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FULVIO MILANO La valutazione delle aziende

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FULVIO MILANO

La valutazione delle aziende

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Introduzione Il tema della valutazione delle aziende è da sempre al centro dell’attenzione di studiosi ed operatori, data la rilevanza che esso riveste nelle moderne economie: acquisizioni, fusioni, acquisti di titoli in borsa, scissioni, finanziamenti, ecc, pongono continuamente il quesito su “quanto vale “l’azienda oggetto dell’operazione. Nelle pagine che seguono l’approccio alla valutazione è stato affrontato in un’ottica tecnico-empirica, tenendo cioè conto sia degli insegnamenti della dottrina, sia delle esperienze operative maturate nella conduzione delle aziende. L’argomento è stato volutamente sviluppato in modo schematico, per una migliore sintesi, poiché avrebbe altrimenti richiesto una ben più ampia trattazione.

1. La valutazione della aziende

1.1. Principi generali Per valutazione dell’azienda si intende il processo logico di individuazione del valore economico dell’impresa, risultante cioè dalla valutazione unitaria dell’intero sistema d’impresa con le sue articolazioni sistematiche di beni, persone e relativa organizzazione sia verso l’intera azienda che verso il mercato esterno.

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Infatti, la valutazione del valore del capitale economico può servire a finalità ordinarie (monitoraggio della performance d’impresa, garanzie societarie con particolare riferimento ai soci minoritari) e a finalità straordinarie (processi di M&A, liquidazioni e scissioni). Il “valore del capitale economico di un’azienda” viene definito in dottrina secondo due principali orientamenti:

- un orientamento di tipo finanziario, che definisce il valore del capitale economico quale valore attuale dei flussi di cassa attesi, più il valore attuale risultante dalla alienazione o liquidazione dell’azienda;

- un orientamento di tipo aziendalistico, che considera quale valore del capitale economico il valore di scambio attribuibile al capitale proprio, valore che è funzione del reddito economico atteso normalizzato e della consistenza patrimoniale dell’azienda.

Il valore del capitale economico dell’azienda viene determinato da un valutatore “terzo” esterno, con metodologie e criteri ispirati alle regole generali di finanziamento del mercato, per quanto riguarda il patrimonio, i flussi di reddito e flussi finanziari. Questo valore del capitale economico è distinto dal capitale di bilancio, che è un fondo di valori risultante dalla somma di diverse componenti elementari. Il valore di capitale economico è quindi critico e va tenuto distinto concettualmente dal valore di capitale di bilancio e dal concetto di prezzo. Infatti il valore di capitale di bilancio è di derivazione esclusivamente contabile e quindi ingloba la somma delle diverse componenti elementari (di fatto la somma delle possibili forme di finanziamento interno o esterno) che trovano manifestazione nel bilancio d’esercizio. E’ quindi sicuramente un dato oggettivo e dimostrabile, essendo documentato nel bilancio ma privo di quelli aspetti finanziari non rilevati in contabilità ma presenti nella valutazione prospettica del valore (si pensi all’avviamento, ad una particolare congiuntura del settore, ai flussi potenziali di reddito). Il prezzo, a differenza del capitale di bilancio, frutto di una valutazione prospettica, ma di tipo esogeno e soggettivo. Il concetto di “valore” è distinto dal concetto di “prezzo” pagato o ricevuto per l’acquisto o la vendita di un’azienda o di azioni di essa, dipendendo esso dalle specifiche condizioni in cui la domanda e l’offerta per il trasferimento di un’azienda si incontrano sul mercato: il prezzo può essere assai diverso dal valore, anche se individuato da un perito, esterno all’azienda ed alla transazione di cessione, oppure può anche sostanzialmente coincidere con esso.

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Non sempre quindi il valore del prezzo di un’azienda o di un ramo di essa coincidono. Ciò non significa che la valutazione sia errata ma può essere dovuto a diversi fattori:

a. esistono diversi tipi di prezzo e varie modalità di misurazione del valore che quindi possono portare a conclusioni diverse;

b. il prezzo è un dato soggettivo che può risentire del potere contrattuale

della parte acquirente o venditrice a prescindere dal valore; c. affinché la creazione o la distruzione di valore si rispecchino nel prezzo è

necessario che vi sia capacità da parte dell’azienda di diffusione del valore, ottenibile attraverso trasparenza ed efficacia delle comunicazioni e credibilità strategico-reddituale.

1.2. I metodi di valutazione impiegati I metodi di valutazione previsti in dottrina ed utilizzati nella prassi sono assai numerosi (v. tavola di sintesi). Peraltro, gli specialisti delle valutazioni impiegano nella pratica un numero più ristretto di metodi, con applicazioni differenziate per numero e tipologia, in base all’attività svolta dall’azienda da esaminare, come indicato nella tabella che segue. Tabella 1. Metodi di valutazione di aziende impiegati dagli analisti Metodi di valutazione Industrie Banche Assicurazioni Immobiliare % % % % Patrimoniale 1.9 16.2 28.6 50.- Reddituale 8.4 11.2 7.- - Patrimoniale-reddituale 1.6 29.5 23.8 - Finanziari: * DCF – Discented Cash Flow * EVA – Economico Value Added

37.5 15.9

7.2 0.9

5.6 2.1

25.- 25.-

Multipli di mercato 34.7 35.- 32.9 - 100.- 100.- 100.- 100.-

Fonte: AIAF Best practices nei metodi di valutazione e di stima del costo del personale,

quaderno n. 97, ottobre 1999. L’impiego di tali metodi risulta da un’indagine svolta tra gli analisti riferita alla “security analysis”. Per ognuna delle aree di operatività viene generalmente

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utilizzato un metodo principale – indicato in tabella con la più alta percentuale di impiego – nonché altri 2-3 metodi cosiddetti di controllo. Dalla tabella emerge che:

- nel settore industriale, i metodi finanziari DCF ed EVA sono i più utilizzati; in particolare il DCF viene impiegato come metodo principale nella quasi totalità dei casi. Il metodo dei multipli viene applicato soprattutto quale procedura di controllo;

- nel settore bancario ed assicurativo, prevalgono i metodi dei multipli di

mercato, il patrimoniale-reddituale ed il patrimoniale, sia perché si dispone di numerosissime transazioni di riferimento (per i multipli), sia perché si ritiene che il valore sia principalmente collegabile alla base di capitale (metodo patrimoniale) ed alla sua capacità di produrre utili contabili (metodo reddituale e patrimoniale-reddituale);

- nel settore immobiliare, vengono impiegati parimenti sia il metodo

patrimoniale, ritenendosi che il valore del capitale economico dell'azienda sia strettamente collegato a quello degli immobili, sia i metodi finanziari (DCF ed EVA), poiché molti analisti, considerando gli immobili alla stessa stregua di altri assets aziendali, ne calcolano il valore in relazione alla capacità di generare flussi di cassa.

2. Il valore teorico del capitale La formula teorica che esprime il valore, ad oggi, di qualsiasi capitale e, quindi, anche dell’azienda, considerata nell’ottica di un’investitore esterno all’impresa, è:

tg

n

1t t

t

i)(1V

i)(1

FW

++

+=∑

=

dove: W = valore economico odierno del capitale o dell’azienda; Ft = dividendo pagato dall’azienda nell’anno t (con t variabile da 1 a

n); i = tasso di attualizzazione; n = orizzonte temporale assunto per la valutazione; Vg = prezzo probabile di cessione dell’azienda al tempo futuro tn.

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Tale formula indica, in sintesi, che il valore economico del capitale o dell’azienda è dato dalla somma di:

- somma attualizzata di tutti i proventi che l’azienda dovrà all’investitore tra il tempo to ed il tempo tn, quando sarà ceduta; - valore finale attualizzato di cessione.

Sul piano applicativo, considerando l’ottica del valore del capitale economico dell’intera azienda, la formula teorica sopraindicata può essere indicata come segue:

Metodi Finanziari Reddituali * il valore Ft (dividendo) viene

sostituito con: flussi di cassa (FC) reddito netto (RN)

* il valore Vg (prezzo di cessione) viene sostituito con:

valore finale (Vf) oppure senza Vf ove FC venga assunto come

perpetuo

valore finale (Vf) oppure senza Vf ove RN venga assunto come perpetuo

Pertanto, la formula sopra indicata diviene: Per un tempo limitato Per un tempo illimitato

metodi finanziari: nf

n

1 t t i)(1

V

i)(1FC W

++

+= ∑

=

i

FC W =

metodi reddituali: ∑= +

++

=n

1 t n

ft i)(1

V

i)(1RN W

iRN W =

In tali metodi tutti i valori devono essere considerati in modo omogeneo in termini di inflazione (flussi nominali e tassi nominali; flussi reali e tassi reali). In linea generale, le formule sopra esposte presentano aspetti critici ed incertezze che ne inficiano la validità, riguardanti:

- la determinazione dei flussi di cassa o di reddito; - la durata dell’orizzonte temporale;

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- la scelta del tasso di attualizzazione.

33.. I metodi patrimoniali I metodi patrimoniali utilizzano il capitale netto contabile a bilancio come punto di riferimento per la determinazione del valore dell’azienda. Tali metodi possono distinguersi in:

- metodo patrimoniale puro (o semplice);

- metodo patrimoniale complesso.

Nel metodo patrimoniale puro, il valore economico del capitale d’azienda è pari al patrimonio netto contabile (macroclasse A del passivo dello Stato Patrimoniale, ex art. 2424 cc) opportunamente rettificato per determinare il suo valore corrente:

W = Pn + (R-I)

W = K’

dove W = valore economico odierno del capitale dell’azienda; Pn = patrimonio netto contabile; R = rettifiche del patrimonio netto contabile; I = effetto fiscale delle rettifiche; K’ = valore economico del capitale netto rettificato =Pn + (R-I).

