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1 SOLSTIZIO D’ESTATE 2013 MEDITERRANEAN INTERNATIONAL GRAN LOGGIA GRAND LODGE MEDITERRANEAN DI SICILIA GRAND LODGE Il Rito Scozzese Antico e Accettato per la Giurisdizione del Mediterraneo – Rosae Crucis Ordo Mediterranean Jurisdiction, ha celebrato la ricorrenza del Solstizio d’Estate 2013 in un Convento allo Zenit del Mediterraneo. Hanno preso parte il Corpo Massonico Rituale, i Gran Maestri e i Maestri Venerabili della Mediterranean Grand Lodge, della Gran Loggia Nazionale degli Antichi Massoni d’Italia, della Female International Mediterranean Grand Lodge, della International Mediterranean Grand Lodge e della Gran Loggia di Sicilia.

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SOLSTIZIO D’ESTATE 2013

MEDITERRANEAN INTERNATIONAL GRAN LOGGIA GRAND LODGE MEDITERRANEAN DI SICILIA GRAND LODGE

Il Rito Scozzese Antico e Accettato per la Giurisdizione del Mediterraneo – Rosae Crucis Ordo Mediterranean Jurisdiction, ha celebrato la ricorrenza del Solstizio d’Estate 2013 in un Convento allo Zenit del Mediterraneo. Hanno preso parte il Corpo Massonico Rituale, i Gran Maestri e i Maestri Venerabili della Mediterranean Grand Lodge, della Gran Loggia Nazionale degli Antichi Massoni d’Italia, della Female International Mediterranean Grand Lodge, della International Mediterranean Grand Lodge e della Gran Loggia di Sicilia.

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Document of Supreme Council of the 33rd:. grade of the Sovereign Grand Inspector Generals

of the ANCIENT ACCEPTED SCOTTISH RITE for the Mediterranean Jurisdiction

ROSAE CRUCIS ORDO Mediterranean Jurisdiction

Dare “un” senso al presente

L’impiego di una definizione come “crisi umana e sociale” potrebbe

configurare, in prima istanza, l’adozione in chiave retorica di una

figura il cui uso, spesso incongruo nella nostra epoca, induce talora

ad una pianificazione dell’umano pensiero che spesso giunge alla

costituzione di una sorta di archetipo collettivo in cui supinamente

vengono deposte e mummificate tutte le potenzialità di azione

singola e/o collettiva.

Qualsiasi asserzione o considerazione, per quanto lapidaria e concisa

possa essere, rimane terminologicamente afinalistica, gravata di

pura e mera gratuità, se non si attivano tutte le procedure necessarie

di individuazione deterministica, di ricerca delle cause, anziché

mettere in campo la codificazione di luoghi comuni in grado solo di

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denominare sterilmente gli effetti che inevitabilmente si riverberano

sui servi passivi di tutto un insieme di poteri, di forze impositive,

non sempre manifeste, anzi spesso occulte.

La logica attuativa di questi poteri “forti” è sempre più basata su un

grado di scientificità tale da non consentire apparentemente

l’edificazione di alcun argine, la strutturazione di bastioni difensivi

necessari per la legittimazione e l’attuazione di un’architettura

sociale pienamente liberale e democratica.

Secondo le teorie, peraltro sempre attuali, del sociologo Max Weber,

il potere, nella sua accezione negativa, è da considerarsi come la

capacità di un attore sociale di esercitare un controllo sul

comportamento degli altri attori, anche senza il consenso di questi

ultimi, condizionando le loro decisioni. Questa tipologia di potere

coincide con la ricchezza, il prestigio, lo status sociale, la forza

numerica e fisica, l’efficienza organizzativa, tutti fattori che

procurano un vantaggio di tipo elitario.

Il vantaggio, infatti, che deriva dall’esercizio senza limiti e senza

confini del potere volge solo a favore di pochi “eletti” e non

dell’intera collettività, concetto su cui si basano peraltro le moderne

teorie sociologiche neoelitiste, secondo le quali vi è una forte

concordanza di interessi tra le organizzazioni economiche, politiche

e militari.

Questa convergenza di interessi fa sì che il potere politico sia solo

formalmente ed apparentemente democratico, mentre in realtà esso

è rigidamente oligarchico: vi è una sola classe dirigente, composta da

imprenditori, politici e militari, che prende liberamente le proprie

decisioni senza che vengano completamente sottoposte ad un

effettivo controllo popolare.

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Una siffatta architettura sociale non è da considerarsi, come spesso

si crede, quale frutto di spontanei, ineluttabili corsi storici che

vengono gestiti fortuitamente da un “caso” che non si sa e non si

conosce.

Il piramidalismo sociale nasce su principi ben precisi che la corrente

sociologica dell’elitarismo sociale schematizza nelle cosiddette regole

delle tre C:

Consapevolezza: i membri della classe di potere sono consapevoli

delle loro comuni posizioni politiche, sociali ed economiche e dello

stato frammentato della collettività.

Coesione: a differenza della gente comune, i membri della classe

dominante si alleano e si organizzano.

Cospirazione: i membri della classe di comando mascherano il loro

governo sulla massa, nascondendo il fatto che vi sia un'élite al

potere.

La logica dell’ “imperio” trova humus favorevole nella quasi totale

assenza di potere analitico, di capacità osservative e meditative, di

atteggiamento critico da parte della base piramidale, le cui capacità

estrinsecative sono fortemente condizionate da moti suggestivi, da

fremiti emotivi che nella scala delle rappresentazioni umane

rappresentano elementi istintuali e ancestralmente primitivi.

Le spinte sociali che le tecnologie avanzate hanno determinato sono

caratterizzate dalla genesi di un inviluppo dell’umano pensiero dove

l’ “homo sapiens sapiens”, dotato di funzioni che gli consentirebbero

di cogitare e quindi di discernere, ha riceduto il passo all’ “homo

sapiens idaltu”, sottospecie meno evoluta sotto tutti gli aspetti,

anche sotto il profilo della organizzazione sociale e politica.

Questo atteggiamento riduttivo può in alcuni casi, non pochi in

verità, giungere sino all’ “homo ludens”, uomo abulicamente

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inattivo, edonisticamente avviluppato nelle sue scelte momentanee e

passionali.

