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Una storia sociale delle salse – Parte IX admin lunedì, 19 ottobre 2015 Diversi Una storia sociale delle salse (2013) – Parte IX Girotondo. La macchina che mangia non è mai ermetica: fessure, orizi, fermenti, eruzioni la tormentano. Nella logica di un’idraulica digestiva, nell’ambito di una fenomenologia dei uidi le salse ci aiutano a raticare le obbligazioni organiche, a superare i fantasmi connessi: di gravidanza, di nascita, di avarizia, di economia. Temi cari a Georg Groddeck, che defeca spavaldamente sulla NO-COPYRIGHT QUESTO SITO NON HA COPYRIGHT Cerca nel sito Cerca Home Che cos’è il food-design? OLD P.A.G.E.S. Contatti

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Una storia sociale delle salse –Parte IX

admin lunedì, 19 ottobre 2015 Diversi

Una storia sociale delle salse (2013) – Parte IX

 

Girotondo.  La macchina che mangia non è mai ermetica:fessure, ori�zi, fermenti, eruzioni la tormentano.  Nellalogica di un’idraulica digestiva, nell’ambito di unafenomenologia dei �uidi le salse ci aiutano a rati�care leobbligazioni organiche, a superare i fantasmi connessi: digravidanza, di nascita, di avarizia,  di economia.  Temi cari aGeorg Groddeck, che defeca spavaldamente sulla

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psicoanalisi per accelerare l’equazione intestinale deipensieri.  Del resto la digestione possiede ingranaggi chesono unici, scrivono Guattari e Deleuze, unti dalle salsespingono la macchina organica verso sorprendenti escivolosi percorsi. Come �usso nutritivo le salse possiedono un linguaggiogustativo che orienta la libido ed introduce uno iato tra lesensazioni di piacere sentite al loro passaggio attraverso labocca �no all’ano e le impressioni sessuali che questesensazioni implicano (Freud).  In altri termini, ci rende adultimoltiplicando la voluttà della defecazione.  Per abitudine,per s�nimento.

 

La civile esperienza nutritiva, il cui groviglio tra corpo enutrimento è stato battezzato dalle brode, si condensa conla salsa che favorisce i grassi �ussi nutritivi che solcanol’economia del corpo operaio ossessionato da nutrimentiterrestri socializzati e sognati.  Qui la salsa come unapulsione desiderante si sottrae al materiale per l’organico,esplora i luoghi corporei segreti e amorosi, come bocche dipassero.  Ha saggiamente notato Gertrude Stein, le salsesono particolarmente amate da coloro che credono allepassioni intestine!

 

Un po’ di materialismo in cucina.  La prima rivoluzionecucinaria moderna ha per protagonista un rivoluzionarioinconsapevole e vero artista, François Pierre La Varenne(1615-1678), perché se ha un signi�cato il nostro modo diri�ettere sulla realtà, l’arte in cucina è lo strumento delritrovamento dell’unità tra forma e contenuto a partire dalri�esso di natura e di vita sociale.

Del resto, comprendere il mondo, come spiega ilmaterialismo, signi�ca penetrarlo nella sostanza.  LaVarenne nelle salse e nella pasticceria – come sostieneHegel in questa citazione infedele di Friedrich Engels –rende convincente per i nostri sensi e per il nostro gustoquel che è ancora esteriormente celato, quel che costituisceancora e soltanto una tendenza, una possibilità di sviluppo. In una quello che – se si esclude Menon, qualche decenniodopo con il suo La cuisinière bourgeoise – molti non

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vedevano.  Di più, La Varenne – là dove, come nella“salseria”, la sua “arte” è più satura – interpreta con lamassima eleganza e con il necessario realismo la realtàpolitica del suo tempo realizzando quello che per la logicadell’idealismo è una contraddizione in termini: il valorepolitico delle sue salse aumenta il loro valore estetico.  Maqui siamo in buona compagnia, è pressappoco quello chedirà Marx sull’opera di Honoré de Balzac.

Ciò detto La Varenne lasciò ai suoi epigoni niente altro cheambigui protocolli linguistici senza altra ermeneutica chenon fosse quella di una nuova alchimia, forme grammaticalibarocche al limite dell’indigesto, escrescenze gianseniste. In questo senso egli si mosse all’inverso del grande Carême,moccioso abbandonato alla barriera del Maine, spia,architetto di soprammobili, urbanista di Svizzere inminiatura, perché la lotta di classe per un artista si realizza,per cominciare, distruggendo nella sua coscienza quellefrontiere di classe che gli impediscono di rispecchiare ilreale.             

