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Sanitanova Srl – Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA Edizione 2014 – Modulo 1 1 Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA Edizione 2014 Responsabili scientifici: Dr. Alessio Paffoni, Specialista in Genetica Medica, Fondazione Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, U.O. Sterilità di Coppia, Milano Dr. Claudio Castello, Responsabile del Centro Fisiopatologia della Riproduzione, Ospedale Maria Vittoria, Torino Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Data inizio svolgimento: 15/06/2014; ID evento: 12- 95633 Modulo 1 - Patient Journey: drop out, aspetti psicologici e burden of disease Autore: Dr. Alessio Paffoni, Specialista in Specialista in Genetica Medica, Fondazione Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, U.O. Sterilità di Coppia, Milano Obiettivi formativi Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di: conoscere l’impatto dell’infertilità sulla salute della donna e della coppia; comprendere i principali motivi di abbandono dei trattamenti per l’infertilità; fornire informazioni ai pazienti nell’ottica di prevenzione dell’abbandono dei trattamenti. Global Burden of Disease Il Global Burden of Disease (GBD, traducibile – anche se in una maniera che non ne conserva la pienezza del significato inglese – in “Impatto globale delle patologia”) è lo studio a livello generale e locale della mortalità e della disabilità conseguenti a particolari stati di salute o all’esposizione a fattori di rischio. Si tratta di un fondamentale strumento di statistica sanitaria, frutto di un’ampia collaborazione a livello internazionale, che prevede il contributo di organismi quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Banca Mondiale (World Bank Group) e l’Università di Harvard 1 . Il progetto GBD, nato nel 1990, si pone come uno strumento oggettivo e standardizzato per gli studi epidemiologici con l’obiettivo principale di valutare sistematicamente lo stato di salute di una popolazione, elaborando un parametro che si basa sugli anni di salute (o di vita) perduti a causa di

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Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione 2014

Responsabili scientifici: Dr. Alessio Paffoni, Specialista in Genetica Medica, Fondazione Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, U.O. Sterilità di Coppia, Milano Dr. Claudio Castello, Responsabile del Centro Fisiopatologia della Riproduzione, Ospedale Maria Vittoria, Torino

Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Data inizio svolgimento: 15/06/2014; ID evento: 12- 95633

Modulo 1 - Patient Journey: drop out, aspetti psicologici e burden of disease

Autore: Dr. Alessio Paffoni, Specialista in Specialista in Genetica Medica, Fondazione Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, U.O. Sterilità di Coppia, Milano

Obiettivi formativi

Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di:

conoscere l’impatto dell’infertilità sulla salute della donna e della coppia;

comprendere i principali motivi di abbandono dei trattamenti per l’infertilità;

fornire informazioni ai pazienti nell’ottica di prevenzione dell’abbandono dei trattamenti.

Global Burden of Disease

Il Global Burden of Disease (GBD, traducibile – anche se in una maniera che non ne conserva la pienezza del significato inglese – in “Impatto globale delle patologia”) è lo studio a livello generale e locale della mortalità e della disabilità conseguenti a particolari stati di salute o all’esposizione a fattori di rischio. Si tratta di un fondamentale strumento di statistica sanitaria, frutto di un’ampia collaborazione a livello internazionale, che prevede il contributo di organismi quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Banca Mondiale (World Bank Group) e l’Università di Harvard1. Il progetto GBD, nato nel 1990, si pone come uno strumento oggettivo e standardizzato per gli studi epidemiologici con l’obiettivo principale di valutare sistematicamente lo stato di salute di una popolazione, elaborando un parametro che si basa sugli anni di salute (o di vita) perduti a causa di

