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STEVE DUENES Dirige il reparto grafico del New York Times, un gruppo di venticinque giornalisti che si occupano di svolgere le ricerche e creare le infografiche sia per il quotidiano che per il sito web. È arrivato al New York Times nel 1999 come grafico per le pagine dedicate alla scienza, nel 2001 è stato promosso vicedirettore del reparto grafico che oramai dirige da sei anni. Prima di approdare nella Grande Mela, Steve ha lavorato come designer e creativo in alcuni giornali del Michigan e a Los Angeles fino quando, nel 1994, è entrato al Chicago Tribune dove si è occupato di infografica e di progetti per il web. nfografica, infografica, infografica. Questa la parola d’ordine che apre, ac- compagna e chiude la relazione di Steve Duenes. Perché nessuno al New York Times ha paura di mostrare le notizie e renderle di più facile accesso. Per questo, spiega subito Duenes è ormai una consuetudine quella di usare le infografiche anche in prima pagina e «non ci sono segnali, nè ragioni perché si inverta questa tendenza». A testimoniare la lunga tradizione nel- l’uso delle notizie illustrate, sullo schermo appare la prima pagina del 1927 quando Charles Lindbergh attraverò in volo l’oceano Atlantico. Poi si passa allo tsunami del 2004 e alla crisi finanziaria del settembre 2008. Il Times su carta «non è mai stato spaventato dalle rap- presentazioni visive. Anche quando erano sofisticate». Come nel caso dello sbarco sulla Luna quando in pagina ap- parve un complicato grafico che illu- I

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SND Italy Show don't tell 2010 Speakers

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S T E V E D U E N E S

Dirige il reparto grafico del New

York Times, un gruppo di

venticinque giornalisti che si

occupano di svolgere le

ricerche e creare le infografiche

sia per il quotidiano che per il

sito web. È arrivato al New York

Times nel 1999 come grafico per

le pagine dedicate alla scienza,

nel 2001 è stato promosso

vicedirettore del reparto

grafico che oramai dirige da sei

anni. Prima di approdare nella

Grande Mela, Steve ha lavorato

come designer e creativo in

alcuni giornali del Michigan

e a Los Angeles fino quando,

nel 1994, è entrato al Chicago

Tribune dove si è occupato di

infografica e di progetti

per il web. nfografica, infografica, infografica. Questa la parola d’ordine che apre, ac-compagna e chiude la relazione di SteveDuenes.Perché nessuno al New York Times hapaura di mostrare le notizie e renderle dipiù facile accesso.Per questo, spiega subito Duenes èormai una consuetudine quella di usarele infografiche anche in prima pagina e«non ci sono segnali, nè ragioni perchési inverta questa tendenza».A testimoniare la lunga tradizione nel-l’uso delle notizie illustrate, sulloschermo appare la prima pagina del 1927quando Charles Lindbergh attraverò involo l’oceano Atlantico. Poi si passa allotsunami del 2004 e alla crisi finanziariadel settembre 2008. Il Times su carta«non è mai stato spaventato dalle rap-presentazioni visive. Anche quandoerano sofisticate». Come nel caso dellosbarco sulla Luna quando in pagina ap-parve un complicato grafico che illu-

I

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strava l’angolo di inclinazione del mo-dulo lunare poco prima di atterrare sulsatellite.«Ancora oggi alNew York Times - conti-nua Steve Duenes - cerchiamo di nonessere accondiscendenti con i nostri let-tori. La semplicità è sempre un valore,ma crediamo che chi ci legge vogliaun’informazione più approfondita. Cre-diamo anche nell’intelligenza dei nostriutenti e nella loro capacità di esplorarenuove e insolite forme grafiche che pos-sono aumentare il loro vocabolario vi-sivo».Così quando nel 1987 Edward Tufte (pro-fessore e statistico noto per i suoi scrittisull’infografica) ha mandato una letteraalla direzione del Times per suggerire diavere la stessa cura per le parole e per lagrafica, il consiglio è sembrato a tuttisaggio. Perché «tutto quello che può es-sere scritto, può essere anche illustrato»continua Duenes. Tanto che 10 anniprima che giungesse la lettera di Tufte ilNew York Times aveva già trasformato unreporter tradizionale in un caporedattoregrafico. Il suo nome era David Dunlap eper anni ha creato mappe, diagrammi egrafici (come quello che è comparso sulTimes subito dopo il tentato assassiniodi Reagan). Nel corso del tempo, spiega Duenes, ilnumero di giornalisti grafici all’internodella redazione è aumentato, sono au-mentate le loro capacità (non solo piùcartografi ma anche illustratori e buonidesigner) così che si sono realizzate coseche sembravano impensabili fino a qual-che anno prima. Mano a mano è anchecessata la dipendenza del reparto grafico

dalla redazione vera e propria perchètutti i grafici erano (e sono) anche gio-nalisti in grado di fare ricerche e dare unalettura originale delle notizie.Come nel 2004 quando il New YorkTimesha seguito interamente le primarieper le elezioni presidenziali. Solitamente,spiega Duenes, non ci sono grandi colpidi scena dei discorsi dei candidati. «Manoi abbiamo cominciato a notare alcuneparole che venivano ripetute più fre-quentemente nei discorsi dei Repubbli-cani e dei Democratici. E attraverso ungrafico abbiamo dimostrato che i Re-pubblicani puntavano l’attenzione sullasicurezza nazionale mentre i Democra-tici si occupavano più di politica in-terna». «Con l’undici settembre abbiamo co-minciato a usare assieme alle mappe, leimmagini del satellite. L’originalità stavanell’aggiungere tracciati sopra le foto-grafie che indicassero meglio ai lettori lasituazione dopo il crollo delle Torri Ge-melle». Duenes mostra poi altre sofisti-cate infografiche che usano il web comesupporto. Dopo il famoso atterraggio diemergenza del volo 585 nel fiume Hud-son, al New York Times, spiega Duenes,«siamo stati in grado di creare unamappa interattiva dell’aereo con le fotoe la storia di 9 passeggeri che erano suquel volo». Di altissimo livello anche l’in-fografica animata e interattiva che mo-stra i movimenti che una pattinatrice sughiaccio deve compiere per poter sal-tare. E al Times, dove l’attenzione è sem-pre puntata sulle Breaking News, sonoin grado di realizzare tutto ciò in pocheore.

Al Times abbiamo sempre datogrande spazio all’infografica.Perché tuttoquello che puòessere scrittopuò anche essere disegnato.

Crediamo nella semplicità, nell’intelligenzadei nostri lettori e nellaloro volontà diavere di più.