Il procedimento di rettifica per la determinazione del valore corrente del patrimonio netto investe l’intera situazione patrimoniale, e, in particolare comporta:

- la riclassificazione delle poste attive e passive a carattere non monetario per l’individuazione del loro valore corrente di stima o di sostituzione per gli elementi attivi e di estinzione per quelli passivi;

- l’eventuale attualizzazione delle partite di credito e di debito aventi un tasso diverso da quello di mercato.

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Peraltro, il metodo patrimoniale puro non tiene conto di alcuni elementi di grande importanza per la valutazione dell’azienda, quali:

- i beni immateriali che non sono contabilizzati; - l’avviamento aziendale “goodwill”.1

Il metodo patrimoniale complesso supera le carenze del metodo patrimoniale puro, poiché al valore del patrimonio netto rettificato K’ aggiungono il valore dei beni immateriali contabilizzati (B):

- sia aventi un valore di mercato; - sia senza un valore di mercato (quali l’organizzazione, ecc.).

Quindi: W = Pn + (R-I)+B W = K’+B

La principale carenza metodologica dei metodi patrimoniali deriva dal considerare l’azienda una sommatoria di beni, per cui il valore del patrimonio netto rettificato così individuato è avulso dalla valutazione della capacità aziendale di generare flussi finanziari e reddituali. E’ evidente infatti come una valutazione che si basi sulla metodologia patrimoniale non sia la più idonea a rappresentare l’azienda come istituto vivente e in funzionamento, non considerando i valori di conto economico. In linea generale, i metodi patrimoniali anche complessi sono utilmente impiegabili quando:

- si tratta di valutare aziende di tipo immobiliare;

- l’azienda è in situazione di squilibrio economico o anche di redditività inferiore a quella paragonabile di mercato, ma presenta rilevanti assets di carattere immobiliare;

1 L’avviamento aziendale viene considerato in dottrina con due posizioni: - quale somma dei beni immateriali dell’azienda; - quale capacità dell’azienda di conseguire redditi superiori a quelli “normali”, dati cioè dagli

investimenti alternativi con analogo grado di rischio (costo-opportunità).

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- i dati reddituali presenti e prospettici sono incerti e comunque scarsamente affidabili.

4. Il metodo reddituale semplice (o puro) Con il metodo reddituale puro il valore economico del capitale dell’impresa si basa sull’ipotesi che:

- il flusso reddituale “normale” conseguito dall’azienda (utile netto) possa protrarsi perpetuamente nel tempo;

- pertanto, non viene considerato un valore finale di realizzo, poiché il tempo “n” è protratto all’infinito e quindi tale valore finale tenderà a 0; - tale flusso reddituale perpetuo venga capitalizzato ad un tasso “i” competitivo con gli investimenti alternativi sul mercato dei capitali con analogo grado di rischio.

Pertanto, trattando il flusso reddituale normale come una rendita perpetua che caratterizza l’impresa, si avrà:

iR W =

per cui il valore economico del capitale netto dell’azienda è determinato dalla capitalizzazione al tasso “i” dei redditi attesi futuri dell’azienda. Il flusso di reddito “R” da considerare è quello “normalizzato” (v. il metodo misto), espresso cioè dalle normali capacità reddituali dell’azienda. Il tasso di capitalizzazione “i” è determinato con l’abituale metodologia del “costo-opportunità”, (v. il metodo misto), e cioè quale somma di:

a) rf, tasso di interesse degli investimenti privi di rischio (risk free);

+ β(rm – rf), premio per il rischio determinato secondo il CAPM.

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Un metodo alternativo a quello del “costo opportunità” per la determinazione del tasso “i” è dato dall’impiego del tasso pari al WACC, e cioè il costo medio ponderato dei capitali impiegati dall’impresa.

WACC = Kb ( 1- tc ) SBSK

SBB

s ++

+

Ove: Kb = costo del capitale di prestito; ( 1- tc ) = detrazione del carico fiscale;

SBB+

= quota di prestito nel finanziamento del progetto/azienda;

sK = costo del capitale proprio;

SBS+

= quota di capitale proprio nel finanziamento del progetto/azienda.

- Per cui, ad esempio, ove:

R = E 2.500 milioni i = 4.42%

ne consegue che:

milioni 56.561 0.04422.500 W ==

Questo metodo, peraltro, risente delle politiche contabili perseguite dall’azienda, che possono portare a variazioni anche importanti dei risultati reddituali. In particolare, le politiche contabili in materia di ammortamenti, capitalizzazione dei costi di R&S, criteri di valutazione delle rimanenze, ecc. Il metodo reddituale semplice:

- viene utilizzato spesso quando si ritengono inattendibili i dati previsionali necessari per l’applicazione di altri metodi (quali il DCF);

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- anche se apparentemente è “approssimativo”, si basa su dati sicuri (la “storia”) dell’azienda, quali il suo reddito netto normalizzato. Se il proprietario-gestore dell’azienda ritiene di poter mantenere mediamente nel tempo futuro quel reddito netto medio conseguito in passato, la sua capitalizzazione ad un tasso “i” appropriato dà un valore attendibile dell’azienda, sia pure quale ordine di grandezza;

- può essere usato quale metodo di controllo di altri metodi più puntuali (quali il DCF), ma certamente più aleatori proprio perché basati su dati futuri con un certo grado di incertezza.

La principale carenza di questo metodo si evidenzia nei casi in cui l’azienda in un futuro prossimo (3-5-7 anni) debba affrontare ingenti programmi di investimento in capitale fisso e circolante che avranno riflessi sugli “R”, e cioè sui redditi attesi. In tali casi, in via empirica si può procedere a:

- calcolare gli effetti sul reddito atteso normalizzato di lungo periodo di tali programmi di investimento;

- sommare il reddito atteso normalizzato distintamente per due periodi; il primo tenente conto del programma di investimenti, progettato considerando un reddito di durata limitata nel tempo fino all’istante n, per cui:

i

i)(1-1R W-n+

×=

l’altro periodo che rappresenta un reddito di durata illimitata (

iRW = ) che

andrà attualizzato.

In sintesi, tenendo conto degli elementi su indicati, si avrà:

ii)(1-1R W

-n+×= +

iR

5. Il metodo misto (patrimoniale-reddituale) Il metodo misto perviene alla valutazione dell’azienda integrando la componente patrimoniale – tipica del metodo patrimoniale – con quella reddituale.

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Il metodo misto più noto – cosiddetto metodo anglosassone – perviene alla determinazione del valore economico dell’azienda aggiungendo al valore del capitale netto rettificato (K’) il valore dell’intero avviamento (“goodwill”). W =K’ + Av dove: K’ = patrimonio netto rettificato; Av = avviamento dell’azienda, inteso come sovrareddito, dato

dalla differenza tra il reddito prospettico aziendale ed il reddito di investimenti alternativi di mercato (costo-opportunità), per cui:

i')aiK'-(R Av n ¬= dove: R = reddito aziendale prospettico normalizzato; iK’ = remunerazione “normale”del patrimonio netto rettificato e

cioè in linea con la remunerazione degli investimenti in altre aziende dello stesso settore;

i’ = saggio di capitalizzazione del sovrareddito o del sottoreddito, risultante dalla (R - iK’), dato dal rendimento degli investimenti alternativi con analogo grado di rischio (costi-opportunità);

n = anni di durata del sovrareddito o sottoreddito (in generale, si considera un periodo attendibile di 3-5 anni).

Tale metodo consente di determinare il valore dell’azienda tenendo conto:

- della sua consistenza patrimoniale ai valori correnti;

- della sua capacità reddituale, rispetto alla capacità reddituale di investimenti alternativi sul mercato dei capitali con analogo grado di rischio.

L’impiego di questo metodo, che integra la stima di tipo patrimoniale dell’azienda con il suo valore di avviamento – che può essere positivo o negativo – è consigliabile quando la redditività aziendale presenta degli scostamenti – positivi o negativi:

- rispetto ai rendimenti di investimenti alternativi con analogo grado di rischio;

- per un periodo di tempo che si ritiene definibile.

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Pertanto, con il metodo misto il valore dell’azienda è dato da:

i')aiK'-(RK'W n ¬+= L’applicazione di tale metodo richiede che vengano definiti, in particolare, i seguenti valori cardine:

K’ = il valore economico del patrimonio netto rettificato; R = il reddito aziendale prospettico normalizzato; i = il tasso di attualizzazione; n = il numero di anni per i quali si ritiene attendibile il mantenimento del

valore dell’avviamento.

