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409 SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO ACUTO I medici pensano di fare molto per un paziente quando riescono a dare un nome al suo disturbo. Immanuel Kant La condizione descritta in questo capitolo ha avuto negli anni molti nomi, e più precisamente polmone da shock, polmone di Da Nang (dalla guerra del Vietnam), polmone umido, edema polmonare da lesione capillare, edema polmonare non car- diogeno, danno polmonare acuto, sindrome da distress respiratorio dell’adulto, e, più recentemente, sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS. Nessuno di questi nomi, tuttavia, fornisce informazioni utili sull’entità di questa affezione, che è un tipo di lesione infiammatoria polmonare, e figura tra le cause principali di insuffi- cienza respiratoria acuta dell’epoca moderna (1). PATOGENESI I primi casi clinici di ARDS furono riportati nel 1967 (2), e si riferivano a 12 pazienti che alla radiografia del torace evidenziavano ipossiemia refrattaria e infiltrati diffusi. Sette di questi pazienti morirono e i reperti autoptici rivelarono la presenza di dense infiltrazioni nei polmoni con essudato infiammatorio in assenza di segni di infezio- ne, a indicare che l’ARDS è un danno polmonare infiammatorio acuto. Lesione infiammatoria Si ritiene che il consolidamento polmonare nell’ARDS origini dall’attivazione dei neutrofili circolanti (3), che inducono il sequestro dei neutrofili nella microcircola- zione polmonare, dove i neutrofili aderiscono all’endotelio vascolare e si muovono fra le cellule endoteliali (per diapedesi) e nel parenchima polmonare. I neutrofili degranulano e rilasciano il contenuto dei loro granuli citoplasmatici (ossia, enzimi Capitolo 23

SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO ACUTO...Capitolo 23 – Sindrome da distress respiratorio acuto 411 “sindromi da sepsi” (setticemia, sepsi grave e shock settico) (1,5). Un aspetto

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SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO ACUTO

I medici pensano di fare molto per un paziente quando riescono a dare un nome al suo disturbo. Immanuel Kant

La condizione descritta in questo capitolo ha avuto negli anni molti nomi, e più precisamente polmone da shock, polmone di Da Nang (dalla guerra del Vietnam), polmone umido, edema polmonare da lesione capillare, edema polmonare non car-diogeno, danno polmonare acuto, sindrome da distress respiratorio dell’adulto, e, più recentemente, sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS. Nessuno di questi nomi, tuttavia, fornisce informazioni utili sull’entità di questa affezione, che è un tipo di lesione infiammatoria polmonare, e figura tra le cause principali di insuffi-cienza respiratoria acuta dell’epoca moderna (1).

PATOGENESI

I primi casi clinici di ARDS furono riportati nel 1967 (2), e si riferivano a 12 pazienti che alla radiografia del torace evidenziavano ipossiemia refrattaria e infiltrati diffusi. Sette di questi pazienti morirono e i reperti autoptici rivelarono la presenza di dense infiltrazioni nei polmoni con essudato infiammatorio in assenza di segni di infezio-ne, a indicare che l’ARDS è un danno polmonare infiammatorio acuto.

Lesione infiammatoria

Si ritiene che il consolidamento polmonare nell’ARDS origini dall’attivazione dei neutrofili circolanti (3), che inducono il sequestro dei neutrofili nella microcircola-zione polmonare, dove i neutrofili aderiscono all’endotelio vascolare e si muovono fra le cellule endoteliali (per diapedesi) e nel parenchima polmonare. I neutrofili degranulano e rilasciano il contenuto dei loro granuli citoplasmatici (ossia, enzimi

Capitolo 23

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proteolitici e metaboliti tossici dell’ossigeno), che danneggiano le pareti capillari, determinando un’essudazione di materiale liquido proteico, eritrociti e piastrine nei polmoni. L’essudazione cellulare e proteica riempie e oblitera gli spazi aerei distali, come mostrato nella Figura 23.1. L’essudato infiammatorio contiene fibrina e la risposta infiammatoria progressiva dà luogo a un accumulo di fibrina, che può andare incontro a rimodellamento strutturale e provocare fibrosi polmonare (analo-gamente al processo di guarigione delle ferite). La fonte di fibrina va ricercata nello stato procoagulatorio scatenato dal rilascio del fattore tissutale dai polmoni (4).

ARDS

NORMALE

FIGURA 23.1 Immagini al microscopio di un polmone normale e di un polmone affetto da ARDS allo stadio avanzato, in cui si nota una fitta infiltrazione di materiale leucocitario e proteico che riempie e oblitera la normale architettura polmonare.