 

Le salse possono essere buone di per sé?  Forse.  Il buonoche le accompagna è un prodotto della storia sociale, ma siè sviluppato storicamente seguendo un’ottica produttivache è propria del paradigma cucinario e letterario a cuiappartiene.  In questo senso l’appercezione del buonosegue lo sviluppo delle forme di cultura – alla lettera –dell’azione dell’uomo sulla natura.

C’è un’analogia che rende plastica questa osservazione.  Fintanto che gli uomini non hanno scollinato gli ostacoli che iversanti montuosi gli paravano davanti non è esistito ilpaesaggio, ma una visione che provocava in loro spavento eavversione.

In relazione a questo tema l’analisi marxiana ha evidenziatocome l’uomo trasformando la natura trasforma se stesso equesta stessa natura.  La cucina in senso lato – da cuiderivarono gli atti alimentari – è nata dal lavoro femminile,ma una volta che si è istituita come lavoro(°) ha esercitatola sua in�uenza sull’evoluzione del gusto e, in secondaistanza, del disgusto come categoria sociale.  Un’in�uenza

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da cui facciamo derivare anche le forme dirappresentazione del sapore.

In termini analogici ricordiamo come sul �lo del tempo leintuizioni di Rembrandt (°°) a proposito del chiaroscurohanno sensibilmente approfondito e trasformato lacomprensione estetica della luce e dell’ombra �no ad alloraritenuta inessenziale, così La Varenne ha sensibilmentecontribuito a trasformare il gusto attraverso le diluizioni, leriduzioni, le cotture prolungate dei liquami e dei coulis che,non per caso, divennero una metafora della politica e delbuon governo.

 

(°) – È la ripartizione delle attività che ha prodotto la nascitadella forma di lavoro �n dal neolitico.  Questa ripartizioneera dettata dalla necessità della caccia con appostamentiche richiedeva una vigile allerta e dunque l’allontanamentodel cacciatore dalle donne e dalla cura della prole comedalla conservazione del fuoco.

(°°) – Rembrandt e non altri se si ha a mente la piccola esplendida incisione della contadina accosciata che orina inun campo di grano.  La fecondità ha le sue alchimie.

 

Naturalmente le salse di La Varenne non furono apprezzateda tutti, a cominciare da coloro che non ne potevanocondividere la metafora culturale.  Il mondo contadino eraallora estraneo alla vita debosciata e parassitariadell’aristocrazia che immaginava immersa in un continuopeccato contro natura.  La bassa corte vedeva nelle salseun altro inganno ancora nella partita per gli arrosti di cuirespiravano il fumo e rosicchiavano le ossa.  Taleatteggiamento, anche se reazionario, in realtà è una critica-pratica alla divisione della società in classi.  Sappiamo chesi ripeterà più volte nel corso della storia e sappiamo comeè �nita.

 

Scrive Marx a proposito dell’arte dell’antica Grecia: “Ladi�coltà non sta tanto nel capire che essa (l’arte) e l’epicadella Grecia sono legate a determinate forme sociali dello

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sviluppo storico.  La di�coltà sta nel capire perchéentrambi continuino a darci un godimento estetico, e, in uncerto senso, conservino l’importanza  di norma e di modelloirraggiungibile”.

Tutti i problemi del “buono cucinario” si presentano nellaloro forma più attuale al mutarsi dei suoi stili, tipi e generi,come abbiamo costatato nell’odierno dissolversi deiprocessi cerimoniali.  In questo mutamento trasparel’importante funzione del gusto nel campo dell’educazionemateriale.  Il carattere speci�co di una tale educazione – adifferenza di altre forme di episteme – consiste nel fattoche esprime sempre di più, attraverso le sue immagini, undeterminato contenuto della vita sociale e della suaesasperata estetizzazione.

 

Il carattere speci�co degli atti cucinari nel corsodell’Ottocento – a differenza dei prodotti dell’industriadell’agroalimentare – consiste nel fatto che essi esprimono,attraverso delle rappresentazioni, contenuti propri delquotidiano che ri�ettono una conoscenza materiale delmondo.  I prodotti industriali, di contro, sono espressioni diuna visione meccanicista e ideologica di questo che agiscesui sensi e si proclama ideale.  Tali atti cucinari, infatti, nons’identi�cano con il gusto, ma identi�cano il gustodell’educazione borghese.  In questo modo possonoesprimere il ripugnante e il disgustoso, esattamente comela Parigi dopo il bagno di sangue operaio del 1848 che faràdire a Friedrich Engels che “Parigi era morta e questo belcadavere era tanto più orribile, quanto era più bello”.

