualcuno, singolo o gruppo, intendeva veramente costituire una “nuova” forma di vita religiosa,

allora avrebbe dovuto adottare una “Regola” tra quelle già esistenti ed approvate dalla Chiesa, vale a dire, la Regola di s. Agostino o di s. Benedetto per l’Occidente o la Regola di s. Basilio per l’Oriente. Questo, naturalmente, non signi-ficava subordinazione di un eventuale nuovo istituto religioso ad uno già esistente, ma senza dubbio rendeva assai difficile introdurre nella Chiesa nuovi Ordini religiosi. Infatti ogni loro eventuale aspetto caratterizzante doveva considerarsi una novitas e quindi un motivo per non essere riconosciuto ed approvato dalla Chiesa.Ciò nonostante, dopo il Concilio Lateranense IV, sorsero ugualmente nuovi movimenti religiosi, anche se la maggior parte cercavano di cautelarsi assumendo la Regola di s. Agostino o di s. Benedetto.

Come si è detto, non mancarono sin dai primi anni al nuovo Ordine religioso l’approvazione dell’au-torità ecclesiastica locale ed anche la protezione esplicita della curia romana. Ma se l’ufficio papale è unico ed immutabile, i papi però cambiano.Ecco quindi che il Concilio Lionese II, con papa Gregorio X, rispolvera il canone tredici del Concilio Lateranense IV e con maggiore perentorietà e severità - dopo aver preso atto che la disposizione del Lateranense IV era stata disattesa al punto che si era assistito ad uno “sfrenato” moltiplicarsi di Istituti religiosi - stabilisce non solo che è proibita la costituzione di nuovi Ordini religiosi mendicanti, ma che quelli sorti dopo il 1215 non potranno più accettare adepti

e perciò dovranno scomparire di morte naturale. Il che - nella disposizione conciliare - vale per quegli Ordini mendicanti sorti dopo il 1215 i quali, pur avendo ricevuto l’approvazione della s. Sede, professano una povertà totale e vivono basandosi esclusivamente sulla incerta mendicitas, cioè sui frutti incerti di elemosine.Era il caso dei Servi di Maria i quali, stante il ricordato atto di povertà del 1251, avevano appunto rinunciato a qualsiasi provento ed al possesso di beni mobili ed immobili. Questa volta le cose andarono peggio di quanto fosse avvenuto dopo il Concilio Lateranense IV. Va detto tuttavia che la disposizione conci-liare prevedeva numerose eccezioni. Sebbene infatti la qualifica di “Mendicanti” adoperata dal Concilio di Lione includesse anche

i Domenicani ed i Francescani, questi erano espressamente esclusi dalla disposizione restrittiva del Concilio. E poiché il Concilio non faceva tutti i nomi e molti degli Ordini mendicanti appena sorti avevano in sede conciliare potenti protettori, più di un Ordine teori-camente condannato all’estinzione, riuscì a salvarsi.I cronisti del tempo, elencando gli Ordini soppressi, nominano qualche volta anche i Servi di Maria. Un fatto comunque è certo: i Servi di Maria entrarono da quel momento nella prima e più cruciale fase della loro Storia e, umanamente parlando, riuscirono a salvarsi solo per l’energia, l’abilità ed il coraggio del loro priore generale, che era appunto s. Filippo Benizi da Firenze.Filippo era nato a Firenze, nel

sestiere d’Oltrarno, nel 1233, da Giacomo Benizi e Albaverde. La Legenda de origine, della quale si e parlato, e la Legenda beati Philippi, di cui si dirà, illustrano ampiamente la biografia di Filippo. Su questi due documenti, soprattutto, basiamo la nostra breve ricostruzione del fatti.Il giovedì dopo Pasqua dell’anno 1254, trovandosi nella chiesa del Servi a Cafaggio, Filippo ebbe la misteriosa ma chiara chiamata a farsi religioso, entrando fra di loro il 18 aprile dello stesso anno. La tradizione riferisce che pochi giorni dopo aver vestito l’abito religioso dei Servi, Filippo chiese a fra Bonfiglio di potersi ritirare sul Monte Senario. Qui si può ancora oggi visitare la “grotta di s. Filippo” sul pendio orientale della cima: vicino sgorga l’acqua che da secoli è indicata come fontana di s. Filippo. Nascondendo la propria istruzione, Filippo aveva chiesto di entrare nell’Ordine come fratello laico. E tale rimase per quattro anni, sino a quando una circostanza imprevista lo costrinse a svelare la sua notevole preparazione culturale. Filippo Benizi sarebbe stato ordinato sacerdote negli anni 1258-1259 e una pia tradizione vuole che egli celebrasse la prima messa nella cappella dell’Apparizione a Monte Senario. Nove anni più tardi fu eletto priore generale dell’Ordine, a soli 34 anni. Filippo Benizi, dunque, viene eletto priore generale nel 1267. Sette anni dopo eccolo di fronte alla situazione creata dalla disposizione riduttiva del Concilio Lionese II. Sorti dopo il 1215, i Servi di Maria si trovavano di fronte ad un bivio che il Dal Pino formula in questi termini: “o riconoscersi nella definizione di Ordine mendicante offerta dal Concilio e accettare, come i frati della Penitenza di Gesù Cristo e i loro omonimi di Marsiglia, di esaurirsi lentamente, o sostenere che, di fatto, sia giuridicamente che praticamente, non erano allora (facendo astrazione dalle origini) da annoverare tra i Mendicanti, passando in tal modo ad essere equiparati a quegli Ordini che, sorti dopo il Lateranense IV, dotati di una regola canonica, non Mendicanti e approvati dalla s. Sede, avevano diritto di sopravvivere”. Filippo scelse la seconda ipotesi. C’è chi ha parlato di “svolta storica” impressa all’Ordine dal suo priore generale. In realtà, Filippo proseguì e consolidò un orientamento già assunto dall’Ordine sin dal capitolo generale del 1257.Per la verità, a qualificare i Servi di Maria come Mendicanti stava l’ “atto di povertà” del 1251; stavano anche le lettere dei papi Innocenzo IV e Alessandro IV, che avevano approvato tale atto e stavano, infine, alcuni acquisti di terreni che i Servi di Maria richiamandosi al suddetto