5.1. La determinazione del reddito aziendale prospettico normalizzato “R” Per la determinazione di K’, valore economico del patrimonio netto rettificato, si rinvia a quanto illustrato al punto 3 sui metodi patrimoniali. La determinazione di R è complessa: il reddito normalizzato prospettico, infatti, si riferisce alla capacità reddituale dell’azienda in condizioni normali di gestione e, quindi, di redditività, eliminando tutti gli eventi straordinari. L’applicazione di questo metodo in aziende fortemente patrimonializzate (ad es., esercizi alberghieri, proprietari degli immobili) e con redditività contenuta può portare all’evidenziazione di bassi goodwill o, addirittura di “badwill”. In questi casi, si considera, quale valore minimo dell’azienda, quello riferibile al valore di liquidazione del patrimonio netto aziendale, stimando dunque un avviamento nullo. La normalizzazione del reddito R è effettuata come segue:

a) si considera un congruo arco temporale: gli ultimi 3-5 anni;

b) si depura l’utile netto contabile degli effetti dovuti:

- a maggiori ammortamenti rispetto a quelli tecnico-economici;

- a maggiori o minori accantonamenti rispetto a quelli motivati da ragioni tecnico-economiche;

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- ad eventi di natura straordinaria;

- all’evidenziazione di plusvalenze o minusvalenze;

- a costi discrezionali eccezionali;

c) si applica al reddito lordo normalizzato, così ottenuto, l’aliquota fiscale media effettiva dei 3-5 anni considerati per ottenere il reddito netto normalizzato del periodo a valori correnti dei singoli anni;

d) si ripristinano tali redditi netti in valori correnti al valore dell’anno di stima (e cioè il più recente dei 3-5 anni considerati) applicando ai redditi dei singoli anni un coefficiente di rivalutazione (ad es., l’indice ISTAT dei prezzi al consumo). Con una media aritmetica dei redditi netti dei 3-5 anni è possibile ricavare il “reddito medio netto normalizzato”.

Il reddito R normalizzato riferito agli ultimi 3-5 anni così ottenuto è un dato storico, mentre il metodo richiede la determinazione di un R prospettico, riferito cioè al futuro. Tale R prospettico è determinabile:

a) applicando uno dei tre metodi qui di seguito indicati:

- estrapolazione dei dati storici rivalutati – e cioè dai redditi netti conseguiti negli ultimi 3-5 anni, ove questi evidenzino una significativa correlazione nel tempo;

- con l’ipotesi che negli anni futuri vengano mediamente conseguiti redditi

equivalenti a quelli medi rivalutati (R netto normalizzato storico) ottenuti negli ultimi 3-5 anni;

- dal budget e dal piano operativo pluriennale (impegnativo per l’azienda e

non meramente indicativo) ove esista. In tale caso, non è necessario procedere alla determinazione del R netto medio storico normalizzato.

b) sviluppando tutti e tre i metodi considerati, dai cui risultati viene tratta,

attraverso una media aritmetica semplice o ponderata, un valore unico di R netto medio normalizzato prospettico.

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5.2. La determinazione del tasso di attualizzazione Il tasso di attualizzazione da impiegare è di grande importanza poiché porta ad individuare la remunerazione del patrimonio netto rettificato (iK’) dell’azienda oggetto di valutazione in linea con la remunerazione degli investimenti alternativi sul mercato dei capitali con analogo grado di rischio. Il tasso (i’) di attualizzazione del sovrareddito deve essere pari al tasso (i) di remunerazione del patrimonio netto rettificato, in quanto entrambi si riferiscono a redditi con almeno pari grado di rischio. Tale tasso “i” di rendimento atteso = rf + β (rm – rf) dove: rf = tasso di interesse di un investimento privo di rischio; β (rm – rf) = premio per il rischio, determinato secondo il CAPM. Per il calcolo di i = rf + β (rm – rf) si fa rinvio alla metodologia indicata al punto del metodo finanziario DCF (Discounted Cash Flow)

5.3. Applicazione del metodo misto

Si riprenda la formula per la valutazione dell’azienda con il metodo misto:

ia )iK' -(R K' W n ¬+= . Si dia, a titolo di esempio, che: K’ = E 41.000 milioni (patrimonio netto rettificato); R = E 2.500 milioni (utile netto normalizzato). Poiché i = 4.42% (come sopra determinato), ne deriva che:

[ ] =×+= a 41.000) (0.0442 - 2.500 41.000 W 5/0.442

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[ ] =+= a 1.812 - 2.500 41.000 W 5/0.442

)avviamento a *(688) (dove a (688) 41.000 W 5/0.4425/0.442 =+=

5/0.442a = 1- (1.0442)-5

0.0442

W = 41.000 + 3.027 = 44.027 milioni dove: 41.000 milioni = K’ patrimonio netto rettificato; 3.027 milioni = avviamento.

6. I metodi finanziari: il DCF, Discounted Cash Flows Il DCF – Discounted Cash Flows, Flussi di Cassa Scontati – considera l’azienda come un investimento in un’attività finanziaria il cui valore è dato dai flussi di cassa generati. Il DCF perviene, quindi, alla determinazione del capitale economico dell’azienda – e, cioè, delle sue attività – attraverso:

- la definizione dei flussi di cassa futuri dell’azienda, quale differenza tra le entrate e le uscite monetarie;

- l’attualizzazione di tali flussi di cassa, al netto delle imposte, al tasso pari al costo medio ponderato del capitale dell’azienda (WACC), anche esso al netto delle imposte. Il WACC include la remunerazione di mercato per il capitale di credito, la remunerazione attesa dagli azionisti (capitale di rischio) tale da essere in armonia con i rendimenti di possibili impieghi alternativi sul mercato dei cespiti, con analogo grado di rischio.

Pertanto, il valore dell’azienda è dato da:

∑= +

=n

1tt

t

WACC)(1CF

W

dove: CF = flussi di cassa attesi;

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i = tasso di attualizzazione; n = numero di anni considerato. Il metodo implica, quindi, che vengano calcolati:

- i flussi di cassa attesi;

- il costo medio ponderato del capitale.

Questo metodo è di gran lunga il più utilizzato nella pratica come metodo principale di valutazione, poiché non risente delle politiche contabili adottate dall’azienda, che influiscono invece sulla determinazione dell’utile netto. Il più rilevante limite concettuale del metodo è quello di rendere necessaria la disponibilità di dati relativi all’evoluzione nel tempo di un grande numero di variabili, con i connessi rischi di arbitrarietà nella loro determinazione. Basti pensare alla volatilità cui sono soggetti i flussi di cassa futuri e ai molteplici fattori che influiscono nella determinazione del WACC.

6.1. La determinazione dei flussi di cassa attesi I flussi di cassa attesi sono i “Free Operating Cash-Flows-FCF”, calcolati secondo lo schema riportato di seguito, e cioè, in sintesi:

(g) reddito operativo EBIT - (h) imposte (e) MOL2 + - (f) ammortamenti e accantonamenti (h) imposte - - (a) investimenti lordi (a) investimenti lordi FCF unlevered FCFunlevered

Lo schema si presenta come segue:

2 Infatti l’EBIT è pari al MOL al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti.

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Tabella 2. Flussi di cassa

Entrate/Uscite monetarie Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno n a) Investimenti

+ Investimenti in capitale fisso - Valore recupero capitale fisso + Investimenti in capitale circolante netto - Valore recupero capitale circolante netto + Valore cespiti utilizzati - Valore cespiti resi disponibili - Contributi a fondo perduto

b) Ricavi netti c) Consumi di materie e servizi esterni d) Costo del lavoro e) Margine Operativo Lordo (M.O.L.) (b-c-d)

f) Ammortamenti (accantonamenti + svalutazioni) g) Reddito operativo (e-f) EBIT h) Imposte IRES: 33% di g IRAP: 4,25% di (b – c - f)

i) Flussi di cassa della gestione (CF) (e-h) l) Flussi di cassa operativi (FCF) (i-a) m) Flussi di cassa progressivi EBIT Earnings Before Interest and Taxes: reddito prima degli interessi e delle imposte;

peraltro, nello schema esposto non figurano gli interessi, poichè, il progetto viene analizzato indipendentemente dai modi e dal costo del finanziamento, che si riflettono invece sul WACC.

CF Cash Flows: flussi di cassa della gestione. FC Free Cash Flows: flussi di cassa “operativi” o “disponibili”. FCFU Free Cash Flows Unlevered: flussi di cassa disponibili in assenza di

indebitamento. Gli investimenti in capitale fisso e capitale circolante da considerare sono quelli che, sia all’inizio della attività aziendale che nel tempo, consentono di conseguire i flussi di cassa considerati nello stesso periodo di tempo. In altri termini, gli investimenti aggiuntivi (ad es., per ampliamento di capacità produttiva) che produrranno flussi di cassa aggiuntivi oltre l’arco temporale calcolato, non vanno detratti dai FCF considerati. I FCF considerati si riferiscono ad una situazione patrimoniale aziendale “unlevered”, cioè senza indebitamento, per cui il valore degli oneri finanziari, pur trattandosi di effettivi costi monetari, non è stato portato in detrazione dei FCF. In tal senso, vengono evidenziati i flussi di cassa del progetto senza considerare i modi di finanziamento, che influiranno quindi non

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sulla formazione dei flussi di cassa, ma sul costo medio ponderato del capitale e cioè sul WACC , a seconda della combinazione tra mezzi propri e mezzi di terzi. L’attualizzazione di questi flussi di cassa determina il valore dell’intera azienda, dal quale, deducendo l’indebitamento D, si ottiene il valore del patrimonio netto di pertinenza degli azionisti. I FCF attesi sono concettualmente articolabili in due distinti periodi:

- un primo periodo con FCF ad alto grado di certezza;

- un secondo periodo per il quel non sono disponibili FCF attendibili.

Il primo periodo si riferisce ad un arco temporale per il quale sono disponibili dati attendibili sui flussi di cassa attesi. Flussi attendibili sono quelli risultanti dal budget e da piani operativi aziendali di medio periodo (3-5 anni) considerati impegnativi per il management. L’attendibilità di questi flussi dipende anche:

- dallo specifico settore in cui opera l’azienda (alta o bassa fluttualità congiunturale, crisi cicliche, ecc.);

- dalla posizione di mercato dell’azienda;

- dal rischio operativo specifico dell’azienda.

