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OME ALLA · il lato oscuro dell’universo. Ha iniziato l’uomo antico osservando il cielo, e nel cielo la Luna con il suo lato oscuro mai osservato dall’occhio umano, prima che

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

IL LATO… OSCURO DELL’UNIVERSO 9 di Massimo Della Valle IL SOLE NERO 11 di Marcella Marconi I PRIMI TRE MINUTI 13 di Giuseppe Longo POSSIAMO PARLARE DI “COSMOLOGIA DI PRECISIONE”? 15 di Salvatore Capozziello L’ULTIMO TRENO PER IL RITORNO AL PASSATO 1 di Giancarlo Barbarin

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Il sereno è cosparso d'orribili Soli morti, sedimenti densissimi d'atomi stritolati....

La luce stessa ricade, rotta dal proprio peso...

[da ‘Le Stelle Nere’ di Primo Levi]

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Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

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Massimo Della Valle si è laureato in Astronomia presso l’Università degli Studi di Padova nel 1983. Ha iniziato il Dottorato di Ricerca, presso l’Osservatorio Astronomico di Byurakan in Armenia (allora ancora parte dell’URSS), che ha poi terminato a Padova nel 1988. Si occupa di esplosioni stellari, come le Supernovae e i Lampi Gamma, che utilizza per misurare le dimensioni dell’Universo. Fanno spicco, a partire dal 1998, le sue collaborazioni con i tre vincitori del Nobel per la Fisica 2011 (Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian P. Schmidt) per la scoperta dell’accelerazione dell’Universo. In particolare è coautore con Perlmutter del primo lavoro, pubblicato sulla

rivista Nature nel Gennaio del 1998, che ha dimostrato l’esistenza dell’espansione accelerata dell’Universo. Nel 1989 è stato “Fellow” presso la SISSA_Scuola di Studi Superiori Avanzati di Trieste. Dal 1990 al 1994 ha lavorato in Cile presso l’ESO_European Southern Observatory, il maggior osservatorio astronomico operante da Terra. Nel 1995 è rientrato in Italia come ricercatore presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova. Nel 1999 è diventato Astronomo Associato presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri e professore a contratto di “Tecniche ottiche e radio in Astronomia” presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Ferrara. Dal 2007 è “Dirigente di Ricerca” dell’INAF_Istituto Nazionale di Astrofisica e professore presso il ICRANet_Centro Internazionale di Astrofisica Relativistica. Nel 2008 ha operato presso la “Divisione Strumenti” dell’ESO di Monaco di Baviera, dove ha lavorato al progetto E-ELT_European Extremely Large Telescope, un telescopio di 40 m che inizierà ad operare nel 2023. Dall’1 aprile 2010 è Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte - INAF Istituto Nazionale di AstroFisica di Napoli. È rappresentante italiano, in seno al Consiglio Scientifico, dell’International Center for Relativistic Astrophysics. In qualità di “sabbatical scientist” ha tenuto seminari e corsi universitari in importanti centri internazionali per la ricerca astrofisica come il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Tokyo, il KAVLI Institute dell’Università di Santa Barbara in California, il KAVLI Institute di Beijing, l’Hubble Space Telescope Institute di Baltimora, l’Aspen Center for Physics, in Colorado, il Niels Bohr Institute di Copenhagen, la Queen’s University di Belfast e l’Università Sophia Antipolis di Nizza. Ha coordinato nella sua carriera più di cento proposte osservative poi svolte nei maggiori Osservatori al mondo e numerosi programmi di ricerca finanziati dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. È autore di circa quattrocento pubblicazioni apparse su riviste scientifiche internazionali. Unisce l’impegno per gli studi scientifici con l’attività di promozione e divulgazione della cultura scientifica in Italia e all’estero.

