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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
16 SPECIALE STORAGELe architetture ibride e software defined trainano un mercato che, almeno in Italia, risulta però in leggera flessione.
FENOMENO FINTECHLe banche sono pronte alla rivoluzione della finanza digitale? Lo scenario e l'impatto della tecnologia.
23 42
NUMERO 24 | OTTOBRE 2016
CANDYLa storia del gruppo brianzolo raccontata per immagini: dalla prima lavatrice agli elettrodomestici connessi.
Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”
L'analisi delle informazioni di nuova generazione al servizio
delle infrastrutture di rete. L'esperienza di successo di
Tim Wholesale Market.
L’INTELLIGENZADEI DATI
PER LE TLC
Non si tratta semplicemente di un’altra stampante laser monocromatica, ma di un
nuovo modo di pensare. Nuova gamma laser monocromatica. Possibilità inaspettate, soluzioni infinite.
**
STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
N° 24 - OTTOBRE 2016
Periodico bimestrale registrato
presso il Tribunale di Milano al n° 378
del 09/10/2012.
Direttore responsabile: Emilio Mango
Coordinamento: Gianni Rusconi
Hanno collaborato: Alessandro Andriolo,
Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto
Bonino, Carlo Fontana, Paolo Galvani,
Claudia Rossi, Ezio Viola
Progetto grafico: Inventium Srl
Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe
Stock images, Martina Santimone
Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl
Via Correggio, 48 - 20149 Milano
tel: 02 36505844
www.indigocom.it
Stampa: Ciscra S.p.A. - Arcore
© Copyright 2016
Indigo Communication Srl
Tutti i diritti di proprietà letteraria
e artistica riservati.
Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.
Pubblicazione ceduta gratuitamente.
SOMMARIO 4 STORIE DI COPERTINA L’intelligenza delle informazioni per le Tlc
9 IN EVIDENZA Da industry 4.0 al commissario digitale
Blackberry, Nokia, Google: chi viene e chi va nei telefonini
L’opinione: Apple può ancora cambiare le regole del gioco?
Pseudonimizzazione, questa sconosciuta
Più tutela per i dati nel cloud degli utenti europei
Le small cell per le poste
L’intelligenza artificiale al centro dei pensieri dei big
16 SCENARI La rivoluzione Fintech è ora: banche, siete pronte?
La moneta legale vivrà oltre le valute virtuali
Dalle banche a industria 4.0, l’universalità del blockchain
La nuvola spinge dati e robotica in fabbrica
23 SPECIALE STORAGE L’avanzata delle nuove architetture
La digital economy orienta l’evoluzione
Obiettivo condivisione, passando per il cloud
33 ECCELLENZE.IT Bauli - Citrix
Noberasco - Elmec
36 ITALIA DIGITALE Industria 4.0, il piano c’è. La vera sfida è attuarlo
L’innovazione fa tappa al salone
Un ecosistema aperto che fa scuola
42 OBBIETTIVO SU Candy
47 VETRINA HI-TECH Stampanti multifunzione
4 | OTTOBRE 2016
STORIA DI COPERTINA | PerpiciatisSTORIA DI COPERTINA | Telecom Italia Wholesale
La Business Intelligence di nuova generazione al servizio dello sviluppo delle infrastrutture di accesso e della governance dei dati. L’esperienza di successo della divisione Wholesale del Gruppo Telecom Italia.
Miliardi di informazioni da
gestire ogni mese. Enormi
volumi di dati struttura-
ti e non, dai quali trarre
indicazioni utili ai processi decisionali
e utili a raccontare al meglio esperienze
funzionali alle strategie dei clienti. Big
Data insomma, perché quelli raccolti
e distribuiti sui sistemi della divisione
Wholesale del Gruppo Telecom Italia
hanno tutte le caratteristiche per essere
definite tali: la varietà, in quanto prove-
nienti da molteplici ed eterogenee fonti;
il volume, perché siamo in presenza di
grandi quantità in continua espansione;
la velocità, e quindi l’esigenza di compri-
mere i tempi di gestione e analisi dei dati
per un tempestivo utilizzo degli stessi.
La sfida da vincere, quindi, è di quelle
importanti ed è comune a ogni grande
organizzazione: governare la quantità e
l’eterogeneità dei dati a supporto delle
decisioni. Una sfida che diventa ancora
più difficile se, come dice Walter Felice
Ibba, senior vice president di Wholesa-
le, la base di partenza è segnata da una
stratificazione di più sistemi informativi
e conseguentemente da una molteplici-
tà di fonti. “Una corretta gestione del-
le informazioni”, spiega il manager a
L’INTELLIGENZA DELLEINFORMAZIONI PER LE TLC
Technopolis, “è sinonimo di uniformità
del formato dei dati e della possibilità di
farli confluire in un unico ambiente di
elaborazione”.
L’esigenza in seno all’azienda che si muo-
ve alle spalle di Tim e di altri operatori
di telecomunicazione era, quindi, chiara
e per il 2016 è diventata un vero e pro-
prio obiettivo da raggiungere, quello di
migliorare i processi decisionali e opera-
tivi. “Per farlo”, aggiunge Ibba, “stiamo
realizzando un sistema software che ci
permetta la gestione completa dei nostri
Big Data, aumentando l’efficienza e l’ef-
ficacia operativa, da una parte, e suppor-
5
UNA MISSIONE POSSIBILE: GARANTIRE AI CLIENTI SERVIZI DI QUALITÀ
All’interno del Gruppo Telecom Italia, Wholesale è la divisione di Tim che unisce la parte tecnica di Open Access e quella commerciale di Wholesale Market. Il suo compito è quello di offrire ai propri clienti (di-verse entità interne di Tim operanti nel mercato retail, ma anche altri operatori di telecomunicazioni) infrastrutture e un’ampissima gamma di servizi all’ingrosso, sfruttando una rete di proprietà estesa su tutto il territorio nazionale e tecnologie hardware e software di ultima gene-razione. In Wholesale Market lavorano quotidianamente oltre 250 pro-fessionisti impegnati nello sviluppo di soluzioni a supporto di attività “core” delle aziende clienti, quali le relazioni commerciali e la gestione amministrativa e della contrattualistica. L’attività è definita in stretto raccordo con le funzioni operative respon-sabili delle performance e con le direzioni competenti, con l’obiettivo ultimo di garantire la totale compliance alle regole del proprio settore. Wholesale Market opera rispetto ai requisiti del “modello di equiva-lence” di Tim, pratica che garantisce le medesime condizioni (prezzi e prestazioni) di accesso ai servizi sia ai clienti interni sia a quelli esterni. Alla guida di questa divisione c’è Walter Felice Ibba, manager con una lunga esperienza sia in ambiti tecnici (è stato, fra i tanti incarichi svolti, responsabile dello sviluppo del Progetto Socrate di Telecom Italia) sia in ambiti regolamentari e commerciali.
tando tempestivamente le nostre deci-
sioni strategiche, dall’altra. Per realizzare
questo progetto avevamo bisogno di uno
strumento che si integrasse facilmente e
velocemente con i nostri sistemi e con i
nostri processi, superando la complessità
e la varietà dei nostri dati, e che ci garan-
tisse una governance e una semplicità di
realizzazione delle soluzioni in linea con
il nostro time to market”.
La soluzione che ha trasformato la prac-
tice di far confluire i dati elaborati in un
foglio di Excel, liberando gli addetti dal
vincolo di un supporto tecnico dedica-
to, non arriva dalla Silicon Valley e non
è il classico strumento di analytics di
uno dei colossi dell’informatica di clas-
se enterprise. Arriva dalla provincia di
Avellino, dove ha sede Datonix, realtà
altamente specializzata nel campo delle
applicazioni software per la gestione dei
dati. “Abbiamo effettuato un’indagine
di mercato”, ricorda, in proposito, Ibba,
“e ritenuto interessante la loro soluzio-
6 | OTTOBRE 2016
STORIA DI COPERTINA | Telecom Italia Wholesale
ne perché offre una nuova visione della
Business Intelligence, molto più vicina al
business che all’It e basata su un accesso
a dati multistrutturati in modalità self
data preparation”.
Gli ambiti di applicazioneAttualmente l’utilizzo della soluzione
Datonix è concentrato nelle aree Ac-
counting e Marketing rispetto a una
duplice finalità: migliorare sia gli aspet-
ti operativi sia il processo decisionale.
Nell’ambito della prima funzione, il sof-
tware ha permesso di creare un sistema
di reportistica utile per il controllo delle
prestazioni economiche di Wholesale
Market. “In particolare”, precisa Ibba,
“abbiamo integrato e migliorato l’atti-
vità di reporting a supporto del nostro
ciclo di fatturazione attivo e passivo e
della gestione finanziaria. Nell’ambito
del marketing, invece, avevamo la neces-
sità di tracciare, analizzare e raccontare
in modo semplice, ma allo stesso tem-
po con un livello di approfondimento
adeguato rispetto alle varie situazioni,
l’enorme investimento che Tim ha av-
viato per lo sviluppo delle piattaforme
innovative, in particolare in ambito ul-
trabroadband”.
L’esigenza, infatti, era quella di passare
da numeri di copertura aggregati a livello
nazionale (Tim lavora con circa 10mila
centrali e 150mila armadi stradali) a una
visibilità locale e disaggregata, fino al
dettaglio di regione, città e quartiere, per
far comprendere a ciascun cliente le spe-
cifiche opportunità di business. Come?
Storicizzando i dati di consumo e quelli
di copertura della rete, rilevando tutte le
dinamiche di acquisizione e migrazione
tra servizi e, infine, offrendo indicazioni
di priorità sulle aree di intervento.
“Una soluzione completa, in grado di
correlare tecnologia, servizi e prospetti-
ve di business con una vista semplice ma
molto precisa”, assicura Ibba, sottoline-
ando come fra i pregi più importanti di
Datonix ci sia quello dei tempi di imple-
mentazione. “In poche settimane siamo
riusciti a portare in produzione il softwa-
re e il motore che estrae i dati dai nostri
database”, ha aggiunto il manager. E tale
caratteristica ha già convinto Wholesale
ad ampliarne l’utilizzo a tutti quei dati
aziendali, disponibili all’interno della di-
visione, per i quali la tecnologia di self
data preparation può semplificare e velo-
cizzare il processo di analisi e di rappre-
sentazione anche in chiave grafica.
Gianni Rusconi
SEMPLICE È MEGLIO
La soluzione di Datonix adottata da Telecom Italia Wholesale si basa su un accesso a dati multistrutturati in modalità self data preparation. Si tratta di uno strumento di prepara-
zione dei dati i cui pregi principali sono la velocità (quella con la quale definisce le applicazioni da mettere in campo), la flessibilità e la sempli-cità d’uso. È infatti utilizzabile (dagli utenti autorizzati) attraverso i classi-ci software di Office Automation e garantisce una notevole compres-sione dei tempi di esercizio, assicu-rando la possibilità di gestire senza problemi la complessità dei dati de-rivanti da fonti diverse (sistemi infor-matici di tipo legacy, file di svariati tipi, email, ecc.), in un unico sistema di raccolta e conservazione degli stessi. Un suo ulteriore pregio? La possibilità di modificare le informa-zioni, conservandone la storia, e di integrare tali dati direttamente ad opera dell’utente business, nonché quella di aumentare la granularità di analisi grazie a funzionalità che per-mettono di passare dal dato aggre-gato alle singole informazioni più dettagliate.
7
Mettere a fattor comune i dati per creare valore Capitalizzare le informazioni esistenti, grazie a tecnologie all'avanguardia, è un modo di fare innovazione in chiave business.Ci spiega come il senior vice president di Wholesale, Walter Felice Ibba.
I l software Datonix ha portato in
dote a Wholesale diversi benefici,
alcuni dei quali decisamente a ele-
vato valore aggiunto. Non parlia-
mo, come spesso capita, di ritorno degli
investimenti ma di un salto in avanti
sostanziale in termini di efficienza ope-
rativa. Partendo da una risorsa vitale e
disponibile, i dati.
Proviamo a sintetizzare i principali van-taggi ottenuti.Abbiamo ridotto i tempi di elaborazione
delle informazioni per migliorare le atti-
vità di reportistica dipartimentale, auto-
matizzato fasi manuali della preparazio-
ne delle stesse, superato la complessità
dell’integrazione dei dati, strutturati e
non, provenienti da più fonti. E abbia-
mo costituito un ambiente di analisi
centralizzato, utilizzando un sistema di
reporting semplice e flessibile.
La scelta di puntare su un software “indipendente” è legata ai costi?Sicuramente i costi di questa soluzione
non sono paragonabili con quelli delle
piattaforme software dei grandi vendor
informatici, perché decisamente infe-
riori. Posso solamente dire che tali costi
sono stati contenuti in fase di sviluppo
e si sono rivelati nulli o quasi in fase di
esercizio. Ma nella nostra selezione ha
molto influito anche il fatto che fosse
una soluzione applicativa non vincolan-
te ed estremamente flessibile.
Sulle prestazioni avete accettato dei compromessi?Se mi chiede se il software sia il più per-
formante del mondo, la risposta è “non
lo so”. Di certo soddisfa pienamente le
nostre esigenze di gestione e governance
dei dati, garantendoci tutti gli strumen-
ti necessari per operare.
Anche sotto il profilo della sicurezza?Abbiamo la garanzia dell’integrità del
dato, la certezza che il sistema vada a
estrarre ed elaborare informazioni dai
nostri database e dai nostri sistemi le-
gacy. Ovviamente gli accessi alla piat-
taforma sono selezionati per ridurre i
rischi di corruzioni e violazioni.
Come si può leggere questo progetto in termini di innovazione?Tim è una società che vive di innova-
zione e crediamo fermamente che ge-
stire i dati prodotti dalla nostra stessa
compagnia sia il primo passo per evitare
di disperdere valore per l’azienda. Non
è teoria, è business. Si può fare quindi
molta innovazione sui dati in termini di
costi operativi e di efficientamento dei
processi strategici e decisionali: capita-
lizzare le informazioni esistenti con una
tecnologia all’avanguardia è fare inno-
vazione nei Big Data.
Senza alcuna resistenza al cambiamento da parte degli addetti?Se le persone lavorano bene e ottengono
risultati e se non intercorrono turbative
dovute a errori tecnici o di processo, si
crea un effetto domino dell’esperienza
d’uso che diventa sinonimo di miglio-
ramento per tutti i componenti dell’or-
ganizzazione. Nel nostro caso possiamo
tranquillamente parlare di replicabilità
di un modello virtuoso per la gestione
dei dati. G.R.
Walter Felice Ibba
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9OTTOBRE 2016 |
l’analisi
DA INDUSTRY 4.0 AL COMMISSARIO DIGITALE:IL SISTEMA ITALIA PROVA A CORRERE
Del piano Industry 4.0 avevamo an-
ticipato le linee guida sullo scorso nu-
mero di Technopolis, confermandone
(erroneamente) il varo il 10 settembre.
Carlo Calenda e Matteo Renzi l’hanno
presentato a Milano il giorno 21: le in-
discrezioni raccolte al momento della
chiusura della rivista ci hanno indotto
in fallo. Ce ne scusiamo con i lettori.
La sostanza del piano, invece, non si
discosta troppo da quanto scrivevamo
un mese e mezzo fa. La vera sfida è ora
quella della sua attuazione (ne parlia-
mo a pag. 36): i proclami sulla valenza
della strategia che dovranno aiutare la
manifattura a cambiare passo dovrà
tradursi in progetti concreti, e risul-
tati. Il contesto in cui il piano entra
in gioco ci dice che la produzione in-
dustriale, secondo gli ultimi dati Istat,
è calata del 22% dal 2007 al 2016 e
l’entità di tale flessione non è spiega-
bile (forse) solo con l’indifferenza di
governi e imprese verso il digitale.
Invertire la tendenza, non solo nella
manifattura, è l’obiettivo che Renzi
si è posto ma la storia recente insegna
che i piani perfetti sulla carta (vedi l’A-
genda Digitale) non sempre, anzi qua-
si mai se guardiamo al nostro apparato
pubblico, si traducono in realizzazioni
altrettanto lodevoli. Il piano Industria
4.0 da 13 miliardi di euro di risorse
allocate, in ogni caso, è stato accolto
in modo positivo da più parti. Anche
dagli esponenti dell’industria, che
puntualmente (e per certi versi para-
dossalmente) non hanno mancato di
ricordare come il ritardo delle imprese
sia elevato e come sia necessaria una
forte accelerata. Varata la strategia,
che si accoppia a quella sull’ultrabro-
adband, ora tocca al tessuto imprendi-
toriale dimostrare di saper cogliere le
opportunità (incentivi in primis) per
rinnovarsi, fermo restando che al Go-
verno rimane il compito di rendere più
efficiente e produttiva, grazie al digita-
le, la Pubblica Amministrazione.
Nel frattempo è ufficialmente iniziata,
con tanto di Decreto della presidenza
del Consiglio, l’era di Diego Piacentini
in veste di Commissario straordinario
per l’attuazione dell’Agenda Digitale.
L’incarico del senior vice president di
Amazon durerà due anni e sarà a costo
zero per le casse pubbliche; la strut-
tura commissariale prevede oneri per
un massimo di sette milioni di euro
l’anno. Gli obiettivi del mandato li ha
così sintetizzati a Repubblica lo stesso
Piacentini: “Rendere i servizi pubblici
per i cittadini accessibili nel modo più
semplice possibile attraverso i dispo-
sitivi mobili e far sì che la macchina
statale sia in grado di usare le tecno-
logie come accade in Gran Bretagna o
negli Stati Uniti”. Il manager lavorerà
in tandem con il consigliere di Palazzo
Chigi, Paolo Barberis, e il loro operato
troverà ispirazione nel “Manifesto di
principi tecnologici e operativi”. Una
sorta di decalogo che spazia dalla sicu-
rezza alla privacy, dal mobile all’open
source, dal cloud al machine learning.
Per metterlo in pratica si cercano ta-
lenti (una ventina) con cui dare vita al
“team per la trasformazione digitale”.
Un’ultima curiosità: la figura a suo
tempo incensata del Digital Cham-
pion è attualmente scoperta dopo le
dimissioni di Riccardo Luna. Visti i
pochi progetti concretizzati, forse non
se ne sentirà la mancanza.
Gianni Rusconi
Il piano per la manifattura ha trovato il plauso degli addetti ai lavori e nel frattempo si è aperta l’era di Diego Piacentini come Commissario per il digitale. Basteranno per invertire la tendenza dell’economia reale?