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J A V I E R E R R E A

Rappresenta attualmente a

livello internazionale uno dei

maggiori professionisti nel

campo del design delle notizie.

Dopo aver lavorato per diverse

testate giornalistiche come

reporter, caporedattore e

vicedirettore, ora vive a

Pamplona dove ha creato

un’agenzia di comunicazione e

design (Errea Comunicatión).

È presidente della Society for

News Design area mediterranea

(SNDE), coordinatore dei

Malofiej Infographics Awards e

docente presso l’Università di

Navarra. A lui si deve il design e

il restyling di circa 50

quotidiani e riviste in Europa,

America, Africa e Asia, tra cui,

recentemente, l’importante

quotidiano francese Liberation

e i, forse il quotidiano più

innovativo degli ultimi anni.

opo aver disegnato o ridisegnato unacinquantina di giornali in tutto il mondo,Javier Errea ha cominciato la sua rela-zione con una dichiarazione forte:«Sono un giornalista, non un grafico» Elo stesso, ci racconta, vale per tutti i col-laboratori dello studio che porta il suonome e che da cinque anni dirige a Pam-plona, nel Nord della Spagna.Ma perché è così importante sottoli-neare questo aspetto? Perché, sostieneErrea: «Non ho fiducia nei grafici e nep-pure negli art director. Almeno non inquelli che di solito incontro nelle reda-zioni». E per chiarire il concetto alla pla-tea aggiunge che i grafici sono uno deigrandi problemi dei nostri giornali. Nonl’unico e sicuramente non il più impor-tante però uno in grado di condizionareil futuro della stampa. La ragione è moltosemplice: i grafici non si interessano allenotizie. Èal Diario de Navarrache Javier Errea so-stiene di aver imparato a scrivere e a boi-cottare il reparto di impaginazione. «Iovolevo scrivere e disegnare le mie paginesenza intermediari. Sapevo quello che

D

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volevo raccontare e come presentare leinformazioni». Tutto questo, serve a fercapire meglio perché Errea abbia sceltodi dedicarsi al disegno giornalisticosenza essere un grafico quando «la cosache più amo al mondo è scrivere».La relazione prosegue con la presenta-zione di alcuni dei lavori che portano lafirma del presidente della SndE che negliultimi dieci anni ha lasciato un’improntain numerose redazioni. «In alcuni casicon successo, in altri non tanto. Ma intutti con grande coraggio. Anche se -continua Errea - non ho una bacchettamagica e faccio errori, in tutti i giornalidove ho lavorato ho cercato di fuggiredai modelli che stanno uccidendo lastampa e ho cercato di raccontare storiein modo diverso». Perché una cosa è si-cura: non c’è un solo modo per raccon-tare una storia. Tutto dipende dallanotizia e da come la vogliamo dare. E lamissione dei grafici e dei giornalisti gra-fici (di cui si sente una grande man-canza) è «smetterla con la dittatura dellepagine book e restituire ai giornali la vita,il mistero e l’imperfetto». Basta vedere le pagine che proietta sulmegaschermo alle sue spalle per capireche passione, coraggio, rispetto e diver-timento sono gli ingredienti fondamen-tali per iniziare qualsiasi lavoro. Inizia afar scorrere le slide con le immagini di ungiornale greco Eleftheros Tipos che nel2009 è stato premiato come uno dei 5giornali meglio disegnati al mondo mache ha chiuso dopo soli 5 mesi di vita. «Èstata un’altra tragedia greca», affermaErrea. «Perchè non importa quanto fosseinnovativa la proposta dei contenuti, la

scansione delle sezioni (vita privata evita pubblica), che le prime pagine “te-levisive” rompessero gli schemi, se èstato un fallimento editoriale». Non è lostesso per il portoghese Expressoche perdue anni di seguito è stato riconsciutocome il miglior giornale disegnato almondo. Questo quotidiano «è giornali-smo di lusso. I suoi lettori hanno a dispo-sizione i migliori illustratori, unfotogiornalismo choccante e un’infogra-fica intelligente». Per non parlar di I, unaltro caso portoghese. Un quotidianonato nel 2009 nel mezzo di una delle piùprofonde crisi economiche e che conti-nua a chiamare l’attenzione per la suacapacità di esplorare nuove forme nar-rative. Iconsidera i suoi lettori intelligentie non aspira a essere un giornale dimassa. Uno degli ultimi lavori affrontatidallo studio Errea Comunicacion è ilfrancese Libération, un’icona del giorna-lismo europeo che spinge lo stesso Erreaad ammettere, durante la prima riunionedi redazione, di sentirsi intimidido da-vanti a tanta storia. Eppure il nuovoLibéha avuto il coraggio di cambiare ancorauna volta il suo modello giornalistico eErrea afferma con orgoglio «che il gior-nale sta uscendo a testa alta dalla crisi». Sullo schermo scorrono altre pagine digiornali. Si va dal finlandese HLM, a AlBayan il giornale ufficile di Dubai, all’an-golano Semanario Economico (proget-tato ex novo dallo studio di Errea), perfinire con il portoricano Primera Horadove la redazione è capace di divertirsi,far divertire e offrire un giornalismo au-torevole. Un giornale dove tutti, diret-tore compreso, disegnano le pagine.

Non c’è unsolo modo perraccontare lenotizie. Tuttodipende dallastoria e dacome la sivuole dare.

Stiamo parlando tutto il tempodi passione.Dove non c’è passione non c’è buon giornalismo.

Per vedere più pagine consultare il sito www.erreacomunicacion.com.E per avere più informazioni sulla SNDarea mediterranea visitare il sito www.snd-e.com

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B . L A N A P. T R U J I L L O

Benjamín Lana è direttore dello

sviluppo e dell'innovazione di

Vocento, uno dei gruppi edito-

riali più importanti di Spagna.

Ha lavorato per diversi quoti-

diani come El Mundo, El Diario

Vasco, El Correo e El Comercio

dove, fino al 2007, è stato vice-

direttore. Dal 1998 al 2000 ha

anche diretto il dipartimento di

Comunicazione dell’Università

del País Vasco.