Si vengono così a configurare due sistemi sociali nettamente

contrapposti non solo sotto l’aspetto puramente tipologico, ma

anche e soprattutto sotto l’aspetto organizzativo e comportamentale,

fattore che catalizza ed amplifica notevolmente le possibilità e le

capacità di azione dei detentori dei poteri “forti” che sempre più

capillarmente hanno esteso il loro predominio dai macrosettori

anche ai microsettori, costituendo così un sistema unico,

globalizzato che annulla gli spazi ed i gradi di libertà del mondo

sottostante, erigendo in tal modo un vero e proprio sistema di

ingabbiamento sociale, di costipazione mentale, di impotenza

fattiva.

Questa ottica di pensiero è comunque unilaterale in quanto non

tiene conto di un versante sociale positivo che, se pur formato da

singole ed isolate realtà, non ha ancora maturato la cosiddetta

coscienza d’essere, non ha ancora assemblato, se non sparutamente,

un fronte coeso e solido di rivalsa che possa finalmente ricentrare il

vero ed unico asse di rotazione del mondo che non può che essere

l’UOMO, dove con la parola uomo non si deve assolutamente

intendere un insieme organico di apparati funzionalmente attivi che

vengono passivamente proiettati nella figura dell’animale sociale.

Il concetto diviene salvifico se il “core” verrà invece individuato

nell’essenza non organica, bensì spirituale, insita ad ogni essere

vivente, riuscendo a scompaginare l’ateismo materialistico ed

elevando invece la trascendenza che ogni singolo “io” possiede.

L’evidenza dei fatti attuali conduce quasi inevitabilmente allo

scoramento, ma è opportuno ricordare che “nam et nostris militibus

spem minuit et hostes ad pugnam alacriores effecit”, cioè che “infatti

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diminuì ai nostri soldati la speranza e rese più feroci i nemici in

battaglia”: la perdita della speranza e la mancanza di coraggio nel

combattimento, di qualunque genere esso sia, rende più forte e più

potente il nemico, lo rivitalizza e gli conferisce legittimità di azione.

In una siffatta ottica è improrogabile il ripristino di un “io” cosciente

e giudicante, mediante una “ascesi intellettuale delle emozioni” che

consenta non solo una visione la più possibile obiettiva e tendente al

vero, ma anche una proiezione dinamica della concettualizzazione

teorica.

E’ insito allo spirito massonico l’assunzione e la maturazione di

concetti ideologici la cui “elevazione” richiede inevitabilmente

l’inserimento nel quadro critico della conoscenza.

E’ necessario più che mai un recupero di un autocontrollo della

conoscenza che non deve essere influenzata da pregiudizi contestuali

o da opinioni collettive.

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La Civiltà del vivere

“Occorre essere consapevoli che la Massoneria, per essere “guida”,

ritorni ad essere “forte” nel mondo, e che sia contemporaneamente

spirituale e speculare. La specularità della Massoneria non

raggiunge obiettivi se non c’è Massoneria spirituale.

Il progetto per la convivenza dei popoli nel Mediterraneo e nel

mondo è il Nuovo Umanesimo. È l’unico progetto sociale che può

riunire popoli diversi, partendo dal Mediterraneo per raggiungere

tutti i Paesi della Terra.

Sono anni e anni che la Massoneria non è punto di riferimento. La

Massoneria è stata incisiva nell’era industriale perché l’Inghilterra

aveva influenza in Europa. Negli Stati Uniti, nell’era moderna, la

Massoneria è stata piattaforma di cambiamenti perché riusciva a

diramare ovunque i suoi principi. Oggi si deve costituire un’altra

Massoneria, che è quella del Mediterraneo, la sola che può essere in

grado di unire e non dividere.”

Occorre partire da questo passaggio contenuto nel documento “La

Civiltà del vivere” dell’ANCIENT ACCEPTED SCOTTISH RITE for

the Mediterranean Jurisdiction ROSAE CRUCIS ORDO redatto in

occasione del Solstizio d’Inverno 2012 per affrontare le

problematiche del presente. Partire da una base di pensiero comune

ancora non pienamente attuata, ma che richiede l’impegno di tutti

noi massoni e di quanti possono, nel mondo profano, apportare in

tal senso il loro prezioso contributo. Lo stesso documento del 2012

riportava poco dopo le seguenti parole:

“Il nostro mondo di fronte agli attuali sconvolgimenti ha bisogno di

un governo delle culture che renda praticabile la convivenza tra le

Civiltà, con l'ausilio determinante del pensiero filosofico, culturale,

economico e sociale del Nuovo Umanesimo. Il patrimonio

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dell'Umanità deve essere governato umanisticamente: lo Spirito del

singolo Uomo deve incidere sulla crescita di tutti gli Uomini.

Riteniamo di enorme importanza l'unione delle principali Scuole di

pensiero”.

Il genere umano ha, per sua natura, paura dei cambiamenti,

soprattutto quando questi riguardano non piccole abitudini ma

grandi sconvolgimenti. Si tende addirittura a credere che gli

sconvolgimenti rappresentino una sorta di “punto di non ritorno”, di

fine del mondo, quasi. Ma la Massoneria Universale, può temere

questo? No, ragionevolmente è pensabile che la situazione che il

mondo si trova ad affrontare in questo momento di grandi

sconvolgimenti porterà a nuove alleanze e a nuove abitudini. Forse

però non sarà tutto rovinoso per i destini del mondo. Che mondo è

un posto dove giovani e meno giovani sono schiavi di tecnologie che

usano senza comprenderne a fondo il vero significato? Forse

ridimensionare certi “status” non è in sé del tutto negativo.

Un mondo che urla alla censura operata nel la forma più efficace:

non nascondere più nulla. Semplicemente con un surplus di

informazione in cui la notizia (qualunque essa sia) viene servita in

tutte le sue varianti. Talmente vera da apparire falsa e/o talmente

falsa da apparire vera. È vera censura o forse mostra solo l’incapacità

di discernimento che dovrebbe essere tipica invece dell’intelligenza

umana?

Cosa fare in una situazione del genere dove tutti credono che pochi

dominano il mondo (e presumibilmente è vero) e nessuno

comprende che il dominio è di scienziati e poteri economici?