IN EVIDENZA
10 | OTTOBRE 2016
IN EVIDENZA
Dal welfare aziendale al mercato auto-
mobilistico. È ampia e diversificata la
strategia di investimento di Zucchetti, che prosegue con l’espansione del pro-
prio portafoglio di offerta attraverso due
distinte operazioni. La prima riguarda
l’acquisizione della quota di maggioran-
za di Doubleyou, società specializzata
in soluzioni di welfare management, e
ha portato alla nascita del servizio Zwel-
fare per la gestione di forme alternative
di retribuzione (Flexible Benefits). La
seconda mossa della società lodigiana ha
avuto come obiettivo Visual Software,
azienda che sviluppa applicazioni per
concessionarie auto, officine e ricam-
bisti, gestendone tutti i processi. L’in-
gresso nel capitale di Visual Software
consentirà a Zucchetti di integrare le
proprie soluzioni Crm, Business Intel-
ligence e archiviazione documentale,
aprendo il proprio orizzonte applicativo
anche al mondo dell’automotive.
ZUCCHETTICONCEDE IL BIS
Per un’azienda che dice addio, altre
tornano o esordiscono sulla scena degli
smartphone. Un mercato ancora dina-
mico e attrattivo per i produttori, ma
che quest’anno mostra chiari segni di
rallentamento, specie in Europa e in
Nord America. Secondo le stime di
Idc, infatti, nel 2016 la crescita di uni-
tà vendute rispetto all’anno precedente
sarà limitata all’1,6%, registrando un
vero e proprio crollo dall’incremen-
to del 10,4% del 2015 (versus 2014).
Si acquisteranno, in ogni caso, circa
1,46 miliardi di telefonini nell’arco
dei dodici mesi, e quindi un numero
ancora molto appetibile per i vecchi e
nuovi attori dell’universo mobile. Fra i
vecchi c’è, o meglio c’era, Blackberry:
dopo anni di vendite in calo, di conti
in rosso per la divisione Mobility e di
progressivo spostamento verso il busi-
ness del software e dei servizi, l’azienda
canadese ha annunciato la decisione di
rinunciare a sviluppare e produrre in-
ternamente modelli a marchio proprio.
Il nome Blackberry non scomparirà dal
mondo smartphone, ma sarà apposto
sui terminali di aziende partner della
ex Research In Motion (come peraltro
già avvenuto con il recente Dtek50,
prodotto da Tcl). Scelta opposta è
quella di un altro nome storico del-
la telefonia mobile, e cioè Nokia, che
tornerà a produrre e commercializzare
smartphone. Dopo aver abbandonato i
Lumia (venduti a Microsoft nel 2014)
e dunque il sistema operativo Win-
dows Phone, la strategia della società
finlandese è ora quella di puntare su
Android, a cominciare dai due modelli
attesi sul mercato entro la fine dell’an-
no. Nessun annuncio ufficiale, al mo-
mento, ma indiscrezioni che descrivo-
no due terminali di fascia media o alta.
Ci vorrà tempo per capire se si possa o
meno parlare di una risurrezione della
casa finlandese, un tempo dominatore
del mercato delle telefonia che però ora
deve prepararsi ad affrontare uno sce-
nario affollato di concorrenti.
Fra quelli più agguerriti, capaci di sfida-
re le proposte di fascia alta di Samsung,
Apple e Huawei, c’è Xiaomi. I nuovi
Mi 5s e Mi 5s Plus (commercializzati
al momento solo in Cina) stupiscono
per il design, per il comparto fotografi-
co e per la presenza di un lettore d’im-
pronte digitali a tecnologia ultrasonica;
sono ambiziosi quanto un iPhone o un
Galaxy, ma più economici. Da registra-
re, infine, c’è l’esordio di un “nuovo”
e assai noto attore, Google. L’azienda
di Mountain View aveva cominciato
la sua avventura nell’hardware con i
telefonini e i tablet Nexus, realizzati a
quattro mani di volta in volta con Asus,
Htc, Huawei, Lg, Samsung. Ora però
BigG ha fatto un passo ulteriore pre-
sentando i suoi due primi modelli pro-
dotti in proprio, Pixel e Pixel XL, di-
versi per formato e specifiche tecniche e
accomunati dalla presenza di Android
7.0 Nougat. V.B.
BLACKBERRY, NOKIA, GOOGLE: CHI VIENE E CHI VA NEI TELEFONINIIl mercato degli smartphone rallenta e la guerra fra i vendor registra novità importanti. L'ex Rim abbondona il campo. Fastweb e Huawei Italia hanno siglato
di recente un accordo per lo sviluppo di
soluzioni e servizi innovativi nel mercato
della convergenza fisso-mobile e dei ser-
vizi wireless. Il primo progetto che sarà
avviato riguarda proprio l’utilizzo della
tecnologia small cell nei servizi mobili
di quinta generazione, grazie agli asset
tecnologici di Fastweb e a porzioni di
spettro radio, sia licenziato sia non anco-
ra soggetto a licenze. Ognuna delle due
aziende metterà a disposizione risorse
umane, tecnologiche e conoscenze che,
attraverso un team dedicato, consenti-
ranno lo sviluppo di nuovi prodotti e
servizi targati Fastweb.
ITALIA E CINA INSIEME NEL 5G
11
l’opinione
Il recente annuncio dell’iPhone 7 è
stato un capolavoro di marketing: per
un modello esattamente uguale nel de-
sign alla serie precedente, è stato fatto
di tutto per stupire clienti e consuma-
tori. Il nuovo smartphone è sì più po-
tente, ma l’unica vera novità – incredi-
bile a dirsi – è l’eliminazione del jack
audio per collegare auricolari e cuffie,
che d’ora in avanti saranno wireless e/o
utilizzeranno lo slot per la ricarica del
telefono. L’aspetto più bizzarro è che
tutto ciò sia stato presentato come una
“coraggiosa” mossa innovativa di Ap-
ple: restiamo quindi in attesa di vedere
che cosa ci riserverà la user experience
“wireless only” in futuro.
Qui non si vuole commentare se iPho-
ne 7 sarà un successo o meno (anche
se pensiamo che, dal punto di vista dei
numeri di vendita, lo sarà e darà soste-
gno ai ricavi di Apple), oppure se sia
migliore di altri smartphone: vorrem-
mo cercare di capire se questo lancio
è l’ultimo segnale che dovrebbe farci
dubitare della capacità innovativa di
Apple in generale, e non solo per i tele-
APPLE PUÒ ANCORA CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO?Il lancio dell'iPhone 7 riaccende la questione sulla capacità di innovare della casa della Mela. Ecco perchè i dubbi sono leciti.
fonini. Pensiamo al progetto Titan per
le auto driverless, di fatto cancellato, o
alla Apple Tv, che non è una “compel-
ling proposition” rispetto ai prodotti
concorrenti. O ancora all’assenza di
nuovi annunci di peso nel campo della
realtà virtuale e aumentata, del machi-
ne learning e dell’intelligenza artificiale
(oltre le funzionalità di Siri).
Tornando agli smartphone, le aspetta-
tive dei media e dei consumatori sul
fatto che prima o poi verrà introdotta
un’innovazione radicale da parte di Ap-
ple, magari con l’ottava generazione,
sono forse illusorie. Non è sicuramen-
te prevedibile una radicale discon-
tinuità, come lo è stato per il primo
iPhone circa nove anni fa. La crescita
dell’azienda sarà quindi sempre di più
legata alla sua capacità di inventare
nuovi servizi abilitati dall’ecosistema
software, che gli utenti del melafonino
potranno utilizzare per la musica, l’in-
trattenimento, i pagamenti elettronici
e altro ancora.
Alla fine, quindi, la principale doman-
da è se Apple per il futuro dei suoi pro-
dotti non abbia di nuovo bisogno di
qualche visionario, con l’autorevolez-
za di alcuni dei fondatori che stanno
guidando Tesla, Google, Netflix, Ama-
zon e Facebook, verso un’innovazione
molto più audace. Tim Cook ha gesti-
to la transizione del dopo Steve Jobs in
modo eccezionale se si guarda al bilan-
cio, ma forse nella cabina di comando
occorre avere anche qualcuno che pre-
pari Apple a creare il suo futuro.
Ezio Viola, amministratore delegato
di The Innovation Group
Ezio Viola
ACCORDO CON DELOITTE: CUPERTINO CALA IL TRIS Nuovo passo in avanti di Apple verso
la clientela di classe enterprise. Dopo lo
storico accordo stretto nel luglio 2014
con Ibm per lo sviluppo di applicazioni
di analytics e per i Big Data (basate su
piattaforma iOs) da rendere disponibili
agli utenti di iPhone e iPad, e dopo quel-
lo firmato con Sap lo scorso maggio, fi-
nalizzato alla creazione di app mobili da
combinare con le funzionalità della piat-
taforma proprietaria Hana Cloud, ora è
il turno di Deloitte. E più precisamente
della sussidiaria Deloitte Consulting.
Perché una delle maggiori aziende al
mondo nel campo dei servizi di consu-
lenza professionali stringe una partner-
ship con Apple? Per monetizzare, sotto
il cappello della “digital transformation”,
il brand della Mela aiutando le aziende
ad adottare soluzioni iOs destinate a
vari settori e attività: dalla gestione del
punto vendita alla selezione del persona-
le, dal controllo dell’inventario ai siste-
mi di back office. Il sodalizio fra le due
aziende sfrutterà l’esperienza di oltre cin-
quemila consulenti Deloitte per creare
un pacchetto di “best practice” dedicato.
12 | OTTOBRE 2016
In Europa oltre due terzi delle aziende
non sono in linea con il nuovo rego-
lamento sulla privacy, che dovrà esse-
re recepito dagli Stati membri entro
il 2018, e in Italia si arriva all’80%.
Solo un’organizzazione europea su due
è in grado di cancellare tutti i dati di
un individuo che ne faccia richiesta
esercitando il diritto all’oblio. Il 58%
delle aziende italiane mette a rischio la
privacy dei clienti non mascherandone
PRIVACY E DIRITTO ALL’OBLIO: NON SIAMO PRONTI
La privacy è un tema caldo del dibatti-
to tecnologico di questi anni. Eppure
le aziende appaiono piuttosto disinfor-
mate a riguardo. Lo scorso maggio l’U-
nione Europea ha approvato il nuovo
Regolamento per la Protezione dei Dati
Personali (Gdpr), che dovrà essere rece-
pito dalle legislazioni degli Stati mem-
bri entro quattro anni. Fra i suoi prin-
cipi, in parte derivati dalla precedente
direttiva 95/46/CE, spiccano il diritto
all’oblio, l’obbligo di comunicare entro
72 ore avvenute violazioni informati-
che o incidenti, l’obbligo della traspa-
renza (per cui le informazioni di utilità
pubblica o individuale devono essere
facilmente accessibili e comprensibili) e
l’istituzione della figura del Responsa-
bile della protezione dei dati.
Al centro del nuovo Regolamento c’è,
inoltre, un concetto difficile da pro-
nunciare ma essenziale nella sostanza:
la pseudonimizzazione, ovvero il prin-
cipio per cui le informazioni di profila-
zione debbano essere conservate in una
forma che impedisce l’identificazione
dell’utente. Secondo un recente stu-
dio di Delphix, sono davvero basse le
percentuali (tra il 20% e il 40% circa)
di aziende italiane, francesi, tedesche
e britanniche che dichiarano di aver
PSEUDONIMIZZAZIONE, QUESTA SCONOSCIUTA
Il nuovo Regolamento per la Protezione dei Dati Personali approvato dalla Ue introduce alcuni obblighi per il mascheramento dei dati. Ma fra le aziende prevale la confusione.
compreso questo concetto. “La legge
prevede una severa disciplina di prote-
zione dei dati, con rigide sanzioni che
possono raggiungere il 4% del volume
globale di affari”, sottolinea Mauro
Trione, vice president sales Southern
Emea di Delphix. “È necessario da
subito un adeguamento nel modo in
cui si gestiscono e si proteggono i dati,
con tecnologie e processi compliant”.
Come? “Quando si parla di protezione
dei dati personali, il mascheramento e
l’hashing rappresentano lo standard
de facto per ottenere la pseudonimiz-
zazione”, spiega Trione. “Prendiamo
come esempio i dati personali non
protetti spesso liberamente disponibili
negli ambienti di non produzione uti-
lizzati per sviluppare e testare software,
oltre che per formazione, rapporti e
analytics. Sostituendo queste informa-
zioni sensibili con dati fittizi ma rea-
listici, le aziende possono annullare i
rischi per i dati preservandone al tempo
stesso il valore. Il mascheramento tra-
sforma in maniera irreversibile i dati
sensibili, in modo tale da eliminare i
rischi e consentire alle organizzazioni di
dimostrare la conformità con i requi-
siti di pseudonimizzazione del Gdpr”.
Al di là degli obblighi, l’applicazione
di queste procedure su larga scala ga-
rantirà alle aziende alcuni vantaggi, per
esempio mettendole al riparo dai danni
(economici e di reputazione) creati da
incidenti informatici e hackeraggi.
Valentina Bernocco
i dati nella fase di test delle applicazio-
ni. Sono alcuni dei numeri emersi da
un’indagine commissionata da Com-
puware a Vanson Bourne, eseguita su
quattrocento chief information officer
di grandi aziende italiane, francesi, te-
desche, spagnole, britanniche e statu-
nitensi. Dalle risposte dei Cio sembra
emergere una generale difficoltà delle
imprese a governare i dati, e più nello
specifico una scarsa capacità di deter-
Mauro Trione
minarne l’ubicazione. Le ragioni sono
diverse: si citano (il 68% dei Cio eu-
ropei e il 56% di quelli italiani) l’ec-
cessiva complessità dei servizi It ado-
perati, l’utilizzo dei dispositivi mobili
come fonte di “dispersione” dei dati
(63% e 60%), ma soprattutto il ricor-
so all’outsourcing (81% Europa, 88%
Italia). I dati, insomma, si “perdono”
tra risorse on premise, dispositivi mo-
bili e cloud più o meno identificati.
IN EVIDENZA
13
LE SMALL CELL PER LE POSTE
PIÙ TUTELA PER I DATI NEL CLOUD DEGLI UTENTI EUROPEI Arriva il Codice di Condotta che regola l'archivio delle informazioni personali online. Gli obblighi per i provider.
Era probabilmente questo il momen-
to più propizio perché si adottasse
un codice univoco per i provider
di infrastruttura di tipo IaaS, Infra-
structure as a Service. Ormai tutta
l’Europa si è accorta di come per il
cloud serva una tutela “formale” per
chi usufruisce di questi servizi, anche
al di fuori del proprio Stato.
Da questi presupposti è nato il Ci-
spe (Cloud Infrastructure Services
Providers in Europe), una coalizione
di aziende tecnologiche la cui attività
riguarda la fornitura di servizi cloud
in una decina di Paesi europei oltre
all’Italia. L’obiettivo è quello di cre-
are il primo Codice di Condotta che
garantisca ai cittadini la tutela dei
propri dati personali, che semplifichi
il contesto normativo e che regolari
le attività di data mining e traccia-
mento dei profili digitali dei clienti
a scopi di marketing, di pubblicità,
personali o per la rivendita a terzi.
La partecipazione al Cispe è aperta a
qualsiasi provider i cui servizi soddi-
sfino i requisiti di privacy e di sicu-
rezza nel trattamento dei dati. Tutti
i membri della coalizione si sono
impegnati a condividere l’impegno
della Commissione Europea per
migliorare l’accesso ai beni e servizi
digitali e creare un ambiente dove
questi possano svilupparsi.
Stefano Cecconi, amministratore
delegato di Aruba, una delle società
che hanno partecipato alla nascita del
progetto, ha sottolineato che da un
punto di vista pratico “non si tratta
di un grande cambiamento per i no-
stri clienti, che già vedono applicata
la normativa italiana in materia. Ci
saranno ugualmente dei vantaggi,
in quanto tutti potranno disporre
delle stesse regole in tutta Europa e
di conseguenza sarà possibile offrire
ai consumatori la scelta del Paese in
cui devono essere processati i propri
dati”. Si tende quindi a una norma-
tiva unica, secondo cui tutti i dati sa-
ranno gestiti e stoccati esclusivamen-
te in area Ue. Un passo in avanti con
il quale, conclude Cecconi, “si dice
addio a quell’atteggiamento poco
trasparente per cui non si sa esatta-
mente dove siano conservate le infor-
mazioni personali dei clienti”.
Il traffico dati in ambienti chiusi rap-
presenta oggi il 70% del totale, secondo
le stime del ConsumerLab di Ericsson.
Ecco perché Postemobile, per la propria
sede centrale di Roma, ha deciso di mi-
gliorare l’esperienza di navigazione (e di
telefonia) delle persone che transitano
nei propri uffici. Una collaborazione tra
Ericsson e Wind (sulla cui rete Postemo-
bile eroga i propri servizi di operatore
mobile virtuale) ha portato all’installa-
zione della small cell Radio Dot System
per fornire una migliore copertura 3G e
4G Lte indoor. La soluzione incorpora
l’omonima tecnologia di Ericsson e una
sottile antenna montata a muro, men-
tre il software può essere aggiornato da
remoto. Il sistema si integra con la rete
Wind, coprendo grandi distanze all’in-
terno dell’edificio e garantendo una mi-
gliore esperienza sia per il traffico voce
sia per quello dati.
14 | OTTOBRE 2016
Microsoft, Ibm, Google, Face-
book, Apple: non c’è quasi colosso
tecnologico che oggi non stia inve-
stendo pesantemente sull’intelligen-
za artificiale. Il pensiero va subito ai
robot, ma questo universo compren-
de soprattutto algoritmi di machine
learning, riconoscimento vocale,
chatbox, threat intelligence (cioè in-
telligenza applicata alla scoperta del-
le minacce informatiche), computing
cognitivo (come quello di Watson, il
“cervellone” di Ibm), servizi di tra-
duzione simultanea come quelli di
Google e di Skype. Lo scorso ago-
sto Apple ha acquisito Turi, startup
di Seattle la cui tecnologia permette
di creare app “intelligenti” al servi-
zio del marketing. A settembre, nel
corso dell’evento “Microsoft Ignite”
di Atlanta, l’amministratore delegato
della società di Redmond Satya Na-
della ha fatto una promessa: “Infon-
deremo intelligenza in tutta la nostra
offerta”, ha detto il Ceo, riferendosi
a prodotti come Office 365 e Dyna-
mics Crm, ma anche ai data center
dell’azienda di Redmond. Si seguirà
forse l’esempio di Google, che con
gli analytics e gli algoritmi è già ri-
uscita a ridurre i consumi energetici
delle proprie server farm. E di fine
settembre sono altri due annunci. Il
primo riguarda un’alleanza stretta fra
Microsoft, Google, Ibm e Facebook
per la creazione della Partnership on
Artificial Intelligence to Benefit Pe-
ople and Society, un’iniziativa non-
profit che lavorerà alla definizione di
standard, tecnologie interoperabili e
best practice. Le tecnologie di intelli-
genza artificiale”, spiega una nota di
Ibm, “hanno un enorme potenziale
di migliorare molti aspetti della vita,
dalla sanità alla scuola, passando per
INTELLIGENZA ARTIFICIALE AL CENTRO DEI PENSIERI DEI BIG
Microsoft, Ibm, Facebook e Google stringono un'alleanza, Apple punta sulle acquisizioni.
la manifattura, l’automazione delle
case e i trasporti”.