Paco Trujillo è direttore della re-

dazione grafica centrale di Vo-

cento, dove si preparano i

contenuti che le 12 testate di

questo gruppo pubblicano quo-

tidianamente. Laureato in

Scienza dell’Informazione, ha la-

vorato nello studio Arcadia di

Alberto Torregrosa e, prima,

come reporter per il giornale

Idealdi Granada.

nire le forze, migliorare la qualità, inve-stire trovando risorse con risparmi doveè possibile e arrivare a pubblicare un in-serto che è diventato il giornale con lamassima diffusione della Spagna: è ilpiccolo miracolo (o sarebbe meglio direprogetto) del Grupo Vocento, una hol-ding editoriale spagnola che possiedecanali tv, radio e un quotidiano nazio-nale, ma che ha il nocciolo del suo bu-siness in una rete di quotidiani locali,pubblicati ai quattro angoli del Paese.Tutti si occupano del loro territorio, mahanno una redazione in comune, a Ma-drid, che si occupa di interni, esteri,economia, sport nazionale e che fungeda motore anche per la realizzazione diun supplemento, che si chiama V e che,grazie all’abbinamento con la stampalocale, è il più diffuso in Spagna. Il tutto,in sinergia con le redazioni dei quoti-diani regionali, che permettono di averesul territorio una sorta di rete di corri-spondenti che sviluppano e affrontanosu base locale anche i temi nazionali.«I quotidiani sono in crisi e sotto at-tacco» ha spiegato Benjamin Lana.

U

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«Oltre alle crisi che si alimentano a vi-cenda e la fine del monopilio dell’infor-mazione, ci sono i costi alti diproduzione e distribuzione e l’atten-zione del lettore è in continua fram-mentazione verso altre fonti di notizie».Un quadro desolante? «No, perché cre-diamo che la carta stampata non sia dauccidere prematuramente. Ha la forza diun marchio, che negli anni ha conqui-stato credibilità. Si tratta quindi di mi-gliorare la qualità del prodotto, dandoal lettore il “giornalismo necessario”.Ovvero essere indipendenti, influenti,sorprendenti, moderni, capaci di soste-nere campagne sociali forti. Ed esserepronti a vivere come il lettore». Ovveroa cambiare pelle a seconda dei giornidella settimana. Lo slogan? “Masjamon, menos pan”, ovvero più pro-sciutto e meno pane. «Pubblichiamoquotidiani molto legati al nostro terri-torio, ma con la vocazione a essereunici: chi acquista uno dei nostri dodicigiornali non deve sentire il bisogno diacquistare un giornale nazionale, peressere informato su tutto quel che av-viene in Spagna e nel mondo. Il tutto èstato progettato con una forte scom-messa sul giornalismo visivo». Come atestimoniare che anche questo ambitofa parte, senza alcun dubbio, della qua-lità da migliorare.Per riuscirci, il Grupo Vocento ha centra-lizzato parte della struttura produttiva,a cominciare dalla grafica. Il progetto èlo stesso per tutti e dodici i quotidianidel gruppo, nonostante le differenze didimensioni: «La larghezza della paginaè la medesima» ha spiegato Paco Tru-

jillo. «Cambia l’altezza, che passa da unminimo di 390 a un massimo di 420millimetri. Ma il layout non cambia». Tresono le font: il Gotham e il GuardianSans per i titoli (una variazione di unafont fatta preparare da Mark Porter perThe Guardian) e, per il testo, il Brioni,adattato alle caratteristiche dei giornalidel gruppo dai creatori Nikola e PeterBilak. Non cambia invece la struttura delgiornale: dopo la prima pagina, ogniquotidiano comincia con la cronaca lo-cale, a cui seguono le opinioni, interni,esteri, economia, cultura e sport. Ognigiorno è allegato V, l’inserto che portain primo piano la cronaca classica, invi-tando alla lettura e mischiando notiziehard con quelle più soft. E la domenica,il “gran giorno”, cresce la foliazione delquotidiano e dell’inserto, aumentano lepagine di sport e si aggiungono un in-serto di economia e il magazine El Se-manal. Questo è il giorno in cui ogniblocco tematico apre con una copertinadedicata.«La grafica è informazione» teorizzaPaco Trujillo. «E nel nostro dna viaggial’informazione, a prescindere dal generevisuale o scritto di cui facciamo uso.Uno dei grandi punti di forza della cartastampata è il potere dell’immagine. Enoi proviamo ad approfittarne, cer-cando di sorprendere il lettore raccon-tando storie anche in altri modi». Unesempio? Una fotografia a tutta pagina,che mostra Bilbao dall’alto, vista dalcantiere del palazzo in costruzione chediventerà l’edificio più alto della città. «Ela domenica possiamo raccontare me-glio le storie» aggiunge Trujillo.

Nel nostro dnaviaggial’informazionea prescinderedal generevisualeo scritto di cuifacciamo uso

I nostriquotidianilocali hannola vocazionea essere unici:chi ci compranon habisognodi un altrogiornale

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K R I S V I E S S E L M A N

È stata eletta presidente de la

Society for News Design (SND)

per il 2010. Dal 2005 fino alla

data del seminario ha diretto il

dipartimento di sviluppo di

prodotti digitali per il National

Geographic dove si è occupata di

progettare, disegnare, e

mettere in marcia prodotti

multimediali che richiedono la

totale autosufficienza a livello

economico. Precedentemente

Kris ha occupato diverse

posizioni in qualità di creativa

all'interno di quattro giornali

della California: San Jose

Mercury News, Los Angeles

Times, Orange County Register e

Sacramento Bee. Attualmente ha

accettato l’incarico di direttore

creativo presso il San Diego

Union-Tribune e continua a dare

la sua consulenza come

freelance in diverse società

americane, europee, asiatiche e

latino americane.

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ante immagini e immagini che lascianocon la bocca aperta. Come d’altrondevuole la tradizine di un gruppo comequello del National Geographic che tracarta stampata, televisione e internet ciregala tra le fotografie più belle in circo-lazione. Ma anche mappe, infografichee siti interattivi che permettono di avereinformazioni dettagliate su paesi stra-nieri. Come ci mostra Kris Viesselmancon alcune delle sue slide, è possibile vi-sitare l’India prima sul web, scoprire ledistanze tra una meta e l’altra, consultarele mappe e avere informazioni sui mo-numenti da visitare.Oppure c’è EarthPulse un progetto pre-sente su carta e internet che si proponecome “Visual Guide to Global Trends” eesplora le connessioni globali con un lin-guaggio visivo assai vivace: mappe, dia-grammi, e interattività pensati permostrare dove siamo oggi, come cisiamo arrivati e come le nostre azionihanno un effetto (positivo o negativo)sul futuro della terra. Insomma, sinte-tizza Viesselman, uno strumento per in-dagare sulla condizione umana(pololazione, qualità della vita, l’impattodell’insediamento dell’uomo, cibo eacqua) oppure sulle relazioni con la na-tura (ecosistemi, energie rinnovabili) oancora avere una visione delle tendenze