Condizioni predisponenti

L’ARDS non è una patologia primaria, ma secondaria a varie affezioni di tipo infet-tivo e non infettivo. Le condizioni più comuni che predispongono all’ARDS sono elencate nella Tabella 23.1. I fattori scatenanti più frequenti sono la polmonite e le

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Capitolo 23 – Sindrome da distress respiratorio acuto 411

“sindromi da sepsi” (setticemia, sepsi grave e shock settico) (1,5). Un aspetto comune a molte di queste condizioni è la capacità di innescare una risposta infiammatoria siste-mica, indotta dall’attivazione dei neutrofili, principale evento scatenante dell’ARDS.

Tabella 23.1 Cause comuni di ARDS

Infettive Non infettive

Polmonite

Setticemia

Sepsi grave

Shock settico

Aspirazione del contenuto gastrico

Emotrasfusioni

Trauma multisistemico

Pancreatite

Sovradosaggio farmacologico

Altri fattori scatenanti l’ARDS comprendono ustioni, bypass cardiopolmonare, contusione polmonare, sindrome da embolia adiposa, lesione da inalazione e tossicità polmonare da ossigeno.

CARATTERISTICHE CLINICHE

Le caratteristiche cliniche dell’ARDS sono elencate nella Tabella 23.2. Tra i segni principali figurano un esordio acuto, ipossiemia grave e infiltrati polmonari bilate-rali senza evidenza di scompenso cardiaco sinistro o sovraccarico di volume. I segni clinici più precoci dell’ARDS includono esordio improvviso di ipossiemia e segni di distress respiratorio (ad esempio dispnea, tachipnea). La radiografia del torace può risultare negativa nelle prime ore dall’insorgenza dei sintomi, ma la presenza di infiltrati polmonari bilaterali è rilevabile nell’arco di 24 ore. Dopo 48 ore si osserva ipossiemia progressiva spesso necessitante di ventilazione meccanica.

Tabella 23.2 Caratteristiche cliniche dell’ARDS

1. Esordio acuto

2. Infiltrati bilaterali alla radiografia frontale del torace

3. PaO2/FiO2 ≤300 mmHg†

4. Nessuna evidenza di scompenso cardiaco sinistro o sovraccarico di liquidi

5. Presenza di una condizione predisponente

†Dal riferimento bibliografico n. 7. Si tratta di un parametro diverso dalle precedenti definizioni di ARDS, che richiedevano un valore di PaO2/FiO2 ≤200 mmHg ai fini della diagnosi della malattia (6). Si veda il testo per la spiegazione.

Problemi diagnostici

Malgrado un’esperienza clinica di oltre 40 anni nell’ambito della determinazione della diagnosi di ARDS, vi è ancora incertezza sui segni caratteristici di questa condizione. Nel 1994, dopo una Consensus Conference, un gruppo di esperti ha pubblicato una serie di criteri diagnostici per l’ARDS e una manifestazione clinica nota come lesione polmonare acuta (ALI) (6). I criteri comprendevano: (a) PaO2/FiO2 ≤200 mmHg per l’ARDS; (b) PaO2/FiO2 ≤300 mmHg per l’ALI e (c) una pressione arteriosa di incuneamento polmonare (PAWP) ≤18 mmHg (per escludere la pre-senza di segni di scompenso cardiaco sinistro). Nel 2012, una task force europea ha pubblicato una revisione dei criteri per la diagnosi dell’ARDS (7) che comprende-vano le seguenti modifiche: (a) eliminazione dell’ALI come manifestazione clinica,

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PaO2/FiO2 per l’ARDS fissata a ≤300 mmHg; (b) aggiunta di un requisito secondo cui la determinazione del rapporto PaO2/FiO2 è da effettuarsi con pressione positi-va di fine espirazione (PEEP) pari a 5 cm H2O e (c) eliminazione della misurazione di incuneamento polmonare (a seguito della riduzione dell’uso dei cateteri arteriosi polmonari). I criteri rivisti sono noti come Criteri di Berlino, e sono combinati con i criteri diagnostici originali per l’ARDS nella Tabella 23.2. Non contemplano il requi-sito di un livello standard di PEEP in corso di rilevazione del rapporto PaO2/FiO2, perché tale misurazione richiede la ventilazione meccanica e la diagnosi di ARDS può essere posta durante la respirazione spontanea.

Mancanza di specificità

Molti dei criteri diagnostici dell’ARDS sono di tipo non specifico e sono comuni ad altre cause di insufficienza respiratoria acuta. Questa natura aspecifica tende a dare luogo a diagnosi errate, come dimostrato nella Tabella 23.3 (8). Le informazioni con-tenute nella tabella sono relative a uno studio autoptico svolto su pazienti deceduti con diagnosi pre-mortem di ARDS. Le diagnosi post-mortem sono elencate nella tabella insieme alla prevalenza di ogni diagnosi. Solo metà dei pazienti con diagnosi pre-mortem di ARDS presentavano segni di ARDS all’esame post-mortem e le con-dizioni di ARDS più comunemente interpretate in maniera errata erano polmonite ed edema polmonare idrostatico. Nell’ambito di questo studio la probabilità di iden-tificare l’ARDS era pari al 50%, ovvero la stessa percentuale di probabilità che si ha in un metodo casuale come il lancio della moneta!

