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l’altra Repubblica DA PARADISO FISCALE A PARADISO CIVILE POLITICA • SOCIETÀ • LAVORO • AMBIENTE • CULTURA • CIVILTÀ • GIUSTIZIA periodico di informazione edito da GASTONE PASOLINI. A RUOTA LIBERA • SLOW FOOD. L’ITALIA PIÙ BUONA, PULITA E GIUSTA. • CONVERSAZIONI OPERAIE • SCEPSI 2.0• SAN MARINO ALLA BIENNALE• IN QUESTO NUMERO Questo giornale è stampato su carta prodotta esclusivamente con fibre riciclate al 100%. Il processo produttivo è a basso impatto ambientale, la sbiancatura è realizzata senza utilizzo di cloro e il trasporto segue una politica eco-responsabile. Tassa pagata - Stampa periodica per l’interno - Aut. n. 359 del 19/06/2006 della Dir. Gen PP.TT direttore editoriale: MICHELE ZACCHI - direttore responsabile: LUCA LAZZARI grafica di luca lazzari I lavoratori sembrano una categoria estinta. Non hanno rappresentanza consiliare. La politica - oramai in mano solo a professionisti, imprenditori e dirigenti - non sa nemmeno più che faccia abbiano. Solo oggi, che serve che qualcuno paghi per i disastri causati dal direttorio che ha spadroneggiato su San Marino negli ultimi vent’anni, ci si ricorda che esistono: perché siano loro i primi (e forse anche gli unici) a mettere mano al portafoglio. Noi abbiamo voluto incontrarli. E abbiamo capito una cosa: che se avessero potuto partecipare alla vita politica, con la loro consapevolezza attenta, con il loro senso di responsabilità, con la loro cultura della solidarietà, oggi le cose andrebbero senz’altro meglio. Per tutti. Nella foto Davide Siliquini (frontaliere - Colombini) e Willliam Santi (ASA) LAVORATORI SENZA FRONTIERE pagine 4 e 5 n. 3 luglio 2011

Numero Tre

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da Paradiso Fiscale a Paradiso Civile

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Page 1: Numero Tre

l’altra RepubblicaD A P A R A D I S O F I S C A L E A P A R A D I S O C I V I L E

POLITICA • SOCIETÀ • LAVORO • AMBIENTE • CULTURA • CIVILTÀ • GIUSTIZIA

periodico di informazione edito da

GASTONE PASOLINI. A RUOTA LIBERA • SLOW FOOD. L’ITALIA PIÙ BUONA, PULITA E GIUSTA. • CONVERSAZIONI OPERAIE • SCEPSI 2.0• SAN MARINO ALLA BIENNALE•

IN QUESTO NUMERO

Questo giornale è stampato su carta prodotta esclusivamente con fibre riciclate al 100%. Il processo produttivo è a basso impatto ambientale, la sbiancatura è realizzata senza utilizzo di cloro e il trasporto segue una politica eco-responsabile.

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direttore editoriale: MICHELE ZACCHI - direttore responsabile: LUCA LAZZARI

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I lavoratori sembrano una categoria estinta. Non hanno rappresentanza consiliare. La politica - oramai in mano solo a professionisti, imprenditori e dirigenti - non sa nemmeno più che faccia abbiano. Solo oggi, che serve che qualcuno paghi per i disastri causati dal direttorio che ha spadroneggiato su San Marino negli ultimi vent’anni, ci si ricorda che esistono: perché siano loro i primi (e forse anche gli unici) a mettere mano al portafoglio. Noi abbiamo voluto incontrarli. E abbiamo capito una cosa: che se avessero potuto partecipare alla vita politica, con la loro consapevolezza attenta, con il loro senso di responsabilità, con la loro cultura della solidarietà, oggi le cose andrebbero senz’altro meglio. Per tutti.

Nella foto Davide Siliquini (frontaliere - Colombini) e Willliam Santi (ASA)

LAVORATORISENZA FRONTIERE

pagine 4 e 5

n. 3 luglio 2011

Page 2: Numero Tre

Credo che oggi la sinistra a San Marino abbia di fronte due grandi problemi: da un lato il nuovo rapporto fra il Psd e il Pat-to e dall’altro la nascente costituente so-cialista. Tu che cosa ne pensi?

È ovvio che ogni partito è nel pieno diritto portare avanti le proprie scelte, ciò non toglie che a queste poi facciano seguito delle valutazioni politiche (ed elettorali). La mia è questa: il Psd sta facendo un grosso buco nell’acqua, sta compromettendo la sua collocazione naturale in cambio di rinunce, sconfessioni e scarsi risultati. Ad esempio, sulla questione dell’Unione europea è sceso a patti con la maggioranza nonostante l’escamotage adottato dal governo per invalidare il referendum. Che cosa si è fatto bastare? Una promessa: la domanda di adesione verrà inoltrata solo nel caso in cui l’avvicinamento all’UE portato avanti assieme ad altri piccoli stati (che in molti casi sono soltanto dei protettorati) non dovesse andare a buon fine.

Anche sullo scambio di informazioni il Psd ha cercato fortemente una mediazione con la maggioranza.

Qui quel che è uscito è una legge fumosa che prevede tutta una serie opzioni che ne ostacolano l’attuazione e che dice che lo scambio di informazioni si farà…su richiesta. Ora come ora, all’Italia, alla Guardia di Finanza, e soprattutto a Tremonti, un provvedimento del genere non basta più. L’idea di una trasparenza a metà non è più praticabile.

L’altro punto forte del Psd riguardava la politica estera.

La richiesta di un cambio di passo in politica estera – che suonava come un commissariamento della Mularoni – sembrava una condizione irrinunciabile. E che cosa ha portato a casa il Psd? Un ordine del giorno che lascia il tempo che trova.In altre parole, il Psd sta offrendo al Patto, contro ogni logica politica, una scialuppa di salvataggio, che non serve in alcun modo al paese. Ma intanto il tempo passa e San Marino rischia il tracollo, mentre le promesse del governo continuano a rimanere solo sulla carta.

Eppure, sulla legge finanziaria le opposi-zioni si erano ricompattate, e con l’uscita dalla maggio-ranza degli Eps, la fine del governo era ormai evidente e si era creata la possibilità concreta di dar vita ad un esecutivo di unità naziona-le. Che cosa è successo poi?

A me sembra che i partiti di opposizione – ad esclusione del Psd – siano ancora su quella stessa linea. Il Psd dice che questa sua manovra di avvicinamento alla maggioranza è un atto di responsabilità verso il paese. Ma questo argomento suona un po’ retorico. Tutti siamo disposti ad adoperarci per dare certezze a San Marino. Ma come è possibile collaborare con un governo che ha fallito su tutto? E non sono io a dirlo, ma i dati economici, occupazionali, la crisi con l’Italia, le difficoltà che vive la gente.

Allora ecco la domanda da un milione di dollari? Perché mai il Psd, proprio in un momento favorevo-le a chi chiede una nuova guida per il paese, decide di abbandonare il campo dell’opposizione per entra-re in quello governativo?