Il secondo annuncio riguarda nel-
lo specifico Microsoft. Accanto alle
divisioni aziendali già esistenti (in-
centrate su Windows, su Office e sul
cloud) è nata una quarta business
unit in cui confluiranno le attività ri-
guardanti Skype Translator, il moto-
re di ricerca Bing, gli analytics della
Cortana Intelligente Suite, i proget-
ti di robotica e altro ancora. Nella
nuova divisione lavoreranno oltre
cinquemila persone, tra informatici,
ingegneri e altre figure qualificate.
La strategia sembra quella di creare
maggiore coordinamento e standar-
dizzazione per progetti in precedenza
disaggregati, così come già Microsoft
aveva fatto negli anni Novanta con la
tecnologia allora emergente di Inter-
net. Se le premesse sono queste, forse
l’intelligenza artificiale è destinata ad
andare molto lontano. E chissà che
non diventi una vera nuova rivoluzio-
ne, paragonabile a quella del Web.
Valentina Bernocco
Nuovo round di investimento per la
startup italiana del Fintech salita alla
ribalta lo scorso novembre per aver rac-
colto un finanziamento da 16 milioni
euro dai venture capital United Ventu-
res e Cabot Square. A entrare con una
quota di minoranza in MoneyFarm, da
febbraio attiva anche sul mercato inglese,
è il Gruppo Allianz, prima compagnia
assicurativa al mondo e fra i principali
operatori del risparmio gestito. L’inve-
stimento, secondo il Financial Times, è
stimabile nell’ordine dei sette milioni di
dollari. Allianz, porterà un suo consiglie-
re nel Consiglio di Amministrazione e
sfrutterà la piattaforma di “robo adviso-
ry” di MoneyFarm come testa di ponte
per distribuire sul mercato i propri fondi.
ALLIANZ ENTRAIN MONEYFARM
Dopo due anni di sperimentazione, Fa-
cebook at Work è pronto al debutto.
Secondo varie indiscrezioni, il colosso
di Mark Zuckerberg dovrebbe lanciare
la propria piattaforma “professionale”
entro la fine di ottobre. Una soluzione
che mira a far concorrenza non tanto a
LinkedIn, bensì a servizi come Micro-
soft Yammer, Salesforce Chatter, Slack e
Convo, con i quali gli addetti aziendali
o i membri di un team possono colla-
borare a distanza e restare aggiornati su
progetti condivisi. Già testato da realtà
come Heineken e Royal Bank of Scot-
land, Facebook at Work è strutturato in
modo simile al social network che tut-
ti conosciamo: ha la pagina del “work
feed” (il corrispettivo del “news feed”), i
profili personali e di gruppo, i messaggi
privati di Messenger (da cui si possono
inoltrare anche chiamate voce e video).
FACEBOOK VA AL LAVORO
IN EVIDENZA
16
SCENARI |
| OTTOBRE 2016
Il mondo finanziario vive una fase di cambiamento epocale, guidato dalle tecnologie. Il ruolo delle startup e il nuovo approccio degli attori tradizionali.
Secondo una recente stima di
Goldman Sachs, gli effetti del-
la rivoluzione Fintech saranno
estremamente rilevanti. Quan-
to? Le società che operano nei servizi fi-
nanziari rischiano di perdere 4,7 miliar-
di di dollari di ricavi l’anno a favore dei
“new comer”. Per questo i grandi attori
del settore, dalle banche ai fondi d’inve-
stimento per arrivare ai colossi della ge-
stione del risparmio, hanno iniziato ad
adattarsi al nuovo verbo. Poco meno di
un terzo degli istituti, secondo una re-
cente indagine di Price Waterhouse Co-
opers, ha già in corso una partnership
LA RIVOLUZIONE È ORA: BANCHE, SIETE PRONTE?
SCENARI | Fintech & Blockchain
con startup Fintech, mentre il 22% ne
ha comprata o venduta una e il 15% ha
creato programmi di incubazione. Sia-
mo solo all’inizio, è vero, ma la strada è
tracciata e il passo forse più innovativo
in questo percorso di cambiamento è la
possibilità di annullare le distanze tra il
risparmiatore e i mercati finanziari, di
disintermediare il mondo del lending
attraverso sistemi e servizi alternativi a
quelli dei grandi operatori.
Si parla dunque di banca agile, della
necessità di far evolvere il mondo tra-
dizionale e farlo convergere con quello
innovativo delle Fintech. Si cerca la “ri-
cetta” per massimizzare i benefici della
trasformazione digitale, che le banche
italiane, secondo molti addetti ai lavori,
dovrebbero mettere in atto con urgenza
per recuperare il tempo perduto. Signi-
ficative, in tal senso, le parole spese da
Silvio Fraternali, direttore area strategie
operative integrate di Intesa Sanpaolo,
al recente Banking Summit 2016 orga-
nizzato da The Innovation Group (Tig)
a Milano. “La vera sfida”, ha detto il ma-
nager, “consiste oggi nel trasformare il
modello di generazione di valore con il
digitale. La parte sommersa dell’iceberg
della trasformazione è il cambiamento
dei processi interni. Il digitale implica
la revisione profonda del sistema infor-
mativo e l’azienda non deve perdere le
competenze architetturali per governare
la rapida obsolescenza delle tecnologie. E
rompere le barriere per aprirsi al digitale
richiede l’impegno anche operativo del
top management”.
Una frontiera a cui tutto il settore fi-
nanziario sta guardando con estrema
attenzione è sicuramente la tecnologia
blockchain, cioè il registro distribui-
to per gestire le monete virtuali come i
Bitcoin, che ha ricevuto pochi mesi fa
il disco verde per la sperimentazione da
parte della Banca d’Italia. Le sue pecu-
liarità sono quelle di velocizzare i paga-
menti e ridurre i costi e gli oneri delle
transazioni. Una cinquantina di banche
internazionali (fra cui Unicredit e Intesa
17
TUTTI I NUMERI DEL FINTECH
BLOCKCHAIN: MASS MARKET IN TRE ANNI
Gli investimenti nelle compagnie tecnologiche della finanza a livel-lo globale sono calati nel secondo trimestre del 2016 rispetto ai pri-mi tre mesi, ma il consuntivo a fine anno dovrebbe essere superiore a quello del 2015, quando si toc-carono complessivamente i 19,1 miliardi di dollari (13,8 dei quali a firma dei fondi di venture capi-tal), doppiando la cifra registrata nel 2014. A scattare la fotografia del Fintech sono i dati di Cb In-sights e Kpmg, secondo cui da marzo a giugno scorsi sono state completate dai venture capital 195 operazioni, per un valore to-tale di 2,5 miliardi di dollari. Circa la metà, 1,3 miliardi, sono andati alle startup nordamericane, 400 milioni sono finiti in Europa e il doppio in Asia. Il 2015 ha segnato il boom di questo nuovo settore, con l’introduzione di modelli di business, prodotti e servizi “alter-
La corsa all’adozione delle soluzioni di blackchain nei mercati bancari e finanziari si sta rivelando più rapi-da di quanto inizialmente previsto: lo dicono due nuovi studi condotti dall’Ibm Institute for Business Va-lue. Il 15% delle banche e il 14% delle istituzioni finanziarie intervi-state intendono impiegare su larga scala questa tecnologia già entro il 2017, mentre per parlare di adozio-ne di massa si dovrà forse aspettare solo tre anni, quando circa il 65% delle banche campione si attende di avere in produzione soluzioni di questo tipo. Molto indicativo è, inoltre, il dato che conferma come il
nativi” a quelli tradizionali, subito entrati nel radar dei fondi di ven-ture. Solo nel Vecchio Continente i finanziamenti sono cresciuti di oltre il 30%, superando quota 1,5 miliardi di dollari. Quest’anno, poi, diversi fattori macroeconomici, la mancanza di significative Ipo e un rientro del-la bolla delle “super valutazioni” delle startup tecno-finanziarie stanno portando gli investitori a procedere con maggiore cautela, soprattutto negli Usa. Ma parlia-mo di un fenomeno che in tempi brevi, secondo vari addetti, potrà arrivare a muovere globalmente fra i 30 e i 40 miliardi di dollari di finanziamenti all’anno per le nuo-ve imprese. E che ha già dato vita a una ventina di “unicorni”, cioè startup con all’attivo round oltre il miliardo di dollari, 14 delle quali operano nei settori dei pagamenti e dei prestiti.
70% degli “early adopter” (le azien-de bancarie più innovatrici, dunque) stia attualmente dando priorità all’implementazione del “registro crittografato”: potranno così cadere alcune barriere che oggi ancora non consentono la creazione di nuovi modelli di business e il raggiungi-mento di nuovi settori di mercato. Tra le istituzioni finanziarie oggetto di indagine, sette su dieci stanno concentrando i propri sforzi in ambi-to blockchain in tre aree principali: i meccanismi di compensazione e re-golamento, il collocamento di titoli azionari e trading, e infine i paga-menti all’ingrosso.
Sanpaolo) hanno dato vita nel 2015 a
un consorzio, R3, per definirne modali-
tà d’uso e standard. Nel frattempo si os-
servano investimenti milionari: anche, se
non soprattutto, in direzione delle star-
tup che popolano a vari livelli l’universo
del Fintech.
Nei primi sei mesi del 2016, lo dice uno
studio di Juniper Research, gli investi-
menti dei venture capital destinati alle
nuove imprese innovative dei Bitcoin e
della blockchain hanno sfiorato i 300
milioni di dollari. L’anno passato il va-
lore dei 131 round di finanziamento re-
gistrati nel mondo ha sfiorato i 500 mi-
lioni di dollari (la fonte è Cb Insights),
mentre il volume delle risorse erogate
dai venture capital alle startup dal 2012
a fine giugno scorso ha superato quota
1,2 miliardi.
Ezio Viola, amministratore delegato
di Tig, ha confermato che “l’interesse
per il blockchain non è solo di banche,
aziende finanziarie e società hi-tech che
hanno sviluppato e stanno sviluppando
prototipi di soluzioni e prodotti, ma an-
che di alcune banche centrali. Questo
perché diverse analisi evidenziano come
questa tecnologia possa cambiare il siste-
ma con cui si gestiscono le transazioni
finanziarie e come darà luogo a oppor-
tunità di sviluppo anche radicali in futu-
ro”. Ipotesi suffragata da alcuni numeri.
Stando al “Fintech 2.0 Paper” redatto da
Santander InnoVentures, il solo settore
del banking potrebbe ridurre i costi in-
frastrutturali delle transazioni interban-
carie di 15-20 miliardi di dollari all’an-
no a partire dal 2022, mentre secondo
il World Economic Forum il 10% del
Pil mondiale entro il 2025 transiterà at-
traverso una soluzione blockchain. E c’è
un’ultima proiezione, alquanto indica-
tiva, estratta da una recente indagine di
Deloitte (“Out of the blocks: from hype
to prototype”): lo sviluppo di prodotti e
servizi finanziari basati su questa piatta-
forma è stato inserito nella lista dei “to-
do” dal 92% degli istituti di credito.
Gianni Rusconi
18 | OTTOBRE 2016
Un nuovo studio dello Swift Institute ha analizzato il livello di accettazione del Bitcoin da parte della comunità finanziaria globale. Ridimensionando, in parte, il fenomeno.
SCENARI | Fintech & Blockchain
LA MONETA LEGALE VIVRÀ OLTRE LE VALUTE VIRTUALI
Le cripto valute possano provo-
care una riduzione nell’utilizzo
di quelle tradizionali? Il pensie-
ro comune è per una risposta
affermativa. In realtà, e a dirlo sono
degli esperti in materia, questa ipote-
si è da considerarsi improbabile. Uno
studio dello Swift Institute (“Virtual
currencies: Media of exchange or spe-
culative assets?”) ha analizzato la rela-
zione in essere tra le monete virtuali,
come il Bitcoin, e quelle a corso legale.
Diverse le evidenze emerse, e la princi-
pale suona come una sorta di bocciatura:
è improbabile, si legge nell’abstract del-
lo studio, che le valute virtuali possano
avere un impatto sul denaro in forma
tradizionale, riducendone l’impiego. I
fenomeni di speculazione che interessa-
no le prime pregiudicano, infatti, la loro
utilizzabilità come mezzo di scambio e
rendono improbabile l’ipotesi di una so-
stituzione di valute legali come il dollaro
americano. La ricerca ha quindi preso in
considerazione (e di mira) il Bitcoin.
L’analisi empirica dei valori e dei “wal-
let” della cripto valuta per eccellenza
conferma come essa sia usata principal-
mente come investimento speculativo e
non come mezzo di scambio.
Non esiste, secondo gli esperti, alcuna
correlazione tra i rendimenti dei Bitcoin
e gli strumenti di investimento tradizio-
nali (di tipo azionario, per esempio). Le
valute virtuali, per contro, non rappre-
sentano un rischio per la stabilità mo-
netaria ed economica. Almeno nell’im-
mediato. Rimane il fatto che “sono le
monete tradizionali a scoraggiare l’u-
tilizzo dei Bitcoin e non il contrario,
come si crede comunemente”, sottolinea
KiHoon Hong della Hongik Univer-
sity College of Business, uno degli au-
tori della ricerca. “Ed è lo stesso mercato
del Bitcoin a impedire a questa valuta di
divenire un effettivo mezzo di scambio”.
Erika Toso, head of Italy and South
East Europe di Swift, è dell’idea che
siamo in uno stadio ancora iniziale,
in cui “gli operatori tradizionali devo-
no capire velocemente come evolvere,
mentre i new-comer del Fintech devono
raggiungere massa critica per diventare
realmente competitivi sul mercato”.
Il settore dei servizi finanziari come
l’abbiamo conosciuto finora, spiega la
manager, “sta profondamente cam-
biando perché nuove tecnologie stanno
mettendo in discussione modelli di bu-
siness consolidati, aprendo a nuove op-
portunità. Crediamo che blockchain e
gli strumenti distributed ledger rappre-
sentino una grande risorsa nella defini-
zione dell’offerta di servizi di domani.
Però occorre investire metodicamente
ed evitare di farsi trascinare da facili
entusiasmi, perché si tratta di tecnolo-
gie non ancora mature”.
La strada è dunque tracciata anche se,
conclude Toso, “ci sono molte com-
plessità da risolvere e domande a cui
occorre dare risposta prima che sistemi
come blockchain possano trovare appli-
cazione su scala industriale nei mercati
finanziari”. P.A.
19
DALLE BANCHE A INDUSTRIA 4.0, L’UNIVERSALITÀ DEL BLOCKCHAIN
volmente attendere per il retail, che ri-
chiede masse critiche e opzioni di scala
molto maggiori. Partendo da un’eco-
nomia di filiere globali specializzate e
Pmi come quella italiana, lo spazio per
il “corporate Fintech”, e quindi per ap-
plicazioni di gestione del rischio data-
driven, o di financial supply chain per
l’Industry 4.0, è già oggi molto vasto,
specie per le banche tradizionali più
attente.
Le startup italiane della blockchain troveranno spazi e soprattutto finan-ziamenti così come quelle del Fintech? Le nostre startup, innanzitutto, fa-
rebbero bene a superare ogni residuo
di provincialismo, sia di mercato sia
di capitale. Il limitato contesto italia-
no potrebbe talvolta non garantire di
raggiungere le economie di scala ne-
cessarie per alcuni progetti Fintech, in
particolare se parliamo di protocolli
tipo blockchain. Il territorio ottimo
minimo per l’innovazione finanzia-
ria si chiama quindi Europa. Ed è in
Europa che le startup italiane devono
cercare, nell’ordine, clienti e capitali.
Gianni Rusconi
Un’architettura distribuita di co-
ordinamento e certificazione
informativa, un nuovo para-
digma destinato a rivoluzionare pro-
fondamente il sistema economico, i
concetti di transazione, proprietà e fi-
ducia. Questa è la natura, trasversale
a più settori, della blockchain secon-
do Carlo Alberto Carnevale Maf-
fè, docente di strategia d’Impresa ed
Economia Aziendale in Sda Bocconi.
Che per Technopolis traccia un quadro
ampio e diversificato dell’evoluzione
di questa tecnologia in Italia.
Il blockchain è associata ai Bitcoin. Le sue applicazioni vanno però oltre…La Germania ha già avviato progetti di
utilizzo della tecnologia in diversi am-
biti industriali. Noi dobbiamo ancora
cominciare a studiare. Il modello di
controllo decentralizzato e autonomo
basato sulle blockchain è una compo-
nente fondamentale per le soluzioni
dell’industrial Internet of Things. Le
associazioni settoriali sono il terreno
ideale per la definizione dei protocolli
di controllo distribuito di filiera e per
mettere a sistema le tecnologie, sia fra
di loro sia con i partner tecnologici.
Ci spieghi meglio…In una rete degli oggetti, le piattafor-
me basate su blockchain possono ge-
stire i flussi di dialogo e interscambio
tra dispositivi intelligenti. La grande
opportunità nel campo delle soluzio-
ni IoT è ben lungi dall’essere solo un
esercizio teorico. Confindustria po-
trebbe guidare il processo di rivoluzio-
ne di uno scenario fatto di piattaforme
sistemiche centralizzate in Italia. Una
delle sfide sarà scrivere le specifiche
degli smart contract (forme di con-
tratti scritti in modalità algoritmica,
in grado di essere eseguiti e controllati
automaticamente al verificarsi di con-
dizioni specificate, ndr) che garantisca-
no il dialogo tra le macchine, i processi
industriali e i mercati a valle.
Guardiamo al mondo finanziario: il via libera della Banca d’Italia di qualche mese fa per la sperimentazione sul Bit-coin ne favorirà l’adozione?Finché le banche saranno convinte di
dover aspettare il permesso del regola-
tore per fare innovazione, rimarranno
sempre parecchi passi indietro. Il caso
di Bitcoin è paradigmatico: se da un
lato le cripto valute sono ancora una
scommessa complicata, non neces-
sariamente lo sono la tecnologia o il
protocollo logico/organizzativo sotto-
stante. Se nel 2016 una banca non ha
ancora capito le opportunità che può
cogliere con i blockchain e gli smart
contract, il problema è nell’inadegua-
tezza del management, non nei per-
messi di Bankitalia.