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UNIVERSITÀ D STUDI DI NAPOLI FEDERICO II COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il lato... oscuro dell’Universo

IL LATO OSCURO DELL’UNIVERSO Massimo Della Valle Direttore Osservatorio Astronomico di Capodimonte Istituto Nazionale di Astrofisica

È nel destino dell’uomo confrontarsi con

il lato oscuro dell’universo. Ha iniziato l’uomo

antico osservando il cielo, e nel cielo la Luna con

il suo lato oscuro mai osservato dall’occhio

umano, prima che le missioni spaziali lo

rendessero accessibile. A fine ‘800 Sigmund

Freud obbliga l’uomo a confrontarsi con il suo

“lato oscuro”: l’Unbewusst, l’inconscio, che non

si conosce, ma che determina le nostre condotte

intellettuali e sociali e i nostri legami affettivi.

Qui il parallelo con l’astrofisica è sorprendente.

Nel 1933 l’astronomo svizzero Fritz Zwicky stava

misurando le velocità delle galassie appartenenti

all’ammasso della Chioma, una congerie di più di

1000 galassie radunate in un volume

relativamente piccolo di spazio, distante circa

450 milioni di anni luce. Zwicky si rese conto che

le galassie si muovevano troppo velocemente

rispetto al legame gravitazionale prodotto dalla

materia, che osserviamo al telescopio (vedi

figura). L’astronomo svizzero giunse alla

conclusione che circa il 90% della materia

contenuta nell’ammasso della Chioma doveva

essere presente sottoforma di materia “oscura”.

La materia “oscura” non si vede e non si

conosce, sfugge alla visione del telescopio, ma

determina con la sua azione gravitazionale la

dinamica delle galassie e degli ammassi di

galassie. È invisibile ai nostri telescopi perché è

incapace di emettere “luce”, da qui il nome

“materia oscura”. Gli astrofisici convivono con

questo mistero da più di ottanta anni e stanno

cercando in tutti i modi di identificare le

particelle elementari costituenti questa strana

forma di materia. Uno dei tentativi più

promettenti è quello di cercarla con i grandi

acceleratori di particelle, come il Large Hadron

Collider del CERN a Ginevra. A partire dalla fine

degli anni ’90 la situazione si è ulteriormente

complicata. Nel 1998 due team di astronomi

utilizzarono un particolare tipo di esplosioni

stellari (le Supernovae) per misurare il

rallentamento del tasso di espansione

dell’Universo. Il risultato fu sconcertante:

l’Universo non stava rallentando la sua

espansione, come era logico aspettarsi per

effetto della gravitazione prodotta al suo interno,

ma accelerava. L’Universo sta accelerando la

sua espansione sospinto da un’energia

misteriosa, che oggi chiamiamo “energia

oscura”. Le conseguenze di questa scoperta ci

lasciano attoniti. L’Universo nel quale viviamo è

costituito per il 70% di “energia oscura”, per il

25% di “materia oscura” e per il restante 5% di

materia “ordinaria”. Quindi, tutto quello che

oggi noi conosciamo dell’Universo è basato

essenzialmente su quel misero 5% di materia

visibile, la cosiddetta materia barionica. A

tutt’oggi non sappiamo di cosa sia fatta la

“materia oscura” e quale sia l’origine dell’

“energia oscura”, quindi ignoriamo la natura del

95% dell’Universo nel quale viviamo. Questa

scoperta (o paradossalmente questa “non

scoperta”) valse a Saul Perlmutter, Adam Riess

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and Brian Schmidt il premio Nobel per la fisica

nel 2011, e ai due italiani coinvolti in questa

splendida avventura scientifica (Nino Panagia,

dello Space Telescope Institute di Baltimore e il

sottoscritto) la soddisfazione di aver contribuito

a questo risultato che sfida il nostro sapere nel

perenne confronto con “il lato oscuro”

dell’Universo.