Tabella 23.3 Diagnosi post-mortem in pazienti con diagnosi pre-mortem di ARDS

Diagnosi post-mortem % di autopsie

Lesione infiammatoria (ARDS) 50%

Polmonite acuta 25%

Congestione polmonare 11%

Aspergillosi invasiva 6%

Embolia polmonare 3%

Altre diagnosi 5%

Dal riferimento bibliografico n. 8.

Aspetto radiografico

Una fonte di errore nella diagnosi dell’ARDS è l’aspetto della radiografia del torace. Quello classico dell’ARDS è mostrato nella Figura 23.2. L’infiltrato presenta una configurazione finemente granulare o cosiddetta ground-glass ed è uniformemente distribuita in tutti i campi polmonari, senza segni di versamento pleurico. Purtroppo, tali caratteristiche non sempre sono presenti, come dimostrato nella radiografia del torace nella Figura 23.3. In questo caso, l’infiltrazione mostra una prominenza ilare ed è limitata ai campi polmonari inferiori, con obliterazione dell’emidiaframma sini-stro, a suggerire un possibile versamento pleurico. Questi segni potrebbero essere scambiati per edema polmonare cardiogeno. A causa della variabilità nell’aspetto radiografico dell’ARDS, non è possibile porre una diagnosi attendibile di ARDS con la sola radiografia del torace (9).

Insidie della pressione di incuneamento

Quando la radiografia del torace mostra caratteristiche comuni all’ARDS e all’edema polmonare cardiogeno, come riportato nella Figura 23.3, la differenziazione delle

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Capitolo 23 – Sindrome da distress respiratorio acuto 413

due affezioni viene basata sul valore della pressione arteriosa di incuneamento pol-monare (PAWP) (un valore di PAWP ≤18 mmHg è considerato segno di ARDS) (6). Questa pratica è fuorviante, perché la pressione di incuneamento non è un parametro della pressione idrostatica capillare, come spiegato nel Capitolo 8 (si veda a pagina 132).La PAWP si misura in assenza di flusso sanguigno, quando la colonna statica di sangue fra la punta del catetere e l’atrio sinistro comporta un’equalizzazione delle pressioni fra la pressione di incuneamento e la pressione atriale sinistra. Tuttavia, quando il flusso riprende, la pressione nei capillari polmonari deve essere superiore alla pressione atriale sinistra, al fine di fornire un gradiente pressorio per il flusso nelle vene polmonari. Pertanto, la pressione (di incuneamento) è inferiore alla pressione idrostatica capillare. Questo induce a una sovradiagnosi di ARDS.

Lavaggio broncoalveolare

Benché trovi raro impiego, il lavaggio broncoalveolare è un metodo affidabile ai fini della distinzione fra ARDS ed edema polmonare cardiogeno (10). Questa procedura si esegue al letto del malato utilizzando un broncoscopio flessibile a fibre ottiche introdotto in uno dei segmenti polmonari interessati. Una volta in sede, si esegue un lavaggio con soluzione fisiologica isotonica. Il liquido di lavaggio è poi analizzato per rilevare la presenza di neutrofili e proteine. 1. Nei soggetti normali, meno del 5% delle cellule contenute nel liquido di lavaggio

polmonare è rappresentato da neutrofi li, nei pazienti con ARDS, invece, almeno

FIGURA 23.2 Radiografia del torace eseguita con un apparecchio portatile, in cui si osserva il classico aspetto radiografico dell’ARDS. L’infiltrato ha un aspetto finemente granulato o “ground-glass” ed è uniformemente distribuito in entrambi i campi polmonari, con relativo risparmio delle basi. Non vi sono segni di versamento pleurico.

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l’80% delle cellule presenti sono neutrofi li (10). Il riscontro di una scarsa quantità di neutrofi li nel liquido di lavaggio polmonare può essere usato per escludere la diagnosi di ARDS, mentre un’elevata conta è da considerarsi segno di ARDS.