In effetti, la domanda è da un milione di dollari. Io sono portato a pensare che nella politica ci sia qualche scheletro di troppo da nascondere.

■ INTERVISTA ■ GASTONE PASOLINI. PRESIDENTE SINISTRA UNITA ■

A tutto campo sulla politica

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nauseati dalla politica. E sono anche consapevoli che di mese in mese la situazione peggiora. Si stanno verificando cose che non si registravano più da decenni: abbiamo un migliaio di disoccupati, cassa integrati, famiglie che non riescono più a pagare il mutuo della casa. Bisogna imboccare strade nuove, con urgenza. Il mondo del lavoro questo l’ha capito. Nell’ultimo anno ci sono già stati tre scioperi generali e questo sta a dire che la situazione scricchiola pericolosamente. Questa preoccupazione col tempo si fa consapevolezza e volontà di cambiamento. Noi come partito dobbiamo prestare la massima attenzione a coloro che vogliono voltare pagina.

Già, ma dalla tua ana-lisi mi sembra di capire che il quadro politico è fortemente instabi-le e questo disorienta fortemente gli elettori.

Se il Psd arriva a cambiare casacca e ad un accordo con il Patto, sconfessa tutto quello per cui ha lavorato negli ultimi dieci anni, dall’unificazione delle sinistre alla riforma della legge elettorale, voluta dallo stesso Psd per garantire l’alternanza democratica.Ma anche se la Dc ha spalancato le porte all’area socialista, i conti non tornano facilmente.

Cioe?Per AP, ad esempio. Dopo aver presentato per anni la Dc come il simbolo della corruzione, è andata al governo con la sinistra. Poi dopo due anni ha detto che era il Psd il nuovo scandalo morale della politica ed ha costruito una coalizione con i disprezzati democristiani. Ora, apre di nuovo al Psd e taglia fuori le forze che più si sono adoperate per il rinnovamento.

Sembra di assistere ad una nuova grande ammucchiata per iso-lare chi si era battuto per la moralità. Ma a che gioco vuol gioca-re Ap?

Questo governo è arrivato al capolinea, lo dice anche Ap, ma per loro la situazione è difficile. Si sono giocati gran parte del patrimonio elettorale, tanto è vero che da un bel pezzo hanno smesso di rendere noti i sondaggi che fanno (se li fanno ancora).Quel che avevano costruito in 15 anni di onorevole e distinta opposizione ora gli sta crollando addosso sotto il peso delle loro contraddizioni.

Tutto questo in che modo entra in relazio-ne con la costituente socialista?

Il Psd per metà rappresenta un partito che ha oltre settant’anni di storia, una storia che in larga parte coincide con quella della mia vita politica (e non solo politica). Se quel partito dovesse essere dissolto quello che io proverei sarebbe una grande amarezza. Non solo per ragioni nostalgiche, ma perché quel partito conserva in sé un patrimonio storico e culturale straordinario che non deve essere in alcun modo perduto. Quello comunista è stato un partito che ha partecipato in modo fondamentale allo sviluppo economico e sociale del paese, che ha reso possibili conquiste che per San Marino ancora oggi rappresentano un fiore all’occhiello, un partito che aveva le sue radici nel lavoro, e che attraverso il lavoro ha costruito un benessere solido e diffuso, garantito certezze e futuro a tutti. Un partito a cui deve essere riconosciuta la stessa dignità che oggi si vorrebbe dare al solo partito socialista. Mi auguro che l’attuale gruppo dirigente, abbia ben in mente la difesa e la tutela di questo patrimonio, nell’interesse dell’intero paese.

Forse non c’è solo qualche scheletro, forse c’è un ossario.

Può darsi. La cosa che però mi lascia davvero perplesso è che chi in questi anni ha chiesto con più forza, pulizia e rinnovamento, ora si ritrova a difendere il passato.

E dal momento che in politica nulla accade per caso, quale è il vantaggio che pensano di ricavarne?

Questa domanda ci lascia davanti ad un dubbio inquietante. A questo punto però ci terrei a fare una precisazione: il vecchio PdD certamente qualche errore lo aveva commesso, ma continuando ad usare la metafora dell’ossario, il mucchio più grande andrebbe senz’altro cercato in altre direzioni. Se la politica in questi anni non è riuscita a ripulirsi questo dipende anche dalla lunga permanenza dentro alle istituzioni di alcune figure di primo piano che hanno accumulato grande potere. Questo non solo ha reso la politica più torbida, ma l’ha anche privata di dinamismo e di idee progredite.

Questa conversazione ci porta ad una prima riflessione: invece di parlare di progetti stiamo in realtà ricordando che forse la politica si sta limitando a garantire la difesa di alcuni individui. I cittadini sammarinesi hanno davvero capito che qui si gioca, sulla loro pel-le, una partita che li vede solo spet-tatori? Che la politica è impegnata a salvare il culo di qualcuno, e non il futuro della Repubblica?

I cittadini che ho avvicinato sono delusi,

Carlo Petrini ricordava, qual-che settimana fa, che l’agricol-tura, pur così importante, è la cenerentola del nostro gover-no.La regola vale anche per le esperienze regionali? E cosa dovrebbe costruire un vero mi-nistro dell’agricoltura?

Naturalmente le esperienze variano da Regione a Regione, ci sono istituzioni locali più attente e altre meno. Quello che è sicuro è che si può fare molto a livello regionale e lo dimostrano gli interventi su casi spinosi come quelli che riguardano gli OGM. Un vero ministero dell’agricoltura dovrebbe preservare la nostra agricoltura più pura, fatta di tante realtà diverse, di piccole medie aziende, una ricchezza incredibile per il nostro Paese. Inseguendo soltanto competitività ed export, si tende a un’agricoltura industriale che ha fatto danno ovunque abbia preso il sopravvento. Danni ambientali e alla fine anche economici. Cominciamo ad accorgecene anche qui, e non è soltanto colpa della crisi, ma di un sistema che sta togliendo ogni valore al cibo, a chi lo lavora, ai territori da cui proviene, focalizzandosi soltanto sul prezzo, il quale, in un sistema industriale non può che tendere al ribasso, danneggiando tanto la qualità quanto la vita degli agricoltori.

Adesso si parla molto di km zero e di filiera corta. ma c’è un problema a monte: che con-trolli vengono fatti (e da chi) sul rispetto di questa filiera?

Se si parla di filiera corta si deve parlare di sistemi economici locali, in cui la comunità è protagonista. Accorciando la filiera si implementano anche nuove relazioni, nuovi modelli sociali e proprio questi possono fare da deterrente per le truffe ed esercitare controlli molto efficaci. I problemi si presentano in ogni sistema, capitano, ma in un sistema locale il controllo è maggiore. Abbiamo il recente esempio della diffusione incontrollata dell’e.

coli: in un sistema locale si sarebbe immediatamente capito da dove provenivano le partite infette e si sarebbe potuto intervenire con maggior tempestività, invece nel sistema distributivo industriale si è brancolato nel buio per più di un mese, causando tra l’altro il blocco di interi settori produttivi che non avevano nessuna colpa.

