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che talvolta lo investono soffiando ad elevata velocità dalle alte sponde che lo delimitano a nord, ad ovest e ad est. Un giorno, mentre Gesù e gli apostoli lo stavano attraversando in barca, la loro imbarcazione fu sorpresa da un’improvvisa e così furiosa tempesta, che minacciò di farli perire tra le onde. Gli apostoli si rivolsero spaventati a Gesù che dormiva nella barca, e lo pregarono gridando perché intervenisse a salvarli; e Gesù, con sovrana e divina potenza, e un preciso comando, placò i venti e calmò le onde, riportando sul lago perfetta bonaccia. Con questo miracolo Gesù si rivelò il padrone della natura: egli era colui al quale tutto il creato obbediva, il signore dell’universo al cui cenno ogni creatura si mostrava sottomessa. Egli era colui che possedeva la stessa potenza di Dio; anzi, che era Dio egli stesso! Infatti nell’Antico Testamento il potere sul mare e sulle acque era riservato al solo JHWH; solo Dio era il dominatore delle acque e del mare, colui che aveva diviso le acque superiori dalle acque inferiori all’alba della creazione vincendo il caos primitivo (Gen 1,6-7); colui che aveva fatto venire il diluvio e lo aveva fatto cessare (Gen 6,5 – 8,14); colui che aveva diviso il Mare dei giunchi per farvi passare il popolo di Israele (Es 14,21-22) e aveva diviso poi il fiume Giordano perché gli Israeliti potessero entrare nella Terra promessa (Gios 3,14-17). Solo Dio era il dominatore delle acque! (Gb 26,12; Sal 65,8; Sal 107,23-32). Ma ora tale potere era anche di Gesù. Egli aveva lo stesso dominio e la stessa potenza di Dio! Egli era Dio. Per la riflessione 1. Gesù disse agli apostoli: “Passiamo all’altra riva”. Tante volte Dio dice all’uomo: “Passiamo all’altra riva”; all’altra riva di una vita più buona, alla riva di un atteggiamento di pazienza e di perdono verso una persona, alla riva di una maggiore fiducia nella 35

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che talvolta lo investono soffiando ad elevata velocità dalle alte sponde che lo delimitano a nord, ad ovest e ad est.

Un giorno, mentre Gesù e gli apostoli lo stavano attraversando in barca, la loro imbarcazione fu sorpresa da un’improvvisa e così furiosa tempesta, che minacciò di farli perire tra le onde. Gli apostoli si rivolsero spaventati a Gesù che dormiva nella barca, e lo pregarono gridando perché intervenisse a salvarli; e Gesù, con sovrana e divina potenza, e un preciso comando, placò i venti e calmò le onde, riportando sul lago perfetta bonaccia.

Con questo miracolo Gesù si rivelò il padrone della natura: egli era colui al quale tutto il creato obbediva, il signore dell’universo al cui cenno ogni creatura si mostrava sottomessa. Egli era colui che possedeva la stessa potenza di Dio; anzi, che era Dio egli stesso! Infatti nell’Antico Testamento il potere sul mare e sulle acque era riservato al solo JHWH; solo Dio era il dominatore delle acque e del mare, colui che aveva diviso le acque superiori dalle acque inferiori all’alba della creazione vincendo il caos primitivo (Gen 1,6-7); colui che aveva fatto venire il diluvio e lo aveva fatto cessare (Gen 6,5 – 8,14); colui che aveva diviso il Mare dei giunchi per farvi passare il popolo di Israele (Es 14,21-22) e aveva diviso poi il fiume Giordano perché gli Israeliti potessero entrare nella Terra promessa (Gios 3,14-17). Solo Dio era il dominatore delle acque! (Gb 26,12; Sal 65,8; Sal 107,23-32). Ma ora tale potere era anche di Gesù. Egli aveva lo stesso dominio e la stessa potenza di Dio! Egli era Dio.

Per la riflessione

1. Gesù disse agli apostoli: “Passiamo all’altra riva”. Tante volte Dio dice all’uomo: “Passiamo all’altra riva”; all’altra riva di una vita più buona, alla riva di un atteggiamento di pazienza e di perdono verso una persona, alla riva di una maggiore fiducia nella Provvidenza……. Un giorno ci dirà: “Passiamo alla riva dell’eternità…”.Ma notiamo il plurale: “passiamo”; egli viene con noi, non ci lascia soli nei nostri “passaggi” di conversione, e non ci lascerà soli neanche in quello definitivo dalla terra al cielo; egli non ci manda avanti da soli; egli entra nella barca con noi…

2. La tempesta raccontataci da Marco fu una tempesta improvvisa e imprevista, non imputabile a coloro che vi si trovarono in mezzo. Infatti mai più Gesù avrebbe detto agli apostoli "Passiamo all'altra riva" del lago, se avesse visto dei grossi nuvoloni e avesse notato del vento forte che faceva prevedere burrasca. Né gli apostoli gli avrebbero fatto a meno di obiettare: "Sta per venire una tempesta!" Tante volte le burrasche anche nella nostra vita avvengono improvvise e impreviste; non per causa nostra. In quei frangenti è altamente rassicurante avere Gesù con noi, e stringerci a lui.Alle volte invece siamo noi stessi a provocare le nostre tempeste e le nostre burrasche, come il profeta Giona (Giona 1,1-10); le provochiamo quando "fuggiamo dal Signore". In quelle tempeste coinvolgiamo magari anche altre persone e le facciamo soffrire, come Giona mise in difficoltà i marinai. La burrasca si placherà solo se noi faremo penitenza (Giona 1,12), e se, riconoscendo il nostro sbaglio, ritorneremo a Dio; egli è sempre pronto a salvarci! (Giona 2).

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3. Gli apostoli hanno nella loro barca Gesù; Gesù dorme ed essi lo svegliano. Nelle nostre tempeste è importante avere Gesù con noi e saperlo svegliare. E' lui infatti che può placare i venti e le onde, e riportare calma e bonaccia.Si tiene Gesù nella barca della propria vita con la fede, con l'amicizia con lui. Lo si accoglie nella propria barca nell'attraversata del lago di ogni giornata quando al mattino si offre la giornata a lui e gli si chiede presenza; gli si chiede che egli venga con noi.Ma poi occorre "svegliare" Gesù. Lo si sveglia ogni volta che lo si invoca, che lo si chiama, che ci si rivolge a lui nel momento del pericolo e della necessità. E' importante "svegliarlo" più volte al giorno, tenerlo ..."sempre sveglio"; o meglio! tenere noi svegli di fronte alla sua continua presenza e alla sua amorosa e assoluta potenza!

4. Gesù rimprovera gli apostoli perché hanno paura e sono deboli nella fede. Le difficoltà della vita non possono non fare paura (anche Gesù ha avuto paura nell'Orto degli ulivi: Mc 14,33-36). Ma la fede e il ricorso a Gesù ci devono aiutare a superare la paura, a ritrovare la calma e a sperare nella salvezza. Nulla di veramente male, con Gesù, ci potrà capitare. Qualsiasi sia "l'altra riva" verso cui Dio ci facesse andare.... Il problema è allora quello della nostra fede! (Sal 27; Sal 91; Sal 37,7; Lam 3,22-26).

5. Gesù dorme. Gesù è stanco ; accetta i suoi limiti anche fisici (Gv 4,6-7). Si concede il necessario riposo. Accetta che siano altri (gli apostoli) a faticare anche per lui; e con umiltà accetta di beneficiare del loro lavoro. Non vuole essere un superman! Eppure era il Figlio di Dio!

b) L’Indemoniato geraseno (Mc 5,1-20)

Gesù, sedata la tempesta sul lago di Gennesaret, giunge con gli apostoli "all'altra riva" del lago, la riva orientale, ove si estendeva la regione pagana detta Decàpoli. Qui, in terra pagana, incontra un uomo profondamente sofferente e disturbato da Satana.

L'evangelista Marco (ma anche Luca e Matteo) descrivono con forza la situa-zione terribile di questo povero uomo. E' "posseduto da uno spirito immondo" (Mc 5,2) = da uno spirito contrario allo Spirito di Dio, che è Spirito mondo, Spirito puro. "Ha dei demoni", dice Lc 8,27; è invaso (invasi, perché in Mt gli indemoniati sono due) da demoni", dice Mt 8,28.Questi demoni procurano in quest'uomo gravi squilibri e conseguenze cattive. Egli:

-vive tra i sepolcri, fuori dell'abitato: è una persona che non sa intrattenere rapporti umani con la gente e rifugge dalla vita; ha una tendenza che lo tira verso l'isolamento e verso la morte. E' un tipo asociale. Non ha relazioni.

-spezza ogni catena e ceppo con cui viene legato e non si lascia domare da nessuno: ha un ché di violento in sé. Mt 8,28 dice che nessuno poteva avvicinarlo(li), nè passare per la strada ove egli (essi) si trovava(no). Ciò fa pensare che quest'uomo fosse pericoloso e avesse la tendenza ad aggredire ogni persona che gli si avvicinasse. Per questo la gente aveva tentato più volte di renderlo innocuo e di immobilizzarlo le-gandolo con catene, ma egli si era sempre svincolato e liberato.

-si percuote con pietre: ha uno spirito autolesionista; non si ama, non si vuole bene; va contro se stesso. Non si piace così com'è e si rifiuta; si fa del male.

-è nudo (Lc 8,27): ha perso il senso del pudore; è privo di ogni dignità personale.

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Questo poveretto è profondamente disturbato nella mente, nella psiche, nell'anima, nella relazionalità, e anche nel corpo. Soffre di grandi squilibri interiori, che ne rovinano gravemente la personalità.

Alla base di questi squilibri sta Satana, "il principe dei demoni", che è in parte responsabile di tante situazioni disturbate degli uomini; egli tende a provocarle, ad accentuarle, a renderle più profonde e gravi, e volentieri si serve di esse per far soffrire le persone e per rendere più difficile il loro rapporto con Dio.

Gesù si trova davanti a quest'uomo e lo guarisce. Egli si trova davanti non solo ad un uomo malato, ma a Satana stesso che attraverso la malattia di quest'uomo lo tiene sotto il proprio dominio e lo fa tribolare: gli toglie dignità e gli impedisce un corretto, gioioso e positivo contatto con il prossimo.

E' un caso, questo, di esorcismo compiuto da Gesù, in cui Gesù libera dal male psicologico, spirituale e fisico un uomo, e insieme lo libera anche dal potere che su quell'uomo esercita Satana. Il Regno di Dio è infatti ricostruzione dell'uomo, è riabili-tazione dell’uomo, è liberazione di esso da ogni influsso di Satana.Marco con quest'episodio ci riporta un caso di lotta diretta e aperta di Gesù contro Satana; un caso che dovette fare molta impressione allora, perché davvero la condizione di quell'uomo era miserevole! Più che non la situazione di molti altri. Non a caso infatti fra i vari episodi di esorcismo compiuti da Gesù che Marco ricorda, questo ha uno sviluppo particolare: addirittura venti versetti. E anche Luca e Matteo lo riportano; e con dovizia di particolari.

Questo episodio, certamente storico, è stato raccontato e si presenta ora a noi rivestito di alcuni elementi che sembrano essere più di fantasia che di realtà; alcuni elementi del racconto sembrano doversi attribuire al modo con cui la Comunità delle origini cominciò a narrare questo episodio, più che non al modo esatto in cui esso si verificò. Ci troviamo davanti, cioè, ad una rielaborazione della Chiesa primitiva di quanto Gesù operò quel giorno nella regione dei geraseni.

Ad esempio il dialogo tra Satana e Gesù in Mc 5,6-10 ci appare strano; è strano che lo spirito immondo scongiuri Gesù e lo supplichi di non cacciarlo da quella regione "in nome di Dio". Satana si rivolge a Dio per ottenere una grazia da Gesù!

Inoltre sorprende la questione del nome. Gesù domanda al demonio: “Come ti chiami?” Era abitudine comune che l'esorcista chiedesse agli indemoniati il nome del dèmone che li affliggeva. Qui la risposta è "mi chiamo Legione", cioè siamo una legione, siamo in molti dentro in quest'uomo. La parola "Legione" richiama le legioni romane, compagnie di soldati da un minimo di 1.000 uomini a un massimo di 6.000. Siamo nel contesto e nella cultura romana (Marco scrive a destinatari di area pagano-latina). Potrebbe essere che questo nome sia stato attribuito al demonio che possedeva quell’uomo dalla prima Comunità cristiana (col ricorso appunto ad elementi della cultura dell'epoca), al fine di esprimere la gravità della situazione di quel povero indemoniato premuto fortemente da Satana; la pressione di Satana su quell’uomo era tale che poteva essere paragonata alla pressione di una legione di soldati romani armati di tutto punto! Una legione di duemila soldati, visto che poi i porci saranno duemila!

Il nome “Legione” potrebbe spiegare l’altissimo numero di porci in cui poi si dice che Satana entrò, facendoli affogare tutti nel lago di Gennesaret. Ci vollero duemila porci per assorbire tutta la presenza di Satana in quell’uomo! Storicamente però non si può pensare ad una mandria di duemila porci al pascolo lungo le sponde del lago di Gennesaret...

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Un significato simbolico pare essere nascosto pure nel fatto che si dica che erano “porci” gli animali in cui Satana entrò. I porci per gli Ebrei erano animali impuri, animali la cui carne, se mangiata, allontanava da Dio. Quindi Satana è indicato, anche in questo modo, come un essere impuro, lontano da Dio e separato da lui.

Infine si dice che i porci affogarono nel lago di Gennesaret e caddero a precipizio nell'abisso. L'abisso, il mare, il fondo di un lago era per gli Ebrei la casa di Satana, la dimora del male. Dunque Satana è ricacciato nella sua casa! Gesù vince pienamente il nemico. Egli è "l'uomo più forte" che vince e sottomette "l'uomo forte", Satana (Lc 11,21-22).

L'uomo geraseno guarito e liberato da Satana viene rifatto e ricostruito; riac-quista salute, equilibrio, serenità, dignità personale, capacità di relazione. La gente che esce dalla città lo trova seduto (=composto, a modo), vestito (=con dignità, in ordine), sano di mente (=in perfetto equilibrio interiore). Gesù lo invierà poi ad annunciare quanto gli è capitato; dunque egli è diventato un uomo capace di stare con la gente, di stare tra la gente, di intessere con la gente relazioni positive e buone.Questo è l'intento di Gesù: rifare l'uomo che era rovinato. Gesù intende fare così con tutti, anche con noi.

Un'ultima nota, che fa pensare, è la richiesta della gente del luogo rivolta a Gesù perché se ne vada dal loro territorio. E Gesù se ne va. Ai demoni e a Satana Gesù resiste e anzi si impone, ai Geraseni invece Gesù non si impone. A Satana sì; alla libertà dell'uomo no.

Per la riflessione

1. Stiamo soffrendo anche noi di qualche squilibrio? Ci possono essere squilibri:-nella sfera emotiva: forte impressionabilità; profonde paure di fronte alle dif-

ficoltà, alle prove della vita, al futuro, alle sofferenze, alla morte nostra e dei nostri cari; esagerato bisogno di sentirci amati, stimati, accettati...;

-nella sfera psicologica: complessi di inferiorità; troppo acuta suscettibilità e permalosità; fragilità per cui sentiamo istintivamente gli altri come una minaccia; ferite ricevute che sanguinano di continuo e non ci fanno stare sereni; sensi di colpa per sbagli commessi...;

-nella sfera della memoria: non riusciamo a liberarci di certi ricordi; non solo non riusciamo a dimenticarli -e questo probabilmente sarà impossibile- ma continuiamo a lasciarci condizionare da essi nel nostro agire e nei nostri comportamenti...;

-nella sfera della sessualità: aspetti che non riusciamo pienamente a signoreg-giare; difficoltà a gestire con tranquillità questo settore; paure; blocchi; forti richiami...;

-nella sfera dello spirito: facciamo tanti bei propositi, ma poi siamo deboli e non li manteniamo; ad esempio ci proponiamo di pregare, ma poi, sbilanciati come siamo verso l'agire, ci buttiamo nel fare anziché fermarci a pregare; abbiamo ciascuno qualche difetto predominante in cui cadiamo più facilmente perché lì siamo più fragili e più inclini....

