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dal Venerdì di Repubblica del 3 dicembre 2010
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LORO DI NAPOLI
SAN GENNAROBATTE ELISABETTAII:
HA IL TESORO PIÙ RICCOIL VERDETTO DI UN POOL DI ESPERTI CHE HANNO VALUTATOI VENTUNOMILA GIOIELLI CONSERVATI NEL CAVEAU DI UNA BANCA:IL PATRIMONIO DEL SANTO PARTENOPEO È IL PRIMO AL MONDO
di ANGELO CAROTENUTO
IO SALVI la regina. Per-ché potrebbe prenderlamale. Ma i gioielli della co-rona d'Inghilterra, coi dia-manti più celebrati al mon-do, il Koh-i Noor e la Gran-
de Stella d'Africa, non sono i più preziosisulla terra. C'è un tesoro di maggior valo-re, chiuso in un caveau del Banco di Na-
poli, più pregiato degli ori di Elisabetta.«Vale di più». Solo che nessuno lo cono-sce. Sono i gioielli del martire Gennaro,la faccia 'ngialluta insultata dalle vecchieperché il suo sangue si sciolga nel duomodi Napoli tre volte all'anno, il santo de-pennato dal calendario e retrocesso inserie B dal Concilio Vaticano IL Un teso-ro custodito nel cuore della più in- *m
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ItaliaLORO DI NAPOLI
felice, affamata, umiliata e torturata cittàd'Europa, come Curzio Malaparte chia-mava Napoli. «Sì, San Gennaro è più ric-co della regina». Via Toledo batte Towerof London. Una certezza dopo quasi treanni di ricerche, sul punto di essere pre-sentate al pubblico, proprio mentre lacittà misura la perdita del suo orgoglio intonnellate di monnezza.
Ci ha lavorato un pool composto dadue storici dell'arte, una storica di archi-vi e tre gemmologi. Una investigazionesulle pietre, la loro provenienza, docu-menti, mandati di pagamento, persinesulle ore di lavorazione impiegate all'epo-ca. Lo Sherlock Holmes dei diamanti sichiama Ciro Pachilo, docente di gemmo-logia a La Sapienza di Roma. «La cifracomplessiva del valore dei gioielli di SanGennaro, ferò, non la faccio. Non in unmomento così delicato per la città». Ven-tun mila oggetti. «Pensavo di trovarmi difronte un mucchio di collanine, manineed ex-voto» E invece. Paolillo-Holmes e i
suoi Watson sono
Oggettiinestimabiligiunti dalleAmericheai tempi delleconquistespagnole
"NT
entrati nel caveau.«Un caldo inferna-le». Camici bian-chi, guanti da chi-rurgo, un laborato-rio trasferito den-tro la banca. Mi-croscopi, raggi ul-travioletti, lenti eluci. E le guardie
armate sempre addosso, mentre loroscoprivano smeraldi dell'epoca Maya, ta-gliati in Colombia, portati a Napoli daiconquistadores spagnoli attraverso il por-to di Genova. «Gli altri tesori? Briciole dipolvere rispetto a un elefante».
Ma, soprattutto, non ce n'è uno cheracconti la Storia come quello di Genna-ro, il più noto fra i 52 santi patroni di Na-poli: un'accumulazione di doni giunti neisecoli da re, regine, imperatori e papi.Un tempo i gioielli adornavano il bustodel santo voluto dagli Angiò durante leprocessioni. Poi sono spaiiti. Nascosti inVaticano, durante l'ultima guerra, e ri-trasferiti a Napoli, nel 1947, da tale Giu-seppe Navarra, sommozzatore, detto ilre di Poggioreale, descritto da GiuseppeMaretta come un mezzo guappo, il pri-
1 UNA SALA DEL MUSEO Dì SAN GENNARO NEL QUALE È ESPOSTA UNA PARTE DEL TESORO DEL SANTO
2 LA COLLANA CHE ADORNA IL BUSTO DEL SANTO: È IL FRUTTO DI DONI DELLE CASE REGNANTI EUROPEE
3 LA STATUA IN BRONZO DEDICATA A SANTA CHIARA CONSERVATA IN UNA DELLE SALE DEL MUSEO
mo titolare di un porto d'armi a Napolidopo la Liberazione. Ci hanno fatto unfilm con la sceneggiatura di John Fante.Riportò indietro tutto. Il calice in oro,diamanti e rubini commissionato da Fer-dinando di Borbone. La pisside in brillan-ti, zaffiri e smeraldi. L'ostensorio in ar-gento e pietre preziose donato da MariaTeresa d'Austria. E soprattutto le mera-viglie: la mitra e la collana. La prima inargento dorato, 3.328 diamanti, 198 sme-raldi e 168 rubini, un prodigio realizzatonel '700 da un orafo trentenne, MatteoTreglia. Racconta Paolillo: «I Medicihanno esaltato Cellini, ma questo artigia-no semisconosciuto non era da meno.Completò un lavoro da 20 mila ducati.Per farsi due conti, mezzo secolo primala peste costava alla città 650 ducati asettimana». Traduzione: «E* un pezzo da7 milioni di euro». Il calice in oro zecchi-no donato da papa Pio IX ai napoletaniper ringraziarli dell'ospitalità ricevutadurante i moti mazziniani, a metà Otto-cento ne valeva 3.000 ducati. Cifra con laquale, allora, si comprava la Ferrari ditutte le carrozze. «Ma il valore storicodel dono come si stima?». Vuoi metterela collana. Tredici maglie d'oro e pietrepreziose cui, dal Settecento, si ag- M>