continua nella pagina seguente

MBreve storia dei frati Servi di Maria

da

Cal

end

ario

200

9 d

i Fio

renz

o G

obb

o: S

icio

lant

e G

irola

mo

da

Ser

mon

eta,

Mad

onna

con

il B

amb

ino

fra

i San

ti G

iova

nnin

o, P

ietr

o e

Pao

lo,

Per

ugia

- 10 -

atto di povertà - avevano acquistato o accettato non per sé ma per santa romana Chiesa.A sostegno, invece, della tesi opposta - che rappresentava la sola áncora di salvezza per i Servi di Maria - il loro priore generale poteva far notare che, a partire dal 1257, e con richiesta del capitolo generale, all’originario atto di povertà erano state fatte notevoli eccezioni, con tutti i dovuti permessi; inoltre l’Ordine aveva adottato sin dall’inizio la Regola di s. Agostino e nella sua legislazione - forse accortamente e tempestiva-mente riveduta - non v’era nulla che s’opponesse al possesso di beni.Provvidenza volle che ad assumere questo atteggiamento non scevro da calcolo e costretto a farsi strada attraverso qualche compromesso, fosse chiamato Filippo, cioè un santo. E infatti molto meno tragico che a difendere posizioni non giuste siano uomini giusti, di quanto non sia temibile che a difendere posizioni giuste siano chiamati uomini iniqui.Eletto a ricoprire un ufficio non ambito, Filippo lo adempie con la coerenza, l’integrità e il disinteresse dei santi.La politica, o meglio, l’azione svolta da Filippo Benizi dopo la dispo-sizione conciliare che sopprimeva gli Ordini mendicanti sorti negli ultimi sessant’anni, si ispirò al saggio criterio dei piccoli passi. Intuì che il tempo avrebbe lavorato a favore dei Servi, per quel giuoco degli impre-visti che spesso decide delle sorti della storia. Uno storico servita del

secolo XVI assicura che Filippo, prima di decidere la linea da seguire nella spinosa vicenda della soprav-vivenza dell’Ordine, avrebbe riunito segretamente a Monte Senario i priori e gli esponenti dell’Ordine per concordare un’azione comune. E per la circostanza sarebbe stata decretata la recita di una serie di preghiere alla Vergine, alla quale l’Ordine è rimasto fedele sino ad oggi: serie chiamata in italiano “Benedetta”, poiché si apriva con l’equivalente termine latino. Trattandosi poi di una vertenza in gran parte giuridica, Filippo si vide costretto a ricorrere ai luminari del foro; a quegli avvocati della curia romana, per pagare i quali non esitò ad elemosinare il danaro presso i diversi conventi dell’Ordine. Questi, nel frattempo, si adope-ravano per ottenere donazioni, che consentissero di dimostrare che non erano dei “mendicanti”. Lo stesso pontefice Giovanni XXI, nell’aprile del 1277, ratificava una consistente donazione di terre fatta dal conte Enrico di Regenstein al convento del Servi di s. Maria del Paradiso, nella diocesi tedesca di Halberstadt.Si tenga inoltre presente che, tra i cardinali del sacro Collegio, non mancavano quelli legati da sincera amicizia ai Servi come, ad esempio, Ottobono Fieschi, che divenne papa Adriano V, anche se la morte lo colse prima ancora dell’incoronazione.Secondo la Legenda de origine ed altre fonti autorevoli, l’azione di Filippo Benizi per la sopravvi-venza dell’Ordine si valse anche di iniziative che potremmo chiamare indirette: fu uomo di pace a Firenze ed a Forlì, meritando l’apprezza-

mento dei legati del papa i quali - è da pensare - non potevano dimen-ticare queste benemerenze. La missione forlivese ebbe un risvolto memorabile. Filippo si recò al convento di Forlì nel periodo in cui la città romagnola era colpita dall’interdetto di Martino IV (26 marzo 1282 - 1 settembre 1283). Predicando alla cittadinanza, Filippo l’invitò a ritornare sotto l’obbedienza al papa. Non tutti però ascoltarono l’invito; un gruppo di animosi mise in mezzo, come suol dirsi, il Santo, lo percosse e lo costrinse a lasciare la città. Tra questi esaltati era il giovane Pellegrino Laziosi, che si pentì presto della bravata fino a chiedere di entrare nell’Ordine del Servi, per diventare poi il patrono molto amato ancor oggi della città di Forlì. Il convento che attualmente ne porta il nome nella città romagnola e ne conserva le reliquie è un gioiello di memorie, soprattutto dopo i recenti ed atten-tissimi restauri. La situazione di incertezza andava risolvendosi molto lentamente e Filippo era costretto a frequenti viaggi a Roma. Durante uno di questi viaggi, mentre si trovava nel poverissimo convento di Todi per una breve sosta, morì a soli 52 anni “la sera del mercoledì 22 agosto 1285”. Per difendere il diritto dell’Ordine a sopravvivere Filippo era stato costretto ad accentuare, o almeno a sottolineare la corre-zione, in qualche modo già in atto, dell’impegno iniziale di povertà collettiva dei Servi. Era venuto a morire nel più povero dei conventi dell’Ordine.La ricchissima iconografia di Filippo Benizi lo mostra abitual-mente con un libro in mano: il simbolo è per sé generico e poliva-lente. Una devota tradizione, affer-matasi nel Cinquecento, narra che Filippo, morendo, avrebbe chiesto ripetutamente il “suo” Libro, cioè il Crocifisso. Il seme gettato da Filippo per salvare l’Ordine dalla condanna a morte