Oggi il tema della qualità è invocato da tutti: quali norme sono indispensabili perché la qualità passi dal livello delle ottime idee a quello della con-creta realizzazione?

Le norme da sole non bastano. Certo ci vorrebbero norme più rispettose delle diversità locali, che non pretendano di omologare tutto nel nome del produttivismo. Capisco la difficoltà del legislatore a generalizzare per interi settori produttivi, ma forse demandando a livello locale deroghe e normative si potrebbe superare il problema. La scala produttiva e distributiva è determinante; il cibo non è un prodotto di consumo di stampo industriale, il cibo è energia, è vita, è territorio, non si può trattare come un bullone o un paio di scarpe. Bisogna ripensare il sistema prima di tutto, inculcando i veri valori di cui il cibo può essere portatore, poi le norme verranno automaticamente. Allo stato attuale invece si scontenterà sempre qualcuno e, guarda caso, a farne le spese sono sempre i più deboli, i piccoli che lavorano bene in armonia con il territorio.

Questa intervista fa da ouvertu-re ad un appuntamento fisso che partirà da settembre e che

indagherà quel territorio che sta a confine tra l’ecologia, la sostenibili-tà, il consumo critico e tutte quelle pratiche di vita che vogliono accresce il senso di responsabilità sociale e civile. Molti hanno sentito parlare di Slow Food per la sua famosa Guida alle Osterie d’Italia. Ma Slow Food è molto di più. A venticinque anni dalla sua fondazione (avvenuta a Bra, in Piemonte, nel 1986 grazie a Carlo Petrini) è ormai una realtà con la quale chiunque operi nel set-tore alimentare deve confrontarsi ed è  un punto di riferimento essenziale per tutti gli appassionati di gastro-nomia e i consumatori responsabili.  Slow Food nasce, innanzitutto per dare maggiore dignità culturale alle tematiche legate al cibo e alla alimentazione. L’associazione si è sempre impegnata nell’identificare le modalità di produzione e i prodotti tipici tradizionalmente legati a cia-scuno territorio, cercando di elevarli al ruolo di veri e propri beni culturali. Fra gli scopi di Slow Food c’è anche il tentativo di migliorare la cultura alimentare dei cittadini, soprattutto dei giovani, per cercare di promuo-vere una diversa idea di qualità della vita, nel rispetto dei tempi naturali, dell’ambiente e della salute dei con-sumatori. Non bisogna dimenticare, infine, il grande impegno di Slow

Food nel sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica verso le tema-tiche ambientali ed in particolare ver-so la salvaguardia della biodiversità e delle tradizioni culinarie, culminato nella creazione di Terra Madre. La rete degli associati di Slow Food è suddivisa in sedi locali, dette Condot-te in Italia e Convivium nel mondo, coordinate da Convivium leader che organizzano corsi, viaggi, degusta-zioni, cene, e sostengono a livello locale le campagne dall’associazio-ne e ne mettono in atto i progetti diffusi, come gli orti scolastici. Da una costola di Slow Food nasce Slow Wine, una sezione dell’associazione interamente dedicata al vino, che svolge un’intensa attività editoriale cartacea e online, promuovendo i piccoli produttori che prediligono la qualità e la genuinità del loro prodotto con l’organizzazione di eventi e degustazioni in tutta Italia.

Slow Food e Terra Ma-dre Il progetto più importante portato avanti da Slow Food Terra Madre, meeting mondiale delle Comunità del Cibo: cinquemila contadini, pe-scatori, allevatori di tutto il mondo che si incontrano all’Oval di Torino per discutere di sovranità alimenta-re, difesa della biodiversità, diritto a un cibo più buono, pulito, giusto. Terra Madre è anche una rete di operatori del settore che credono in una produzione alimentare più

equa e anche più sicura per la sa-lute del consumatore. Terra Madre è un’evoluzione naturale di progetti in difesa della biodiversità come l’Arca del Gusto, vero e proprio censimen-to di prodotti alimentari locali in via d’estinzione e dei Presìdi, pro-getti attivi sul territorio per soste-nere concretamente tali prodotti.

Slow Food: il Salone del Gusto e CheeseNegli stessi giorni di Terra Madre, sempre a Torino, si svolge al Lingot-to il Salone del Gusto, una manife-stazione alla quale la definizione di fiera alimentare, a detta degli stessi fondatori, sta decisamente stretta. Si tratta, infatti, soprattutto di un luogo in cui imparare a scegliere un prodotto alimentare, con piena con-sapevolezza della sua la storia, del suo impatto sulla salute del consu-matore e sull’ambiente, dell’essen-ziale ruolo svolto dai produttori. Fra i numerosi eventi su prenotazione or-ganizzati da Slow Food e Slow Wine all’interno del Salone del Gusto, vi ricordiamo i Laboratori del Gusto, Il Teatro del Gusto, Master of Food , In-contri con l’autore. Cheese è invece un evento dedicato esclusivamente al formaggio, che si svolge a Bra. Questa grande rassegna europea del formaggio di qualità vuole evi-denziare quanto il ruolo del casaro sia fondamentale nella salvaguardia degli ambienti montani e non solo. Attraverso assaggi, degustazioni, le Cucine di strada, i Laboratori del latte e altre iniziative educative, chi visita Cheese comprende meglio l’impor-tanza delle attività agricole e rurali compatibili con il rispetto dell’am-biente.

■ INTERVISTA ■ SILVIO BARBERO. VICE PRESIDENTE NAZIONALE SLOW FOOD ■

Buono, Pulito e Giusto

Il Psd per metà rappresenta un partito che ha oltre settant’anni di storia, una storia che in larga parte coincide con quella della mia vita politica (e non solo politica). Se quel partito dovesse essere dissolto quello che io proverei sarebbe una grande amarezza. Non solo per ragioni nostalgiche, ma perché quel partito conserva in sé un patrimonio storico e culturale straordinario che non deve essere in alcun modo perduto. Quello comunista è stato un partito che ha partecipato in modo fondamentale allo sviluppo economico e sociale del paese, che ha reso possibili conquiste che per San Marino ancora oggi rappresentano un fiore all’occhiello, un partito che aveva le sue radici nel lavoro, e che attraverso il lavoro ha costruito un benessere solido e diffuso, garantito certezze e futuro a tutti. Un partito a cui deve essere riconosciuta la stessa dignità che oggi si vorrebbe dare al solo partito socialista. Mi auguro che l’attuale gruppo dirigente, abbia ben in mente la difesa e la tutela di questo patrimonio, nell’interesse dell’intero paese.

Silvio Barbero

Il più grande monumento che potremmo lasciare per ricordare questo Expo sarebbe il Lambro pulito. E non sono suggestioni o nostalgia, ma è modernità. L’eredità dell’Expo sia il recupero dell’agricoltura di prossimità, buona e sana, dei parchi, delle cascine, delle acque.