Possiamo pensare che il mondo non sarà capace di rigenerarsi se la

Massoneria Universale (e in particolare la Giurisdizione del

Mediterraneo, centro di questi sconvolgimenti) riuscirà a

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compattarsi e assumere quel ruolo di guida per il Bene dell’Umanità,

che ne è vero fondamento? Questa è presumibilmente la “via”: non

temere il cambiamento ma prendere il comando del timone

sfruttando proprio le stesse tecnologie che lo stanno determinando.

Non è facile, ma nemmeno impossibile.

“Impossibile” è il termine di chi non vuole operare per il Bene.

Sempre tenendo presente che bianco e nero costituiranno sempre

l’eterno contrasto dell’Umanità.

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Dare “un” senso al presente

Per potere programmare consapevolmente “un” futuro, occorre dare

“un” senso al presente.

Questo presente è stato raggiunto (composto?) da mille e mille

eventi, alcuni appariscenti, la maggior parte sotto traccia dei quali, a

volte, si avvertono ripercussioni nella realtà senza che se ne

intravedano le origini. Questi eventi hanno costituito un

cambiamento? “Il cambiamento - sosteneva Robert Kennedy - è la

legge dell’esistenza”, definizione applicabile ad una realtà ormai

superata da decenni. Oggi i termini sono capovolti poiché è

l’esistenza stessa dell’individuo che è costretta ad adottare i

cambiamenti, spesso non valutando pienamente i rischi che

comporta una trasformazione non mirata a obbiettivi preordinati. Il

cambiamento è una “costante” certa nella vita dell’Uomo:

paradossalmente è l’Uomo stesso che oggi si trova non pronto ai

cambiamenti personali, impreparato ai mutamenti collettivi. E’

questo il risultato più evidente di una globalizzazione che ha

cancellato in un solo colpo il concetto di “limite” senza creare

“regole” per un tutto che tende a sfuggire a qualsiasi

razionalizzazione del fare. Altra conseguenza è la costante del

presente: l’incertezza, che è stravolgimento radicale del presente di

ieri. Il “cambiamento”, dunque, è veramente avvenuto, o fino adesso

si è trattato solo di “trasformazione”?

Cambiamento? E’ il mutare, il “tramutare” una cosa in un’altra, il

“sostituire” una persona ad un’altra, è il “trasformare” o modificare.

Date il significato che volete al termine “cambiamento”, ma alla base

c’è una “decisione”. Sosteneva Aldous Huxley: “La realtà non è ciò

che ci accade, ma ciò che noi facciamo con quel che ci accade”.

Ebbene, tante cose, forse troppe, sono accadute negli ultimi anni,

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tanti avvenimenti hanno insidiato il corso della vita individuale e

collettiva: ne abbiamo subito e ne subiamo gli effetti, ma di certo

non possiamo affermare con certezza cosa è che ha provocato gli

eventi che hanno dato un indirizzo diverso allo stato delle cose, né

chi li ha messi in moto. Allora la necessità primaria è capire cosa è

accaduto e cosa sta accadendo, proprio per dare un senso al presente

e riuscire a guardare avanti. Per fare ciò bisogna individuare la

natura complessiva degli eventi che si sono verificati nella loro

essenza e comprendere se il tutto è avvenuto spontaneamente,

casualmente, inevitabilmente, oppure al contrario.

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La democrazia è imperfetta?

La “democrazia”, per come la conosciamo, non ha eliminato le

disuguaglianze sociali, la povertà alligna anche nei Paesi più floridi,

l’autoritarismo spesso si nasconde dietro leggi e regole

costituzionali: inevitabile, a volte, l’accentramento del potere in una

“maggioranza” costituita e riconosciuta, che impone la sua morale ad

una “minoranza”. Oggi, la democrazia si confronta con la sua crisi

più acuta a livello globale. Non c'è Paese al mondo oramai in cui non

sia alta la sfiducia nei confronti dei rappresentanti eletti

democraticamente, anche per responsabilità proprie degli stessi, e

dove non venga chiesto a più voci un superamento del concetto

stesso di rappresentanza, per giungere ad un'idea di democrazia

diretta compiuta. È singolare, però, notare come a capo di questi

movimenti si trovino spesso i rappresentanti delle oligarchie

economiche e finanziarie che, più o meno direttamente, soffiano sul

fuoco delle proteste ed illudono “il popolo” che nuovi mezzi, come il

fin troppo mitizzato Web, siano la panacea di tutti mali. Ad oggi non

v'è certezza che si possano ottenere gli stessi risultati di controllo

nei confronti dei gestori della cosa pubblica semplicemente

schiacciando dei tasti di un computer, e il rischio di questa deriva è

invece proprio quello che molti cittadini infatuati dai nuovi pifferai

vogliono scongiurare, ovvero il consolidamento di oligarchie senza

controllo e senza responsabilità. La politica della “forza”, del “più

forte” (in termini numerici) non sempre riesce a dare i risultati

sperati e l’equilibrio diventa utopia, una meta che non si raggiunge.

La democrazia attuale spesso si riduce all’eliminazione delle

opposizioni non simboliche, trasformandosi, anche suo malgrado, in

regime. La persistenza delle “imperfezioni” di un sistema

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democratico può spingere un Paese a momenti di anarchia con

picchi di fibrillazione che possono sfociare in ribellioni violente.

Il filosofo Eric Weil afferma che “la democrazia è una dottrina che

fissa lo scopo a ogni Governo”, ma subito si chiede “come bisogna

fissare questo scopo?”, e ancora “non può esserci democrazia in una

nazione che non sia unita da valori comuni e che non riconosca

alcuni scopi come desiderabili”. La conseguenza: “Un popolo

incapace di dare vita a un Governo che agisca in vista di interessi

nazionali – o meglio, incapace di determinare questi interessi e di

istituire un Governo capace di difenderli – un tale popolo è destinato

alla dittatura (non democratica) o comunque alla perdita della

propria indipendenza”.

I limiti della democrazia sono noti, le illuminate formule “Governo

del popolo fatto dal popolo per il popolo” (Lincoln), “liberté, egalité,

fraternité” sono soluzioni di “dottrina” che mostrano oggi

insufficienza nella pratica applicazione, anche in virtù delle nuove

spinte oligopolistiche.