con cui il mondo si muove e si relaziona(tecnologie, globalizzazione, reti, sor-genti e fonti). Una sintesi perfetta di im-magini, testi e infografiche.Sullo schermo scorrono poi altre imma-gini di alcuni siti internet che portano ilmarchio National Geographic. E Viesselman che dal 2005 si è sempreoccupata della sostenibilità economicadei nuovi progetti di questo enormegruppo editoriale ci racconta che «crearedei templates aiuta a ridurre i costi».Così come «mescolare i ruoli (editoriali,di disegno, di illustrazione oltre chescrittura, video e foto) e darsi una manol’un l’altro all’interno dei propri specificiruoli aiuta a massimizzare le risorse». Masoprattutto, ci racconta con passioneViesselman, bisogna imparare a «stan-care la gente negativa» perché ci saràsempre qualcuno che dirà «è impossi-bile, non l’abbiamo mai fatto, siamo giàpieni di lavoro, non c’è tempo, questonon è il tuo lavoro». La soluzione è solouna: «semplicemente FARLO». Perché come disse il filosofo Ralph Wal-dorf Emerson anche secondo Viessel-man «Non è mai stato raggiunto nientedi importante senza entusiasmo. L’entu-siasmo è il potente motore dello svi-luppo». Ovviamente cercando le soluzioni piùeconomiche e rapide per mettere inpiedi il nuovo progetto.Così se la relazione di Viesselman era ini-ziata con l’immagine di una matita dacui è possibile creare tutto, la sua confe-renza finisce con quella di una matita edi un cuore. Perché per un buon pro-getto servono entrambi gli ingredienti.

Bisogna imparare a stancare la gente negativa

Quando si haun’idea bisognarealizzarla.Senza ascoltarechi dice che è impossibile,non si hatempo, o non èil nostro lavoro

T

Per avere maggiori informazioni sulla SND consultare il sito www.snd.org

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G I A N N I V A L E N T I

è vicedirettore della Gazzetta

dello Sport, ha 47 anni ed è

veneziano. Della “Rosea” tra le

altre cose ha curato la

trasformazione del giornale in

tabloid-full color. Per 17 anni,

dal 1990 al 2007, ha lavorato al

Corriere della Sera dove è stato

caporedattore delle cronache

nazionali e internazionali,

caporedattore centrale per i

dorsi locali e regionali e

protagonista del passaggio del

giornale dal bianco e nero al

full color. Ha grande esperienza

internazionale sulle tecniche e

i nuovi modi di fare

informazione nell’epoca di

internet. È l’unico giornalista

italiano nel Board del World

Editors Forum.  Per Rcs

Quotidiani è tra i fondatori

della Iasn, l’Associazione

mondiale dei quotidiani

sportivi. Ha insegnato Cultura

giornalistica all’Università

Statale di Milano, tiene dei

seminari all’Università Iulm di

Milano.

uando si parla della Gazzetta dello Sportsi parla di un grande giornale (il più lettoin Italia) ma parallelamente anche di ungrande brand. Un marchio, una garanzianel giornalismo sportivo che ha creatoattorno a sé (nei suoi 114 annidi storia)una vero e priprio polo industriale cheorganizza eventi, forma manager spor-tivi e produce moda.Un dato importante, sottolinea Valenti, èche la Rosa - nonostante la crisi econo-mica che si è sommata alla crisi del si-stema carta stampata - riesce amantenere una stabilità nelle vendite.Tutto ciò grazie ad un cambiamento gra-fico e editoriale che è cominciato nel2008 quando Il 28 marzo la Gazzetta èuscita per la prima volta con il nuovo for-mato tabloid e full color.Non è stato un passo semplice nè sottoil profilo della preparazione giornalisticanè dal lato economico visto che ha com-portato un impegno economico di circa90 milioni di euro per il cambio delle ro-tative. Il progetto è stato elaborato dalladirezione del giornale (allora il direttoreera Carlo Verdelli) con la collaborazionedello studio Cases di Barcellona. Rispetto agli altri quotidiani che si sonotrovati a dover affrontare questa passag-gio, la Gazzetta ha avuto un vantaggio,sostiene Valenti: la carta rosa. «La graficadella Gazzetta avrebbe anche potutomodificarsi in modo importante ma quelgiornale (proprio per il colore della carta)sarebbe stata sempre la Gazzetta delloSport». In realtà, scendendo sul pianopropriamente tecnico, - continua Vaenti- le scelte delle font per la titolazione (Ti-tling contro il vecchio Elvetica Neuve) edei testi (Charter al posto del News

Q

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700) sono state fatte per dare un’im-pronta diversa ma senza stravolgeretutto. Sono stati scelti due colori base(l’arancione e il verde) per il codice di na-vigazione. Il primo segna quelle chesono le pagine dove si parla di sport. L’al-tro definisce la sezione delle news gene-raliste. Il passaggio al tabloid, poi, ha inevitabil-mente fatto sì che si accorciasse la mi-sura degli articoli, mentre foto einfografica hanno assunto maggiore im-portanza. Un altro lavoro fondamentaleè stato quello sul linguaggio dei titoli:«Più caldi, più colloquiali, soprattutto inprima pagina».L’obiettivo da cogliere era chiaro: «In unperiodo di crisi della carta stampata,dove acquistare un solo quotidiano di-ventava già difficile, volevamo trasfor-mare Gazzetta in un grande quotidianopopolare (l’unico in Italia) che potessesoddisfare in toto le esigenze del lettore.Dalla sport, che resta il cuore del gior-nale, alle news generaliste. Insomma -continua Valenti - se compri Gazzettanon hai bisogno di nessun altro quoti-diano».Questa rivoluzione editoriale, è statamolto importante anche su un altrofronte: quello del mercato pubblicitario.Fino a tre anni fa Gazzetta era catalogatada tutti i centri media come quotidianosportivo. Oggi non è più così e molti in-serzionisti nuovi si sono avvicinati algiornale. L’altro punto importante dellanuova Rosa, racconta Valenti, è quellodella trasformazione in quotidiano mul-timediale: un giornale che sviluppi lapropria forza oltre che sulla carta anche