Carlo Petrini in riferimento all’Expo di Milano

di Michele Zacchi

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� l’altra Repubblica n. 3 luglio 2011 l’altra Repubblica n. 3 luglio 2011 �

Il lavoro, non solo non trova più posto nell’agenda politica, ma la politica ne ha completamente perso la cognizione e il contatto. [...]Per noi il lavoro è sempre stato un riferimento assoluto. Sono anni che denunciamo la finanziarizzazione dell’economia a discapito del settore produttivo. La finanza sposta ricchezza, spesso virtuale, il lavoro la produce. Chi lavora in fabbrica questa cosa la sa. La crisi finanziaria si è ripercossa anche sul mondo del lavoro. Ed ora la politica chiede a noi lavoratori di pagare per i disastri di spregiudicatezze su cui non abbiamo alcuna responsabilità.[...] Stiamo lottando perché in materia tributaria il valore cardine sia quello dell’equità. Non a caso equità è una delle parole d’ordine del sindacato. Ma equità non è solo uno slogan. È il modello di visione di una nuova società. Ognuno deve contribuire in base al proprio reddito, che non è accertato per tutti. Noi lavoratori siamo disposti a fare la nostra parte. Ma non siamo disposti a essere i primi e gli unici a pagare.

Vorrei cominciare questa conversazione da un dato: tra i sessanta che siedono a palazzo nessuno fa l’ope-raio; e più in generale, i la-voratori subordinati del set-tore privato con carica con-siliare, si contano sulle dita di una mano sola. Come vi spiegate questo fatto?

La politica a questo livello ri-chiede un impegno elevato. Per chi è occupato in una azienda privata fare politica è quasi im-possibile. Assentarsi dal luogo di lavoro per diversi giorni al mese significa danneggiare la propria posizione lavorativa. Poi, per esempio, nelle grandi aziende spesso si segue un regi-me di turnazione e questo rende ancora più difficile organizzare il proprio tempo fuori dal lavo-ro, specie quando si ha famiglia. Per chi sceglie l’attività politica il rischio è quello di rimanere ai margini dell’azienda. Quindi, a meno che non si abbia nella po-litica una buona prospettiva, si preferisce rimanerne fuori. Le cose sono già abbastanza com-plicate per chi decide di fare attività sindacale. La politica dovrebbe favorire la partecipa-zione delle classi sociali più de-boli ma non vi è la percezione che questo interessi.

Quanto pesa, secondo voi, sulla condizione dei lavora-tori non avere rappresen-tanza consiliare?

Il lavoro, non solo non trova più posto nell’agenda politica, ma la politica ne ha completamente perso la cognizione e il contatto. Noi lavoratori dipendenti, come categoria sociale, spesso non troviamo interlocutori politici interessati a rappresentare le no-stre istanze. Ora, per esempio, dal dibattito sulla riforma fisca-le, si intuisce che molto proba-bilmente saremo noi, a doverci fare carico del peso più gravoso.

Se questo fosse vero, an-drebbe a sommarsi all’ora-mai permanente attacco ai vostri diritti di lavoratori.

La volontà di rimettere in di-scussione le conquiste sindacali – sempre nel nome di una mag-giore competitività – si percepi-sce in diverse realtà, seppure con diverse sfumature. Noi pensia-mo che, là dove vi sia necessità di recuperare competitività, ciò non possa avvenire unicamente a danno dei lavoratori, perché il sostegno e la valorizzazione dell’economia reale rappresen-tano un interesse collettivo, e non solo di chi lavora. E poi, in un piccolo Stato come San Marino, l’abilità della politica dovrebbe anche essere quella di immaginare una competitività di sistema.

Già, ma la politica ad oggi sembra più preoccupata di dare protezione al settore finanziario, anche se que-sto, oramai lo si è capito con chiarezza, va a disca-pito di tutto il resto. Eppure è difficile pensare di potere uscire da questa situazione

se non riportando il lavoro al centro di ogni decisione economica.

Per noi il lavoro è sempre stato un riferimento assoluto. Sono anni che denunciamo la finan-ziarizzazione dell’economia a discapito del settore produttivo. La finanza sposta ricchezza, spesso virtuale, il lavoro la pro-duce. Chi lavora in fabbrica que-sta cosa la sa. La crisi finanziaria si è ripercos-sa anche sul mondo del lavoro. Ed ora la politica chiede a noi lavoratori di pagare per i disastri di spregiudicatezze su cui non abbiamo alcuna responsabilità.

Cosa facciamo, paghiamo?Stiamo lottando perché in ma-teria tributaria il valore cardine sia quello dell’equità. Non a caso equità è una delle paro-le d’ordine del sindacato. Ma equità non è solo uno slogan. È il modello di visione di una nuo-va società. Ognuno deve contri-buire in base al proprio reddito, che non è accertato per tutti. Noi lavoratori siamo disposti a fare la nostra parte. Ma non sia-mo disposti a essere i primi e gli unici a pagare. Se il governo ci dicesse “ragazzi vi chiediamo dei sacrifici, però

di Luca Lazzari

■ “PROLETARIATO: LA CLASSE A CUI MI PREGIO DI APPARTENERE” ■ GIUSEPPE GARIBALDI ■

Ai tempi del lavoro

sappiate che abbiamo un pro-getto di sviluppo e che nel giro di qualche tempo le cose si ag-giusteranno” noi non avremmo problemi a stringere i denti. Qui invece l’impressione è che si vo-glia andare avanti così. Quello che ci sconforta è sapere che di tutta la ricchezza che c’è passa-ta per le mani non s’è speso un soldo per un progetto di prospet-tiva. Eppure i segnali c’erano, e da tempo. Basta ricordare il blocco del ‘97 con la Finanza ai confi-ni. Non serve essere degli economi-sti per capire che dodici banche e una settantina di finanziarie in un territorio di 61 chilometri quadrati erano un’anomalia.

Rimaniamo sulla riforma fi-scale.

Riformare vuol dire migliorare. Una riforma fiscale dovrebbe re-golare il futuro, non l’immedia-to. Ciò che il governo propone è invece un provvedimento che serve solo a tamponare, a fare cassa in modo sbrigativo per non affrontare i nodi struttura-li come l’emersione dei redditi sommersi.La nostra preoccupazione è che se si continua su questa strada presto si potrebbero produrre forti lacerazioni sociali.

Già adesso si avvertono del-le tensioni in questo senso. Le linee di scontro però an-ziché passare tra il mondo del lavoro e il direttorio che ha dettato legge negli ultimi vent’anni, sembrano essere tutte interne al movimento dei lavoratori: tra pubblico e privato e tra interni e fron-talieri.

Questo è vero in parte. Bisogna dire che alcune manovre portate

avanti dal governo secondo noi erano segnate dalla volontà di dividere il movimento dei lavo-ratori. Stiamo facendo la nostra parte perché questi tentativi non riescano.