Nella sua teoria del plusvalore Marx scrive che laproduzione capitalista è ostile ad alcuni campi dellaproduzione poetica quali sono l’arte e la poesia. Aggiungiamo, è anche decisamente ostile alla storia socialee alla cultura materiale, di cui gl’atti alimentari sono unaspetto, per il solo fatto che sanno estrarre dalle esperienzedel passato ciò che vi è di prezioso e distinguerlo da ciò chevi è di estraneo alle ragioni del desiderio e della rivolta.

 

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Che cos’è una salsa dal punto di vista della culturamateriale?  È una forma speci�ca di conoscenza del gustocapace di in�uenzarlo e trasformarlo.  Agisce mediante lacreazione di rappresentazioni che sono un ri�esso della vitasociale e, soprattutto, appare come una rifrazione dellanatura attraverso l’esperienza.  Del resto il contenuto e laforma di una salsa sono condizionati da quel complesso diatti sociali che l’hanno prodotta alla base dei quali sidistinguono nella modernità una cultura di sapori cresciutatra rapine coloniali e poteri economici sempre piùimmateriali.

 

La rivoluzione cucinaria del diciassettesimo secolo consistesoprattutto nel fatto che questa rivoluzione ha �nito peresprimere, al pari dell’arte e del buon governo, una formasincretistica della cultura proto-borghese, vale a dire, unsistema ancora indifferenziato di rappresentazioni in cui leforme sensibili della conoscenza cominciano a corrompersisotto la ruggine dello spettacolo.

 

La nouvelle cuisine e l’estetizzazione degli atti alimentari. La fortuna mercantile di cui ha goduto la nouvelle cuisinerisiede sostanzialmente nel fatto che ha rappresentato dauna parte l’espressione delle istanze del mondo dellospettacolo, dall’altra delle dilaganti pretese creative a�datealla soggettività.  In questo modo il valore della cucinacome esperienza sensoriale fu trasferita all’esercizioestetico-gustativo delle preparazioni alimentari.  Alla basedella sua popolarità troviamo le aspirazioni artistiche deisuoi cuochi sensibili alle istanze della performanceconiugata con i temi della nascente globalizzazione.  Suifornelli si confezionava la narcosi sociale del gusto e siaccontentavano le pretese ostentative, mascherate con lanostalgia, delle sue élite.  Come dire, questa nuova cucinaha rappresentato lo scivolare del gusto dalle cucinelondinesi del Ritz a quelle del “piccolo chimico” che hapasticciato nelle cucine di El Bulli di Barcellona.

Alla �ne della spesa nella nouvelle cuisine la banalizzazionedella sostanza alimentare �nì per inverarsi in un’espansionedegli elementi propriamente formali del piatto che vennero

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disorganizzati in nome del primato creativo.  In questomodo cucinare divenne un’espressione degli stati d’animodel cuoco destinati ad esaltare il misticismo estetico delleposizioni di classe.  Di fatto è come se, accanto alle ragionidel gusto, valesse per le pratiche cucinarie quello cheWassily Kandinsky chiamò il principio della necessitàinteriore.  Per il proletariato è la fame, per lo chef è ilnarcisismo.

 

 

Tutto cominciò da molto lontano.  C’è una certa continuitàpicaresca tra le signorine della calle Avinyó di Barcellona e ilmodo disordinato di mangiare di Pablo Picasso che, unamanciata di anni dopo, Guillaume Apollinaire cercherà diconciliare con il suo cubismo culinario(°) e, in seguito, digiusti�care come l’eterna disputa tra Ordine e Avventura. Nolenti è di nuovo il tema della rappresentazione e di ciòche ci aspettiamo da essa.  Tema che brilla ancora di piùnel confronto con le “salse d’oro” che ungono i fondi dellapittura viennese, in particolare di Gustav Klimt.

Una forma di rappresentazione che a�igge il secolo appenainiziato, caotica e rissosa, fatta di acidi e di brutalicompromissioni tra burro e cannoni, destinata a salvaredalla rivoluzione, con la guerra, la borghesia e i suoiinteressi.  Per comprenderla occorre leggere Robert Musil,oppure, sedersi ad un tavolo di un ristorante in riva al mare

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di Collioure, l’antico borgo di frontiera ad un tiro di schioppoda quel Hotel Franca di Port Bou, dove una trentina di annidopo si consumerà un dramma che opprime il cuore di chicrede nella poesia della nuda vita: il suicidio di WalterBenjamin.  Sedersi ed ordinare – mentre giovani donnedanzano la sardana sulla passeggiata – uno dei piatti localiruscellanti di salsa “marina”.  Vi porteranno una tela diMatisse, un acquarello di Derain, il resto va scoperto incompagnia di quell’Angelus Novus che ha il sapore dellaterra arata!