La considerazione di FCF attesi di più lungo periodo (oltre i 5 anni) è di scarsa attendibilità ancorché risultanti da piani strategici o da previsioni sia pure accurate. E’ evidente infatti che le condizioni di competitività oggi altamente dinamiche in qualsiasi settore non consentono una visibilità attendibile degli eventi aziendali oltre un arco temporale di 3-5 anni. D’altra parte risulta preferibile non considerare FCF attesi che risultino da stime o previsioni notevolmente aleatorie e, quindi, forzatamente soggettive. Alcuni autorevoli valutatori, peraltro, come anche alcune primarie società di “Corporate Finance Consulting” consigliano di considerare periodi più lunghi – almeno 7 anni3 - ma anche 10-12 anni, in base alla opinione che il fatto che le società adottino spesso “periodi di previsione di soli tre anni, non giustifica che si possa fare la stessa cosa quando si deve procedere ad una valutazione. Una previsione rozza al di là del terzo anno è meglio che niente3”. In realtà, chi ha esperienza di direzione di aziende sa che la inattendibilità dei piani

3 T. Copeland, ecc., pag. 217

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operativi, che è tanto maggiore quanto più ci si allontana dalla prospettiva più ravvicinata (2-3 anni), non è dovuta alla “qualità” della previsione aziendale, ma al fatto che il mercato nel quale opera l’azienda si muove continuamente in modo autonomo (concorrenti, domanda, offerta, fattori di produzione, risorse, ecc., per cui una previsione aziendale di medio/lungo periodo (3-5 anni e oltre) è perfettamente inattendibile essendo basata su ipotesi valutative della realtà futura ad alto grado di soggettività e quindi di arbitrarietà. Tali FCF attesi “attendibili” vanno quindi attualizzati al WACC aziendale, calcolato secondo le modalità indicate di seguito, ottenendo il valore attuale risultante dalla sommatoria dei FCF attesi “unlevered” scontati. Cioè:

∑= +

=5

0tt

t

)(1FCF

WWACC

Per il secondo periodo successivo, (oltre i 3-5 anni), per il quale non siano

disponibili dati sui FCF attendibili, va calcolato il valore residuo (Terminal Value, Wr), il quale va poi attualizzato e sommato alla valutazione del cash-flow attualizzato per il primo periodo (3-5 anni). Il valore residuo viene calcolato applicando la formula della rendita perpetua per la crescita dei FCF “normalizzati”, pertanto:

Wr = g) - WACC(

norm. FCF

dove:

a) “FCF norm.” sono i flussi di cassa normalizzati della gestione operativa; pertanto sono:

- riferiti all’ultimo anno del primo periodo di valutazione attendibile; - decurtati degli investimenti necessari per ottenere gli stessi FCF (ipotizzando, ad es., per gli investimenti in capitale fisso un importo pari agli ammortamenti, o pari a quello medio annuo sostenuto nel primo periodo; la stessa ipotesi può essere fatta per variazioni del capitale circolante anch’esse medie);

Per i primi 5 anni

Oltre i 5 anni

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280

b) “WACC” è il costo medio del capitale aziendale calcolato come indicato più oltre;

c) “g” (growth rate) è il tasso di crescita dei FCF attesi in perpetuo. Il fatto di utilizzare come tasso di attualizzazione un WACC al netto del tasso di crescita g giustifica l’ipotesi di lasciare al numeratore un importo di FCF costante per tutto il tempo di continuità aziendale. Non si tiene conto al numeratore del tasso di crescita g dei FCF proprio perché di esso si tiene conto al denominatore decurtando il WACC.

Pertanto, il valore dell’azienda è dato da:

Valore totale = W + Wr e cioè:

+ g) - WACC(

norm. FCF

per i primi 3/5 anni oltre i 5 anni Ovviamente il valore residuo Wr, risultando dalla perpetuità di crescita oltre i 3-5 anni, rappresenta in generale un valore notevolmente superiore a quello risultante dall’attualizzazione dei cash-flows per il primo periodo. Se al valore complessivo dell’azienda così ottenuto si sottrae il valore dell’indebitamento, si perviene al valore dei mezzi propri o equity:

Valore totale – Valore del debito = Valore dei mezzi propri Tuttavia, secondo un approccio più pragmatico e realistico (cosiddetta formula della “convenienza”) si può ritenere che ove l’azienda realizzi profitti superiori al costo del capitale (incluso nel WACC) attirerà nel proprio settore nuovi concorrenti che riporteranno i profitti eccedenti allo stesso livello del costo del capitale4. Si ritiene cioè che la crescita dei FCF non influenzerà il valore dell’azienda, poiché il rendimento dipendente dalla crescita equivarrà al costo del capitale. Pertanto, secondo questo approccio:

Wr = Valore residuo =WACC

norm. FCF

4 A. Rappaport, La strategia del valore, F. Angeli ed. 1990, pag. 74 e segg.

∑= +

5

0tt

t

)(1FCFWACC

Page 23: PARRILLO Milano Lavalutazione

281

Alla luce di quanto detto,

• ricordando che tali FCF norm. sono dati da:

(g) reddito operativo EBIT - (h) imposte EBIT netto o REDDITO OPERATIVO netto + (f) ammortamenti e accantonamenti - (a) investimenti lordi FCF unlevered

e ove gli investimenti in capitale fisso e circolante nel periodo successivo a quello iniziale siano assunti pari agli ammortamenti (vale a dire che si realizzino solo interventi di manutenzione ordinaria e non di ampliamento in riferimento al progetto o al ramo d’azienda considerato), l’entità dei FCF norm. tenderà ad approssimarsi a quella del risultato operativo. Al riguardo, taluni valutatori consigliano di non procedere alla stima - che sarebbe altamente aleatoria – dei cash-flows aziendali per periodi indefiniti, ma di calcolare il valore residuo come perpetuità di crescita del reddito operativo al netto delle imposte5.

capitale del costoimposte delle netto al operativo Reddito residuo Valore =

Con tale formula, gli ammortamenti e gli investimenti vengono assunti implicitamente analoghi per periodi indefiniti e quindi si elidono reciprocamente, per cui il reddito operativo al netto delle imposte corrisponde sostanzialmente ai FCF.

5 T. Copeland, T. Koller, J. Murrin, Il Valore dell’Impresa, Mc Kinsey & Co., Milano, 1991, pag.

110

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282

6.2. La determinazione del costo medio ponderato del capitale Il costo medio ponderato del capitale aziendale WACC (Weighted Average Cost of Capital) viene determinato dalla nota equazione:

( )SB

S K SB

B t-1 K WACC scB ++

+=

dove: * Kb = costo del capitale di prestito; * (1-tc) = detrazione del carico fiscale;

* SB

B+

= quota dei prestiti nel finanziamento complessivo dell’azienda;

* Ks = costo del capitale proprio;

* SB

S+

= quota di capitale proprio nel finanziamento complessivo

dell’azienda. Per quanto riguarda Ks, e cioè il costo del capitale proprio, esso viene stimato applicando il CAPM, per cui: Ks = rf + β (rm – rf) dove: β (rm – rf) = premio per il rischio, calcolato secondo il CAPM. Il β indica in quale misura il rendimento di un’attività si muove rispetto ai rendimenti del mercato. rf = tasso di interesse di un investimento privo di rischio. Sapendo che:

- i titoli pubblici, quali i BOT o un paniere (BOT, CCT, altri) per i quali viene calcolata la media aritmetica del rendimento per lo stesso arco temporale (3-5 anni), pari, ad esempio, al 4.50%;

Page 25: PARRILLO Milano Lavalutazione

283

- al netto dell’imposizione fiscale (12.5%); - al netto dell’erosione monetaria per lo stesso periodo (3-5 anni); - rf, per i detti 3-5 anni, potrebbe essere pari, verosimilmente, al 2.50%.

In sintesi:

- se l’azienda è quotata in Borsa, il β è noto; - se l’azienda non è quotata, il β è calcolabile:

- attraverso la media aritmetica dei β di aziende simili quotate (“metodo dei simili”);

- non vi sono aziende simili quotate o non in numero statisticamente

significativo, si può ricorrere al “metodo dei fondamentali” (v. infra).

Con l’applicazione del “metodo dei simili”, peraltro, il β noto delle aziende similari, è “levered”, include cioè il rischio finanziario, derivante dalla struttura finanziaria specifica delle aziende incluse nel campione considerato, che può essere diverso da quello dell’azienda in corso di valutazione.