Per esempio? Il tavolo tripartito: il governo, anziché fare da arbitro, una vol-ta sistemato il settore pubblico si è chiamato fuori. Questo sen-za dubbio ha innescato qualche malumore tra pubblico e priva-to. Anche l’atteggiamento tenu-to dall’ANIS lascia molti inter-rogativi: fino al giorno prima sembravano esserci le condizio-ni per la firma – anche perché nell’accordo erano contenute misure a sostegno delle aziende non indifferenti. Poi all’ultimo momento si sono sfilati. Come se vi fosse la volontà strategica di rompere. Quindi: o chi ha trattato non aveva mandati chia-ri o hanno prevalso logiche poco comprensibili. Dopodiché va anche detto che l’ANIS ha cer-cato di cavalcare la crisi come strumento di pressione psicolo-gica. Loro sapevano che il mon-do del lavoro era in difficoltà, perché in quei mesi era scoppia-ta la crisi occupazionale. Ma i lavoratori del privato, attraverso l’attivo dei quadri, non hanno abboccato, decidendo di sotto-scrivere ugualmente quell’ac-cordo sapendo che a loro non si sarebbe applicato. Una bella dimostrazione di altruismo.

Non credete che anche la tassa sui frontalieri vada nella stessa direzione?

Infatti. Su questa vicenda poi il governo ha strumentalizzato la posizione del sindacato, si è messo a dire “avete visto? difen-dono i frontalieri e basta”, al fine di costruire l’alibi per estendere

quella tassa anche sui residenti, piuttosto che reperire risorse dai grandi patrimoni. Ma in realtà il sindacato sta cercando di tutelare i diritti dei lavoratori, e basta. Per-ché il sindacato non fa discorsi di opportunità come un partito, che fa il calcolo dei voti. La loro stra-tegia però non sta funzionando. Le ultime manifestazioni dimo-strano l’unità del movimento.

Già, la salute del movimento sembra buona. Ma poco fa mi si diceva che l’ANIS ha fat-to leva sulla crisi per sottrarre terreno ai lavoratori. Vi chie-do, questa, quanto ancora spinge sulle aziende?

Qui c’è da fare una distinzione molto importante. Nel 2009 si viveva una crisi internaziona-le. Dopo il 2009 San Marino ha cominciato a vivere la crisi del proprio sistema, dovuta alla ca-duta dei rapporti con l’Italia ed al mutamento delle regole interna-zionali. La prima sta riducendo i suoi effetti. Generalmente, nelle aziende più grandi le commesse sono tornate su buoni volumi. L’altra, invece, sta producendo chiusure o ridimensionamento di aziende, in particolare piccole e medie, e continue perdite di po-sti di lavoro. Ogni giorno pezzi di

economia sana lasciano il paese. Ci vorranno anni per recupera-re la credibilità perduta da parte degli investitori stranieri. E tutto questo accade perché il governo non vuole sciogliere il nodo dello scambio di informazioni con l’I-talia, che poi vuol dire caduta del segreto bancario.

Nell’attesa che le cose con l’Italia si risolvano alcune aziende, le più strutturate, stanno adottando l’escamo-tage della commerciale italia-na. Funziona?

La filiale italiana è un palliativo che funziona, finché la Finan-za non la considera la vera testa dell’azienda. Senza accordi con l’Italia, compresa la definizione di estero-vestizione, i problemi possono sorgere da un momento all’altro. Come è noto, già diverse aziende sono nel mirino degli or-ganismi di controllo italiani.

Mi dicono che la chiusura del-le aziende stia determinando anche un nuovo fenomeno: quello del frontalierato al contrario.

Sembra che alcuni stiano facendo questa scelta. Chi svolge un lavo-ro a titolo di studio elevato, o ad alta specializzazione, nell’incer-

tezza che a San Marino non tro-vi più una occupazione adeguata preferisce l’opzione italiana, e se-gue l’azienda.

Sul fronte della conserva-zione delle aziende, però, imprenditori e lavoratori do-vrebbero marciare uniti. O mi sbaglio?

Lo scorso anno, quando orga-nizzammo la manifestazione sul Pianello per chiedere trasparenza, l’ANIS era al nostro fianco. Pochi giorni fa sul loro giornale hanno detto che invece tutto sommato il discorso del segreto bancario e dello scambio di informazioni au-tomatico può aspettare e di vedere cosa fanno gli altri Paesi. Secondo noi a breve nella loro organizza-zione potrebbero emergere forti tensioni, se i problemi non si ri-solveranno.

Alcune sono già esplose. Mi riferisco al MICS, il movimen-to di imprenditori formatosi pochi mesi fa e che vede fra le sue fila anche alcuni ex-ANIS.

Il MICS potrebbe diventare l’al-ter ego dell’ANIS. Le cose che il MICS chiede sono quelle che chiede anche la CSU da molto tempo. Forse, però, chi sostiene di

essere l’economia sana, avrebbe dovuto accorgersi prima di quan-to stava accadendo. Nel 2006, quando Fini era pronto a firmare l’accordo che ci avrebbe messo al riparo dalla lotta ai paradisi fisca-li, l’ANIS si oppose e al suo inter-no non si sentirono voci contrarie. Un po’ più di lungimiranza, come il sindacato chiedeva, ci avrebbe messo al riparo dalla situazione che ci troviamo ad affrontare in questo momento.

Vorrei chiedere a Davide di descrivermi il suo rapporto di frontaliere con San Mari-no. Mi sembra che tu senta in modo molto forte la situazio-ne sammarinese.

Come frontaliere sostengo la mia famiglia grazie al lavoro che faccio a San Marino. Ringrazio e rispetto questa terra che mi of-fre questa opportunità. Se a San Marino la situazione si aggraverà anche la mia famiglia ne subirà le conseguenze. Non è vero che quel che succede fuori dalle aziende non interessa a noi frontalieri. Ci sono aziende in cui se non ci fos-sero i frontalieri, sarebbe difficile costituire i consigli di fabbrica. Il confine nella testa di chi lavora non c’è. Tutti dobbiamo impe-gnarci a migliorare le condizioni

sociali e di lavoro perché in fab-

brica passiamo gran parte del no-

stro tempo. C’è gente impegnata

tra i residenti ed i frontalieri, così

come altri sono indifferenti. Nel

mio caso, l’impegno sindacale mi

consente di vivere più da vicino le

problematiche del lavoro e del Pa-

ese in generale.

Prima di chiudere vorrei chie-dervi in quali azioni siete im-pegnati.

Noi come consiglieri di fabbrica

delle aziende più importanti sia-

mo stati dalla Reggenza a portare

una lettera aperta in cui sono con-

tenute le nostre preoccupazioni.

La sentenza del Collegio dei ga-

ranti sulla tassa ai frontalieri è an-

data come è andata, ma ha sanci-

to un principio molto pericoloso.

A tal proposito, non possiamo

non ringraziare i 27 Consiglieri

che hanno presentato la verifica

di legittimità al Collegio dei ga-

ranti, riaffermando, nell’attuale

difficile contesto, che lo Stato di

San Marino si basa anche su prin-

cipi quali l’equità e l’uguaglianza.

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l’altra Repubblica n. 3 luglio 2011 �� l’altra Repubblica n. 3 luglio 2011

Con quale spirito e quali intenzioni è sta-to predisposto il padi-glione sammarinese alla biennale?