sul web e sul Mobile, smartphone natu-ralmente inclusi. Un’operazione non fa-cile vista la storia centenaria di questogiornale e l’eta di alcuni colleghi. Ma i dati parlano chiaro e il sito di Gaz-zetta negli ultimi due anni è salito dicirca 200.000 utenti unici al giorno(oggi la media è di circa 900 mila utentiunici al giorno con 288 milioni di pagineviste ogni mese). Una crescita che èstata supportata dal 2006 ad oggi dalgiornale di carta con la rappresentazionedi sondaggi che si erano sviluppati sulweb e poi con il continuo rimando dallaGazzetta di carta al web per lanciare ar-ticoli, interviste o video di varie disciplinesportive. Dall’inizio del 2009, spiaega il vicediret-tore, il supporto è diventato bi-direzio-nale: la carta continua il suo lavoro maanche il web cerca di lanciare il quoti-diano. Il sito Gazzetta.it vive all’80 percento di produzione propria tutta basatasulle breaking news. Con continui ag-giornamenti. Gli articoli più importantidel quotidiano vengono inseriti nel sitosolamente nel primo pomeriggio. Manon superano mai i tre-quattro.L’ obiettivo? Pensare sin dalla fase idea-tiva ad un quotidiano unico che si svi-luppa nell’arco delle 24 ore.L’integrazione, dunque, è il nostro pre-sente. Ma l’altro lavoro importante è sa-pere calibrare bene che giornalemandare in edicola. L’altra parte impor-tante riguarda lo sviluppo delle news sutelefonini e smartphone che a differenzadel web non è gratis. Far pagare l’infor-mazione che viaggia su canali tecnolo-gici è chiaramente l’impresa del futuro.

Stiamo lavorando per educare le nostre redazioni a pensare, sin dalla faseideativa, a un quotidianounico (carta,web, video) che si sviluppa nell’arco delle 24 ore

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A N N AT H U R F J E L L

È nata a Stoccolma, in Svezia,

nel 1975. Ha studiato design e

grafica e si è laureata alla Kon-

stfack University di Stoccolma.

Fin dal 2000, ha lavorato come

disegnatrice di giornali, per la

maggior parte del tempo nel

ruolo di art director del quoti-

diano Svenska Dagbladet. Il suo

ultimo ridisegno, nel 2009, ha

riguardato sia l'edizione quoti-

diana che del weekend.

Durante il suo mandato da art

director, Svenska Dagbladet è

stato eletto il giornale meglio di-

segnato al mondo dalla Snd nel

2005 e il migliore d'Europa dalla

Enc nel 2009. Anna è stata

anche nella giuria di svariate

competizioni internazionali di

design editoriale.

ono numeri da invidiare, quelli di unquotidiano svedese come Svenska Dag-bladet, se visti dall’Italia: oltre 500milacopie vendute, in un Paese con meno di10 milioni di abitanti, sono cifre impor-tanti. E, caso ancora più unico, il quoti-diano è in pieno trend positivo conquattro anni consecutivi di diffusione insalita e con i migliori dati dell’ultimoventennio. Di questo quotidiano in con-trotendenza, Anna Thurfjell è l’art direc-tor, responsabile sia del giornale di cartache dei contenuti digitali. E, a differenzadell’Italia un po’ immobile e titubante,non ha nessuna paura di innovare, quasicome se il restyling del giornale fosse uncontinuo work in progress. «Dal 2000,Svenska Dagbladet ha messo in atto al-meno un grande progetto innovativoall’anno. L’innovazione è diventata ilcuore di una nuova strategia, con loscopo di venire incontro ai bisogni deilettori».L’ultimo restyling è dell’autunno del2009, pensato solo alla fine di un lungostudio strategico su desideri ed esigenzedel pubblico di Svenska Dagbladet: «Ci

S

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siamo accorti che non era necessarioprimeggiare nel mercato. Ma primeg-giare nel nostro target sì. Noi ci rivol-giamo a cittadini curiosi, con un buonlivello di educazione, che vivono in cittàe specialmente nell’area urbana di Stoc-colma. Prima dell’ultimo restyling ab-biamo cercato di approfondire ancora dipiù la conoscenza dei nostri lettori: ab-biamo pure creato un giornale, solo pernoi dello staff, con interviste a sedici diloro, intitolato “Le vite segrete dei let-tori”. È un nostro promemoria: ci serve anon dimenticare mai che loro si aspet-tano da noi qualità e approfondimentiogni giorno, e che leggere Svenska Dag-bladet li fa sentire colti e perspicaci».Il ridisegno del giornale è stato quindipilotato da un lungo approfondimento,al termine del quale sono state mante-nute e migliorate le cose che funziona-vano e messe da parte quelle chepiacevano meno. «L’inserto femminiledel venerdì non piaceva a tutti, e lo ab-biamo cancellato». Ma la struttura delgiornale ha conservato i suoi punti diforza, per esempio la divisione in tre fa-scicoli, ognuno con la sua copertina:quello delle news, quello di economia equello di cultura. E nel weekend si cam-bia, «perché i nostri lettori hanno inte-ressi molteplici e possono leggere ilgiornale in più tappe. E nel soprattuttoc’è più tempo per farlo». Così dal venerdìalla domenica compare l’inserto K, cheil venerdì parla di spettacolo, recensioni,guide e di cibo e vino; il sabato di libri,arte e moda e la domenica di lifestyle,benessere e viaggi, con una grande sto-ria di copertina. In più, la domenica si

aggiungono un altro inserto dedicato albusiness e uno per casa, arredamento,giardinaggio e annunci immobiliari.Per il ridisegno molte cose sono statemesse a punto, a partire dalla testata, ri-modernata senza discostarsi troppo daquella creata negli anni Sessanta, pren-dendo a modello le incisioni della Co-lonna Traiana a Roma. Il giornale ruotaintorno a una font disegnata ad hoc: sichiama Sueca ed è stata disegnata dalportoghese Mario Feliciano. «Ha moltistili e pesi e ci consente di parlare con lastessa voce ma toni differenti a secondadelle sezioni del giornale». La paletta dicolori è stata scelta per aiutare a guidareil lettore, insieme a una pagina di som-mario che apre ogni sezione del gior-nale. «Il lettore non deve sfogliare l’interogiornale per trovare quello che gli inte-ressa: gli basta orientarsi grazie a questapagina, la seconda di ogni fascicolo».Quanto alle pagine, la nuova filosofiaparte da una frase: «C’è poco tempo percatturare l’attenzione del lettore. Il vec-chio broadsheet era come un campo dacalcio. Adesso le nostre partite sono sulcampo da tennis del tabloid. Il nostro si-stema per presentare le notizie si basasulle dimensioni: si passa dal piccolo al-l’extra-extralarge, a seconda del rilievoche si vuol dare alla notizia». Si tratta distrutture di pagina modulate quasi comeun template, sempre con grande spaziolasciato a immagini e infografiche.Quanto alle storie di copertina, hannoun’esigenza fondamentale: «Se non por-tano con sé una buona idea visiva, nonsono storie di copertina».