In tutti questi squilibri Satana gioca la sua parte; egli se ne serve e cerca di accentuarli maggiormente per disturbare la nostra vita; per impedirci di costruirci come

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persone equilibrate e armoniose; per rovinare il nostro rapporto con Dio; per ostacolarci nelle relazioni con gli altri (in famiglia, nel gruppo, in parrocchia, nella società).

2. Ma Gesù è "l'uomo più forte" che sa vincere Satana, "l'uomo forte". Occorre che ci stringiamo a lui, e la vittoria sarà sicura! Egli ci rifarà nuovi! (Mc 3,10; Mc 5,27-30; Lc 4,40; Lc 6,19; Es 15,26; Ger 17,14; Ger 30,17; Num 21,4-9; Gv 3,14; Sal 38)

c) La guarigione dell’emorroissa (Mc 5,25-34)

Dalla riva orientale del lago di Gennesaret (ove Gesù ha liberato dall'influsso di Satana l'uomo che viveva nei sepolcri) Gesù ritorna con i suoi apostoli -via lago- alla città di Cafarnao, e qui guarisce una emorroissa e risuscita una ragazza di dodici anni. Egli è assiepato da tanta gente che gli si stringe attorno per vederlo e per ascoltarlo.

Il punto essenziale dei due episodi è la fede della donna emorroissa e del padre della figlioletta che viene risuscitata: entrambi mostrano di avere fiducia in Gesù e chiedono il suo prodigioso intervento che sani la loro situazione.

Nell'episodio dell'emorroissa molta gente stringe da tutte le parti Gesù (v 24.31), ma solo un tocco, quello dell'emorroissa, produce salvezza: perché è un tocco fatto nella fede. Quella donna ha fede e dice: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata". Ella crede che Gesù potrà guarirla. E' ricorsa prima d'ora a tutti i mezzi umani (medici e medicine possibili), ma è rimasta delusa; ora ripone tutta la sua speranza solo in Gesù.E' una fede imperfetta la sua; una fede che ha quasi del magico e del superstizioso ("Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello...”; quasi che le vesti del guaritore posseggano un potere particolare, e che la guarigione si comunichi attraverso le vesti...). E' una fede fragile, interessata ed egoista... Ma Gesù accoglie quella fede imperfetta e la sostiene, la loda, la proclama sorgente della stessa guarigione ("Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male", v 34).

Gesù accoglie la fede di ogni persona così come essa è, così come essa riesce ad esprimersi, e la perfeziona. Egli "non spezza la canna incrinata e non spegne il lucignolo fumigante" (Is 42,1-3; Mt 12,15-21), anzi! (Ez 34,16). Gesù accoglie ogni debolezza e la porta a maturazione. Ma occorre un minimo di fede; di fatti il contatto della folla, che quasi schiaccia Gesù, non produce nulla, non porta nessuna guarigione...

Notiamo il coraggio della donna, che per la sua perdita di sangue non avrebbe potuto stare in mezzo alla gente e toccare Gesù, perché era impura secondo la Legge, e perché avrebbe reso impuro ognuno che avesse toccato! (Lev 15,19-30) Infatti la donna quando si sente "scoperta" da Gesù prova paura e si mette a tremare (v 33), perché sa di aver fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare. Ma ella non si lascia frenare da nulla nella sua fede. Cerca di toccare Gesù anche se sa di essere indegna di farlo!

E d'altra parte Gesù non la ritiene per nulla indegna di toccarlo. Per lui nessuno è indegno di ricorrere alla sua persona per ottenere salvezza; neppure chi si "autocensura" o viene giudicato "perduto" dagli altri.

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d) La risurrezione della figlia di Giàiro (Mc 5,21-24. 35-43).

Qui è un uomo in vista che ricorre a Gesù, un capo della sinagoga di Cafarnao, un responsabile del culto e della pratica religiosa; possiamo pensarlo un fariseo o uno scriba. Gesù accetta e accoglie anche i farisei. Quest'uomo addirittura si getta ai piedi di Gesù in atteggiamento di prostrazione, cosa strana ed eccessiva davanti a un semplice ...uomo di Nazareth. Ma il capo-sinagoga riconosce in Gesù di Nazareth poteri particolari.

Anche la fede di quest'uomo è imperfetta e interessata, ma Gesù la accetta, anche se immatura. Anzi egli stesso la sostiene e la perfeziona. Quando arriva la notizia che la bambina è morta, Gesù dice al capo-sinagoga: "Non temere, continua solo ad avere fede" (v 36). Tutti pensano ormai che l'opera del guaritore sia inutile (v 35.39), ed anche il capo-sinagoga poteva pensare così: egli infatti aveva cercato Gesù come guaritore dalla malattia e non l'aveva immaginato uno che avrebbe potuto anche far risorgere i morti... Ma Gesù gli dice: Continua ad avere fede. Credi più in là, e oltre, rispetto a dove fino adesso è arrivata la tua fede!... Questa fede verrà premiata. La bambina dodicenne verrà risuscitata e restituita ai genitori viva.

Anche qui, come per l'emorroissa (come per la suocera di Pietro: Mc 1,31; come per il sordomuto: Mc 7,33; come per il cieco di Betsàida: Mc 8,23) per mezzo di un leggero contatto fisico di Gesù (un gesto molto più semplice di quello di Elia in 1Re 17,21-22; e di quello di Eliseo in 2Re 4,33-35). Il tocco di Gesù, sollecitato dalla fede, risuscita da morte.

Morte che è “un sonno” ("la bambina non è morta, ma dorme": v 39). E' un modo nuovo, cristiano, di guardare alla morte.

Per la riflessione

1. E' necessario accostare Gesù con fede. La fede è decisiva per avere salvezza da lui. Si può addirittura accostarsi all’Eucaristia senza fede, o con poca fede; e allora il frutto è poco o nullo. Ci si accosta a Gesù con fede quando lo si desidera, lo si invoca nelle nostre giornate, lo si prega da soli o in compagnia, si accolgono con buona pre-parazione i Sacramenti, si medita devotamente la Sacra Scrittura, si coltivano amicizie cristiane (in parrocchia, in movimenti ecclesiali), ci si fa aiutare da una guida spirituale, si segue la vita della Chiesa.Queste realtà sono “il mantello” di Gesù, sono quelle realtà che ci mettono in contatto con Gesù e che ci possono dare salvezza. Anche noi possiamo dire con l’emorroisssa: “Se riuscirò a toccare il suo mantello, sarò guarita”.

2. Non importa se la nostra fede è ancora imperfetta. Gesù l'accetta così com'è. L'importante è esprimere tutta la fede che abbiamo, e con essa cercare Gesù; penserà poi lui a migliorarcela e a perfezionarcela. Glielo possiamo anche chiedere! (Lc 17,5; Mc 9,24).

3. Non c'è malattia, non c'è morte (specialmente spirituale), non c'è situazione in cui Gesù, se invocato, non possa intervenire. E' interessante che il capo-sinagoga dica a

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Gesù al v 23:"Vieni a imporre le mani alla mia figliola, perché sia salva e viva" (non dice perchè sia guarita e viva). E così pure l'emorroissa pensa tra sé: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata" (v 28); non dice sarò guarita. Questo verbo "salvare" fa scoprire al lettore e al credente che c'è una "salvezza" che può andare anche oltre la stessa guarigione fisica e la stessa risurrezione da morte; c'è cioè una salvezza che è più grande della guarigione fisica e può esprimersi anche nella malattia e nella stessa morte.

4. L'emorroissa è malata da dodici anni: da dodici anni perde sangue, perde vita (nel sangue, secondo gli antichi Ebrei, risiedeva la vita). Il numero dodici è il numero dei mesi dell'anno, è il numero delle tribù di Israele: questo numero dice qualcosa di grande, di completo. La situazione di "perdita di vita" di quella donna è grave. Ma Gesù è colui che restituisce la vita e che ridà energia!La figlia del capo-sinagoga aveva dodici anni: era quella l'età in cui le ragazze ebree andavano spose. Questa ragazza viene svegliata dal sonno della morte dall'arrivo dello “Sposo” dell'umanità, Gesù, che la prende per mano..., e le offre in se stesso una proposta di vita sponsale con Dio (così come egli offre una vita sponsale con Dio ad ogni uomo e ad ogni donna!).

8. L' incredulita’ degli abitanti di Nazareth ( Mc 6, 1 - 6 )

Gesù svolse i suoi due anni di attività apostolica in Galilea prevalentemente nel piccolo triangolo di terra Cafarnao - Betsàida - Còrazin (cfr Mt 9,1; Mt 11,20-24), ma fece anche delle puntate nel resto della regione, entrando nelle sinagoghe dei vari villaggi (Mc 1,38-39); fu per esempio a Nain ove risuscitò un ragazzo morto (Lc 7,11-17) e fu a Nazareth.

A Nazareth, paese della sua infanzia e della sua giovinezza, egli non fu accolto né creduto. I Nazarethani trovarono inciampo nel fatto che lo conoscevano molto bene e sapevano quale fosse la sua famiglia e chi fossero i suoi parenti. Dicevano: "Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo e di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?"

Il centro focale del brano è l'incredulità degli abitanti di Nazareth. Essi si lasciano colpire dalla sapienza di Gesù, dal suo straordinario modo di parlare e dalla fama dei suoi prodigi compiuti fino allora a Cafarnao e altrove, ma non sanno dare credito a questa voce che dal di dentro li chiama e li interpella, e ricadono nell'ordinario, comune modo di pensare: "Non è costui il carpentiere, che ha fatto il carpentiere qui da noi fino all'altro ieri? Non è forse il figlio di Maria, il cugino di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? Noi conosciamo bene i suoi parenti, e sappiamo perfettamente da dove costui venga fuori. E' vero che fa cose straordinarie, però non è possibile che sia chissà chi!..." E si scandalizzavano di lui, dice Marco.

Gesù si meraviglia amaramente e con sofferenza di questa loro incredulità. Marco nota questa meraviglia di Gesù alla fine del brano (v 6), e la pone come con-clusione lapidaria e dolorosa, come un pesante macigno.

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Gesù, per l'incredulità dei Nazarethani, non potè fare che pochi miracoli a Nazareth, non potè dare espressione a tutta la sua potenza guaritrice e salvifica (questo è il senso della frase: “Non potè operare nessun prodigio -dynamis-, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì”: v 5). Matteo invece dice che Gesù a Nazareth fece alcune “dynamis”, alcuni prodigi; per Marco Gesù non fece nessuna “dynamis”, nessun gesto veramente grande. Marco è più radicale; per lui la fede è proprio decisiva e necessaria. In un certo senso l'uomo senza fede (che non si apre a Gesù) è, per Marco, in grado di bloccare la potenza stessa di Gesù; Gesù “non potè” operare nessuna azione potente. L'uomo può rendere “impotente” Dio nel fargli del bene!

E' sintomatico che Marco non racconti nessun miracolo compiuto da Gesù a Gerusalemme (Giovanni invece ne racconta alcuni: il malato guarito alla piscina di Betèsda, il cieco nato guarito, Lazzaro risuscitato); Marco non lo fa perché vuole sottolineare che là dove Gesù non trova fede non può operare miracoli; a Gerusalemme Gesù non trovò fede, e a Gerusalemme Gesù morì sulla croce impotente, reso impotente dall'incredulità dei sommi sacerdoti e degli anziani del popolo che gli dicevano: "Se sei il Figlio di Dio scendi dalla croce, e ti crederemo!" (Mt 27,39-44): ma quella non era fede, era una sfida….! Gesù morì impotente sulla croce.

Notiamo che le parole “fratelli e sorelle” attribuite a Gesù da Mc 6,3 non vogliono necessariamente indicare fratelli e sorelle di sangue di Gesù, anche se il termine greco usato dall’evangelista è “adelphòs” (fratello) e non “anepsiòs” (cugino). Da tutto il Vangelo e da tutto il Nuovo Testamento si ricava l’impressione che Gesù fosse figlio unico e non avesse fratelli e sorelle. Vari altri indizi ci orientano in questo senso.

-In Mc 15,40 e in Mt 27,56 i due cosiddetti "fratelli di Gesù" Giacomo e Joses che compaiono in Mc 6,3 sono detti figli di una Maria che è nominata tra Maria di Magdala e Salome. Se tale Maria “madre di Giacomo e di Josese” fosse Maria,la madre di Gesù, essa sarebbe stata nominata per prima nell’elenco, e non al secondo posto dopo Maria di Magdala. Non possiamo pensare che gli evangelisti attribuiscano a Maria, la madre di Gesù che si trova sotto la croce del figlio, una posizione di così poco rispetto e secondaria nei confronti di altre donne discepole di Gesù (cfr invece Gv 19,25); né possiamo pensare che gli evangelisti abbiano voluto identificare Maria la madre di Gesù, in quel momento così drammatico e sublime per lei e per il figlio, indicandola come madre di altri suoi due figli (e non di Gesù!). Per cui Giacomo e Joses non sono fratelli di sangue di Gesù, ma sono solo suoi parenti. Così pure gli altri “fratelli” e le “sorelle” di Gesù nominate in Mc 6,3 sono semplicemente suoi congiunti. Altrettanto dicasi dei “fratelli” e “sorelle” di Gesù nel testo di Mc 3,31-32.

-Gesù sulla croce affidò Maria sua madre all'apostolo Giovanni (Gv 19,25-27). Ciò sarebbe difficile da capire nell’ipotesi che Gesù avesse avuto altri fratelli e nell’ipotesi che Maria avesse avuto altri figli. Più logico sarebbe stato che Gesù l’avesse affidata a loro.

-Inoltre la lingua ebraica e aramaica non hanno termini diversi per indicare “fratelli”, “cugini”, “nipoti”, o parenti di vario grado; con un’unica parola (l’ebraico “ach” e l’aramaico “achà”) indicano tutti gli appartenenti ad una famiglia e ad uno stesso parentado, siano essi fratelli, cugini, nipoti o parenti di altro tipo. La Bibbia dei LXX rende la parola ebraica “ach” normalmente con “adelphòs” (fratello), anche quando il testo ebraico intende “cugino”, nipote o parente di altro grado. Così per esempio in Gen 13,8 Abramo dice a Lot suo nipote: "Noi siamo ach"; in Gen 29,15

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Labano dice a Giacobbe suo nipote: "Poiché tu sei mio ach dovrai forse servirmi gratuitamente?"; in Gios 17,4 le figlie di Zelofcàd dicono: "IHWH ha ordinato a Mosè di darci l'eredità in mezzo ai nostri “ach"; e questi “ach” non sono loro fratelli di sangue, perché il loro padre, secondo Gios 17,3, non aveva figli maschi, ma solo parenti di sesso maschile. In tutti questi casi la versione dei LXX traduce sempre con “adelphòs”, “fratello”. Inoltre in Mt 23,8 Gesù dice ai suoi discepoli: "Voi siete tutti fratelli” (adelphòi); in Mt 28,10 Gesù risorto dice alle donne che sono andate al sepolcro: "Andate ad annunziare ai miei fratelli” (adelphòi)..., e le invia agli apostoli. Anche in questi casi la parola “fratello” (adelphòs) non significa fratello di sangue. Dunque il termine “fratello” - “sorella” nella Bibbia non ha sempre e necessariamente il senso restrittivo di fratello e sorella di sangue.