Di fronte alla crisi di lungo periodo che investe l’Occidente pesanti

accuse vengono rivolte alla “democrazia”, identificata nelle

Istituzioni di Governo, ritenuta, da una parte, troppo permissiva,

dall’altra troppo autoritaria e accentratrice: la protesta scaturisce

costantemente dai fattori che accomunano collettività diverse, Paesi

con culture non omogenee, ma sopraffatti da identiche contingenze.

All’origine della catena del malessere il progressivo e rapido

indebitamente delle famiglie, la mancanza di lavoro, le economie

instabili. Processi accelerati da quella che sembra ai distratti

osservatori un'incontrollata e incontrollabile globalizzazione.

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L’instabilità

L’instabilità crea, a sua volta, ulteriore instabilità.

La logica circocentrica, che nel trittico terreno di scontro trova la sua

massima espressione, prosegue i preparativi per l’approssimarsi del

titanico confronto valutario.

Infatti, da un lato - quello occidentale - taluni si preparano ad

esultare per il raggiungimento dell’ennesimo obbiettivo intermedio,

relativo alla “finanziarizzazione dell’economia globale”; esso si

manifesterà profanamente quando raggiungerà la sua massima

penetrazione, ovvero, quando le due piramidi occidentali saranno

asimmetricamente capovolte e, incontrandosi in quel punto,

diverranno perfettamente complementari.

Dall’altro, invece - quello orientale - spinti dalla diversa struttura

sociale ed economica e dalle differenti necessità (derivanti da un

percorso storico che lo ha distinto), concentra le sue attenzioni su

quella che è la corsa verso le materie prime, preparandosi al grande

appuntamento con la storia, come ciclicamente avvenuto, con la sua

“Finanzaurea”.

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La “Primavera araba”

Diversi Paesi dell’area del Mediterraneo, regioni del Medio Oriente e

del vicino Oriente negli ultimi tre anni sono stati protagonisti di

ribaltamenti che possono considerarsi epocali, qualunque sia stata la

loro reale natura. Quanto è accaduto è stato retoricamente definito

la “primavera araba”. Proteste ed agitazioni, cominciate alcune già

durante l'inverno 2010/2011, hanno cancellato governi ritenuti

dittatoriali, altri tentativi sono tuttora in corso: i Paesi

maggiormente coinvolti dalle sommosse sono stati l'Algeria, la

Tunisia, il Bahrein, l'Egitto, la Libia, lo Yemen, la Giordania, il

Gibuti e la Siria. Queste “rivoluzioni” in Occidente sono state definite

“Primavera araba”, ma nei luoghi interessati tale definizione non è

conosciuta, né “riconosciuta”: per coloro che hanno vissuto quegli

avvenimenti si è trattato di “rivolte”. Le cause “scatenanti”? La

corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti

umani e le condizioni di vita molto dure, fattori che sino ad ora, a

fatti conclusi, sono rimasti pressoché eguali. L’area del “mutamento”

è ancora in forte fibrillazione, lontano un assestamento di pace,

lontanissimo un equilibrio socio-economico. Il risultato concreto

delle ribellioni: quattro capi di Stato sono stati costretti alle

dimissioni o alla fuga. In Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali il 14

gennaio 2011, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio 2011, in Libia

Muammar Gheddafi che, catturato, è stato ucciso dai ribelli il 20

ottobre 2011 e in Yemen Ali Abdullah Saleh il 27 febbraio 2012. Ma

oggi, tirando le somme, il consuntivo più appariscente della

cosiddetta “Primavera araba” è una instabilità che si allarga ad

“effetto domino” e che nel percorso genera nuove incognite per il

futuro. Nessuna aspirazione dei manifestanti è stata presa in minima

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considerazione e alle dittature si sono sostituite oligarchie, spesso

venate da un fanatismo religioso che lascia ben poco sperare in un

futuro di progresso per quei popoli.

E ciò che accade in Siria? C’è chi sostiene che in quello Stato si

combatta la “prima guerra mondiale locale perché vi sono coinvolte

le massime potenze planetarie e regionali”. Infatti, a dare man forte

ai ribelli contro il regime di Bassar al-Assad ci stanno Stati Uniti

d’America, Gran Bretagna e Francia, fronteggiati da Russia e Cina.

Anti Assad sono Turchia, Arabia Saudita, Qatar, a favore Iran e

Hizbullah libanesi. Una situazione incandescente sempre sull’orlo di

una deflagrazione, alla fine poco controllabile dagli stessi soggetti

coinvolti. Quali interessi muovono grandi e piccole potenze a

intervenire su questo scenario? Non certo spirito umanitario, ma

sicuramente sfide fra potenze che vogliono espandere o consolidare

la loro area d’influenza. Semplicisticamente si può dire che è in atto

una destrutturazione socio-geopolitica dove lo scontro fra i

protagonisti è strumentale. Il rischio maggiore è che da una “guerra

mondiale locale” si possa passare ad una “guerra mondiale

mediorientale”, dove a tirare le fila sono sempre gli interessi delle

grandi (e piccole) potenze. E poi basterà poco per scatenare una

nuova guerra mondiale. Si illude chi ritiene ancora che dalla

“primavera araba” potranno “germogliare cento rose democratiche”.

La destabilizzazione, quale che sia il finale e come si è potuto notare

dagli sconvolgimenti già avvenuti, porterà soltanto a una

redistribuzione del potere a favore di nuovi leader che creeranno

nuove alleanze o rafforzeranno quelle esistenti, a seconda di come si

chiuderà il conflitto. I “vincitori” saranno sempre gli stessi, in prima

persona o in delega.

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La crisi in Europa

Doveva essere l’Europa dei popoli (reali e fratelli) e delle regioni:

invece sempre più è l’Europa dei finanzieri (virtuali e squali) e delle

banche.

Doveva essere l’Europa della cultura e della pace: insipienti ed

arroganti capi di stato hanno rinnegato millenni di storia per

confinare la cultura negli angusti e “sterili” pascoli dell’Illuminismo

ed hanno subdolamente incoraggiato ed affrontato guerre (ad

oriente ed al meridione).

Doveva essere l’Europa della libertà e del dialogo: liberi di essere

miseri servi o poveri schiavi? Parlare per assentire al verbo di chi

può e chi ha?