Abbiamo voluto innanzitutto onorare il tema di questa 54° Biennale, dal titolo inequivocabile: IllumiNazioni. La luce quindi come soggetto principe che garantisce il viatico indispensabile per accedere, “tendere a”, entrare in sintonia con l’altro da sé. Ma anche luce come visione estatica, simbolica, impalpabile, mezzo di relazione, strumento e veicolo di comunicazione. “ I L L U M I n a z i o n i ” pertanto come possibilità di dialogo e di ricerca. Con il gruppo di lavoro di San Marino ci siamo posti l’obbiettivo di andare oltre una certa pretesa, sempre presente nell’arte, di fornire un estetismo edulcorato fine a se stesso, sintomo di un solipsismo sempre più dilagante nel vissuto moderno. Oltre la coltre fumosa del già visto, della retorica ampollosa e ridondante, la pretesa del progetto, s’inserisce nella volontà di offrire una voce singola, un “io” pronunciato a voce sostenuta, all’interno di una complessa visione corale. Arte, produzione di “saperi” e cultura che vogliono dispiegarsi nel lavoro di un gruppo d’artisti che non rinuncia alla libertà individuale, ma che è capace di modellare ogni singola opera, in una ben più complessa visione d’insieme. È dentro questa ipotesi che abbiamo costruito il Padiglione come se ci apprestassimo a fornire una narrazione. Un racconto che si dispiega e prende forma attraverso le tredici opere esposte, e garantisce allo spettatore la bellezza come unicum e all’artista la sacralità di un insieme liberante e mai vincolo riduttivo.

Come è stata operata

la scelta degli artisti? Ci tengo a sottolineare questo aspetto perché è centro focale del nostro lavoro. Gli artisti sammarinesi sono stati scelti attraverso un concorso pubblico. Le opere sono state vagliate da una giuria presieduta dalla Professoressa Renata Stih, tedesca, esperta di arte contemporanea che ha partecipato a commissioni giudicatrici internazionali, ed è tuttora curatrice di mostre in tutto il mondo. Oltre ai quattro artisti selezionati (Cristian Ceccaroni, Omar Paolucci, Thea Tina e Daniela Tonelli) San Marino ha deciso poi di avvalersi di personalità provenienti da altri Paesi, come l’Italia e la Germania, che ho scelto personalmente in base alle ragioni del progetto. In primis Verdiano Marzi, sammarinese ma ora residente in Francia e poi Marco Bravura, Ottavio Fabbri, Daniela Comani, Patrizia Merendi, e due tedeschi (Lars Teichmann e Dorothee Albrecht). Infine abbiamo aperto a due artisti sui generis per una Biennale d’arte e li abbiamo inseriti nel contesto “Fuori Salone, Dentro la Biennale” (Paola Turroni e Cristina Rotondaro) che nei fatti sono parte integrante dell’intero percorso. La decisione di avvalerci di personalità non solo sammarinesi, ha un valore altamente simbolico e s’inserisce nella volontà della più antica Repubblica del mondo di ritornare ad essere protagonista e punto d’incontro nel panorama internazionale. A fronte di questa ampia rappresentazione abbiamo riscontrato le difficoltà caratteristiche di un’esposizione così prestigiosa, ma nulla a che vedere con polemiche o con lamentele di alcun genere.

Che cosa significa

la presenza di San Marino a Venezia: il primo passo per col-laborazioni europee ad esempio con gli altri piccoli stati?

Da questa nostra presenza a Venezia ci aspettiamo molto un po’ tutti. Tra l’altro il nostro Padiglione è situato in uno dei luoghi più suggestivi della città lagunare, vicino al ponte di Rialto. Il nostro biglietto da visita è una grande opera posizionata proprio all’esterno della Mostra. Accedere al palcoscenico veneziano, costituisce una grande opportunità per San Marino che grazie a

questa presenza può davvero dare visibilità delle propria vivacità culturale ed artistica. Ripeto, ci aspettiamo molto, non ultimo anche forme di collaborazione con altri Paesi Europei. E non è detto che debbano essere per forza piccoli.

2. “Scuola”, li-bertà, conflitto

È l’insieme di questi processi – qui solo sommariamente ri-

chiamati - a costituire lo sfondo genealogico su cui nasce Scepsi. Il suo interesse principale, accettando que-sto stesso piano di realtà, consisterà nel saper riflette-re oltre le polizie confinarie delle discipline, sul terreno impervio di una nuova im-maginazione sociale euro-pea. Schizzare il profilo di un’Europa a venire, oltre che affilare le armi della critica contro l’Europa che c’è, è in questo senso uno tra i suoi primi compiti. In altri termini, la scommes-sa è quella di avviare un percorso capace, in tempi congrui, di condurre alla genesi di una vera e propria scuola europea in grado di iniettare pensiero critico dentro e contro l’accademia continentale, e di elaborare – appunto - una nuova im-maginazione adatta al cor-po vivo delle società d’Eu-ropa, offese dall’egemonia del capitalismo finanziario. In questo senso, nel ventre catastrofico dell’ultimo ca-pitalismo – quello della cri-si globale entro il quale la “catastrofe” non si dà sem-plicemente come annien-tamento e fine traumatica, ma piuttosto come “transi-zione irreversibile, punto di rottura di un equilibrio che transita verso un altro equi-librio” - Scepsi punta a muo-versi come un “parassita”; come colui, cioè, che pur privo di invito “presenzia a una cena approfittando dell’ospite di turno, intro-ducendo un’interruzione, un rumore, nell’ordine del

banchetto”1. Con l’intento del sabotaggio, certo, ma anche con la consapevolez-za che senza provocare quel rumore creativo “nessuna comunicazione sensata sa-rebbe più distinguibile”2.La vorremmo, allora, Scepsi come una scuola che fun-gesse da libero pensatoio per quell’intelligenza col-lettiva che l’ultimo capi-talismo cerca di ridurre a docile e precario lavoratore collettivo, sussumendone capacità ed energie3. Ma la vorremmo anche come una “istituzione” di nuovo ge-nere, consapevole del fatto che già da tempo l’intelli-genza collettiva ha messo in gioco – come dimostrano le tante, recenti contesta-zioni dello smantellamen-to dell’università e della scuola pubblica europea in corso d’opera - una ampia gamma di pratiche di liber-tà e di soggettivazione criti-1 G. Bonaiuti, Introduzione. La catastrofe e il parassita, in G. Bo-naiuti, A. Simoncini, La catastrofe e il parassita. Scenari della transizione globale, Milano, Mimesis, 2004, pp. 22. e 37. Per un approfondimento sul-la figura soggettiva del parassita, cfr. G. Bonaiuti, Il dilemma del parassita, in “Rivista di Studi sullo stato”, Firen-ze, 2008, in http://www.unifi.it/rivsts/saggi/Bonaiuti%20dilemma/Bonaiu-ti%20dilemma.pdf?idv=1438.2 Ibidem.3 Il concetto di “intelligenza collettiva” qui richiamato non ha nulla a che vedere con forme di soggettività che, prendendo forma nel punto più avanzato dello sviluppo capitalistico, diverrebbero per ciò stesso egemoni; acquisendo così le capacità e il dirit-to di indicare al resto dei lavoratori esistenti la strada maestra della libe-razione dalla presa del capitale, sulla base di un paradigma stadiale. Oltre ogni determinismo, pare oggi invece chiaro ai più che “non si possono gio-care i knowledge workers, e nemme-no i lavoratori autonomi di seconda o terza generazione, contro gli operai di fabbrica, i quali non sono un residuo in via di estinzione, sono una corposa realtà sociale, civile, umana, in Italia come, tanto più, nell’arena globale del mondo che sta per venire”. M. Tronti, Per una critica dell’immaterialismo storico, in “Alfalibri” , 1, 2011 (supple-mento di “Alfabeta2”, 9, 2011).