decretata dal Concilio Lionese II, fruttificò sotto il suo successore Lotaringo da Firenze. Ed infatti, ad un solo anno dalla morte di Filippo, cominciò una nuova serie di “pareri” favorevoli degli avvocati della curia romana, che contribui-ranno a sbloccare definitivamente la situazione, portando l’Ordine in zona di sicurezza ed avviandolo ormai, senza ulteriori seri intralci, verso la sua definitiva approvazione da parte della s. Sede.Questa lunga e laboriosa contro-versia aveva avuto certamente un suo prezzo. Come si è detto, l’ “atto di povertà” del 1251 era stato incorporato nella bolla che papa Alessandro IV aveva destinato all’Ordine nel 1256. Ebbene, nei riconoscimenti ottenuti dalla s. Sede nel periodo compreso tra 1 1274 ed il 1304 non si fa mai menzione di quell’atto di povertà. Questo obbligato silenzio - come ha rilevato Aristide M. Serra OSM, nella sua biografia di s. Filippo - fa “pensare che Filippo sia intervenuto anche per una modifica costituzionale sulla povertà primitiva”.Diligenti ricerche su alcuni dei più antichi conventi dell’Ordine confermano, che anche nel periodo compreso tra il Concilio Lionese II ed il 1304, le comunità dei Servi continuavano a vivere nella povertà, anche se non tutte e in maniera non eguale. Alcune contraddizioni latenti scoppiarono 1’ indomani dall’ approvazione definitiva dell’Ordine quando, superato il rischio dell’estinzione, 1’Ordine affrontò il problema perenne dello sviluppo e dell’adeguamento ai tempi e, nel contempo, della fedeltà alle origini. Nel 1304, infatti, viveva ancora uno dei Fondatori dell’Ordine, Alessio Falconieri, che si sarebbe spento nel 1310.In poco più di mezzo secolo, dunque, l’Ordine aveva conosciuto alterne vicende, rese inevitabili dal passaggio ad organizzazione istitu-zionalizzata.

Breve storia dei frati Servi di Maria

www.servidimaria.org

segue dalla pagina precedente

da

Cal

end

ario

200

9 d

i Fio

renz

o G

obb

o: N

ino

da

Fies

ole,

Mad

onna

con

Bam

bin

o, M

onte

sena

rio (F

I)

da

Cal

end

ario

200

9 d

i Fio

renz

o G

obb

o: G

iova

nni A

ngel

o Lo

ttin

i, La

Pie

tà,

Mon

tese

nario

(FI)

- 11 -

La crisi finanziaria e la Chiesaiamo per assunto che è rischioso affermare che il papa, i cardinali e i vescovi, così come sono, non abbiano detto nulla riguardo un tema di cui il mondo intero parla

con preoccupazione e angoscia. Senza dubbio il papa e i vescovi ne hanno parlato. Ma il fatto è che l’opinione pubblica conosce perfettamente la posizione della gerar-chia riguardo l’aborto, l’eutanasia, il divorzio, l’omosessualità, l’uso dei contraccettivi, la scel-ta dell’istruzione per i cittadini, ecc., mentre la gente non ha idea di ciò che pensino i vescovi rispetto alla crisi del sistema finanziario, la crisi delle banche, l’impennata dei prezzi, la disoccupazione, lo smaltimento dei rifiuti, la sete di potere che, secondo il Commissario degli Affari Economici della Unione Europea, Joaquìn Almunia, è alla radice di questa crisi, assai profonda, oscura e di estrema gravità.E’ vero che le questioni di ordine economico presuppongono conoscenze tecniche, che non sono alla portata di tutti, né tanto meno dei vescovi che si suppone abbiano ricevuto la necessaria formazione e preparazione ad infor-mare, come pastori, i fedeli su ciò che devono pensare in relazione alle proprie scelte di vita e di coscienza. Siamo d’accordo sul fatto che siano gli economisti a parlare di economia. Ma, se questo criterio è corretto, saranno i biologi a parlare di biologia.

Perché allora i vescovi si esprimono con tanta sicurezza su questioni come le cellule staminali, il termine della vita, gli esperimenti scientifici su embrioni e sulla fecondazione in vitro, se la maggior parte dei prelati si intende di biologia meno di quanto non si intenda di economia ? Sinceramente, temo che il silenzio dei vescovi sui temi economici non sia dovuto a semplice ignoranza, ma ad altre oscure motivazioni. Perché affermo questo ?Pochi giorni fa, il presidente del Parlamento Europeo ha dichiarato senza giri di parole: «Non si possono dare 700.000 milioni (di dollari) alle banche e dimenticarsi dell’uomo».Perché questa somma così grande di denaro viene riservata ai ricchi affinché si sentano più sicuri e tranquilli nella loro condizione privi-legiata, mentre, come ben sappiamo, abbiamo ancora 800 milioni di esseri umani che vivono con meno di un dollaro al giorno, che quindi vivono in condizioni disumane con limitate prospettive di vita. Ebbene, lo scandalo è che i politici denunciano l’atrocità di una “econo-mia canaglia” (Loretta Napoleoni), proprio quando coloro che si ritengono i rappresentan-ti ufficiali di Cristo in terra non alzano la voce contro una vergogna simile. E’ scontato che io non abbia le soluzioni necessarie per questa situazione critica che stiamo vivendo, e non sia preparato a fornirne di adeguate.