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IL SOLE NERO Marcella Marconi Astronoma Osservatorio Astronomico di Capodimonte Istituto Nazionale di Astrofisica

Il Sole è nato 4,6 miliardi di anni fa dal

collasso di una nebulosa di gas e polveri. Per

diventare una stella, il suo nucleo si è contratto

sotto l’azione della gravità riscaldandosi fino a

raggiungere la temperatura di dieci milioni di

gradi, sufficienti per iniziare la reazione nucleare

di fusione dell’idrogeno in elio. Ogni secondo

circa 600 milioni di tonnellate d’idrogeno sono

trasformate in elio ed energia. La quantità di

energia prodotta dal Sole in un secondo è

enorme, pari a 100 mila miliardi di volte

l’energia sprigionata dall’esplosione che

distrusse Hiroshima. Sulla Terra siamo

quotidianamente alle prese con problemi

energetici, fa riflettere il fatto che meno di un

miliardesimo di questo smisurato flusso di

radiazione viene intercettato dal nostro pianeta,

la quasi totalità si disperde nello spazio. Il nostro

Sole è una stella di piccola massa, come tante ce

ne sono nella Via Lattea, circa 100 miliardi,

composta per il 70% di idrogeno, per il 28 % di

elio e per il resto dagli altri elementi chimici più

pesanti. La nostra stella impiegherà circa dieci

miliardi di anni per esaurire il combustibile

presente nel suo nucleo, quindi oggi si trova a

circa metà della sua vita. All’esaurirsi dell’idro-

geno la gravità, non più bilanciata dalle reazioni

nucleari, prenderà il sopravvento e il nucleo

comincerà a contrarsi e conseguentemente a

riscaldarsi. Si raggiungeranno temperature altis-

sime tali da provocare l’espansione degli strati di

idrogeno sovrastanti il nucleo. Il raggio del Sole

aumenterà a dismisura, più di 100 volte rispetto

alle dimensioni attuali, e la stella diventerà una

Gigante Rossa. In questa fase il Sole inghiottirà

l’orbita di Mercurio, di Venere e anche quella

della Terra. Le future generazioni per

sopravvivere alla “fine del Mondo” dovranno

trovare il modo di emigrare su Marte o su

qualche luna di Giove o Saturno, ma più

probabilmente dovranno trovare rifugio in un

pianeta orbitante attorno ad un’altra stella: cioè

bisognerà traslocare in un altro Sistema Solare.

Dopo la fase di Gigante Rossa il nucleo del Sole

inizierà a contrarsi nuovamente e la temperatura

al suo interno ad aumentare, fino a circa 100

milioni di gradi, iniziando la combustione

dell’elio. La fusione dell’elio durerà poche decina

di milioni di anni e i prodotti della fusione,

essenzialmente Carbonio, si accumuleranno

inerti nel nucleo. Infatti, la massa del Sole non è

abbastanza grande da far sì che questi prodotti

possano a loro volta essere impiegati in

successive reazioni nucleari fino a culminare

nell’esplosione di Supernova. Seguirà una

seconda fase di espansione con la perdita degli

strati più esterni, e la trasformazione del Sole in

un oggetto spettacolare chiamato Nebulosa

Planetaria (vedi figura) ovvero un nucleo inerte

circondato da una nube colorata di gas ionizzato.

Al termine di questa fase il Sole diventerà una

Nana Bianca cioè un oggetto molto denso che

brilla in cielo per il calore emanato dalla sua

caldissima superficie, pur non avendo una

sorgente interna di energia. La Nana Bianca, che

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nascerà dal Sole, avrà un diametro di circa

15000 Km, simile a quello terrestre, e una

massa pari ad un milione di volte la massa della

Terra. La densità è tale che un “cucchiaino” di

Nana Bianca peserebbe decine di tonnellate. Il

destino del nostro Sole sarà segnato. Si

raffredderà progressivamente per decine di

miliardi di anni finendo con lo “spegnersi”, come

la fiamma di una candela, e si trasformerà in

una elusiva Nana Nera.