ca; pratiche di sottrazione ai pervasivi dispositivi di cattura e di precarizzazione che quell’intelligenza mira-no a neutralizzare social-mente e politicamente4. C’è poi un dato che non deve sfuggire: le piazze eu-ropee tradiscono una com-posizione sociale simile a quelle che dal Cairo a Tu-nisi, da Damasco ad Algeri, da Sanà a Manama ed oltre, si sono riempite di donne e uomini similmente giovani (seppure non manchino i meno giovani), acculturati (pur in presenza di analfa-beti), allenati alle nuove tec-nologie, precari, impoveriti quando non disoccupati, e ugualmente interessati tan-to alla libertà di movimen-to e di espressione, quan-to ad una comunicazione orizzontale e autonoma, all’autodeterminazione radicale e al rifiuto del co-mando statuale5. E per ciò stesso, attraverso un’“opera continua di trasformazione dell’esistenza passiva in po-tere costituente”, essi sono almeno virtualmente capaci di tentare la re-invenzione “di una istituzione consi-liare e partecipata”6: una istituzione intesa, cioè, come quel sistema imma-ginario di “anticipazione” e quel “modello positivo di azione” nella cui filigrana si dà a vedere la possibile fine del dominio dell’Uno sui molti7. Anche a partire 4 Cfr. P. Dardot, C. Laval, le retour de la guerre sociale, in http://uninomade.org/le-retour-de-la-guer-re-sociale/.5 Cfr. F. Tomasello, Conflitti, in “Alfabeta2”, 9, 2011.6 M. Pezzella, Nuove istitu-zioni democratiche per i beni comuni, in P. Cacciari (a cura di), La società dei beni comuni. Una rassegna, Roma, Ediesse, 2010, p. 80.7 G. Deleuze, Istinti e istitu-zioni, Milano, Mimesis, 2002, p. 30, su cui cfr. U. Fadini, Deleuze positivo, contenuto nello stesso volume.

da questa similitudine nel-la composizione sociale e nelle potenzialità politiche, l’intelligenza collettiva eu-ropea è interrogata dai tu-multi che negli ultimi mesi hanno radicalmente segna-to, pur tra mille difficoltà e qualche ambiguità, molti paesi del Nord Africa e del Medio oriente, aprendo una fase politica ancora difficil-mente interpretabile, ma senz’altro emersa in misura determinante dal desiderio di dignità, di uguaglianza e di libertà dei popoli8. Prima tra tutte - sia detto per inciso, ma è un inciso che conta - quella libertà di movimento che, prati-cando sapientemente il “di-ritto di fuga”, moltitudini di migranti hanno agito e continuano ad agire ma-terialmente9; e che molti esecutivi europei temono al punto tale di aver premu-to fin da subito “sui nuovi governi «democratici» per stipulare trattati che reinte-grino i loro Paesi nel posto che da anni occupano nel regime europeo di controllo dei ‘confini esterni’ dell’U-nione e delle migrazioni”: il posto dei gendarmi per con-to terzi10. E tutto ciò accade proprio mentre gli stessi go-verni europei combattono quella nuova edizione della “guerra umanitaria” che Danilo Zolo ha recente-mente definito “l’ennesima 8 Cfr. M. Mellino, Buenos Aires 2001-Tunisi 2011, la fine di una lunga notte in 10 anni, in http://uni-nomade.org/buenos-aires-2001-tu-nisi-2011-la-fine-di-una-lunga-notte-in-10-anni/; S. Chignola, S. Mezzadra, Europa-Maghreb, la democrazia può fare sponda, in “Il manifesto”, 16 feb-braio 2011.9 S. Mezzadra, Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, glo-balizzazione, Verona, Ombre corte, 2006.10 S. Mezzadra, Libertà me-diterranea, http://uninomade.org/liberta-mediterranea/.

sanguinaria impostura”11. E che per Immanuel Wal-lerstein è innazitutto la “grande distrazione dal conflitto politico principa-le”: quella grande rivolta laica e antiautoritaria dei giovani, cioè, che sembra allargarsi a macchia d’olio e che proprio per questo l’Arabia Saudita – armando la repressione in Siria, nel Bahrein e nello Yemen - e la coalizione occidentale a guida Nato – le cui compo-nenti sono tutte interessate a vario titolo a mantenere il controllo nel Golfo e sulla sponda Sud del Mediterra-neo - vogliono a tutti i costi contenere e bloccare12. “Sanguinaria impostura” o utile, “grande distra-zione”, una cosa è certa: come ha osservato in un recente intervento Sandro Mezzadra, i governi dell’I-talia e dell’Europa “non vogliono regimi ‘democra-tici’ sulla sponda sud del mediterraneo”13. E, come se non bastasse, quegli stes-si governi si sono spinti fino a un gradino ulteriore: han-no proposto la forzatura in senso regressivo di quello stesso Trattato di Schengen che ha fin qui consentito all’Unione Europea di go-vernare i confini e la libertà di movimento grazie ad un abile dispositivo di dighe14; un dispositivo che, come un setaccio, da una parte lascia filtrare funzionalisti-camente tutto il lavoro mi-grante che serve - per poi imbrigliarlo in condizioni neoservili negli alvei del mercato del lavoro che lo richiedono - e dall’altra par-te contiene prima ed espelle poi tutti coloro che vengo-no ritenuti inutili esuberi del sistema, esseri superflui, “vite di scarto”15. 11 D. Zolo, L’impostura crimi-nale della guerra in Libia, in “Il mani-festo”, 22 Marzo 2011.12 I. Wallerstein, Guerra in li-bia, utile distrazione, in “Il manifesto”, 6 aprile 2011. Per un’interessante let-tura degli stessi processi cfr. R. Scior-tino, Boomerang libico per un fragile occidente, in http://uninomade.org/boomerang-libico-per-un-fragile-occi-dente/ e Id., Obama dopo Osama, in http://uninomade.org/obama-dopo-osama/.13 S. Mezzadra, Libertà medi-terranea, cit.14 Si tratta di una forzatura che, ad esempio, il governo di destra danese ha recentemente proposto in piena campagna elettorale. Cfr. C. La-nia, Schengen, scricchiolii sinistri, in Il manifesto”, 12 Maggio 2011.15 Z. Bauman, Vite di scar-to, Roma-Bari, Laterza, 2005. Per una recente ripresa politica del tema, cfr. A. Illuminati, L’invenzione del clande-stino, in http://www.globalproject.info/it/in_movimento/Linvenzione-del-clandestino/7983 .