L’unica cosa che posso (e devo) dire è che nella Chiesa abbondano i funzionari e scar-seggiano i profeti. Ho l’impressione che, in questo momento, per uscire dal ginepraio in cui siamo finiti, ancor più importante della conoscenza degli economisti, sia l’audacia dei profeti, capaci di informare sull’origine della cupidigia che, come ho già detto, è alla radice del disastro che stiamo subendo.Tutti sappiamo che la Chiesa denuncia l’in-giustizia. Il problema è che utilizza un linguaggio troppo generico, come quello del presidente Bush, quando auspica una giustizia duratura. Nessuno dubita delle buone intenzioni del papa. E neanche della sua grande personalità e del suo prestigio mondiale. Ma la questione è che il papa è il capo supremo di una istituzione presente nel mondo intero e si sforza di mantenere le migliori relazioni possibili con i responsabili dell’economia e della politica di ciascun paese. Ebbene, dal momento in cui la Chiesa ha adottato questo approccio, è impossibile per lei esercitare quel-la missione profetica a difesa dei poveri e delle persone maltrattate dalla vita e dai poteri di questo mondo. Chiunque legga con attenzio-ne i vangeli sa che Gesù, davanti alle autorità e ai ricchi del suo tempo, non si comportò mai come le gerarchie ecclesiastiche si stanno comportando oggi rispetto a questa economia

canaglia che sta rovinando il mondo.E’ evidente che le preoccupazioni di Gesù era-no molto diverse da quelle della Chiesa di oggi. Si deve verificare una catastrofe economica come quella che stiamo vivendo, perché ci rendiamo conto di quali siano i reali interessi degli ‘uomini della religione’. Essi dovrebbero utilizzare il linguaggio della giustizia e della solidarietà, che è quello appro-priato per i nostri tempi, ma non alzano la voce quando temono che gli interessi della religione possano essere messi in pericolo. Questo è quanto, la conclusione è chiara: l’istituzione religiosa è più preoccupata di assicurare la stabilità e il buon funzionamento della religione, che perdere la faccia (con tutto ciò che comporta) per coloro che se la passano peggio. E se questa è la conclusione logica, il risultato è evidente: i ricchi si sentono sicuri, i poveri rimangono immersi nella loro miseria, e la religione, con i suoi templi e i suoi funzionari, mantiene il suo corso, nonostante essa stia diventando ogni giorno più vecchia e senza forze.” *José M. Castillo, già docente alla Facoltà di Teologia di Granada e professore invitato all’Università Gregoriana di Roma e all’Univer-sità Pontificia Comillas di Madrid, è professore all’Università Centroamericana di El Salvador.

di José Maria Castillo*, teologo spagnolo

“D

- 12 -

supera ogni comando che riceviamo da qualunque autorità umana. E questa novità non è un lusso, un privilegio ma è la scoperta della dimensione della nostra esistenza che viene chiamata a quello sviluppo e a quella pienezza che molti rifiutano lasciandola nel suo stato embrionale.Nel nostro presente in cui l’indice di crescita sembra solo da ricercarsi nella tecnica e nella concentrazione del denaro necessario per mantenere efficiente il mercato della morte, le armi le droghe, e affini appare all’orizzonte una tenue luce che pare annunziare un’aurora. Da un

ambiente Junghiano mi giunge una richiesta: che è per te l’anima? Puoi parlarci dell’anima? La domanda, di cui conosco il luogo di origine, so che non mi viene da una persona in crisi, ma da un indirizzo del pensiero occidentale che dallo spazio della metafisica si è trasferito nella prossimità dell’esistenza umana. Qual è il significato dell’esistenza? Maria Zambiano ci parla di un rinascere che significa finalmente un trascendersi. Oggi la domanda parte dalla stazione di arrivo

dell’esploratore della psiche, Freud. L’esistenza umana pare destinata ad essere trascinata dalle pulsioni che costituiscono la stessa struttura della psiche, e sono pulsioni di morte; ma Freud lascia una domanda: ci dobbiamo rassegnare a questa condizione umana considerandola immutabile? Lo psicanalista suppone che ci sia altro; e qualcuno trova la dimensione inesplorata dell’anima. È vero che la religione cristiana ha usato e abusato di questa parola; ma in un certo senso pur parlandone ampiamente, l’ha collocata fuori e lontana dall’esistenza. Santa o

dannata, salvata o perduta, resta nello spazio dell’aldilà, del visibile: è nelle mani di Dio. Non è oggetto di scienza, mentre lo è la psiche, soprattutto per il suo altissimo potere distruttivo: quella che ha la capacità di trasformare l’amore in odio, di produrre una energia che si chiama concupiscenza, creatrice di voglie che deviano la cosiddetta anima dal cammino scelto. Persino il gigante Paolo, così sicuro nel percorrere la sua strada, sente di traballare quando il vento della concupiscenza