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I PRIMI TRE MINUTI Giuseppe Longo Professore di Astrofisica Università degli Studi di Napoli Federico II

La cosmologia moderna è una scienza

giovane, nata sul finire degli anni ‘20 del secolo

scorso con la scoperta dell’espansione

dell’universo ed uscita da una travagliata

adolescenza solo negli ultimi anni ’70 con la

scoperta della radiazione cosmica di fondo e con

i primi studi sistematici del modo in cui le

galassie sono distribuite nello spazio che ci

circonda. Di fatto, sono solo circa trent’anni da

quando l’Uomo ha iniziato ad avere una

conoscenza meno che superficiale dell’universo

che lo circonda. Malgrado ciò sappiamo con

certezza che circa quattordici miliardi di anni fa,

l’universo non esisteva e non esistevano

neanche lo spazio e il tempo. E già qui, so di

avere perso i tre quarti dei miei lettori. Per

quelli tra noi più inclini alla filosofia potremmo

dire che c’era il nulla, nel senso aristotelico del

termine. Poi improvvisamente l’universo ebbe

inizio in un enorme rilascio di energia detto “big

bang” o grande scoppio. Il problema è che il big

bang tutto fu tranne che uno scoppio e non a

caso il nome fu ideato da Fred Hoyle che,

all’epoca, era il principale oppositore della teoria.

Uno scoppio presuppone uno spazio vuoto in cui

scoppia qualcosa. Quattordici miliardi di anni fa

lo spazio non esisteva ancora e, quindi, più che

di uno scoppio si dovrebbe parlare

dell’estensione di un’enorme molla che,

espandendosi, creava e crea ancora oggi lo

spazio ed il tempo all’interno del quale si

espande. E qui so di aver perso anche gli ultimi

lettori.

Comunque sia, all’epoca l’universo aveva

densità e temperatura talmente alte da impedire

alla materia di esistere nelle condizioni in cui la

conosciamo oggi. L’energia si convertiva in

miriadi di particelle e di antiparticelle che a loro

volta, scontrandosi si riconvertivano in energia.

Man mano che l’universo si espandeva, l’energia

si diluiva e questa sorta di fluido si raffreddava

fino a che, a un certo punto, la densità di

energia divenne troppo bassa per permettere la

formazione di nuova materia. In altre parole,

l’universo divenne abbastanza freddo da

permettere alla materia di esistere e, dopo circa

tre minuti dall’inizio, si formarono i primi nuclei

di elio dalla fusione di neutroni e protoni.

L’aver ricostruito questa catena di eventi

è uno dei più grandi trionfi della scienza

moderna e, non a caso, circa venti anni fa il

grande fisico inglese Steven Weinberg pubblicò

un libro intitolato “I primi tre minuti” che

vendette milioni di copie e divenne il primo best

seller di divulgazione scientifica. Allora come

ora, il libro non mi piacque perché dava

un’immagine sbagliata della scienza: una scienza

trionfante, non problematica, dove tutto era

spiegato e compreso.

In fondo, se siamo in grado di descrivere

la storia dell’universo nei suoi primi tre minuti

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spingendoci fino a un miliardesimo di

miliardesimo di miliardesimo di secondo

dall’istante iniziale, cosa resta da spiegare?

Soprattutto, perché dovremmo continuare a

investire milioni di euro in una ricerca che ha già

raggiunto il suo obiettivo principale ed ha

spiegato l’origine dell’universo e quindi di tutto?

La scienza trionfante che emerge dai libri di

divulgazione è rassicurante ma noiosa, e

soprattutto non ha nulla a che fare con la

scienza vera, problematica e intrigante, quella

scienza che spinge i giovani a fare ricerca. E

allora, è meglio dire la verità e riconoscere che i

primi tre minuti descritti da Weinberg sono solo

un filo conduttore per leggere un’opera molto

complessa di cui intuiamo la trama ma di cui, al

momento, non conosciamo neanche gli attori

principali. Non sappiamo, ad esempio, di cosa

sono fatte quella materia e quell’energia oscure

che formano circa il 90% (non è un refuso) della

massa dell’universo, non sappiamo ancora come

ha fatto l’universo a raffreddarsi così

velocemente da permettere la formazione della

materia, non sappiamo neanche qual è la sua

vera geometria. Ed è forse questo che vale la

pena di raccontare ai giovani ed ai politici.