 

(°) – Cfr., “Le cubisme culinaire”, in Fantasio, Parigi 1gennaio 1913.

Paul Joseph Carton (1875-1947) è stato un medicofrancese a suo tempo molto famoso, ancora oggi èricordato come l’iniziatore della medicina naturale.  Cartonsosteneva che tutte le malattie provengono da un de�cit delsistema immunitario causato dalla cattiva igiene e dagli stilidi vita alimentari.   Una tesi che si può condividere, ma inun’opera intitolata Les trois aliments meurtriers del 1912indicava la carne, lo zucchero e l’alcool come i veleni cheavevano colpito, devastandolo, il pensiero contemporaneo. Ad essi attribuiva la produzione letteraria immorale, iromanzi deliranti, la musica sconclusionata, la pittura senzaarmonia, le mode assurde e ridicole del ventesimo secolo o,meglio, delle avanguardie storiche del primo Novecento.  Insostanza era convinto che Les Demoiselle d’Avignon (1907)o meglio le chicas della via Avignone di Barcellona, dipinteda Pablo Picasso e considerate un capolavoro delNovecento, invece d’inscriversi nella tradizione pittorica cheha in Les Grandes Baigneuses (1906) di Paul Cézanne unimportante antecedente, dipendessero dalla paella, dallabuttifarra (salsiccia) o dalla escudella, la zuppa di carni everdure, bagnate dai bianchi e freschi cava (spumante), dicui l’artista era ghiotto.

 

Le salse attraversano la Belle Epoque come una hybris. Avevano il culo grasso che era stato loro imposto dallacucina di Carême e le tette piccole della Lou diApollinaire(°).  Conoscevano la gioia del successo, per

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quanto precario, �nendo come nel caso italiano in ordinealfabetico nei “cucchiai d’argento” in attesa di una dottrinanazionale con i suoi mal tollerati appelli iconoclasti deifuturisti, simpatici manigoldi pagati dal consorzio dei risinazionali, a sua volta promosso da quello sciagurato�gurante della politica che fu Benito Mussolini.

Qui non è casuale il richiamo, attraverso Freud, alla Gradivadi Wilhelm Jensen, di quel seppellimento del ricordo e delsuo rinascere nelle polle della libido.  Chissà se la suabianca statua di marmo, restituita al mondo dal sonnopompeiano, aveva sul serio la passera rasata?   

Harmonia, symmetria e congruentia, Eros ha sempre giratoil mestolo nelle pentole libertine, una scopata come uncondimento non sono nulla, si possono rifare e poi il corponudo, il corpo senza il velo delle salse o dei merletti èorribile, fuori dalla cultura.  Apollinaire consideravaabominevole l’Olympia di Manet.  Diciamo, alla lettera,insopportabilmente attraente come sono gli acidulati inguinidelle ragazze d’Avignone.

 

(°) – Era una stagione nella quale i bons vivants mettevanosullo stesso piano le cocottes, le partire di bridge contrattoe le terrine di tordo profumate dai moscati di Corsica.

 

Ormai tutto è salsa, cioè nulla.  Chiunque può de�nirsisalsiere, anche se le specializzazioni si giocano sui primipiatti amidacei.  I cumshot diventano sempre più pallidi erarefatti, come le livree delle professioni maschili inDuchamp o le uniformi degli eserciti.  Va notato, nessunadivisa ha più il colore del sangue, tutt’al più sono kaki, unatinta molto coloniale e molto inglese, il colore della polveree dell’arroganza.  Vorrebbero sembrare tinte dal sudore e daipigmenti naturali, ma inalberano colori industriali indelebili. Del resto, chi sogna ancora ciotole d’argento piene di salseche circondano pavoni dalla coda drizzata e dal beccodorato?  Chi sogna ancora paesaggi?  Si racconta chePicasso di fronte alle stoffe mimetiche delle tute militariabbia esclamato:  “Siamo noi che abbiamo inventato tuttoquesto!”  Una bieca compiacenza.

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In un’epoca in cui subiamo imbelli la vittoria della parte sultutto, del frammento sull’insieme, le salse sono l’ultimaspiaggia della bella totalità.  L’illusione – si fa per dire – cheesista ancora una tradizione da combattere, una morale dasuperare, dei tabu da trasgredire. 

Forse un giorno, lettore, uscendo dalle nebbie dellospettacolo un viandante ti chiederà: Potrebbe dirmi cheposto è questo e dove mi trovo? 

FINE

***

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