Unicredit e Intesa Sanpaolo si sono mossi con decisione in questo campo: lo faranno anche altri gruppi? Le due banche si sono mosse per pri-
me perché hanno risorse e competenze
in grado di cogliere e accettare la sfida,
sia pure con molte resistenze interne.
Altre banche più piccole, ma più im-
prenditoriali e veloci, hanno fatto im-
portanti tratti di strada sul fronte Fin-
tech. Come molti altri analisti, vedo
più opportunità di sperimentazione
e di risultati a breve termine sul mer-
cato del credito e dei servizi business,
di quanto invece ci si possa ragione-
Carlo Alberto Carnevale Maffè
20 | OTTOBRE 2016
L’industria connessa e intelligen-
te piace sempre di più. Anche
in Italia. Tant’è che nel 2015
gli investimenti in soluzioni e
tecnologie in chiave smart manufactu-
ring e per sostenere la cosiddetta quarta
rivoluzione industriale sono arrivati a
1,2 miliardi di euro. Pari, cioè, a circa
un decimo della spesa complessiva del
settore. E per il 2016, stando alle rile-
vazioni dell’Osservatorio del Politecnico
di Milano, si prevede addirittura una
crescita del 20%.
Ma qual è la tecnologia che risiede al
cuore di questa profonda trasformazio-
ne del tessuto industriale? Una ricerca
commissionata da Oracle (“Cloud:
Opening up the road to Industry 4.0”)
non ha molti dubbi in proposito: è il
cloud. L’indagine in questione, con-
dotta su oltre 1.200 decisori aziendali
di una ventina di Paesi ha confermato
che la maggior parte delle imprese pun-
ta oggi principalmente sulla nuvo-
la per tessere le strategie e definire gli
investimenti in innovazione tecnologi-
ca nell’ambito della robotica e dell’in-
telligenza artificiale.
La maggior parte delle aziende, nello
specifico, riconosce come un’infrastrut-
tura in cloud sia necessaria per poter di-
sporre di queste tecnologie, che alcune
realtà italiane stanno già implementan-
do. Il 55%, infatti, ha in essere progetti
legati alla robotica e il 57% a qualche
forma di intelligenza artificiale. Sei im-
prese su dieci ritengono inoltre che una
piattaforma cloud di livello enterprise
offra l’opportunità di capitalizzare gli
investimenti sull’innovazione. Percen-
Per sei imprese italiane su dieci, il cloud permette di capitalizzare gli investimenti sull’innovazione in ambito smart manufacturing. Oltre la metà delle aziende è però ancora legata a infrastrutture informatiche troppo rigide.
LA NUVOLA SPINGE DATI E ROBOTICA IN FABBRICA
tuali importanti, ma che sottolineano
comunque come una larga parte di
aziende debba ancora esplorare il poten-
ziale del paradigma Industria 4.0.
In Italia, lo dice ancora l’Osservatorio
Smart Manufacturing del Politecni-
co, il 38% delle realtà non conosce il
tema, mentre i progetti sono spesso in
fase pilota e le piccole e medie impre-
se mancano quasi del tutto all’appello.
Una possibile spiegazione, a detta del-
la ricerca, è data dal fatto che in molte
organizzazioni (il 60% nel complesso,
il 62% in Italia) manchi un’adeguata
infrastruttura informatica, prevalendo
invece rigide soluzioni legacy non adat-
te alla trasformazione digitale.
Per gestire applicazioni e piattaforme
obsolete, il 9% delle imprese della Pe-
nisola ha integrato un modello basato
SCENARI | Industry 4.0
21
su cloud (un dato più elevato rispetto
alla media degli altri Paesi), il 38% lo
sta implementando quest’anno e il 35%
prevede di farlo nel 2017. La nuvola
vista come un modello da adottare per
riuscire a connettere vecchie e nuove
piattaforme, molto diffuse in ambito
industriale, rappresenta una tendenza
molto chiara.
Il 48% delle imprese della Penisola di-
chiara infine che i modelli di integrazio-
ne delle varie applicazioni e tecnologie
di cui oggi dispongono crea inefficienze,
soprattutto per i tempi di introduzione
delle innovazioni, e ostacola anche la
capacità di sfruttare al meglio funzio-
ni chiave per l’industria del futuro. In
particolare l’analisi di grandi quantità di
dati. In sintesi, un’infrastruttura cloud
integrata sta rendendo più economico,
facile e veloce diventare ed essere com-
petitivi. Ma non solo: l’innovazione in-
trodotta da Industry 4.0 potrebbe crea-
re, secondo i dati di Boston Consulting
Group, le condizioni per 400mila nuovi
posti di lavoro nella sola Europa, deter-
minando nei prossimi 15 anni un incre-
mento della produttività tra il 5 e l’8%.
Piero Aprile
MANUTENZIONE PREDITTIVA SUI BINARI
La tecnologia tedesca permetterà ai treni italiani di viaggiare meglio, scongiurando malfunzionamenti e guasti. Parliamo nel dettaglio delle soluzioni Internet of Things di Sap, scelte da Trenitalia per rendere più efficiente, efficace e dinamica la manutenzione della sua flotta di circa 30mila locomotive. La società del Gruppo FS Italiane e il colosso tedesco hanno avviato il progetto nel 2014, annunciandolo poi uffi-cialmente a fine settembre in un evento tenutosi al Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa (Napoli).La soluzione adottata da Trenitalia (Predictive Maintenance and Servi-ce) permette di raccogliere e ana-lizzare in tempo reale i dati che rive-lano la buona o cattiva salute di un veicolo. Il tutto grazie ai sensori in-stallati a bordo treno su freni, mo-tori e batterie, nonché dai software di analytics che processano l’intero flusso di informazioni. E non solo: al crescere della quanti-tà di dati analizzati, la soluzione svi-luppa dei modelli predittivi sempre più precisi e attendibili, finalizzati a intuire in anticipo la necessità di eseguire interventi di manutenzio-ne e prevenire quindi l’insorgere di problemi. Trenitalia, infine, può anche mettere in relazione i dati relativi alle varie componenti (mo-
tori, batterie, freni) con il loro ciclo di vita, con l’utilizzo e con altri in-dicatori di performance. A sancire la valenza del progetto c’è l’assi-curazione, a firma dei manager di Trenitalia, che il programma, verrà esteso progressivamente a tutti i treni, compresi quelli regionali, ed è unico nel suo genere in Europa. Ai benefici per i passeggeri (per cui si prospettano migliori esperienze di viaggio) si aggiungono quelli di ordine economico, corrispondenti a una riduzione dei costi di manu-tenzione calcolabile in una percen-tuale compresa fra l’8% e il 10%. Un impatto quindi molto significati-vo, che va nel solco della promesse del Gruppo Fs Italiane per il lungo periodo: sui binari italiani dovrà viaggiare sempre più tecnologia. Il piano industriale 2017-2026 del gruppo contiene, infatti, diversi progetti innovativi, fra cui lo svilup-po di app dedicate alla pianificazio-ne del viaggio e strumenti di analisi avanzati, oltre a iniziative volte al miglioramento della relazione con i clienti e alla gestione dei Big Data. Sap, dal canto suo, ha appena annunciato un piano d’ la solu-zione investimento quinquennale nell’ambito dell’Internet of Things, per un valore di circa due miliardi di euro.
22
TECHNOPOLIS PER RICOH
MEDIE AZIENDE UE PENALIZZATE, MA LA TECNOLOGIA AIUTA
Le aziende di dimensioni medie sono un importante motore dell’economia europea. Eppure sembrano soffrire di una sorta di “sindrome del figlio di mezzo”, cioè di una serie di circostanze che le svantaggiano sia rispetto alle grandi imprese sia alle più agili startup. A queste realtà spesso manca il supporto necessario per sostenere investimenti, strategie di crescita e innovazione. È quanto emerge da un’indagine commissionata da Ricoh Europe a Coleman Parkes Research, che ha interpellato 1.650 medie aziende (comprese fra i cinquanta e i cinquecento dipendenti e con un fatturato fra i 3 milioni e i 130 milioni di euro) di 20 Paesi europei. Un dato, quasi plebiscitario, colpisce: il 93% degli intervistati si sente penalizzato da barriere che impediscono all’impresa di raggiungere il suo pieno potenziale. Quali barriere? Innanzitutto, i requisiti normativi troppo complessi e che comportano ingenti investimenti: li cita il 31% degli in-terpellati, ma la percentuale sale al 38% nel campione italiano. Seguono, fra i problemi, la difficoltà di attrarre nuovi talenti (citata dal 27% delle aziende e dal 24% di quelle nostrane) e la difficoltà nell’ottenere finanzia-
menti per nuove tecnologie (27% in Europa e 31% in Italia). Eppure gli investimenti in tecnologie e innovazione sono cruciali per con-tinuare a competere. Restringendo lo sguardo alle sole aziende tricolori, si osserva come il 42% consideri una priorità di business di medio termi-ne (due anni) lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, mentre il 38% cita l’innovazione dei processi e l’uso della tecnologia come leve competitive e il 35% desidera poter investire nell’Ict per realizzare una vera trasfor-mazione del business. Se questi sono i desideri e le intenzioni, la realtà appare ben diversa. Sul totale degli intervistati dei venti Paesi, infatti, un buon 30% non ha nemmeno cominciato a sfruttare le tecnologie digitali con l’intento di far crescere l’azienda. E sale al 70% la percentuale di chi si sente vittima della “sindrome del figlio di mezzo”. Le conseguenze economiche di tutto ciò sono preoccupanti: secondo l’analisi di Coleman Parkes Research, il giro d’affari potenziale e non concretizzato dalle im-prese europee di dimensioni intermedie ammonta a 433 miliardi di euro all’anno, che si traducono in 5,7 milioni di euro ad azienda. La tecnologia, però, può aiutare. La missione di Ricoh è quella di aiutare le imprese a mettere l’innovazione al primo posto e a superare le sfide di business ottimizzando i propri processi. Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia, commenta: “Le realtà che vogliono puntare alla crescita dovreb-bero concentrarsi sulle tecnologie per la digitalizzazione, implementando ad esempio fatturazione elettronica e flussi di lavoro automatizzati. Per queste aziende è arrivato il momento di dare priorità all’innovazione per affrontare le sfide poste dal mercato”. Per le medie imprese il “salto” verso la digitalizzazione è fondamentale per riuscire a realizzare il fatturato che stanno potenzialmente perdendo ogni anno e per ottenere miglioramento del customer service, riduzione dei costi e ottimizzazione delle comunicazioni con i clienti. Tutti vantaggi messi in evidenza dalle aziende coinvolte nella ricerca che hanno già im-plementato tecnologie per la digital transformation.
Un’indagine di Coleman Parkes Research svela che, in venti Paesi dell’Ue, il 70% delle
imprese da 50-500 dipendenti si sente vittima della “sindrome del figlio di mezzo”.
Ricoh PJ WX4152N è un videoproiettore a ottica ultra corta,con cui è possibile realizzare presentazioni interattive
su superfici sia verticali sia orizzontali.
Davide Oriani,Ceo di Ricoh Italia
23OTTOBRE 2016 |
Gli analisti evidenziano un fenomeno di rottura con il passato, con nuove soluzionihybrid cloud e di archiviazione a oggetti capaci di intercettare le maggiori esigenze di agilità e scalabilità manifestate dalle aziende. Il mercato italiano, intanto, è in leggera flessione alla fine del primo semestre dell’anno.
L’AVANZATA DELLE NUOVE ARCHITETTURE
SPECIALE | Storage
In tutto il mondo entro il 2020 sa-
ranno stati generati oltre 44 Zet-
tabyte di dati, l’80% dei quali in
forma non strutturata. Questa
l’ultima stima rilasciata da Idc, che pa-
rallelamente all’esplosione dei dati pre-
vede un’attenzione crescente da parte
delle aziende nei confronti di tutte le
tecnologie in grado di gestirli, conser-
varli e analizzarli. Big Bata, computing
cognitivo, storage e cloud diventeran-
no dunque componenti essenziali della
“data-driven economy”, un’economia
digitale in cui le organizzazioni sono
obbligate a prendere decisioni consa-
pevoli nel minor tempo possibile per
poter restare competitive.
“In questo contesto stiamo osservando
un progressivo spostamento d’attenzio-
ne delle aziende verso nuove architettu-
re storage e nuovi modelli di erogazio-
ne, in rottura con il passato e a favore
di una maggiore agilità, scalabilità e
facilità di gestione”, puntualizza Sergio
Patano, research & consulting mana-
ger di Idc Italia, sottolineando come
gli stessi fornitori, riconoscendo il cam-
biamento in atto, abbiano avviato una
profonda trasformazione del proprio
portafoglio d’offerta. Una trasforma-
zione che sta già portando nuova linfa
a un settore complessivamente in calo a
OTTOBRE 2016 |24 | OTTOBRE 2016
SPECIALE | Storage
Il grafico nella pagina accanto illu-stra come l’archiviazione costituisca la destinazione d’uso più tipica per i servizi di storage cloud pubbli-ci. Idc ritiene che questo indichi un forte orientamento delle organizza-zioni europee all’impiego di servizi di data storage più convenienti per la conservazione dei “dati freddi”: una scelta che permette di liberare spazio all’interno delle infrastrutture on-premise a favore di primary data utilizzati dalle applicazioni critiche.
CLOUD STORAGE PUBBLICO PER UN’AZIENDA EUROPEA SU TRE
Circa il 31% dei rispondenti ha dichia-rato di avere un piano per l’archivia-zione che prevede il ricorso a servizi di cloud pubblico entro dodici mesi. Altri casi d’uso europei includono la protezione di workload aziendali e la data protection per sistemi de-sktop e laptop (49% dei rispondenti). Anche l’adozione di servizi di cloud pubblico per finalità di disaster reco-very è una delle principali applicazio-ni, citata dal 44% degli intervistati. Per le aziende che non hanno una
specifica soluzione per il backup di desktop e laptop, i servizi cloud of-frono una veloce risposta a questo problema. Preoccupazione costan-te delle organizzazioni europee è il disaster recovery: da questo punto di vista, i servizi nella nuvola di tipo pubblico si rivelano un’interessante opzione per disporre di un sito se-condario per il “piano di recupero del disastro”, a una frazione di costo rispetto alla realizzazione di un se-condo data center.
causa della sua stessa maturità.
“In termini di valore, il mercato dell’en-
terprise storage soffre principalmente a
causa di una flessione costante dei suoi
prezzi medi, che non viene controbi-
lanciato dalla crescita dei terabyte con-
segnati”, commenta Patano. “Fanno
eccezione gli All Flash Array (Afa), un
segmento d’offerta che continua a rega-
lare risultati molto buoni tanto a livello
mondiale quanto italiano, e che trova
sostegno proprio nella caduta del prez-
zo medio per terabyte”.
Secondo gli ultimi dati rilasciati da Idc,
con un valore complessivo del primo se-
mestre 2016 pari a 18,7 miliardi di dol-
lari, il mercato mondiale dell’enterprise
storage è complessivamente calato del
3% rispetto allo stesso periodo del 2015,
mentre gli Afa hanno fatto registrare
una crescita superiore al 90%.
In Italia la situazione è abbastanza si-
mile in termini di trend: confrontando
i primi semestri del 2016 e del 2015, il
mercato presenta una contrazione del
4%, con un valore complessivo nell’or-
dine dei 180 milioni di euro. Il segmen-
to All Flash Array, invece, ha registrato
una crescita del 100%, raggiungendo
un valore di poco inferiore ai 20 mi-
lioni di euro. A differenza del mercato
globale, però, si registra anche una forte
crescita (pari al 40%) del segmento de-
gli Hybrid Flash Array.
Sbocciano i progetti all’insegna del software-defined“Oggi i principali casi d’uso che guida-
no gli investimenti delle aziende in te-
matiche storage sono relativi al backup
& recovery, all’archiving, alla data go-
vernance e al disaster recovery” afferma
Patano, precisando che dal un punto
di vista infrastrutturale, invece, sono
numerose le aziende che stanno espan-
dendo l’approccio software-defined
allo storage. Un’apertura principal-
mente legata al percorso di trasforma-
zione digitale che molte aziende hanno
intrapreso o stanno intraprendendo.
A investire di più in questa direzione
sono soprattutto le realtà che devo-
no quotidianamente confrontarsi con
grandi volumi di dati e che sono attrat-
te da tecnologie alternative, robuste e
reattive, oltre che accessibili in termini
di costo. Sono principalmente società
appartenenti al settore dei media, fi-
nanziario, dei trasporti, della distribu-
zione e delle utility. “Il loro obiettivo
primario è creare un’infrastruttura
storage altamente automatizzata, agile
e software-driven per poter rispondere
più velocemente alle esigenze del bu-
siness, contenendo i costi”, prosegue
l’analista. Patano sottolinea come non
esista una ricetta unica per abbraccia-
re con successo le nuove architetture
storage, avvantaggiandosi da subito
dei benefici che sono in grado di offri-
re: “Come per qualunque progetto, le
aziende devono partire da un corretto
assessment dell’esistente e pianificare
meticolosamente gli step successivi, in
modo da preservare e valorizzare gli
investimenti passati e stabilire quali
debbano essere gli obiettivi di medio e
lungo termine. Il nostro suggerimento
è quello di cominciare a sperimentare
con un piccolo gruppo di utenti interni
e creare dei business case che possano
essere facilmente replicabili anche in
altre strutture e che, soprattutto, pos-
sano facilmente dimostrare i vantag-
gi derivanti dall’implementazione di
soluzioni innovative”. Un’indicazione
che, in generale, non vale solo per l’in-
Sergio Patano
25
Secondo la società di analisi Idc, il segmento Flash nelle sue diverse declinazioni è sicuramente quello che sta facendo assistere alle in-novazioni più interessanti nel set-tore dell’enterprise storage. L’ulti-ma novità annunciata in ordine di tempo è firmata Fujitsu e riguarda i nuovi Eternus AF, sistemi pensati per rendere definitivamente main-stream l’opzione All Flash all’inter-no dei data center aziendali.Disponibili in due versioni (AF250 e AF650), i nuovi sistemi consento-no di incrementare le prestazioni di tutti i carichi di lavoro azienda-
LA TECNOLOGIA FLASH ALLA GUIDA DELL’INNOVAZIONE
li, modificando radicalmente gli economics delle infrastrutture per l’archiviazione. Grazie a nuove ed efficaci funzionalità di deduplica e compressione in linea, gli Eternus AF sono, infatti, in grado di taglia-re notevolmente i costi che vengo-no tradizionalmente associati agli array All Flash riducendo al minino le capacità Ssd necessarie. I nuo-vi modelli offrono, inoltre, opzioni di configurazione flessibili, assicu-rando in questo modo il mirroring della totalità dei dati critici azien-dali all’interno dell’intera offerta di storage Eternus.
frastruttura storage, ma per tutto quel-
lo che riguarda l’approccio alla trasfor-
mazione digitale.