2. Poiché gli essudati infi ammatori sono ricchi di materiale proteico, un liquido di lavaggio che contenga una simile quantità di proteine è considerato evidenza di ARDS. Quando la concentrazione proteica nel liquido di lavaggio polmonare è espressa come frazione della concentrazione proteica nel plasma, possono essere applicati i seguenti criteri (11): Edema idrostatico: liquido di lavaggio (proteine)/plasma (proteine) <0,5

ARDS: liquido di lavaggio (proteine)/plasma (proteine) >0,7

GESTIONE DEL VENTILATORE NELL’ARDS

Una delle scoperte più importanti nella medicina critica degli ultimi venticinque anni è il ruolo della ventilazione meccanica quale fonte di danno polmonare, partico-larmente in pazienti con ARDS. Questo dato ha portato allo sviluppo di una strategia di gestione nota come ventilazione polmonare protettiva (12), che troviamo descritta di seguito.

FIGURA 23.3 Radiografia del torace eseguita con un apparecchio portatile in un paziente con urosepsi e setticemia gram-negativa. Sembra che gli infiltrati originino dalle aree ilari e siano limitati ai campi polmonari inferiori. Si osserva inoltre l’obliterazione dell’emidiaframma sinistro, a indicare la presenza di versamento pleurico. Questi segni radiografici potrebbero essere scambiati per edema polmonare idrostatico

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Ventilazione meccanica convenzionale

Fin dall’introduzione dei ventilatori meccanici a pressione positiva, l’impiego di ampi volumi di insufflazione (volumi correnti) è stato pratica standard nel tentativo di ridurre la presunta tendenza all’atelettasia in corso di ventilazione meccanica. Il volume corrente standard varia tra 12 e 15 ml/kg (13), ossia il doppio del volume corrente durante la respirazione tranquilla (6-7 ml/kg). Nei pazienti con ARDS, que-sti grandi volumi di insufflazione vengono erogati in polmoni che presentano solo una frazione del normale volume polmonare funzionale, come descritto di seguito.

Volume funzionale nell’ARDS

Nell’ARDS le radiografie del torace eseguite con apparecchio portatile mostrano ciò che sembra essere un quadro omogeneo di infiltrazione; tuttavia, le immagini TC rivelano che, nell’ARDS, gli infiltrati polmonari sono situati principalmente nelle regioni declivi dei polmoni (13), come mostrato nelle immagini TC riportate nella Figura 23.4. Si notino il denso consolidamento delle regioni polmonari posteriori (che sono le regioni declivi dei polmoni nella posizione supina) e il polmone nor-male o non interessato ristretto alla metà anteriore del torace. Le aree non coinvolte rappresentano la porzione funzionale dei polmoni e la porzione destinataria dei volumi di insufflazione. Pertanto, i grandi volumi di insufflazione in corso di ven-tilazione meccanica convenzionale sono erogati a una porzione nettamente ridotta di polmone indenne, ciò dando luogo a sovradistensione e rottura degli spazi aerei distali (15).

Consolidamentopolmonare

Posteriori

Capacitàpolmonare

ridotta

FIGURA 23.4 Immagine tomografica computerizzata di porzioni polmonari nella regione dell’ilo di un paziente con ARDS. Il consolidamento polmonare è limitato alle regioni posteriori del polmone, che sono le regioni declivi nella posizione supina. Il polmone non coinvolto nel terzo anteriore del torace rappresenta la porzione funzionale del polmone. L’immagine TC è relativa al riferimento bibliografico n. 14. (Immagine migliorata digitalmente.)

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Danno polmonare indotto da ventilatore

L’eccessiva insufflazione degli spazi aerei distali provoca rotture da stiramento all’in-terfaccia alveolo-capillare che determinano l’infiltrazione del parenchima polmonare e degli spazi aerei distali con un essudato infiammatorio. La condizione clinica che ne consegue, conosciuta come danno polmonare indotto dal ventilatore (VILI), è molto simile all’ARDS (14). La lesione polmonare è correlata ai volumi erogati più che alle pressioni raggiunte (16) ed è chiamata volutrauma. (Il danno polmonare correlato alla pressione è chiamato barotrauma ed è associato alla fuoriuscita di aria dai polmoni).

BIOTRAUMA L’erogazione di ventilazione meccanica convenzionale a volume ele-vato può dare luogo alla presenza di citochine proinfiammatorie nei polmoni e nella circolazione sistemica, anche in assenza di danno strutturale nei polmoni (17). Questa condizione proinfiammatoria è nota come biotrauma e può scatenare l’atti-vazione dei neutrofili e l’infiltrazione infiammatoria nei polmoni (16). La risposta infiammatoria sistemica associata al biotrauma può promuovere una lesione infiam-matoria in altri organi, a indicare che la ventilazione meccanica può essere una fonte di insufficienza multiorgano mediata da risposta infiammatoria (18)!

ATELECTRAUMA La ridotta distensibilità polmonare nell’ARDS può provocare il collasso delle piccole vie aeree in fase tele-espiratoria. Quando ciò accade, la venti-lazione meccanica può essere associata a un processo ciclico di apertura e chiusura delle piccole vie aeree, che può provocare un danno polmonare (19). Questa lesione prende il nome di atelectrauma (16) e può originare da sforzi di taglio ad alta velo-cità creati dall’apertura delle vie aeree collassanti, con conseguente deterioramento dell’epitelio delle vie aeree.