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una specifica patologia o fattore di rischio, ovvero sugli anni vissuti con una disabilità, soppesando la gravità della stessa. Il principale parametro introdotto a tal fine è il cosiddetto DALY (Disability-Adjusted Life Year, la cui traduzione è “anni di vita aggiustati per la disabilità”). Il DALY è in grado di fornire uno strumento di comparazione tra diverse popolazioni o aree geografiche e di indicare un’efficace misura di eventuali gap di salute. Un’unità di DALY può essere intesa come un anno di vita o di “vita in salute” perduto. La somma di tutti i DALY in una popolazione, che è l’impatto globale della patologia, rappresenta dunque l’insieme degli anni di vita persi a causa di morte prematura e degli anni vissuti in condizione di non-salute. Per dare una stima dell’utilità del valore DALY, è opportuno considerare come il parametro sia soggetto a notevoli variazioni in diverse aree geografiche del Mondo. A titolo di esempio, i paesi africani (escluso il Maghreb) hanno valori di DALY (standardizzato per età) superiori a 40.000 per 100.000 unità di popolazione, con punte superiori a 80.000 in paesi come lo Zimbabwe. In Europa, Nord America, Cina e Australia, il DALY si mantiene sotto i 20.000 e in particolare in Italia è di circa 8.000 per 100.000 abitanti2. È intuibile come questi strumenti epidemiologici possano rappresentare un ottimo mezzo di politica sanitaria, soprattutto quando forniscono dati disaggregati, per fasce di età, sesso, aree geografiche o differenti tipi di patologie. Le tabelle di DALY forniscono un immediato riscontro sui principali temi di sanità nel mondo. L’aggiornamento GBD del 2010 prende in considerazione ben 291 cause principali di morte e disabilità, oltre a 67 fattori di rischio, presentandoli in differenti popolazioni3. L’indice DALY complessivo, stimato per il 2004, è composto in diversa misura percentuale da tutte le voci (patologie/fattori di rischio) prese in esame. Questa misura indica il contributo delle diverse classi di patologie sugli anni di salute perduti: si nota, ad esempio, che le patologie infettive concorrono al 20% del DALY su scala mondiale. Tuttavia, la distribuzione del DALY per patologie infettive in diverse aree geografiche è veramente eterogenea, con valori nel continente Africano superiori al 40% e in Europa inferiori al 5%. Viceversa, le neoplasie maligne sono la causa dell’11% del DALY in Europa e del 4% del DALY in Africa. In ambito ostetrico si rileva come le condizioni patologiche legate alla fase perinatale (come ad esempio prematurità, asfissia, basso peso alla nascita) concorrano al 2% del DALY in Europa, ma siano cinque volte più frequenti in Africa. In generale, si può affermare che il GBD, attraverso l’indicatore DALY e altri strumenti epidemiologici, misura il divario tra lo stato di salute reale e lo stato di salute ideale, cioè quello in cui tutta la popolazione vive fino all’età senile senza avere stati patologici; le principali cause di questo divario sono la morte prematura, la disabilità e l’esposizione a particolari fattori di rischio che causano malattia. Una delle principali conclusioni del GBD, su scala generale, è che dal 1970 la popolazione mondiale ha guadagnato circa dieci anni in termini di aspettativa di vita, ma, di contro, è cresciuto anche il tempo vissuto con stati patologici o disabilità1. Un altro parametro epidemiologico è molto utile per misurare l’impatto delle patologie sulla qualità della vita; si tratta del QALY (Quality-Adjusted Life Year)4 che utilizza una valutazione opposta al DALY combinando informazioni sulla qualità e la quantità di anni di vita. L’applicazione principale del QALY si riscontra nella politica economica-sanitaria, in cui è utilizzato per stimare il valore degli interventi medici rispetto al loro esito (analisi di costo/efficacia). L’indice QALY esprime il numero di anni di vita che possono essere guadagnati grazie a uno specifico intervento clinico; tiene conto inoltre della qualità della vita di quegli anni, attribuendo il valore 1 allo stato di perfetta salute e il valore 0 alla morte. Si tratta dunque di un indice quali-quantitativo composto dal prodotto di due fattori: anni di vita guadagnati x “valore di utilità” (che è una misura dello stato di salute).

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Un anno in perfetta salute vale 1 QALY (= 1 anno x fattore di utilità 1).

Per calcolare il QALY occorre dunque conoscere il valore di utilità di un certo stato di salute. Se un paziente può guadagnare 10 anni di vita in seguito a un intervento, ma in una condizione di salute con indice di utilità pari a 0,2 (perché ad esempio costretto su una sedia a rotelle), il valore QALY dell’intervento sarà 10 x 0,2= 2 e indica che quell’intervento garantisce un contributo pari a due anni di vita in perfetta salute (anche se in realtà si tratta di dieci anni di vita reali, in condizioni di salute non ottimali). Per accorpare questa duplice informazione, ci si riferisce semplicemente all’indice QALY esprimendo il “numero di anni vissuti in perfetta salute”. Esistono condizioni in cui il QALY assume valori negativi, a indicare condizioni patologiche ritenute peggiori della morte. La stima dell’indice di utilità avviene attraverso la raccolta di dati nella popolazione; uno dei metodi più utilizzati a tal fine si basa sull’intervista a campione di soggetti cui viene chiesto di scegliere tra due opzioni: rimanere nelle condizioni di malattia attuali per un certo numero di anni, oppure scegliere un intervento medico che ha la possibilità di restituire una condizione di perfetta salute, ma anche di causare la morte. Maggiore è la proporzione di soggetti che scelgono di mantenere il proprio stato di malattia e minore sarà l’impatto di quella malattia sullo stato di salute. Gli strumenti del GBD permettono di misurare lo stato di salute di una certa popolazione analizzando molte classi di patologie o fattori di rischio differenti. Interessa in questo ambito comprendere come il GBD inglobi l’infertilità, intesa come stato patologico.

Global Burden of Infertility

Qual è il ruolo dell’infertilità nell’impatto globale delle patologie? È opportuno, in primis, ricordare che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’infertilità è una patologia e riportare le principali definizioni esistenti5-8.

Definizioni di infertilità Definizione clinica:

L’infertilità è la patologia del sistema riproduttivo che consiste nel mancato instaurarsi di una gravidanza clinica dopo almeno 12 mesi di rapporti sessuali regolari e non protetti.

L’infertilità è l’incapacità di ottenere una gravidanza entro un anno per una coppia sessualmente attiva che non faccia ricorso a metodi contraccettivi.

Definizione demografica:

L’infertilità è la condizione di incapacità di instaurare o portare avanti una gravidanza per le donne in età riproduttiva (15-49 anni di età) e desiderose di prole, entro cinque anni dall’inizio di una relazione duratura, senza far ricorso a metodi contraccettivi.

Definizione epidemiologica:

L’infertilità è la condizione per cui donne in età riproduttiva (15-49 anni), non gravide, sessualmente attive, che non facciano ricorso a metodi contraccettivi e non stiano allattando, abbiano una ricerca infruttuosa di prole per almeno 2 anni.