Doveva l’Europa essere il ponte tra oriente ed occidente, tra

settentrione e meridione; il faro di luce e verità e luce per tutto il

mondo; la fucina creativa ed il motore propulsivo di pensieri ed

azioni aventi come fine unico ed ultimo la fratellanza, luce, la verità,

la giustizia, il massimo benessere dell’umanità, la gloria del Grande

Architetto dell’Universo.

Doveva l’Europa restituire al Mediterraneo il ruolo storico e

connaturato di culla dell’umanità, di centro stabile e permanente del

nuovo ordine mondiale dell’uomo e per l’uomo: una culla per ora

devastata, un ordine trasformato in disordine.

Doveva l’Europa rivolgersi a tutte le genti del mondo e mostrarsi

sensibile alle sofferenze ed ai pericoli di tutti i popoli, come individui

e come nazioni: si ragiona ancora in termini di chilometri di

distanza.

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Doveva l’Europa far sì che tutte le tecnologie fossero al servizio

dell’Uomo, dell’Umanità: si stanno rapidamente evolvendo (specie

internet) in armi di controllo, coercizione, violenza.

Nazionalismi mai sopiti, voglie di grandeur e di revanche,

individualismi ed egoismi incontrollati, smisurate ambizioni di

potere e di ricchezza hanno corrotto i singoli ed avviato gli Stati

(soprattutto i centrali) verso un neocolonialismo globale, che non

conosce fratellanza e che non vede gli uomini, che sembra urlare

“danaro e potere valgono bene l’instabilità globale”, che abusa di

forme lessicale incomprensibili ai più in una nuova babele mondiale.

Il quadro dell’attuale Europa ci mostra una crisi che sembra essere

senza fine e che è la più grave degli ultimi due secoli. Einstein

affermava: “Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni

è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita ai propri problemi”.

Frase significativa ma inadattabile ai tempi odierni perché i termini

della questione appaiono ribaltati: sono persone e nazioni che

provocano i “problemi” e che propongono poi “soluzioni e vie

d’uscita” di parte, spesso con condizioni inaccettabili e difficilmente

affrontabili.

Gli sconvolgimenti, o meglio, le “modalità” degli sconvolgimenti che

si sono verificati nei Paesi dell’area sud del Mediterraneo (quelli che

hanno portato alla cosiddetta “Primavera araba”) non era possibile

applicarli nel Continente Europa. La “violenza”, così, assume

“naturalmente” forme diverse a seconda del quadro sociopolitico di

una singola Nazione o del complesso delle Nazioni che compongono

la Comunità Europa.

Gli “strumenti” dello “sconvolgimento” per cambiare uno stato di

cose fortemente radicato viene modificato e “adattato”, se pur la

motivazione apparente che determina lo sconvolgimento è, più o

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meno, identica: corruzione, condizioni di vita molto dure, mancanza

di lavoro, precarietà nella libertà individuale, violazione dei diritti,

restano un denominatore comune. In Europa oggi le proteste hanno

carattere politico e solo in rari casi circoscritti assumono toni di

violenza estrema. Il malessere si manifesta con “reazioni” politiche e

con aspetti a volta marginali, se pur appariscenti, nell’ambito di una

pesante crisi economica e sociale che investe un Paese.

Non si intravedono gli obiettivi dei governanti (della politica, cioè)

così enormemente coperti da tante trasversalità palpabili ma non

individuabili nella loro origine. Tangibile è il risultato: l’instabilità.

Una instabilità “non stop” che disorienta e crea indecisione. Una

situazione allarmante che sembra non toccare mai chi sta al vertice.

In Europa è l’Italia il primo grande Paese dell'Unione che viene

scosso dall’incalzare di eventi politici ambigui, dalla devastante

disoccupazione, chiaro sviluppo di una crisi economica attribuibile

principalmente a chi ha avuto responsabilità di Governo, dalla

mancanza di punti di riferimento certi e da regole disattese anche da

parte di coloro che avrebbero dovuto farle applicare. Dopo le prove

generali in altri Paesi dell'area del Mediterraneo gli apprendisti

stregoni delle oligarchie finanziarie sembrano volere esercitare

sull'Italia le loro maggiori pressioni. E i risultati sono sotto gli occhi

di tutti. L’astratto incanto di una unità ritrovata si è spento con le

ultime celebrazioni del 150° anniversario: il Paese è tornato ad

essere un insieme di territori che non riescono a ritrovarsi in

un’unica identità-patria, il sentimento nazionale sfociato nei

regionalismi più cupi. Lo scenario comune è la crisi che coinvolge

tutti, l’unica risorsa della società (fino a quando?) è la famiglia, tutto

il resto va sotto l’etichetta della sfiducia globale verso ogni forma di

Istituzione. Un quadro a forti tinte dal quale è necessario e urgente

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attingere una prospettiva per aprire un nuovo percorso che conduca

all’imminente domani. Senza la consapevolezza di ciò che

rappresenta e sta rappresentando il presente, non c’è passo in

avanti.

Ha affermato il professore Carlo Donolo: “Occorre superare l’attuale

distacco che esiste tra i processi che conducono a una centralità dei

saperi e gli assetti che caratterizzano la democrazia. Oggi siamo di

fronte a una situazione di sfiducia nelle istituzioni, di conflitti

d’interesse, di pressioni lobbistiche nei processi decisionali che

entrano in forte contrasto con il processo riflessivo che dovrebbe

portare a una democrazia cognitiva, basata sull’accesso alla

conoscenza e sulla condivisione delle idee”.

Il mondo oggi procede in maniera veloce, troppo veloce, volgendosi

in una dimensione che non ha mai affrontato, il buio è più vicino di

quanto si creda. L’uomo con il suo egoismo, con le proprie ambizioni

allontana la fiducia, tende a cancellare la speranza: a pagare per gli

errori perpetrati saranno gli stessi figli dei padri sconsiderati. Non

può esistere dialogo senza la consapevolezza di un percorso che

conduca all’equilibrio, senza una presa di coscienza di ciò che

rappresenta il presente, se si vuole trovare una soluzione alla crisi.

Sembra proprio che chi tira i fili del Nuovo (dis)Ordine Mondiale sia

un fedele cultore della massima maoista dei tempi della cosiddetta

Rivoluzione Culturale cinese “Grande è la confusione sotto il cielo:

quindi la situazione è eccellente”. Ma fin quando si potrà tirare la

corda?