Archiviazione nella nuvolapronta al boom“Oggi lo storage in cloud è una delle
opzioni che sta attraendo maggiormen-
te l’interesse, l’attenzione e gli investi-
menti delle aziende”, afferma Patano.
“A spingerle verso questo nuovo model-
lo di archiviazione giocano più fattori,
tra cui la crescita continua dei dati da
conservare, la necessità di un adegua-
mento normativo e la sua promessa di
contenimento dei costi”. Il cloud-based
storage offre, infatti, alle aziende un in-
teressante approccio “pay as you go” che
piace molto ai Cfo, poiché non richiede
enormi investimenti tecnologici inizia-
li, e che contemporaneamente viene in-
contro alle esigenze dei Cio in termini
di flessibilità e scalabilità. Pressioni in
questa direzione provengono anche dal
fronte applicativo, sempre più orienta-
to a uno sviluppo in cloud per favorire
una nuova cultura basata sul “data-as-
a-service”.
Per le sue stesse caratteristiche, con-
ferma ancora Patano, “il cloud storage
è in grado di supportare una miglio-
re scalabilità delle risorse rispetto a
infrastrutture on-premise e non è un
caso che molte aziende stiano valutan-
do questa opzione per l’archiviazione
a lungo termine dei cosiddetti ‘cold
data’, oltre che per le attività di disaster
recovery”.
Esistono, tuttavia, ancora degli ostaco-
li da superare prima della sua definitiva
consacrazione. Fra questi, la normativa
sulla sovranità del dato e la sua loca-
lizzazione: due problematiche che la
crescente offerta di servizi di storage
su nuvola erogati da service provider
europei (o, comunque, con data center
localizzati in Europa) sta ormai risol-
vendo, rendendo questi servizi molto
più attrattivi e fruibili. Non è un caso
che Idc stimi un incremento medio an-
nuo tra il 2014 e il 2019 pari all’11,6%
per questo tipo d’offerta, proiettando
il giro d’affari globale del 2018 a quo-
ta 20 miliardi di dollari, mentre nello
stesso periodo quello dell’enterprise
storage crescerà a livello mondiale solo
dello 0,4%.
Claudia Rossi
ADOZIONE PIANIFICATA ENTRO DODICI MESI
ATTUALMENTE IN USO
ARCHIVIAZIONE
DATA PROTECTION PER CARICHI DI LAVORO ENTERPRISE
DATA PROTECTION PER DESKTOP/LAPTOP
DISASTER RECOVERY
DATA PROTECTION PER SEDI REMOTE/FILIALI
CAPACITÀ DI RAW STORAGE
PEAK STORAGE
PIATTAFORME DI SVILUPPO
EDISCOVERY
Fonte: Idc 0 30% 60% 90%
26OTTOBRE 2016 |26
SPECIALE | Sed ut perspiciatis
| OTTOBRE 2016
SPECIALE | Storage
L’oceano di dati generato dalla nuova economia digitale necessita di un’infrastrutturasempre più veloce e performante. Ma la tecnologia non è l'unico ingrediente da includere nelle strategie di trasformazione.
Le esigenze di trasformazione
digitale del business, combi-
nate con la crescita inarrestabi-
le dei dati e con una gestione
infrastrutturale sempre più complessa,
stanno portando un maggior numero
di aziende a riformulare la propria stra-
tegia storage. Un ripensamento profon-
do, che non punta solo a implementare
i ciclici rinnovamenti tecnologici e ar-
chitetturali, ma che spinge anche ad ab-
bracciare nuovi modelli di servizio, più
rispondenti ai requisiti di agilità e scala-
bilità dettati dalla digital economy.
“Il mondo digitale sta ormai generando
oceani di dati e le organizzazioni devo-
no poter pescare questi dati in modo
selettivo, estraendo la conoscenza e le
informazioni funzionali al business.
Questo significa che tutti i dati dispo-
nibili devono essere efficientemente
memorizzati, gestiti e protetti per poter
essere utilizzati dalle applicazioni giu-
ste al momento giusto. L’infrastruttura
deputata a governarli, quindi, non può
che essere flessibile, sicura e capace di
LA DIGITAL ECONOMY ORIENTA L’EVOLUZIONE
adattarsi velocemente ai cambiamenti:
non tutti i dati, infatti, sono uguali o
hanno lo stesso valore, ma tutti possono
diventare vitali per il business”, afferma
Francesco Casa, manager of storage
solutions di Ibm Italia. Che puntualiz-
za anche un altro aspetto del problema:
l’importanza di disporre di differenti
tipologie di storage per poter gestire in
maniera diversificata i dati aziendali e
garantirsi contemporaneamente la li-
bertà di adattarsi a nuove esigenze. Una
linea di pensiero, questa, condivisa an-
27
che da Andrea Sappia, sales consultant
manager di Fujitsu Italia, che sottolinea
come oggi sia importante per le imprese
ricorrere “a tutte le tecnologie storage
disponibili sul mercato per rispondere
in modo adeguato ai differenti carichi
di lavoro dei servizi e delle applicazio-
ni, assicurandosi il miglior total cost of
ownership”.
Per raggiungere questo obiettivo, secon-
do Roberto Patano, senior manager sy-
stems engineering di NetApp Italia, è di
fondamentale importanza misurare la
convenienza delle soluzioni in funzione
della reale “bottom line” aziendale (che
comprende processi, tecnologie e per-
sone) e non fermarsi alla valutazione di
singoli Kpi (Key performance indicator)
semplificati e spesso fuorvianti, come il
semplice costo per terabyte.
I pilastri delle infrastruttureMa quali sono le componenti tecnologi-
che che un’azienda non può permettersi
di trascurare se desidera infrastrutture
capaci di reagire in modo dinamico e
tempestivo al variare delle esigenze di
business? “Innanzitutto è importante
poter contare su un ambiente software-
defined, in grado di recepire tutte le
possibili innovazioni. E, poi, poter far
leva su funzionalità software avanzate,
come il tiering, la compressione e la
deduplica, capaci di rendere efficiente
l’infrastruttura storage e offrire valore
a prescindere dalle scelte tecnologiche”,
commenta ancora Casa di Ibm, sotto-
lineando come l’adozione dei servizi
cloud richieda, invece, un’infrastruttura
ibrida solida e aperta, basata su tecno-
logie mature e con una roadmap certa.
“Il portfolio storage Eternus di Fujitsu
spicca sul mercato per l’ampia dispo-
nibilità di soluzioni ibride, capaci di
risolvere contemporaneamente proble-
matiche di performance e di conteni-
mento dei costi”, afferma Sappia. “Oltre
a queste disponiamo di una gamma di
sistemi All Flash, recentemente este-
sa con l’annuncio della nuova famiglia
Eternus AF, una linea che rappresenta
un’importante evoluzione di prodotto
in termini di scalabilità e prestazioni”.
Contemporaneamente ai nuovi sistemi
AF, Fujitsu ha anche annunciato una
soluzione di deduplica e compressione
compatibile con tutta la famiglia Eter-
nus e capace di ottimizzare l’occupa-
zione dello spazio su qualsiasi storage,
dischi Ssd e All Flash compresi.
“Grazie agli standard di efficienza rag-
giunti dai nuovi livelli di compressio-
ne/deduplica e compattazione del dato,
i drive Flash stanno diventando ormai
economici come i drive tradizionali”,
afferma Patano di NetApp. “Un aspet-
to importante, che assieme all’incre-
mento delle prestazioni spingerà sem-
pre più l’adozione di questa tecnologia
da parte del mercato”. A detta del ma-
nager, nel rinnovamento delle archi-
tetture storage aziendali è necessario
prestare molta attenzione agli aspetti
di flessibilità operativa, adottando tec-
nologie compatibili con quelle già in
usate dai cloud service provider e dagli
hyperscaler, le cui offerte sono ormai
mature e ben si prestano a gestire servi-
zi come il backup, il disaster recovery o
gli ambienti di test e sviluppo.
Sottolinea l’importanza della tecnolo-
gia Flash anche Yari Franzini, count-
ry manager converged infrastructure
Italy di Hpe, convinto che l’All Flash,
in particolare, rappresenti la pietra
angolare delle moderne infrastrutture
storage: “Il forte sviluppo della tecno-
logia Flash e di sistemi storage sempre
più efficienti sta inducendo le organiz-
zazioni a ripensare i meccanismi di ap-
provvigionamento e i fattori di scelta
delle soluzioni da adottare per imple-
mentare architetture altamente perfor-
manti, non solo in caso di specifiche
applicazioni ma per tutte le esigenze
aziendali”.
L’approccio dell’All Flash data center
secondo Franzini non permette solo di
semplificare la gestione dell’infrastrut-
tura, ma è anche in grado di garantire
maggiore flessibilità, più elevati livelli
di performance e un migliore Tco.
Compatibilità e flessibilità, il nuovo mantra Le esigenze di agilità e scalabilità detta-
te dall’economia “data driven” stanno
spingendo quasi tutti i principali for-
nitori storage a riformulare i portafogli
d’offerta in un’ottica sempre più orien-
tata alla flessibilità, concetto chiave per
garantire un adattamento estremamen-
te veloce a esigenze di business in conti-
nua evoluzione.
Nel caso di Ibm, la flessibilità si concre-
tizza in un’offerta declinata da tempo in
tre modalità: come soluzioni integrate,
come software e come servizi cloud.
Tre alternative che lasciano ai clienti la
possibilità di scegliere l’opzione a loro
più adatta in funzione dei requisiti di
business e del budget a disposizione.
“Aver concepito fin dall’inizio lo sto-
rage NetApp come doftware-defined
ci permette di garantire la massima
libertà nell’implementazione dei siste-
mi”, afferma Patano, “cioè come solu-
zioni software-defined storage su server
open, come macchine virtuali o come
sevizi su hyperscaler e service provider.
Si tratta di un ecosistema d’offerta che
ci consente di proporre soluzioni on
YARI
FRA
NZI
NI -
HPE
FRAN
CESC
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SA -
IBM
ROBE
RTO
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NO
- NET
APP
ANDR
EA S
APPI
A - F
UJI
TSU
28OTTOBRE 2016 |28
SPECIALE | Storage
premise, cloud ibride e nel cloud, co-
prendo l’intero ventaglio delle richie-
ste del mercato”. Il manager sottolinea,
inoltre, come fattore differenziante di
NetApp sia la possibilità di assicurare
ai clienti che hanno adottato il Data
Fabric un’evoluzione dei servizi senza
disruption, assecondando in manie-
ra dinamica e conveniente le esigenze
aziendali.
La capacità di rispondere velocemen-
te alle necessità del business, viene
sottolineata anche da Fujitsu, che evi-
denzia come la piena compatibilità di
“Il public cloud giocherà un ruolo sempre più importante nella defini-zione dello storage, ma non ritenia-mo che possa diventare il reposito-ry di grossi volumi di dati utilizzati dagli applicativi più performanti”: questa l’analsi di Andrea Sappia di Fujitsu Italia, che addita le pro-blematiche di banda come princi-pale responsabile. “Considerate le limitazioni in essere, le aziende tenderanno ad appoggiare su si-stemi Flash locali tutte le applica-zioni che necessitano di un accesso alle informazioni in tempo reale, riversando invece in cloud i dati di cui devono avere copie di backup
LA NUVOLA PUBBLICA È UN’OPZIONE. CON QUALCHE RISERVA
per soddisfare esigenze di disaster recovery”. Più ampi i vantaggi ri-conosciuti alla nuvola pubblica da NetApp, che vi intravede non solo benefici economici ma anche di flessibilità. Il cloud permette, infat-ti, di usufruire temporaneamente di servizi forniti da hyperscaler e cloud provider, senza dover implementa-re infrastrutture dedicate. “Questo comporta un vantaggio operativo, poiché è possibile implementare velocemente servizi in cloud in gra-do di accelerare il time to market di una soluzione, per poi riportarla magari on-premise in un secondo momento”, chiarisce Roberto Pa-
tutti i suoi sistemi rappresenti uno de-
gli aspetti più apprezzati da parte del
mercato. “Nessuno dei nostri sistemi
storage è frutto di acquisizioni o di
sviluppi esterni, questo significa che
tutte le nostre soluzioni fanno parte
nativamente di un’unica famiglia e che
i loro strumenti di gestione e replica
sono pienamente compatibili. Ciò non
solo ne velocizza l’implementazione,
ma ne semplifica al massimo anche l’u-
tilizzo”, dichiara Sappia.
Semplice e concreta è la strategia stora-
ge di Hpe, calata in un’unica soluzione
sia nel caso di un approccio All Flash
data center sia nel classico general pur-
pose: in sostanza, l’azienda propone
un solo sistema operativo e una sola
architettura condivisa per garantire i
più alti livelli di performance e tutte
le funzionalità tipiche degli storage
enterprise, a costi di acquisto e di ge-
stione competitivi. “Il nostro storage si
distingue sul mercato per la capacità
di adattarsi con successo a tutte le esi-
genze, rivelandosi efficace in qualsiasi
organizzazione, dalle piccole e medie
fino alle grandi imprese”, conclude
Franzini. C.R.
tano. Ma se il public cloud stora-ge può offrire nuove opportunità d’efficienza alle aziende, affinché queste non rimangano sulla carta è importante prestare particolare attenzione nella scelta dell’infra-struttura. “Le aziende che scel-gono di affidarsi al cloud devono implementare un’infrastruttura It adeguata”, afferma Yari Franzini di Hpe. “Non solo capace di inte-ragire con le risorse nella nuvola, ma che sia anche in grado di adat-tarsi alle nuove esigenze (cloud e on-premise) con estrema facilità, semplicità di gestione e in piena trasparenza”.
29OTTOBRE 2016 |
SPECIALE | Storage
Si moltiplicano sul mercato le offerte appoggiate sulla nuvola e dedicate al mondo business. Funzionalità, livelli di sicurezza e localizzazione dei data center le variabili per scegliere il servizio più adatto per la propria azienda.
OBIETTIVO CONDIVISIONE,PASSANDO PER IL CLOUD
La mole crescente di dati da ar-
chiviare, abbinata alla necessi-
tà di disporre di infrastrutture
velocemente scalabili, sta spin-
gendo molte organizzazioni a valutare
i servizi storage in cloud come valida
alternativa alle tradizionali soluzioni
on premise. Si tratta di offerte molto
differenti da quelle dedicate al mondo
privato, poiché alla semplice opzione di
repositoring dei dati abbinano spesso
servizi evoluti, particolarmente interes-
santi per la clientela aziendale. Tra que-
sti spicca la disponibilità di spazi colla-
borativi in grado di svincolare gli utenti
dai luoghi fisici di lavoro, oltre a utili
strumenti di revisione e sincronizzazio-
ne dei documenti. Aggiornati in tempo
reale, i dati sono inoltre accessibili tra-
mite qualunque dispositivo, azzerando
tutte le limitazioni legate all’archivia-
zione locale. Dal punto di vista econo-
mico, poi, lo storage sulla nuvola offre
alle aziende importanti opportunità di
risparmio. A fronte di una tariffa (men-
sile o annuale), le organizzazioni posso-
no liberarsi, infatti, dei costi d’acquisto
e di manutenzione delle infrastrutture,
focalizzando le attività dei propri re-
parti It solo su progetti a valore per il
business. Non tutti i servizi di storage
in cloud, tuttavia, si equivalgono: per
identificare il più adatto alla propria
organizzazione è importante studiare le
offerte in modo approfondito, prenden-
do in considerazione non solo le fun-
zionalità supportate, ma anche il livello
di sicurezza garantito e la localizzazione
geografica dei server.
“Sempre più spesso le aziende mani-
festano la necessità di poter archiviare
grandi quantità di dati destrutturati
30OTTOBRE 2016 |30 | OTTOBRE 2016
SPECIALE | Storage
a costi sostenibili, mantenendo le in-
formazioni disponibili in real-time e
rendendole accessibili anche a utenti
poco tecnici”, afferma Andrea Ayme-
rich, head of cloud platform Italy and
Spain di Google for Work. “Con la
Google Cloud Platform siamo in gra-
do di rispondere efficacemente a tutte
queste esigenze, aggiungendo aspetti
importanti come la capacità di suppor-
tare gli utenti ovunque nel mondo, la
scalabilità illimitata e un taglio netto
alle attività di gestione e manutenzio-
ne delle infrastrutture”. L’offerta della
società di Mountain View consente di
evitare il lock-in tecnologico e mette
a disposizione diversi elementi chiave,
che spaziano dal cloud storage (per l’ar-
chiviazione di grandi volumi di dati
destrutturati a costi accessibili) ai da-
tabase NoSql (adatti a gestire applica-
zioni con necessità di caricamento dati
in streaming, per esempio in ambito
IoT), fino agli ambienti completamente
gestiti e orientati all’analisi real-time.
“Un ultimo componente è rappresenta-
to dal servizio CloudSql fully managed
per la gestione dei database relazionali”,
aggiunge Aymerich. Per tutte le real-
tà che intendono conservare parte dei
propri dati in locale, Google ha messo,
poi, a punto un modello ibrido, capace
di integrare facilmente le infrastrutture
aziendali con le proprie.
DAN
ILO
POCC
IA -
AWS
ROBE
RTO
ANDR
EOLI
- M
ICRO
SOFT
ANDR
EA A
YMER
ICH
- GO
OGL
E
Un approccio, quello ibrido, pienamen-
te sposato anche da Microsoft, che al
mondo delle aziende non offre servizi di
storage sotto forma di memorizzazione
“cloud only”, ma anche di archiviazio-
ne ibrida attraverso Storsimple, una
soluzione pensata per aiutare i clienti
a spostare più facilmente i dati verso
la nuvola. “Un aspetto estremamente
importante della nostra offerta è l’inte-
grazione dei servizi storage all’interno
di prodotti come Windows Server e Sql
Server, non solo per le funzionalità di
backup e disaster recovery, ma anche
per garantire l’integrazione con i ser-
vizi IaaS e l’analisi dei dati di Micro-
soft Azure”, precisa Roberto Andre-
oli, direttore della divisione cloud &
enterprise di Microsoft Italia. “Questi
due aspetti sono peculiari del nostro
approccio al cloud, in quanto intendia-
mo continuare a supportare i clienti che
vogliono spostare i propri dati sulla nu-
vola seguendo il loro piano di adozione.