Insomma, Scepsi nasce mentre molti lottano per restituire autonomia alla società, ma vengono du-ramente contrastati dal rumore sordo della guerra e dalla violenza invisibile e quotidiana del capitale, proprio come accade ai mi-granti appena richiamati. È a quei molti che vogliamo associarci programmati-camente, innanzitutto la-sciandoci attraversare dalle loro lotte e poi contribuen-do a pensare, e ad agire, la composizione delle no-stre lotte. Lotte per ciò che Etienne Balibar, pensando proprio in una dimensione europea e globale -ed attua-lizzando la grande coppia dei concetti rivoluzionari -, ha recentemente definito “égaliberté»16; lotte per un nuovo Welfare continentale e per il reddito di esistenza o di cittadinanza, una citta-dinanza a cui ovviamente possano pienamente acce-dere anche i migranti; lotte per sottrarre tutto ciò che è comune - l’acqua e i beni comuni naturali, certo, ma anche i diritti sociali, la mo-bilità, la conoscenza, il bìos ed altro ancora - alla cattura sistematica praticata tanto dai dispositivi di governo molari predisposti dalle isti-tuzioni sovranazionali, da-gli stati e dal capitale (sem-pre dinamicamente alleati), quanto dalla sapienza mi-crofisica di un potere che oggi - al tempo di quello che Luciano Gallino ha de-finito “finanzcapitalismo” - è compiutamente divenuto “biopotere»17. E ciò nel contesto di una “ipermo-dernità” che ha raffinato ad oltranza le logiche della società dello “spettacolare integrato” così ben descrit-te a suo tempo da Guy De-bord18. 16 E. Balibar, La proposition de l’égaliberté, Paris, PUF, 2010.17 L. Gallino, Finanzcapita-lismo. La civiltà del denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011. Comune è tanto “la ricchezza comune del mondo ma-teriale, l’aria, l’acqua, i frutti della ter-ra e tutti i doni della natura”, quanto, “con maggior precisione, tutto ciò che si ricava dalla produzione sociale, che è necessario per l’interazione sociale e per la prosecuzione della produzio-ne, come le conoscenze, i linguaggi, i codici, gli affetti e così via”. M. Hardt, A. Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Milano, Rizzoli, 2010, p. 7-8. Sul tema, cfr. anche D. Harvey, The future of the commons, in “Radical Hi-story Review”, 109, 2011 e U. Mattei, La nozione del comune, in P. Cacciari (a cura di), La società dei beni comuni, cit. 18 G. Lipovetsky, Les temps hypermodernes, Paris, Grasset, 2004; G. Debord, La società dello spettaco-lo, Milano, Baldini & Castoldi, 1997.

SCÉPSIEuropean School of Social ImaginationSan Marino

Scepsi: nel paese dell’ultimo capitalismo Pubblichiamo qui la seconda parte del testo completo della relazione del gruppo SCEPSI San Marino esposta in occasione della conferenza inaugurale, la cui redazione è stata affidata ad Alessandro Simoncini

Daniela Comani

LUCE In azione

Thea Tini - “thedarksideofthelight” (I Capitani Reggenti della RSM) - 2010 - (Schizzo) Carboncino su tela - 200 x 220 cm

Christian Ceccaroni

Omar Paolucci

Lars Teichmann

Ottavio Fabbri

Marco Bravura

Thea Tini

Daniela Tonelli

Patrizia Merendi

Verdiano Marzi

Dorothee Albrecht

“Un piccolo stato, [...] non si sottrae all’obbligo di divenire luogo d’incontro di artisti, di diversa scuola e formazione culturale, che si confrontano sulla complessità, il fascino, l’emblematicità della LUCE fisica, filosofica, metafisica, ovvero intorno alla materia, al pensiero, alla trascendenza”. (“ILLUMInazioni”, catalogo della 54. Esposizione Internazionale d’Arte. La Biennale di Venezia, maggio 2011, pag. 434)

“[...] Il percorso dell’arte compiuto da San Marino, percorso, a volte, difficile, più spesso amato, ma anche ostacolato, voluto e reso sterile, negato e rigenerato, ci vede, oggi, lievemente immersi in una nebbia che, similmente a ciò che avviene spesso nelle giornate autunnali sul nostro Monte, tende progressivamente a diradarsi [...]”. (“LUCE In azione”, giugno 2011, pag. 6)

Sono riflessioni che contengono alcuni elementi di speranza. San Marino ha fatto molto per l’arte nel recente passato: biennali (fra le più avanzate ed apprezzate); mostre con la M maiuscola (Merz, Vedova, Mari, per non citarne che alcune), presenze a incontri internazionali di elevata qualità, e così via. Con questa partecipazione alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte, si è cercato di continuare a percorrere quella strada. Di fronte alle difficoltà di oggi, alla così detta, globalizzazione edace, nel vedere un’Italia che espone, nei casi migliori, il “passato” o una Germania che vince il leone d’oro raccontando il dramma di Schlingensief, non so se le riflessioni della nostra Comani sul “secolo breve” o di Daniela Tonelli che insegue il messaggio positivo di una stella, possano essere oggetto di eguale attenzione; certo hanno contenuti forti e quindi, pur essi, meritevoli di essere presenti in questo dialogo fra popoli e culture.Oggi l’arte è in grave difficoltà; ma è con gli artisti ed i poeti che il pensiero e la storia si cimentano nella comprensione del mondo. In clima di celebrazioni dell’unità d’Italia, penso alle barricate del ‘48, agli artisti ed i poeti che vi perdettero la vita. Di fronte alla morente aristocrazia ottocentesca vado alla critica fattane dai realisti alla Courbet o, qualche anno dopo, di fronte alla decadenza borghese, alla critica fattane dagli espressionisti alla Munch o alla Ensor. Di fronte alla nascente società delle masse penso alle lezioni di Van Doesburg; al costruttivismo russo, al suprematismo di Malevich o al razionalismo della Bauhaus di Gropius, dove approdarono i Kandisky ed i Klee. In presenza dei drammi del novecento europeo sento la forza morale esercitata dal “Povero BB” o da Tzara nella tragicomica rappresentazione del “DA..DA”. Di fronte ai torbidi meccanismi d’alienazione dell’“Uomo ad una dimensione”, espressione la più aberrante del consumismo capitalista, mi sovviene la lezione americana della pop art di Lichtenstein o la lettura critica del paesaggio della mente che ci proviene dall’arte concettuale e povera di Paolini o Pistoletto.Chissà che non succeda che a qualcuno non passi per la mente di fermarsi a riflettere anche di fronte ad alcune opere esposte nel Padiglione della Repubblica di San Marino?

■ INTERVISTA ■ PRADAL. CURATORE DEL PADIGLIONE ■

Tante luci contro le ombre dell’oggi

San Marino alla BiennaleQuando San Marino incontra l’arte

di LM MORGANTICommissario per San Marino

Valerio Pradal

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