Ed allora che fare? In questo momento storico di transizione il cui cammino è verso un

nuovo ordine e un nuovo sistema di relazioni internazionali,

caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati dell’economia e

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della finanza, nonché dalla nascita e dalla proliferazione dei

localismi, si impone, in primis, all’Europa e, poi, agli Stati che la

compongono l’adeguamento delle proprie motivazioni esistenziali e

della propria organizzazione in funzione del mutato scenario.

Per reagire alle forze disgreganti di livello infra e sovranazionale,

essi devono individuare una nuova “essenza legittimante”, risultato

di una riflessione democratica sul futuro e sulle opzioni nazionali

che non può prescindere dall’analisi storica del vissuto dei Popoli.

E’ noto come la caduta del muro di Berlino oltre a far segnare il

passo alla supremazia Sovietica ha, di fatto, minato anche la

rilevanza strategica, non solo dell’Italia, ma dell’Europa sul

Mediterraneo che rappresenta, ora, un singolo scenario delicato, in

cui le minacce avanzano più rapidamente delle soluzioni.

L’inadeguatezza aggregativa dell’Istituzioni Europee ha lasciato,

così, spazi ad iniziative politicamente inedite di singoli Stati come,

in ultimo, l’inaugurazione a Parigi della “Unione per il

Mediterraneo”1, un organismo internazionale che, ispirandosi

all’Unione Europea, si propone di raccogliere le nazioni che si

affacciano sul Mediterraneo per sviluppare un piano comune volto a

implementare la sicurezza della regione, lo sviluppo economico e lo

scambio culturale tra le società civili dei paesi membri.

Iniziativa questa sicuramente rivoluzionaria rispetto all’attuale

assetto geopolitico internazionale che si intuisce dalla lista dei Paesi

che vi hanno finora aderito: oltre agli Stati membri dell’Unione

Europea, l’Albania, l’Algeria, la Bosnia-Erzegovina, la Croazia,

l’Egitto, la Giordania, Israele, la Libia (come osservatore), il Libano,

il Marocco, la Mauritania, Monaco, il Montenegro, l’Autorità

nazionale palestinese, la Siria, la Tunisia, la Turchia, in cui si delinea

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un’idea spaziale a formazione internazionale anziché a sostanza

comunitaria più o meno evidente e che conforma la convergenza di

interessi e problemi che riguardano l’area marittima mediterranea, il

Mediterraneo, quindi, quale luogo di sperimentazione di una

politica che sia insieme post-nazionale e di rilievo globale, data la

sua centralità geografica e strategica negli equilibri, non solo

economici, planetari.

Mediterraneo, riduttivo definirlo il centro del mondo: è l’anima, la

mente, il cuore del mondo e dell’universo. Tavolette, scritti,

incisioni, rappresentazioni, miti e leggende risalenti a tempi anche

non datati; interpretati o ancora da decifrare, religiosi o profani, a

volte fugaci cenni: ci raccontano di un mondo e di popoli

(mediterranei) che hanno “visto e vissuto”, in qualche modo, la

guerre degli “dei”, dei “mondi” e dei “re” (Abramo) e hanno

“appreso” l’origine del sistema solare “come è” e, forse,

dell’universo.

Separazione ed unione insieme delle terre e dei popoli che su

esso si affacciano e si proiettano; discontinuità e continuità insieme;

pace e guerra; amore ed odio. Ed anche nei rari momenti di

“devastazione e cancellazione” niente è andato completamente

perduto: nascosto, occultato, “rubato” sì, ma perduto no. Centro del

mistero per popoli del “mistero” succedutisi nell’interminabile moto

di un progresso continuo: Sumeri, Accadi, Assiri, Egizi, Minoici,

Israeliti, Etruschi, Fenici, Greci, Romani, barbari diventati europei e

mediterranei, “Arabi”. Tutti protesi al dominio del bacino per

unificarlo: era tutto il mondo di allora, tant’è che fu scritto “toto

orbe in pace composito”.

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Arte, musica, astronomia, letteratura, filosofia, geometria,

matematica, scienze sono stati cullati dal “mare nostrum”. Che deve

essere “Mare omnibus”.

Le tre religioni monoteiste, quelle del Dio Grande ed Onnipotente

e Padre Misericordioso (spesso dimenticato) hanno aperto gli occhi

sul Mediterraneo. Ed alla mitica torre di Babele hanno “forse

inconsapevolmente” trovato rimedio i popoli mediterranei con la

“codificazioni” delle lingue mediante “alfabeti”, alcuni ignoti o poco

noti (ieratico, etrusco, aramaico, arabo, ecc,), altri noti (greco,

romano, e anche il cirillico creato da un monaco per gli “slavi”): e

miliardi di persone possono dialogare perché possono leggere,

tradurre ed imparare.

E con l’ “alfabeto” noi utilizziamo un’altra grande invenzione: la

numerazione “arabica” (su base decimale). Alfabeto e numeri: due

pilastri della comunicazione e della civiltà edificati nel

Mediterraneo.

Dopo i numeri sono seguiti le “matrici” (prima matrice la tavola

pitagorica), il calcolo matriciale, i “calcolatori” e i computers.

Il Mediterraneo: il mare che fisicamente divide e culturalmente

unisce, che fisicamente uccide e spiritualmente dà vita, tomba

nell’odio, culla nell’amore.

Ecco, occorre la proiezione di un’azione sinergica in cui il

Mediterraneo che si contraddistingue per essere un crocevia, un

coacervo di culture, di arti, di visioni politiche anche radicalmente

contraddittorie, conflittuali e incompatibili, divenga l’aggregazione

di innumerevoli paesaggi, mari e civiltà con il superamento delle

tracce, delle cicatrici, e dei segni delle grandi imprese di conquista,

colonizzazione, urbanizzazione, scambio e mediazione che si sono

stratificate nei secoli.

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È evidente come in tale logica si sollecitano gli interventi di tutte le

Istituzioni di sostenere la svolta strategica che consiste nel

trasformare il Mediterraneo in un motore di sviluppo, così

spostando nuovamente il baricentro del Mondo in una regione che

ha conosciuto il declino con la chiusura della via della seta.