Non esiste consenso unanime su come si debba misurare l’impatto dell’infertilità sulla salute delle donne e delle coppie. Gli indici epidemiologici sopra descritti hanno grande rilevanza anche per l’infertilità, ma è doveroso ricordare che non sono universali, cioè non dovrebbero essere applicati alla popolazione generale, ma sono informativi solo nel contesto di coppie che richiedono aiuto medico per soddisfare la volontà di avere un figlio. Esiste un dibattito sull’osservazione che la

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nascita di una nuova vita non sia un miglioramento dello stato di salute e non abbia lo stesso valore della prevenzione della morte di un’altra persona. In questo corso ci interesserà valutare l’impatto dell’infertilità sullo stato di salute dei candidati genitori e non il valore aggiunto della possibile nascita a livello socio-economico. La PMA rappresenta un ambito piuttosto particolare delle valutazioni del burden of disease che si presta a numerose interpretazioni.

L’indice DALY nell’infertilità

Per quanto riguarda l’indice DALY, le applicazioni in ambito di medicina della riproduzione sono abbastanza rare. Poiché l’infertilità non è una causa di decesso, in questo ambito l’indice DALY coincide semplicemente con il valore di “anni vissuti con la disabilità (= infertilità)”. Come già accennato, il DALY globale nella popolazione italiana corrisponde a circa 8.000 per 100.000 unità di popolazione; si stima che la quota dovuta alla prevalenza dell’infertilità sia pari a 2 per 100.000, escludendo la presenza di patologie ginecologiche che possono causare infertilità. Questo dato di incidenza è in verità poco informativo e tende a sottovalutare un fenomeno che è ben più impattante nella popolazione, come vedremo grazie all’uso del parametro QALY. Tuttavia, esiste un metodo più informativo per utilizzare il DALY, che considera la durata della disabilità nel tempo, oltre alla sua incidenza. Il prodotto dell’incidenza e della durata può fornire una stima del tempo totale vissuto con la disabilità, che nel nostro caso è la condizione di infertilità. Per stimare il DALY nella popolazione di riferimento, il numero di casi di disabilità è moltiplicato per la durata media della condizione patologica e per un fattore che soppesa la gravità della condizione patologica. Nel caso specifico la disabilità è rappresentata dall’infertilità e il fattore di gravità, in una scala da 0 a 1 (dove 0 rappresenta la perfetta salute e l’1 il decesso), è pari a 0,18.

DALY: Incidenza x Fattore gravità x durata in anni.

Così calcolato, il DALY quantifica la percezione della società in merito all’idea di buona salute, ma non esprime un valore sociale sulle persone affette. Così, un fattore di gravità per la paraplegia, che è pari a 0,57, non significa che una persona in quelle condizioni di patologia viva la propria vita come se fosse sospeso a metà tra la vita e la morte, o che la società stima la vita di quella persona valere circa la metà di quella delle persone sane. Indica, invece, una scala di percezione della gravità di uno stato patologico suggerendo, ad esempio, che è preferibile vivere un anno in condizione di cecità (fattore di gravità 0,43) rispetto a un anno con la paraplegia. Tornando al problema dell’infertilità, si può facilmente stimare che l’impatto globale sulla salute dipende largamente dalla durata in cui la condizione si manifesta. Una situazione di infertilità che si protrae per dieci anni, moltiplicata per il fattore di gravità 0,18 restituisce il valore 1,8. In questo esempio si può asserire che la paziente in questione, infertile per dieci anni, subisce un danno alla salute che è equiparabile alla perdita di quasi due anni di vita in salute. Per rafforzare la consapevolezza dell’impatto della sterilità sulla salute, può essere utile riportare alcuni fattori di gravità per diverse condizioni patologiche, valutati dal WHO: si possono citare la sordità (0,17), l’AIDS (0,50), il morbo di Parkinson (0,32), la sindrome da dipendenza dall’alcol (0,18). Si possono dunque effettuare delle comparazioni molto eterogenee che, per quanto astratte, riflettono in modo validato la posizione della società rispetto all’impatto delle patologie nella vita quotidiana: si scopre così che dieci anni di infertilità impattano in modo analogo a 4 anni vissuti con l’AIDS, o sono considerati con una gravità dimezzata rispetto a dodici anni con il morbo di Parkinson, o ancora sono simili a dieci anni vissuti con sordità o con sindrome da dipendenza dall’alcol.

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L’indice QALY nell’infertilità

Uno degli approcci più significativi per valutare l’impatto dell’infertilità sulla salute è fornito da Scotland9 che, basandosi su una popolazione statunitense, fornisce dei parametri che quantificano il decremento della qualità di vita nelle donne infertili. Si tratta di un metodo che prova a oggettivare attraverso una scala numerica l’impatto dell’infertilità sulla salute della donna. Nella popolazione considerata, il parametro di utilità che contribuisce al valore QALY di riferimento per la popolazione generale è 0,93 (il valore 1 corrisponderebbe al valore di perfetta salute). Il decremento di questo valore associato all’infertilità è pari allo 0,07, che è un valore considerato costante nel corso della vita. Significa che la qualità della vita si riduce del 7% a causa dell’infertilità; specularmente si può estendere il concetto al guadagno in termini di qualità della vita asserendo che la nascita di un figlio permette un miglioramento della stessa pari al 7%.

Se la popolazione generale ha una qualità di vita posta al valore 0,93 (laddove 1 corrisponde alla perfetta salute), le donne appartenenti a coppie infertili hanno un valore pari a 0,86.