Ventilazione polmonare protettiva

La ventilazione polmonare protettiva impiega bassi volumi correnti (6 ml/kg) per contenere il rischio di volotrauma e biotrauma e una pressione tele-espiratoria positiva (PEEP) per limitare il rischio di atelectrauma. La Tabella 23.4 mostra il pro-tocollo per la ventilazione polmonare protettiva associato a un beneficio di soprav-vivenza comprovato nei pazienti con ARDS (20). Il protocollo è stato sviluppato dalla ARDS Clinical Network (una rete creata da agenzie sanitarie governative al fine di valutare potenziali terapie per il trattamento dell’ARDS) ed è disponibile sul sito www.ardsnet.org. Il volume corrente in questo protocollo è 6 ml/kg, in base al peso corporeo predetto, ovvero il peso corporeo associato a normali volumi polmonari. Si noti che uno degli obiettivi dichiarati è una pressione di “plateau” di fine inspi-razione (Ppl) ≤30 cm H2O. Questa pressione è descritta in dettaglio nel Capitolo 25.

Pressione positiva di fine espirazione

(Per una descrizione dettagliata di questa pressione, si veda il Capitolo 26.) La ven-tilazione polmonare protettiva impiega una pressione positiva di fine espirazione (PEEP) minima di 5 cm H2O al fine di prevenire il collasso delle piccole vie aeree a fine espirazione. L’obiettivo è prevenire il processo ciclico di apertura e chiusura delle piccole vie aeree e ridurre il rischio di atelectrauma. Livelli di PEEP superiori (ad esempio 15 cm H2O) sono stati associati a una più breve durata della ventila-zione meccanica e un aumento borderline nella sopravvivenza nell’ARDS, ma solo quando il rapporto PaO2/FiO2 è ≤200 mmHg (21). Tuttavia, livelli di PEEP superiori a 10 cm H2O non trovano generalmente impiego salvo in presenza di difficoltoso mantenimento dell’ossigenazione arteriosa (si veda di seguito). Nei casi in cui sia necessario un livello tossico di ossigeno inalato (FiO2 >50%) al fine di mantenere una SpO2 target compresa fra l’88% e il 95%, è possibile l’impiego

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Capitolo 23 – Sindrome da distress respiratorio acuto 417

di livelli di PEEP superiori a 5 cm H2O ai fini del miglioramento dell’ossigenazio-ne arteriosa e della riduzione della FiO2 a livelli più sicuri. Tuttavia, è importante sottolineare che valori aumentati di PEEP possono dare luogo a una diminuzione della gittata cardiaca e, laddove l’obiettivo di aumentare la PEEP sia mantenere la medesima SpO2 in presenza di una FiO2 inferiore, la ridotta gittata cardiaca indurrà un calo dell’erogazione sistemica di O2.

Ipercapnia permissiva

Una delle conseguenze legate all’impiego di bassi volumi di ventilazione è la ridu-zione dell’eliminazione di CO2 attraverso i polmoni, con conseguente rischio di ipercapnia e acidosi respiratoria. A fronte dei benefici concessi dalla ventilazione a bassi volumi, la presenza di ipercapnia è permessa a condizione che non vi sia evi-denza di danno. Si tratta di una pratica nota come ipercapnia permissiva (22). I limiti di tolleranza all’ipercapnia e all’acidosi respiratoria non sono chiari, ma i dati emersi nell’ambito di studi clinici sull’ipercapnia permissiva mostrano che livelli di PCO2 compresi fra 60 e 70 mmHg e livelli di pH arterioso compresi fra 7,2 e 7,25 sono sicuri per la maggior parte dei pazienti (23). Il pH target stabilito nel protocollo è compreso fra 7,30 e 7,45 per la ventilazione polmonare protettiva, di cui nella Tabella 23.4.

Impatto sulla sopravvivenza

La ventilazione polmonare protettiva è una delle poche misure associate a comprovato beneficio sulla sopravvivenza nell’ARDS. Lo studio più esteso e più efficace condotto sulla ventilazione polmonare protettiva è stato svolto dalla ARDS Network (20) e ha

Tabella 23.4 Protocollo per la ventilazione polmonare protettiva nell’ARDS

I. Primo stadio 1. Calcolare il peso corporeo predetto (PBW) del paziente.†

Uomini: PBW = 50 + [2,3 × (altezza in pollici – 60)]

Donne: PBW = 45,5 + [2,3 × (altezza in pollici – 60)]