SvenskaDagbladet,dal 2000,ha messoin atto almeno un progettoinnovativoall’anno.Innovandoveniamoincontroai bisognidei nostrilettori

C’è poco tempoper catturarel’attenzionedi chi legge

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A L B E R T OV A L E R I

scossa.Altre realtà, altri mezzi, altre esigenze,potrebbe ribattere qualcuno. Maanche no, parafrasando una frase dapagina Facebook. È questione di co-struire una mentalità, cioé di portare ilgiornalismo visuale al centro del dibat-tito quotidiano e nel cuore del pro-cesso, altrettanto quotidiano, di lavorodi un giornale. Qualcosa è successo,appunto. Molto deve ancora succe-dere, a cominciare dal consolidamentodi Snd Italia, nella convinzione che siauna novità positiva («Questo è un am-bito tutto da esplorare per noi italiani,sicuramente l'ancora di salvezza per lacarta stampata» ha commentato unadelle studentesse presenti a Milano).Per esempio, ora che il resto del mondoè venuto in Italia, l’Italia può affacciarsial mondo, o almeno provarci. Con ilconfronto, innanzitutto: partecipare aipremi internazionali, a cominciare daquelli della Snd mediterranea (come“Ñh” o “Malofiej” dove i nostri relatoridi “IL” hanno già ottenuto riconosci-menti) può cominciare a segnare unavia italiana alla grafica editoriale. E, inun futuro nemmeno troppo lontano,potrebbe essere l’Italia a ospitare unodi questi premi, e non solo un altro se-minario. Che pure è importante, comemodo per proseguire nel percorso diformazione per dare dignità alla disci-plina del visual journalism. A proposito,tra l’eterogeneo pubblico di designers,art directors, giornalisti e addetti ai la-vori presenti a Roma e Milano, c’eranomolti studenti delle scuole di giornali-smo italiane, e quasi nessun docente.Ecco una delle barriere da abbattere,insieme a quella che ci ha diviso, finora,da buona parte della stampa quoti-diana di media diffusione. Corriere,Gazzetta, Repubblica, Il Sole, LaStampa c’erano, ai due seminari dimaggio, tra palco e pubblico. Moltidegli altri no. O meglio, non ancora.

adesso? Adesso qualcosa è successo.Perché non si erano mai viste, in Italia,più di 200 persone radunate nello stessoluogo (negli stessi due luoghi, per la pre-cisione) a parlare di design editoriale. E aconfrontarsi, scambiare idee, imparareda chi, all’estero, sembra avanti anni luce.Ecco una cosa che abbiamo capito bene,il 19 e il 21 maggio: oltre i nostri confini, ilmondo sembra viaggiare con i jet, men-tre noi abbiamo appena inventato laruota. È una considerazione che hannofatto in molti, dopo i seminari, e dopoaver ammirato le presentazioni con lepagine di Mark Porter («Il Jonah Lomudel design editoriale»: letta su un blog),Javier Errea, Kris Viesselman, Anna Thur-fjell e dopo aver scoperto come sono or-ganizzate le redazioni di un gruppoeditoriale come Vocento o come fun-zioni l’interazione tra giornalisti e graficial New York Times. A proposito, ci aspet-tavamo di vedere da vicino questo solcoscavato tra Italia e resto del mondo. E,tutto sommato, noi dello staff spera-vamo che il confronto fosse impietoso echoccante, perché potesse dare una

E Il confrontotra Italiae estero è statoimpietosoe choccante:era quello checi si aspettava

Ora èil momento di provare ad affacciarsial mondoe tracciareuna viaitaliana al designeditoriale

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A N G E L O R I N A L D I

Nato nel 1964, inizia la

professione nel 1984 ad

Avvenire. Nel corso degli anni

passa da Il Giorno, al

settimanale Il Sabato e nel 1989

a La Stampa di Torino dove

rimane sette anni come art

director e progetta con Paolo

Pietroni il settimanale Specchio.

Dal 1996 diventa art director del

quotidiano La Repubblica, del

quale ora è anche vicedirettore.

Quello che ha imparato nel

mondo della grafica lo deve

tutto a un grande maestro,

Piergiorgio Maoloni.

ella tradizionalista Italia, Angelo Rinaldiè stato tra i primi a dettare i tempi delcambiamento. Lo ha fatto a La Stampanel 1989, quando il quotidiano torineseridusse il suo formato passando a unastruttura a più dorsi. Ha continuato a LaRepubblica, nato per essere innovativo:«Adottò il tabloid» ha ricordato «tre de-cenni prima del 2006, quando sono ar-rivati altri grandi quotidiani italiani. E fuadrenalina nell’immobilismo accade-mico della carta stampata nostrana». Manon basta ancora: «Dopo aver visto lepagine di tanti giornali stranieri, noisiamo conservatori. E a un osservatoreestero le nostre pagine risultano difficilida comprendere, con la loro serie scon-certante di elementi grafici».Abitudine, ma anche scelta editoriale: «Ilmio direttore Ezio Mauro sostiene cheun quotidiano deve essere come un su-permarket, in cui è necessario metterenegli scaffali ogni genere di merce. Stapoi al lettore scegliere quello che desi-dera approfondire. Uno straniero, abi-tuato a una notizia per pagina, sismarrisce. E lo stesso vale per l’enfasi: loscoppio della prima guerra del Golfo, a

N

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migliaia di chilometri dall’Italia, conpoche decine di soldati italiani impe-gnati in operazioni marginali, venne an-nunciato dai quotidiani a carattericubitali. Mentre all’estero le copertineerano sì monografiche, ma con titoli dalcorpo normale». Differenze che sono ancora più marcatenel lavoro di tutti i giorni e, soprattutto,nel peso specifico che la grafica ha nellaproduzione di un giornale. «Ancora neglianni Novanta» ricorda Rinaldi, «l’impa-ginazione era libera, con la lunghezzadell’articolo come unico criterio per co-struire una pagina. Quando introdussi aLa Stampa un ufficio grafico, creandoloda zero, la redazione, gelosa delle pro-prie abitudini, lo accolse con sufficienza.Ancora oggi, perfino in giornali evoluti,non esiste una riunione di redazione acui sia invitato il photoeditor. La sceltadell’immagine di copertina, per esem-pio, è e resta un mercato rionale, dovechiunque si sente autorizzato a dire lasua secondo l’unico criterio del “mipiace, non mi piace”. E, più in generale,prima di oggi non c’è stato mai un pre-mio, un convegno, un dibattito sul de-sign editoriale in Italia. Eppure abbiamoavuto personaggi come PiergiorgioMaoloni, un uomo che, nel giorno dellosbarco sulla Luna nel 1969, inventò unaprima pagina per il Messaggero in cui laparola venne utilizzata come un segnografico, un’idea che ancora oggi pos-siamo guardare e apprezzare. È indub-biamente uno dei padri del designitaliano, ma non glielo si riconosce, per-ché ebbe il torto di progettare giornali enon lampade o poltrone».