-E’ da ricordare poi che i Vangeli, scritti in greco, risentono in larga misura dell’ambiente culturale, sociale e anche linguistico ebraico-aramaico che fa ad essi da sfondo, e che con frequenza tale ambiente affiora nei testi evangelici; per esempio nelle parole “raqà” (Mt 5,22), “talità kum” (Mc 5,41), “abbà” (Mc 14,36); nelle espressioni “Legge e Profeti” (Mt 5,17), “legare e sciogliere” (Mt 16,19), “se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre…” (Lc 14,26) ecc.; per cui non è affatto impossibile e improbabile che la parola ebraica “ ach” o aramaica “achà ”, col senso di “cugini” o “parenti”, stia sotto la parola greca “adelphòs di Mc 3,31 , di Mc 6,3 e paralleli, indicando non fratelli e sorelle di sangue di Gesù, ma soltanto suoi parenti e suoi consanguinei in qualche grado.

-Infine è importante, per intendere nel modo corretto i “fratelli” e le “sorelle” di Gesù, tenere presente la Tradizione secolare della Chiesa, che ha sentito da antichissima data Gesù come figlio unico, e Maria sua madre come madre sempre vergine.

Per la riflessione

1. Occorre avere fede. Da parte nostra tutto dipende dalla fede. Quanta fede abbiamo? "Se aveste fede pari a un granellino di senapa..." (Mt 17,20). "Io credo, Signore, ma tu aiutami nella mia incredulità! (Mc 9,24).

2. Gli abitanti di Nazareth non credettero in Gesù perché pensavano di sapere tutto di lui, e si lasciarono giocare dalla loro consuetudine di vita col carpentiere di Nazareth. C'è sempre il pericolo che l'abitudine, la presunzione, e una falsa sicurezza di sè chiudano gli occhi e il cuore davanti al Mistero, e impediscano di accogliere la novità e la sorpresa di Dio; c'è sempre il pericolo che proprio i più "vicini" a Dio lo vedano meno (Mt 2,1-12; Mt 21,33-45; Gv 1,9-12; Gv 14,9). Così come può avvenire tra sposi, tra compagni di lavoro, tra amici che si frequentano molto...: che non si sappia più vedersi "nuovi".

3. La salvezza e il salvatore sono qui, vicini a noi, nel nostro stesso raggio di esperienza e di vita (Mt 12,6; Mt 12,40-42; Mt 28,20; Lc 24,15-16). Occorre solo avere occhi per vedere. Occhi di fede! Il Mistero si nasconde nel piccolo, nell'ordinario, nel quotidiano, nel feriale (1Re 19,11-13; Mt 25,40; Ebr 13,2; 2Cor 6,1-2). Troppe volte si cerca il “dono” chissà dove…

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Una favola racconta che un pesce dell’oceano disse a un altro pesce: “Scusa, tu sei più vecchio e più esperto di me, probabilmente potrai aiutarmi. Dimmi: dove posso trovare quella cosa che chiamano oceano? L’ho cercata dappertutto inutilmente.” – “L’oceano -rispose il pesce più vecchio- è quello in cui stai nuotando adesso”. – “Oh, questo? Ma questa è solo acqua! Quello che sto cercando è l’oceano”, disse il giovane pesce e, deluso, nuotò via per cercare altrove.

9. Gesu’ invia gli apostoli in missione ( Mc 6, 7 - 13 )

L'evangelista Marco, nel descrivere l'attività di Gesù in Galilea, non manca di accennare alle difficoltà e alle ostilità incontrate da Gesù. Ricordiamo le cinque con-troversie contro i farisei, l'ostilità dei parenti che considerano Gesù un pazzo e cercano di andare a prenderlo per portarselo a casa; ricordiamo l'accusa degli scribi che lo definiscono un indemoniato posseduto da Beelzebùl, l'incredulità e il rifiuto dei suoi compaesani nella sinagoga di Nazareth. Al cap 6,14-16 Marco riporterà anche l'ostilità del re Erode Antipa, che non esiterà a pensare perfino di ucciderlo (cfr più chiaramente Lc 13,31).

Gesù doveva avere vita difficile. Con il suo insegnamento fortemente in con-trasto con l'insegnamento tradizionale degli scribi e dei farisei, e con i suoi gesti di guarigione e di esorcismo che compiva, egli si era attirato l'ostilità dei capi del popolo, delle guide religiose di Israele, e anche della classe politica. Aveva solo la gente comune dalla sua parte, ma era la gente che non contava, ed era gente così volubile e così povera di fede nell'aderire a lui!...Così pronta ad abbandonarlo! In questo contesto Gesù doveva avere difficoltà ad entrare nelle sinagoghe e addirittura nei villaggi, ove c'erano sempre degli scribi e dei farisei pronti ad attaccarlo e a contestarlo.

All'interno di questa situazione di ostilità, Marco pone l'invio in missione dei dodici apostoli da parte di Gesù. Gesù si fa aiutare dagli apostoli, e li invia nelle sinagoghe e nei villaggi ad annunciare ciò che egli era andato fino allora proclamando, e a compiere i gesti che egli aveva fino allora compiuto. I dodici apostoli diventano così i collaboratori dell'opera di Gesù, e attraverso di loro Gesù continua ad agire.

-Egli li manda a due a due: vuole che essi siano "comunità" nell'annuncio. Era uso comune in Israele, allora, che la testimonianza fosse data da almeno due testimoni per essere credibile (e Gesù si assoggetta a tale usanza); ma egli vuole soprattutto che i suoi inviati siano uniti tra di loro e formino comunità nell'annuncio, non siano dei liberi battitori e non partano per conto proprio. Se essi saranno uniti, egli sarà con loro (Mt 18,20; 28,20).

-Gesù richiede loro uno stile di grande sobrietà: non permette che portino con sé riserve di cibo, denaro, due tuniche, ma solo il bastone per difendersi da eventuali pericoli e i sandali per poter camminare. Gesù sembra negare ai suoi missionari anche quello che non era propriamente superfluo: un po' di cibo, del denaro per ogni evenienza, un vestito di ricambio. Al tempo di Gesù c'erano altri "missionari" itineranti (filosofi, rètori, narratori di miti e di storie di vario genere) che si guadagnavano il pane andando a proporre le proprie dottrine, e non esitavano anche di arricchire. Gesù vuole che i suoi inviati siano del tutto diversi e distinguibili da questi altri "missionari": li

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vuole sobri e pienamente distaccati da ogni interesse personale e da ogni sete di ricchezza.

-Gesù ordina ai suoi apostoli di rimanere sempre nella stessa casa per tutto il tempo della missione. Li invita cioè ad adattarsi alla situazione e ad accettare quello che trovano, senza inseguire sogni di comodità e di particolare benessere. Ciò che deve loro stare a cuore è compiere la missione; per cui devono saper dimenticare se stessi!

-Se in un villaggio non fossero stati accolti, i missionari di Gesù sono invitati ad andare in un altro villaggio, e là predicare il Regno di Dio. Il gesto di scuotersi la polvere dai piedi o dai sandali era il gesto che gli Ebrei compivano quando lasciavano il territorio pagano per rientrare in Israele; era un segno di distacco da ciò che era impuro e avverso a Dio. Qui il gesto significa il proclamare che quel villaggio e quella gente aveva di propria scelta, e quindi con propria responsabilità, rifiutato il messaggio portato dai missionari di Gesù. Questo è il senso dell'espressione "in testimonianza per loro".

-I dodici apostoli compiono gli stessi gesti di Gesù: invitano a conversione, compiono esorcismi, operano guarigioni. Essi sono i continuatori dell'opera di salvezza e di riordinamento (fisico, psicologico, spirituale, morale) iniziata da Gesù. Essi sono i prolungatori della sua opera nel mondo.

Per la riflessione

1. Oggi i continuatori dell'opera di Gesù nel mondo sono i suoi seguaci, i cristiani. La parola cristiano è il prolungamento della parola Cristo. La comunità di Gesù è il Cristo "espanso" che vive e che opera nella storia del mondo. Cristo oggi non ha più mani per guarire e aiutare, ha le nostre mani per farlo; Cristo oggi non ha più piedi per correre là dove l'uomo ha bisogno, ha i nostri piedi per soccorrere chi è in necessità; Cristo oggi non ha più labbra per annunciare il Vangelo, ha le nostre labbra per far risuonare le sue parole.Il cristiano deve avere questa profonda coscienza e non deve mai perdere tale consapevolezza. E' una consapevolezza esaltante (perché gli dà grandezza e gli apre l'orizzonte ad una grande opera); ma è anche insieme una grande responsabilità. Da noi dipende, almeno in parte, l'opera di Gesù nel mondo.

2. Il cristiano deve avere chiaro davanti a sé il proprio compito, che è quello stesso di Gesù: a) invitare i fratelli a conversione; b) cacciare i dèmoni, cioè aiutare gli uomini a riordinarsi interiormente, a guarire dai propri squilibri profondi; aiutarli a riportare ordine, calma, armonia, misura, valori nella propria vita; aiutarli a riprendere e ad intensificare il proprio rapporto con Dio; aiutarli a distaccarsi dal male, dalle cattive abitudini, da ogni inganno e suggestione di Satana; c) portare sollievo e guarigione ai malati (di malattie fisiche).

3. L' opera del cristiano dev'essere compiuta in unione con la comunità (Gesù mandò gli apostoli a due a due). Nessuno deve sentirsi "battitore libero", ma il discepolo di Gesù sa che deve rimanere unito a Cristo e alla Comunità di Cristo, la Chiesa, quale membro di una "compagnia". Il cristiano non porterà quindi una propria dottrina o il

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proprio pensiero, ma porterà il pensiero di Cristo e della Chiesa. E' necessario conoscere tale pensiero, e aderirvi convintamente.

4. Il discepolo di Cristo deve caratterizzarsi per una grande sobrietà di vita; il Signore lo chiama a dare testimonianza di libertà dalla ricerca dei beni terreni, di distacco dalle ricchezze, di attaccamento ai valori del Regno, cioè a Cristo e al suo Vangelo.

5. Ai suoi discepoli impegnati nella missione e nella testimonianza il Signore non nasconde la possibilità che abbiano da soffrire per tale missione. Parla di luoghi e di città che non li accoglieranno. Addirittura Mt 10,16-33 parla di persecuzione e di morte. Ma Dio li assisterà e sarà con loro!

10. L' uccisione di Giovanni il Battista ( Mc 6, 17 - 29 )

Marco non è il solo a raccontare l'episodio della decapitazione di Giovanni il Battista ad opera di Erode Antipa (nel 29 d.C.); lo raccontano anche Matteo (Mt 14,3-12) e Luca (Luca molto brevemente: Lc 3,19-20).

Questo fu un fatto che fece certamente grande scalpore in Palestina, perché Giovanni il Battista era un personaggio molto rinomato e stimato (Mc 11,27-32; Lc 7,24-30). Per la verità, i farisei e i sadducei dovettero esserne felici e contenti, in quanto così veniva ad essere "decapitato"e messo in crisi uno dei movimenti spirituali che contestava la linea tradizionale di interpretazione della legge mosaica (la corrente dei farisei) e il modo in cui veniva celebrato il culto al tempio di Gerusalemme (la corrente dei sadducei); ma la gente per bene, quella buona e pia che aspirava a un autentico rinnovamento spirituale (i battisti) dovette rimanere davvero scossa e profondamente colpita.

Ad uccidere Giovanni il Battista fu Erode Antipa, uno dei figli di Erode il grande, che in quel momento aveva la sovranità sulla Galilea e sulla Perea. Quest'ultima regione era una regione al di là del Mar Morto, ad est, ove Erode Antipa possedeva una residenza-fortezza ereditata da suo padre, chiamata Macheronte. Fu in quella residenza-fortezza che Erode, in occasione di un banchetto offerto ai notabili della sua corte per il suo compleanno, fece decapitare Giovanni. A indurlo fu la moglie (o, meglio, convivente) Erodiade, moglie di un fratellastro di Erode (Erode Filippo), che egli teneva con sé.Giovanni appare in questa occasione come l'eroe indomito e fiero che, per amore alla verità, non esita a sacrificare la vita.

Dal punto di vista letterario il racconto richiama figure e passi dell'Antico Te-stamento: ad esempio la figura della perfida regina Gezabele (1Re 19,1-3; 1Re 21,1-16), e il banchetto del re Assuero e della regina Ester (Ester 5,3-8; Ester 7,1-10).

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Per la riflessione

1. La verità è un valore sommo. Per essa ogni sacrificio e ogni persecuzione merita di essere affrontata. Gesù stesso morì per la verità. Così Giovanni il Battista, così tanti testimoni della verità lungo i secoli. (Sal 86,11; Sal 119,29; Sal 139,24).Difendere la verità di Cristo e del Vangelo non è sempre agevole neppure oggi; spesso procura derisione, inimicizia, ostilità.Papa Clemente VII nel 1534 vide l'Inghilterra staccarsi dalla Chiesa cattolica per non aver ceduto alla richiesta del re Enrico VIII che, legittimamente e validamente sposato con Caterina d'Aragona, esigeva che le sue nozze fossero dichiarate nulle.

2. La verità va sempre detta? Va detta quando serve al bene, e quando chi ce la chiede ha il diritto di conoscerla.C'è un modo in cui dire la verità? La verità dev’essere detta sempre con carità; verità e carità devono procedere unite, devono andare sempre a braccetto.Dio è verità (Tob 3,2; Sal 96,13; Dan 4,34; Gv 14,6); Dio è carità (1Gv 4,8). Per cui occorre "fare la verità nella carità" (Ef 4, 15); e d'altra parte la carità "si compiace della verità" (1Cor 13,6).

3. Non ogni unione tra uomo e donna è legittima e secondo il disegno di Dio (Mt 5,31-32; Mt 19,3-9).

4. Erode è un uomo immaturo: è precipitoso nel promettere, avventato ed im-prudente; è legato al fasto, al lusso e alla vita festaiola. E' un uomo debole: si lascia condizionare da Erodiade, dai suoi invitati, da una ragazza che danza, dal proprio or-goglio e dal proprio onore da non perdere... E' re di un popolo, ma non è re di se stesso!Quanto è importante costruirsi una personalità vera, giusta e virtuosa! Non si deve perdere tempo in questo lavoro!Quali sono le virtù umane più belle, che fanno di un uomo, di una donna una persona ben riuscita?

5. Erodiade è l'emblema della persona vendicativa, spietata e crudele, che agisce dietro le quinte e attende il momento opportuno per colpire.

6. La figlia di Erodiade è il modello della persona fatua, superficiale, frivola e leggera, cui piace attirare gli sguardi e l'attenzione su di sé, succube di altri, priva di una sua dirittura morale, che non sa ragionare con la propria testa. Non è facile educare i giovani ai veri valori!

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LA SEZIONE DEL PANE ( Mc 6,30 – 8,26 )

Marco dedica un tratto del suo Vangelo a parlare di Gesù pane di vita che moltiplica il pane per tutti quelli che hanno fame, e che è egli stesso il vero pane di vita offerto e donato al mondo.

Questa sezione, che va dal cap. 6,30 al cap. 8,26, abbraccia alcuni miracoli che Gesù compì e alcuni insegnamenti che egli diede in parte nell’anno e mezzo del suo apostolato in Galilea e in parte durante i mesi del suo volontario esilio fuori della Galilea, in terra pagana.

E’ interessante e significativo che questo tema del pane travalichi i confini stretti della Galilea e della Terra di Israele per arrivare anche in terra pagana; in tal modo appare chiaro che Gesù è il pane di vita non solo per il popolo eletto di Israele, ma anche per i pagani e per tutti, per il mondo intero.

La sezione del pane è tutta percorsa dal tema del “pane”.In questa sezione troviamo:-il primo racconto della moltiplicazione dei pani operata da Gesù (Mc 6,35-44);-il richiamo ai pani moltiplicati, nell’episodio di Gesù che cammina sulle acque (Mc 6,52);-la disputa di Gesù con i farisei circa i cibi (pane), con relativa istruzione ai discepoli (Mc 7,1-23);-il pane da non dare ai cagnolini, nell'episodio della guarigione della figlia della donna siro-fenicia (Mc 7,27-28);-il secondo racconto della moltiplicazione dei pani (Mc 8,1-9);-l'istruzione agli apostoli in barca circa il pane (Mc 8,14-21).