6.3. La determinazione dei β “levered” ed “unlevered” Appare quindi opportuno calcolare il β “unlevered”, depurando il β “levered” del rischio finanziario attraverso la seguente formula (di Hamada):

( )⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡×⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+

=t-1

ED1

lu

ββ

dove: βu = β unlevered; βl = β levered;

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284

ratio EquityDebt

ED

= ;

t = aliquota fiscale societaria sull’EBIT. Esempio:

Aziende quotate

βl Beta levered

D/E ratio

t aliquota fiscale

βu Beta unlevered

Pragma 0.51 0.07 20.-% 0.48 Beta 0.35 0.94 42.1% 0.23 Gamma 0.62 0.79 20.-% 0.38 Delta 0.49 0.34 20.4% 0.39 Sigma 0.56 0.87 20.-% 0.33 Zeta 0.54 0.39 20.-% 0.41 Beta unlevered medio 0.37

Pertanto, con riferimento, a titolo di esempio, alla società quotata Pragma, la formula (di Hamada) per il calcolo del βu si applica come segue:

( ) ( )[ ] ( )[ ]0.800.0710.51

20%)-10.0710.51

×+=

×+=uβ

unlevered) ( 0.48 1.0560.51

056.010.51 ββ ==

+=u

Il β della società oggetto di valutazione, che deve essere “levered”, in quanto avente un proprio rischio finanziario specifico dipendente dalla sua struttura finanziaria (D/E = 0.50), ed avente una aliquota fiscale pari al 33%, si calcola attraverso la seguente trasformata dalla formula di Hamada:

( )⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ×+×= t-1

ED1 uββ l

per cui:

( )[ ] [ ] 1.3350.48 0.3351 0.48 0.670.501 0.48 ×=+×=×+×=lβ

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285

0.64 =lβ (Il valore ottenuto è nettamente più elevato rispetto al beta nella prima

riga della tabella precedente perché il D/E ratio che prime era 0.07 ora è 0.5) Rimane ora da calcolare, nella β (rm – rf) la componente rm, essendo noto il βl=(0.64). Il valore di rm – rendimento di mercato – in un arco temporale significativo (20-30 anni) è desumibile dalle statistiche di borsa sui rendimenti di panieri significativi di titoli. Analogamente, rf è calcolabile per lo stesso arco temporale per un paniere di titoli pubblici, ove, a titolo di esempio: rm sia pari a 12%

rf sia pari a 8%

(rm – rf) = 4% per cui β (rm – rf) = 0.64x4% = 2.56%

Si deve rilevare, peraltro, che il premio per il rischio di mercato (rm – rf) incorporato nelle attività finanziarie italiane, esteso ad un lungo periodo (1860-1994) è stato calcolato dalla Banca d’Italia nel 3.9%. Altri studi, riferiti a periodi più ristretti e più recenti (ultimi 30 anni) hanno stimato tale rischio nel 4.5%-5%. In definitiva, il tasso di attualizzazione: i = rf + β (rm – rf) risulta così determinato: i = 2.50% + 2.56% i = 5.06% A titolo di esempio, si attribuiscono all’equazione per la stima del WACC i seguenti valori:

Valori

Kb = costo del capitale di prestito 7%

(1-tc) = detrazione carico fiscale (1-33%) = 67% Kb (1-tc) = costo del capitale di prestito al netto imposte (7% x 0.67) = 4.69%

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286

* SB

B+

= quota dei debiti 35%

* Ks = costo del capitale proprio = rf + β (rm – rf) 5% + 0.50 x 3.9% = 5% + 1.95% 6.95% - WACC = * costo capitale prestito netto di imposte 4.69% * * quota dei debiti 35% = 1.64% * costo del capitale proprio 6.95% * * quota del capitale proprio 65% = 4.52% WACC monetario 6.16% - inflazione stimata 2.05% WACC reale 4.11% Si rileva che il WACC ottenuto – 6.16% - è a carattere monetario, poiché i tassi considerati sia per il capitale di prestito che per il capitale proprio sono a carattere nominale, includono cioè la componente dipendente dell’inflazione attesa, mentre gli FCF sono reali; cioè non inflazionati. Pertanto il WACC monetario è stato depurato della componente inflazionistica per ottenere il WACC reale. Ove gli FCF fossero stati calcolati al nominale, incorporando cioè i tassi di inflazione previsti, il WACC da considerare sarebbe stato quello in termini nominali, includente cioè l’inflazione, come generalmente avviene quando i tassi utilizzati per il calcolo del WACC vengono rilevati dal mercato, che include implicitamente nei tassi la componente inflattiva.

7. I metodi misti: l’EVA, Economic Value Added L’EVA è uno strumento di misurazione della redditività aziendale: esso infatti evidenzia l’eventuale spread positivo che esiste tra la redditività del capitale

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287

investito nell’azienda, misurata in genere in termini di ROI, e il costo medio ponderato del capitale, il WACC. In formule:

EVA = (r- WACC)*CI

Indicando r = ROI EVA = (ROI – WACC)*CI Il tasso r, comunemente identificato nel ROI, come è noto, è un valore percentuale e, quindi, nel momento in cui viene moltiplicato per un valore assoluto, quale l’ammontare del capitale investito CI, produce un importo che può essere identificato nel NOPAT (Net Operating Profit After Taxes), ossia nel reddito operativo netto. Pertanto:

NOPAT = r * CI → ROI * CI

EVA = NOPAT – WACC * CI

Quest’ultima formula consente di capire per quale motivo il valore aggiunto economico (EVA) venga anche definito come un REDDITO RESIDUALE: esso infatti esprime ciò che rimane del reddito operativo netto NOPAT (che è già scevro dei costi operativi, degli ammortamenti e degli accantonamenti e delle tasse, nonché degli oneri finanziari, nell’ipotesi in cui si faccia riferimento ad un’analisi levered) dopo la remunerazione anche delle fonti di finanziamento sia interne (capitale di rischio) sia esterne (capitale di credito), espresse tramite il WACC. L’EVA può essere considerato un metodo misto in quanto presenta peculiarità tipiche sia del metodo reddituale, sia del metodo finanziario. Come nel metodo reddituale, l’impatto della gestione operativa viene espresso con il reddito operativo netto “normale” (NOPAT) ossia depurato di eventuali effetti straordinari ed extracaratteristici. Questo dato viene desunto da un’adeguata riclassificazione del conto economico:

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Tabella 3. Riclassificazione del conto economico

Valore della produzione -

Costi esterni (materie, servizi) =

VALORE AGGIUNTO -

Coti interni (Lavoro) =

MOL o EBITDA -

Ammortamenti e Accantonamenti =

EBIT -

Imposte (IRES e IRAP) =

NOPAT

Come nel metodo finanziario, però, si tiene conto della struttura finanziaria dell’impresa oggetto di valutazione, in quanto nella formula compare il WACC.

Molti, in dottrina, considerano l’EVA concettualmente simile al DCF, proprio per la sua stretta parentela con il DCF, anche se bisogna tenere ben distinte le componenti di conto economico che conducono alla determinazione del NOPAT e quelle che portano alla determinazione del FCF. Quest’ultimo, infatti, esprime il flusso di cassa, ossia la moneta, effettivamente incassata nella gestione e tiene conto, pertanto, solo delle poste monetarie. In altri termini il NOPAT è una posta a monte del FCF, infatti schematizzando:

Tabella 4. Il NOPAT

6 La variazione degli investimenti esprime il loro costo storico al netto del loro valore di recupero. Se l’importo è positivo va sottratto, altrimenti va sommato. 7 La variazione del capitale circolante è data dalla differenza tra attivo e passivo: (Rimanenze + Crediti commerciali + Ratei e risconti attivi) – (Debiti commerciali + Debiti tributari + Debiti verso

NOPAT + Ammortamenti e accantonamenti - Δ investimenti6 - Δ capitale circolante7 + Δ TFR8 = FCF - Oneri finanziari = CF

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Il valore dei flussi di cassa determinati come somma delle componenti passive non monetarie e come sottrazione delle componenti attive non monetarie è unlevered ossia non tiene conto degli oneri finanziari, se si volesse tenere conto della struttura finanziaria bisognerebbe sottrarre anche gli oneri per arrivare ai CF. Nel metodo del DCF si tiene conto dei FCF perché la struttura finanziaria è già evidenziata nel WACC. Ciononostante, il metodo EVA e quello del DCF esprimono in modo dissimile un qualche cosa che alla fine tende a convergere, ossia il valore attuale netto dell’impresa (Net Present Value). Per una visualizzazione più chiara di come il metodo EVA e quello del DCF possano essere considerati similari, si possono osservare i dati seguenti. Tabella 5. Il metodo DCF DCF / ANNI (valori in E 000) 1 2 3 4 5

Volumi 60 50 40 30 20 Prezzi futuri unitari 18 18 18 18 18 Fatturato (Volumi * Prezzi futuri unitari) 1.080 900 720 540 360 -Ammortamenti 450 375 300 225 150 -Costi Operativi 300 250 200 150 100 =Reddito Lordo 300 275 220 165 110 -Imposte 136,1 113,4 91 68,1 45,4 =Reddito netto 193,9 161,6 129 96,9 64,6 +Ammortamenti 450 375 300 225 150 Free cash Flow 9 643,9 536,6 429 321,9 214,6 Fattore di sconto [1/(+WACC)^n] 0,909 0,826 0,8 0,683 0,621 Valore attuale dei FCF 585,4 443,4 323 219,9 133,3 PV (sommatoria dei FCF attualizzati) 1705

CI investito all’inizio dell’anno 1.500

NPV (sommatoria dei FCF att.ti al netto dell’inv.to) 205

Enti previdenziali + Ratei e risconti passivi + Fondi per rischi ed oneri). Anche in questo caso una variazione positiva va sottratta. 8 L’importo della variazione del TFR va sommato al netto delle indennità erogate ai dipendenti nel corso dell’esercizio. 9 Per semplicità si ipotizzi una variazione dei fondi, del capitale circolante e degli investimenti nulla.