2. Fissare il volume corrente iniziale (VT) a 8 ml/kg PBW.

3. Aggiungere la pressione positiva di fine espirazione (PEEP) di 5 cm H2O.

4. Selezionare la FiO2 minima che raggiunga una SpO2 compresa fra l’88% e il 95%.

5. Ridurre il VT di 1 ml/kg ogni 2 ore finché il VT = 6 ml/kg.

II. Secondo stadio 1. Quando il VT = 6 ml/kg, misurare la pressione di plateau (Ppl).

2. Se la Ppl >30 cm H2O, ridurre il VT in incrementi da 1 ml/kg finché la Ppl <30 cm H2O o il VT = 4 ml/kg.

III. Terzo stadio 1. Monitorare i gas arteriosi per l’acidosi respiratoria.

2. Se il pH = 7,15-7,30, aumentare la frequenza respiratoria (RR) finché il pH >7,30 o la RR = 35 bpm.

3. Se il pH <7,15, aumentare la RR a 35 bpm. Se il pH è ancora <7,15, aumentare il VT di 1 ml/kg fino a un pH = 7,15.

IV. Obiettivi ottimali VT = 6 ml/kg, Ppl ≤30 cm H2O, SpO2 = 88-95%,

pH = 7,30-7,45

Adattato dal protocollo sviluppato dalla ARDS Network, disponibile sul sito web www.ardsnet.org. †Il peso corporeo predetto è il peso associato a volumi polmonari normali.

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visto l’arruolamento di 800 pazienti ventilatore-dipendenti con ARDS, randomizzati al trattamento con volumi correnti di 6 ml/kg o 12 ml/kg (con l’impiego del peso corpo-reo predetto). La ventilazione con volumi correnti inferiori (6 ml/kg) e una pressione di plateau di fine inpirazione (Ppl) ≤30 cm H2O è stata associata a una più breve durata di ventilazione meccanica e una riduzione assoluta del 9% nel tasso di mortalità (dal 40% al 31%; P = 0,007).5 studi clinici in totale hanno confrontato volumi correnti di 6 ml/kg e 12 ml/kg in corso di ventilazione meccanica in pazienti con ARDS. Nell’ambito di due di questi studi, bassi volumi correnti sono stati associati a un tasso di mortalità inferiore, men-tre gli altri tre non hanno evidenziato alcun beneficio in termini di sopravvivenza in associazione a bassi volumi correnti (24). Malgrado l’assenza di un pattern coerente sul piano della sopravvivenza, la ventilazione polmonare protettiva basata sull’im-piego di volumi correnti di 6 ml/kg è diventata pratica standard in pazienti con ARDS. Una recente indagine multicentrica sulla ventilazione polmonare protettiva nell’ARDS ha dimostrato un tasso di mortalità in regime di ricovero ospedaliero pari al 48% (5), che non è migliore dei tassi di mortalità riportati prima dell’introduzio-ne della ventilazione polmonare protettiva. Un’osservazione d’interesse in questo contesto è che i tassi di mortalità per ARDS tendono a essere inferiori nell’ambito di studi clinici controllati rispetto alle indagini svolte nella pratica clinica (25). (Nota: una possibile spiegazione della mancanza di un pattern coerente sul piano della sopravvivenza associato a bassi volumi correnti è presentata nel Capitolo 25.)

Riepilogo

Esiste una solida evidenza a sostegno della tesi secondo cui la ventilazione mecca-nica possa arrecare danno ai polmoni nell’ARDS a seguito di sovradistensione degli alveoli funzionali (volotrauma) e di collasso delle piccole vie aeree (atelectrauma). La ventilazione polmonare protettiva è tesa a mitigare le forze meccaniche che creano il danno polmonare indotto da ventilatore ed è stata adottata come metodo standard di ventilazione meccanica nell’ARDS.

GESTIONE NON VENTILATORIA

Il trattamento dell’ARDS ha inizio con il trattamento della patologia scatenante (ad esempio setticemia), ove possibile. Le terapie mirate all’ARDS sono state contrad-distinte da fallimenti più che da successi. I trattamenti che non hanno dato esito positivo nella cura dell’ARDS comprendono surfactante (negli adulti), ossido nitrico inalato, pentossifillina, ibuprofene, prostaglandina E1 e agenti antifungini (per l’ini-bizione del trombassano) (26). Benefici clinici sono stati riportati in associazione alla gestione dei fluidi, che consente di evitare l’accumulo dei fluidi nei polmoni e alla terapia corticosteroidea ad alto dosaggio nell’ARDS grave o non risolta. La gestione descritta in questa sezione è limitata alle misure che hanno documentato l’apporto di benefici.