Per ben sedici volte ritorna in questa sezione la parola “pane”. E ritorna con insi-stenza anche un'altra espressione, molto importante: il “non capire”, il “non intendere”, il “non vedere”, il “non comprendere” degli apostoli riguardo al pane; questa espressione ritorna sei volte.

C'è quindi un pane, vuole dire Marco, che deve essere capito e compreso e che gli apostoli fanno fatica a capire nel suo significato; significato che Gesù cerca loro di svelare. Come vedremo, è Gesù stesso questo pane, pane di vita offerto a tutto il mondo (e non solo agli Israeliti, bensì anche ai popoli pagani).

Marco dà questo messaggio lungo tutta la sezione del pane, in maniera originale e geniale.

Dapprima egli racconta l'episodio della moltiplicazione dei pani e poi vi "aggancia" l'episodio di Gesù che cammina sulle acque. L'aggancio tra i due episodi è fatto con il versetto 52: "perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito". E' un aggancio chiaro ed evidente, intenzionale da parte di Marco, perché manca completamente nei testi paralleli di Matteo, di Luca e di Giovanni.

Per Marco Gesù ha moltiplicato i pani e ne ha fatto raccogliere i pezzi avanzati agli apostoli (i depositari del pane di Gesù); e adesso Gesù ordina loro (li costringe, dice

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il testo greco) di montare in barca e di andare verso Betsaida, territorio ellenistico e paganeggiante (Betsaida non era in Galilea). Gesù vuole fare capire agli apostoli che il suo pane moltiplicato non è destinato solo ad Israele, il popolo eletto, ma è destinato ad uscire da Israele, è destinato a tutti, anche ai pagani; ha cioè una destinazione universale.

Stranamente il punto di approdo della navigazione degli apostoli non è Betsaida (come aveva ordinato Gesù), ma è Gennesaret, in Galilea (v 53). Gli apostoli non sanno andare avanti secondo gli ordini e i programmi di Gesù, ma tornano indietro: hanno il vento contrario durante la traversata e perdono l'orientamento, tornano in Galilea là da dove Gesù aveva voluto farli venire via. E' il ritorno degli apostoli alla loro mentalità, alle loro prospettive e ai loro modi di vedere; non a quelli di Gesù.

Gesù li raggiunge durante la navigazione e vuole oltrepassarli, vuole mettersi davanti alla barca per indicare la rotta, per rimettere gli apostoli nella direzione giusta e per orientarli; ma essi lo scambiano per un fantasma e non lo riconoscono; hanno paura di lui. Cioè non capiscono Gesù e il suo progetto, il senso del pane che egli ha dato, la direzione che egli vuole dare alla loro vita; hanno paura di quel Gesù.

Ma Gesù ha pazienza con i suoi apostoli e sale sulla barca con loro; si lascia riportare a Gennesaret, in Galilea. Non li forza, non si arrabbia, non li rimprovera, non orienta lui la barca verso Betsaida con ira e con violenza, ma accetta la difficoltà e la debolezza dei suoi apostoli; alla fine però li porterà a Betsaida, dove vuole che arrivino (Mc 8,22). Il percorso sarà più lungo, ma giungerà allo scopo. Gesù, restando fermo nel suo proposito, educherà gli apostoli a ciò che egli intende e vuole.

All'inizio del capitolo 7 Marco riporta una lunga disputa di Gesù con i farisei circa le esigenze rituali-legalistiche esigite da questi ultimi prima di sedersi a tavola e prendere cibo (Mc 7,1-23). Gesù dice che non conta tanto guardare alle condizioni di purità esteriore, quanto piuttosto al cuore.In questa disputa si parla di cibi in generale, però è significativo che al v 2 e al v 5 Marco, per indicare i cibi in generale, usi la parola pane (parola che solitamente nelle versioni viene tradotta con "cibo"): quindi anche in questa disputa si resta nel tema di fondo di tutta la sezione: si tiene presente il pane.

Poi Marco riporta l'episodio della guarigione della figlia della donna siro-fenicia (Mc 7,24-30) e riprende il tema del pane. Gesù dapprima obietta che non è bene dare il pane ai cagnolini, cioè ai pagani (mettendo avanti la mentalità degli apostoli ristretta al solo Israele), ma poi concede il “pane” in abbondanza a quella donna pagana (le guarisce la figlia).Gesù vuole insegnare ai Dodici che il suo pane (cioè lui stesso, la sua salvezza) è destinato a tutti indistintamente, senza limiti e senza confini, anche ai pagani. Egli è il cibo di vita e di salvezza per ogni uomo.

Al capitolo 8,1-9 Marco racconta una seconda volta il miracolo della mol-tiplicazione dei pani.

E poi in Mc 8,14-21 finalmente fa capire che il pane che Gesù ha moltiplicato e di cui si è tanto parlato in tutta la sezione del pane è Gesù stesso.Infatti gli apostoli in barca discutono che non hanno pane; ne hanno uno solo e dicono: "Non abbiamo pane". Ma Gesù fa loro capire che quell'unico, solo pane che hanno è lui!

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Come possono dire "Non abbiamo pane" se hanno con sé nella barca lui stesso, che ha moltiplicato i pani, e hanno colui che è simboleggiato da quell'unico pane che essi hanno con sé? E' lui il pane, cioè la vita dell'uomo; pane per tutto il mondo (sia Ebrei che pagani; sia in Galilea che a Tiro-Sidone e a Betsaida).

Anche l'evangelista Giovanni al capito 6 del suo Vangelo insiste su Gesù pane di vita, e presenta la moltiplicazione dei pani in luce eucaristica.

Nella sezione del pane Marco riporta due guarigioni significative: quella di un sordomuto (Mc 7,31-37) e quella di un cieco (Mc 8,22-26). Sono guarigioni signi-ficative che esprimono il bisogno di Israele, "servo sordo e cieco davanti a Dio" (Is 42,18-20), di essere guarito per accogliere la novità di Gesù, ed esprimono anche il bi-sogno che abbiamo noi stessi che Gesù ci apra gli orecchi e gli occhi (e il cuore) per udire la sua voce e vedere lui.

Gesù guarisce volentieri sordomuti e ciechi, proprio per questo valore simbolico che tali guarigioni hanno (Mc 7,37; Mc 9,25; Mt,11,5; Lc 7,22; Mc 8,22; Mc 10,46; Mt 20,29; Gv 9).

Per la riflessione

1. Gli apostoli hanno uno sguardo superficiale su quanto vedono e su quanto accade loro. La realtà ha valore di simbolo e nasconde qualcosa di profondo: rimanda oltre sé, rimanda a Dio e al suo operare.Che sguardo ho io sulla realtà? Ho uno sguardo banale o penetrante? Come potrei curare il mio sguardo e renderlo più acuto, più capace di cogliere la verità dentro le cose, le persone, i fatti?

2. Gesù è il pane per tutti. Caratteristica di Gesù è l'apertura e la destinazione universale. Quanto sono aperto io? A 360 gradi? a 180? a 45? Decido io l'ampiezza della mia apertura secondo i miei interessi, i miei comodi, i miei pregiudizi, le mie paure? O mi lascio dare apertura dal Signore? Mi lascio dare apertura alle circostanze quotidiane che mi accadono? Accolgo la realtà?

3. Gesù usa un metodo educativo preciso con i suoi apostoli. Porta pazienza per la loro debolezza, e insieme tiene chiaro e fisso nella sua mente l'obiettivo a cui vuole condurli; pazientemente, ma tenacemente, li porterà là dove vuole che arrivino. Tale metodo di Gesù mi insegna qualcosa? E' lo stile che adotto anch'io nella mia opera educativa?

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11. Gesu’ buono con i suoi apostoli e buono con le folle .

( Mc 6 ,30 - 34 )

a) Gli apostoli, tornati dalla missione, "riferirono a Gesù tutto quello che ave-vano fatto e insegnato". Possiamo imparare dagli apostoli un metodo interessante di preghiera: quello di raccontare a Gesù tutto quanto ci è successo e abbiamo vissuto (ascoltando poi da lui quanto egli ci dice).

Ad esempio: "Gesù, stamattina mi sono alzato e subito mi è venuto in mente quel problema, quella preoccupazione che in questo periodo mi affligge. Non l'ho saputa mettere subito nelle tue mani. Mi ha disturbato nella preghiera che ho fatto. Poi sono andato al lavoro e ho trovato quella persona che mi ha dato una mano nello sbrigare quella pratica; ho cambiato umore. A casa, durante il pranzo, non sono stato capace di vero ascolto verso i miei figli, e neanche verso mia moglie; mi sono dimenticato di farlo per te. Nel pomeriggio sono andato a trovare quel collega di lavoro che è ricoverato all’ospedale da tre settimane e che non ero mai stato ancora a trovare. Non avevo voglia nemmeno oggi di andarci, ma mi sono fatto forza: l’ho fatto per obbedire alla tua parola che dice: “qualunque cosa avrete fatto agli altri, l’avete fatta a me”. Poi sono andato a Messa, purtroppo con molte distrazioni. Dopo cena mi sono fermato a guardare la televisione; avrei potuto evitare quel programma; avrei fatto meglio a leggere un po’ di Vangelo. Adesso sono qui con te, Gesù, per ringraziarti, per chiederti perdoni, per domandarti la tua benedizione. Tu cosa mi dici?

"Ti dico di fidarti di me; la tua preoccupazione che ti pesa gettala in me, vedrai che io ti aiuterò; abbi stima di me. Sarò la tua Provvidenza, e quella dei tuoi cari. Ti ricordi quello che dico nel Vangelo circa la Provvidenza? Vallo a vedere al capitolo 6 di Matteo. Ti ringrazio d'essere andato a trovare quell' ammalato; gli hai proprio portato conforto; sii generoso e va' a trovarlo ancora una volta, nei prossimi giorni. Sì, allenati a fare tutto per me, non solo l’ascolto dei tuoi a casa, ma anche il lavoro, la guida della macchina, la lettura del giornale. Così tutto avrà più senso e vivrai più unito a me. Per quanto riguarda la tua Messa "distratta", abbi pazienza. E' un periodo che sei più stanco del solito, e non puoi pretendere di pregare come quando sei riposato. Pregami da stanco, e a me va bene così: gradisco anche una preghiera fatta come si può. Se sarai però perseverante, ti darò doni particolari di preghiera. Hai ragione, non era il caso che ti fermassi alla televisione; non ti ha proprio giovato quello che hai guardato. Però, è vero, hai bisogno anche di qualche momento di relax. Come potresti fare ad averlo? Pensaci. Adesso ti do la mia benedizione e ti auguro una buona notte. Domani all'alba ci ritroveremo".

C'è un'obiezione che può nascere a questo metodo di preghiera: che senso ha raccontare a Gesù il proprio vissuto, se egli lo sa già? Gesù sa e conosce tutto ciò che ci è capitato durante la giornata! Non occorre che noi glielo raccontiamo e lo informiamo. Gesù invece non sapeva quanto era successo agli apostoli durante la loro missione, per cui quella volta aveva senso che glielo raccontassero.

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La risposta a questa obiezione è semplice. Anche la mamma sa che il suo bambino si è molto divertito a giocare in giardino e che la mamma del suo compagno di giochi gli ha offerto un gelato (perché dalla finestra di casa ha visto tutto), ma è contenta di sentirselo raccontare dal figlio, perché così ella vive un momento di comunione con lui e il suo bambino può vivere un momento di comunione con lei; e lei, la mamma, ha la possibilità di ragionare col figlio su quanto egli ha vissuto e insegnargli per esempio che bisogna essere riconoscenti sempre a chi ci fa un dono (anche fosse solo un gelato), e che è bello stare bene e avere tutte le membra sane così da poter giocare senza problemi (è un grande dono di Dio); "questa sera allora la preghiera che diremo sarà per lodare il Signore di questa cosa....Qualcosa di simile avviene anche per noi, quando raccontiamo a Dio le nostre cose.

b) Gesù invitò i suoi apostoli, stanchi per il lavoro di apostolato, a riposarsi un po’. Egli invita al riposo anche noi; non vuole che solo e sempre fatichiamo. Egli ci invita a momenti di relax, di silenzio, di "deserto", di dialogo con lui. Egli è il vero riposo delle nostre anime. "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11,28).Ci sono momenti di pellegrinaggio, di ritiro spirituale, di preghiera prolungata fatta insieme, di esercizi spirituali che rispondono a questo nostro bisogno. In questi momenti si ricupera anche la calma interiore, e si riprende a vedere in modo più positivo le cose.Hai avuto la possibilità e la grazia di fare qualche volta un tipo di esperienza così? Ti è giovata?

c) Gesù vide che la gente lo cercava e provò compassione per essa. Egli è il misericordioso. Marco qui per dire che Gesù ebbe compassione usa il verbo “splagchnìzo”, che significa “amare con viscere materne” (“splàgchna” è il grembo, l’utero). Gesù ama con amore di madre la gente! Tante volte egli ha provato questo sentimento (Mt 9,35-38; Mt 20,34; Mc 8,2; Lc 7,13). Dio è un Dio che prova compassione per gli uomini (Es 34,5-7; Sal 86,15; Sap 11,23; Lc 15,20).Una delle otto beatitudini invita alla misericordia. La compassione, la misericordia ha dei rischi? Come viverla?

d) Gesù si fece quel giorno “pastore” degli uomini: donò il suo insegnamento, la sua parola, e il suo pane (nella moltiplicazione dei pani che segue). Il tema di Dio pastore è molto presente nella Bibbia (Sal 23; Is 40,11; Ez 34). Gesù è il buon pastore (Gv 10, 1-18; Gv 10, 27-29).In che misura sono obbediente a Gesù pastore? Posso io essere, per disegno di Dio, "pastore" di qualcuno? Come si fa ad essere "buoni pastori"? Cosa occorre?

12. La prima moltiplicazione dei pani ( Mc 6 ,35 - 44 )

a) Dietro questo racconto si possono ravvisare vari personaggi e richiami all’Antico Testamento:

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Nell’Antico Testamento i profeti Elia ed Eliseo avevano moltiplicato il pane (1Re 17,7-16; 2Re 4,42-44), ma ora Gesù lo fa con maggiore abbondanza. La spro-porzione fra i cinque pani moltiplicati e le cinquemila persone sfamate è fatta ad arte per far risaltare più fortemente la grandezza del miracolo di Gesù. Egli è più grande di Elia e di Eliseo. E' il vero profeta dell'umanità.

Nell’Antico Testamento Mosè aveva ottenuto da Dio la manna per gli Ebrei nel deserto (Es 16,1-15), e Gesù ora dà il pane in un luogo deserto (Mc 6,35). Egli però è più grande di Mosè, perché il pane che egli dà è il simbolo dell'Eucaristia (ciò è più evidente in Gv 6,1-13. 30-36).