lo avvolge. L’anima e la psiche sono invisibili; ma la psiche ha scatenato degli uragani così travolgenti e distruttivi che era impossibile per l’uomo di pensiero non occuparsene. Unde malum? s’interroga il nostro Cacciari. L’anima così pia, così devota, così umile e silenziosa, sembra rincattucciata in un angolo silenzioso dei templi, non disturba, lasciamola ai preti e ai teologi. Oggi sembra possibile tirarla fuori dagli spazi devozionali per farne oggetto di studio per i pensatori. Al di sopra o accanto alla psiche, inquieta e inquietante c’è l’anima. Alla risposta che è l’anima, non saprei rispondere, del resto tutta la letteratura psica-nalitica freudiana o Junghiana non parte dalla domanda che è la psiche?, ma scopre le pulsioni che sono le energie, le forze che trascinano la vita dell’essere umano a delle scelte deter-minate. E Paolo ci parla dell’anima come l’energia positiva dell’esi-stenza. Il capitolo 8 della lettera ai romani è la grande scoperta di quella energia che può veramente cambiare il mondo. Nell’uomo non ci sono solo le pulsioni; c’è un’altra sorgente energetica non distruttrice delle pulsioni; ma capace di assogget-tarle al servizio della energia positiva.Tutti quelli che sono guidati dallo spirito di Dio, costoro sono figli di Dio il verbo “agontai” greco vuol dire trascinati. E da questo punto di partenza Paolo vede questa energia che cala dalla sua sorgente nell’uomo e nel cosmo. La creazione stessa attende con impazienza la rivela-zione dei figli di Dio, essa infatti è sottomessa alla caducità… e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione… sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi le sofferenze del parto, essa non è la sola ma anche noi che possediamo le primizie dello spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli… Colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello spirito (Romani 8). Questa visione dinamica, questo movimento doloroso verso la libera-zione interiore, la liberazione dalle voglie, dalle pulsioni, da tutto ciò che è negativo, può fare di noi un’esi-stenza felice e strumento di pace. Forse dobbiamo attendere ancora che le energie pulsionali producano ancora morte nella natura e nelle esistenze umane. Deve forse apparire con maggior chiarezza che la non resistenza alle pulsioni della psiche non hanno portato solo omicidi, suicidi o depressioni, atti di autovio-

aria Zambrano la spagnola che visse più della metà della sua vita in esilio, definisce l’esistenza come una nascita.

Vi sono nascite precedute dalla morte e nascite non vere e proprie, che si potrebbero definire passaggi a conoscenze o esperienze nuove, approfondimenti di situazioni che fanno dell’esistenza un cammino. Il vangelo ci ha trasmesso il senso dell’esistenza come un rinascere. Nicodemo va di notte a trovare Gesù cercando una proposta che lo liberasse dalla fissità, dallo stesso, dalla dipendenza dalla legge. Forse ha colto la novità di questo nuovo predicatore e vorrebbe saperne di più. E Gesù risponde con una proposta enigmatica: rinascere. Ripenso oggi ad un avvenimento della pensatrice spagnola molto simile a quello che io ho vissuto: seguendo un percorso hegeliano vidi con chiarezza che il pensiero si allontanava staccandosi dall’esistenza, e l’esistenza restava al buio. E questa crisi rappresentò anche per me una morte ed una rinascita: vidi chiaro che dovevo assumere la responsabilità di gestire la mia esistenza. E di lì si snodarono vari eventi, ben conosciuti, che mi portarono al deserto. E nel deserto entrai in uno spazio di tempo che può essere detto molto semplice-mente usando l’espressione popolare: una cosa è parlar di morte e altra è morire. Ma da questa avvenne la vera rinascita caratterizzata soprat-tutto da una esperienza che noi non possiamo amare Dio, possiamo solo accogliere l’amore dalla sua pienezza e con questo innervare la nostra vita rendendola altra.Dalla mia esperienza ho tratto con molta chiarezza che la conversione non è un fatto della mente ma del cuore: è entrare in un’altra forma di vivere. La nascita avvenne nella marcia di oltre seicento chilometri nel deserto per giungere a Beni Abbès dove Charles de Foucauld cominciò l’ultima tappa della sua vita come nomade, e i suoi diari ci narrano le vicende dure e difficili e insieme illuminate da squarci di luce di questo lungo viaggio che terminò con la immolazione della sua vita. Parlando di questa vita che noi suoi discepoli ci proponiamo di seguire viene opportuno parlare di trascen-denza. Questa parola che nasconde un senso assai semplice che vuol dire passare oltre, uscire in qualche modo dall’esistenza abituale per accogliere un progetto di vita nuova. Questa nuova forma di vivere non avviene come un processo naturale della nostra esistenza; si tratta di una svolta reale che ci viene dall’alto. E questo alto diventa chiaro e da la forza che

il deserto e l’animadi Arturo Paoli

continua nella pagina seguente

M

da “

Ret

e R

adie

’ Res

ch”

72/2

008

da

Dig

ital P

aint

ing,

Tro

tsky

Mar

udu.

- 13 -

duazioni condensanti (risalirà) a quel flusso primordiale che globalmente attraverso attualizzazioni e disatt-tualizzazioni incessanti continua nel suo corso a riattivare beneficamente la vita. A reincitare la mia vita. Con l’anima è tutto un altro destino del pensiero ad aprirsi: senza un’anima costituita come partner dell’invi-sibile non avremmo infatti potuto concepire una relazione di intimità e di preghiera dell’uomo con Dio; e poi, senza un’anima che raccolga in se tutto il sentire per rendere grazie a esso verso l’infinito, non avremmo potuto innalzare l’amore ad assoluto dell’avventura umana.Questo pensiero su cui si ferma a lungo questo filosofo presentato come uno dei maggiori protago-nisti sulla scena filosofica europea, sarebbe stato solo cinquant’anni fa una grande sorpresa, oggi è una scoperta veramente ecumenica. Quando gli esseri umani si trove-ranno d’accordo nel lasciarsi guidare dal soffio celeste, la pace avverrà. La gioia di una convivenza pacifica cancellerà i dissidi creati dalla ragione posata su un tripode malfermo, vacillante ed esposto ai venti delle pulsioni. Questo è il sogno che mi consola, in questo passaggio oscuro della storia, sicuro che il soggetto anima ormai è entrato nel mondo del pensiero.