L’aumento totale di QALY ottenuto grazie alla genitorialità dipende dal momento in cui avviene la nascita durante l’età riproduttiva della donna e da quanti anni rimangono da vivere alla madre rispetto all’aspettativa di vita media. Per stimare correttamente come la nascita di un figlio migliora lo stato di salute di una donna infertile, è necessario ricorrere ad alcuni calcoli e considerazioni. Si può accettare che il valore 0,07 (7%) sia un fattore costante lungo l’arco della vita, assumendo cioè che non cambi in persone giovani e meno giovani. Supponiamo che a una donna di 25 anni, desiderosa di prole, venga diagnosticata una condizione di infertilità e che dopo 5 anni di trattamenti di PMA riesca ad avere un figlio. Per quei cinque anni di ricerca avrà sperimentato una riduzione della qualità della vita pari al 7%, mentre con la nascita del figlio lo stesso 7% è guadagnato in termini di “salute” per tutti gli anni che le restano da vivere (esempio 52 anni di vita, posta l’aspettativa a 82 anni). Moltiplicando il valore 0,07 per 52 anni otteniamo 3,64, che corrisponde al guadagno di QALY dovuto alla nascita del figlio. Interpretiamo il dato osservando che dopo la nascita del figlio ogni anno vissuto ha avuto un miglioramento in termini di salute pari al 7% e che questo guadagno, nell’arco della vita media, corrisponde a 3,6 anni di vita vissuta in piena salute. Si potrebbe obiettare che il guadagno espresso con un valore fisso non sia verosimile; infatti ci si può attendere che il beneficio in salute ottenibile con una gravidanza sia soggetto a riduzione con l’avanzare dell’età. Possiamo supporre, semplificando, che il beneficio di una gravidanza per una donna di 30 anni sia superiore a quello di una donna di 60 anni.

Possiamo correggere il calcolo applicando uno “sconto” progressivo per ogni anno trascorso, che generalmente è individuabile nel 3%. Il valore 0,07 può essere quindi corretto in base al trascorrere degli anni per ridursi progressivamente con il trascorrere del tempo dal momento della diagnosi di infertilità.

Riprendendo l’esempio precedente e applicando lo sconto annuale del 3% osserviamo che: posto il valore 0,07 all’età di 25 anni, ci aspettiamo che dopo 5 anni questo valore sia diventato 0,07 : 1,035 = 0,06. Si tratta del valore che indica il possibile guadagno in termini di salute della donna che dopo cinque anni riesca a porre rimedio alla propria infertilità. Il suo guadagno in termini QALY negli anni che le restano da vivere sarà dunque 0,06 diminuito del 3% annuo, per 52 anni, cioè circa 1,5. In questo modello conservativo osserviamo che il guadagno per aver avuto un figlio corrisponde a circa 1,5 anni di vita in piena salute.

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Evidentemente possono esistere numerosi fattori di aggiustamento, sia in positivo sia in negativo. Eventuali effetti collaterali delle procedure di PMA, come ad esempio la sindrome da iperstimolazione ovarica, possono ridurre il guadagno atteso. Viceversa esistono argomentazioni che suggeriscono come il valore standard 0,07 sia una sottostima. Si può osservare come il modello sia basato solamente sulle sequele dell’infertilità sulla salute della madre; se tuttavia supponessimo – legittimamente - un effetto anche sulla salute paterna di pari identità, o anche lievemente inferiore (es. 0,05), vedremmo crescere il valore QALY e di conseguenza diminuire il rapporto costo-efficacia delle procedure. Scotland riporta una serie di valori numerici QALY di diverse condizioni riguardanti i trattamenti per l’infertilità. Si nota come una donna che si sottoponga a un tentativo di PMA dopo aver avuto un aborto abbia un valore pari a 0,54, che corrisponde all’incirca a un dimezzamento della qualità della vita rispetto alla condizione ideale di perfetta salute. Tra gli eventi che influiscono negativamente sul QALY figurano anche la nascita di bambini con disabilità: in particolare, la nascita di due gemelli con disabilità abbassa ulteriormente lo stato di salute rispetto alla semplice condizione di infertilità (0,75). Può sorprendere come un altro evento influisca in modo consistente sullo stato di salute della donna, abbassando il valore di utilità fino a 0,68: si tratta dell’interruzione dei trattamenti per la cura dell’infertilità che, come ci si aspetta, può essere determinata da cause di varia natura, che saranno argomento dei prossimi capitoli. Valutato l’impatto dell’infertilità sulle condizioni di salute della donna, sia in termini di peggioramento a causa dell’esistenza del problema, sia in termini di miglioramento in seguito al suo superamento, è opportuno soffermarsi su un aspetto spesso trascurato che contribuisce ad acuire lo stato di ‘disabilità’ conseguente all’applicazione infruttuosa di tecniche di PMA. Si tratta della scarsa attitudine a completare i percorsi diagnostico-terapeutici e, più nello specifico, del fenomeno del drop out o abbandono delle terapie.