Nell’Antico Testamento Dio è presentato come il pastore che porterà le sue pecore a verdi pascoli (Ez 34,13-15) e procurerà loro una ricca mensa (Sal 23,2.5). Ora Gesù è il buon pastore che fa accomodare il suo popolo sull'erba verde (Mc 6,39) e gli procura una pane abbondante.

b) I discepoli di Gesù si interessano della situazione di necessità della gente, ma senza coinvolgersi (pensano che la soluzione sia quella di congedare la folla); non sanno impegnarsi di persona, e non sanno domandarsi: “quale sarà la soluzione che Gesù ha in mente per questa gente?”Quante volte l'uomo guarda con occhi buoni le difficoltà degli altri ma senza impegnarsi a fondo, e le affronta con i propri schemi in testa anziché con il pensiero e le soluzioni di Dio! Come fare per ...evitare di essere aiuti inutili o sciocchi al prossimo, o -peggio ancora- per non fare disastri...?

c) Gesù vuole che gli uomini siano suoi collaboratori nel risolvere i problemi del mondo ("Voi stessi date loro da mangiare.... Quanti pani avete? Andate a vedere..... Spezzò i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero").Dove mi vuole Dio suo collaboratore? in quali ambienti? riguardo a quali persone? in quali situazioni concrete? Qual è il pane che io posso offrire agli altri? C'è un pane materiale e c'è il pane della consolazione, della verità, della stima, della carità, del perdono, del consiglio, della presenza, della speranza, della correzione...

d) La gente affamata, in luogo deserto, con già la sera che avanza, accetta l'invito di sedersi sull'erba ed aspettare... Aspettare che cosa? Dicono che darà da mangiare... Ma è ormai sera, e non conviene forse andare nei villaggi vicini, o a casa propria, ove c'è di sicuro del pane?Occorre fede e occorre talvolta eroismo per aspettare i tempi e le soluzioni di Dio! I nostri tempi e le nostre soluzioni sono spesso tanto diverse...

e) Gesù prese i cinque pani e i due pesci e li moltiplicò. Cinque pani e due pesci non bastano per cinquemila persone; ma nelle mani di Gesù bastano. Anche la nostra vita è piccola cosa, ma se offerta a Gesù e messa nelle sue mani può diventare preziosa e utile per molte persone. Egli può "moltiplicare" ogni semplice nostra preghiera e ogni piccola azione compiuta nel nascondimento, e può farla servire alla costruzione del suo Regno.

f) Il pane moltiplicato è simbolo del pane dell'Eucaristia (confronta Mc 6,41 con Mc 14,22). Come vivo questo dono così abbondantemente preparato per me ogni volta

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che vado a Messa (preparatomi e distribuitomi per mezzo dei sacerdoti, i discepoli di Gesù incaricati a ciò) ?

g) Il pane che Gesù ha moltiplicato è in sovrabbondanza: i discepoli raccolgono dodici ceste di pezzi avanzati. I doni di Dio non sono mai di stretta misura, egli è sempre oltremodo generoso. Pensiamo ad esempio a quante grazie e a quanti inviti, richiami, suggerimenti, correzioni, luci interiori, gesti di perdono attraverso il sacramento della Penitenza, e doni anche materiali egli continuamente ci dà.....E noi siamo generosi con lui? Siamo generosi col prossimo (in tempo, ascolto, accoglienza...) ?

13. Gesu’ cammina sulle acque ( Mc 6, 45 - 56 )

a) Gesù, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani, congeda la folla e si ritira in solitudine a pregare.Questo dato è affermato in maniera molto forte anche da Mt 14,22-23 (con particolare insistenza sulla preghiera) e da Gv 6,14-15 (con particolare insistenza sul nesso: progetto della gente di fare di Gesù il proprio re - fuga di Gesù dalla gente).

A questo punto della sua vita Gesù dovette vincere una forte tentazione, quella di cedere a un messianismo di tipo trionfalistico e glorioso, accettando di diventare le-ader di un movimento social-politico-religioso (servendosi anche della sua capacità di fare miracoli, a cui nessuno poteva resistere!).Nel deserto Satana gli aveva detto: "Se sei Figlio di Dio, trasforma questi sassi in pane" (Mt 4,3), e procurati gloria e prestigio. Gesù gli rispose: "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio", il che equivaleva a dire: Io voglio vivere non di gloria umana, ma secondo il progetto che il Padre ha su di me e che egli mi indicherà con la sua parola. Gesù, dopo la moltiplicazione dei pani, è a un bivio. Tutta la gente lo vuole proclamare suo re, suo capo, e ne è entusiasta; e sarebbe stato un attimo per Gesù cedere e andare fuori strada, fuori della strada che il Padre voleva per lui. Ma Gesù vince la tentazione; e la vince pregando, pregando a lungo, in solitudine, a tu per tu con il Padre. La preghiera tiene in strada!

b) Gli apostoli remano a fatica sul lago perché hanno il vento contrario, e invece che approdare a Betsaida (secondo l'indicazione ricevuta da Gesù), approdano a Gennesaret (tornando indietro).Gli apostoli tornano là dove non avrebbero più dovuto tornare. Gesù li aveva indirizzati fuori della Galilea, ed essi tornano in Galilea.L'uomo tante volte ritorna indietro ai suoi difetti e ai suoi peccati, pur dopo essersi messo sinceramente in viaggio "verso l'altra riva", verso la riva della virtù e del bene. I "venti contrari" (le difficoltà del bene e la propria naturale debolezza) lo fanno ripiegare

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e indietreggiare. Occorre sforzo, occorre perseveranza, occorre ritentare sempre di nuovo. Ed è necessario molto pregare, per essere irrobustiti dalla forza stessa di Dio.

Scrive papa S. Gregorio Magno: "Quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalle parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle all'ufficio pastorale, l'animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché diviso tra molte faccende. Siccome per necessità di ufficio devo trattare con uomini del mondo, talvolta non bado a tenere a freno la lingua. Per questo succede che molte volte sto ad ascoltare pazientemente le loro parole inutili. E poiché anch'io sono debole, trascinato un poco in discorsi vani, finisco per parlare volentieri di ciò che avevo cominciato ad ascoltare contro voglia, e di starmene piacevolmente a giacere dove mi rincresceva di cadere. Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza?”

c) Gesù raggiunge i suoi apostoli e sale sulla loro barca; si lascia riportare in Galilea. Gesù ha grande pazienza con i suoi apostoli. Accetta la loro debolezza e la cura piano piano. Alla fine però li farà arrivare a Betsaida! (Mc 8,22).E' lo stile che usa anche con noi il Signore: grande pazienza. (Es 34,5-7; Sal 145,8; Sap 11,26 - 12,2; Sap 15,1-2; Sir 18,7-14; la vicenda di Giona; 2Pt 3,9).Però non dobbiamo abusare della pazienza di Dio! (Sir 5,4-7; Mt 5,25-26).

d) Gli apostoli scambiano Gesù per un fantasma; non lo sanno riconoscere. Come è difficile, spesso, riconoscere Gesù e la sua presenza nei fatti, negli avvenimenti, nelle persone, nei poveri, nei sofferenti, nei disagi quotidiani, nelle persone moleste, nei "venti contrari" della vita.... Scambiamo facilmente queste realtà per "fantasmi" che ci fanno paura. Nella nostra mente le cose acquistano talvolta proporzioni esagerate, aspetti minacciosi, volti deformi (specialmente di notte!). Non sappiamo riconoscere la presenza di Gesù.Ma Gesù ci dice: "Coraggio, sono io, non temete!" Queste parole sono quelle pronunciate tante volte da Dio nell'Antico Testamento ( Es 3,14; Is 41,4; Is 43,10; Is 46,4; Gios 1,9; Gios 8,1; Sof 3,16-17). Ora è Gesù a pronunciare queste parole. Gesù è Dio! Egli è il Dio-con-noi!

e) Gli apostoli hanno il cuore indurito. E' il rischio anche nostro. (Sal 95,8; Ez 36,26).

14. Gesu’ discute con i farisei ( Mc 7, 1 - 23 )

Questo brano ci presenta Gesù fortemente impegnato in una discussione con i farisei. Contestato nel suo modo di agire, egli reagisce decisamente contro i suoi "avversari", contestando a sua volta i farisei e dando un preciso insegnamento ai propri discepoli.

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a) I farisei seguono un insieme di norme precise e minuziose, ma solo esterne; non curano la bontà interiore del cuore. Essi onorano Dio con le labbra, ma non con il profondo della loro persona.Il pericolo del ritualismo e dell’ esteriorità è sempre in agguato. E' facile cadere nel pericolo di "dire preghiere" ma di non pregare; di "fare la Comunione" senza "fare vera comunione" con Dio e con il prossimo; di dirsi cristiani senza esserlo fino in fondo. (Mt 23,25; Mt 7,21-23; Sal 50).

b) I farisei incolpano i discepoli di Gesù di non osservare la legge, mentre sono essi fuori strada.Quante volte succede che uno incolpi gli altri, e invece è lui ad essere colpevole. Uno si lamenta ad esempio perché un altro gli ha risposto male e lo rimprovera della risposta che gli ha dato, e non s'accorge che lui nel rivolgergli la parola era stato duro e lo aveva offeso, giudicato e condannato nel suo cuore (per cui l'altro ha sentito il bisogno di difendersi). Un sacerdote si lamenta che i suoi parrocchiani non stanno attenti alle sue omelie, e non si rende conto che non stanno attenti perché le omelie sono noiose e poco preparate (dovrebbe incolpare se stesso e prepararsi meglio). E' mai capitato a te di cadere in questo tipo di errore?

c) I farisei si sono fatti una religione per conto loro, non più fedele ai co-mandamenti di Dio.Il Papa ha più volte rilevato che c'è oggi tra molti cristiani un forte relativismo morale e un accentuato soggettivismo nella fede e nei costumi: credo quelle verità che io ritengo vere e valide (e non tutte quelle che mi propone il Vangelo nell'insegnamento autentico della Chiesa); mantengo le mie riserve in tanti settori del vivere (famiglia, sessualità, rapporti prematrimoniali, aborto, eutanasia, ingegneria genetica, pena di morte...). Il Papa ha scritto una enciclica, la "Veritatis Splendor", per dire che c'è un dato oggettivo di fede e di morale cui aderire.

d) Gesù afferma il primato dell'uomo sull'ambiente che lo circonda: "Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo".E' bello sapere che anche in un ambiente difficile, avverso, sfavorevole e perfino perverso uno può rimanere buono e santificarsi. Così come pure, d'altra parte, il trovarsi in un ambiente buono e favorevole non fa necessariamente uno buono e santo (dipende dalla volontà del singolo).Resta pur vero, insieme, che "le cattive compagnie corrompono i buoni costumi" (1Cor 15, 33), e che un certo influsso da parte del male attorno a noi, se non stiamo attenti, rischia di rovinarci. Così come anche il bene "è diffusivo di sé" e fa bene!

e) Dal cuore dell'uomo, dice Gesù, escono tante cose cattive. Egli ne dà un elenco; sono atteggiamenti concreti su cui meditare e con cui confrontarci. Altri elenchi simili li troviamo in Gal 5,19-21; Rom 1,26-32.

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Il periodo dell’ esilio volontario di Gesu’ dalla Galilea

( Mc 7, 24 - 10, 52 )

L'evangelista Marco-dopo aver descritto il periodo di Gesù nel deserto (periodo che dovette durare

qualche mese), in cui Gesù si avvicinò al movimento spirituale di Giovanni il Battista, andò a farsi battezzare da lui, e poi sostenne la lotta contro Satana (Mc 1,1-13);

-dopo aver presentato il periodo del ministero di Gesù in Galilea (periodo che durò un anno e mezzo), in cui Gesù annunciò il Regno di Dio e compì guarigioni ed esorcismi per dimostrare che il Regno di Dio era arrivato sulla terra con lui (Mc 1,14 – 7,23);

-ora presenta il periodo in cui Gesù visse volontariamente fuori dei confini della Galilea in una sorta di esilio volontario, costretto a ciò dall'ostilità dei farisei e dall’odio di Erode Antipa che lo cercava a morte (sono i capitoli di Mc 7,24 - 10,52).

Di questo periodo diciamo alcune cose in generale, così come traspaiono dalle righe del Vangelo di Marco e degli altri Vangeli:

Questo periodo fu un periodo di esilio: infatti Gesù in questo periodo si muove e svolge la sua attività fuori dei confini della Galilea; lo troviamo a Betsaida, nella regione di Tiro e Sidone, dalle parti di Cesarea di Filippo verso Damasco, nel territorio della Decapoli (queste sono tutte terre prevalentemente pagane); e in Samaria.Questo fu un periodo di esilio volontario: non abbiamo notizia che Gesù sia stato cacciato dalla Galilea, ma se ne andò di sua spontanea volontà, per avere salva la vita. Infatti Erode Antipa, il re della Galilea che aveva appena fatto decapitare Giovanni il Battista e che pensava che Gesù fosse il Battista redivivo, non lo vedeva di buon occhio, anzi cercava di prenderlo e di metterlo a morte (Lc 13,31). Ma anche le guide religiose della Galilea, gli scribi e i farisei, e gli erodiani, gli erano fortemente contrari e ostili (cfr Mc 3,6).

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Questo periodo durò circa sei mesi, dalla Pasqua dell'anno 29 d.C. alla festa delle Capanne di quello stesso anno, cioè pressappoco da aprile ad ottobre. Poi Gesù, alla festa delle Capanne salì a Gerusalemme con i suoi apostoli, e passò lì i suoi ultimi sei mesi di vita, fino alla Pasqua dell'anno 30 d.C.

In questo periodo Gesù visse ramingo, senza un recapito fisso e senza una stabile dimora (mentre quando era in Galilea aveva un preciso recapito nella casa di Pietro a Cafarnao). Gesù andava di qua e di là, entrava nei villaggi, viveva di quello che la gente gli dava o di quello che gli portavano i suoi discepoli quando lo raggiungevano, passava la notte spesso all'aperto (era il tempo dell'estate, in cui faceva molto caldo); passava lungo tempo in preghiera, da solo.Dev'essere di questo periodo la frase detta a uno che voleva diventare suo discepolo, e riportata da Lc 9,58: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

In questo periodo Gesù attese più direttamente alla formazione del gruppo dei Dodici. Non parlò più del Regno di Dio; non fu più questo il tema della sua pre-dicazione (tema tipico del periodo in Galilea). Gesù in questo periodo non fece più di-scorsi alle folle, non lo vediamo attorniato da molta gente, entrare nelle sinagoghe, fare miracoli per mostrare che il Regno di Dio è presente, cercare uditorio per annunciare il Regno di Dio. Egli invece, in questo periodo, gira di qua e di là con attorno a sé solo i Dodici apostoli e alcuni altri discepoli, tra cui anche alcune donne, e parla a loro, insegna a loro.

Non si deve pensare che il gruppo dei Dodici e degli altri discepoli sia stato tutto il tempo dei sei mesi con Gesù; non dobbiamo immaginare un gruppo di trenta-quaranta persone che per sei mesi vive fuori della Galilea girando qua e là (in tanti così come avrebbero fatto a procurarsi da mangiare?). E' invece pensabile che queste persone raggiungessero di tanto in tanto il loro Maestro e passassero con lui qualche giorno, due-tre giorni. Gesù si aggirava nei pressi dei confini della Galilea, dava loro degli appuntamenti, e i suoi discepoli lo raggiungevano; portavano le provviste di cibo per sé e per lui; ascoltavano i suoi insegnamenti; assistevano ai suoi gesti prodigiosi che faceva; imparavano quanto egli diceva loro; poi se ne tornavano a casa, per ritrovarsi con lui di nuovo dopo un po' di tempo. Talvolta stavano con lui un po' di più, lo accompagnavano in qualche sua puntata fino in terra propriamente pagana, ad esempio la regione di Tiro e di Sidone o la Decàpoli (Gesù li portava lì e compiva qualche miracolo per far loro capire che la salvezza di Dio era rivolta anche ai pagani, e non solo agli Ebrei).

Il gruppo dei discepoli in quel periodo dovette vivere così: Gesù non fece mai nessun miracolo per risolvere i problemi di sussistenza del gruppo stesso. Dovette essere quello, quindi, un tempo anche di disagi e di vita essenziale, all'insegna della più grande sobrietà e della precarietà: ecco che in quel periodo e in quel contesto si collocano bene gli insegnamenti di Gesù sulla fiducia nella Provvidenza e sul sapersi fidare del Padre celeste che pensa a tutte le sue creature (Mt 6,25-34 pone questo insegnamento all'interno del grande discorso della montagna, e lo pone in Galilea sul monte delle beatitudini sopra Cafarnao, ma sappiamo bene che Matteo in quel discorso riunisce tanti insegnamenti che Gesù diede in tempi e in luoghi diversi, anche fuori della Galilea; infatti Luca, più vicino alla realtà, pone questo insegnamento sulla Provvidenza nel periodo dell'esilio di Gesù dalla Galilea: Lc 12,22-31; e Luca conclude questo insegnamento con le parole di Gesù:"Non temere, piccolo gregge, perché al Padre

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vostro è piaciuto di darvi il suo Regno": Lc 12,32; parole che si addicono molto bene alla situazione del gruppo dei discepoli di Gesù in quel momento e in quella situazione).