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290

Tabella 6. Il metodo EVA

EVA/ ANNI ( valori in E 000) 1 2 3 4 5

Volumi 60 50 40 30 20 Prezzi futuri unitari 18 18 18 18 18 +Fatturato ( Volumi * Prezzi futuri unitari) 1.080 900 720 540 360 -Ammortamenti 450 375 300 225 150 -Costi Operativi 300 250 200 150 100 =Reddito Lordo 300 275 220 165 110 -Imposte 136,1 113,4 91 68,1 45,4 =Reddito netto (NOPAT) 193,9 161,6 129 96,9 64,6 CI inizio anno 1.500 1.050 675 375 150 WACC 10% 10% 10% 10% 10% WACC * CI 150 105 68 38 15 EVA futuri (NOPAT – WACC*CI) 44 57 62 59 50 Fattore di sconto 0,91 0,83 0,75 0,68 0,62 Valore attuale EVA 40 47 46 41 31 Somma di tutti i valori attuali (MVA)10 205

L’analisi delle due tabelle evidenzia come il risultato conclusivo in termini di valore attuale netto (NPV) sia uguale, mentre ciò che si modifica è la distribuzione dei risultati nei cinque anni di riferimento; con il metodo del DCF, la performance in termini di FCF è discendente dal primo al quinto anno; dal metodo EVA, si evince, invece, che l’anno più profittevole, guardando i valori assoluti non attualizzati, è stato il terzo, seguito dal quarto, dal secondo, dal quinto e dal primo. L’ottenimento del medesimo risultato rivela che l’indagine è stata compiuta correttamente, ma ciò non significa che il metodo EVA e quello del DCF siano equivalenti. Aziende monobusiness, tipicamente di medie dimensioni e non quotate, trovano nella metodologia DCF sicuramente riscontri più veritieri, giacché tale metodo permette di mettere in luce eventuali tensioni finanziarie. L’impresa, in tale visione, é come un grande investimento, di esborso iniziale pari all’ammontare dell’equity value, ossia del patrimonio netto, a fronte

10 Per la definizione di Market Value Added (MVA) e per le sue interrelazioni con l’EVA, vedi paragrafo 2.3.1 e segg.

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291

del quale si generano flussi di cassa in grado di remunerare i portatori di capitale e liberare ricchezza aggiuntiva per gli azionisti. Per aziende multibusiness l’EVA é senza dubbio da preferirsi al DCF perché permette di quantificare il contributo di ciascuna strategic business unit (SBU). A livello di business l’EVA suggerisce la cancellazione di progetti di investimento non redditizi e la razionalizzazione di quelle linee che generano EVA negativi; a livello di corporate induce alla vendita di settori a scarso rendimento e alla limitazione degli investimenti in settori marginali, evitando pericolosi, in termini di dispendio di liquidità, sovvenzionamenti incrociati. Tuttavia, una visione così semplice, non considera le interrelazioni tra SBUs, in altri termini, non é detto che labbandono di una SBU non remunerativa non abbia implicazioni indirette sulle altre. Pertanto nella valutazione di un ramo d’azienda si deve sempre tener conto non soltanto della redditività ad essa riconducibile come unità indipendente e a sè stante ma anche delle interrelazione che la legano al complesso azienda e delle sinergie ad essa collegate. Uno dei maggiori vantaggi dell’EVA è quello poi di fornire un’analisi di redditività non solo settoriale ma anche e soprattutto temporale e cioè anno per anno, visualizzando così la dinamica della creazione del valore, che è fondamentale nei primi anni (3-5) di valutazione, quando cioè i flussi hanno un minore grado di aleatorietà. In ogni caso, il metodo EVA non rimpiazza, ma completa l’ analisi

tramite DCF, sottolineando la qualità e l’ origine del valore. Inoltre, l’informazione dell’EVA non è importante solo come dato fine a se stesso ma anche letto congiuntamente al MVA (Market Value Added): infatti se l’azienda esprime un’EVA positivo e cioè un sovrarendimento del capitale investito rispetto al suo costo (ROI – WACC > 0), il mercato recepirà questa informazione valutando il patrimonio netto dell’azienda in esame con un importo maggiore rispetto al valore di bilancio: questa differenza esprime proprio il MVA ossia il valore dei futuri flussi di EVA attualizzati. Quindi:

VALORE DI MERCATO P.N. – VALORE DI BILANCIO P.N.

MVA

EVA 1 EVA 2 EVA 3 EVA 4

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292

Alla luce di questo schema il MVA può essere individuato in due modi: MVA = valore attuale dei flussi di EVA futuri; MVA = valore di mercato del patrimonio netto – valore contabile; Se da entrambe queste uguaglianze si ottiene lo stesso valore di MVA significa che il mercato sta compiendo una valutazione corretta; se la differenza tra valore di mercato e contabile del patrimonio netto è maggiore degli EVA attesi, significa che il mercato sta sopravalutando l’azienda, in caso contrario sta sottovalutando. Quindi:

MVA = Σ EVA attualizzati VALUTAZIONE CORRETTA

MVA > Σ EVA attualizzati SOPRAVALUTAZIONE

MVA <Σ EVA attualizzati SOTTOVALUTAZIONE

Riassumendo, si possono elencare le seguenti peculiarità del metodo EVA: è un metodo misto in quanto si basa sia sui principi reddituali sia su quelli

finanziari; esprime una tipologia di reddito residuale; consente confronti temporali, evidenziando in modo disaggregato anno per

anno il valore creato (il DCF inteso come somma dei FCF attualizzati ad un tasso pari al WACC, fornisce un dato complessivo riferito all’istante di valutazione, in termini di NPV);

consente confronti intersettoriali e interaziendali; avendo una parziale derivazione contabile risulta “viziato”della

discrezionalità valutativa di alcune voci come ammortamenti ed accantonamenti.

Come calcolare l’EVA

La valutazione delle aziende con il metodo EVA può seguire la seguente procedura logica:

1) CALCOLO DEL CAPITALE INVESTITO: In genere l’analisi viene compiuta per un periodo di 5 anni in quanto un tempo più lungo darebbe luogo a risultati poco attendibili. Il capitale investito coincide con il totale dell’attivo o del passivo dello stato patrimoniale. Per gli anni successivi a quello di cui si ha il bilancio si procede a stime estrapolative;

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293

2) CALCOLO DEL WACC REALE: esso è pari al WACC effettivo aziendale al netto del tasso d’inflazione prevista;

3) INDIVIDUAZIONE DEL NOPAT MINIMO che gli investitori, sia a titolo

di capitale di rischio, sia a titolo di capitale di credito si attendono. Il NOPAT minimo è quello che produce un EVA pari a 0 e quindi è pari a (WACC*CI);

4) INDIVIDUAZIONE DEL NOPAT ATTESO che indica il reddito

operativo netto effettivamente previsto nel budget e nei piani aziendali; 5) INDIVIDUAZIONE DELL’EVA inteso quindi come la differenza tra il

NOPAT atteso e il NOPAT minimo essendo quest’ultimo pari al prodotto tra WACC e CI. L’EVA indica pertanto un sovrarendimento rispetto a quello di impieghi finanziari alternativi sul mercato dei capitali. Quando l’EVA assume valori negativi, allora, significa che l’azienda sta bruciando valore in quanto non è nemmeno in grado di ottenere un rendimento pari al costo del capitale;

6) L’ATTUALIZZAZIONE DEI VALORI DEGLI EVA ATTESI consente di

pervenire ad un NPV affine a quello individuabile tramite il metodo DCF: ciò che cambia è l’analisi svolta anno per anno;

7) INDIVIDUAZIONE DEL TERMINAL VALUE, ossia del valore finale al

termine del periodo di riferimento dei 5 anni. Similarmente al metodo finanziario esso sarà pari a: (NOPAT atteso normalizzato/WACC-g). Il fattore g indica il tasso di crescita del NOPAT atteso. Infatti, il NOPAT atteso normalizzato del quinto anno dovrebbe essere incrementato del fattore di crescita annua g e questo risultato viene raggiunto sottraendo tale fattore di crescita dal valore del WACC al denominatore. Si ricorda che il fattore di crescita g viene assunto non superiore al tasso di sviluppo previsto per l’economia in termini di PIL.

La componente del calcolo dell’EVA che risulta di più difficile calcolo è proprio il WACC: di seguito si può osservare come la Pirelli abbia operato agli inizi degli anni ’90, operando un’adeguata ponderazione dei beta di concorrenti operanti in settori similari, per poi pervenire ad un valore complessivo di business e di gruppo da inserire nel WACC:

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294

Settori cavi e sistemi Settori pneumatici Concorrente Nazionalità Beta Beta ponderato Concorrente Nazionalità Beta Beta ponderato Alcatel Francia 0,92 0,26 Michelin Francia 1,08 0,27 BICC UK 0,79 0,14 Goodyear USA 0,85 0,18 Sumitomo El. Giappone 0,63 0,09 Bridgestone Giappone 0,87 0,21

Siemens Germania 0,99 0,14 Cooper USA 0,86 0,03 Furukawa Giappone 1,32 0,16 Yokohama Giappone 1,14 0,05 Lucent USA 1,09 0,08 Toyo Giappone 1,26 0,05 Draka Olanda 0,76 0,04 Hankook Corea 1,18 0,03 Attività cavi 0,92 Continental Germania 0,81 0,07 Lucent USA 1,09 0,98 Sumitomo Giappone 1,13 0,08 Ciena USA 1,47 0,15 TOTALE 0,97 Fotonica 1,13 TOTALE 0,93

Tabella 28

Costo debito Costo equity WACC Cavi e sistemi 0,88% 6,97% 7,9% Pneumatici 0,65% 7,8% 8,5% TOTALE 0,72% 7,53% 8,3%

Gruppo consolidato Beta

Settori cavi e sistemi 0,93 Settori pneumatici 0,97 TOTALE GRUPPO 0,95

Costo del debito (A) 1-t (B) Costo del debito

netto C =A*B % di debito (D)

Costo del debito ponderato E = C*D

Settori cavi e sistemi 5,2% 63% 3,30% 27% 0,88% Settori pneumatici 5,2% 63% 3,30% 20% 0,65% TOTALE GRUPPO 5,2% 63% 3,30% 22% 0,72%

Tasso risk free (F)

Rischio di mercato (G)

Rischio di settore (H)

Costo del capitale proprio(M=F+G+H)

% capitale proprio (K)

Costo del capitale proprio ponderato (L=K*M)

Settori cavi e sistemi 4,9% 5% 0,93 9,6% 73% 6,97%

Settori pneumatici 4,9% 5% 0,97 9,8% 80% 7,80% TOTALE GRUPPO 4,9% 5% 0,95 9,7% 78% 7,53%

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295

L’applicazione dell’EVA deve essere effettuata con particolare attenzione in due specifiche situazioni che possono portare a valutazioni fuorvianti:

- La prima si riferisce alle aziende impegnate in ampi processi di investimento di medio periodo, con connessa crescita del capitale investito aziendale, senza che vi sia ovviamente aumento di redditività, con conseguente depressione del rendimento del capitale investito, dell’EVA e dell’azienda.