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RODI NAPOLI
1 UN'ALTRA IMMAGINE DELLA PARTE DI TESORO ATTUALMENTE VISIBILE NEL MUSEO
2 LA MITRA IN ARGENTO DORATO: 3328 DIAMANTI, 198 SMERALDI E168 RUBINI. UN PRODIGIO REALIZZATO NEL 700
DA UN ORAFO TRENTENNE, MATTEO TREGUA, PARAGONATO DAGLI ESPERTI A BENVENUTO CELLINI
giunsero croci e fermagli in brillanti, ru-bini, zaffiri e crisoliti donati da tutte lecase regnanti d'Europa. «La singola cro-ce regalata da Bonaparte è di smeraldosenza inclusioni. Di quelle che da Chri-stie's si battono per un milione di euro acarato. E in questo caso siamo a 26 cara-ti». Cifre ipotetiche, dice la gemmologiainvestigativa. «Un tesoro si valuta davve-ro solo nel momento in cui si vende».
Solo che qui non c'è nessuno che ven-da. H tesoro appartiene alla città e ne ècustode la Deputazione della cappelladel tesoro, una delle istituzioni più singo-lari d'Italia. Quando si dice Deputazione,la pi-ima cosa da fare è tenere i pensierilontano da funzioni religiose, chiese ecardinali. È un'istituzione laica. Nasceperché, nel 1527, Napoli si trova schiac-ciata fra la peste e la guerra dei francesia Carlo V E, prima ancora che la manodi Dio, il popolo invoca l'aiuto di SanGennaro. Con la promessa di edificargliuna cappella più grande all'interno delduomo. Faccia "ngialluta esaudisce, il vo-to va sciolto. Ci pensano gli Eletti dellacittà. Uomini nobili e del popolo. Dal 1601a oggi, la Deputazione garantisce l'invio-labilità delle ampolle col sangue del san-to e l'amministrazione del tesoro. Roba
seria. Le nomine erano controfirmatedai re, ora passano da Quirinale e Vimi-nale. La presidenza è del sindaco, il vicesi chiama don Riccardo Carafa ducad'Andria, da cinquant'anni fra gli eletti,da uno al vertice.
Ai guardiani di San Gennaro, il teso-ro l'hanno sfilato sotto gli occhi solo Ni-no Manfredi e la sua scalcagnata bandanel film di Dino Risi. Volevano compra-re il calciatore Eusebio. «Dio mio, quelfilm», si sente orrore nella voce di Ca-rafa. «Non ne sapevamo niente dellasua realizzazione. Lo diciamo?». Dicia-molo. «Non ci fece piacere. Poteva esse-re un incentivo al furto». Nessuno ci hamai provato, neppure ora che cinquedelle meraviglie sono esposte al museodella cappella. «Un rubino è quasi aportata di mano. In realtà il vero anti-furto sono i napoletani: il tesoro è ditutti», racconta Paolo Jorio, direttoredel museo, che si prepara alla grandeesposizione di aprile-maggio 2011. Tut-te insieme le dieci
Quel filmcu Manfredisu un furtoimpossibile.Nella realtà,a vigilare sonoi napoletani
meraviglie. «Il ve-ro problema di si-curezza si porràquando portere-mo la mostra fuo-ri». In progetto unallestimento a Ro-ma, Castel San-t'Angelo. Intanto illavoro dei gem-mologi è documentato in un elegantevolume (Le dieci meraviglie del tesoro diSan Gennaro, Libreria dello Stato).
L'ultimo dono è arrivato pochi mesifa. Un paio di occhiali. Una montaturasemplice semplice. Un uomo ha bus-sato alla porta della cappella e ha rac-contato che sua figlia, con una seriamalattia alla vista, aveva sognato SanGennaro. La mattina dopo era guari-ta. «Cosi almeno racconta lui», alza lemani Carafa. Ma nel nome di SanGennaro, l'abate ha sorriso all'uomovenuto dal Nord Italia, l'ha ringrazia-to e ha trovato un posto ai piccoli oc-chiali in acetato di cellulosa. Accantoai calici dei re. Roba che a Buckin-gham Palace se la sognano
ANGELO CAROTENUTO
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