Gestione dei fluidi

Il consolidamento polmonare nell’ARDS è un essudato infiammatorio e non deve essere influenzato dall’equilibrio dei fluidi (per la stessa ragione per cui la diuresi non elimina l’infiltrato causato dalla polmonite). Tuttavia, evitando un equilibrio di fluidi positivo, è possibile prevenire un accumulo di fluidi indesiderato nei polmoni, che potrebbe esacerbare l’insufficienza respiratoria nell’ARDS. Studi clinici hanno dimostrato che, evitando un equilibrio di fluidi positivo in pazienti con ARDS, è

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Capitolo 23 – Sindrome da distress respiratorio acuto 419

possibile ridurre il tempo di trattamento con ventilazione meccanica (27) e altresì la mortalità (28). Tuttavia, è inoltre importante evitare un deficit di fluidi e mantenere il volume intravascolare, perché le pressioni intratoraciche positive in corso di ventilazione meccanica amplificano la tendenza alla riduzione della gittata cardiaca in risposta al deficit del volume intravascolare.

Terapia corticosteroidea

Sono stati condotti numerosi studi clinici finalizzati alla valutazione della terapia steroidea nell’ARDS e i risultati aggregati non mostrano un beneficio di sopravvivenza coerente associato alla terapia steroidea (29). Tuttavia, esiste un’evidenza di altri bene-fici prodotti dalla terapia steroidea nell’ARDS, che comprendono una riduzione dei marker flogistici (flogosi sia polmonare sia sistemica), un migliorato scambio gasso-so, una più breve durata della ventilazione meccanica e una più breve durata della permanenza in UTI (29). La terapia steroidea è attualmente raccomandata solo in casi di ARDS grave precoce e ARDS non risolta (28).

ARDS grave precoce

Nell’ARDS grave precoce, definita come PaO2/FiO2 <200 mmHg con PEEP di 10 cm H2O, si raccomanda il seguente regime steroideo (29):

Metilprednisolone: iniziare con una dose di carico EV di 1 mg/kg (peso corporeo predetto) nell’arco di 30 minuti, quindi procedere con infusione da 1 mg/kg/die per 14 giorni, quindi titolare gradualmente la dose nei successivi 14 giorni e interrompere la terapia. Cinque giorni dopo che il paziente acquisisce la capacità di ingerire farmaci per via orale, la dose può essere somministrata oralmente (come prednisone o prednisolone) in una dose singola giornaliera.

ARDS non risolta

L’ARDS si manifesta con una fase fibrinoproliferativa che ha inizio dopo 7-14 giorni dall’esordio della malattia (30) e termina con una fibrosi polmonare irreversibile. La terapia steroidea ad alto dosaggio avviata nella fase di sviluppo della fibrino-proliferazoine può contribuire all’interruzione della progressione alla fibrosi pol-monare. Nei casi in cui l’ARDS non evidenzi segni di risoluzione dopo 7 giorni, si raccomanda l’instaurazione di terapia steroidea ad alto dosaggio entro e non oltre 14 giorni dall’esordio della malattia. Si raccomanda il seguente regime steroideo (29):

Metilprednisolone: iniziare con una dose di carico EV di 2 mg/kg (peso corporeo predetto) nell’arco di 30 minuti, quindi procedere con infusione da 2 mg/kg/die per 14 giorni e 1 mg/kg/die per i successivi 7 giorni. Successivamente, titolare gradualmente la dose e interrompere la terapia dopo 2 settimane dall’estubazione. Cinque giorni dopo che il paziente acquisisce la capacità di ingerire farmaci per via orale, la dose può essere som-ministrata oralmente (come prednisone o prednisolone) in una dose singola giornaliera.

I rischi legati alla terapia ad alto dosaggio comprendono un’esacerbazione del con-trollo glicemico e una prolungata debolezza neuromuscolare quando combinata ad agenti bloccanti neuromuscolari. Non esiste evidenza di un aumentato rischio di infezioni nosocomiali con i regimi steroidei qui descritti (28).

Una direzione sbagliata?

Sebbene il trattamento dell’ARDS sia rivolto ai polmoni, la causa principale dei decessi da ARDS è l’insufficienza multiorgano, non l’insufficienza respiratoria (5,31). Il 70% dei decessi in corso di ARDS è il risultato di insufficienza multiorgano (31) e il tasso di

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mortalità è direttamente correlato al numero di organi che perdono la loro funziona-lità. La correlazione fra il tasso di mortalità e l’insufficienza organica extrapolmonare è mostrata nella Figura 23.5. Questa correlazione indica che la mortalità è una fun-zione di una condizione sistemica progressiva, che verosimilmente rappresenta una infiammazione sistemica progressiva. Le analogie fra la Figura 23.5 e la Figura 14.2 (si veda a pagina 247) sono a sostegno di una correlazione fra infiammazione siste-mica progressiva e mortalità nell’ARDS. Se così fosse, la circoscrizione dell’approccio terapeutico alla regione polmonare nei pazienti con ARDS equivale a un fallimento.