Cambiare si può, anche se a piccoli passisecondo le usanze italiche «dove c’è ti-more» sottolinea Rinaldi «di perdere let-tori con le innovazioni e si scelgonosempre le strategie di minor disconti-nuità con il passato». Ma il curriculumstesso dell’attuale vicedirettore di La Re-pubblica racconta la storia di piccole ri-voluzioni, per esempio nell’uso semprepiù ampio dell’infografica, fin dai tempide La Stampa. «Una volta, e spessoanche adesso, si raccontava la Legge Fi-nanziaria con un pezzo da ottanta righee una foto generica. Ora c’è un’infogra-fica che può sostituire quell’articolo. E ilettori, attraverso i nostri sondaggi, di-mostrano di apprezzare. Certo, la crea-tività ha bisogno di un linguaggiocomune per non sembrare il panoramadi Piazza Navona a Roma, una sequenzadi architetture belle da vedere ma constili completamente differenti. Per que-sto bisogna curare la forma, con un ma-nuale di stili e colori codificati anche perrealizzare le infografiche, e per renderleintegrate e riconoscibili nel contesto delgiornale che le ospita. Del resto, la Fer-rari è rossa, e fa parte della sua iden-tità...».Passi avanti potranno essere fatti soloquando certi concetti diventerannopunti fermi. Quali? «La grafica fa suo ilcontenuto e ne è parte integrante: è unconcetto che evidenzia un altro con-cetto. E l’art director è un organizzatoredi contenuti, a cui spetta il controllodello spazio. Questo seminario è unpunto di partenza, perché si ricono-scano le opportunità che la grafica offreai giornali».

Il tabloid diLa Repubblicafu adrenalinanel panoramadella stampaitaliana. Ma difronte aglistranieri, noisiamo ancoraconservatori

La graficafa suoil contenutoe ne è parteintegrante: è un concettoche evidenziaun altroconcetto

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M A R KP O R T E R

Ha iniziato da autodidatta, im-

parando da alcuni dei migliori

art directors di Londra e New

York. Ha disegnato un gran nu-

mero di riviste e giornali vinci-

tori di premi, tra cui Wired,

Colors, Internazionale (Italia),

Pùblico (Portogallo), Het Finan-

cieele Dagblad (Olanda) e NZZ

am Sonntag (Svizzera). Fino al

2010 ha lavorato a The Guardian,

e nel 2005 ha supervisionato il

rilancio totale del quotidiano,

che è diventato una pietra mi-

liare del design editoriale con-

temporaneo. Ha anche curato il

ridisegno di guardian.co.uk. Ha

conquistato i riconoscimenti

più prestigiosi del settore, com-

preso il World’s Best Designed

della Snd, la medaglia d'oro

della Society of Publication De-

signers, e la matita nera nei

D&AD global awards. 

on importa quanti progetti abbia curato,anche in Italia: il nome di Mark Porter,nel mondo, è legato indissolubilmentea The Guardian, il quotidiano inglese delquale è stato art director per quindicianni, guidandolo a un restyling tra i piùammirati (e copiati) di tutto il mondo.«Stiamo parlando di un giornale moltoordinario, nella sua storia: nato a Man-chester nel 1821 e ritenuto all’inizio piut-tosto conservatore quanto a tendenzapolitica e contenuti. Venendo ai giorninostri, la prima riforma grafica di rilievofu nel 1998. A vederle adesso, le paginedi quel giornale sembrano grigie e da-tate, ma all’epoca furono una rivolu-zione. La seconda si rese necessaria neglianni 2000, quando incominciò lo slan-cio verso il passaggio al formato tabloid.Cominciò l’Independent, primo giornale“di qualità” a tentare la via del formatopiccolo che, fino ad allora era sinonimodi giornalismo popolare. E lo feceuscendo in edicola con due quotidiani,uno di formato tradizionale e uno di for-mato tabloid, con gli stessi contenuti.Quando la doppia strada fu abbando-

N

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nata, per passare al tabloid, cosa che fe-cero altri grandi quotidiani come TheTimes, anche al Guardian ci si pose il pro-blema. Preparammo un tabloid, che fuspedito a un focus group di lettori perraccogliere pareri. E la risposta non fupositiva. Così ci inventammo una nuovastrada».Per farlo, fu necessario investire: l’editorecostruì una nuova tipografia, con rota-tive in grado di stampare il formato piùpiccolo del broadsheet ma più grandedel tabloid, che era stato scelto. «I gior-nali tradizionali erano seriosi e autore-voli, ma noiosi. I tabloid così come liconoscevamo erano colorati e accatti-vanti, ma poco autorevoli. Dovevamoprendere il meglio, e non il peggio, dientrambi». Cominciò così la rivoluzionetargata The Guardian, che coinvolse in-nanzitutto la testata: «Quella prece-dente era nota come un vero marchio,ma era troppo “anni Ottanta”. La cam-biammo». E poi le font: The Guardianpartiva da un mix di due caratteri, Ha-cienda e il tradizionale Helvetica. «Fa-cemmo progettare una font ad hoc perle nostre esigenze, il Guardian Egyptian,con moltissime variazioni di peso».E poi, parte sostanziale della rivoluzione,il modo di presentare le notizie nellevarie pagine, improntato secondo unasemplice, ma sostanziale regola: «Vole-vamo dare ritmo al giornale e teneredesta l’attenzione del lettore, cercandodi sorprenderlo a ogni sfoglio di pa-gina». In che modo? Preparando mo-delli dal disegno chiaro ma accattivante:«La missione era di avere pagine moltodirette e ordinate ma arricchite di ele-

menti grafici. Le fotografie e le infogra-fiche sono importanti quanto il giorna-lismo scritto. Le infografiche sono difacile lettura: quelle piccole aiutano acogliere un dettaglio in un colpo d’oc-chio e quelle più grandi sanno riassu-mere e spiegare argomenti complessiandando incontro alle esigenze dei let-tori che hanno sempre meno tempo dadedicare al loro giornale preferito.Quanto alle fotografie, spesso sono lorostesse la notizia. E allora perché relegarlea un quarto di pagina, o meno? Ab-biamo cominciato a usarle a tutta pa-gina, o addirittura su una doppia pagina,come le riviste».Tutti assiomi che portarono, nel quoti-diano inglese, a un’altra rivoluzione dalpunto di vista dell’organizzazione del la-voro: «I photoeditor e gli art directorsono entrati a far parte dello stesso staffdei giornalisti. In questo modo il con-fronto e l’interazione sono continui. Equesto diventa fondamentale per la rea-lizzazione dell’inserto G2, la secondaparte del giornale, una struttura a suavolta imitata in tutto il mondo. «La sfidaè realizzare un vero e proprio magazineogni giorno, avendo solo sei-otto ore ditempo anche per dargli il miglior appealgrafico possibile». Questo significa co-pertine illustrate o con rielaborazioni fo-tografiche, create dal nulla in poche ore.E poi c’è la sfida digitale con un sito web,www.guardian.co.uk, che Mark Porterha curato nei dettagli, perché superassei limiti che internet porta, per esempionell’uso delle font, e perché fosse fun-zionale e bello da vedere come il gior-nale di carta.