Investiamo in ricerca perché tutto è ancora da

capire.

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POSSIAMO PARLARE DI “COSMOLOGIA DI PRECISIONE”? Salvatore Capozziello Professore di Astronomia e astrofisica Università degli Studi di Napoli Federico II

La Cosmologia è lo studio dell'Universo

nel suo insieme. Fino agli inizi del secolo scorso

era considerata una branca della Metafisica con

questioni irrisolvibili come le Antinomie di Kant.

Ad esempio: L’Universo è finito o infinito? È

sempre esistito oppure ha avuto un’origine?

Tali domande sono assolutamente indecidibili in

ambito filosofico e possono considerarsi

addirittura oziose.

Con l’avvento della Relatività Generale,

il punto di vista è cambiato radicalmente.

Nella famosa prolusione all’Accademia Prussiana

delle Scienze, Einstein ipotizza, nel 1917, che

l’Universo può essere trattato come un sistema

fisico. In altre parole, le equazioni della

Relatività descrivono l’evoluzione globale dello

spazio tempo e quindi dell’intero Universo!

Questa “ipotesi matematica” è supportata da

moltissime osservazioni e oggi possiamo

considerare la Cosmologia alla stregua delle

altre scienze esatte. Comunque, essa presenta

un’importante differenza. Mentre la Fisica, la

Chimica o la Biologia sono scienze ipotetico

deduttive, sperimentali, la Cosmologia non lo è,

nel senso che esperimenti “cosmologici” non

sono possibili. Il procedimento va quindi

invertito: da osservazioni, in principio non

“riproducibili”, si devono estrarre informazioni

da cui desumere modelli auto consistenti. Le

osservazioni sulla recessione delle galassie, gli

elementi chimici primordiali, la radiazione di

fondo cosmico, la determinazione di “strutture a

larga scala” hanno contribuito alla costruzione di

un Modello Cosmologico Standard. Esso è

basato sulle equazioni di Einstein,

sull’espansione cosmologica e sulla possibilità

di “prevedere” un inizio e una fine dell’intero

Universo. Gli aspetti puramente speculativi di

questo approccio hanno recentemente subito

una svolta decisiva. Le osservazioni da Terra e

dallo spazio sono diventate talmente accurate

che si può parlare di Cosmologia di Precisione,

rendendo l’immagine del Cosmo estremamente

realistica. Questi risultati hanno portato a

nuove problematiche che costituiscono alcuni

tra gli aspetti più impellenti della scienza

moderna. Ad esempio, le strutture cosmiche

sembrano sostenute da enormi quantità di

Materia Oscura, cioè materia che non assorbe o

emette luce, ma ha massa e “peso” come la

materia ordinaria che sperimentiamo ogni

giorno. L’Universo stesso sembra accelerare a

causa di una non ben identificata forma di

Energia Oscura. Purtroppo, oggi non si ha

nessuna idea definitiva di cosa siano realmente

tali componenti oscure, di cui se ne rilevano

ampiamente gli effetti. Come spesso accade

nella scienza, gli esperimenti e le osservazioni

sono più “avanti” della teoria. Si pensi, ad

esempio, agli spettri atomici e ai fenomeni

microscopici che non possono essere interpretati

nell’ambito della Meccanica Classica, ma per i

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quali occorre la Meccanica Quantistica. Sembra

quindi che siamo esattamente in una situazione

analoga, ma con la differenza sostanziale che

ora il “laboratorio” è l’intero Universo.