La probabilità cumulativa di gravidanza

Durante le consultazioni ginecologiche per infertilità di coppia, il tasso di gravidanza per ciclo è un parametro largamente utilizzato al fine di illustrare le probabilità di successo dei trattamenti di PMA. Per fornire una visione realistica delle possibilità di ottenere una gravidanza, i pazienti dovrebbero essere informati circa i tassi di gravidanza cumulativi per un determinato numero di cicli. I trattamenti di PMA vanno intesi come un insieme di terapie applicate in diverse fasi, non come momenti indipendenti. Analogamente ai percorsi riabilitativi, il paziente deve essere informato che il successo delle terapie sarà valutato solo alla fine dell’intero ciclo di trattamenti proposti e non dopo la prima seduta. Le percentuali di gravidanza cumulative osservate in ogni centro di PMA sono certamente inferiori al tasso di gravidanza teoricamente ottenibile se le coppie effettuassero tutti i cicli proposti. In uno studio tedesco10 sono mostrati i tassi di gravidanza clinica effettivi e quelli attesi nel caso si annullasse il fenomeno dell’abbandono volontario del percorso diagnostico terapeutico (spesso indicato con il termine inglese drop out) delle coppie che non abbiano ottenuto una gravidanza. Ebbene, già dal secondo ciclo si nota un divario significativo che diventa sorprendente al raggiungimento del settimo ciclo di fecondazione in vitro. Il tasso di gravidanza effettivo dopo il secondo ciclo è stato pari al 27,5% mentre il tasso atteso in caso di assenza di drop out è riportato essere pari a 35,4%; al settimo ciclo le due percentuali sono rispettivamente uguali a 31,5% e 64,5%. Si tratta di un modello teorico che evidenzia tuttavia un dato molto interessante: la clinica avrebbe registrato circa il doppio delle gravidanze nel periodo in esame se tutte le coppie avessero portato a conclusione 7 cicli di fecondazione in vitro, in assenza di successo. In generale si ritiene che le probabilità cumulative attese raggiungano un livello di plateau dopo il 3°- 4° tentativo,

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ponendosi approssimativamente a un valore pari al tasso di gravidanza osservato e aumentato del 50%.

Drop out: termine inglese generalmente utilizzato per indicare l’abbandono del percorso scolastico, viene spesso mutuato per indicare le coppie che decidono di interrompere il percorso terapeutico per l’infertilità, abbandonando le terapie inizialmente intraprese, prima di ottenere il risultato.

Il problema dell’interruzione dei cicli di trattamento

È noto come solo una percentuale ridotta delle coppie infertili decida di ricorrere all’aiuto della medicina per concepire un figlio. Circa la metà delle coppie infertili, al contrario, preferisce non ricorrere a trattamenti per la cura dell’infertilità coniugale11. Di maggior interesse è, in questo contesto, l’approfondimento delle cause che portano all’interruzione dei trattamenti per le coppie che abbiano intrapreso il percorso della procreazione medicalmente assistita. Come visto in precedenza, l’abbandono dei trattamenti è di per sé una causa di riduzione della qualità della vita12 e acuisce il disagio legato all’infertilità. Già dalle origini della fecondazione in vitro, parte della comunità scientifica ha focalizzato i propri studi sui motivi che spingono le coppie a interrompere precocemente il percorso terapeutico per la cura dell’infertilità. Si tratta di un settore di ricerca particolarmente interessante perché, oltre a chiarire i vari aspetti coinvolti nella scelta delle coppie, implica indirettamente anche la stima della reale efficacia dei trattamenti a disposizione. L’interruzione può avvenire a tutti i livelli del trattamento, già in seguito al primo colloquio informativo oppure durante il percorso terapeutico o, ancora, in seguito alla conclusione di uno o più cicli. Evidentemente le ragioni sono molteplici e la loro relativa incidenza si modifica al variare del momento in cui la coppia decide di non proseguire. Ci si aspetta, banalmente, che una coppia che decida di non intraprendere il percorso di PMA dopo la prima consultazione sia demotivata soprattutto dall’impegno previsto dal protocollo diagnostico-terapeutico, mentre una coppia che interrompe i trattamenti dopo un ciclo non andato a buon fine soffra il peso psicologico di un fallimento nelle sue molteplici sfaccettature. L’argomento merita più ampia discussione e sarà affrontato in un capitolo dedicato.

Il fenomeno del drop out

È riportato che circa il 50% delle coppie decida di interrompere le terapie dopo un fallimento13. In pazienti con diagnosi particolarmente sfavorevole, come la scarsa risposta ovarica ai trattamenti di induzione dell’ovulazione, questa percentuale può addirittura salire fino al 70% e oltre; qualora la clinica riesca ad aumentare la compliance dei pazienti e l’aderenza delle coppie al percorso di PMA, è possibile aumentare significativamente le probabilità di gravidanza14. Per ogni centro di PMA, la conoscenza della frequenza del drop out e dei motivi che ne sono alla base rappresenta un fondamentale strumento di controllo della qualità15.

Come indagare i motivi di drop out?

L’approccio più diffuso nella letteratura degli ultimi anni è quello che prevede l’intervista delle coppie che decidono di interrompere i trattamenti; generalmente le coppie sono invitate a scegliere tra una lista di cause possibili quella che più appropriatamente rappresenta la loro condizione16. Questo metodo di indagine riveste un ruolo importante per raccogliere la prospettiva della coppia, ma presenta alcune debolezze metodologiche:

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1. spesso solo uno dei partner si incarica di riportare i motivi di coppia e in genere è maggiormente rappresentata la visione femminile in quanto il partner maschile si espone in misura minore all’interno del percorso di PMA;

2. i motivi indicati sono generici e raramente possono focalizzare con esattezza le vere cause di drop out;

3. per quanto ampia possa essere una lista, difficilmente conterrà tutte le motivazioni che possono interessare una determinata coppia;

4. la raccolta dei dati avviene in modo retrospettivo, spesso a distanza di molti mesi o anni dal momento in cui la coppia ha deciso di uscire dai protocolli; si può facilmente immaginare come il tempo trascorso influisca sulla condizione psicologica con la conseguenza di alterare la percezione del proprio disagio finanche facendo confluire le cause dell’abbandono nel loro effetto.