Inoltre dobbiamo tener conto che quello era un gruppo del tutto particolare: era un gruppo che seguiva un profeta fuggiasco, in esilio volontario, rifiutato dalle guide religiose del popolo (e quindi uno scomunicato...); un profeta cercato a morte, un uomo sbandato, sradicato da ogni autentico terreno umano, in pericolo di essere ucciso e quindi non in grado di assicurare un vero futuro ai suoi seguaci...Gesù era considerato un sovvertitore dell'ordine religioso e un personaggio pericoloso anche per la pace pubblica; sarà condannato da Pilato come uno Zelota (sulla tavoletta posta sopra il suo capo in croce verrà scritto "Gesù Nazoràio Re dei Giudei": Gv 19,19; e Nazoràio, secondo l’opinione di alcuni studiosi, era sinonimo di Zelota, cioè di uno che voleva ribaltare con la forza e con la rivolta di massa il dominio dei Romani). Proprio come un sovvertitore dell’ordine pubblico Gesù sarà presentato a Pilato dal sinedrio. Dunque seguire Gesù ed essere suoi discepoli era una cosa pericolosa, comportava il rischio di essere coinvolti nel suo destino di morte.

Infatti c'erano stati non molti anni prima dei tristi precedenti. Durante l'adolescenza di Gesù, a Sèfforis, città a cinque-sei chilometri da Nazaret, erano stati uccisi 3000 Zeloti che si erano ribellati al potere romano; e pochi anni prima che Gesù nascesse, nei pressi di Gerusalemme Erode il Grande aveva fatto mettere in croce 2000 Zeloti in fila uno dopo l'altro (chilometri di crocifissi!). Quindi ci voleva del coraggio per seguire Gesù di Nazareth! Ma egli diceva e compiva cose così grandi e così straordinarie......!

Gesù dunque in questo periodo, come già detto, si occupò particolarmente del suo gruppo, e cercò di legarlo strettamente a sé, alla sua persona; cercò di condurlo piano piano a capire la sua vera identità. In questo periodo Gesù comincia a dire chiaramente che egli sarebbe stato preso, flagellato, condannato a morte ma che il terzo giorno sarebbe risorto. Abbiamo nelle pagine evangeliche di questo periodo ben tre annunci fatti da Gesù della sua passione, morte e risurrezione. Questo modo doloroso di essere il Messia metterà in profonda crisi i discepoli di Gesù, tanto che Pietro gli dirà, a nome di tutti: No, questo non ti deve succedere! Perché se no, sottinteso, cosa succederà a noi?! (Mt 16,22). E' un periodo, questo, delicato per Gesù e per la sua opera. Resisteranno i Dodici e gli altri discepoli alla prova? Si ritireranno da quella scuola così esigente e così dura? Gesù resterà solo e fallirà tutto? Chissà come Gesù avrà trepidato pensando alla perseveranza e al pericolo di defezione dei suoi apostoli! Ma come anche si sarà fidato dell’azione del Padre nei loro cuori! E avrà pregato per loro…

In questo periodo di formazione del suo gruppo Gesù indicò ai suoi seguaci tutta una serie di atteggiamenti nuovi da assumere, concezioni di vita sbagliate da correggere, prospettive nuove a cui aprirsi. Gesù istituì una vera scuola di vita per il suo gruppo.Le pagine evangeliche relative a questo periodo sono ricchissime di insegnamenti, in particolare le pagine dell'evangelista Luca che dedica a questo periodo una parte molto consistente del suo Vangelo, dieci capitoli (Lc 9,10 - 19,27).

Ad esempio Gesù educò all'attenzione verso le persone in necessità (Mc 8,2-3; 10,48-49); a relazioni reciproche fraterne (Mc 10, 35-45); alla libertà dalla ricchezza e alla fiducia nella Provvidenza (Lc 12,13-32); alle vere esigenze della sequela (Lc 9,57-62 e Lc 14,25-33); a una nuova concezione del rapporto con Dio (Lc 15); ecc.

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I Vangeli, nelle pagine che dedicano a questo periodo, non ci danno il resoconto preciso e diretto dei fatti, degli episodi, degli insegnamenti. Non abbiamo la cronologia e la geografia perfetta di quei sei mesi. I Vangeli ci riportano quelle che furono le prime sintesi e le prime raccolte (prima orali e poi scritte) fatte dagli apostoli e dai discepoli di Gesù nel tempo subito successivo alla morte e risurrezione del Signore.

1. La donna cananea e il sordomuto guarito ( Mc 7 , 24 - 37 )

a) Gesù è in esilio dalla Galilea. E' dovuto fuggire perché cercato a morte. Vive da ramingo e da fuggiasco in terra pagana (Tiro, Sidone, la Decapoli), sostenuto dalla Provvidenza e soccorso da soluzioni di fortuna. Ma anche in questa situazione egli porta avanti il suo compito ricevuto dal Padre, cioè la sua missione universale. Anzi proprio da questa sua difficoltà e situazione precaria egli prende l'occasione per annunciare il Vangelo anche ai pagani e per essere il Messia di tutti, come il Padre lo voleva nel suo disegno. Davvero tutto concorre al bene e al piano di Dio (Rom 8,28), comprese le difficoltà, le persecuzioni, gli "ostacoli", le avversità, le tribolazioni...

C'è qualcosa che stai vivendo in questo periodo e che senti come impedimento alla tua vita spirituale, e invece magari è proprio la palestra pensata e permessa da Dio per la tua crescita e per il tuo "mattone" da portare alla costruzione del Regno di Dio sulla terra? (Tob 4,19).

b) Gesù entra in una casa pagana. Gesù è nato in una stalla; ha abitato in un paese piccolo e disprezzato; è andato a pranzo e a cena da farisei (Lc 7,36), da gente comune (Mc 1,29), da pubblicani e peccatori (Mc 2,15; Lc 19,1-10); ora entra in una casa pagana. Gesù non ha proprio stecccati e confini...! Gesù non è chiuso a nessuno, è aperto a tutti.

Chi ama è aperto a tutti. Chi ama non ha nulla da perdere e da temere; chi ama non corre pericoli, perché chi ama è "una potenza di vita"! Dice S.Agostino: "Ama, e fa' ciò che vuoi". Somma è la libertà di chi ama. Non è schiavo di niente e di nessuno, colui che ama; neanche di se stesso.

c) Gesù sembra mettere alla prova la fede della donna pagana. L'obiezione che Gesù le rivolge la obbliga a percepire con più intensità che il dono che riceverà è del tutto gratuito.

Nel mondo d'oggi non è molto vivo il senso del dono gratuito che ci viene da Dio. In te è vivo? Hai mai fatto celebrare una Messa a scopo di ringraziamento? Hai mai recitato un Rosario, o fatto un'elemosina, "per ringraziare Dio"? Le nuove generazioni crescono con la capacità di riconoscere i doni che ricevono (dalla famiglia, dalla scuola, dalla società), o sono quasi solo "pretesa"? Tocca a noi adulti educarle alla riconoscenza.

d) Gesù guarisce a distanza, ma in forza di una intercessione (qui la madre per la figlia). Molto vale la preghiera di intercessione degli uni per gli altri ( Giob 1,4-5; 1 Sam 25; Giac 5,5,14-16; Ef 6,18-19; 2Tess 3,1-2).

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La Madonna a Lourdes e a Fatima ha chiesto preghiere per la salvezza dei peccatori, per la conversione di chi compie il male, per la pace nel mondo. Mettiamo preghiera oltre che nella nostra vita anche nella vita degli altri. E' un gesto di somma carità. Tutti siamo a conoscenza di situazioni, di fatti, di persone in cui mettere preghiera. Anche i giornali e la televisione possono aiutarci a tenere vivo in noi questo sforzo di pregare per tante situazioni.

e) Gesù guarisce il sordomuto in disparte, lontano dalla folla. Gesù non ama la pubblicità, non cerca il successo, non vuole stupire, non smania di essere al centro dell'attenzione di tutti. Potrebbe primeggiare facilmente, e invece è totalmente decentrato da sè. E' umile.

f) Il sordomuto si lascia condurre da Gesù in disparte, lontano dalla folla. Le guarigioni spirituali più profonde e più vere si realizzano normalmente nel silenzio e nel contatto dell'anima a tu per tu con Dio. L'uomo sa reggere queste "solitudini"?

g) Il sordomuto richiama:-la sordità spirituale dell'uomo di fronte alla voce di Dio che gli parla (attraverso il creato, nelle sacre Scritture, nel profondo del cuore, nei fatti che succedono e che gli succedono);-la sordità spirituale di fronte alla voce implorante dei fratelli che gli fanno giungere notizia delle loro difficoltà, problemi, necessità.-la difficoltà di parlare a Dio (nella preghiera);-la difficoltà di parlare con i fratelli (in un vero dialogo).

h) Il sordomuto guarito avrà cercato di usare bene della lingua… La lingua è fatta, come ogni altra cosa, solo per il bene. (Sal 9-10,2-3; Ef 4,29; Giac 3,1-12).

i) Di Gesù la gente faceva un elogio straordinario; diceva: “Ha fatto bene ogni cosa". Fare bene ogni cosa! Compierla al tempo giusto. Nel giusto modo. Con la giusta misura. Prontamente. Con entusiasmo. Per costruire. Spinti solo da carità. Nella autentica verità. Senza secondi fini. Senza interessi. Non per forza. Non per abitudine. Non perché non si può fare a meno. Compiuta per Dio. Come se fosse l'ultima cosa che facciamo in questa vita...

2. La “seconda” moltiplicazione dei pani . Farisei e apostoli hanno il cuore indurito .

( Mc 8, 1 - 21 )

a) Gesù moltiplica i pani per la gente affamata.Gli studiosi pensano che Gesù abbia moltiplicato i pani e i pesci una volta sola (e non due), e che tale miracolo sia stato raccontato in ambienti diversi con particolari

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differenti. Così nell'ambiente palestinese, in cui il punto di riferimento e i responsabili della comunità cristiana proveniente dall'Ebraismo erano i dodici apostoli, il racconto parla di dodici sporte di pezzi di pane avanzati (Mc 6,43) (il pane eucaristico, di cui il pane moltiplicato da Gesù era simbolo, era affidato a loro); invece nell'ambiente di cristiani provenienti dal mondo greco, in cui il punto di riferimento e i responsabili erano i sette diaconi, le sporte di pezzi di pane avanzati sono sette (Mc 8,8).

Gesù si commuove della gente in difficoltà. Gesù provvede. Il pane moltiplicato è simbolo dell'Eucaristia. Occorre averne grande cura.

b) I farisei chiedono segni e prodigi, ma Gesù non concede loro nessun segno e nessun prodigio.Se il cuore è chiuso, nulla serve. Anche il miracolo più strepitoso sarebbe inutile. Ogni intervento soprannaturale sarebbe contestato, negato e rifiutato (cfr Lc 16,27-31). I farisei hanno perfino detto che Gesù cacciava i demoni per mezzo di Beelzebùl!... Dio non ci lascia senza i segni necessari e sufficienti (anzi sovrabbondanti!) per la nostra salvezza (Lc 16,27-31). Chi ha occhi per vedere vede tante orme e segni di Dio sulla sua strada.

c) Gesù invita i suoi apostoli a guardarsi dal lievito (cioè dalla mentalità) dei farisei e di Erode.Qual è la mentalità di oggi da cui il discepolo di Gesù deve guardarsi? Consumismo, delirio di onnipotenza, filosofie e cammini di autosalvazione, relativismo morale, pensiero debole, materialismo, edonismo, permissivismo, individualismo.(Rom 12,2; 1Gv 2,15-17; Gv 17,15-19)

d) Gesù invita i suoi apostoli a.....ricordare.Anche noi dobbiamo ricordare le grazie ricevute, per lodare il Signore; ricordare le situazioni ingarbugliate e difficili da cui Dio ci ha liberati, per esaltare la sua bontà e avere fiducia nelle nuove difficoltà; ricordare i peccati commessi per ringraziare la misericordia di Dio e crescere nell'impegno del bene; ricordare le persone che ci hanno beneficato per pregare per loro; ricordare l'esempio dei Santi per lasciarcene infiammare; ricordare gli insegnamenti e gli esempi buoni dei nostri cari ormai defunti per seguirli.(Deut 5,15; Sir 51,8-12)

3. La guarigione del cieco di Betsaida ( Mc 8, 22 - 26 )

a) Gesù guarisce il cieco in disparte, lontano dalla gente (cfr anche Mc 7,33): Gesù non fa i miracoli per attirare su di sé l’attenzione, per ottenere gloria e farsi pubblicità; e neppure -come primo scopo- per fare proseliti e aumentare i discepoli, ma per salvare la singola persona, per piantare nel mondo il Regno di Dio e far capire agli uomini come sarà la situazione dell’umanità e del mondo quando il Regno di Dio sarà instaurato pienamente nella storia: una situazione liberata dalla malattia, dalla morte, dal peccato, dal potere di satana, da sconvolgimenti della natura. Gesù vuole mostrare le

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primizie del regno e liberare l’uomo dalla paura; desidera dargli speranza (Lc 7,18-23; Lc 11,20).

b) Gesù guarisce il cieco mettendogli della saliva sugli occhi (cfr anche Mc 7,33; altre volte fa un po’ di fango con la saliva: Gv 9,6): Gesù si attiene a quelle che erano le consuetudini e i metodi dei guaritori del tempo. Anche in questo modo egli non vuole “colpire”, strabiliare, suscitare enorme meraviglia e per mezzo di tale meraviglia “obbligare” l’uomo a credere in lui; egli vuole invece lasciare un margine alla fede, alla libertà del credere e dell’aderire a lui. Altre volte invece Gesù si mostra libero da questa prassi (Mc 10,51-52).

c) Questo episodio è messo da Marco in posizione strategica: tra la prima e la seconda parte del suo Vangelo.Nella prima parte (Mc 1,1 - 8,21) Gesù ha predicato e ha compiuto gesti di guarigione e di esorcismo, ha moltiplicato il pane per la folla, ma i suoi discepoli non hanno capito (meno ancora hanno capito i farisei ed Erode, ripieni del loro "lievito"). I discepoli sono stati ciechi e hanno intravisto in Gesù solo qualcosa di particolare, ma non certo ancora il Messia e il Figlio di Dio!Ora Gesù guarisce il cieco di Betsaida, simbolo dei discepoli di Gesù che vengono guariti dalla loro cecità spirituale, fino a diventare capaci di capire Gesù per quello che egli veramente è. Infatti nella seconda parte del Vangelo (Mc 8,27 - 16,20) Gesù si svelerà loro come il Messia e il Figlio di Dio che dovrà patire ed essere messo in croce, per poi risorgere e dare la vita al mondo. Credere in un Messia crocifisso, che stabilisce anche per i suoi discepoli una via di sofferenza e di croce, non è così facile…..

d) Davanti "alla via della croce" e alla sofferenza occorre essere guariti e "ricevere una vista nuova". C'è tutto un cammino che va fatto, e anche la Bibbia, a questo riguardo, ha compiuto un "percorso" dai suoi libri più antichi (Antico Testa-mento) a quelli più recenti (Nuovo Testamento). In antico la sofferenza era vista come un castigo e una punizione; poi piano piano è stata illuminata dalla Rivelazione fino a diventare il mezzo della redenzione e della salvezza, sull’esempio di Gesù.

e) La guarigione in due tempi del cieco di Betsaida sta a indicare che anche la nostra guarigione spirituale è qualcosa che si realizzerà in modo progressivo e continuato. Dovremo rimanere sempre "in cura", senza mai ritenerci guariti del tutto! Di fatti davanti ad ogni nuova sofferenza siamo sempre di nuovo daccapo: tentati di rifiutarla e incapaci -subito- di vederci un senso e un valore.

f) Nel problema del dolore abbiamo bisogno, come il cieco di Betsaida, che Gesù ci prenda per mano. Quando Dio, Gesù, prendono per mano l’uomo, l’uomo sperimenta la salvezza. (Gen 19,16; Sal 37,24; Mc 1,31; Mc 5,41; Mc 9,27)

g) Tante volte scambiamo anche noi "alberi" per "uomini"! Consideriamo un insuccesso, un rifiuto da parte di qualcuno, una malattia, come una "disgrazia"; e invece è una "grazia".Consideriamo una persona come a noi ostile, e invece ella non ha nulla contro di noi (“I muri sono nella nostra mente”). Consideriamo una persona "cattiva", e invece è solo spiritualmente malata (da amare e da aiutare).Consideriamo l'essere vestiti alla moda, l'essere forti e brillanti, l'essere molto considerati dagli altri ecc. come valori

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importanti, e invece sono ben poca cosa! Ciò che importa è amare Dio e il prossimo; essere "pieni di grazia" davanti a Lui.In quanti errori di prospettiva continuamente cadiamo...! Quante volte prendiamo pan per focaccia, lucciole per lanterne, “alberi per uomini”!