lenza o eteroviolenza di tutti i generi, ma guerra stragi, l’ingresso nel tempo dei quattro cavalieri dell’Apocalisse (Ap. 6). Nasceranno degli esplo-ratori della potenza dell’anima. E si comincerà a parlare dell’anima come di un’energia attiva che passa attra-verso l’uomo per salvare se stesso e la natura dalle forze di morte. L’anima non sarà presentata più come un vecchio generale in pensione che lucida ogni giorno le sue medaglie in attesa della morte. Gesù ha lasciato il suo spirito, il soffio vitale che dà la resurrezione, lo ha lasciato ad ogni esistenza: vi lascio lo spirito di verità. Questa forza dinamica di pace e di resurrezione è già attuante nei credenti che la testimoniano con la loro esistenza, come forza di pace, e la loro testimonianza è partico-larmente importante in quest’epoca in cui tutta la creazione alza le alte grida del parto. Una vera rinascita della rivelazione cristiana che è allo stesso tempo la verità di ogni esistenza che vive sulla terra in ogni latitudine. Una concordia possibile tra gli esseri umani avverrà quando l’essere umano scoprirà che al di là della opacizzazione sorta dalle sue indivi-

“Bisogna aiutare i gay, non colpevolizzarli”.«Si può dissentire da come l’Unione europea ha formulato la mozione sull’omosessualità, però essere gay non può mai essere reato». Continuerà la sua «pastorale» degli omosessuali monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì e commissario Cei per la Dottrina della fede e la catechesi.

Cosa dirà ora ai suo fedeli omosex? «Un conto sono le enunciazioni di principio più o meno equivocabili, un altro è il cammino da condividere con le persone in carne e ossa. Io non devo chiedere l’orientamento sessuale di chi ho di fronte, sono loro a dirmelo quando hanno disagi e vogliono capire il pensiero di Gesù e le impostazioni della Chiesa. La vita è un’altalena di gioie e dolori per tutti. Dare senso alla sofferenza investe la sessualità di chiunque, etero o gay hanno la stessa esigenza di imparare a essere persone che sanno amare. Non vanno colpevolizzate le persone. Ciascuno vive il suo orientamento per itinerari personali, esperienze o condizioni individuali e merita rispetto e attenzione, a me sta acuore dargli una mano per la vivibilità della condizione. I gay sono miei fedeli come gli altri».

Teme contraccolpi per le parole di monsignor Migliore?«Le prese di posizione ufficiali hanno sempre la necessità di essere chiare e perentorie per non essere equivocate. Mantenere la propria identità gay o avviare un percorso esistenziale di verifica è una scelta personale. Io tento di sollecitare una grande fiducia in Dio. San Paolo diceva “non c’è più greco né giudeo, né schiavo né libero”, così aggiungo “non c’è più omosessuale o eterosessuale” nell’identificazione profonda del rapporto con Dio. Fare del bene agli altri è la strada maestra per chiunque. Non è che gli eterosessuali

non vivano la fragilità. Fedeltà e castità sono valori che valgono per tutti. L’importante è la serenità, la gioia, il vivere senza prendere l’esistenza come ungioco. Dire che la via ordinaria è il rapporto uomo-donna non deve far ostracizzare tutti gli altri cammini. Vanno considerati i singoli casi non aggredendo, non condannando a priori, ma chiarendo che possono esserci diversità. E io aiuto a capire come attuare e vivere queste diversità conmisericordia».

Come si comporta con i gay?«Spesso mi sento chiedere: “Lei vuole che tutti i gay diventino eteroses-suali?”. Io rispondo: ”No, voglio che tutti i gay vivano una vita dignitosa, felice e mettendo sulla bilancia non solo il loro orientamento ma anche il rapporto con Dio”. Il mio aiuto a vedere come meglio vivere nel bene ciò che sperimentano. Non chiudo la porta a nessuno. Un conto è la fondatezza della legge divina, la Sacra Scrittura e il magistero, un conto è il cammino per arrivare ad osservarla. La catechesi degli omosessuali va incontro alle esigenze reali. Bisogna stare attenti alle parole che appaiono una discrimi-nazione dei gay, non è il caso di entrare troppo nell’aspetto legislativo su scala nazionale einternazionale. Ogni cosa che è rispettosa della libertà, che non fa male alla decisione degli altri va guardata e valutata in una chiave globale».

Meglio non prestarsi a strumentalizzazioni?«Esatto. Nella concretezza a me interessa dare motivi alle persone per osservare i precetti della Chiesa e apprezzare i tentativi di comminare sulla strada della coscienza matura. Invece dei fulmini e delle dichiarazioni effetto, producono più frutto il cammino insieme alle persone e l’impegno concreto per dar loro motivo di fare scelte forti e costruttive»

segue dalla pagina precedente

rete radie’ resch

“I gay vivano una vita felice e dignitosa”Intervista al vescovo Luciano Pacomioa cura di Giacomo Galeazzi in “La Stampa” del 2 dicembre 2008

- 14 -

Gruppo Missionario Giovanile

AVVISO IMPORTANTENUOVA SEDE OPERATIVA E NUOVO INDIRIZZO

del NOTIZIARIO MISSIONARIOdel SEGRETARIATO MISSIONI SERVI DI MARIAdel CENTRO MISSIONARIO SERVI DI MARIA

Rimane invariato il C/C Postale n. 350405intestato a CENTRO MISSIONARIO SERVI DI MARIA

EREMO DI RONZANO Via Gaibola, 18 . 40136 BOLOGNA

Cell. 339.6587503 Tel. 051.581443 • Fax 051.333295

padre BENITO FUSCOSegretariato Missioni

Servi di Maria051.581443339.6587503

[email protected]