Nonostante questi limiti, lo studio dei motivi di abbandono può fornire un elemento di ricerca traslazionale laddove gli elementi raccolti siano la base per individuare obiettivi di miglioramento clinico e i fattori predittivi su cui intervenire per prevenire, o almeno limitare, il fenomeno del drop out. In accordo con le definizioni di Boivin11, i momenti maggiormente critici possono essere categorizzati in tre gruppi principali:

1. caratteristiche del trattamento (come ad esempio tipologia ed effetti); 2. peculiarità del centro di PMA (qualità delle cure offerte, attenzione al paziente); 3. fattori legati alla coppia (situazione psicologica, attriti personali).

Si tratta di fattori che spesso si sovrappongono e si influenzano gli uni gli altri, sommandosi all’impatto che la diagnosi di infertilità ha di per sé sulla coppia. La loro identificazione è di cruciale importanza per evidenziare i momenti più critici del processo e per eliminarli o limitarne gli effetti e soprattutto per permettere alle coppie di portare a termine il loro processo decisionale in modo libero, sulla sola base dei valori personali, e non condizionato da costrizioni esterne. Poiché il successo dei trattamenti è correlato alla compliance del paziente, è legittimo aspettarsi che la risoluzione di problemi più critici possa addirittura aumentare il tasso di successo delle procedure.

I momenti di abbandono

Sono individuabili, come detto, alcuni momenti particolarmente critici in cui le coppie più frequentemente decidono di interrompere le procedure terapeutiche per l’infertilità. Si tratta di processi chiave nelle procedure che corrispondono a punti decisionali critici per le coppie e per il medico. I principali sono:

1. comunicazione dell’indicazione a intraprendere la PMA; 2. inizio della prima procedura di primo livello; 3. inizio delle prima procedura di fecondazione in vitro; 4. nuovo tentativo dopo un fallimento; 5. interruzione del percorso prima della sua naturale conclusione.

Su questi punti vi è un generale accordo in letteratura, come vi è accordo nello stabilire che il numero standard di procedure di PMA da considerare come unico ciclo di trattamenti sia pari a 3. Evidentemente, qualora il numero di cicli considerato come unicum sia superiore a 3, ci si attende un aumento di coppie che decidono di interrompere le terapie prima di portare a compimento tutti i cicli a disposizione.

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I motivi di abbandono

I lavori scientifici che abbiano trattato questo argomento sono svariati e, se volessimo raccogliere tutte le motivazioni di abbandono riferite dalle coppie, avremmo un elenco composto da centinaia di differenti voci. Gameiro e coll.24 hanno raccolto i dati di 22 tra gli studi più informativi e raggruppato i motivi di drop out in 24 categorie; di seguito sono riportati in base all’appartenenza a diversi ambiti, con l’indicazione delle specifiche più frequenti.

Motivi legati al trattamento: 1. impatto fisico del trattamento (problema delle iniezioni, effetti collaterali, dolore); 2. impatto psicologico del trattamento (stress emotivo, carico emozionale, ansia,

depressione); 3. insieme di impatto fisico e psicologico del trattamento.

Motivi legati al centro di PMA: 4. comunicazione e informazione ritenute insufficienti (mancanza di spiegazioni,

scarsa attenzione ai problemi della coppia); 5. problemi organizzativi (difficoltà per la lingua, scarsa flessibilità di orari in relazione

alle esigenze lavorative).

Motivi legati ai pazienti: 6. problemi di relazione (separazione, litigi insorti dopo il trattamento, divergenze di

opinione); 7. problemi tra i coniugi (insorti in uno dei due partner); 8. rifiuto dei trattamenti (obiezioni etiche, paura di anomalie nel nascituro, paura di

complicanze ostetriche, paura di effetti collaterali a lungo termine, perdita di interesse);

9. mancanza di fiducia nei trattamenti (sensazione di aver già affrontato tutte le possibilità terapeutiche);

10. scarsa prognosi (età, qualità del liquido seminale, irregolarità dei cicli mestruali); 11. ragioni logistiche (distanza dalla clinica, spostamenti troppo frequenti, trasloco

presso altra abitazione, partner lontano per lavoro); 12. ragioni personali e sociali (circostanze impreviste, perdita di un familiare, ripresa

degli studi, nuovo lavoro); 13. adozione (decisione di adottare, adozione portata a compimento); 14. altre opzioni per la genitorialità (terapie alternative, nuovi tentativi spontanei); 15. cambiamento delle intenzioni (abbandono del desiderio di genitorialità da parte di

uno o entrambi i partner, nuove priorità); 16. rinvio (decisione di rimandare i trattamenti, necessità di una pausa); 17. rinvio senza motivo noto (motivo sconosciuto); 18. indicazione medica (incapacità di perdere peso, scarsa qualità embrionaria, risposta

inadeguata alla stimolazione ormonale, ipertensione, età avanzata); 19. motivi economici (problemi finanziari, mancanza di copertura assicurativa): 20. problemi di salute concomitanti (patologie insorte in uno dei due partner,

prossimità di interventi chirurgici, decesso); 21. nuova indicazione (da tecniche di primo livello a fecondazione in vitro, nuovo

percorso terapeutico); 22. cambio centro di PMA (scelta di un nuovo team, passaggio da centro pubblico a

privato o viceversa); 23. altro/sconosciuto (nessuna ragione fornita, perdita al follow up); 24. non classificabile nelle categorie precedenti (necessità di donazione gameti).