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L’ULTIMO TRENO PER IL RITORNO AL PASSATO Giancarlo Barbarin Professore di Fisica sperimentale Università degli Studi di Napoli Federico II

Elusivi, sfuggenti, i neutrini possono

attraversare tutto l'Universo senza essere

deflessi né assorbiti, e fornire così informazioni

sui luoghi più estremi del cosmo. I neutrini

prodotti nelle sorgenti astrofisiche attraversano

imperturbati regioni dense e caldissime come

l'interno delle sorgenti astrofisiche e possono

giungere fino a noi dagli estremi limiti

dell'Universo senza essere deviati da campi

magnetici (come i protoni) o assorbiti (come i

raggi gamma di alta energia e i protoni più

energetici) (figura 1). Viaggiando quasi del tutto

indisturbati per distanze cosmologiche, i neutrini

conservano l’informazione sulla direzione di

provenienza (puntamento), estendendo

l’orizzonte di osservabilità degli eventi e

rendendo accessibili regioni dell’Universo dense

e compatte, opache alla radiazione

elettromagnetica. Questi messaggeri

dell'Universo "violento" porteranno informazioni

preziose sui più potenti acceleratori cosmici

(galattici ed extra-galattici) e permetteranno di

svelare il mistero dell'origine dei raggi cosmici e

delle condizioni per accelerarli fino a energie

elevatissime.

Le previsioni teoriche suggeriscono però

un flusso di neutrini astrofisici molto ridotto, che

si traduce in un numero estremamente piccolo di

eventi osservabili a terra. Sono quindi necessari

apparati di rivelazione dell’ordine di 1 km3 per la

loro rivelazione. Apparati di rivelazione di queste

dimensioni sono realizzabili solo sfruttando

risorse naturalmente disponibili, quali l’acqua del

mare o il ghiaccio delle calotte polari,

opportunamente instrumentati per rivelare

queste particelle. Nessun laboratorio

tradizionale, infatti, potrebbe contenere la

massa necessaria a costituire un bersaglio per la

raccolta di un numero sufficiente di interazioni.

Un telescopio per neutrino è quindi

costituito da migliaia di sensori ottici immersi in

acqua o in ghiaccio che hanno il compito di

fotografare i lampi di luce (luce Cherenkov)

emessi nei processi di interazione dei neutrini

con l’acqua o il ghiaccio. I sensori ottici,

installati su alcune centinaia di strutture

meccaniche alte diverse centinaia di metri,

"registrano" i tempi di arrivo e l'intensità della

luce raccolta permettendo così di risalire alla

direzione di provenienza e all'energia del

neutrino (figura 2).

Nei ghiacci dell'Antartide IceCube, un

telescopio da un chilometro cubo che osserva

l'emisfero Nord, è già in avanzata fase di

costruzione. Il progetto Km3Net invece prevede

la costruzione di una gigantesca antenna

sottomarina che occuperà un volume di circa un

chilometro cubo nei fondali marini di Capo

Passero (3.500 m di profondità, a 80 km dalla

costa siciliana). Questi due telescopi

permetteranno l’osservazione completa di tutto il

cielo. I telescopi per neutrini di alta energia sono

strumenti di scoperta che apriranno una nuova

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finestra osservativa sull'Universo ed è molto

probabile che guardando il cosmo con nuovi

"occhi", com’è spesso avvenuto in passato, si

scoprano fenomeni inattesi.

figura 1 Un acceleratore cosmico emette fotoni, neutrini e nuclei, ma solo i neutrini possono attraversare distanze cosmologiche senza essere assorbiti o deflessi. I neutrini permettono anche di indagare

la natura di oggetti densi e compatti, opachi alla radiazione elettromagnetica

figura 2 Tecnica Cherenkov per la rivelazione di tracce di muoni in telescopi sottomarini. I muoni sono prodotti nelle interazioni dei neutrini, mentre la luce Cherenkov (cono blu) è raccolta per mezzo di un reticolo tridimensionale di sensori ottici. A destra è visibile una traccia ricostruita come proveniente dal basso e quindi interpretabile come evento di segnale.

In evidenza i fotomoltiplicatori colpiti dall'emissione di luce Cherenkov. [Da antares.in2p3.fr]

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