Per info sui viaggi e sui campi di lavoro missionario per partecipare ai nostri “week-end insieme” contatta:

Eremo di Ronzanovia gaibola, 18 bologna

dal 27 Dicembre 08 al 2 Gennaio 097 e 8 Febbraio 0914 e 15 Marzo 094 e 5 Aprile 091, 2 e 3 Maggio 0920 e 21 Giugno 09dal 20 al 26 Luglio 09 Campo di lavoro

in missione: periodo dal 25 luglio al 31 agosto 09India/Tamil Nadu - Brasile/Acre - Mozambico - Cile

info: www.missioniosm.itSegretariato Missioni

Inviare contributi a:

CENTROMISSIONARIO

SERVI DI MARIAC/C Postale

n. 350405Specificare la causale

MICROPROGETTI 2009 LEBBROSARIO DI FATIMANAGAR:

1. Assistenza medico-terapeutica dei lebbrosi ricoverati - sono 65 - (contributi liberi senza limiti) 2. Adozione della scuola materna all’in-terno del lebbrosario di bambini figli dei lebbrosi - sono 30 - e di bambini malati di AIDS - sono 38 - (contributo cumulativo di più gruppi o persone associate e/o singole per raggiungere complessivamente almeno S 5.000) 3. Adozione di una o più infermiere della scuola professionale paramedica (contributo unitario S 750)4. Assistenza del doposcuola dei ragazzini figli – sono 35 - di famiglie dei lebbrosi ricoverati o residenti in loco dopo l’assi-stenza ospedaliera (contributo cumulativo di più gruppi o persone associate e/o singole per raggiungere almeno S 1.000)

ADOZIONE ANZIANI DI STRADA:a Trichy – sono 18 - nella casa di riposo dell’OSSM (contributo complessivo già preso in carico dal Gruppo Missionario Giovanile di Reggio Emilia)

ADOZIONE CLASSI SCOLASTICHE:nelle scuole1. per non vedenti a Madurai2. per sordi a Trichy3. per disabili mentali a Trichy4. per disabili mentali a Chennai5. per orfanelle a TrichyIl contributo per le adozioni scolastiche di ogni singola classe, al di là del numero di bambini di ogni classe, è di S 500; l’ado-zione scade ogni anno e volendo (e ovvia-mente si gradisce) si può proseguire. L’anno scolastico va da giugno a giugno: i versamenti effettuati fino al 30 giugno 2009 coprono l’anno in corso, oppure specificandolo nella causale avviano quello prossimo.

MUPPAYUR PROGETTO SCUOLA:a Muppayur scuola per abbandoni scolastici e/o impossibilità economiche (maschile) - sono 30 - e/o avviamento alla professione di sarta (femminile) - sono 25 - (contributi liberi senza limiti)

INDIA/TAMIL NADU CILE FONDO KOINOMADELFIA:

di Santiago per l’accompagna-mento di bambini e ragazzi in condizione di disagio sociale e familiare e ricostruzione case bruciate (contributi liberi).

BRASILE/ACRE SOSTEGNO REFORÇO ESCOLAR:

di Carmen e Alberto Pistoni a Sena Madureira (quota contributo di S 1200 per il 2009)

ALBANIADopo il viaggio di conoscenza nel territorio albanese, intrapreso da un gruppo del GMG nel 2005 e nel 2006, le idee da sviluppare in microprogetti sono principal-mente legate alla realtà incontrate ad Orikum e Valona.

ORIKUM: è un piccolo centro sul mare, poco distante da Valona, nell’Albania del Sud. Le suore si occupano di promozione umana, in particolare delle donne attraverso un corso di taglio e cucito, e dei bambini, ai quali propongono attività educativo-formative giornaliere.Nella missione c’è anche una piccola infermeria per le medica-zioni e le urgenze.Si è pensato di sostenere concreta-mente l’attività di taglio e cucito procurando fondi e materiale per il laboratorio e studiando eventuali forme di commercializzazione dei prodotti (contributi liberi).

VALONA: vorremmo sostenere, con il nostro progetto, alcuni giovani seguiti dai frati e dalle suore, che vogliono compiere gli studi universitari e che poi intendono impegnarsi professionalmente in Albania. (contributi liberi)

- 15 -

Inviare contributi a:

CENTRO MISSIONARIO SERVI DI MARIAC/C Postale n. 350405 (Specificare la causale)

VETRINA LIBRARIAQueste sono alcune informazioni relative alle diverse tipologie di adozione a distanza attivate o coadiuvate dal Segretariato Missioni della Provincia di Piemonte e Romagna dell’Ordine dei Servi di Maria. Esistono attualmente le seguenti possibilità di adozione a distanza

Le adozioni di bambini albanesi o Kossovari sono direttamente attivate dalla Comunità dei frati Servi di Maria di Valona (Albania), l’importo del contributo varia da 260,00 a 520,00 a seconda del tipo di scuola frequentata (elementari, medie, superiori). Anche in questo caso le offerte per le Adozioni Albania devono essere ben specificate nella causale del bollettino di conto corrente postale n. 350405, intestato a Centro Missionario Servi di Maria. Chi desidera invece prendere contatto diretto con la Comunità e concordare altre forme o particolari progetti di aiuto, oltre al Segretariato Missioni, può scrivere a: Sherbetoret e Shen Marise • KISHA KATOLIKE SHEN MARISE E SHEN LUIGJT - Lagjia 28 Nentori-Rruga Kristoforidhi n. 13 - VALONA (Albania)IBAN IT 97 C 08883 02407 CC 0330330054