Questo è ancora più vero con le ultime
versioni di Windows Server 2016 ed
Sql Server 2016 e con le loro funzio-
nalità semplificate di integrazione dei
31
Anche se la maggioranza delle aziende non utilizza il cloud solo per archiviare i dati, non poche sono interessate alla nuvola esclu-sivamente per disporre di un re-pository sicuro o per rispettare la normativa sul trattamento dei dati. Esigenze diverse, che hanno dato origine a due filoni d’offerta attigui ma distinti: i servizi di cloud stora-ge, da una parte, e quelli di backup
DESTINAZIONE STORAGE O SEMPLICE BACKUP?
dati presenti nel cloud e nei servizi in-
house”. Ai clienti che scelgono, invece,
da subito un approccio al cloud di tipo
“all-in”, Microsoft non garantisce solo il
supporto di sistemi storage ad altissime
prestazioni, ma anche servizi di data wa-
rehouse e analytics basati su Sql Server e
tecnologie open source, come Hadoop,
Spark, Hbase e Storm.
Punta tutto sulla flessibilità anche Ama-
zon Web Services, impegnata a consen-
tire alle aziende di comporre in modo
estremamente dinamico le proprie solu-
zioni, scegliendo da un’offerta sempre più
estesa e ricca di capacità. “In dieci anni
Aws ha aggiunto ai propri servizi mol-
tissime funzionalità grazie ai feedback
dei clienti, che ormai contribuiscono per
il 90-95% allo sviluppo delle nostre ro-
admap”, afferma Danilo Poccia, tech-
nical evangelist di Aws. Attraverso il ser-
vizio di storage a oggetti, Amazon S3, è
possibile connettere dischi alle macchine
virtuali gestite da Amazon EC2, mentre
con Amazon Efs è possibile creare un file
system distribuito, collegabile a più mac-
chine virtuali contemporaneamente. “In
caso di dati strutturati”, specifica Poccia,
“offriamo invece servizi per la gestione
di database relazionali, come Amazon
Aurora, o NoSql, come Amazon Dyna-
moDB: servizi che, come sempre, i
clienti possono assemblare liberamente,
costruendo velocemente le soluzioni più
adatte alle proprie necessità”.
Sicurezza e privacy,le due priorità Il tema della sicurezza rappresenta
senza dubbio uno dei principali freni
tirati nell’adozione dei servizi di public
cloud storage da parte delle aziende.
Eppure molti di questi servizi offrono
ormai livelli di protezione che soddi-
sfano i massimi standard, per esempio
eseguendo la crittografia delle infor-
mazioni non solo a riposo ma anche in
fase di trasmissione.
“La sicurezza rappresenta da sempre
una priorità per Aws. D’altra parte, la-
vorando da anni con clienti come Ban-
ca Popolare di Sondrio e Vodafone,
abbiamo dovuto sviluppare strumenti
in grado di gestire i dati in modo as-
solutamente sicuro. Oltre a verificarne
accuratamente l’accesso, forniamo per
esempio strumenti di crittografia, in
grado di proteggere le informazioni
anche in fase di transito”, puntualizza
ancora Poccia, sottolineando quanto
le aziende si sentano tranquillizzate
anche dall’opzione di disaster reco-
very offerta da Aws. Ogni regione in
cui opera il provider, infatti, conta più
data center aggregati in “zone di di-
sponibilità” e strutturati per replicare
automaticamente i dati e mantenerli
sempre all’interno della medesima re-
gione.
“Grazie a oltre cinquecento ingegneri
costantemente dedicati ad aspetti di
security e privacy, i nostri clienti sono
i primi a riconoscere che le loro infor-
mazioni più preziose sono molto più al
sicuro nei data center di Google piut-
tosto che nelle loro infrastrutture lo-
cali”, precisa invece Aymerich. “Tutti
i dati, infatti, non sono solo crittogra-
fati in transito e a riposo, ma sono ul-
teriormente salvaguardati dalle Custo-
mer Encryption Keys, chiavi personali
con cui gli utenti possono cifrare i dati
e di cui rimangono gli unici possesso-
ri. Una volta arrivati nei nostri data
center, i file sono poi sottoposti alle
più avanzate tecniche di offuscamento
e frammentazione così da aumentarne
al massimo la protezione”.
Forte anche l’impegno di Microsoft
in tema di sicurezza, sviluppata sui tre
pilastri della trasparenza, della privacy
e della compliance. “Oggi le maggiori
incertezze che ostacolano l’adozione
del cloud pubblico sono la sicurezza
e la localizzazione dei dati. Sul primo
fronte Microsoft vanta un forte posi-
zionamento di mercato attestato da
una serie di certificazioni Eu Model
Clauses (le Clausole del modello Ue),
mentre su quello della disponibilità
integriamo nei nostri servizi di public
storage la possibilità di avere fino a sei
repliche di ogni dato, distribuendole
su più data center nella stessa area geo-
grafica”, conclude Andreoli.
Claudia Rossi
in cloud, dall’altra. I primi, molto più estesi, permetto-no agli utenti di archiviare, accede-re, modificare e condividere i file. I servizi di backup su nuvola, invece, consentono la semplice custodia della copia di sicurezza, con possi-bilità di accesso in caso di ripristino dei sistemi o qualora i dati debba-no essere cancellati per raggiunta obsolescenza o inutilità.
32
TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX AND ACCOUNTING ITALIA
GENYA, L’INTELLIGENZA NEL CLOUD
Il digitale non è soltanto ciò che aiuta il professionista nel suo lavoro attuale: nella visione di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, il digitale è molto di più. L’intelligenza del nuovo software Genya è ciò che trasforma il professionista del terzo millennio in un consulente più libe-ro, più organizzato, più concentrato sulle problematiche dei suoi clienti e non più solo sugli adempimenti.Si è mai pensato alla possibilità di elaborare un bilancio in trenta minuti in modo facile e intuitivo, senza fare ricorso alle istruzioni? Probabil-mente no. Ma ci ha pensato Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, che ha spezzato le consuetudini e che con un software davvero inno-vativo consente al professionista di non occuparsi più prevalentemente degli adempimenti, ma di essere un consulente che ha nel suo cliente la centralità.Genya nasce dalla capacità degli sviluppatori della software factory di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia di vedere oltre, di ingegneriz-zare un prodotto digitale che non solo risolve il problema odierno ma che, cambiando i paradigmi professionali, consente la riorganizzazione delle attività del domani. La prima suite di Genya rilasciata, il Bilancio, consente ad esempio la gestione di tutta la pratica integrando strumenti di Business Intelligence e collaborazione, per fornire in modo semplice il massimo del valore e del servizio. Non soltanto per i professionisti ma anche per le aziende che predispongono la pratica del bilancio al loro interno.Nello sviluppo del progetto Genya sono stati presi in considerazione cinque concetti: integrazione, analisi, previsione, riduzione dei tempi, mobilità. Il professionista può oggi davvero trasformare il proprio profilo grazie alla digitalizzazione e all’accessibilità dell’intelligenza operativa
nel cloud. In modo semplice e innovativo, Genya Bilancio di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia consente di svolgere diverse operazio-ni: di caricare i dati sia dalla situazione contabile sia dal bilancio riclas-sificato; di accedere ai Kpi automaticamente, perché forniti nel normale svolgimento delle attività; di creare fascicoli simulati per il calcolo del bilancio e delle imposte, con la possibilità di renderli poi definitivi; di redigere la nota integrativa e gli altri documenti di bilancio in modo guidato attraverso l’utilizzo di modelli e formulari preimpostati e per-sonalizzabili. Dunque più produttività, più velocità nel comunicare, più valore nelle consulenze ai clienti.“Digitalizzazione significa aggiungere del propellente alla redditività. Sviluppare software e tecnologia innovativa significa creare strumenti di evoluzione aziendale che consentano l’ottimizzazione del lavoro e, contemporaneamente, il recupero del tempo da destinare a valorizza-re le risorse e le loro capacità consultive verso la clientela”. Parole di Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, che ben conosce la potenza delle innovazioni che l’azienda propone senza sosta alla clientela dei professionisti italiani.Con Genya nasce un’innovazione digitale che enfatizza i concetti di con-divisione e di collaborazione tra studio e cliente. Si può pensare a uno studio aperto e accessibile ai clienti 24 ore al giorno, 365 giorni all’an-no? Con Genya è permesso, perché la soluzione consente di snellire e velocizzare il flusso di comunicazione tra il professionista e la sua clien-tela, di offrire servizi per una raccolta veloce, precisa e tempestiva dei dati, oltre a fare della condivisione la base strategica per una rinnovata alleanza tra professionisti e clientela.
Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia
33OTTOBRE 2016 |
ECCELLENZE.IT | Bauli
IL BUSINESS LIEVITA MEGLIO CON LA VIRTUALIZZAZIONELa storica industria di prodotti da forno, oggi proprietaria di numerosi marchi, ha adottato
diverse tecnologie di Citrix per semplificare la gestione delle applicazioni e alleggerire la rete.
Il nome Bauli non necessita di pre-sentazioni: campeggia su un quarto delle confezioni di pandori, panet-
toni e colombe pasquali vendute ogni anno dalla grande distribuzione italiana. Non tutti forse sanno, però, che l’azien-da fondata nel 1922 a Verona dal pa-sticcere Ruggero Bauli dal 2004 è anche proprietaria dei marchi Bucaneve, Atene e Doriano, dal 2009 di Motta e Alema-gna e dal 2013 di Bistefani. Acquisizioni che hanno contribuito a far crescere il business fino ai 460 milioni di euro di fatturato odierni. Da quattro stabilimen-ti escono ogni anno circa sette milioni di pandori, otto di panettoni tradizionali, quattro di colombe e altrettanti di uova di cioccolato, oltre a 180 milioni di cor-netti e a decine di milioni di altre bontà.Dal 2010 Bauli ha intrapreso un percor-so di evoluzione tecnologica. Diversi i problemi di partenza: i software azien-dali risultavano complessi da installare, configurare e aggiornare, anche a causa dell’elevato numero di computer in uso e del notevole flusso di dati gravante sulla rete. L’impiego di smartphone e tablet da parte dei dipendenti, inoltre, richiedeva ulteriori procedure di configurazione e, in molti casi, costose operazioni di re-
styling delle applicazioni. A tutto questo si sommavano i noti problemi di sicurez-za associati ai terminali mobili. Per i de-positi e magazzini periferici, collegati in Multi Protocol Label Switching (Mpls) e usati soprattutto nei periodi di picco della domanda, si presentava l’ulteriore necessità di una continua connessione con l’ufficio centrale.Da questo punto di partenza si è arriva-ti ad adottare diverse tecnologie Citrix, nell’arco di cinque anni e con il supporto dell’integratore di sistemi Personal Data. La prima tappa, nel 2010, è rappresen-tata dall’infrastuttura di virtual desktop incentrata su XenDesktop e XenApp, con cui è stato possibile centralizzare l’installazione e configurazione degli applicativi su un ristretto numero di macchine, a cui tutti i terminali possono collegarsi sia via Mpls sia via Internet. Nel medesimo anno sono stati adotta-ti alcuni terminali Praim con a bordo Citrix Receiver. Nel 2014, in seguito all’acquisizione di Bistefani, 70 nuovi utenti sono stati collegati in pochi giorni all’infrastruttura It di Bauli sfruttando XenDesktop. L’anno seguente, poi, sono state adottate per 150 utenti le soluzio-ni XenMobile e XenMobile Advanced
Edition, mettendo al sicuro lo scam-bio di dati da mobile con la tecnologia NetScaler. La collaborazione con Citrix ha, così, permesso di “risolvere una se-rie di problemi sulla gestione delle realtà periferiche che, fino a qualche anno fa, erano ben presenti nella nostra struttura It”, come spiega Pierangelo Chiappini, direttore dei sistemi informativi di Bauli. Ha permesso, inoltre, di semplificare la gestione dei sistemi con uno strumento affidabile e scalabile, nonché di erogare facilmente (anche ai magazzini periferici e agli stabilimenti produttivi) l’applica-zione Sap Hana. E non è finita: si sta attualmente realiz-zando il passaggio alla versione 7.8 di XenDesktop, che permette la creazione dinamica di macchine virtuali in base ai picchi di domanda. Sono in program-ma, inoltre, l’estensione di XenMobile a un centinaio di altri utenti (addetti alle vendite) e l’adozione di Citrix AppDisk, con cui sarà possibile installare le ap-plicazioni direttamente all’interno di “dischi virtuali” dedicati. In vista di un ulteriore allargamento internazionale, l’infrastruttura It permetterà a Bauli di ottimizzare l’occupazione di banda e la velocità della rete.
35OTTOBRE 2016 |
prosegue il responsabile It. Una sfida che ha riguardato soprattutto la crea-zione di un’infrastruttura di rete affi-dabile e sempre operativa. Ed esisteva una difficoltà specifica: nel magazzino merci il sistema di scaffalatura per i pallet è mobile, e questo elemento ha condizionato la realizzazione della rete WiFi. In quest’area di stoccaggio cir-colano soltanto i robot, che ogni notte portano fuori dal magazzino le materie prime necessarie per la produzione del giorno successivo. Anche il processo di lavorazione e confezionamento della frutta è altamente automatizzato, dun-que si comprende come il circolo vir-tuoso di stoccaggio, produzione e logi-stica funzioni solo se la rete non “cade”.Il system integrator Elmec ha dunque progettato e implementato (con “batte-simo” nella notte di Capodanno 2015) un’architettura di rete basata su switch Cisco, ridondante e suddivisa in Vlan, in modo da assicurare il trasporto iso-lato dei servizi.“Li abbiamo scelti perché li conosce-vamo da precedenti esperienze, ma ha pesato anche l’affidabilità del marchio Cisco”, racconta il responsabile It di Noberasco. Elmec si occupa anche di monitorare da remoto il funzionamen-to della rete e di intervenire in caso si verifichino problemi. I vantaggi otte-nuti riguardano sia l’aumentata capaci-tà di stoccaggio, sia i risparmi ottenuti. È vero che i robot hanno sostituito par-te degli addetti al lavoro manuale ma sono anche stati creati nuovi ruoli più tecnici, tant’è che il numero di dipen-denti è salito. “Noberasco sta crescendo di circa il 20-25% all’anno”, sottolinea Battistoni. “Se non avessimo compiuto queste scelte tecnologiche non avrem-mo potuto assecondare le richieste del mercato”.
Il primo produttore italiano
di frutta secca e disidratata
ha aumentato la capacità di
stoccaggio e tagliato alcuni costi
grazie all’automazione e a una
connettività perfetta, garantita
da Cisco. Il progetto è firmato
Elmec.
LA SOLUZIONE
Nel sito di Carcare sono stati re-
alizzati due data center intercon-
nessi con un doppio anello in
fibra ottica a 10 Gbit. In ciascun
armadio di distribuzione (una de-
cina in tutto) opera una coppia di
switch Cisco 3850x. Il sistema ga-
rantisce ridondanza degli apparati
per ogni zona, per esempio grazie
a doppi alimentatori che creano in
ogni armadio un pool energetico
condiviso tra gli switch. Un Net-
work Operations Center monito-
ra costantemente il funzionamen-
to della rete.
Più di cento anni di storia in-dustriale, segnati recentemente da alcuni progressi tecnologici
all’insegna dell’e-commerce e dell’au-tomazione. Fondata nel 1908, la ligure Noberasco è oggi il primo produttore di frutta secca e disidratata in Italia. Negli ultimi anni l’azienda ha diver-sificato i canali di vendita debuttando nell’online, ma soprattutto ha inaugu-rato un nuovo stabilimento a Carcare, nel savonese: un sito esteso su 70mila metri quadri, che comprende gli im-pianti (da cui possono uscire fino a 150 tonnellate di frutta al giorno) ma anche i magazzini per le materie prime e i prodotti finiti. A questo risultato, Noberasco è giunta sulla spinta di una doppia esigenza, strategica e tecnolo-gica. “Volevamo poter seguire al me-glio l’evoluzione del mercato”, spiega il responsabile sistemi informativi, Ruggero Battistoni. “Per fare ciò era necessario disporre di una certa capaci-tà produttiva e di immagazzinamento delle materie prime, considerata anche la stagionalità di molte di esse”. Come i datteri, che vengono raccolti una sol-ta volta all’anno e poi vanno conservati in speciali celle frigorifere. “La sfida è stata quella di utilizzare dei robot”,
MENO FERMI E MASSIMA EFFICIENZA GRAZIE AI ROBOT
ECCELLENZE.IT | Noberasco
36 | OTTOBRE 2016
Le risorse economiche messe in campo dal governo per favorire il nuovo corso del settore produttivo italiano sono decisamente importanti. Ma le incognite, come sempre, non mancano: dalla governance istituzionale, al ruolo che giocheranno concretamente le imprese.
Sul piano Industria 4.0 si è
detto e scritto di tutto. L’argo-
mento, del resto, si presta mol-
to alla discussione perché tocca
aspetti di diversa e complessa natura:
economici e fiscali, di politica industria-
le, sociali (nuove professioni e posti di
lavoro), istituzionali e territoriali.
In una delle sue ultime uscite post varo
del piano, il ministro dello Sviluppo
Economico, Carlo Calenda, ha con-
fermato l’intenzione di utilizzare, in
aggiunta al budget già definito, ulte-
riori sette miliardi di euro di fondi del
Mise. Soldi finora mai toccati e destina-
ti a progetti pregressi, alcuni dei quali
risalenti addirittura agli anni Settanta.
Un’ulteriore mossa, sempre che si con-
cretizzi (su questi fondi pendono di-
versi contenziosi), per ribadire quanto
la nuova rivoluzione industriale sia un
tema sensibile per l’esecutivo presiedu-
to da Matteo Renzi. Calenda ricorda
giustamente che il governo ha preso di
petto questa sfida, mettendo a disposi-
zione con Industria 4.0 circa 13 miliar-
di di euro di incentivi automatici agli
investimenti. Ulteriori 700 milioni di
denaro pubblico serviranno invece per
implementare il piano nazionale Scuo-
la digitale e l’alternanza Scuola-lavoro
sui percorsi coerenti col progetto, per
sostenere la formazione specialistica e
il potenziamento dei cluster tecnologi-
ci e per istituire i centri di competenza
nazionali.