96%

4

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3

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2

Numero di insufficienze organiche extrapolmonari

20%

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)

FIGURA 23.5 Correlazione fra insufficienza d’organo extrapolmonare e mortalità nell’ARDS. Dati dal materiale elettronico supplementare del riferimento bibliografico n. 5.

IPOSSIEMIA REFRATTARIA

Una minoranza (10-15%) dei pazienti affetti da ARDS sviluppa ipossiemia grave refrattaria all’ossigenoterapia e alla ventilazione meccanica (32). Si tratta di una con-dizione che ha immediati esiti potenzialmente fatali e le seguenti “terapie di salva-taggio” possono generare un miglioramento istantaneo dell’ossigenazione arteriosa, tuttavia hanno spesso esiti scarsi o nulli sulla sopravvivenza.

Ventilazione oscillatoria ad alta frequenza

La ventilazione oscillatoria ad alta frequenza (HFOV) eroga piccoli volumi correnti (1-2 ml/kg) con oscillazioni a pressione rapida (300 cicli/min). Volumi correnti contenuti limitano il rischio di volutrauma e oscillazioni a pressione rapida creano una pressione media nelle vie aeree che previene il collasso delle piccole vie aeree e contiene il rischio di atelectrauma. Quando impiegata in pazienti con ARDS grave, la HFOV può migliorare l’ossigenazione arteriosa, ma non vi è un beneficio documen-tato in termini di sopravvivenza (33). La HFOV richiede l’impiego di un ventilatore

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Capitolo 23 – Sindrome da distress respiratorio acuto 421

speciale (Sensormedics 3100B®, Viasys Healthcare, Yorba Linda, CA), che può non essere disponibile in tutti gli ospedali. Questa modalità di ventilazione è descritta in maggior dettaglio nel Capitolo 27.

Ossido nitrico inalato

L’ossido nitrico inalato (5-10 ppm) è un vasodilatatore che può migliorare l’ossi-genazione arteriosa nell’ARDS aumentando il flusso nelle aree di elevata ventila-zione nello spazio morto (34). Tuttavia, l’incremento nell’ossigenazione arteriosa è temporaneo (1-4 giorni) e non v’è un beneficio di sopravvivenza associato (35). Gli effetti avversi associati all’ossido nitrico inalato comprendono metemoglobine-mia (solitamente lieve) e disfunzione renale (35). Un rischio aggiunto è la potenziale formazione da parte dell’ossido nitrico di perossinitrito, potente tossina in grado di lesione cellulare ossidante.

Posizione prona

Il passaggio dalla posizione supina a quella prona può migliorare lo scambio gas-soso polmonare deviando il sangue dalle regioni polmonari scarsamente areate nel torace posteriore e aumentando il flusso ematico nelle regioni polmonari areate nel torace anteriore (si veda la Figura 23.4). La posizione prona ha dimostrato di avere uno scarso impatto sulla mortalità nell’ARDS, ma uno studio recente che ha visto la combinazione di ventilazione polmonare protettiva in posizione prona ha evidenziato un tasso di mortalità inferiore al valore atteso in pazienti con ARDS grave (PaO2/FiO2 <100 mmHg) (36). La posizione prona è dispendiosa in termini di impiego del personale e crea difficoltà sul piano dell'assistenza infermieristica (ad esempio cura delle vie aeree e cura della cute), ma potrebbe rappresentare la sola misura disponibile per il trattamento dell'ipossiemia refrattaria negli ospedali in cui siano disponibili risorse limitate.

ECMO

L’ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO) ha riscontrato un successo variabile in pazienti con ipossiemia refrattaria ed è una misura valutabile solo all’in-terno di strutture cliniche con programmi ECMO consolidati e solo quando abbiano fallito altre terapie di salvataggio (37).

CONCLUSIONI

I demoni della flogosi

Uno dei messaggi importanti contenuto in questo volume è il ruolo di primo piano svolto dalla flogosi come fonte di danno organico e insufficienza multiorgano in pazienti critici, nonché la mancanza di un trattamento efficace di questa forza distruttiva. Questo messaggio trova espressione nel Capitolo 14, che descrive lo shock infiammatorio e l’insufficienza multiorgano, e si ritrova nuovamente in que-sto capitolo. Benché il beneficio in termini di sopravvivenza sia stato documentato in associazione a ventilazione polmonare protettiva nell’ARDS, questa procedura non rappresenta un trattamento per la cura di questa sindrome, bensì consente un contenimento del danno prodotto dalla ventilazione meccanica. Finché non sarà disponibile un rimedio per gli effetti annientanti della flogosi, condizioni come l’ARDS continueranno a essere un’importante fonte di morbilità e mortalità in ambiente UTI.

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