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Quali i motivi di abbandono nelle diverse fasi del ciclo?

Indicati i punti decisionali più critici e le motivazioni più frequentemente addotte, risulta utile indagare la combinazione dei due aspetti. 1° Momento decisionale:

o Comunicazione dell’indicazione a intraprendere la PMA

Principali motivi di abbandono: o Rifiuto dei trattamenti, ragioni personali e sociali, problemi di relazione

2° Momento decisionale: o Inizio della prima procedura di primo livello

Principali motivi di abbandono: o Ragioni logistiche, di ordine pratico o Rinvio delle procedure

3° Momento decisionale: o Inizio della prima procedura di fecondazione in vitro

Principali motivi di abbandono: o Indicazione medica o Problemi relazionali o Impatto psicologico del trattamento

4° Momento decisionale: o Nuovo tentativo dopo un fallimento

Principali motivi di abbandono: o Motivi economici o Indicazione medica o Impatto psicofisico del trattamento

5° Momento decisionale: o Interruzione del percorso prima della sua naturale conclusione

Principali motivi di abbandono: o Indicazione medica o Rinvio del trattamento o Impatto psicologico del trattamento

In generale, indipendentemente dalla fase d’interruzione, i motivi più frequenti di abbandono sono: indicazione medica, rinvio del trattamento, impatto psicofisico delle terapie, problemi personali o coniugali, rifiuto del trattamento.

I fattori predittivi del drop out

Descritti i motivi e le situazioni principali che portano le coppie ad abbandonare il percorso diagnostico terapeutico per l’infertilità, è opportuno volgere l’attenzione allo studio dei fattori che possono essere predittivi del drop out. La valutazione di queste variabili può aiutare i clinici a individuare le coppie maggiormente propense all’abbandono e a intervenire opportunamente per informare la coppia sull’importanza dell’aderenza al percorso terapeutico. Di seguito sono indicati i parametri risultati rilevanti in uno o più studi e sono omesse le cause di abbandono, pur frequenti nella popolazione e indicate in precedenza, il cui effetto non sia stato dimostrato significativo nella letteratura corrente.

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Fattori predittivi legati allo status di infertilità

I principali fattori di infertilità associati alle probabilità di drop out sono i seguenti:

Parità/infertilità secondaria: la presenza di una o più precedenti gravidanze o figli è positivamente associata alla tendenza ad abbandonare i trattamenti precocemente: secondo Pearson17 le coppie in questa condizione sono soggette a drop out con una frequenza aumentata di circa il 60%.

Differenti indicazioni al trattamento: il fattore più frequentemente associato all’interruzione dei trattamenti è la grave infertilità maschile trattata con ICSI. In questo caso le coppie interessate hanno mostrato un tasso di abbandono superiore di quasi 5 volte rispetto ai controlli nello studio di Verberg18.

Fattori predittivi legati al trattamento

Fattore tempo: è riportato che un arco temporale maggiore tra due trattamenti sia negativamente correlato all’aderenza al protocollo. In cicli di donazione del seme, Guerif19 riporta che il tempo di attesa tra due cicli è significativamente superiore per le coppie che decidono di abbandonare il trattamento rispetto ai controlli.

Tipo di stimolazione: il dosaggio dei farmaci utilizzati per la stimolazione ormonale può essere utilizzato come variabile esplicativa del rischio di drop out. Nello studio di Verberg18 l’effetto della stimolazione mild, espresso come rapporto di rischio, è pari a 0,55, a indicare una probabilità quasi dimezzata di abbandono rispetto alle coppie trattate con protocolli di stimolazione standard.

Pick up ovocitario e trasferimento degli embrioni: è stato riportato che le coppie che decidono di interrompere i trattamenti di fecondazione in vitro hanno avuto a disposizione un numero medio di ovociti inferiore rispetto ai controlli20 e si sono sottoposte a un numero inferiore di procedure di recupero ovocitario21. L’impossibilità di ottenere embrioni vitali utili all’embryo transfer è positivamente associata alle probabilità di drop out sia dopo uno, sia dopo due fallimenti (la percentuale di cicli senza embryo transfer è superiore di circa 10 punti percentuali tra le coppie che abbandonando i trattamenti22). Il già citato lavoro di Sharma20 indica anche che le coppie che trasferiscono più di due embrioni interrompono i trattamenti con minor frequenza dopo il primo ciclo. Ulteriori studi21,23 confermano che la maggiore disponibilità di embrioni per effettuare un embryo transfer e il tasso di fecondazione ovocitaria sono negativamente associati alla frequenza di drop out. L’esperienza di un aborto precoce o di altre complicanze iniziali della gravidanza, rispetto al totale fallimento dell’impianto, spinge una maggiore percentuale di coppie (+50%) alla scelta di sospendere i cicli di PMA17.

Fattori predittivi legati ai pazienti

Fattori socio-economici: l’età della donna è uno dei parametri maggiormente indagati, anche se molti studi non sono riusciti a dimostrare un effetto causale dell’età sull’abbandono delle procedure. Esistono tuttavia almeno cinque studi che hanno evidenziato una correlazione positiva tra età della partner femminile e frequenza di drop out24. Questo dato contrasta probabilmente con la percezione diffusa tra molti clinici che vede le donne nelle fasce di età più avanzata maggiormente insistenti nel richiedere le cure. Eisenber26 riporta che il fenomeno del drop out è osservato con maggior frequenza in donne con livello di istruzione inferiore.