- La seconda si riferisce alle imprese ad alta intensità di capitale fisso (siderurgia, etc.) e contenuta obsolescenza tecnico-produttiva, per cui la dinamica degli ammortamenti porta alla graduale riduzione nel tempo dell’entità del capitale investito, per cui, pur in presenza di una redditività assoluta inalterata, l’EVA cresce e può portare ad una sopravalutazione del valore dell’azienda.

Infine, si deve tenere conto del fatto che il valore dell’EVA di un’impresa può essere aumentato, nel breve periodo, tramite una serie di politiche di cui si deve tenere conto nel processo di analisi e che si attuano:

a. riducendo i costi e/o aumentando i ricavi, ma senza aumentare il CI; b. investendo nuovo capitale o sviluppando il business solo attraverso

progetti con un Net Present Value (NPV) che risulti positivo; c. diminuendo il CI, prelevandolo da usi non produttivi, e restituendolo agli

investitori; d. riducendo il WACC attraverso efficienti strategie finanziarie e buona

comunicazione esterna; e. tagliando spese di marketing, di ricerca e sviluppo, di nuovi impianti e di

tutti gli altri componenti della gestione che potrebbero avere effetti negativi nel lungo periodo.

Da qui, la necessità di studiare sistemi di incentivazione del management, che scoraggino il perseguimento di utili solo contabili, e che invece avvicinino sempre più gli interessi dei manager agli interessi degli azionisti. Ciò spiega il motivo per cui il metodo EVA è stato utilizzato come strumento di incentivazione dell’Alta Direzione. In altri termini, per cercare di allineare gli interessi degli imprenditori orientati ad una prosperità di lungo periodo dell’azienda di loro proprietà e quella

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dei manager, spesso interessati solo a profitti congiunturali, alcune imprese hanno deciso di agganciare una parte della remunerazione dei dirigenti ai risultati conseguiti in termini di EVA. Alla luce di quanto detto non va dimenticato però che tutti questi metodi sono solo degli indici rivelatori della maggiore o minore creazione di valore ma non sostituiscono mai il giudizio del management, né un’azienda può essere gestita basandosi solo su tali approcci.

8. I metodi comparativi: i multipli ed i moltiplicatori I metodi comparativi pervengono alla individuazione del valore di una azienda derivandolo non da procedimenti razionalizzati, come tutti gli altri metodi, ma dal comportamento del mercato nei confronti di aziende simili. Tali metodi comparativi si articolano, in relazione alle tecniche di analisi utilizzate, in:

- metodo della società comparabili, con il quale il valore di una azienda non quotata viene derivato dal valore di un campione di aziende quotate comparabili sufficientemente rappresentativo;

- metodo delle transazioni comparabili, con il quale il valore di una azienda non quotata viene derivato dal valore attribuito a società comparabili nel caso di operazioni di compravendita o di fusioni, in numero sufficientemente rappresentativo.

In entrambi i casi è di fondamentale importanza la comparabilità delle società considerate sotto molteplici aspetti aziendali tra cui in particolare:

- l’omogeneità delle attività svolte (stesso settore specifico); - la dimensione; - la struttura finanziaria - la tipologia di presenza sul mercato; - la redditività economica; - la disponibilità di un campione statisticamente rappresentativo.

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Tali metodi vengono in genere impiegati quali procedimenti di controllo di quelli analitici e sono ormai di utilizzo generalizzato. Ad essi viene dato particolare rilievo soprattutto quando i metodi analitici, quali il DCF, se basati su ipotesi di sviluppo aziendale futuro altamente soggettiva, vengono ritenuti inficiati di arbitrarietà. I metodi comparativi utilizzano come tecnica di analisi di multipli e cioè il rapporto tra il prezzo o il valore espressi dalla borsa o dal mercato, dall’azienda ed altre grandezze economiche, di cui alcune si riferiscono all’andamento reddituale-finanziario dell’impresa (utile netto, CF, EBIT, EBITDA, ecc.), altre ed altre grandezze contabili (patrimonio netto, capitale investito, ecc.). I multipli maggiormente utilizzati11 sono, nell’ordine, i seguenti:

* EP

* CFP

*EBITDA

EV

* BVP

* EBITEV

* ROE

EarningPrice

Flows-CashPrice

ondepreciati ion,ammortizat taxes,interst, before Earning

ValueEntreprise

Book valuePrice

taxesandinterest before Earing valueEntreprise

Return on Equity

nettoutilePrezzo

cassadiFlussiPrezzo

lordo operativo Margineimpresadell' Valore 12

contabile nettoPatrimonioPrezzo

imposte epassivi interessi ante Utile

impresad' Valore

netto Capitalenetto Utile

11 Fonte: AIAF, citata 12 Valore di mercato del capitale investito: mezzi propri + debiti finanziari netti

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* NAV

P

* SalesEV

* EV

* EVP

easset valuNet Price

Sales valueEntreprise

Entreprise value

valueEntreprisePrice

)finanziari debiti -attivodell' mercato di (valore

attivodell' netto ValorePrezzo

Venditeimpresadell' Valore

Valore dell’impresa

impresadell' ValorePrezzo

Sui più impiegati di tali multipli, vanno formulate alcune osservazioni, che seguono. Il multiplo P/E (Prezzo/Utile netto, Price to Earings) è di gran lunga il più utilizzato. Esso presenta peraltro dei limiti:

a) il denominatore (E = utile netto) si riferisce a dati storici, mentre il numeratore (P = prezzo) incorpora le aspettative di rendimento dell’azione, a valori attualizzati; la redditività incorporata nel numeratore è prospettica, mentre quella espressa dal denominatore si riferisce al passato;

b) l’utile espresso al denominatore è un dato di carattere contabile, che non tiene conto di aspetti importanti quali:

- diverse valutazioni soggettive di alcune poste di bilancio; - dell’influenza del fattore tempo sui valori del bilancio; - di eventuali variazioni del rischio operativo e finanziario;

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- delle effettive esigenze di investimento aziendale nel futuro; c) l’utile di bilancio viene spesso corretto quantomeno delle componenti straordinarie di reddito.

Il P/E ratio, infatti, indica il “valore” di un’azienda, in termini di periodi necessari per ammortizzare, attraverso gli utili, il prezzo pagato; ceteris paribus, si preferiscono imprese con P/E ratios più bassi. Il reciproco del rapporto P/E è il saggio di capitalizzazione dell’utile aziendale implicito nel prezzo quotato dal mercato; a livello medio di settore è il rendimento che il mercato finanziario giudica normale. Se la tecnica dei moltiplicatori si presta a ridurre l’eccessiva soggettività della valutazione, non si deve comunque credere, come già evidenziato, che sia priva di aspetti negativi e critiche varie. Il limite principale che viene ricondotto al P/E ratio è la sua derivazione contabile dovuta alla presenza dell’utile al denominatore; ne consegue che sarebbe certamente più significativo correggere il moltiplicatore rapportando al prezzo la redditività media normale attesa. Altro limite concettuale, che caratterizza la metodologia del P/E ratio consiste nel considerare i prezzi del mercato (quotazioni). Il fatto di tenere conto dei prezzi di mercato impedisce di utilizzare questo rapporto come indice di redditività. Il tasso di rendimento viene pertanto determinato riferendosi a quello implicitamente riflesso nel valore di mercato del capitale aziendale espresso dalla Borsa. Non si deve dimenticare, però, come il valore economico e quello di mercato quantifichino il patrimonio netto aziendale in base a prospettive diverse. Il valore economico esprime il valore strategico dell’investimento azionario secondo una valutazione generale che non considera le relazioni tra domanda e offerta. Il valore di scambio attribuibile al capitale proprio aziendale è, invece, considerato dal valore di mercato. Pertanto il tasso riflesso dal mercato considera una diversa prospettiva esprimendosi, per le società con titoli quotati, dai prezzi negoziati nell’ambito di mercati finanziari organizzati. Le quotazioni sono però anche l’espressione di variabili e fenomeni estranei alla situazione economica dell’azienda, ne consegue come i prezzi quotati sono spesso dovuti a circostanze non sempre coincidenti con quelle che concorrono alla determinazione del valore economico del capitale. Da ciò deriva che il P/E ratio, se può avere il pregio di circoscrivere i margini di soggettività dell’analista, ha il difetto di basarsi su un approccio concettualmente improprio. Viste pertanto le limitazioni di questo parametro deve concludersi come