Aderire con un contributo annuo di 260,00 al sistema di adozione scolastica attivato dalla Scuola delle suore Serve di Maria del Servite Convent di Tunasan a Muntinlupa City (Filippine), che già da diversi anni, grazie ad un gravoso impegno missionario, ospitano centinaia di bambini poveri: 50 dei quali adottati e aiutati economicamente da famiglie o gruppi ecclesiali della nostra Provincia. In questo caso, dopo l’invio del contributo, le suore e il delegato missioni del Vicariato Filippino, ci comunicheranno un nominativo e invieranno una scheda illustrativa dello status familiare del bimbo/a, prendendosi cura, nei limiti del possibile, di mantenere i contatti con le famiglie adottive tramite il Segretariato Missioni o il Centro Missionario Servi di Maria. Il contributo (che si può rateizzare) va inviato esclusivamente con bollettino di conto corrente postale n. 350405 intestato a Centro Missionario Servi di Maria, specificando nel retro la causale Adozioni Filippine. Le offerte non specificate nella causale, o generiche, vengono devolute alle emergenze missionarie, ai microprogetti o alla formazione dei giovani frati delle missioni.IBAN IT 97 C 08883 02407 CC 0330330054

Le adozioni e i microprogetti per i bambini delle Scuole di Trichy, Madurai, Madras e del lebbrosario di Fatimanagar (India) sono attivati dal Segretariato Missioni e dal Gruppo Missionario Giovanile dei Servi di Maria. I contributi per le adozioni scolastiche, cioé di mantenimento agli studi, sono di

100,00 annuali per bambino inserito in classe. Si può scegliere di contribuire al mantenimento complessivo delle classi con contributi che variano da 500,00 a 1.000,00 per classe di 30-60 bambini (questo tipo di adozione che preferiamo vuol favorire i gruppi associati di benefattori ed evitare discriminazioni). Le offerte vanno inviate al conto corrente postale n. 350405 intestato a Centro Missionario Servi di Maria, specificando sempre nel retro la causale Adozioni India. Dopo il versamento sarà inviata la foto di adozione della classe in cui è inserito il bambino e informazioni della scuola che frequenta. Per i microprogetti ci saranno campagne di informazione e sensibilizza-zione specifiche che potrete chiedere tramite e-mail al [email protected], oppure visitando il sito www.missioniosm.it e i relativi link dei giovani volontari OSM. Le adozioni dei bambini superstiti dello tsunami sono anche esse inserite nel contesto della scuola che li accoglie.IBAN IT 97 C 08883 02407 CC 0330330054

L’adozione di nove bambini e ragazzini orfani di genitori morti per AIDS assistiti da padre Pontiano M. Musoke della comunità St. Mary Queen of Martyrs OSM a Kampala (Uganda). Le offerte per questo tipo di adozione sono necessarie per il mantenimento agli studi o all’avvia-mento di formazione professionale. I ragazzi/e sono seguiti come gruppo. Le indicazioni nel retro del conto corrente postale n. 350405 intestato a Centro Missionario Servi di Maria devono specificare nella causale Adozioni orfani Uganda. Le offerte minime partono da 125,00. La cifra complessiva annuale che padre Musoke deve sostenere per il loro mantenimento è di circa 1.250,00, si raccolgono offerte per il gruppo e non per singoli, per evitare ingiuste selezioni e favorire una dimensione formativa unitaria. - IBAN IT 97 C 08883 02407 CC 0330330054

Adozioni e microprogetti Gruppo Missionario di Ronzano: Centro Missionario Servi di Maria c/c postale n. 350405. La causale del versamento: Microprogetti Acre/Brasile, oppure, Adozioni Acre/Brasile deve essere ben specificata. Proprio per evitare confusione nelle destinazioni vi preghiamo di essere precisi con la causale di versamento, in quanto nello stesso c/c postale confluiscono i contributi per numerosi e svariati progetti missionari, tutti sostenuti dal Segretariato Missioni e dal Centro Missionario dei frati Servi di Maria.Esiste anche la possibilità di effettuare un bonifico bancario specificando bene la causale, ecco i dati: Segretariato Missioni Servi di Maria c/o Banca di Bologna - Filiale Bologna Andrea Costac/c n. 0330054 - IBAN IT 97 C 08883 02407 CC 0330330054

Anno XVI, n.3, Settembre - Dicembre 2008Direttore Responsabile: Aurelio M. GiangoliniSegreteria di redazione: Benito M. Fusco

Sede Operativa:Segretariato Missioni Servi di Maria Via Gaibola, 1840136 BolognaTel. 051.581443 - Fax 051.333295E-mail: [email protected]: www.missioniosm.itProprietà editoriale: Provincia

di Romagna dell’Ordine Servi di Maria.Stampa: “Maestri Tipografi srl” www.maestritipografi.itImpaginazione: Angelo Pontiniby Melapì Grafica - Riminiwww.melapi.itIdea grafica: Benito M. Fusco

Hanno collaboratoAlberto Maggi, Marco Guzzi, Benito Fusco, Alberto Regoli, Mons. Luigi Bettazzi, frei Betto, Alex Zanotelli, Antonio Sciortino, José M. Castillo, Vincenzo Benassi, O’Dir, Faustini, Giacomo Galeazzi. Si ringraziano: Centro Studi Biblici

“G.Vannucci”, Mosaico di pace, Koinonia, www.marcoguzzi.it, Cittadella Editrice - Assisi, www.servidimaria.org, José M. Castillo, La Stampa, Rete Radie’ Resch, La Repubblica, L’Altra Babele, Fiorenzo Gobbo, Les Presses de Taizé, Mattia Ruggeri, Internazionale.

Copertina: I Trent’Anni di La Repubblica

fondatore fra Bruno M. Quercetti

“... la luce splende nelle tenebree le tenebre non l’hanno sopraffatta ...”

Gv 1,5