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Fattori psicosociali: ansia e depressione sono le condizioni psicologiche che impattano negativamente sull’aderenza ai protocolli di PMA, sia nelle fasi iniziali del percorso sia dopo un primo fallimento25,26.

Conclusioni

Nonostante la presenza di una notevole quantità di dati in letteratura, la ricerca sui fattori predittivi di drop out è ancora insufficiente per individuare con certezza le variabili più attendibili. In particolare, le associazioni sopra descritte, pur significative, spesso falliscono nel dimostrare la propria validità per spiegare il tasso di abbandono in studi longitudinali prospettici. Il limite della maggior parte degli studi considerati sono l’eterogeneità e la numerosità del campione che non permettono l’identificazione di fattori predittivi che non siano fortemente associati all’outcome. La discontinuità nell’affrontare il percorso diagnostico terapeutico per l’infertilità è un fattore primario nell’efficacia dei trattamenti perché ha il potere di ridurre i benefici attesi1. Per un’azione correttiva importante, i clinici dovrebbero concentrarsi sulle cause più ricorrenti nelle diverse fasi della PMA o sulle cause specifiche di un singolo momento decisionale che interessano molti pazienti e, nello stesso tempo, fornire adeguato supporto decisionale alle coppie. Si tratta di uno strumento indispensabile alla valutazione e al mantenimento degli standard qualitativi dei centri per la cura dell’infertilità che può aiutare i clinici a essere più convincenti sull’importanza dell’aderenza al percorso terapeutico. Questo obiettivo ha due effetti primari:

1) aumentare la possibilità che la coppia termini il proprio percorso terapeutico con un figlio in braccio;

2) aumentare il livello di qualità della vita delle coppie infertili.

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Questionario ECM

1. Quale tra queste definizioni si addice maggiormente al “Global Burden of Disease”?

1. sistema di misurazione della salute che consente di generare stime sul peso di singoli fattori o gruppi di fattori che sono in grado di orientare politiche e programmi sanitari

2. sistema di registrazione della frequenza delle patologie in diverse popolazioni con il fine primario della prevenzione

3. metodo di stima del quoziente di morte o disabilità definito da esperti per consenso, in diverse popolazioni

4. nessuna delle risposte indicate

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2. Se stimiamo che 30 anni vissuti con una disabilità motoria valutata con un quoziente di 0,2 equivalgono a 6 anni di vita persi, stiamo facendo una stima di quale parametro?

1. HLL (Healthy Life Lost)

2. QALY (Quality Adjusted Life Years)

3. DALY (Disability Adjusted Life Years)

4. YLD (Years Lived with Disability)

3. È riportato il fattore di gravità per le seguenti patologie immaginarie: immaginoma=0,52; fantasite=0,20. Supponiamo che il soggetto A sia affetto da immaginoma per 5 anni e che il soggetto B sia affetto da fantasite per 13 anni. In queste condizioni è vero che:

1. l’indice QALY è <1

2. secondo l’indice DALY, l’immaginoma è meno grave della fantasite

3. per entrambi i soggetti gli anni di vita persi equivalgono a 2.6

4. l’aspettativa di vita del soggetto B è superiore a quella del soggetto A

4. La stima dell’indice QALY si basa:

1. sulla raccolta di dati tramite interviste nella popolazione

2. sul rapporto costo/beneficio delle prestazioni sanitarie

3. sul rapporto costo/mortalità degli interventi chirurgici

4. sulla raccolta di opinioni tra i medici

5. Quale delle seguenti affermazioni è vera?

1. l’infertilità non rientra tra i parametri del Global Burden of Disease

2. l’infertilità rientra tra gli stati di disabilità considerati dal DALY

3. l’impatto dell’infertilità nel QALY è indipendente dalla durata

4. tutte le risposte indicate

6. Si stima che la riduzione della qualità della vita a causa dell’infertilità sia quantificabile:

1. nella misura del 7% annuo per le donne appartenenti a coppie infertili

2. nella misura del 7% annuo per la popolazione generale

3. nella misura del 18% per le coppie infertili

4. nella misura del 18% per le donne

7. In termini di QALY, per una donna infertile che diventi madre a 35 anni e viva fino a 80 anni, si può stimare il valore:

1. 0.18 x 45 anni / 2 partner = 4.05 QALY per ciascun membro della coppia

2. 0.07x 35 anni = 2.45 QALY persi per l’infertilità

3. 0.07 x 45 anni = 3.15 QALY dovuto alla nascita del figlio

4. 0.18 x 35 anni = 6.3 QALY dovuto alla nascita del figlio

8. La probabilità cumulativa di gravidanza nella PMA:

1. raggiunge un livello plateau dopo 3-4 cicli effettuati

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2. sono indipendenti dal numero di tentativi

3. in genere non è calcolabile

4. non risente del tasso di drop out

9. In cicli ICSI, il tasso di abbandono dopo il primo fallimento è:

1. circa 5%

2. poco inferiore al 20%

3. vicino al 50%

4. tra il 70 e l’80%

10. I più frequenti motivi di abbandono delle procedure di PMA sono:

1. problemi economici, problemi logistici

2. indicazione medica, rinvio del trattamento, impatto psicofisico delle terapie

3. scarsa prognosi, età

4. cambio centro di PMA

11. Quali sono i fattori predittivi di drop out legati al trattamento?

1. tempi di attesa

2. dosaggio dei farmaci utilizzati

3. numero di ovociti recuperati

4. tutte le risposte indicate