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sia certamente più idoneo considerarlo quale dato oggettivo, utile fattore di orientamento per la scelta del tasso di rendimento normale di settore. Il P/E ratio è fortemente influenzato da un altro indicatore importante a livello borsistico: Earnings Per Share (EPS): EPS = utili per azione = utile netto totale/ n. totale azioni L’EPS è stato uno degli indicatori borsistici più in auge fino alla fine degli anni ’80 e agli inizi degli anni’90 ed è stato proprio dall’analisi dei limiti di questo come di altri indicatori che è emersa la necessità di adottare una nuova teoria del valore. Infatti, si è osservato come l’aumento dell’utile e quindi dell’EPS non era sempre correlato ad un aumento di valore economico per gli azionisti. La quotazione azionaria di una società migliora solo se il management è in grado di conseguire un saggio di remunerazione del capitale investito superiore alle opportunità alternative di investimento con un livello di rischio comparabile. La crescita dell’utile, in questo senso, è un indicatore che occulta la vera creazione di valore della società. La crescita dell’utile può verificarsi anche quando il management investe a tassi inferiori al costo opportunità, migliorando l’EPS mentre, in realtà, l’azienda sta distruggendo valore. Per esplicitare quanto detto, si consideri un’acquisizione in cui un’impresa caratterizzata da un elevato P/E ne acquista un'altra con un rapporto P/E più basso, attraverso una scambio di azioni. Dal momento che è sufficiente un minor numero di azioni con un rapporto P/E elevato per ritirare tutte le azioni con un minore rapporto P/E in circolazione, l’utile per azione (EPS) dell’azienda acquirente finirà inevitabilmente con il crescere, indipendentemente dal fatto che l’acquisizione abbia creato sinergie positive. Per capire l’aleatorietà dell’indicatore EPS si consideri la situazione speculare e cioè che sia la società con un basso rapporto P/E ad acquistare quella con un elevato rapporto P/E. L’operazione è la stessa così come medesimi dovrebbero essere gli effetti in termini di ricchezza e di valore creato a livello globale. In questo secondo caso, tuttavia, gli utili per azione tenderanno a diminuire: infatti, un elevato numero di azioni con un basso rapporto P/E devono essere emessi allo scopo di compensare le azioni ritirate dell’azienda acquistata13. Si capisce, da questa semplice riflessione, come l’informazione fornita dall’indicatore EPS sia tutt’altro che oggettiva e che anziché fornire

13 G. B. Stewart, III; a cura di Massimo Spisni, La Ricerca del Valore; EGEA. Milano, 1998.

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un’interpretazione univoca dell’evento da analizzare, indica risultati antitetici a seconda della prospettiva in considerazione. Il multiplo P/CF (Prezzo/Flussi di cassa) è anche esso ampiamente utilizzato poiché consente di superare alcuni problemi di politica di bilancio insiti nel rapporto P/E, quali le appostazioni per ammortamenti ed accantonamenti vari. Esso risente di due particolari limiti:

- la discrasia temporale tra il prezzo – risultante dalle aspettative di redditività – ed i flussi di cassa, che sono un dato consuntivo;

- l’incidenza (alta o bassa) degli investimenti nella determinazione del flusso di cassa consuntivo.

I moltiplicatori EV/EBITDA ed EV/EBIT, che si riferiscono al denominatore al reddito lordo, consentono di superare anche essi i citati problemi delle politiche di bilancio. Al numeratore, l’“entreprise value”, (valore dell’impresa) è dato dalla capitalizzazione complessiva dell’azienda, e cioè dal valore di mercato dei debiti. Spesso, in tali moltiplicatori viene sostituito all’EV il P, che può coincidere o anche non coincidere con l’EP. Il moltiplicatore P/BV – prezzo/patrimonio netto contabile pone il prezzo per azione, quale formulato dal mercato, in relazione con il valore di libro (“book value”) dell’azione. Il rapporto risente dei limiti derivanti, nel raffronto tra più aziende, dai riflessi sui bilanci dell’inflazione e delle politiche in materia di ammortamenti ed accantonamenti. Alcune volte, i multipli ed i moltiplicatori sono applicati con criteri empirici, e cioè non derivanti da logiche valutative, per pervenire alla formulazione di un valore dell’azienda. Tale prassi è in uso soprattutto negli Stati Uniti, particolarmente per imprese di piccola dimensione (cosiddette “regole del pollice” – “rules of thumb”). I multipli considerati riguardano:

a) il fatturato (ad es., l’azienda “vale” 1, 2, 3 o 0.50 volte il fatturato);

b) l’utile netto;

c) valori monetari indicativi dell’attività svolta, ad es.:

- n. milioni a camera per gli alberghi;

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- n. milioni ad auto per gli autonoleggi; - n. milioni per cliente abbonato per società di servizi su internet; - altri parametri.

Sulla base delle caratteristiche dell’azienda oggetto di valutazione si dovrà individuare il metodo che meglio può rappresentare il “valore economico” dell’azienda. Naturalmente, nella scelta si deve tenere presente l’idoneità a rilevare una misura del capitale che sia razionale, dimostrabile, oggettiva e non priva di stabilità nel tempo. In pratica la valutazione deve aversi attraverso un processo logico, motivato, condivisibile, oggettivo ed esprimibile attraverso una formula le cui variabili siano supportate da dati controllabili Per le aziende industriali, i metodi misti patrimoniali/reddituali con stima autonoma del goodwill (o badwill) sono solitamente da preferire nelle aziende redditizie. In presenza di scarsi redditi potrebbe, invece, essere meglio adottare un metodo misto patrimoniale semplice con rivalutazione controllata. Quando poi ci si dovesse trovare di fronte ad aziende in perdita si potrebbe ricorrere a un metodo misto patrimoniale semplice o anche complesso (dove i beni immateriali sono solitamente costituiti da marchi e tecnologia) con rivalutazione controllata e stima autonoma del sottoreddito (badwill). Se quanto esposto può costituire il criterio di riferimento, non deve dimenticarsi come la fase del controllo possa a sua volta essere realizzata con tecniche differenti14. Nelle aziende commerciali, al contrario di quelle industriali, ci si orienta soprattutto verso il metodo misto patrimoniale complesso con stima autonoma del goodwill o (badwill); in tali situazioni particolare importanza può rivestire la voce “licenze”. Anche in tali aziende le metodologie di controllo possono essere costituite da comparazioni con il mercato, metodi reddituali, patrimoniali complessi, nonché empirici. Con i metodi “patrimoniali/reddituali” la valutazione considera, oltre al valore dei beni, anche il relativo sfruttamento economico utile per l’ottenimento dei redditi futuri.

Al contrario i metodi “patrimoniali/finanziari” si basano sulla stima del ritorno finanziario dell’investimento atteso. Mentre i metodi finanziari e reddituali considerano gli accadimenti futuri, i metodi patrimoniali si concentrano sui valori

14 Si pensi , a titolo di esempio, ad uno qualsiasi dei seguenti metodi: delle società comparabili; del confronto diretto con i prezzi di società comparabili a ristretta base azionaria e del break-up.

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attuali. Nella pratica il metodo finanziario è utilizzato nelle valutazioni volte a determinare un valore di negoziazione per un ipotetico acquirente dotato di risorse tali da poter modificare la struttura finanziaria dell’azienda acquisita al fine di massimizzare i risultati. Analogamente, la metodologia finanziaria potrebbe trovare impiego nelle operazioni di conferimento aziendale dove il valore dell’azienda conferita si identifica con il suo capitale di rischio. In pratica si deve tenere presente come sia i metodi finanziari sia talune metodologie reddituali, in quanto legate a previsione di lungo termine e a performance ancora da dimostrare, hanno puramente una natura potenziale.

Considerando poi i settori speciali si rileva come per le aziende creditizie il metodo valutativo più consono, dovendo considerare il “valore della raccolta”, sia quello misto patrimoniale complesso. Le metodologie di controllo a loro volta potranno essere rappresentate da comparazioni con il mercato o da metodologie reddituali. Il metodo misto patrimoniale complesso con stima autonoma del goodwill o badwill è egualmente la metodologia principale da adottarsi nelle valutazioni delle aziende di assicurazione, dove si cerca di stimare il valore del portafoglio premi. Tale metodo è soggetto a controllo attraverso comparazioni di mercato. Per le imprese di assicurazione le metodologie finanziarie possono consistere in metodi potenziali che, avendo opportuna considerazione dei relativi limiti, sono a volte applicati. Data l’importanza dell’elemento patrimoniale, deve rilevarsi come il metodo patrimoniale semplice sia di gran lunga quello adottabile sia per le società immobiliari sia per le holding pure che non costituiscano la capo-gruppo. Invece la metodologia patrimoniale complessa con stima autonoma del goodwill è certamente più idonea nelle holding pure e miste che rappresentano la capo-gruppo. Infine, piccole aziende del settore commerciale e professionale possono, a loro volta, essere opportunamente considerate, anche se non valutate relativamente al loro capitale economico, facendo ricorso alle metodologie empiriche. Quanto illustrato evidenzia chiaramente come la dottrina abbia, in generale, espresso una certa preferenza per l’applicazione dei metodi misti patrimoniali reddituali, considerandone le caratteristiche volte a tener conto sia dell’elemento patrimoniale che di quello reddituale.

I metodi reddituali puri sono invece considerati come una valida metodologia di controllo del metodo principale utilizzato, funzione che viene egualmente attribuita

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anche alle comparazioni con il mercato soprattutto quando alcune incertezze caratterizzano la metodologia di base. A loro volta, i metodi finanziari possono essere usati quali metodi di base solo quando i dati su cui si fondano siano abbastanza credibili e soprattutto oggettivi (controllabili); in caso contrario, anche tali metodologie potranno unicamente essere usate quali metodi di controllo.