C’eranoi giornalitradizionalie i tabloid:dovevamoprendereil megliodi entrambi

Per teneredestal’attenzionedel lettore,abbiamoscelto di offrirgli una sorpresaa ogni sfogliodi pagina

Per vedere più pagine consultare il sito www.markporter.com

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W. M A R I O T T I F. F R A N C H I

Nel curriculum di Walter Ma-

riotti, laureato in filosofia teore-

tica, ci sono collaborazioni con Il

Giornale, Vita, Ideazione, Libero,

Campus e Class, di cui è stato vi-

cedirettore e in seguito condiret-

tore. Tra il 2006 e il 2007 è

direttore responsabile de I viaggi

del Sole, per passare poi al quoti-

diano di Confindustria dove è re-

sponsabile delle nuove iniziative

e ideatore del magazine IL- Intel-

ligence in Lifestyle.

Francesco Franchi è editorial e

information visual designer. Dal

2008 lavora a Il Sole 24 ore come

art director per il magazine IL-

Intelligence in lifestyle. Prima ha

lavorato per 5 anni come senior

designer nello studio milanese

Leftloft dove si è occupato di de-

sign della comunicazione, pro-

getti editoriali e infografica.

stato definito «Monocle sotto steroidi»(sono parole di Mark Porter, che ha ag-giunto «ma infinitamente più eccitante,e con il senso dell’umorismo»). In effetti,nel background che ha portato alla crea-zione di IL, mensile al maschile (ma nonsolo) de il Sole 24 Ore, c’è anche la pre-stigiosa e innovativa rivista londinese.Ma non solo: come il direttore WalterMariotti e l’art director Francesco Franchihanno spiegato al pubblico di Roma e diMilano, le radici del pluripremiato pati-nato italiano affondano lontano. Fin daitempi delle riviste popolari anni ’60 e’70, da Epocaa L’Europeo. «La loro carat-teristica era un design semplice ma dalforte impatto» ha spiegato Mariotti,«con elementi tipici del formalismo sviz-zero, tipografia semplice e titolazionenera e preponderante, per un’estetica vi-siva molto bold. Molta enfasi era dataanche al forte uso delle fotografie». Uno dei due caratteri usati, quasi d’ob-bligo, si richiama a quel periodo, comeha spiegato Francesco Franchi: «L’Akzi-denz Grotesque, originariamente dise-gnato nel 1896, è un sans serif

È

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autorevole ed elegante, con il saporedelle font disegnate a mano». La se-conda font del giornale invece è il Pu-blico, disegnato da Paul Barnes eChristian Schwarz nel 2007: «È pulito,contemporaneo ed elegante, e ha unavasta gamma di pesi». Anche la grigliaarriva dal passato: è stata progettatadallo svizzero Karl Gerstner nel 1962 econsente di suddividere lo spazio da duea sei colonne, mantenendo sempre lastessa unità di spazio tra una colonna el’altra. Lo stesso stile della copertina èuna riproduzione contemporanea diuno stile anni Sessanta: la testata è inuna forma rettangolare, con il colore chepuò variare e con un rettangolo rosa, lostesso colore della carta de il Sole 24 Ore,proprio per richiamare il quotidiano diriferimento. A testimoniare il fatto chenessun dettaglio è lasciato al caso, lacosta della rivista riporta una texture diabito maschile. «Vogliamo che sia unarivista da collezionare» ha sottolineatoMariotti.All’interno, la divisione in colonne cam-bia a seconda della sezione del giornale,la cui scansione di argomenti è assolu-tamente improntata all’originalità. Siparte dalle quattro colonne di Green Re-port e Global Report, dove la carta as-sume di nuovo il colore rosa delquotidiano, dove sono numerosi gli ele-menti inseriti in ogni pagina (propriocome in un quotidiano), dove si ospi-tano gli articoli di autorevoli opinionistiinsieme alle notizie dai quattro angolidel mondo. E dove si fa un uso intensodelle infografiche: da quelle piccole cheservono da elemento grafico, ma anche

di approfondimento delle notizie, aquelle molto grandi, che diventano unservizio giornalistico a sé stante. «Ognimese pubblichiamo almeno una doppiapagina infografica» ha spiegato Mariotti.«Scrivere non basta più perché la tecno-logia della parola sta subendo una nuovaristrutturazione verso linguaggi molte-plici. È la grande lezione del nostrotempo, tornare a combinare linguaggiper aumentare la comprensione». «Cer-chiamo sempre soluzioni innovative allesemplici proiezioni geografiche, per lenostre infografiche» ha aggiunto Fran-cesco Franchi. Per esempio scompo-nendo un planisfero per evidenziaremeglio l’incidenza delle line ferroviariead alta velocità, Stato per Stato. A pro-posito di cura dei dettagli, anche i nu-meri di pagina, in questa sezione,diventano veicolo di informazione, tra-sformati in piccoli sommari in cui il nu-mero diventa un dato a supporto di unanotizia. Più avanti, nello sfoglio del gior-nale, si trova anche la sezione X Files,dove la pagina è racchiusa in una fintacartellina, da archivio segreto. Lasciatala sezione “rosa”, la rivista si trasforma inmagazine di lifestyle, senza dimenticarela mission, come ha detto Mariotti, di«trattare in modo hard le notizie soft».La gabbia, all’apparenza rigida, si rivelain queste pagine assai adatta anche allavalorizzazione delle immagini.Una piccola rivoluzione, quella di IL, inun panorama come quello italiano, chei lettori hanno mostrato di apprezzare:secondo un sondaggio, il 26% di loropensa che il punto di forza sia la graficae il 20% le infografiche.

Scrivere nonbasta più.La grandelezione delnostro tempoè tornarea combinarei linguaggi per aumentare la comprensione

Ci ispiriamoalle rivisteanni ’60dal designsemplicema dal forteimpatto

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