4. La grande domanda di Gesu’ : “ Voi chi dite che io sia ? “ ( Mc 8 ,27 - 33 )

Gesù è dovuto fuggire dalla Galilea, cercato a morte dai farisei, dagli erodiani e da Erode Antipa; vive fuggiasco e ramingo fuori della terra di Israele (è il periodo del suo esilio volontario). Lì, di tanto in tanto, i suoi apostoli lo raggiungono, gli portano del cibo, stanno con lui qualche giorno, e Gesù coglie l'occasione per istruirli, per parlare loro di se stesso e della sua missione, per delineare davanti ai loro occhi gli atteggiamenti fondamentali che dovranno assumere, e per preannunciare il proprio destino di passione, di morte e di risurrezione.

In uno di questi incontri, un po' più prolungati, Gesù conduce gli apostoli fino a 50 chilometri circa a nord del lago di Gennesaret, dalle parti di Cesarea di Filippo (la capitale del Regno di Filippo, il fratello di Erode Antipa); e lì pone loro una grande domanda: "Chi dice la gente che io sia? e voi chi dite che io sia?".

Gesù pone questa domanda ai suoi apostoli non senza una certa trepidazione nel cuore. Quei dodici uomini lo hanno seguito, si sono sbilanciati per lui, continuano ancora a cercarlo e a raggiungerlo in situazione disagiata e precaria, addirittura peri-colosa (Gesù era un ricercato a morte); ma Gesù pensava: Che cosa avranno capito questi miei dodici amici di me e di chi io sono veramente? Avranno capito che sono il Messia, l'inviato dal Padre per la redenzione del mondo? O mi considereranno solo un taumaturgo, un guaritore, un profeta sulla scia degli altri precedenti profeti?

Gesù si sente rispondere da Pietro, a nome anche degli altri undici, che egli è il Messia. Chissà quale gioia nel cuore di Gesù, quel giorno, a quella risposta! Allora il suo anno e mezzo in Galilea non era stato inutile! Allora il piano del Padre stava an-dando avanti e c'era nel mondo chi aveva compreso il mistero della sua persona! Gesù avrà ringraziato profondamente il Padre quella sera, quando si sarà messo a pregare; e avrà guardato, quel giorno, con immenso affetto Pietro e gli altri apostoli.

Ma Gesù capisce che il suo sforzo non è ancora compiuto del tutto nei confronti dei dodici. Quei suoi amici hanno ancora molta strada da fare, e una strada non meno difficile e erta di quella già fatta: dovranno arrivare a capire (e ad accettare!) che lui, il Messia, sarà Messia sulle orme del Servo sofferente di JHWH, fino a morire e fino a perdere la vita, per poi risorgere ed essere glorificato dal Padre. Riuscirà Gesù a far capire ai suoi amici (e a far loro accettare) questo? Gesù lo spera, ma non ne ha la certezza. I dodici potrebbero anche e spaventarsi e rifiutarsi di fronte a tale prospettiva,

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e abbandonarlo. La loro libertà resta sempre una realtà vera davanti alla proposta di Gesù; e Gesù deve fare i conti con tale libertà.

Tocchiamo così, in questo modo, la situazione di grande drammaticità che Gesù umanamente visse quel giorno nella regione di Cesarea di Filippo. Non fu un'amena passeggiata... Egli dovette porre quella domanda e parlare di passione e di morte con profonda trepidazione nel cuore. Si sarà detto: Speriamo che accettino, altrimenti dovrò cominciare tutto da capo, con altri! Padre mio, aiutali ad accettare! Fa' che non si spaventino; fa' che siano generosi, e coraggiosi! Ti prego per loro, Padre; tocca e sostieni il loro cuore!

E Gesù non si sbagliava circa il rischio che correva; difatti Pietro ebbe una re-azione violenta: prese Gesù in disparte e cominciò a rimproverarlo. Pietro che rim-provera Gesù! Secondo lui, Gesù stava dicendo cose sbagliate, cose impossibili, cose assurde e inaccettabili!Ma Gesù non cede e rischia il tutto per tutto. Gli dice: Pietro, va' via da me; lasciami, abbandonami pure, torna a casa tua. Tu non solo non vuoi entrare nei miei disegni e in quelli del Padre mio, ma addirittura vorresti tirare me fuori di strada, fuori della strada che il Padre mi ha tracciato davanti e che io devo seguire. Vattene via da me; tu sei per me un satana, un avversario, un tentatore, un nemico! Lungi da me. Resterò solo e comincerò con altri; con chi ci starà......Una situazione analoga Gesù la visse dopo aver annunciato a Cafarnao il pane dell'Eucaristia (Gv 6,59-69).

Per la riflessione.

1. Gesù è un bravo pedagogo: presenta progressivamente la verità rispettando i tempi e le leggi psicologiche e spirituali della maturazione delle persone (dapprima porta gli apostoli a crederlo Messia, poi parla loro di un Messia che dovrà soffrire e mo-rire). Siamo anche noi bravi pedagoghi, pazienti, intelligenti, oculati, capaci di dosare?

2. Gesù è onesto e coraggioso: dice tutta la verità e non nasconde nulla; non illude i suoi discepoli ma presenta loro tutte, fino in fondo, le esigenze della sequela. E' leale con loro. Sa rischiare anche di venire abbandonato e di rimanere solo.Noi facciamo sconti sulle verità di fede e di morale del Vangelo (a noi stessi e agli altri), per paura? (Gal 1,10).

3. Gesù non toglie ogni sofferenza e ogni difficoltà sulla via dei suoi discepoli. Anzi! E' capace di sopportare che anche i suoi amici abbiano da soffrire e da patire. Li aiuterà, ma non li alleva nella bambagia, non li preserva dal dolore.E' difficile lasciare le persone nella "giusta" sofferenza che devono sopportare (pur stando loro vicini).

4. Gesù domanda agli apostoli che cosa la gente pensi di lui (e che cosa essi stessi pensino di lui) non perché è preoccupato egoisticamente e narcisisticamente della propria immagine di fronte al pubblico, ma perché vuole portare gli apostoli a comprendere bene il Dono che hanno davanti: il dono del Messia salvatore del mondo (e lo sappiano apprezzare).Noi siamo preoccupati davanti agli altri della "nostra" immagine?

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5. La gente resta lontana, alla periferia del mistero della persona di Gesù. Lo considerano un profeta, uno dei tanti, e non la persona decisiva della loro vita e della storia del mondo... Quante idee, anche oggi, sbagliate, imperfette e monche su Gesù!Egli dice a me: Per te chi sono io?

6. Pietro fa fatica ad accettare la sofferenza. Vorrebbe a tutti i costi eliminarla, e far sì che Gesù (e naturalmente anche lui, Pietro) la potesse schivare.Qual è il mio atteggiamento di fronte alla sofferenza?

Lc 9, 18 - 22

Anche Luca riporta l’episodio di Cesarea di Filippo, e lo riporta seguendo sostanzialmente Marco. Lascia cadere la reazione scandalizzata di Pietro riportata in Mc 8,32-33, e ha di suo particolare la sottolineatura della preghiera (v 18); sottolineatura cara al Vangelo di Luca. Con questa sottolineatura Luca vuole dire che la comprensione del mistero di Gesù Messia da parte degli apostoli, e -ancora di più- la comprensione e l’accettazione da parte loro di un Gesù Messia destinato a subire la passione e la morte di croce necessitano di preghiera; solo in un clima di preghiera questa cosa dura può essere accettata (perché l’accettarlo è dono di Dio).

Mt 16, 13 - 23

L’evangelista Matteo riporta l’episodio di Cesarea di Filippo arricchendolo, rispetto a Mc e a Lc, di un elemento molto importante: la promessa del primato a Pietro. Matteo rispetto agli altri due Sinottici ha molti elementi nuovi.

-La professione di fede di Piero appare più alta di quella fatta da Pietro in Mc e in Lc; alla proclamazione della messianicità di Gesù, comune agli altri due Sinottici, si aggiungono le parole “Figlio del Dio vivente”. Queste parole se vengono intese solo nel senso di un rapporto particolare tra Gesù e Dio (restando Gesù solo uomo), possono esprimere ciò che Pietro poteva capire di Gesù in quel periodo e ciò che professò quel giorno a Cesarea di Filippo (nell’AnticoTestamento spesso la relazione “figlio-padre” viene utilizzata per indicare solo una relazione particolarmente stretta, e nulla più: cfr Sal 2,7; 2Re 2,3); se vengono invece intese nel senso di una proclamazione della divinità di Gesù (Figlio di Dio in senso grande e profondo) dobbiamo pensare che in questa formula sia stata immessa quella che fu la fede in Cristo della comunità cristiana dopo la Pasqua, dopo la risurrezione.

-Matteo afferma che la comprensione del mistero della persona di Gesù è un dono di Dio. Ciò che Marco aveva affermato con l’episodio-cerniera del cieco di Betsaida guarito, e ciò che Lc aveva affermato inserendo l’episodio di Cesarea di Filippo in un clima di preghiera, Matteo lo afferma esplicitamente con le parole di Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (v 17). Non sono sufficienti la ragione umana e le forze dell’uomo a comprendere il mistero di Gesù.

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-Il brano in Matteo è caratterizzato da un linguaggio fortemente semitico: “carne e sangue” stanno a significare la natura umana, le forze dell’uomo, le capacità dell’uomo puramente uomo; “le porte degli inferi” stanno a significare lo Sheòl, l’Ade, il regno dei morti e della Morte, le forze e le potenze del Male che combattono contro Dio e contro i fedeli di Dio; il “dare le chiavi del regno dei cieli”, il “legare e sciogliere” stanno ad indicare l’esercizio del potere, dell’autorità. “Legare e sciogliere” sono due termini tecnici nel linguaggio rabbinico che si applicano innanzitutto al campo disciplinare della scomunica con cui si “condanna” (si lega) o si “assolve” (si scioglie) qualcuno, e ulteriormente alle decisioni dottrinali o giuridiche con il senso di “proibire” (legare) o “permettere” (sciogliere).

-Gesù promette a Pietro un compito e una missione nuova e particolare. Gesù gli cambia il nome, lo chiama Pietro, che traduce l’ aramaico “kefa” = roccia (cfr 1Cor 15,5; Gal 1,18; 2,9). Il cambiare il nome significa dare alla persona un nuovo compito, una nuova missione (cfr Num 13,16). Pietro avrà una missione nuova e particolare nella Chiesa, una missione unica e di lui solo, quella di essere la pietra su cui Cristo edificherà la sua Chiesa. In Ef 2,19-20 si dice che la Chiesa sarà edificata sul fondamento “degli apostoli e dei profeti” (cioè su Pietro, sugli altri apostoli e sui profeti, gli annunciatori del Vangelo), i quali a loro volta poggiano sulla pietra angolare e fondamentale per tutti che è Gesù, la pietra posta da Dio nel mondo per la salvezza del mondo intero (1Pt 2,4-8). Però a Pietro in Mt 16, 18 Gesù dice qualcosa in particolare, che non dice agli altri apostoli. Così al solo Pietro si riferiscono anche i passi significativi di Lc 22,31-32 e Gv 21,15-17. Pietro ha quindi un posto particolare in mezzo agli apostoli.

-A Pietro, al v 19, Gesù dice inoltre: “A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra….”. Queste parole indicano Pietro come colui che ha autorità sulla Chiesa; egli è, per così dire, il maggiordomo (cfr Is 22,15-23) che eserciterà il potere disciplinare di amministrare la comunità con tutte le decisioni opportune in materia di dottrina e di morale, e tali decisioni saranno ratificate da Dio in cielo. Tali parole vengono riferite a tutta la Chiesa in Mt 18,18, per indicare che il giudizio proferito dalla Chiesa sulla terra viene ratificato da Dio in cielo, e che quindi la Chiesa è una comunità le cui decisioni vengono confermate da Dio; Pietro non agirà da solo, ma in comunione con la Chiesa; tuttavia resta il valore del ruolo particolare e unico di Pietro nella Chiesa che tutto il passo di Matteo afferma, come anche lasciano indicare altri testi neotestamentari. Pietro, ad esempio, è sempre indicato per primo nella lista dei dodici apostoli (Mt 10,2 e par.; At 1,13), e significativi sono al riguardo anche i testi di Lc 5,3. 8-10; Gv 20,3-6.

-Gesù afferma che la sua Chiesa non sarà mai sopraffatta “dalle porte degli inferi”, cioè dalle forze della Morte e del Male. La chiesa di Cristo sarà invincibile.

Per la riflessione.

Il “Pietro” di oggi è il Papa: è su di lui, e attorno a lui, che si costruisce la Chiesa di Gesù; il suo insegnamento e la sua dottrina sono per noi la via della verità; la sua fede e la sua persona sono per noi il punto di riferimento per l’unità.

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5. " Se qualcuno vuol venire dietro di me , rinneghi se stesso “.

( Mc 8,34-9,1)

Gesù va giù diritto e senza "pietà". La via del suo discepolo non potrà essere diversa dalla propria: dovrà essere una via di passione, di morte e di risurrezione. "Per crucem ad lucem", dice un proverbio latino: E' attraverso la croce (e non per altra via) che si arriva alla luce, alla vita.