Sull’entità degli investimenti che do-
vrebbero arrivare direttamente dai pri-
vati (circa 10 miliardi in più solo nel
2017, per passare da 80 a 90 miliardi)
è invece più difficile condividere le cer-
tezze del ministro. Sarà una sfortunata
coincidenza, ma una presa di posizione
ufficiale da parte delle imprese su questo
impegno non c’è stata. Il piano, in ogni
ITALIA DIGITALE
INDUSTRIA 4.0, IL PIANO C’È. LA VERA SFIDA È ATTUARLO
37
caso, può essere considerato una call to
action in piena regola per il tessuto in-
dustriale italiano. Le imprese manifattu-
riere devono, cioè, cambiare pelle e ren-
dere sistemici sia la collaborazione con
le università e le startup, sia il lancio di
nuovi progetti, sia l’assunzione di figure
con profili elevati. E, naturalmente, an-
che il processo di innovazione tecnolo-
gica delle infrastrutture, soprattutto nel
cuore delle Pmi, là dove il rischio di es-
sere tagliati fuori dal cambiamento è più
elevato. Servono quindi apparecchiatu-
re moderne, perché l’ultima indagine
di Ucimu-Sistemi (l’associazione delle
imprese produttrici di macchine utensi-
li e robot) ha lanciato un allarme sull’età
media del parco impianti in esercizio: è
aumentata di due anni e arrivata a 12
anni e otto mesi, la più alta di sempre.
Considerato poi che la quota di mac-
chine utensili più vecchie di vent’anni è
pari al 27% del totale installato, la rivo-
luzione digitale auspicata dal piano deve
superare uno stallo non indifferente.
La questione della governanceLa cabina di regia di Industria 4.0 sarà
composta dalla presidenza del Consi-
glio dei ministri, dai dicasteri dell’Eco-
nomia, dello Sviluppo, dell’Istruzione,
L’APPELLO DI FEDERMECCANICA: BISOGNA ACCELERARE
“Il ritardo delle imprese italiane sul tema Industry 4.0 resta significati-vo, soprattutto perché le intenzioni di investimento nei prossimi anni sono mediamente basse, in parti-colare tra le aziende non-adopter”. Le conclusioni a cui è giunta un’in-dagine condotta da Federmecca-nica, presentata a Roma nel giorno del varo del piano Industria 4.0, parla chiaro. Il sistema manifattu-riero della Penisola, dal punto di vista dell’adozione degli strumenti digitali, è indietro. E lo conferma-no alcune percentuali: solo il 64%
del campione ha dichiarato di avere adottato almeno una delle undici tecnologie individuate come “abi-litanti e qualificanti” (dalla robotica all’Internet of Things, dai Big Data al cloud computing, dalla sicurezza alla stampa 3D fino alle nanotec-nologie) mentre il restante 36% (le “non-adopter”) dice di non averne utilizzata alcuna. Per Federmeccani-ca, insomma, il percorso da fare è ancora lungo, perché la conoscen-za di Industry 4.0 c’è ma “le appli-cazioni sono ancora in fase iniziale al cospetto di una competizione
internazionale che ci impone una forte accelerazione”. L’allarme, for-te e chiaro, lanciato in direzione del Governo non si è fatto dunque attedere: “In assenza di azioni cor-rettive, il divario tra le imprese più avanzate e quelle più arretrate è destinato ad accentuarsi”. Timori eccessivi? Forse no, visto che oltre il 50% delle imprese manifatturiere italiane non ha intenzione di dirot-tare risorse sul digitale e visto che il valore medio dell’investimento in soluzioni Ict è pari a 200mila euro, cioè l’1,5% del fatturato.
del Lavoro, delle Politiche Agricole e
dell’Ambiente, oltre che da una rappre-
sentanza degli atenei tecnici, dei centri
di ricerca, dell’imprenditoria e delle or-
ganizzazioni sindacali. Successivamente
entreranno in gioco anche le Regioni.
Sintomatica e condivisibile, in propo-
sito, la riflessione del titolare del Mise:
“L’Italia è il Paese della non-governan-
ce”, ha detto Calenda. “Un piano di
questo genere deve invece evitare di
generare energie centrifughe e, soprat-
tutto, rispettare le peculiarità del nostro
tessuto imprenditoriale. Non possiamo
imporci il modello tedesco o quello
americano o francese, ma cogliere il me-
glio degli altri approcci e specialmente
continuare a utilizzare gli strumenti che
hanno già dimostrato di saper funziona-
re”. Approccio condivisibile, quello di
Calenda, ma se l’efficienza si lega all’es-
senzialità delle figure preposte a prende-
re decisioni, il descritto modello a più
“teste pensanti” forse non soddisfa tali
requisiti. Eppure l’esperienza negativa
dell’attuazione dell’Agenda digitale do-
vrebbe aver insegnato qualcosa.
La quantità di risorse messe a disposizio-
ne ha sicuramente incontrato i favori di
molti addetti ai lavori (anche se non di
tutti) fra rappresentanti dell’industria,
economisti e accademici. E conferma, se
mai ce ne fosse stato bisogno, la portata
e l’urgenza della manovra. Ma i soli fi-
nanziamenti, come detto, non bastano:
come giustamente osserva qualcuno,
serve soprattutto una progettualità con-
vinta e strutturata della classe imprendi-
toriale e servono linee guida ben definite
per indirizzare correttamente gli investi-
menti in macchinari e automazione.
Se è vero che gli incentivi a pioggia sono
stati banditi dal nuovo piano, c’è co-
munque il rischio che, senza una visione
strategica e una conoscenza delle reali
opportunità tecnologiche, si disperdano
le grandi risorse allocate per l’innova-
zione. E anche questa è una questione
di governance, come lo è quella della
necessaria connessione, grazie alle tec-
nologie digitali, fra le piccole e medie
aziende dei distretti e le filiere che co-
stituiscono l’ossatura del sistema indu-
striale italiano.
Il piano Industria 4.0, l’hanno detto in
molti, per alcuni aspetti è l’ultima chia-
mata: o le imprese, grandi e meno gran-
di, digeriscono in fretta i tempi, le lo-
giche e le opportunità della rivoluzione
digitale, oppure lo spettro dell’ennesima
occasione sprecata diventerà reale.
Gianni Rusconi
38 | OTTOBRE 2016
La contaminazione tra aziende e startup, per rendere competitive le imprese consolidate e far crescere quelle appena nate, è uno dei temi centrali di Smau 2016. Ecco i protagonisti di questa edizione.
L’INNOVAZIONEFA TAPPA AL SALONE
ITALIA DIGITALE | Startup
Fra i tanti temi che caratteriz-
zeranno l’edizione numero 53
di Smau, in programma a Mi-
lano Fieramilanocity dal 25 al
27 ottobre, quello dell’open innovation
è sicuramente centrale. Le imprese devo-
no rispondere alle esigenze di ricerca e
sviluppo in linea con il “time to market”
richiesto dall’attuale contesto compe-
titivo, e per farlo, spesso, non bastano
più le risorse interne o le relazioni con
il sistema universitario. La soluzione è
l’incontro con attori esistenti sul terri-
torio: le startup innovative (oltre 6.400
quelle iscritte nell’apposito Registro, in
cui hanno creduto circa 5mila investitori
corporate) e il sempre più ricco universo
fatto di incubatori e acceleratori sono i
“nuovi” candidati a ricoprire il ruolo di
generatori di innovazione. Al tema, non
a caso, è dedicato un nuovo Osservato-
rio realizzato da Smau, Assolombarda
e Italia Startup in collaborazione con
Ambrosetti e Cerved, con l’obiettivo
di “supportare l’adozione di tecniche di
innovazione aperta nell’ecosistema, in-
dividuando gli strumenti e i processi in
corso e valutandone l’impatto per estra-
polare modelli basati su casi concreti di
utilizzo”, dice Alvise Biffi, presidente
Piccola Industria di Assolombarda.
La finalità ultima del processo di conta-
minazione e integrazione tra il fessuto
industriale e le startup tricolori è quello
di rendere più competitivo il Made in
Italy sui mercati internazionali. Per arri-
varci attraverso il rilancio dell’innovazio-
ne, come recita la nota introduttiva della
guida di Assolombarda, serve un nuovo
39
A un quarto delle nuove imprese in-
novative va quasi il 90% dei finanzia-
menti raccolti. La maggior parte delle
startup (il 95%) ha tra i soci fondatori
persone fisiche, mentre appena il 5%
è partecipata da venture capital o fon-
di di private equity. Sono le caratte-
ristiche salienti del mercato italiano,
mappate da uno studio dell’Univer-
sità Bocconi di Milano, che ha ana-
lizzato gli investimenti effettuati nel
nostro Paese nel corso del 2014.
In quell’anno nelle casse delle startup
sono finiti 149 milioni di euro, di cui
93 milioni in capitale e 56 milioni in
debito (prestiti da parte dei soci, dalle
banche o altri tipi). Il primo dato che
balza all’occhio è quindi il seguente:
poche e selezionate realtà ricevono fi-
nanziamenti molto alti (450mila euro
POCHE LE ELETTEIn Italia gli investimenti si concentrano su appena un quarto delle imprese innovative. Scarso il ruolo di venture capital e private equity. Lo dice uno studio dell’Università Bocconi.
in media) mentre la maggior parte
dell’ecosistema raccoglie ben poco.
In secondo luogo, il limitato apporto
dei venture capital può confermare da
una parte la tesi della scarsità di risor-
se di questa categoria di investitori,
e dall’altra indicare l’esiguo numero
di startup ritenute appetibili per tali
operatori.
Fra le altre evidenze emerse spicca la
tendenza che vede la comunità degli
“investor” (business angel compresi)
dimostrare concreto interesse verso
le startup che offrano condizioni per
smobilizzare a distanza di pochi anni
il proprio investimento tramite una
exit, vale a dire la vendita dell’azienda
o della propria quota ad altri soggetti.
Difficilmente si registrano round di
finanziamento per progetti appena
avviati e con pochi risultati all’attivo,
tanto che la raccolta del capitale passa
spesso da operatori tradizionali, ban-
che in primis. Da qui l’esigenza per le
startup di rendersi subito “appetibili”
a finanziatori con elevate capacità di
investimento.
VENTURE CAPITAL IN CERCA DI OCCASIONINel 2015 gli investimenti del private equity e del venture capital hanno registrato una crescita significativa, raggiungendo il secondo valore più alto di sempre: merito anche del contributo di molti operatori internazionali, che sono tornati a guardare con grande interesse alle imprese italiane. È la fotografia scat-tata da Aifi (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) sullo stato dell’arte del mercato italiano, che ha visto l’anno passato 89 società oggetto
di finanziamenti early stage, per un totale di 74 milioni di euro eroga-ti. Un movimento, è risaputo, che deve ancora crescere e che avrà in Smau un’occasione di confronto im-portante. A Smau saranno presenti più di sessanta investitori interna-zionali, provenienti da oltre 20 Pa-esi. Incontreranno oltre 300 startup del “Made in Italy” all’interno della terza edizione di ItaliaRestartsUp, evento organizzato da Ice in col-laborazione con il Ministero per lo Sviluppo Economico.
approccio mentale, e più precisamente
“una cultura pronta a intraprendere que-
sto nuovo percorso”. Se le startup – que-
sto il messaggio chiave – sono nella loro
essenza frutto di questa cultura, nelle
grandi aziende prevale ancora una men-
talità poco orientata all’innovazione.
“Rapidità di risposta, velocità nel saper
cogliere le opportunità, snellimento dei
processi, sperimentazione di nuove idee
non avendo paura del fallimento sono
solo alcuni degli aspetti fondamentali
che dobbiamo trasferire agli imprendito-
ri”, rimarca Pierantonio Macola, presi-
dente di Smau. Gli esempi a cui riferirsi
per capire da vicino che cosa significhi
fare “open innovation” fortunatamente
non mancano, e anche nell’ambito della
tre giorni milanese saranno rappresen-
tate dai nomi di Barilla e Electrolux. La
prima ha di recente avviato un progetto
di “design thinking” mettendo al centro
del prodotto le esigenze del cliente e svi-
luppando un approccio multidisciplinare
che richiede la stretta collaborazione di
numerosi attori interni e esterni all’azien-
da. La seconda, invece, ha focalizzato la
propria attenzione nel risolvere la pro-
blematica del “fish scaling”: un difetto
del materiale metallico per cui strati di
smalto si distaccano dalla superficie e
portano allo scarto dell’intero batch di
produzione. Insieme all’Università di
Pisa e allo spin-off Letomec, Electrolux
ha individuato una soluzione innovativa
che permette di effettuare specifici test di
qualità in soli trenta minuti.
Quanto al ruolo degli incubatori, Smau
conterà sulle presenze di alcuni dei più
attivi attori di questo sistema, da H-
Farm (con le startup oggetto dei pro-
grammi di accelerazione portati avanti
con Cisco e Technogym) a Intesa San-
paolo (con le imprese innovative selezio-
nate e formate tramite la piattaforma di
accelerazione del Gruppo), fino all’acce-
leratore d’impresa di casa Telecom Italia
(TIM #Wcap) e agli incubatori Como-
next, Digital Magics, Filarete, The Hub
e Bergamo Sviluppo.
Piero Aprile
40 | OTTOBRE 2016
Da Trentino Sviluppo alla Fondazione Bruno Kessler: fra incubatori e centri di eccellenza, l'offerta di servizi alle imprese è il punto forte della cultura tecnologica della Provincia.
L‘innovazione in Trentino è
una cosa seria: la regione
punta senza falsa mode-
stia ad essere un model-
lo di eccellenza e prova a cavalcare in
modo strutturato, come ancora troppo
raramente accade in Italia, il concetto
di ecosistema. Cioè prova a mettere a
fattor comune risorse e competenze per
UN ECOSISTEMA APERTOCHE FA SCUOLA
ITALIA DIGITALE | Innovazione
raggiungere obiettivi che sono quelli di
creare nuova imprenditoria sostenibi-
le, nuovi servizi per i cittadini, nuove
opportunità di sviluppo e di crescita
per il territorio. Non si può parlare di
modello perfetto, certo, ma la cultura
del “nuovo” che si professa fra Trento e
Rovereto è sicuramente un esempio per
l’intero Paese. Anche le esperienze nega-
tive (e il riferimento va a Trento Rise,
il centro di innovazione compartecipato
dalla Provincia che ha chiuso lo scorso
31 dicembre dopo sei anni di attività, in
seguito a varie inchieste della Procura su
spese fantasma e consulenze milionarie)
sono parte integrante di questo processo
di crescita. Ne è convinto Mauro Ca-
sotto, direttore operativo di Trentino
Sviluppo e vicepresidente di Hit (Hub
Innovazione Trentino). Trento Rise ha
pagato il prezzo di “una gestione sbaglia-
ta, ma ha avuto il merito di portare alla
luce un modello virtuoso di coinvolgi-
mento delle imprese e di accelerazione
delle startup tecnologiche”, dichiara Ca-
sotto. Hit, società consortile avviata nel
settembre del 2015 e in cui convergono
Università di Trento, Fondazione Bruno
Kessler, Fondazione Mach e Trentino
Sviluppo, nasce in effetti dalle ceneri del
Mauro Casotto
41
consorzio che ha cessato di esistere. E
si affianca alle attività di una struttura,
Trentino Sviluppo, che opera da incu-
batore di impresa sin dal 1992 e che si è
focalizzata da metà anni Duemila in poi
sulle nuove tecnologie al servizio della
manifattura, dell’efficienza energetica e
dell’agroalimentare. “Alla base di tutto”,
conclude Casotto, “ci devono essere le
capacità di fare formazione e ricerca,
di attrarre aziende di elevato profilo,
di offrire a queste realtà servizi a valo-
re aggiunto e di fare reale trasferimento
tecnologico sul territorio. La chiave per
migliorare ulteriormente il modello?
Fare innovazione in modo partecipato e
collaborativo”.
Quando l’innovazione fa rimacon collaborazioneAnche Paolo Traverso, direttore del
Centro per l’Information Technology di
Fondazione Bruno Kessler, è convin-
to che la strada maestra sia quella della
collaborazione. “Oggi stiamo spingendo
forte sui laboratori congiunti per por-
tare i frutti della ricerca scientifica sul
mercato nel campo dei Big Data e della
semantica, dell’intelligenza artificiale e
del deep learning”. Migliorare ulterior-
mente l’ecosistema si può, sottolinea
Traverso, e per farlo “serve coinvolgere
tutta la filiera puntando a un disegno
unico dell’innovazione, che abbracci na-
turalmente anche le aziende, perché la
buona ricerca, a mio parere, deve avere
la possibilità di scaricare a terra tutti i
suoi effetti e nasce dall’incrociarsi di di-
verse matrici”.
Il modello Trentino, in ogni caso, già
funziona e vanta asset importanti. A co-
minciare dai due principali incubatori
di Trentino Sviluppo, cioè Polo Mecca-
tronica e Progetto Manifattura. Il pri-
mo si candida a essere uno dei più im-
portanti hub produttivi italiani nel suo
genere: su di lui la Provincia autonoma
di Trento sta investendo oltre 80 milioni
di euro, e al suo interno si muove l’acce-
leratore di startup Industrio Ventures.
Presto l’hub avrà il suo fiore all’occhiello
nel nuovo laboratorio di prototipazio-
ne per l’additive manufacturing e l’in-
dustrial Iot, costato cinque milioni di
euro e che aprirà i battenti nel marzo
del 2017. Il secondo, Progetto Manifat-
tura, ospita oggi più di 50 realtà (una
ventina le startup) e oltre 200 addetti;
fra un paio d’anni punta ad accogliere
complessivamente 110 nuove imprese,
per oltre 1.200 nuovi posti di lavoro. La
Fondazione Bruno Kessler, da parte pro-
pria, è prossima a festeggiare il decimo
anno di vita, avendo in organico oltre
350 ricercatori e vantando collaborazio-
ni e contratti in essere con realtà come
Boeing, Poste Italiane, eBay e Gruppo
Telecom Italia.