Obbiettivo questo che deve essere perseguito sollecitando ad una

presa di responsabilità gli amministratori pubblici che devono saper

guardare oltre il proprio tornaconto politico immediato, investendo

a medio e lungo termine a salvaguardia del bene e del progresso

umano, culturale, economico ed industriale.

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La solitudine del Massone, l’Unione.

La Massoneria? Doveva essere universale; doveva sempre operare

per luce, verità, giustizia, dovere, fratellanza, benessere dell’umanità

e tutte le buone intenzioni: universale non è e pura non è ovunque.

Siamo uomini, siamo soggetti alle tentazioni: potere, denaro,

divertimenti e quant’altro.

Non siamo al punto di non ritorno. Possiamo e dobbiamo

intervenire. Con il nostro agire, con il nostro pensare. E ben si presta

la divulgazione della cultura, della riscoperta del linguaggio.

Ricordiamoci che in effetti si è sempre parlato e si dovrebbe parlare

per concetti: riscoprire il linguaggio è riscoprire i concetti. Questo

non lo vogliono i tecnocrati che ci stanno sommergendo di

“definizioni dogmatiche precostituite”, tendenti a cancellare il

passato e, con esso, il futuro.

In questi anni, come spesso evidenziato, certa massoneria che di

universale ha ben poco, ha distolto lo sguardo da quelle che sono le

sue funzioni primarie, ovvero, “operare” per il bene dell’Umanità.

L’universalità anziché rappresentare il collante dell’insieme, e

dell’azione per il bene collettivo, è stata ad arte mistificata e relegata

a mero strumento di pochi, spesso per la difesa o attacco di

pochissimi.

Tutto ciò ha prodotto uno scollamento d’intenti tra i vertici e la base

che ha alimentato la proliferazione delle comunioni e, al pari del

mondo profano, ha concentrato l’attenzione sul confronto scontro

sulla “posizione” e non nella comunione d’intenti positivi; A codesti

fratelli, ricordiamo che: “l’obbiettivo, il più grande, è il bene

dell’Umanità”.

Ed è in questa chiave, oltre a un pressante invito all’agire,

indichiamo quella che è la normale evoluzione di una linea

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programmatica sviluppata negli anni, sempre per il bene

dell’Umanità.

La via dell’agire? Al fine di poter controbilanciare l’azione

circocentrica che si protrae a livello globale, e che stringe l’uomo in

un individualismo offuscato dalla socialità, opprimendone le idee e

la sua libertà, è arrivato il momento di mostrare l’inverso

circocentrismo; una Via che parta dalla persona e che, attraverso

essa, si manifesti e si compia. Una visione che ha come centro la

Persona, la sua libertà, il suo Io; una contromisura che parte dal

locale e, dal proprio territorio, con l’ausilio degli idonei strumenti

profani, che possa produrre i suoi effetti come fossero i cerchi

prodotti da una pietra quando viene gettata in uno stagno. La

velocità della propagazione sarà massima, i livelli sul quale si dovrà

agire saranno molteplici e in contemporaneità, spinti dalla positività

del suo fine.

Una visione che nel Cuore del Mediterraneo trovi la sua naturale

collocazione e che, attraverso la condivisione della progettualità,

crea e creerà la compartecipazione nell’agire. Una progettualità che è

efficace in una visione locale me che trova la sua massima efficienza

ed operatività in una visione Glocale.

La Massoneria oggi deve interrogarsi su ciò che è stato e ciò che non

è stato. La Massoneria deve ritornare a quei valori che i muratori di

un tempo davano ai principi di onestà, saggezza, fiducia. C’è bisogno

di un salto di qualità non indifferente, occorrono decisioni forte,

come quelle di mettere fuori dalla porta del Tempio coloro che

hanno utilizzato l’Istituzioni solo per tornaconto personale.

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Nel cuore del futuro

Nell’area del bacino del Mediterraneo si gioca l’irreversibile futuro

socio-economico-politico-militare del futuro: la storia dell’ultimo

mezzo secolo scorso lo ha dimostrato, le analisi sugli accadimenti

degli ultimi vent’anni hanno evidenziato lo scenario dei grandi

mutamenti globali.

La Sicilia è il naturale punto geografico di congiunzione tra Europa e

Paesi mediterranei e afroasiatici: è destinata a ricoprire un ruolo

fondamentale nei nuovi equilibri che incominciano a intravedersi.

La storia legata al secondo conflitto mondiale ha ampiamente

dimostrato che il controllo di questa area è basilare per qualsiasi

tipo di predominio, soprattutto quello mirato allo sviluppo dei

rapporti commerciali, a maggior ragione quello tendente al

mantenimento della pace.

Gli accordi fra le grandi Potenze sanciti ad Yalta risultano

largamente superati, la caduta del muro di Berlino, il crollo

dell’Unione Sovietica hanno in seguito mutato radicalmente lo

scenario mondiale., ed infine non è ancora possibile trarre

consuntivi dalle rivolte indicate come “primavera araba” nei Paesi

rivieraschi.

L’importanza della Sicilia come nodo e snodo e anche come anello

di congiunzione a tutti i livelli tra Europa e Paesi mediterranei e

afroasiatici è stata già compresa dalla Cina e dalle nazioni arabe: i

forti insediamenti di cinesi, arabi e africani fanno vedere

chiaramente che si è già avviato un preoccupante processo di

occupazione stabile del territorio siciliano.

Sia il Governo e la politica nazionale, così come quelli regionali non

sono stati in grado di anticipare questo pericoloso mutamento e non

hanno provveduto a creare strumenti adeguati per fronteggiare la

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nuova situazione. Oggi si incominciano ad avvertire le prime

conseguenze negative con fette di mercato già acquisite da stranieri

(che operano sia in regime di legalità, sia in regime malavitoso)

sottratte alle imprese locali.

La Massoneria italiana, la Massoneria Universale, dal dopoguerra

sino ai giorni nostri è stata ed è assente nell’osservazione dei

fenomeni che riguardano il Paese, così come è stata ed è assente in

un auspicato dialogo con i Corpi massonici delle Nazioni rivierasche

del Mediterraneo, del mondo arabo e della vicina Africa. La

Massoneria italiana non ha tenuto fede ai principi istituzionali

nell’adoperarsi al bene di questa parte dell’Umanità. Non avrebbe,

in ogni modo, potuto farlo così come è vittima di un radicato

frazionamento (probabilmente pilotato e voluto) che le ha impedito

di svolgere un ruolo-guida tanto necessario alle popolazioni da

quando si sono esaurite le ideologie politiche che hanno lasciato

ampi spazi di azione alle più svariate forme di integralismo, e da

quando sono venuti a mancare reali punti di riferimento.