Gesù non ha più molto tempo ormai da vivere; capisce che in Galilea non potrà più tornare e che quando andrà in Giudea, a Gerusalemme, le cose saranno lì, per lui, ancora più pericolose e drammatiche, perché a Gerusalemme si trova il centro e lo "zoccolo duro" del potere religioso e del potere politico, terribilmente ostili a lui e alla sua dottrina. Lì egli verrà messo in croce e ucciso. Egli lo intuisce. Pertanto insiste e parla apertamente ormai ai suoi apostoli (e alla folla, cioè a tutti i suoi seguaci) della strada dura che gli sta davanti, e che sta davanti a loro, se vorranno rimanere suoi veri e fedeli discepoli. Al v 31, in cui si parla della via crucis di Gesù, Marco fa seguire poco dopo i vv 34-35 che parlano della via crucis del discepolo.Gesù propone ai suoi discepoli una via di rinnegamento e di accettazione della propria croce.

a) Anzitutto il rinnegamento di sé.Rinnegare se stessi significa mettere a morte il proprio "io" egoista e interessato che vorrebbe tentare di salvarsi e di mettersi al riparo da tutto ciò che sa di "perdita" di sé, per incamminarsi invece sulla strada del dono di se stessi e dell'offerta della propria vita a Dio e al prossimo.L'uomo sente istintivamente (ma erratamente) di dare consistenza, forza, sicurezza, senso e vita a se stesso quando possiede molto in beni economici, quando può concedersi tutti i piaceri che desidera, quando può esercitare dominio e potere sugli altri, sugli avvenimenti, sulle cose. Allora l'uomo, istintivamente (ma erratamente), avverte l'impressione di vivere, di avere le cose in pugno, di non venire meno, di essere qualcosa e qualcuno, di essere onnipotente ed eterno. Ma facendo così egli si sbaglia. (Mc 10,35-37. 41-45; Lc 12,13-21; Giac 4,13 - 5,6; Ez 8,1-5)

La vera via che conduce alla vita -dice Gesù- è l'esatto contrario, è il dono di sé, il perdere la propria vita per Lui e per il Vangelo (v 35). Perdere la propria vita significa non voler salvarsi dalla "morte", ma andare incontro volontariamente alla "morte", a quella "morte" che consiste nel dono di sè (del proprio tempo, delle proprie doti, delle proprie capacità, dei propri beni economici; fare offerta di sè in un servizio gratuito e disinteressato, in un dono che bada al vero bene delle altre persone anche con sacrificio personale, in un atteggiamento che non è di giudizio ma di accoglienza, in un impegno di sopportazione e di carità e non di rifiuto e di offesa...). La strada della vita è la strada della morte del proprio "io" egoista, egocentrico e individualista. (Gv 12,24-26)

Come comporre il rinnegamento di sè con l'amore a se stessi ("...amerai il prossimo tuo come te stesso" Mc 12,31)? Il vero amore a se stessi sta nel rinnegare il

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proprio "io" egoista e diventare grandi nell'amare Dio e il prossimo, come ha fatto Cristo. Questo è il modo giusto di volersi bene! Questo è il modo in cui si sono amati i Santi.

b) Occorre, poi, prendere su di sé la propria croce. Prendere la croce, anzitutto, che richiede questa continua mortificazione del proprio "io" egoista e cattivo, e poi accettare tutte le altre croci e sofferenze che il Signore permette nella nostra vita (fastidi, contrattempi, delusioni, tristezze, solitudini, torti, offese, incomprensioni, ingratitudini, contrasti, rifiuti, preoccupazioni, malesseri fisici, malattie, lutti, tentazioni, insuccessi...). Occorre che, con la sua grazia e con la sua forza, noi diventiamo capaci di bere fino in fondo il calice della nostra sofferenza, così come Gesù bevve il proprio calice fino all'ultima goccia. Tutto il dolore è per la "vita", se lo sapremo accettare per Lui e per il Vangelo, e se lo sapremo offrire.La motivazione dev'essere sempre chiara e presente alla nostra mente: per Lui e per il Vangelo!

Per la riflessione

1. Abbandona l’“io” e il “mio”. ("Io" e "mio" sono spesso forme di egoismo; da rinnegare).

2. “O Maestro, fa’ che io non cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare; non tanto di essere compreso quanto di comprendere; non tanto di essere amato quanto di amare” (S.Francesco). C'è una giusta dimenticanza di sé da imparare e da praticare per dare la precedenza agli altri. Ricorda Gesù lungo la via dolorosa: pur profondamente sofferente, si ferma ad istruire e a prendersi cura del bene spirituale delle donne che lo piangono (Lc 23,27-31).

3. Il giudizio e la condanna degli altri sono espressioni di orgoglio e di un "io" superbo; "io" che va rinnegato.Mai nessuno ha rispettato gli altri come Gesù. Per lui l'altro è sempre più e meglio di ciò a cui tendono a ridurlo le idee e i pregiudizi dei saggi e dei dottori della legge. Gesù vede sempre, nelle persone incontrate, un motivo per sperare, una promessa viva, un essere chiamato ad un avvenire nuovo, malgrado i limiti e i peccati. Gli succede perfino di scoprire in ognuno qualche segreta meraviglia.

Gesù non ha detto: "Questa donna è volubile, leggera, segnata dalla tradizione del suo ambiente". Le domanda un po' d'acqua e comincia a parlare con lei (Gv 4,1-42).

Gesù non ha detto: "Ecco una pubblica peccatrice, una prostituta prigioniera del suo vizio". Dice piuttosto: "Lei ha più probabilità di entrare nel regno di quanti sono attaccati alla loro ricchezza o si ammantano della loro virtù e del loro sapere" (Lc 7,36-49).

Gesù non ha detto: "Questa è un'adultera". Ha detto: "Non ti condanno: va e non peccare più" (Gv 8,9-10).

Gesù non ha detto: "Questa donna che vuole toccare il mio mantello è solo un'isterica". L'ascolta, le parla, e la guarisce (Lc 8,43-48).

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Gesù non ha detto: "Questa vecchietta che mette l'offerta per le buone opere del tempio è una superstiziosa". Dice che è straordinaria e che faremmo bene a imitare la sua generosità (Mc 12,41-44).

Gesù non ha detto: Sono solo dei bambini". Dice: "Lasciateli venire a me e cercate piuttosto di assomigliare a loro" (Mt 19,13-15).

Gesù non ha detto: "Questo Zaccheo è un funzionario corrotto che si arricchisce adulando il potere costituito e sfruttando i poveri". Si invita a casa sua e proclama che la salvezza è entrata in quella casa (Lc 19,1-10).

Gesù non ha detto: "Questo cieco paga certamente per le colpe sue o dei suoi genitori". Dice che ci si sbaglia nei suoi riguardi a pensarla così, e stupisce tutti, scribi farisei e apostoli, mostrando quanto quell'uomo sia oggetto della misericordia di Dio: "Bisogna che in lui si manifestino le opere di Dio" (Gv 9,1-41).

Gesù non ha detto: "Questo centurione è solo un invasore". Dice: "Non ho mai visto una fede simile in Israele" (Lc 7,1-10).

Gesù non ha detto: "Nicodemo, questo sapiente, è solo un intellettuale". Gli apre la strada per una nuova nascita (Gv 3,1-21).

Gesù non ha detto: "Questo ladrone è solo un fuorilegge". Dice: "Oggi tu sarai con me in Paradiso" (Lc 23,39-43).

Gesù non ha detto: Questo Giuda è solo un traditore". Lo abbraccia e lo chiama amico (Mt 26,50).

Gesù non ha detto: "Pietro è solo un fanfarone pauroso". Gli domanda: "Pietro, mi ami?" (Gv 21,15-27).

Gesù non ha mai detto: "Non c'è nulla di buono in questa o in quella persona, in questo o in quell'ambiente". Oggi non direbbe mai: "E’ solo un integralista, un tradizio-nalista, un bigotto, un miscredente". Per lui gli altri, chiunque essi siano, qualunque sia la loro situazione e la loro fama, sono sempre persone amate da Dio, e sempre recuperabili.

Mai nessun uomo ha rispettato gli altri come lui. E' unico. E' figlio del Padre che fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi (Mt 5,45). In ogni persona incontrata ha visto sempre una possibilità per l'avvenire, malgrado il passato. Perché era “vuoto” di sé.

4. "Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere se-condo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete". (Rom 8,12-13)

5. "Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria..." (Col 3,5).

6. La trasfigurazione di Gesu’ ( Mc 9, 2 - 13 )

Gesù, fuggitivo e ramingo fuori della Galilea, ha appena tracciato davanti ai suoi apostoli una strada faticosa e dolorosa, una strada che porterà alla risurrezione, sì, ma attraverso la passione e la morte; una strada che li porterà a salvare la propria vita ma a prezzo di saperla generosamente e coraggiosamente consegnare in sacrificio.

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Per incoraggiare i suoi apostoli su questa dura strada e per rinforzare la prospettiva della vittoria al di là della morte, Gesù dà loro un saggio della sua potenza e si trasfigura davanti ai loro occhi. In questo modo egli si proclama il vittorioso che sarà in grado di assicurare un futuro di gloria anche ai suoi amici. E li rafforza nell'affrontare la prova.

"Dopo sei giorni", dice Marco introducendo l'episodio della Trasfigurazione. E' singolare questa annotazione di tempo così precisa ed esatta, perché di solito Marco ci dà annotazioni di tempo solo generiche e vaghe ("In quei giorni; allora; dopo di ciò; dette queste cose..."); qui invece è detto esattamente "dopo sei giorni". Marco deve avere in mente qualcosa di particolare che vuole dire.....

Questo "dopo sei giorni" pone la Trasfigurazione di Gesù oltre un sesto giorno, così come anche la Risurrezione di Gesù avverrà dopo un sesto giorno. La Risurrezione di Gesù avverrà dopo un sesto giorno. La Risurrezione di Gesù infatti avverrà dopo un venerdì, sesto giorno della settimana (la settimana ebraica cominciava con il primo giorno dopo il sabato e il venerdì era il sesto giorno); per cui la Trasfigurazione e la Risurrezione si richiamano tra di loro in quanto accadute tutte e due dopo un sesto giorno. La Trasfigurazione è dunque, nella mente di Marco, un annuncio e un anticipo della Risurrezione.

La Trasfigurazione e la Risurrezione di Gesù si richiamano tra di loro anche per la gloria che le caratterizza: Gesù è glorioso nella Trasfigurazione e lo sarà anche nella Risurrezione.

Infine la Trasfigurazione e la Risurrezione si richiamano tra di loro per il luogo in cui avvengono; avvengono tutte e due su di un monte: la Trasfigurazione, sul monte Tabor (secondo la tradizione), o su di un monte fuori della Galilea nella zona dell’Hermon (secondo altri); la Risurrezione avviene sul monte Calvario.

Dunque Gesù nella Trasfigurazione dà un saggio agli apostoli, e un anticipo, della sua vittoria sulla sofferenza e sulla morte, e manifesta la propria divinità; fa intravedere agli apostoli la gloria e la potenza che egli sprigionerà nel giorno della sua Risurrezione, così da rinforzarli davanti alla sua passione e morte, e alla loro sofferenza.

L’episodio riferisce qualcosa di realmente avvenuto (Pietro e gli altri due apostoli hanno fatto davvero esperienza di un Gesù “glorioso”: cfr 2Pt 1,16-18), però il modo con cui esso è raccontato è da attribuirsi piuttosto al genere letterario apocalittico che storico in senso stretto. Ci sono infatti vari elementi che si richiamano all’Antico Testamento e che sembrano essere mutuati dal linguaggio apocalittico (=rivelatorio) veterotestamentario e della letteratura giudaica. Lo splendore e il colore bianco delle vesti di Gesù richiama il biancore dell’Antico dei giorni, Dio, in Dan 7,9 (nella Bibbia il colore bianco è il colore della divinità; Gesù dunque è dentro la sfera di Dio, è in rapporto del tutto particolare con Dio). La nube nell’Antico Testamento è segno della presenza di Dio (Es 13,21; Es 33,9; 1Re 8,10): gli apostoli che ne sono avvolti fanno esperienza, dunque, di Dio. La voce che scende dall’alto è un elemento che spesso nell’Antico Testamento sta a indicare la manifestazione di Dio, la sua rivelazione: gli apostoli quindi quel giorno sul monte capirono qualcosa di nuovo da parte di Dio su Gesù. Mosè ed Elia sono i grandi personaggi dell’Antico Testamento, i rappresentanti della Legge e dei Profeti. Gesù è il nuovo Mosè, è il nuovo Elia, il nuovo e più grande condottiero e legislatore, il nuovo e definitivo profeta. Il messaggio che la voce dà è che Gesù è il Figlio di Dio, cioè ha una relazione particolare con lui, una relazione ben più grande e profonda di quella che avevano Mosè ed Elia con Dio.

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Questa nuova rivelazione del mistero della persona di Gesù viene subito posta da Mc 9,9-10 (come pure da Mt 17,9) in contesto di passione. Gesù è il Figlio di Dio che deve morire e risorgere. Tale orizzonte di passione è posto da Luca all’interno stesso del racconto della Trasfigurazione (Lc 9,30-31).

Gesù dà spesso, e in varie circostanze, coraggio ai suoi apostoli (Lc 12,32; Gv 16,33; Gv 11,25-26). Nell’Antico Testamento molti Salmi, che presentano la situazione di grande sofferenza del salmista, si concludono con espressioni di lode e di gioia perché Dio ribalterà quella situazione di dolore e la farà diventare salvezza (Sal 6; 13; 54; 102; 126,5-6). La Trasfigurazione di Gesù, dunque, deve alimentare in noi la virtù della speranza, e la virtù della speranza deve diventare la nostra forza nella prova.

Quante volte Dio ha "trasfigurato" le situazioni di sofferenza dell'uomo! A Sara sterile ha dato un figlio (Gen 18,9-14); ad Abramo che stava per sacrificare Isacco glielo ha risparmiato (Gen 22,10-18); a Giuseppe che era in prigione ha ridato la libertà e lo ha fatto diventare viceré d'Egitto (Gen 41, 14.41-46); il popolo di Israele che era esule a Babilonia Dio lo ha fatto tornare in patria (Is 52,1-12; Ez 37,11-14); i dieci lebbrosi che erano malati Gesù li ha guariti (Lc 17,11-14); Lazzaro che era morto Gesù lo ha risuscitato (Gv 11,43-44); il buon ladrone che era agli estremi ed era colpevole di tante cose si è sentito dire: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,39-43)..... Neanche la morte deve gettare l'uomo nella disperazione: Dio vincerà anche la morte e darà a noi e ai nostri cari (e a tutti gli uomini) la risurrezione per sempre (1Cor 15,54-55; 2Cor 5,1; 1Tess 4,13-18).

Per la riflessione

1. Com'è la tua speranza? Hai fiducia nella vittoria finale? Hai fede in Cristo tra-sfigurato e risorto che trasfigurerà la tua storia personale, quella dei tuoi familiari, quella di tutta l'umanità? Sei pessimista o ottimista sul mondo e sugli avvenimenti? Preghi (mentre speri) per la piena trasfigurazione delle cose? E vi cooperi con il tuo impegno? Ci saranno cose nuove, dice Apoc 21,1-6. Ti aiuta, questa speranza, a portare la fatica di ogni giorno (e quella che temi per il domani)? Il cristiano deve essere l'uomo della speranza, che tutto tiene in grandi orizzonti, colui che è "sempre pronto a rispondere a chiunque gli domandi ragione della speranza che è in lui" (1Pt 3,15).

2. Gesù nella Trasfigurazione si presenta avvolto di vesti splendenti e luminose, bianchissime. Mt 17,2 aggiunge che il volto di Gesù divenne splendente come il sole. Luce, splendore, brillantezza, candore sono le caratteristiche di Dio, gli elementi con cui il l’Antico Testamento descrive le apparizioni di Dio (Ez 1,4.26-28; Dan 7,9-10). Qui ora è Gesù ad avere queste caratteristiche: egli dunque è Dio, il Figlio di Dio. Infatti il Padre lo proclama proprio così: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo" (v 7).

Accanto a Gesù compaiono Mosè ed Elia, i due maggiori personaggi dell’Antico Testamento. Mosè rappresenta la Legge ed Elia i Profeti. Essi fanno corona a Gesù e lo tengono nel mezzo, in posizione d'onore. E' il modo di proclamare che egli è il punto di arrivo e di confluenza di tutta la storia antecedente, così come egli sarà poi -ci dice S.Paolo- il punto di avvio di tutta la storia seguente: "In Cristo tutto dovrà essere ricapitolato" (Ef 1,10), perché "egli è il Capo di tutto, e tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui" (Col 1,15-20). Egli è il centro, il cuore dell'universo e della storia; il punto d'inizio e il punto finale.

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E' viva in te questa visione di Cristo? E' presente nel concreto del tuo vissuto quoti-diano?

3. Gesù si trasfigura. Anche noi siamo chiamati a "trasfigurarci". La nostra trasfigurazione consiste in uno sforzo continuo di conversione, di conformazione a Cristo, di imitazione di lui e della sua vita. Egli è l'uomo nuovo, ciò che dobbiamo anche noi diventare. S.Paolo ci indica la strada della nostra trasfigurazione (Rom 13,14; Fil 2,5; Ef 4,17 - 5,21; Col 3,5-17).

Concepisci la tua vita come una imitazione di Cristo? Contempli spesso lui, il tuo

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