Gianni Rusconi
LA MISSIONE DI FARE NUOVA IMPRESA
Ci sono tante anime che concorrono a dare lustro al Trentino in termini di innovazione, e una di queste sono le grandi aziende che chiedono sem-pre più spesso “ospitalità” da que-ste parti per presentare iniziative volte alla selezione di startup e di ta-lenti. Lo hanno fatto di recente (tro-vando la collaborazione di Hit) Cisco Italia e il venture capital LVenture Group per il lancio del program-ma “Security Challenge”, gestito dall’acceleratore romano Luiss En-labs. E poi ci sono realtà come Indu-strio, acceleratore di stanza al Polo Meccatronica di Rovereto. “Questo progetto”, spiega Jari Oribeni, che di Industrio è il Ceo, “nasce per ri-spondere alla carenza di esperienza e know-how nel fare nuova impresa,
di capitali e di infrastruttura tecnolo-gica. Componenti che esistono sul territorio da tempo, ma non erano in-tegrati e proposti nel modo adegua-to”. Il carattere distintivo di Industrio, rispetto ai tanti acceleratori che ope-rano in Italia, sta tutto in un modello molto legato allo sviluppo del pro-dotto e articolato su una settantina di partner italiani e internazionali. “Sia-mo una facility distribuita per il test e la prototipazione, che punta allo stretto legame fra l’azienda, grande o piccola realtà che sia, e la startup”, aggiunge Oribeni. I nomi sono per esempio quelli del gruppo lecchese Elemaster, di St Microelectronics e di Bikee Bike, startup incubata da In-dustrio e punta di diamante trentina di un fenomeno in fortissima ascesa
Jari Oribeni
come quello della “bike economy”. Alla base di questa scommessa ci sono pochi ma essenziali ingredien-ti: competenze specifiche, ricono-scibilità, unicità locale, verticalità industriale e – naturalmente – talen-ti. In poche parole, come dice il fon-datore di Industrio, “un ecosistema difficilmente replicabile, da imitare ma non da copiare”. G.R.
L'acceleratore Industrio è una delle tante realtà che si muovono in Trentino per favorire l'innovazione. Con un modello da imitare.
42 | OTTOBRE 2016
OBBIETTIVO SU | Candy
La storia di Candy nasce settant’anni fa a Monza con la prima lavabiancheria tutta italiana. Oggi il Gruppo è uno dei principali fornitori di piccoli e grandi elettrodomestici in Europa. Grazie a cultura industriale e innovazione tecnologica.
DESIGN E TRADIZIONE PER LA CASA SMART
Era il 1945 quando le Officine Meccaniche Eden Fumagalli di Monza davano vita alla “Mo-dello 50”, prima lavabiancheria
completamente Made in Italy, presen-tata al pubblico alla Fiera di Milano del 1946. E così nasceva la Candy. Dall’in-tuizione di puntare agli elettrodome-stici alla virata strategica sulle soluzioni per la casa intelligente e connessa, in mezzo ci sono settant’anni di vita indu-striale e una strategia di espansione che ha toccato prima l’Europa e poi il mon-do intero. Ci sono tappe fondamentali come il lancio nel 1950 della Bi-Matic, la prima lavatrice italiana semiautoma-tica (capostipite di una generazione di prodotti che ha visto all’opera designer quali Marco Zanuso, Rodolfo Bonet-to e Giorgetto Giugiaro). E risultati all’avanguardia, come il primato del la-vaggio rapido più efficace, ottenuto nel 2014 dalla lavatrice GrandÓ Vita.Oggi Candy Group è una società a totale capitale privato, di proprietà della fami-glia Fumagalli, che conta 4.100 addetti, sei centri produttivi fra Europa, Turchia e Cina e una cinquantina di consociate nel mondo. Un’azienda a forte vocazio-
ne internazionale, dunque, ma dall’ani-ma totalmente italiana e che conserva quartier generale, fabbrica e centro di ricerca e sviluppo alle porte di Milano, a Brugherio. L’innovazione, diretta sia all’ammodernamento di ogni linea di produzione sia allo sviluppo dei prodot-ti, ha accompagnato l’azienda brianzola fino alla sfida della smart home. Sfida che Candy vuole vincere con la ricetta che l’ha portata al successo: prodotti facili da utilizzare e concepiti per sem-plificare la vita dei consumatori.
43
NEL 2015 NASCE CANDY SIMPLY-FI, LA PRIMA FAMIGLIA DI ELETTRODOMESTICI CONNESSI E GESTIBILI VIA SMARTPHONE E TABLET.
LA FABBRICA ALLE PORTE DI MILANONel 1961 Candy si sposta a Brugherio, nella nuova sede direzionale che si affianca ai laboratori di ricerca e sviluppo, allo stabilimento e al magazzino ricambi.
44 | OTTOBRE 2016
OBBIETTIVO SU | Candy
IL CENTRO DELL’INNOVAZIONE,IL CUORE DELLA RICERCA E SVILUPPO, È SEMPRE RIMASTO IN ITALIA.
Quella di Candy è una storia fatta anche di acquisizioni. Si parte nel 1971 con Kelvinator Italia e si prosegue due anni dopo con La Sovrana di Sorbolo, società di Parma e marchio storico nel campo della cottura. Negli anni Ottanta vengono acquisite Zerowatt (lavabiancheria e asciugabiancheria), Gasfire e Rosières (cottura e sistemi a incasso), mentre nel 1992 entra nel Gruppo la spagnola Mayc-Otsein. Nel 1995 è la volta di Hoover European Appliances. Degli anni 2000 sono le operazioni per inglobare la russa Vesta, la cinese Jinling e la turca Doruk.
IL FORNO È TATTILECandy Wtc (Watching, Touching, Cooking) cambia l’esperienza del cucinare sfruttando un condensato di tecnologie: connettività wireless, luci Led e telecamera integrata fanno il paio con lo schermo da 19 pollici con interfaccia touch applicata al frontale, da cui supervisionare lo stato di cottura in ogni suo momento. Anche tramite app.
45
NEL 2009 ESCE IL CENTOMILIONESIMO ELETTRODOMESTICO PRODOTTO A PARTIRE DAL 1945.
Il 1966 è l’anno della Stipomatic, lavastoviglie automatica a doppio scomparto con lavaggio differenziato, e della lavabiancheria Superautomatic.
brandyspace.com
47OTTOBRE 2016 |
I multifunzione, soprattutto se laser, continuano a piacere alle aziende: grazie al poker di funzioni di stampa, scanner, copia e fax.
LA POTENZA DEL QUATTRO IN UNO
Il mercato del printing non sembra
passarsela molto bene, eppure stam-
panti e dispositivi multifunzione
sono ancora oggi soluzioni indi-
spensabili per le aziende di qualsiasi di-
mensione. Soprattutto se concepite in
un’ottica differente rispetto al passato.
A fronte, infatti, di un secondo trime-
stre del 2016 in contrazione del 3,8%
anno su anno (dati Idc), per un totale
di 23,1 milioni di unità consegnate, si
è registrato un costante aumento del
segmento dei servizi di stampa gesti-
ti che ha caratterizzato tutta la prima
metà dell’anno in corso. La domanda
complessiva è stata trainata dalle solu-
zioni laser a colori (con velocità oltre le
21 pagine per minuto) e monocromati-
che (tra le 21 e le 30 ppm). Tra le più
recenti proposte dei produttori rientra
nella prima categoria il Cx310dn, mul-
tifunzione A4 di Lexmark con velocità
di stampa fronte-retro fino a 23 ppm
e tempo di produzione della prima pa-
gina a colori di 12,5 secondi. La riso-
luzione massima è di 1.200 per 1.200
dpi, che garantisce immagini e grafiche
sempre nitide. La velocità di acquisi-
zione tocca invece le 32 facciate massi-
me al minuto, ma la Cx310dn presenta
scansione solo fronte. La soluzione di
Lexmark ha un display a colori da 2,4
pollici, una porta Usb 2.0, connettivi-
tà Ethernet Gigabit e un kit server di
stampa wireless opzionale (MarkNet
N8352 802.11b/g/n). Il multifunzione
VETRINA HI-TECH
48 | OTTOBRE 2016
VETRINA HI-TECH
HPPAGEWIDE PRO 477DW
Tecnologia: pagewide
Velocità stampa: 55 ppm
Fronte/retro: sì
Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi
PREZZO: 549,90 EURO
CANONI-SENSYS MF410/MF510
Tecnologia: laser
Velocità stampa: 44 ppm
Fronte/retro: sì
Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi
PREZZO: DA 376 EURO + IVA
BROTHER DCP-L5500DN
Tecnologia: laser
Velocità stampa: 40 ppm
Fronte/retro: sì
Connettività: Usb 2.0/Lan
PREZZO: 521,11 EURO
consente di stampare fino a cinquemila
pagine al mese e dispone di un alimen-
tatore da 250 fogli (con vassoio dop-
pio opzionale da 550) e raccoglitore di
uscita da 150 pagine. Il dispositivo pre-
senta infine 512 MB di memoria Ram,
espandibile però fino a un massimo di
2.560 MB.
Appartiene invece alla famiglia dei
multifunzione laser monocromatici il
Dcp-L5500Dn di Brother, con veloci-
tà massime di stampa di 40 pagine per
minuto (fronte-retro automatico) e una
notevole capacità di gestione della car-
ta, che può raggiungere anche i 1.340
fogli. Il vassoio standard ne contiene
però 250. La risoluzione massima è di
1.200 per 1.200 dpi e il multifunzio-
ne è in grado di stampare fino a venti
immagini al minuto. L’elaborazione di
file inviati da mobile è garantita dalla
compatibilità con diverse tecnologie,
tra le quali spiccano Apple Airprint,
Android Print Service Plugin, Goo-
gle Cloud Print 2.0 e Mopria. Ma è il
supporto a un ricco ecosistema di so-
luzioni di terze parti a rendere ancora
più versatile il il Dcp-L5500Dn di Bro-
ther: la macchina è, infatti, in grado di
stampare documenti prelevandoli dalle
principali piattaforme di cloud storage
come Box, Google Drive e Microsoft
Onedrive. Tra i principali punti di
forza del Sp C252Sf di Ricoh si trova
invece la connettività wireless di serie,
a cui si aggiunge l’applicazione mobi-
le proprietaria Smart Print & Scan.
La soluzione del vendor giapponese è
un multifunzione a colori in grado di
stampare un numero massimo di 20
pagine per minuto, con disponibili-
tà della prima in 14 secondi. La riso-
luzione è di 2.400 per 600 punti per
pollice e il “duty cicle” mensile tocca le
65mila pagine. Il vassoio di serie per il
caricamento della carta contiene fino a
250 fogli, ma grazie al contenitore ex-
tra è possibile arrivare a 750. Il trayer
di raccolta tocca invece le 150 pagine.
Un valore Tec (consumo elettrico setti-
manale tipo) di 1,6 kWh e la modalità
Economy Colour garantiscono al con-
tempo anche costi di funzionamento
e di gestione ridotti, limitando così il
più possibile l’impatto ambientale delle
operazioni di printing.
Canon ha svelato di recente una coppia
di nuove soluzioni della serie i-Sensys:
si tratta dei multifunzione laser Mf510
e Mf410, ideali per gruppi di lavoro in
HP-SAMSUNG: I MOTIVI DEL DEALA settembre Hp Inc. ha messo sul piatto 1,05 miliardi di dollari per rilevare tutte le attività di stampa di Samsung Electronics, metten-do così a segno la sua maggiore acquisizione in ambito printing. L’accordo, che deve ancora essere approvato dal regolatorio, punta soprattutto a espandere il presidio dell’azienda di Palo Alto nel mer-cato dei dispositivi di stampa a ele-vato volume. Ma non solo. Hp Inc. è oggi una realtà completamente focalizzata sulla produzione e vendi-ta di stampanti e Pc, ma continua a
49
LEXMARKCX310DN
Tecnologia: laser
Velocità stampa: 23 ppm
Fronte/retro: no
Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi
(opzionale)
PREZZO: 599,00 EURO
crescita e alla ricerca di dispositivi che
consentano la stampa in bianco e nero
di grandi volumi a costi operativi com-
petitivi. La velocità di elaborazione va-
ria da 33 a 44 pagine per minuto, con
alimentazione fronte-retro automatica.
Per ottimizzare la produttività sul po-
sto di lavoro i Mfp offrono funziona-
lità di gestione remota, riducendo così
al minimo il bisogno di interventi da
parte del team It. Inoltre, con il sup-
porto nativo di standard come Pcl5e/6
e Adobe Postscript, i dispositivi Mf510
e Mf410 di Canon possono essere in-
tegrati nelle reti It aziendali gestite. Il
supporto completo alla piattaforma di
print management Uniflow offre infine
funzionalità enterprise a tutti i gruppi
realizzare i suoi maggiori profitti dalla vendita di consumabili. Pur detenendo una leadership incontrastata nel prin-ting (con una quota di mercato a livello globale che, secondo Idc, ha superato il 36% nel primo trimestre 2016), ha recentemente registrato una pesante battuta d’arresto al proprio business, causata dal generale calo di pagine stampate. I numeri sono contenuti nei risultati del trimestre fiscale chiuso a luglio, in cui la società ha confermato un crollo del fatturato generato dalla vendita di consumabili del 18% rispet-to allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre i dispositivi di stampa hanno segnato una flessione di dieci punti percentuali. In passato il Ceo di Hp Inc,
Dion Weisler, aveva dichiarato di voler stimolare la crescita dei ricavi della so-cietà, estendendo il portfolio d’offerta nella direzione delle macchine multi-funzione A3, un segmento presidiato soprattutto da Xerox, Canon, Ricoh e Konica Minolta. Con l’acquisizione di Samsung, Hp Inc. prova dunque a cre-scere in questa direzione, mettendo le mani sull’offerta del vendor sudco-
XEROX WORKCENTRE 3335/3345
Tecnologia: laser
Velocità stampa: fino a 40 ppm
Fronte/retro: sì (3345)
Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi
PREZZO: 336 EURO + IVA
RICOHSP C252SF
Tecnologia: laser
Velocità stampa: 20 ppm
Fronte/retro: sì
Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi
PREZZO: PAY PER USE
reano. Ma non è solo una questione di quote di mercato. Oltre a portarsi in casa la produzione dei motori di stampa, prima affidata a terzi, Hp entrerà in possesso anche di circa 6.500 brevetti registrati da Samsung: una proprietà intellettuale che con-tribuirà a espandere le attività core della compagnia, diversificando ulte-riormente la linea dei suoi prodotti.
50 | OTTOBRE 2016
Trenta pagine al minuto con risolu-zione massima di 1.200 per 1.200 dpi e un tempo di uscita del primo foglio di 7,5 secondi. Sono i dati salienti della recentissima propo-sta di Oki, il multifunzione a colori Mc573dn pensato per Pmi e gruppi di lavoro di medie e piccole dimen-sioni. La Smart Extendable Platform (Sxp) di Oki consente al dispositivo di collocarsi al centro dei flussi di la-voro documentali grazie a un touch screen a colori da 7 pollici e grazie all’accesso, senza costi aggiuntivi, a Sendys Explorer Lite, il software di gestione documentale del vendor giapponese. La piattaforma, basa-ta completamente su servizi Web, consente la perfetta integrazione del multifunzione sia con sistemi personalizzati sia con soluzioni di terze parti, come per esempio i sof-tware Papercut Mf e Drivve Image. La stampa e l’acquisizione dei docu-menti sono in fronte-retro di serie e il cassetto della carta standard con-tiene fino a 350 fogli. Ma la sua ca-pacità può essere espansa con due vassoi opzionali, raggiungendo così i 1.410 fogli. Il Mc573dn presenta 1 GB di memo-ria Ram eMmc espandibile fino a 3 GB. Il reparto connettività è com-posto da un dispositivo e due host
di lavoro, funzionalità accessibili anche
grazie all’ampio pannello touch screen
a colori da 3,5 pollici.
Tutto sempre sotto controlloHa deciso di puntare molto sulla sem-
plicità d’uso anche Xerox: presentando
i multifunzione laser in bianco e nero
Workcentre 3335/3345, l’azienda ha
voluto lanciare dispositivi che facili-
tano l’installazione e la connessione
a dispositivi mobili. Il modulo WiFi
integrato e la tecnologia Nfc “tap-to-
pair” consentono di collegare da remo-
to smartphone e tablet, stampando così
in modo più agevole da luoghi diversi.
Altre caratteristiche, come la configu-
razione guidata del WiFi e la rubri-
ca integrata, rendono più intuitiva la
connettività wireless e permettono di
produrre documenti più velocemente.
Xerox ha inserito il 90% delle funzioni
fondamentali sulla schermata principa-
le, così da accelerare il lavoro. I multi-
funzione sono in grado di stampare da
33 a 40 pagine al minuto, con una ri-
soluzione massima di 1.200 per 1.200
dpi. Le soluzioni possono essere dotate
anche di un secondo vassoio opziona-
le da 550 fogli, che porta la capacità di
carico a 800 fogli totali. La Workcentre
3345 presenta anche un alimentatore
automatico fronte-retro da 50 pagine e
il ciclo di vita mensile tocca le 80mila.
Entrambi i modelli sono compatibi-
li con Apple Airprint, Google Cloud
Print e Xerox Print Service Plug-in per
Android e Mopria, programmi che per-
mettono la stampa da dispositivi mobili
di diversi marchi.
Le piccole imprese e i gruppi di lavo-
ro che stampano fino a 4.500 pagine al
mese possono puntare sulla Pagewide
Pro 477dw di Hp, con una velocità di
elaborazione massima di 55 pagine al
minuto. Come suggerisce il nome, la
macchina è dotata della nuova tecno-
logia del produttore statunitense, che
consente di ottenere soluzioni con un
minor numero di parti in movimento.
La barra di stampa fissa che copre l’in-
tera larghezza della pagina aumenta la
velocità, per una maggiore affidabilità
e un’usura dei componenti ridotta. Il
Pagewide Pro 477dw è dotato di con-
nettività wireless di serie e di un pan-
nello touch a colori e personalizzabile
da 4,3 pollici. La velocità di acquisizio-
ne tocca le 26 impressioni per minuto
in bianco e nero e a colori. La capaci-
tà di input arriva fino a 1.050 fogli e
AL CENTRO DEI FLUSSI DI LAVORO
Usb 2.0 e da una porta Ethernet 10/100/1000Tx. Il modulo wireless 802.11a/b/g/n è però opzionale. La stampa da mobile è garantita dalla compatibilità con diverse applica-zioni indipendenti, tra cui Google Cloud Print 2.0 e Apple Airprint. Il multifunzione, basato sulla storica tecnologia di stampa Led digitale di Oki, è venduto a un prezzo suggeri-to di partenza di 620 euro più Iva. Il produttore offre una garanzia di tre anni senza costi aggiuntivi ottenibile registrando il prodotto entro trenta giorni dall’acquisto.
quella di alimentazione a 500, mentre
l’output massimo è di 300 pagine. Il
multifunzione dispone di due host e
di un dispositivo Usb 2.0 e presenta
diverse tecnologie per la gestione della
sicurezza, tra cui autenticazione Ssl/Tls
(Https), Ldap, sistemi opzionali di Hp
e di terze parti (come i lettori di badge),
cablaggio Wpa2-Enterprise e il blocco
del pannello di controllo.
Alessandro Andriolo
VETRINA HI-TECH
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