In una situazione così complessa, e nonostante l’assenza di

prospettive positive, per aprire e favorire il dialogo fra i Corpi

massonici del Mediterraneo, da anni è sceso in campo l’ANCIENT

ACCEPTED SCOTTISH RITE for the Mediterranean Jurisdiction,

ROSAE CRUCIS ORDO, che opera attraverso le Gran Logge che ne

costituiscono la base, la Mediterranean Grand Lodge, il Gran Orient

for the Mediterranean, La Female International Grand Lodge, La

International Mediterranean Grand Lodge, la Gran Loggia Nazionale

degli Antichi Massoni d’Italia, la Gran Loggia di Sicilia.

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Questo Documento

Oggi con questo documento rassegniamo agli Uomini di buona

volontà il quadro di una situazione che diventa sempre più critica

perché occorre fronteggiare il dissolvimento e costruire una

prospettiva programmatica in un’area – quella del Mediterraneo –

ad alto rischio, dove è necessario adoperarsi quotidianamente per il

mantenimento della Pace.

Ricordate che i volti profani dell’istituzione Massonica Universale,

possono essere infiniti, nella quantità e nella qualità, e non

necessitano di essere associati a nessuno stendardo. I segni per il

riconoscimento saranno visibili a quanti, e solo a loro, li vorranno

vedere; per il mondo profano saranno “Profani fra Profani”.

Oggi non è più il tempo per dire come doveva essere; È il tempo in

cui l’agire del presente determinerà il vivere domani.

Il Bios è valore e genera valore; La diversità sarà il centro di una

poderosa unicità.

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Accettare e condividere le responsabilità

Questo Documento non vuole essere un appello, né un invito: è una

sollecitazione all’assunzione di responsabilità individuali e collettive.

Molte questioni non sono state sollevate, di certo non per

superficialità o perché meno importanti: se si riesce ad aprire un

dialogo non mancheranno occasioni ed opportunità per un

confronto diretto e costruttivo con l’obbiettivo di ricercare “insieme”

e in “unione” proposte per soluzioni mirate al Bene comune.

Assunzione di responsabilità e impegno ad operare su questo

presente dai mille volti noti e dai mille volti nascosti. Indispensabile

trovare i punti che uniscono, necessario annullare i punti che

possono dividere: questa è una priorità imperativa. Non possono

esserci alibi per l’indifferenza o per la magniloquenza: pari fra pari,

con eguale dignità se pur nella diversità e senza ignorare la propria

identità.

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Per un futuro “possibile” Abbiamo visto che la massificazione della società moderna ha

indotto l'essere umano al livellamento, facendogli perdere quelle

prerogative di artefice della vita che aveva cominciato a conquistarsi

con l'Età dei Lumi, e si era faticosamente mantenuto fino a metà

dello scorso secolo.

Abbiamo anche visto come gli odierni occulti “Cesari” usano ancora

offrire Panem et circenses, per distrarre le masse da quegli “affari”

che debbono restare riservati agli oligarchi posti al vertice della

piramide, oggi mondiale, che tutto controlla muovendo gli Stati

come burattini sotto il giogo di una economia fatta non più da beni

utilizzabili ma da numeri virtuali che vivono di vita propria, almeno

fintanto che l'energia elettrica li alimenterà, lasciando all'homo

sapiens solo l'illusione di essere il gestore delle cose.

E abbiamo ancora visto quanto tutto ciò sia deleterio, non per noi, e

neppure per i nostri figli che pur sono carne della nostra carne, ma

per l'intero pianeta Terra che è in balia della stoltezza umana, e che

sta dando chiari segni di insofferenza che l'uomo si ostina a non

voler valutare.

Ma, Fratelli di tutto il mondo, in questo sfacelo annunciato, noi dove

ci poniamo? Perché, se “chi siamo” ce lo rammenta il nostro

millenario passato e quegli uomini di tutti i tempi e di tutte le

Nazioni, che come Landmarks ci hanno lasciato segni indelebili a

cui fare riferimento; “cosa facciamo” però è già una domanda che

attende urgente risposta.

Vi è poi la terza domanda, la più importante, quella alla quale solo i

Magis-ter sanno dare una risposta: “dove andiamo”, o per dirla in

altro modo: quali sono i compiti della Massoneria del Terzo

Millennio?

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A queste ultime due domande noi siamo tenuti a dare una risposta.

Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo lasciarle sospese

nell'universo della non convenienza, poiché ciò sarebbe tradire noi

stessi, il nostro status di Iniziati e la nostra stessa identità

Massonica.

A queste domande abbiamo quindi il dovere di dare una risposta,

magari con le stesse tre “C” che i nemici della società hanno

adottato:

Consapevolezza: del compito che la storia ci ha da sempre

assegnato, quello di Esseri pensanti e come tali di riferimento,

di guida per una umanità senza riferimenti, ergendoci a

Coscienza degli uomini;

Coesione: della Massoneria Universale, quella che esiste in

quanto segue le stesse regole, professa gli stessi principi etici e

persegue lo stesso fine, per una unione non solo spirituale ma

oggi necessariamente materiale, che porti Unità di pensiero,

ponendoci quale muro invalicabile posto in difesa delle masse

impotenti;

Cospirazione: ruolo che la storia più volte ci ha assegnato, per

abbattere il Vizio ed elevare i luminosi Templi alla Virtù,

contro gli antichi e i moderni dittatori, facendo ancora una

volta nostro il motto:

Non nobis Domine, non nobis, sed nomine tuo da gloriam.

Se saremo capaci di ciò, se staremo e resteremo uniti e al Coperto

sotto un'unica Loggia, al di là delle sciocche, banali ed umane

differenze che ci contraddistinguono, allora la nostra unanime,

maestosa, invincibile voce, arriverà tanto in alto da essere udita

anche dal G:.A:.D:.U:.

LIBERTA' – UGUAGLIANZA - FRATELLANZA